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ENTI RELIGIOSI E RIFORMA DEL NON PROFIT A CURA DI ANTONIO GUARINO ESTRATTO JOVENE EDITORE DIRITTI D’AUTORE RISERVATI © Copyright 2020 ISBN 978-88-243-2656-8 JOVENE EDITORE Via Mezzocannone 109 - 80134 NAPOLI Tel. (+39) 081 552 10 19 - Fax (+39) 081 552 06 87 web site: www.jovene.it e-mail: info@jovene.it I diritti di riproduzione e di adattamento anche parziale della presente opera (compresi i microfilm, i CD e le fotocopie) sono riservati per tutti i Paesi. Le riproduzioni totali, o parziali che superino il 15% del volume, verranno perseguite in sede civile e in sede penale presso i produttori, i rivenditori, i distributori, nonché presso i singoli acquirenti, ai sensi della L. 18 agosto 2000 n. 248. È consentita la fotocopiatura ad uso personale di non oltre il 15% del volume successivamente al versamento alla SIAE di un compenso pari a quanto previsto dall’art. 68, co. 4, L. 22 aprile 1941 n. 633. Printed in Italy Stampato in Italia INDICE Premessa .................................................................................... p. VII GERALDINA BONI Presentazione ........................................................................ » 1 RELAZIONI PAOLO CAVANA Profili canonistici della riforma del terzo settore ............... » 11 ANTONIO FUCCILLO Gli enti religiosi nel mercato dei beni e dei servizi ........... » 33 ANTONIO GUARINO Gli enti religiosi nel codice del terzo settore ...................... » 57 COMUNICAZIONE RAFFAELE GRANATA Charity sector e Chiesa d’Inghilterra .................................. » 89 Notizie sugli Autori .................................................................. » 103 ANTONIO FUCCILLO GLI ENTI RELIGIOSI NEL MERCATO DEI BENI E DEI SERVIZI SOMMARIO: 1. Gli enti ecclesiastici nel mercato: un possibile esempio di impresa etica. – 2. Enti religiosi e attività d’impresa. 3. Il ramo Inlus dell’ente ecclesiastico. – 4. Enti ecclesiastici e società benefit. – 5. Prospettive. 1. Gli enti ecclesiastici nel mercato: un possibile esempio di impresa etica L’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto è un tipo strutturale speciale che risponde a una normativa particolare tale da condizionarne anche la normale attività negoziale e patrimoniale. Il funzionamento di dette strutture giuridiche è influenzato dal diritto confessionale dal quale non possono prescindere (sia sotto il profilo «costitutivo» che «operativo») e da alcune peculiarità del diritto statale. Le attività di carattere negoziale e patrimoniale di detti enti si svolgono secondo una normativa singolare, di derivazione sia statale sia confessionale, ove si palesa la «eterogeneità delle fonti» tipica del diritto ecclesiastico, imponendosi così il ricorso alle metodologie proprie di tale scienza giuridica1. 1 Sul punto si veda diffusamente A. FUCCILLO, Diritto, religioni, culture. Il fattore religioso nell’esperienza giuridica, terza edizione, Giappichelli, Torino, 2019, 34 ANTONIO FUCCILLO Le finalità religiose e la speciale struttura non impediscono ovviamente agli enti ecclesiastici di agire nel mercato di beni e servizi, anche in potenziale concorrenza con altre forme giuridiche previste dal nostro ordinamento. L’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto2 oltre a potere in proprio perseguire qualsiasi finalità concreta, anche imprenditoriale e commerciale, può altresì ricorrere alla utilizzazione di altre forme giuridiche di diritto comune per il perseguimento di scopi non direttamente istituzionali. Ciò può, ad esempio, avvenire partecipando alla costituzione di società e di rami p. 80 ss.; A. FUCCILLO, R. SANTORO, L. DECIMO, Gli enti religiosi ETS. Tra diritto speciale e regole di mercato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, p. 2 ss.; A. FUCCILLO, Enti ecclesiastici e impresa commerciale: finalmente un binomio compatibile!, in Diritto Ecclesiastico, 1994, IV, p. 470 ss.; A. FUCCILLO, Le nuove frontiere dell’ecclesiasticità degli enti, Jovene, Napoli, 1999. 2 La bibliografia sugli enti ecclesiastici è vasta, senza alcuna pretesa di esaustività si segnalano i seguenti contributi S. BERLINGÒ, Enti e beni religiosi in Italia, Il Mulino, Bologna, 1992; S. BERLINGÒ, Enti ecclesiastici - Enti delle confessioni religiose, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica www.statoechiese.it, maggio 2007, p. 1 ss.; A. BETTETINI, Gli enti e i beni ecclesiastici, Giuffrè, Milano, 2005; A. BETTETINI, L’attività commerciale di un ente ecclesiastico, in Enti ecclesiastici e controllo dello Stato, a cura di J.I. ARRIETA, Marcianum Press, Venezia, 2007, p. 191 ss.; A. BETTETINI, Ente ecclesiastico, beni religiosi e attività di culto, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019; P. CAVANA, Gli enti ecclesiastici nel sistema pattizio, Giappichelli, Torino, 2011; F. FINOCCHIARO, voce Enti ecclesiastici cattolici, in Enc. giur. Treccani, XII, Roma, 1988; S. FIORENTINO, Gli enti ecclesiastici, in Nozioni di diritto ecclesiastico, a cura di G. CASUSCELLI, Torino, 2012, p. 287 ss.; P. FLORIS, L’ecclesiasticità degli enti. Standards normativi e modelli giurisprudenziali, Giappichelli, Torino, 1997; G. FUBINI, voce Enti ecclesiastici, III) Enti ecclesiastici delle confessioni religiose diverse dalla cattolica, in Enc. giur. Treccani, XII, Roma, 1989; A. FUCCILLO, Esiste allora l’ecclesiasticità funzionale?, in Il diritto ecclesiastico, II, 2003, p. 244 ss.; A. FUCCILLO, L’ecclesiasticità funzionale supera la prova del fisco!, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, III, 2004, p. 637 ss.; A. FUCCILLO, Le nuove frontiere dell’ecclesiasticità degli enti, Jovene, Napoli, 1999; G. LEZIROLI, Il riconoscimento degli enti ecclesiastici, Giuffrè, Milano, 1990; M. PARISI, Gli enti religiosi nella trasformazione dello stato sociale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2004; P. PICOZZA, L’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, Giuffrè, Milano, 1992. GLI ENTI RELIGIOSI NEL MERCATO DEI BENI E DEI SERVIZI 35 di impresa o, quale operazione di investimento, acquistando partecipazioni (anche eventualmente di controllo) di detti enti. Nell’attuale sistema giuridico gli enti ecclesiastici agiscono quindi nel mercato dei beni e servizi al pari degli altri operatori economici. Essi possono esercitare un’attività d’impresa al fine di reperire forme di finanziamento necessarie per il perseguimento delle finalità religiose ma anche per altre finalità istituzionali anche se non rientranti in quelle di “religione e di culto”. Le risorse economiche di cui godono le confessioni religiose non sono infatti più del tutto sufficienti a garantire la loro corretta operatività nella società contemporanea. Tale condizione induce anche gli enti religiosi ad autofinanziare le proprie attività istituzionali attraverso il perseguimento di finalità lucrative in senso oggettivo3. L’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto rientra quindi a pieno titolo tra le categorie giuridiche da sottoporre ad attenta verifica all’interno del sistema generico degli enti no profit. Si tratta cioè di tutti quegli enti che presentano nel no distribution constraint l’elemento comune, che non perseguono finalità lucrative in senso soggettivo ma tutt’al più in senso sociale e redistributivo. Il fatto che un bene o un servizio sia prodotto o realizzato da un ente religioso rispetto ad un altro ente di diritto comune suscita nell’utente finale una maggiore affidabilità e sicurezza. Le imprese gestite, controllate o amministrate da enti religiosi sono da sempre considerate come realtà commerciali aventi una importante sostenibilità sociale e i cui obiettivi, ancorché imprenditoriali, sono improntati ad una notevole eticità. Esse, infatti, seguono regole di matrice reli3 Sul punto si veda diffusamente A. FUCCILLO, Enti ecclesiastici e impresa commerciale: finalmente un binomio compatibile, cit., p. 470 ss.; A. FUCCILLO, Le nuove frontiere dell’ecclesiasticità degli enti, cit. 36 ANTONIO FUCCILLO giosa volte al bene comune e non unicamente al guadagno individuale4. Le imprese “religiose” rientrano tra gli attori sociali in grado di interagire positivamente o negativamente con la tutela dei diritti fondamentali. In tale contesto, l’ossequio dei precetti religiosi ne stimola l’innovazione determinando culture aziendali più attente dal punto di vista etico e della responsabilità sociale5. La crescita economica infatti, non può essere scissa da uno sviluppo sostenibile a cui tutti gli operatori sono oggi chiamati6. 4 Le religioni sono un prezioso ausilio ed esempio per la realizzazione di un’economia che mira al bene comune e che vive su tre pilastri fondamentali: l’attenzione al capitale umano e alla valorizzazione delle persone, lo sviluppo delle relazioni e della cooperazione, sia all’interno che all’esterno dell’azienda, e la capacità di vivere l’impresa come un sistema, un progetto sociale che va oltre i confini dell’impresa stessa. Con particolare riferimento alla religione cattolica è opportuno segnalare da ultimo il documento «Oeconomicae et pecuniariae quaestiones (OPQ)» della Congregazione per la Dottrina della Fede e il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale del 2018, il quale al n. 23 prescrive che «Ogni impresa costituisce un’importante rete di relazioni e, a suo modo, rappresenta un vero corpo sociale intermedio, con una sua propria cultura e prassi. Tali cultura e prassi, mentre determinano l’organizzazione interna all’impresa, influiscono altresì sul tessuto sociale nel quale essa agisce. Proprio a questo livello, la Chiesa richiama l’importanza di una responsabilità sociale dell’impresa, la quale si esplicita sia ad extra che ad intra della medesima». Le regole religiose in ambito economico potrebbero essere assunte come proprie anche dalle imprese comuni. L’ente religioso imprenditore potrebbe costituire un modello di impresa vincente anche per le altre realtà economiche. In tal senso si veda M. FOLADOR nei seguenti scritti: L’organizzazione perfetta. La Regola di San Benedetto. Una saggezza antica al servizio dell’impresa moderna, Guerini e Associati, Milano, 2006; Un’impresa possibile. Persone e aziende che costruiscono il futuro Guerini e Associati, Milano, 2014; Storie di ordinaria economia. L’organizzazione (quasi) perfetta nel racconto dei protagonisti, Guerini e Associati, Milano, 2017. 5 Su tali profili cfr. F. SORVILLO, Libertà religiosa e Responsabilità Sociale d’Impresa, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica www.statoechiese.it, n. 7 del 2020, pp. 1-25. 6 La scelta dei titoli delle società nei quali investire è fatta in base ai criteri c.d. ESG (Environmental, Social and Governance). I fattori ESG sono determinanti GLI ENTI RELIGIOSI NEL MERCATO DEI BENI E DEI SERVIZI 2. 37 Enti religiosi e attività di impresa Lo svolgimento delle attività diverse da quelle di religione o di culto da parte dell’ente ecclesiastico è assoggettato in gran parte alla ordinaria disciplina civilistica, ma con importanti risvolti di diritto speciale che caratterizzano la particolare natura giuridica di tali enti. Gli enti ecclesiastici, in tale campo, sono generalmente equiparati alle persone giuridiche private che, all’interno dell’ordinamento, svolgono la medesima attività. L’individuazione della disciplina normativa applicabile agli enti ecclesiastici avviene in base a un criterio meramente oggettivo, cioè con l’analizzare l’attività realmente ed in concreto svolta (cd. principio dell’effettività). Il limite riguardante l’applicabilità della disciplina comune per le attività c.d. diverse svolte da parte degli enti ecclesiastici cattolici è previsto dall’art. 7, n. 3, della L. n. 121/1985. La norma pattizia dispone che «le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime»7. L’ente ecclesiastico può quindi svolgere attività d’impresa in forma diretta e operare nel mercato dei beni e servizi attraverso la nelle decisioni di allocazione del patrimonio del risparmiatore o di un fondo comune. In merito si rinvia sul punto a A. FUCCILLO, Diritto, religioni, culture, cit., p. 217. 7 G. DALLA TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 2002, p. 194 e ss., il quale evidenzia che il legislatore pattizio, all’art. 7, n. 3, della l. n. 121/1985, infatti, ha consentito lo svolgimento da parte degli enti ecclesiastici delle c.d. attività diverse, con conseguente loro sottoposizione alle leggi dello Stato, a condizione che, però, tale profilo non sia in contrasto con le finalità e la struttura dell’ente; risolvendo l’eventuale contrasto tra il profilo oggettivo e il profilo soggettivo a favore di quest’ultimo. 38 ANTONIO FUCCILLO propria struttura speciale ma nel rispetto di essa. Le regole operative alle quali sarà soggetto in tale caso l’ente ecclesiastico sono comunque quelle che disciplinano il tipo strutturale speciale, quindi legate al particolare vincolo che unisce detto ente alla confessione religiosa di appartenenza. Per gli enti ecclesiastici cattolici si pone (ad esempio) il problema della rilevanza civile dei controlli canonici nel caso di esercizio di attività di impresa, altrimenti richiesti per l’attività ordinaria8. Il contrasto tra la necessità di tali controlli tutori, normalmente previsti per l’attività eccedente l’ordinaria amministrazione degli enti ecclesiastici9, stride con la presunzione di piena capacità per i rappresentanti degli “enti impresa”10. L’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, quando agisce come “imprenditore”, non può essere soggetto a invasivi controlli tutori. Il rispetto di un tale protocollo altera, infatti, l’intero sistema di rappresentanza commerciale approntato dal legislatore, in favore di un istituto di protezione che non 8 Sul punto si veda A. FUCCILLO, Attività contrattuale degli enti ecclesiastici, controlli canonici e responsabilità del Notaio, in Notariato, II, 1996, p. 184 ss.; A. FUCCILLO, Contratti di alienazione degli enti ecclesiastici e controlli canonici, in Rivista del Notariato, 1994, p. 1354 ss.; A. FUCCILLO, Diritto ecclesiastico e attività notarile, Giappichelli, Torino, 2000; A. FUCCILLO, I contratti “nuovi” degli enti ecclesiastici, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, Giappichelli, Torino, 2004, p. 479 ss.; A. FUCCILLO, Iura novit curia. La Suprema Corte torna sulla rilevanza civile dei controlli canonici, in Il diritto ecclesiastico, 2012, p. 335 ss. 9 Com’è noto, circa l’attività negoziale degli enti ecclesiastici cattolici, la l. 20 maggio 1985, n. 222, ha reso rilevanti nel nostro ordinamento, per il tramite di un rinvio formale, le norme del diritto canonico relative alla loro capacità negoziale. Nello specifico, l’art. 18 della richiamata legge precisa che non possono essere opposti ai terzi, ai fini della invalidità o inefficacia dei negozi giuridici da loro conclusi, le limitazioni dei poteri di rappresentanza o l’omissione dei controlli canonici che non risultino dal codice di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche, salvo ovviamente che i terzi non ne fossero già a conoscenza. 10 A. FUCCILLO, La pubblicità e la rappresentanza dell’ente ecclesiastico imprenditore commerciale, in Il diritto ecclesiastico, 1996, I, p. 836 ss. GLI ENTI RELIGIOSI NEL MERCATO DEI BENI E DEI SERVIZI 39 sembra proponibile neanche in tale settore dell’ordinamento giuridico contrassegnato da un significativo regime di specialità. Tale contrasto si manifesta in tutta la sua particolarità proprio nel caso in esame dell’ente ecclesiastico imprenditore. Il sistema di pubblicità di cui agli artt. 2188 ss. del codice civile è uno strumento al servizio degli interessi degli imprenditori e alla soddisfazione dell’interesse generale all’informazione del mercato, dal momento che, per ottenere il risultato dell’opponibilità, occorre rendere conoscibili gli atti o fatti che si ha interesse ad opporre (efficacia positiva dell’iscrizione di cui all’art. 2195 c.c.)11. Il registro delle imprese si fonda sull’onere di iscrizione dell’imprenditore e su quello del terzo di consultarlo. L’utilità di tale sistema è sia per l’imprenditore che per il terzo, il quale non deve preoccuparsi di altre fonti di conoscibilità di fatti inerenti all’attività d’impresa, che la legge stessa non abbia aggiunto o sostituito al registro delle imprese. L’attività negoziale dell’ente ecclesiastico, ove riferita alle finalità commerciali, sarà soggetta alle norme in tema d’impresa, con l’importante conseguenza della presunzione di piena capacità per i rappresentanti dell’ente per le attività svolte durante l’esercizio delle attività di impresa. Il sistema dei controlli canonici previsto da disposizioni del c.d. “diritto proprio” non può infatti alterare l’ordinario sistema ci11 Sul punto si veda E. BOCCHINI, Manuale del registro delle imprese, CEDAM, Padova, 1999; V. DONATIVI, Conservatore e notaio: l’iscrizione nel registro delle imprese dopo il d.l. n. 91/2014, in Giur. comm., 2015; F. FIMMANÒ, R. RANUCCI, La pubblicità commerciale e il sindacato del Conservatore del registro delle imprese, in Notariato, 2014; C. IBBA, M. MARASÀ, Il registro delle imprese, Giappichelli, Torino, 1997; C. IBBA, La pubblicità delle imprese, CEDAM, Padova, 2012; C. IBBA, Iscrizione nel registro delle imprese e difformità fra situazione iscritta e situazione reale, in Rivista di diritto societario, 2013; AA.VV., Il registro delle imprese a vent’anni dalla sua attuazione, Giappichelli, Torino, 2013. 40 ANTONIO FUCCILLO vilistico di circolazione della ricchezza12. Il sistema di pubblicità previsto per tali enti, cioè il registro prefettizio, deve coesistere per l’attività imprenditoriale con il registro delle imprese, ove sarebbe quest’ultimo ad avere la giusta prevalenza quando l’ente agisce nella gestione delle proprie aziende13. Il binomio ente ecclesiastico-attività imprenditoriale14 è sempre stato oggetto di ampi dibattiti dottrinali e giurispru12 Si segnala la sentenza della Corte di Cassazione, n. 5415 del 25 febbraio 2019, la quale ha affermato che «L’attività negoziale “iure privatorum” posta in essere dalla Chiesa cattolica e dagli enti ecclesiastici con riferimento a beni di loro proprietà sottoposti al codice civile – ove non diversamente previsto dalle leggi speciali che li riguardano – è disciplinata dalle norme di relazione, alla cui osservanza la medesima Chiesa e le sue istituzioni sono tenute, al pari degli altri soggetti giuridici, poiché da un lato, esse sono inidonee a comprimere la libertà religiosa e le connesse alte finalità tutelate, in ottemperanza al dettato costituzionale, dalla norma concordataria di cui all’art. 2 della l. n. 121 del 1985, e, dall’altro, lo Stato non ha inteso rinunciare alla tutela di beni giuridici primari garantiti dalla Costituzione. Pertanto, ai fini della validità ed efficacia dei contratti conclusi, è privo di rilievo l’assetto concordatario relativo alla piena autonomia riconosciuta alla Chiesa cattolica con riguardo alla sua organizzazione interna, nella parte in cui affida ai Parroci la titolarità della parrocchia e la gestione ed amministrazione del relativo patrimonio, escludendo ogni ruolo dell’Arcidiocesi, atteso che detta organizzazione riguarda il sistema canonico e non incide, in assenza di normativa specifica, sull’agire privatistico regolato dal codice civile». 13 Sono infatti evidenti i rischi derivanti da una non applicazione di criteri conformi in tutti i casi in cui un ente ecclesiastico agisca nella titolarità d’impresa nel mercato. Nel mercato dei beni e servizi l’ente interagisce con altri soggetti che fanno legittimo affidamento sulle regole comuni circa la capacità di obbligarsi. Il problema si è già posto in A. FUCCILLO, La pubblicità e la rappresentanza dell’ente ecclesiastico imprenditore commerciale, cit., p. 836 ss., auspicando che il registro delle imprese divenisse effettivamente il registro di tutte le imprese. Tale tendenza sembra seguita nel sistema di pubblicità adottato oggi per gli enti religiosi ETS/impresa sociale, A. FUCCILLO, R. SANTORO, L. DECIMO, Gli enti religiosi ETS. Tra diritto speciale e regole di mercato, cit., p. 56 ss. 14 Si veda sul punto F. FIORE, Fallimento degli enti ecclesiastici e svolgimento di attività imprenditoriali, in Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica, 2010, III, p. 966 ss. GLI ENTI RELIGIOSI NEL MERCATO DEI BENI E DEI SERVIZI 41 denziali, in particolare in relazione all’applicabilità a tali enti dello statuto dell’imprenditore commerciale e, dunque, anche del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza. Un primo orientamento negava l’applicabilità agli enti ecclesiastici dello statuto commerciale dell’imprenditore. Tale posizione si fondava sulla citata clausola pattizia di salvaguardia della struttura e della finalità degli enti ecclesiastici, dalla quale era possibile desumere una netta prevalenza del profilo soggettivo (natura confessionale degli enti) rispetto al profilo oggettivo e funzionale (svolgimento delle attività diverse). Tale applicazione della disciplina dell’imprenditore commerciale avrebbe determinato il superamento della specialità strutturale dell’ente ecclesiastico. Un secondo orientamento, invece, ne ammetteva l’applicabilità ma pur sempre senza il superamento della specialità strutturale15. La sentenza della Corte di Cassazione del 11 aprile 1994, n. 3353 ha ammesso per la prima volta (in modo chiaro ed esplicito) il binomio ente ecclesiastico e impresa commerciale16. La sentenza sancisce che l’ente ecclesiastico, quando agisce con criteri di impresa, è soggetto alle regole di essa e non è protetto dalla sua presunta specialità. La sentenza apre ad una nuova interpretazione del fenomeno dei rap15 S. BERLINGÓ, Enti e beni religiosi in Italia, Il Mulino, Bologna, 1992. Secondo tale posizione solo nel caso in cui le attività commerciali dell’ente ecclesiastico fossero state strumentali e/o collegate alle finalità di religione e di culto, potendo essere considerate un autonomo centro d’imputazione (avente un proprio patrimonio e un’organizzazione distinta), pur non essendo dotate di personalità giuridica, sarebbero state assoggettate allo statuto dell’imprenditore commerciale come enti di fatto; in tal senso non si sarebbe avuto alcun rischio d’ingerenza dei poteri statali nelle attività di religione e di culto. 16 A. FUCCILLO, Enti ecclesiastici e impresa commerciale: finalmente un binomio compatibile!, cit., p. 470 ss. 42 ANTONIO FUCCILLO porti tra attività di religione o di culto, ed attività condotte con metodo economico. Al fine di risolvere la questione, la Suprema Corte invoca due principi, ai quali è utile un richiamo al fine di verificarne la portata giuridica: 1. per assumere la qualità di imprenditore, oltre agli altri requisiti richiesti dall’art. 2082 c.c., è sufficiente agire con metodo economico, ovvero con il tendere, almeno in ipotesi, al pareggio tra costi e ricavi, sì da garantirsi la cd. autosufficienza economica; 2. il fine di religione o di culto che qualifica l’ente non si interpone quale ostacolo al riconoscimento dello stesso come imprenditore, se opera con il criterio d’azione di cui innanzi. Ne deriva che se le attività economiche esercitate rientrano nell’elencazione dell’art. 2195 c.c., l’ente assumerà propriamente la qualifica di imprenditore commerciale17, con l’importante conseguenza del suo potenziale assoggettamento al regime delle procedure concorsuali. Il Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) riduce sensibilmente gli spazi della liquidazione concorsuale e l’ingerenza delle autorità. Sono stati introdotti infatti alcuni protocolli che tendono a salvaguardare la continuità dell’impresa ed evitano la dispersione di valore del patrimonio. Le procedure di allerta (artt. 12 e ss. del C.C.I.) e di composizione assistita della crisi (artt. 19 e ss. C.C.I.) hanno infatti lo scopo di anticipare l’emersione 17 La Corte di Cassazione, in altre sentenze, ha attribuito la qualifica d’imprenditore ad enti ecclesiastici quale presupposto giuridico necessario per assicurare un’adeguata tutela ai lavoratori assunti (cfr. Cass., 11 aprile 1994, n. 3353; Cass., 14 giugno 1994, n. 5766; Cass., 12 ottobre 1995, 10636; Cass., 19 agosto 2011, n. 17399), o per consentire all’istituto religioso di usufruire o meno di determinati sgravi fiscali (cfr. Cass., 5 gennaio 2001, n. 97; Cass., 19 giugno 2008, n. 16612). GLI ENTI RELIGIOSI NEL MERCATO DEI BENI E DEI SERVIZI 43 della crisi d’impresa evitando la progressiva dispersione del patrimonio aziendale in modo da soddisfare al meglio anche i creditori e garantire la prosecuzione dell’attività d’impresa. I destinatari di tali procedure, ai sensi dell’art. 12, comma 5, sono i debitori che svolgono attività imprenditoriale, escluse le grandi imprese, i gruppi di imprese di rilevante dimensione, le società con azioni quotate in mercati regolamentati, o diffuse fra il pubblico in misura rilevante. Il presupposto oggettivo è «lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate» (art. 2 del C.C.I.). Tali procedimenti non sembrerebbero avere profili di incompatibilità con la speciale struttura o le finalità istituzionali dell’ente ecclesiastico che esercita attività d’impresa. Un ente ecclesiastico imprenditore, in persona del suo legale rappresentante, potrebbe presentare istanza di accesso alla composizione della crisi e concludere un accordo con i creditori18. Ciò dovrà avvenire nel rispetto delle regole di funzionamento dell’ente e, pertanto, dovranno essere rilasciate 18 Sul punto si veda L. DECIMO, L’ente ecclesiastico imprenditore nel Codice della crisi d’impresa e della insolvenza, in Diritto&Diritti, 2017, p. 6 ss.; C. TRENTINI, Il fallimento di ente ecclesiastico che esercita attività d’impresa, in Il fallimento, 2010, pp. 982-986; G. RIVETTI, Enti ecclesiastici e procedure concorsuali: profili interodinamentali, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica www.statoechiese.it, n. 34 del 2014; G. TERRANOVA, Enti ecclesiastici e procedure concorsuali, in Rivista di diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 2014, pp. 261-311; C.E. VARALDA, Enti ecclesiastici cattolici e procedure concorsuali. La rilevanza del “patrimonio stabile” nella gestione della crisi, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica www.statoechiese.it, n. 28 del 2015; A.M. LEOZAPPA, Enti ecclesiastici e procedure concorsuali, in Stato, chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica www.statoechiese.it, n. 4 del 2015; A. PERRONE, Enti ecclesiastici e procedure concorsuali, in Giurisprudenza commerciale, II, 2018, p. 242 ss. 44 ANTONIO FUCCILLO le autorizzazioni ove previste dallo statuto o dall’ordinamento confessionale di appartenenza. La disciplina del concordato preventivo (artt. 84 e ss.) non presenta profili di incompatibilità con la struttura e le funzioni dell’ente ecclesiastico, in quanto gli organi amministrativi dell’impresa assoggettata alla procedura permangono nelle loro funzioni, pur essendo sottoposti alla vigilanza del commissario giudiziale. Tale strumento può avere lo scopo di favorire la continuazione dell’attività d’impresa e di salvaguardia del complesso aziendale. Gli enti ecclesiastici non possono essere sottoposti alla liquidazione coatta amministrativa, in ragione sia delle peculiari caratteristiche di tale procedura concorsuale sia dell’assenza di una espressa previsione legislativa in tal senso. La liquidazione coatta amministrativa, oltre ad avere finalità esecutiva e di definizione dei rapporti d’impresa, ha anche lo scopo di estinguere gli enti che vi sono sottoposti. Tale ultima finalità sarebbe in contrasto con la disciplina pattizia degli enti ecclesiastici, la quale prevede che solo l’autorità ecclesiastica può disporre l’estinzione dell’ente. Le perplessità permangono in relazione alla liquidazione giudiziale (già fallimento) e all’amministrazione straordinaria19. Tali procedure, infatti, determinano un’interfe19 La sentenza del 3 dicembre 2009 del Tribunale di Paola, in merito al fallimento, ha precisato che “ove l’ente ecclesiastico si faccia imprenditore dovrà, dunque, applicarsi la relativa disciplina ivi compresa quella fallimentare”, non essendo stata prevista dal legislatore alcuna eccezione per tali enti. La sentenza del tribunale di Paola, tuttavia, si sviluppa in modo peculiare: non essendovi, in astratto, motivi ostativi per la fallibilità dell’ente ecclesiastico imprenditore, ciò che deve essere indagato, secondo i giudici, è l’effettiva sussistenza dei presupposti per lo svolgimento dell’attività d’impresa da parte dell’ente, non risolvendo, quindi, i possibili contrasti tra la disciplina delle procedure concorsuali e la natura confessionale della persona giuridica. La sentenza del Tribunale di Roma, n. 432, del 29 maggio 2013, conformemente alla precedente pronuncia, condivide la tesi della assoggettabilità dell’ente GLI ENTI RELIGIOSI NEL MERCATO DEI BENI E DEI SERVIZI 45 renza giudiziaria nell’ambito dell’autonomia amministrativa e patrimoniale dell’ente ecclesiastico. È opportuno osservare che quando la disciplina di una procedura concorsuale è in contrasto con la natura confessionale dell’ente ecclesiastico, come nel caso della liquidazione coatta amministrativa, il legislatore ne ha espressamente escluso l’applicabilità. L’art. 14, comma 6 del d.lgs. n. 112/2017 esonera l’ente ecclesiastico che assume la qualifica di impresa sociale dall’assoggettamento alla liquidazione coatta amministrativa. 3. Il ramo INLUS dell’ente ecclesiastico La disciplina dell’impresa sociale (introdotta con il d.lgs. n. 155/2006), è stata modificata e largamente innovata con il d.lgs. 3 luglio 2017, n. 11220. Il nuovo decreto legislativo sulecclesiastico alle procedure concorsuali ed ammette alla procedura di amministrazione straordinaria un ente ecclesiastico. La sentenza fornisce importanti linee guida relative alla liquidazione del patrimonio dell’ente. Pur essendo sottoposto alla procedura concorsuale l’ente ecclesiastico e non la sola attività d’impresa, la procedura liquidatoria dovrà riguardare solo quelle parti del patrimonio dell’ente specificamente destinate a tale attività (d’impresa), ovvero non riferibili, neppure indirettamente a quelle religiose, di culto, assistenziali, costituenti finalità primaria dell’ente ecclesiastico. 20 Con riferimento agli enti ecclesiastici nel Codice del Terzo Settore si veda AA.VV., Rigore e curiosità. Scritti in memoria di Maria Cristina Folliero, a cura di G. D’ANGELO e G. FAUCEGLIA, Giappichelli, Torino, 2018, con particolare riferimento a P. CONSORTI, Il nuovo «Codice del Terzo Settore» con particolare attenzionealla disciplina degli enti ecclesiastici (o religiosi); P. FLORIS, Enti religiosi e riforma del Terzo Settore: verso nuove partizioni nella disciplina degli enti religiosi; M. PARISI, Enti religiosi, non profit ed economia solidale. Sull’interventismo sociale dell’associazionismo di tendenza etico-religiosa nelle attuali tensioni riformistiche; AA. VV., Enti religiosi e riforma del Terzo Settore, a cura di A. GIANFREDA e M. ABU SALEM, Libellula Edizioni, Tricase, 2019, con particolare riferimento ai contributi di A.G. CHIZZONITI, La riforma del Terzo settore: aspetti di diritto ecclesiastico; A. BETTETINI, Riflessi canonistici della riforma del Terzo settore; A. MANTINEO, Il Codice del Terzo settore: occasione di ripensamento per gli enti religiosi?; P. CAVANA, Enti 46 ANTONIO FUCCILLO l’impresa sociale si pone l’obiettivo di risolvere le (corpose) lacune della precedente normativa, al nobile scopo di rilanciare l’impresa sociale quale modello organizzativo del terzo settore imprenditoriale. L’introduzione dell’istituto dell’impresa sociale trae ispirazione dalla necessità di consentire agli enti che operano nel mercato sociale di autofinanziarsi21. ecclesiastici e Codice del Terzo settore. Profili canonistici; A. FUCCILLO, L’impresa sociale; G. D’ANGELO, Il cinque per mille; M. FERRANTE, L’autoregolamentazione: questioni canonistiche; A. GIANFREDA, L’autoregolamentazione: questioni ecclesiasticistiche; D. MILANI, Il patrimonio stabile; L. SIMONELLI, Il patrimonio destinato; N. FIORITA, M. RANIERI, La riforma del terzo settore e gli enti religiosi: i rapporti di lavoro; C. FRIGENI, Regole di governance ed enti religiosi nella riforma del terzo settore; M. ABU SALEM, Il punto sull’attuazione della Riforma: i decreti ministeriali; A. BETTETINI, Riflessi canonistici della riforma del Terzo settore, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica www.statoechiese.it, n. 20 del 2018; P. CAVANA, Enti ecclesiastici e riforma del Terzo settore. Profili canonistici, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica www.statoechiese.it, n. 22 del 2018; P. CONSORTI, L’impatto del nuovo Codice del Terzo settore sulla disciplina degli «enti religiosi», in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica www.statoechiese.it, n. 4 del 2018; P. CONSORTI, L. GORI, E. ROSSI, Diritto del Terzo Settore, Il Mulino, Bologna, 2018; G. DALLA TORRE, Enti ecclesiastici e Terzo settore. Annotazioni prospettiche, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica www.statoechiese.it, n. 16 del 2018. 21 L’introduzione dell’istituto dell’impresa sociale trae ispirazione dalla necessità di consentire agli enti che operano nel mercato sociale di autofinanziarsi. Tutta la disciplina del cd. «terzo settore» è ormai densa di contenuti economici nella piena consapevolezza che si tratta di organizzazioni che comunque agiscono nel mercato dei beni e dei servizi anche se a volte sfuggono alle regole della pura competizione per via dei fini meritori che perseguono. La disciplina dell’impresa sociale si collega direttamente a tali finalità sull’indefettibile presupposto giuridico che l’attività d’impresa è funzionalmente collegata con qualsiasi forma organizzativa che produca o somministri beni e/o servizi operando con criteri di economicità e secondo i principi del no distribution constraint. La sussidiarietà di genesi costituzionale si realizza anche in campo imprenditoriale altrimenti si priverebbero tali enti delle più efficaci forme di finanziamento e non si coglierebbero tutte le opportunità incrementative dell’occupazione che da sole rappresentano già un importante obiettivo sociale. Sul punto si veda A. FUCCILLO, Gli enti religiosi nel «terzo settore» tra la nuova impresa sociale e le società di benefit, in Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica, 2018, II, p. 341 ss. GLI ENTI RELIGIOSI NEL MERCATO DEI BENI E DEI SERVIZI 47 La disciplina de qua si applica anche agli enti ecclesiastici, in ragione delle loro principali attività “statutarie” e istituzionali. Gli enti d’ispirazione religiosa hanno, pertanto, a disposizione uno strumento giuridico più duttile per l’esercizio delle attività di utilità sociale. L’ente religioso può svolgere attività d’impresa d’interesse generale costituendo un ramo d’impresa sociale (d’ora in poi ramo INLUS)22. L’ambito di applicazione della normativa citata è stato esteso agli enti religiosi civilmente riconosciuti, ricomprendendovi anche gli enti riconosciuti in persona giuridica dal diritto comune23. La disciplina dell’impresa sociale si applica a tali enti limitatamente allo svolgimento delle attività di utilità sociale, e a condizione che, per tali attività, venga adottato un regolamento, in forma di scrittura privata autenticata da notaio, che, nel rispetto della struttura e delle finalità di tali enti, recepisca le norme del decreto in esame, ivi compresa la tenuta di separate scritture contabili e la costituzione di un patrimonio separato (art. 1, comma 3). La creazione di un patrimonio destinato per l’esercizio dell’attività di interesse generale si configura quale norma di favor per l’ente religioso “impresa sociale”. Esso, infatti, co22 Sull’argomento si vedano altresì A. BETTETINI, S. GIACCHI, Gli enti ecclesiastici e la disciplina dell’impresa sociale, in Diritto e Religioni, 2010/2, I, pp. 127161. 23 La legge delega prevedeva la dizione “enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti o intese con lo Stato”. La dizione è stata mutata anche in seguito al parere dalla speciale Commissione istituita presso il Consiglio di Stato. Profilando una possibile questione di legittimità costituzionale, il Consiglio di Stato, nel parere richiesto ai sensi dell’articolo 20, comma 3, lettera a), della legge 15 marzo 1997, n. 59, ha suggerito – onde evitare possibili criticità – di riconsiderare la disposizione, modificandola come segue: «Agli enti religiosi civilmente riconosciuti […] le norme del presente decreto si applicano…». Consiglio di Stato comm. spec., 14 giugno 2017, n. 1405. 48 ANTONIO FUCCILLO stituisce una garanzia patrimoniale esclusiva per i creditori dell’ente relativi all’esercizio dell’attività d’interesse generale. La restante parte del patrimonio dell’ente, non destinata a tale attività, non potrà essere oggetto di garanzia per i creditori. La segregazione patrimoniale deve emergere dal regolamento adottato da parte dell’ente religioso. Nel caso in cui oggetto della destinazione patrimoniale sia un bene immobile, il vincolo dovrà essere trascritto nei registri immobiliari ai sensi dell’art. 2645 ter c.c. In particolare, il d.lgs. n. 112/2017 dispone che gli enti religiosi civilmente riconosciuti: – ai fini dell’attribuzione della qualifica d’impresa sociale, non devono svolgere in via principale attività di interesse generale (art. 2, comma 6); – per la costituzione del ramo INLUS, sono tenuti al solo deposito del regolamento e delle sue modificazioni (art. 5, comma 4); – non sono obbligati ad introdurre nella propria denominazione l’indicazione «impresa sociale» (art. 6, comma 2); – non sono obbligati a prevedere nel regolamento le forme di coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti o altri soggetti interessati alle attività di cui all’art. 11 (art. 11, comma 5); – in caso di cessazione dell’attività di interesse generale o di perdita della qualifica di impresa sociale, non sono obbligati a devolvere il patrimonio destinato a società cooperative, ad altri enti del Terzo settore (art. 12, comma 5). – in caso di insolvenza, non sono assoggettati alla liquidazione coatta amministrativa (art. 14, comma 6). Non si esclude tuttavia che l’ente religioso possa essere in ogni caso assoggettato alle procedure concorsuali nel caso in cui eserciti un’attività commerciale non rilevante ai fini del d.lgs. n. 112/2017 (per la cui trattazione si rinvia supra par. 2). GLI ENTI RELIGIOSI NEL MERCATO DEI BENI E DEI SERVIZI 49 In occasione della riforma del Terzo Settore, il legislatore ha espressamente disciplinato le ipotesi di trasformazione, fusione o scissione delle associazioni, riconosciute e non, e delle fondazioni, indipendentemente dalla qualifica di «Enti del Terzo Settore». L’art. 42 bis c.c. disciplina le ipotesi di trasformazione, fusione o scissione dei soli enti no profit, essendo necessario, ove il punto di arrivo o di partenza sia una società, l’applicazione della disciplina della trasformazione eterogenea di cui agli artt. 2500 septies e 2500 octies c.c. La norma necessita di un coordinamento con quanto previsto dal d.lgs. n. 112/2017, il quale espressamente disciplina all’art. 12, commi 1-4, l’ipotesi di trasformazione, fusione o scissione dell’impresa sociale ovvero la cessione di azienda o di ramo di azienda. Le prerogative poste dal citato decreto hanno lo scopo di preservare l’assenza dello scopo di lucro e i vincoli di destinazione del patrimonio. Ai fini della efficacia degli atti di trasformazione, fusione, scissione o cessione di azienda o di un ramo di azienda relativo alle attività di interesse generale è necessaria una espressa autorizzazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la cui procedura di rilascio è stata definita dal Decreto del Ministero del Lavoro n. 50 del 27 aprile 2018. L’organo di amministrazione, almeno novanta giorni prima della data di convocazione dell’assemblea o di altro organo competente a decidere l’operazione straordinaria, deve notificare al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, allegando alla comunicazione la documentazione prevista dagli artt. 4 e 5 del citato decreto ministeriale. Al termine dell’istruttoria il Ministero rilascia l’autorizzazione o emette un provvedimento di diniego; in assenza di provvedimento espresso l’autorizzazione si intende concessa decorsi novanta giorni dalla ricezione della notificazione. 50 ANTONIO FUCCILLO Le prescrizioni indicate si applicano agli enti religiosi civilmente riconosciuti che abbiano assunto la qualifica di impresa sociale limitatamente alle attività indicate nel regolamento adottato (art. 1, comma 2 del decreto ministeriale). L’organo amministrativo degli enti religiosi competente alla comunicazione è quello indicato nel regolamento adottato o, in mancanza quello risultate dallo statuto depositato nel registro delle persone giuridiche. Ne deriva, pertanto, la necessità dell’autorizzazione ministeriale anche per gli enti religiosi civilmente riconosciuti, seppur limitatamente alle operazioni che interessino l’attività di interesse generale dell’impresa sociale. L’art. 10 del d.lgs. n. 112/2017 prevede la nomina di un organo di controllo interno che vigili sull’osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione. Tale norma si applica anche agli enti religiosi, non essendo stata prevista alcuna esclusione o limitazione a riguardo. È necessario che l’attività di controllo da parte dell’organo interno sia limitata alle sole attività d’interesse generale non potendo estendersi anche alle finalità statutarie dell’ente religioso. L’ordinamento giuridico non può infatti interferire con la speciale struttura dell’ente ecclesiastico, la quale, come è stato sopra precisato, è riconducibile agli ordinamenti religiosi. 4. Enti ecclesiastici e società benefit Gli enti religiosi utilizzano come proprie braccia secolari altre forme organizzative, le quali non presentano profili di incompatibilità strutturale con le finalità religiose. Per l’esercizio di attività economiche gli enti ecclesiastici ricorrono alle società commerciali e ciò può avvenire sia partecipando alla loro costituzione, sia quale operazione di investimento, GLI ENTI RELIGIOSI NEL MERCATO DEI BENI E DEI SERVIZI 51 acquistando partecipazioni più o meno rilevanti in detti enti. L’apparente diversità causale tra l’ecclesiasticità di un tipo di ente e la commercialità dell’altro non costituisce un ostacolo. Un ente ecclesiastico può infatti costituire una società commerciale di qualsiasi tipo o acquistare partecipazioni sociali24. La duttilità degli schemi societari predisposti dal legislatore (essenzialmente nel libro V, titolo V del codice civile) bene si presta a essere utilizzata, in via strumentale, dagli enti «religiosi» quali strutture più elastiche e funzionali al raggiungimento di scopi «diversi» in via immediata da quelli tradizionali di religione e di culto. La fattispecie in esame, quindi, spinge l’interprete ad affrontare con maggiore apparente disinvoltura e comunque senza preconcetti istituzionali, la controversa questione del rapporto tra «strutture», intese quali «forme organizzative», e «funzione», nel senso di scopi perseguiti, nel diritto ecclesiastico. Tale analisi risulta, difatti, determinante nel criterio di approccio alle novità operative in tema di enti ecclesiastici suggerite dal «diritto vivente». Anche sotto tale profilo, si può forse verificare l’esigenza di traduzione delle esigenze religiose della popolazione, e della loro peculiarità, all’interno di categorie strutturali ed operative predisposte sempre in modo astratto dall’ordinamento, il che appare anche (ed è bene ribadirlo) come una nuova modalità di tutela della libertà religiosa sia dei singoli che dei gruppi. La scelta della struttura, pur condizionando la gestione dell’ente non ne controlla del tutto le attività, che non sono 24 Sul punto si veda A. FUCCILLO, Società di capitali, enti religiosi e dinamiche interculturali, in AA.VV., Esercizi di laicità interculturale e pluralismo religioso, Giappichelli, Torino, 2014, p. 1 ss.; D. BOGGIALI, Partecipazione di ente ecclesiastico a società lucrativa, in Notizie - Consiglio Nazionale del Notariato, n. 55 del 20 marzo 2014, p. 1 ss. 52 ANTONIO FUCCILLO mai esclusive di una «forma organizzativa» e non esercitabili sotto un’altra veste giuridica. La scelta del tipo, quindi, è discrezionale per l’utilizzatore la cui opzione è scegliere tra le varie proposte astratte del sistema quella che, a suo giudizio, meglio soddisfa le esigenze da perseguire, nella consapevolezza, però che tra finalità tipiche della struttura scelta e scopi concreti da perseguire non vi è sempre un rapporto di esclusiva. Per cui, appare evidente che si tratta di un criterio operativo generale e, di conseguenza, l’apparente diversità causale tra l’ecclesiasticità di un tipo di ente e la commercialità dell’altro non potrà costituire ostacolo affinché un ente ecclesiastico costituisca una società commerciale di qualsiasi tipo. La fruibilità da parte degli enti ecclesiastici delle strutture societarie sembra trovare conferma nella recente introduzione da parte del legislatore italiano della società benefit25. La novità legislativa26 riveste un certo interesse per quelle confessioni religiose o gruppi religiosi che hanno fatto ricorso a strutture societarie di «capitale» per lo svolgimento 25 L’Italia guida in Europa la crescita delle B Corp. Lo spirito delle società benefit è infatti già ben presente nella tradizione dell’economia civile, con Antonio Genovesi, primo titolare di una cattedra di Economia, e Gaetano Filangieri a Napoli, Pietro Verri, Cesare Beccaria e Carlo Cattaneo a Milano. Tale tradizione si può far risalire ai monaci benedettini che hanno molto operato in questa direzione, pur non avendo prodotto un corpus teorico, in tal senso R. VENTURI, La strada del successo è lastricata di buoni propositi, in Economy Mag, 7 novembre 2019. 26 Ai sensi dei commi 376 ss. della l. 28 dicembre 2015, n. 208, le società di persone, di capitali e cooperative possono assumere la qualifica di società benefit ove perseguano nell’esercizio dell’attività economica, oltre lo scopo di dividere gli utili, finalità di beneficio comune e operino in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse, e di ciò sia fatta espressa menzione nell’oggetto sociale. La società dovrà, inoltre, destinare parte dei propri utili alle finalità di beneficio comune e redigere annualmente una relazione concernente il perseguimento del beneficio comune, da allegare al bilancio societario. GLI ENTI RELIGIOSI NEL MERCATO DEI BENI E DEI SERVIZI 53 di attività diverse, e che potrebbero ora valutare l’eventuale passaggio verso la forma di società benefit 27. In tal caso, i valori costituzionali fra i quali rientra, indubbiamente, anche la libertà religiosa (art. 19 Cost.), possono fornire un valido criterio di valutazione circa la nozione di beneficio comune e la presenza del correlativo requisito. Lo strumento è poi quanto mai utile per tutte le «religioni» che non hanno un riconoscimento istituzionale, perché o prive di intesa o mancanti di una tradizione che le rende identificabili come tali nel nostro tessuto sociale, ma pur sempre protette dagli artt. 8 e 19 Cost. Sotto questi profili la costituzione di società di persone da parte di enti ecclesiastici personificati si scontrerà contro il divieto di abuso della personalità giuridica nel caso in cui detto ente vada ad assumere la qualificazione di socio illimitatamente responsabile, data, tra l’altro, la vigenza di una normativa speciale che tutela, in tema di responsabilità, gli ordinamenti confessionali da rischi di sviamento dalle attività istituzionali28. Nel caso di società di capitali, invece, pur con qualche legittimo dubbio in tema di SAPA (nella posizione di accomandatario), si è concordi nel ritenere perfettamente compatibile con la natura di ente ecclesiastico la costituzione e la partecipazione a tali tipi societari (soprattutto SRL e SPA) e, quindi, anche l’acquisto di azioni o quote. La 27 Una delle prime società benefit costituite dopo l’introduzione della novità legislativa è la società «Madre di Dio S.r.l.» Società Benefit, di cui unico socio è una parrocchia. Attraverso la forma organizzativa societaria, la parrocchia esercita un’attività commerciale e persegue finalità di beneficio comune a favore della comunità parrocchiale. 28 Sul punto si veda A. FUCCILLO, Diritto, religioni, culture, cit., p. 155 ss.; A. FUCCILLO, R. SANTORO, L. DECIMO, Gli enti religiosi ETS, cit., p. 69 ss.; L. DECIMO, La partecipazione degli enti ecclesiastici cattolici alle società di capitali, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica www.statoechiese.it, 2 del 2015, p. 1 ss. 54 ANTONIO FUCCILLO stessa prassi operativa aderisce a tale interpretazione in modo oramai consolidato, in una convinta asserzione della compatibilità tra finalità religiose e di impresa29. Circa gli enti ecclesiastici cattolici è opportuno segnalare la previsione del canone 286 c.j.c. che proibisce ai chierici di esercitare, personalmente o tramite altri, l’attività affaristica e commerciale, sia per il proprio interesse, sia per quello degli altri, se non con la licenza della legittima autorità ecclesiastica. Così come la Conferenza Episcopale Italiana, nell’Istruzione in materia amministrativa (2005), ha disposto che «considerata l’opportunità che in tutte le diocesi italiane gli atti di straordinaria amministrazione siano previsti con un criterio uniforme, ogni Vescovo diocesano, nel predisporre il decreto generale di cui al can. 1281 § 2, è invitato a determinare come tali almeno i seguenti atti (cfr. allegato C): … l’inizio, il subentro o la partecipazione in attività considerate commerciali ai fini fiscali» (n. 66). In applicazione di questa norma, nell’allegato C della medesima Istruzione, contenente un modello di decreto vescovile attraverso il quale possono essere determinati nelle singole diocesi gli altri atti di straordinaria amministrazione per le persone giuridiche soggette al Vescovo diocesano, è stata indicata anche «la costituzione o la partecipazione in società di qualunque tipo» (n. 11). La partecipazione, quindi, a società commerciali è ritenuta possibile dal diritto canonico ma soggetta alle autorizzazioni tutorie che, come si è già visto innanzi, hanno rilevanza civile in virtù del richiamo effettuato dall’art. 18 della l. n. 222/1985. La mancanza delle autorizzazioni canoniche, tuttavia, non incide sulla validità del procedimento di costituzione di una società di capitali, in quanto le medesime 29 Si veda, ad esempio, lo studio n. 864 bis del Consiglio Nazionale del Notariato, su www.notariato.it. GLI ENTI RELIGIOSI NEL MERCATO DEI BENI E DEI SERVIZI 55 non rientrano tra quelle di cui all’art. 2329, comma 3, c.c. (richiamato in tema di s.r.l. dall’art. 2463, ult. comma, c.c.) richieste per il perseguimento di un particolare oggetto (attività) sociale. In ogni caso, verificatasi l’iscrizione della società nel registro delle imprese non è più possibile eccepire un difetto di legittimazione da parte di chi ha compiuto l’atto, anche se è compito del notaio che riceve l’atto costitutivo quello di controllare che chi agisce lo faccia in pienezza di poteri, obbligo sanzionato dall’art. 54 del reg. not. 5. Prospettive Gli enti religiosi, alla luce delle possibilità fornite dalla normativa sull’impresa sociale e sulle società di benefit sopra citata, amplieranno sempre più il proprio raggio di azione e consolideranno in maniera sempre più marcata la loro presenza nel mercato dei beni e dei servizi. Il quadro normativo attuale infatti porta a superare tutte le perplessità che erano state sollevate alla compatibilità tra la finalizzazione religiosa degli scopi statutari di tali enti, con l’effettivo esercizio di attività economiche con metodo di impresa. Sono infatti ben noti a tutti i limiti strutturali della finanza pubblica a prevedere efficaci forme di sostegno economico, salvo che per agevolazioni di carattere tributario30, all’universo del no profit che invece svolge attività ormai irrinunciabili a sostegno di bisogni (anche primari) della popolazione31, in molti casi sostitutive di strutture pubbliche di welfare. 30 A. GUARINO, Diritto ecclesiastico tributario e articolo 20 della Costituzione, seconda edizione, Jovene, Napoli, 2012; G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici. Profili di specialità tra attività no profit o for profit, Giuffrè, Milano, 2008. 31 A. GUARINO, Enti ecclesiastici e “sussidiarietà orientata” nel sistema integrato dei servizi sociali, in Il Diritto ecclesiastico, 2004, I, p. 579 ss. 56 ANTONIO FUCCILLO Ricercare efficaci forme di autofinanziamento32 diventa quindi l’unica strada effettivamente perseguibile per realizzare in pratica i nobili scopi che tali enti si prefiggono, anche quale effettiva declinazione dei contenuti (irrinunciabili) dell’art. 2 della Carta costituzionale. In tale modo si realizza pienamente una delle possibili forme di esercizio collettivo della libertà religiosa. 32 Per ulteriori approfondimenti A. FUCCILLO, Diritto, religioni, culture, cit., p. 155 ss.; A. FUCCILLO, R. SANTORO, L. DECIMO, Gli enti religiosi ETS, cit., p. 1 ss.