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ART IS PRESENT

2021

ART IS PRESENT Irene Scanavacca Scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte Corso di Storia dell’Arte Contemporanea Prof. Laura Barreca Art is Present Irene Scanavacca Matr. AMB146 Accademia di Belle Arti di Carrara A.A. 2020/2021 3° sessione: febbraio 2021 Indice .Introduzione………………………………………………………5 .Forma e contenuto………………………………………….….6 .La fotografia come documento…………………………….8 .The art is present…………….………………………………….9 .Conclusioni…………………………………………………….…14 .Bibliografia e Sitografia……………………..…………….…15 2 “L’arte è un gioco fra tutti gli uomini di tutte le epoche” M. Duchamp .Introduzione L’attività artistica da sempre evolve costantemente nelle sue modalità, forme e concetti secondo le epoche ed i contesti sociali; l’arte così muta, si adatta ai mezzi di produzione ed ai periodi storici di cui gli artisti fanno parte. Durante il XX secolo il modo di fare arte si è completamente rivoluzionato: se prima doveva annunciare un mondo futuro, utopico ed immaginario, oggi essa stessa crea nuovi modi di esistere, rinnovando i modelli di universi possibili. Grazie a questa rivoluzione, si inizia a pensare ad un nuovo tipo di arte, quella relazionale, ovvero la possibilità di creare interazioni umane all’interno di nuovi contesti sociali pubblici, ribaltando così ogni obiettivo estetico, politico o culturale fino ad oggi seguito: per un lungo periodo l’arte è stata associata al lusso, creata e predisposta per poter distinguere il proprietario di un’opera dal normale cittadino. Con l’arte contemporanea e, più specificamente con quella relazionale, si vuole distruggere questi radicati preconcetti cercando di seguire una linea di urbanizzazione dell’esperienza artistica e quindi un’arte aperta, disponibile e alla portata di tutti. Con questo, voglio specificare che l’arte è sempre stata in qualche modo relazionale: il potere dell’immagine come icone, loghi, simboli e bandiere hanno creato legami e relazioni tra persone, facendole sentire unite da qualcosa in comune; un ottimo esempio è l’opera “Turkish and Arabic Jokes” di Jens Haaning, che nel 1994 racconta storie divertenti in lingua turca tramite un altoparlante in una piazza di Copenaghen: si crea immediatamente una micro-comunità di immigrati turchi che ribalta la loro situazione di esilio all’interno della macro-comunità danese. É importante valutare come le possibilità relazionali però sono mutate diminuendo drasticamente nel tempo, con la meccanizzazione e l’industrializzazione di molte funzioni sociali che prima erano fonti di relazione tra esseri umani in quanto eseguivano compiti che, adesso, sono stati sostituiti dalle macchine. L’arte contemporanea si impegna a sottolineare questo aspetto, cercando in qualche modo di combatterlo. 1. Turkish and Arabic Jokes, Jens Haaning, 1994 3 “Bisogna essere in due per fare un’immagine” J.L. Godard .Forma e contenuto Col passare del tempo muta il concetto di forma e quindi anche l’essenza della pratica artistica: se nell’arte moderna si definitiva forma il connubio creativo tra stile e contenuto avvalendosi di un pensiero critico che riguarda la sua estetica e la sua forma, adesso si inventano relazioni tra soggetti, evolvendo e rielaborando ciò che prima veniva ritenuto informale. L’artista relazionale considera l’uomo prima di tutto un animale creativo, abbandona la produzione di oggetti tipicamente estetici e si adopera in modo da fornire dispositivi in grado di attivare la creatività del fruitore (non più spettatore poiché coinvolto direttamente nell’opera) trasformando l’oggetto d’arte in luogo di dialogo, confronto e relazione, dove perde d’importanza l’opera finale ed è centrale il processo, l’incontro e la scoperta dell’altro. L’artista non è più colui che realizza un’opera d’arte puramente estetica, ma diventa uomo capace di creare, trasformare e mettere al centro tutto il processo di creazione, non più solo il risultato finale. É così che il processo artistico diventa momento di relazione e di confronto con altri soggetti che evolvono proprio grazie a queste situazioni. L’opera d’arte relazionale si differenzia quindi da quella tradizionale perché non è sempre disponibile e visibile da un pubblico universale, bensì deve essere fruita in un momento preciso e da un pubblico chiamato per l’occasione, trasformando così l’evento espositivo in un percorso di crescita e luogo di socialità. Come diceva il dadaista Marcel Duchamp nel 1954, “l’importante ruolo dello spettatore è quello di determinare il peso dell’opera sulla bilancia estetica. In fin dei conti, l’artista non è da solo quando porta a compimento l’atto creativo; c’è anche lo spettatore che stabilisce il contatto fra l’opera e il mondo esterno, decifrando e interpretando le sue qualità profonde, e che, così facendo, aggiunge il proprio contributo al processo creativo”*, è dunque l’opera d’arte stessa a poter essere definita come oggetto relazionale. L’arte fa l’arte, gli artisti sono solo gli strumenti che permettono a questa di essere tale. Con questa affermazione, Duchamp pone le basi per una nuova e diversa concezione di opera d’arte, superando la sua oggettività materiale e la sua fruizione passiva da parte dell’osservatore e aprendo le porte ad una vasta serie di sperimentazioni che porteranno alla nascita della performance e delle sue molteplici manifestazioni. Nell’antichità l’arte è stata il mezzo per comunicare col mondo trascendente, rivestiva il ruolo di interfaccia tra uomo e divinità. Col passare del tempo, nel Rinascimento, l’uomo assume un ruolo centrale e l’opera prende un altro significato iniziando ad esplorare le relazioni tra l’umanità ed il mondo. Ancora, con la corrente avanguardista novecentesca cubista, si tende ad analizzare il rapporto visivo col mondo partendo da un realismo mentale che prescinde da ogni determinazione soggettiva, dipingendo la realtà nella sua forma più autentica e *intervento di Marcel Duchamp pronunciato durante una riunione della Federazione Americana delle Arti a Houston (Texas) del 1957 intitolato “Il processo creativo” 4 cancellando qualsiasi punto di vista privilegiato. Dall’inizio degli anni Novanta le relazioni in ambito artistico mutano nuovamente, concentrandosi sui rapporti tra l’opera e il pubblico o inventando modelli di partecipazione sociale. Questo determina nuovi ambiti formali: manifestazioni, ritrovi e incontri diventano vere e proprie forme artistiche, oggetti d’arte. Ciò determina un cambiamento anche per quanto riguarda la fruizione dell’opera, come ad esempio le performance e gli happening, disponibili per un periodo di tempo limitato e ad una cerchia ristretta; una volta conclusa l’azione, non rimarrà altro che la sua documentazione come prova d’esistenza. L’opera suscita incontri, gestendo autonomamente la sua temporalità. A differenza dell’arte che conosciamo, quella relazionale non accomuna i suoi artisti per stile, periodo, tematiche o iconografie, ma tramite il principio teorico/pratico dei rapporti umani. Lo spettatore assume il ruolo di fruitore diretto dell’opera e crea nuove realtà e relazioni sociali che altrimenti non sarebbero state possibili: l’arte smette di figurare mondi utopici ed inizia a costruire spazi concreti. Tra le opere di estetica relazionale troviamo quelle del cubano Felix GonzalezTorres (morto di AIDS nel 1996), in cui l’artista esplora tematiche di mortalità, desiderio, amore, assenza e relazioni. Le sue installazioni si basano sullo scambio e la condivisione tra opera d’arte e pubblico, come il mucchio di caramelle (il cui peso spesso corrispondeva a quello dell'artista) in cui il pubblico è invitato a partecipare prendendo quante più caramelle desideri, creando così una continua oscillazione tra la forma e la sua sparizione programmata, tra bellezza visiva e modestia dei gesti, tra meraviglia infantile e complessità dei livelli di lettura, come ad esempio il pathos quasi religioso “prendete e mangiate, questo è il mio corpo” che sembra accompagnare il pensiero della morte, non più tragico, ma fonte di affetto ed altruismo nei confronti del prossimo. L’opera vive quando lo spettatore prende 2. Untitled, Felix Gonzalez-Torres, 1996 5 qualcosa dal mucchio e lo porta via: questo gesto è un segno di attenzione e riconoscimento che però allo stesso tempo tende a distruggere l’oggetto amato. “Io ho bisogno dello spettatore, dell'interazione del pubblico. Senza pubblico i miei lavori sono nulla. Il pubblico completa i miei lavori: gli chiedo di aiutarmi, di prendersi una responsabilità, di diventare parte del mio lavoro, di unirsi a me” * scrive. Con la sua arte, Gonzalez-Torres riesce a rivoluzionare anche le idee che regolano i concetti di autorità, proprietà e pubblico, mettendo alla prova anche il potere autoritario che hanno le guardie dei musei sui visitatori, quando questi ultimi compiono l’azione desiderata dall’artista sull’opera. *Felix Gonzalez-Torres intervistato dall’amico e collega Tim Rollins .La fotografia come documento Grazie alla comparsa della fotografia cambia il rapporto degli artisti con il mondo: questa permette il mantenimento e la sopravvivenza (se pur virtuale) dell’opera, conferendo sostanza e durata a ciò che altrimenti risulterebbe effimero. Si può quindi intuire che la maggior parte delle opere d’arte contemporanea (happening, performance, body art, installazioni) abbiano potuto svilupparsi anche grazie alle nuove tecnologie in grado di registrare e mantenere gesti e comportamenti nel tempo. La fotografia di un’azione è quindi la riproduzione in assenza dell’azione stessa, come la fotografia di una persona cara ne sostituisce, anche se virtualmente, la presenza e ne tiene viva la memoria: cattura momenti temporali e punti di vista spaziali destinati a sparire. Così la fotografia entra a far parte del progetto stesso dell’opera, a cui l’artista conferisce un ruolo di certificazione, memoria, raccolta e catalogazione, ovvero il solito che compone l’identità della fotografia nella nostra vita quotidiana. L’immagine assume la funzione di sintesi di un processo relazionale riproposto virtualmente al fruitore, inglobando così la necessità di documentazione e quella dello story-telling. Un esempio importante di utilizzo della fotografia in ambito artistico e relazionale è “Esposizione in tempo reale n.4” che Franco Vaccari espone in occasione della Biennale di Venezia del 1972. L’opera consisteva nell’installazione di una cabina automatica per fototessere dove il pubblico, seguendo le indicazioni dell’artista, era invitato a scattarsi una fototessera e ad appenderla al muro, in modo da lasciare una traccia del suo passaggio e costruendo direttamente l’opera, creando una sorta di opera “fai da te” e superando l’idea di 3.Esposizione in tempo reale n.4, Franco Vaccari, 1972 6 distinzione tra autore e spettatore. “Ho esposto una cabina Photomatic (una di quelle cabine per fototessere che si trovano nelle grandi città) ed una scritta in quattro lingue che incitava il visitatore a lasciare una traccia fotografica del proprio passaggio. Io mi sono limitato ad innescare il processo facendo la prima photostrip, il giorno dell’inaugurazione; poi non sono più intervenuto. Alla fine dell’esposizione le strip accumulate erano oltre 6000”. * Nella sua arte quindi non c’è un pubblico che guarda passivamente un oggetto, ma l’opera è il pubblico stesso che le permette di funzionare, gestendo il suo rapporto con la macchina (ridendo, spogliandosi, agendo liberamente di fronte alla fotocamera). *Franco Vaccari in merito alla sua opera esposta alla Biennale di Venezia .The art is present Come già accennato, gli artisti contemporanei non vengono più catalogati per stili, tecniche o epoche, ma secondo il principio dei rapporti umani; per questo risulta difficile definire un periodo esatto per inquadrare l’estetica relazionale. Dobbiamo sicuramente tenere in considerazione i movimenti che precedono questo tipo di arte, tra cui ricordiamo il movimento Fluxus, in cui l’opera non è più l’oggetto in sè, ma l’azione che ne deriva, il Dada, basato sulla negazione dei valori razionali e sull'esaltazione di quelli istintivi, l’arte concettuale, dove il concetto o l’idea diventa più importante dell’esecuzione tecnica, e l’happening, che si basa sull’improvvisazione dell’azione ed il coinvolgimento del pubblico. Tutte queste correnti artistiche, sebbene molto diverse tra loro, sono accomunate dall’aspirazione a superare la tradizionale visione estetica dando più importanza al flusso, al concetto, all’azione, all’idea. Vediamo alcuni degli artisti che hanno contribuito all’affermazione dell’arte relazionale durante il XX secolo, tra cui molti di loro sono attivi ancora oggi. Rirkrit Tiravanija è un artista contemporaneo tra i più rappresentativi dell’estetica relazionale definita da Nicolas Bourriaud nell’omonimo libro. Nelle sue opere che definisce “piattaforme per condividere”, pone al centro una continua ricerca di forme di interazione e condivisione con il pubblico, che 4.Tomorrow is another day, Rirkrit Tiravanija, 1997 7 diventa parte stessa dell’opera. Usando spesso oggetti effimeri come il cibo, trasforma lo spazio espositivo in un momento conviviale in cui offre da mangiare gratuitamente, trasformando l’arte in un pretesto per stare insieme. Il suo lavoro si sposta dall’ambito della contemplazione all’ambito del vissuto, in cui viene eliminata la distinzione tra arte e non arte. Nel 1997, in occasione di una mostra a Colonia, Tiravanija allestisce una copia in compensato del suo appartamento di New York, compreso di cucina e bagno funzionanti, aperto 24 ore su 24 per tre mesi, offrendo ai visitatori la possibilità di vivere nell’appartamento temporaneo. L’obiettivo era capire se e quanto i visitatori si sentivano autorizzati ad usufruire dei servizi resi disponibili, e quanto questo utilizzo potesse essere spontaneo. Questo è un esempio di come l’artista vuole abbattere il muro che divide l’arte dalla vita, rendendo arte la vita stessa. Quando Marina Abramovič nel 1974 presenta a Napoli “Rhythm 0”, si pone al pubblico come un oggetto, immobile, a disposizione di chiunque voglia interagire con lei. Il pubblico aveva a disposizione 72 diversi oggetti (tra cui anche una pistola) che poteva usare come voleva sul corpo dell’artista nell’arco di tempo di sei ore. Durante tutta la performance di body art, l’Abramovič rimase passivamente immobile, accettando senza opporsi qualsiasi cosa le venisse fatta. Così facendo, voleva esplorare le relazioni dirette tra l’artista e il pubblico, ed il contrasto tra i limiti del corpo e le possibilità della mente. Il vero fulcro dell’opera era quindi la reazione del pubblico e la sua curiosità di poter fare qualsiasi cosa, arrivando persino ad uccidere. L’opera porta alla memoria l’offerta sacrificale, come abbiamo visto, anche se in maniera diversa, in GonzalezTorres. L’artista mette a disposizione il suo corpo per rendere protagonista il pubblico, innescando una relazione: con la mancanza di uno dei due, l’opera non può avvenire. La presenza di entrambe le parti è quindi fondamentale per la sua manifestazione. Sempre dell’Abramovič potremmo citare ancora molti lavori, come il più recente “The Artist is Present”, che ha preso vita a New York nel 2010 e consisteva in una sala espositiva con al centro un tavolo (che poi decise di togliere) e due sedie, dove l’artista è rimasta seduta per circa due mesi, otto ore al giorno, sempre nella solita posizione e fissando negli occhi, in silenzio, chiunque si fosse seduto davanti a lei, esplorando così l’incontro con l’altro. Mentre si aspettava, 5. Rhythm 0, Marina Abramovič, 1974 8 il pubblico assisteva con viva partecipazione a quel che stava accadendo: molti stazionavano per ore semplicemente per esserci. In effetti, col tempo, si è creata una vera e propria comunità: la gente tornava per partecipare di nuovo, per sperimentare ancora l’energia dell’incontro, per imparare a guardare e a guardarsi con la stessa intensità assoluta. Lygia Clark insieme ad un gruppo di amici scrive un manifesto in cui propone l’allontanamento da un’estetica razionalista, centrata sui valori percettivi. Da lì in poi cerca di porre il suo lavoro come occasione di partecipazione, concentrandosi meno sul corpo e sulla durata dell’opera, cercando di fare in modo che i partecipanti diano un significato al loro gesto. In “Baba antropofàgica” l’artista offre il suo corpo come vassoio dove un gruppo di amici possono mangiarci degli spaghetti, cercando di cancellare le barriere tra l’io e il tu, formando un corpo collettivo. Sulla stessa scia, Lygia Pape crea “Divisor”, un enorme abito con un telo di stoffa bianco di 30 metri, quasi a formare un’epidermide che accomuna circa duecento individui. Attraverso questo dispositivo, i partecipanti da singoli diventano unità, costretti a condividere e ad assecondare il moto generale, sottolineando come lo scambio non sia sempre facile o piacevole. Il rapporto che si crea tra l’io e il tu viene inteso come un lato drammatico nei confronti dell’emancipazione femminile: l’artista ed attivista Valie Export partecipa al movimento femminista austriaco negli anni settanta, gli stessi anni che vedono il suo corpo protagonista delle sue performance, sempre volte a suscitare scandalo e contrapporsi alle regole. La performance “Tap und Tast Cinema”, che esegue davanti a dieci cinema di dieci città europee, dal 1968 al 1971, prevede che lei 6. Baba antropofàgica, Lygia Clark, 1973 7. Divisor, Lygia Pape, 1968 9 indossi una scatola nella parte superiore del corpo, nudo; la scatola, aperta davanti, invita i passanti e gli spettatori ad inserire le mani all’interno e quindi toccare il corpo nudo dell’artista, interagendo col corpo di una vera donna, invece che con alcune immagini su uno schermo. Questa performance volle essere una denuncia contro lo sfruttamento del corpo femminile nel mondo cinematografico, ritenuta un’esperienza voyeuristica. In questa performance, al contrario, la donna prende il controllo della situazione ed offre liberamente se stessa, a dispetto delle regole sociali. Il pubblico non ha solo un contatto relazionale con un'altra persona, in questo caso l’artista, ma lo fa visto dal pubblico presente. Si genera quindi inizialmente una sorta di imbarazzo nello spettatore che contempla l’opera, fino a diventarne il fruitore diretto, curioso di capire cosa si provi a poter toccare liberamente un corpo; questo accade anche, come abbiamo visto, pur se in maniera più forte ed estrema, nell’opera “Rhythm 0” della Abramovič. Ritrovarsi a di fronte ad una performance di Vanessa Beecroft genera imbarazzo: 8. Tap und Tast Cinema, Valie Export, 1968 9. VB1, Vanessa Beecroft, 1993 10 l’idea di una condivisione estrema non richiesta, il nudo, fa sentire lo spettatore colpevole. Le sue opere sono situazioni che costruiscono relazioni forzate dove la donna è vista come oggetto, usata solo per il suo corpo: un esempio è la performance “VB1” svoltasi a Milano, in cui l’artista espone delle modelle tutte simili e senza veli, come fossero sculture viventi, con l’idea esternare da sé un’immagine che le appartiene, moltiplicandola, con l’intento di produrre un autoritratto fatto per essere guardato nello spazio vuoto, proprio come una statua. Ottiene però critiche perché ritenuta una performance scandalosa e pornografica: “Penso di aver disegnato modelle nude dentro una stanza un’infinità di volte mentre studiavo all’accademia di Belle arti. È lì che mi hanno insegnato a guardare il corpo come un solido, un insieme di linee e curve, niente di più. Ricordo che veniva tralasciata ogni sfumatura psicologica. Quello che ho fatto per risaltare il dato umano è stato sostituire il disegno della modella con la modella vera e propria, moltiplicando tutto per trenta”*, afferma. Nella sua performance c’è la ricerca di un contatto che faccia ragionare lo spettatore sull’esecuzione di un lavoro, sull’osservazione dell’artista che come uno scienziato guarda la realtà che la circonda, tutta uguale e immobile, cercando di capirla. Marta Armengol, artista contemporanea barcellonese, nel 2017 inizia una serie di performance chiamate “Awkward Moments” e suddivise in cinque parti, definendole delle “collaborative life tutorial performance” che si pongono l’obiettivo di aprirsi ad un’interazione fisica ed emotiva con il pubblico. Durante questa esperienza, lo spettatore diventa performer, abbandona la funzione di consumatore estetico e passivo prendendo attivamente parte alla performance, relazionandosi con l’altro in un flusso di azioni libere e non pianificate. Il corpo, attraverso la presenza fisica, i gesti e il movimento, è il mezzo espressivo per esplicitare questo dialogo sensibile, relazione dinamica che il performer riesce a stabilire con l’osservatore, arrivando ad essere l’uno con l’altro, unendo, di nuovo, l’io al tu. *Vanessa Beecroft parla dei suoi lavori in un’intervista 10. Awkward Moments, series II, Marta Armengol, 2017 11 L’atto performativo, in questo caso il II, è strutturato in sei capitoli: Nascita, Esperienza, Amore, Decadimento, Morte e Rinascita. È un incontro intimo tra arte e vita, un intervallo olistico nel quale lo spettatore e il performer, il sentire e l’agire, la comunicazione e la condivisione, si fondono in un fenomeno indivisibile e irripetibile. Potrei continuare a citare molti artisti, più o meno recenti, che rientrano nella sfera dell’arte e dell’estetica relazionale, poiché molti di loro fanno parte di molte altre correnti e scuole di pensiero, oppure niente affatto: Joseph Beyus, che sfugge a qualsiasi precisa catalogazione artistica, è convinto che esista una creatività condivisa tra tutti gli individui, e che questa debba essere utilizzata e indirizzata da persone che operano (gli artisti) per produrre un miglioramento della vita collettiva. Così si definisce un nuovo ruolo dell’artista, diverso da quando era al di fuori della collettività e delle problematiche sociali: “Io pongo domande, metto sulla carta forme di linguaggio, così come forme di sensibilità, di intenti e di idee, e lo faccio con lo scopo di stimolare il pensiero. Per di più desidero non soltanto stimolare gli altri, ma anche provocarli. Anche là dove questo carattere provocatorio non è subito evidente (come ad esempio nei disegni) esso è comunque presente in profondità.” * Come abbiamo potuto dedurre, l’aspetto critico centrale di questo nuovo genere è la necessità interna all’opera che spinge l’artista non a misurarsi semplicemente con il pubblico, ma a collaborare con esso su questioni di interesse pubblico e sociale, conferendo all’arte un ruolo centrale nella società. L’artista non vuole essere un educatore, ma uno stimolatore in grado di condividere le ragioni dell’arte ad un maggior numero di persone possibili, assumendo il ruolo di mediatore culturale, che consente di stabilire fruttuose connessioni. Si passa quindi dalla creazione di opere permanenti collocate in spazi pubblici, alla costruzione di un pubblico attivo da parte degli artisti: domina l’idea di rendere partecipe il fruitore, e non più uno spettatore passivo. *Heinr Bastian, Jeanot Simmen, Intervista con Joseph Beuys, in Drawing -cat. mostra-, National Galerie Berlin 12 .Conclusioni L’oggetto artistico nell’epoca moderna era visto come massima espressione della creatività umana, ma nell’arte più recente prendono il sopravvento azioni come performance e happening, inserendo l’arte nello spazio urbano: questo richiede una partecipazione maggiore rispetto alla mera azione voyeuristica che fino ad ora era stata concepita nei confronti dell’arte in quanto oggetto finito. L’arte inizia a coinvolgere lo spettatore, ad interagire con il pubblico: spesso è fatta di azioni apparentemente banali, come abbiamo visto con Tiravanija, in cui l’arte diventa quasi indistinguibile dalla vita. Il modello di realtà proposto dall’arte non vale solo come modello di rappresentazione utopistico del mondo, ma anche come figurazione di una realtà da realizzare. Si arriva a togliere ogni sacralità, vedendo l’opera come un’opportunità di scambio, di relazione, e quindi passando dalla semplice visione dell’oggetto ad una vera e propria esperienza artistica; si crea un’azione nello spazio urbano, ridefinendo anch’esso come spazio di interazione. L’artista dunque non agisce più solo nel ma anche per il contesto sociale come “conduttore di esperienze”, proponendo operazioni estetiche in grado di creare nuovi modelli di socialità, permettendo al fruitore di creare una relazione con l’artista o con l’opera. 13 .Bibliografia e Sitografia - Nicolas Bourriaud, Estetica Relazionale, Ed. Postmedia, Milano, 2010 - Francesco Poli, Arte Contemporanea, le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 a oggi, Ed. Mondadori Electa, Milano, 2003 - Si fa con tutto, Angela Vettese, Ed. Economica Laterza, Bari, 2010 - Francesco Bonami, Il Bonami dell’arte. Incontri ravvicinati della giungla contemporanea, Ed. Mondadori Electa, Milano, 2015 - Luca Palermo , L’approccio partecipativo dell’estetica contemporanea, tratto da GENTES, anno IV, numero 4, Ed. Perugia Stranieri University Press, Perugia, 2017 - https://www.awkwardmoments.space/ - http://www.artispresent.it/arte-relazionale.html .Indice delle immagini (in ordine cronologico) 1. Turkish and Arabic Jokes, Jens Haaning, 1994 2. Untitled, Felix Gonzalez-Torres, 1996 3. Esposizione in tempo reale n.4, Franco Vaccari, 1972 4. Tomorrow is another day, Rirkrit Tiravanija, 1997 5. Rhythm 0, Marina Abramovič, 1974 6. Baba antropofàgica, Lygia Clark, 1973 7. Divisor, Lygia Pape, 1968 8. Tap und Tast Cinema, Valie Export, 1968 9. VB1, Vanessa Beecroft, 1993 10. Awkward Moments, series II, Marta Armengol, 2017 14