ART IS
PRESENT
Irene Scanavacca
Scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte
Corso di Storia dell’Arte Contemporanea
Prof. Laura Barreca
Art is Present
Irene Scanavacca
Matr. AMB146
Accademia di Belle Arti di Carrara
A.A. 2020/2021
3° sessione: febbraio 2021
Indice
.Introduzione………………………………………………………5
.Forma e contenuto………………………………………….….6
.La fotografia come documento…………………………….8
.The art is present…………….………………………………….9
.Conclusioni…………………………………………………….…14
.Bibliografia e Sitografia……………………..…………….…15
2
“L’arte è un gioco fra tutti gli uomini di tutte le epoche”
M. Duchamp
.Introduzione
L’attività artistica da sempre evolve costantemente nelle sue modalità, forme e
concetti secondo le epoche ed i contesti sociali; l’arte così muta, si adatta ai mezzi di
produzione ed ai periodi storici di cui gli artisti fanno parte.
Durante il XX secolo il modo di fare arte si è completamente rivoluzionato: se prima
doveva annunciare un mondo futuro, utopico ed immaginario, oggi essa stessa crea
nuovi modi di esistere, rinnovando i modelli di universi possibili. Grazie a questa
rivoluzione, si inizia a pensare ad un nuovo tipo di arte, quella relazionale, ovvero la
possibilità di creare interazioni umane all’interno di nuovi contesti sociali pubblici,
ribaltando così ogni obiettivo estetico, politico o culturale fino ad oggi seguito: per
un lungo periodo l’arte è stata associata al lusso, creata e predisposta per poter
distinguere il proprietario di un’opera dal normale cittadino. Con l’arte
contemporanea e, più specificamente con
quella relazionale, si vuole distruggere
questi radicati preconcetti cercando di
seguire una linea di urbanizzazione
dell’esperienza artistica e quindi un’arte
aperta, disponibile e alla portata di tutti.
Con questo, voglio specificare che l’arte è
sempre stata in qualche modo relazionale:
il potere dell’immagine come icone, loghi,
simboli e bandiere hanno creato legami e
relazioni tra persone, facendole sentire
unite da qualcosa in comune; un ottimo
esempio è l’opera “Turkish and Arabic
Jokes” di Jens Haaning, che nel 1994
racconta storie divertenti in lingua turca
tramite un altoparlante in una piazza di
Copenaghen: si crea immediatamente una
micro-comunità di immigrati turchi che
ribalta la loro situazione di esilio
all’interno della macro-comunità danese.
É importante valutare come le possibilità relazionali però sono mutate diminuendo
drasticamente nel tempo, con la meccanizzazione e l’industrializzazione di molte
funzioni sociali che prima erano fonti di relazione tra esseri umani in quanto
eseguivano compiti che, adesso, sono stati sostituiti dalle macchine. L’arte
contemporanea si impegna a sottolineare questo aspetto, cercando in qualche modo
di combatterlo.
1.
Turkish and Arabic Jokes, Jens Haaning, 1994
3
“Bisogna essere in due per fare un’immagine”
J.L. Godard
.Forma e contenuto
Col passare del tempo muta il concetto di forma e quindi anche l’essenza della
pratica artistica: se nell’arte moderna si definitiva forma il connubio creativo tra
stile e contenuto avvalendosi di un pensiero critico che riguarda la sua estetica e la
sua forma, adesso si inventano relazioni tra soggetti, evolvendo e rielaborando ciò
che prima veniva ritenuto informale. L’artista relazionale considera l’uomo prima di
tutto un animale creativo, abbandona la produzione di oggetti tipicamente estetici e
si adopera in modo da fornire dispositivi in grado di attivare la creatività del
fruitore (non più spettatore poiché coinvolto direttamente nell’opera) trasformando
l’oggetto d’arte in luogo di dialogo, confronto e relazione, dove perde d’importanza
l’opera finale ed è centrale il processo, l’incontro e la scoperta dell’altro. L’artista
non è più colui che realizza un’opera d’arte puramente estetica, ma diventa uomo
capace di creare, trasformare e mettere al centro tutto il processo di creazione, non
più solo il risultato finale. É così che il processo artistico diventa momento di
relazione e di confronto con altri soggetti che evolvono proprio grazie a queste
situazioni. L’opera d’arte relazionale si differenzia quindi da quella tradizionale
perché non è sempre disponibile e visibile da un pubblico universale, bensì deve
essere fruita in un momento preciso e da un pubblico chiamato per l’occasione,
trasformando così l’evento espositivo in un percorso di crescita e luogo di socialità.
Come diceva il dadaista Marcel Duchamp nel 1954, “l’importante ruolo dello
spettatore è quello di determinare il peso dell’opera sulla bilancia estetica. In fin
dei conti, l’artista non è da solo quando porta a compimento l’atto creativo; c’è
anche lo spettatore che stabilisce il contatto fra l’opera e il mondo esterno,
decifrando e interpretando le sue qualità profonde, e che, così facendo, aggiunge il
proprio contributo al processo creativo”*, è dunque l’opera d’arte stessa a poter
essere definita come oggetto relazionale. L’arte fa l’arte, gli artisti sono solo gli
strumenti che permettono a questa di essere tale. Con questa affermazione,
Duchamp pone le basi per una nuova e diversa concezione di opera d’arte,
superando la sua oggettività materiale e la sua fruizione passiva da parte
dell’osservatore e aprendo le porte ad una vasta serie di sperimentazioni che
porteranno alla nascita della performance e delle sue molteplici manifestazioni.
Nell’antichità l’arte è stata il mezzo per comunicare col mondo trascendente,
rivestiva il ruolo di interfaccia tra uomo e divinità. Col passare del tempo, nel
Rinascimento, l’uomo assume un ruolo centrale e l’opera prende un altro significato
iniziando ad esplorare le relazioni tra l’umanità ed il mondo. Ancora, con la
corrente avanguardista novecentesca cubista, si tende ad analizzare il rapporto
visivo col mondo partendo da un realismo mentale che prescinde da ogni
determinazione soggettiva, dipingendo la realtà nella sua forma più autentica e
*intervento di Marcel Duchamp pronunciato durante una riunione della Federazione Americana
delle Arti a Houston (Texas) del 1957 intitolato “Il processo creativo”
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cancellando qualsiasi punto di vista privilegiato. Dall’inizio degli anni Novanta le
relazioni in ambito artistico mutano nuovamente, concentrandosi sui rapporti tra
l’opera e il pubblico o inventando modelli di partecipazione sociale. Questo
determina nuovi ambiti formali: manifestazioni, ritrovi e incontri diventano vere e
proprie forme artistiche, oggetti d’arte. Ciò determina un cambiamento anche per
quanto riguarda la fruizione dell’opera, come ad esempio le performance e gli
happening, disponibili per un periodo di tempo limitato e ad una cerchia ristretta;
una volta conclusa l’azione, non rimarrà altro che la sua documentazione come
prova d’esistenza. L’opera suscita incontri, gestendo autonomamente la sua
temporalità. A differenza dell’arte che conosciamo, quella relazionale non accomuna
i suoi artisti per stile, periodo, tematiche o iconografie, ma tramite il principio
teorico/pratico dei rapporti umani. Lo spettatore assume il ruolo di fruitore diretto
dell’opera e crea nuove realtà e relazioni sociali che altrimenti non sarebbero state
possibili: l’arte smette di figurare mondi utopici ed inizia a costruire spazi concreti.
Tra le opere di estetica relazionale troviamo quelle del cubano Felix GonzalezTorres (morto di AIDS nel 1996), in cui l’artista esplora tematiche di mortalità,
desiderio, amore, assenza e relazioni. Le sue installazioni si basano sullo scambio e
la condivisione tra opera d’arte e pubblico, come il mucchio di caramelle (il cui peso
spesso corrispondeva a quello dell'artista) in cui il pubblico è invitato a partecipare
prendendo quante più caramelle desideri, creando così una continua oscillazione
tra la forma e la sua sparizione programmata, tra bellezza visiva e modestia dei
gesti, tra meraviglia infantile e complessità dei livelli di lettura, come ad esempio il
pathos quasi religioso “prendete e mangiate, questo è il mio corpo” che sembra
accompagnare il pensiero della morte, non più tragico, ma fonte di affetto ed
altruismo nei confronti del prossimo. L’opera vive quando lo spettatore prende
2.
Untitled, Felix Gonzalez-Torres, 1996
5
qualcosa dal mucchio e lo porta via: questo gesto è un segno di attenzione e
riconoscimento che però allo stesso tempo tende a distruggere l’oggetto amato. “Io
ho bisogno dello spettatore, dell'interazione del pubblico. Senza pubblico i miei
lavori sono nulla. Il pubblico completa i miei lavori: gli chiedo di aiutarmi, di
prendersi una responsabilità, di diventare parte del mio lavoro, di unirsi a me” *
scrive. Con la sua arte, Gonzalez-Torres riesce a rivoluzionare anche le idee che
regolano i concetti di autorità, proprietà e pubblico, mettendo alla prova anche il
potere autoritario che hanno le guardie dei musei sui visitatori, quando questi
ultimi compiono l’azione desiderata dall’artista sull’opera.
*Felix Gonzalez-Torres intervistato dall’amico e collega Tim Rollins
.La fotografia come documento
Grazie alla comparsa della fotografia cambia il rapporto degli artisti con il mondo:
questa permette il mantenimento e la sopravvivenza (se pur virtuale) dell’opera,
conferendo sostanza e durata a ciò che altrimenti risulterebbe effimero. Si può
quindi intuire che la maggior parte delle opere d’arte contemporanea (happening,
performance, body art, installazioni) abbiano potuto svilupparsi anche grazie alle
nuove tecnologie in grado di registrare e mantenere gesti e comportamenti nel
tempo. La fotografia di un’azione è quindi la riproduzione in assenza dell’azione
stessa, come la fotografia di una persona cara ne sostituisce, anche se virtualmente,
la presenza e ne tiene viva la memoria: cattura momenti temporali e punti di vista
spaziali destinati a sparire.
Così la fotografia entra a far parte del progetto stesso dell’opera, a cui l’artista
conferisce un ruolo di certificazione, memoria, raccolta e catalogazione, ovvero il
solito che compone l’identità della fotografia nella nostra vita quotidiana.
L’immagine assume la funzione di sintesi di un processo relazionale riproposto
virtualmente al fruitore, inglobando così la necessità di documentazione e quella
dello story-telling.
Un esempio importante di utilizzo della
fotografia in ambito artistico e relazionale è
“Esposizione in tempo reale n.4” che
Franco Vaccari espone in occasione della
Biennale di Venezia del 1972. L’opera
consisteva nell’installazione di una cabina
automatica per fototessere dove il pubblico,
seguendo le indicazioni dell’artista, era
invitato a scattarsi una fototessera e ad
appenderla al muro, in modo da lasciare
una traccia del suo passaggio e costruendo
direttamente l’opera, creando una sorta di
opera “fai da te” e superando l’idea di
3.Esposizione in tempo reale n.4, Franco Vaccari,
1972
6
distinzione tra autore e spettatore. “Ho esposto una cabina Photomatic (una di
quelle cabine per fototessere che si trovano nelle grandi città) ed una scritta in
quattro lingue che incitava il visitatore a lasciare una traccia fotografica del
proprio passaggio. Io mi sono limitato ad innescare il processo facendo la prima
photostrip, il giorno dell’inaugurazione; poi non sono più intervenuto. Alla fine
dell’esposizione le strip accumulate erano oltre 6000”. *
Nella sua arte quindi non c’è un pubblico che guarda passivamente un oggetto, ma
l’opera è il pubblico stesso che le permette di funzionare, gestendo il suo rapporto
con la macchina (ridendo, spogliandosi, agendo liberamente di fronte alla
fotocamera).
*Franco Vaccari in merito alla sua opera esposta alla Biennale di Venezia
.The art is present
Come già accennato, gli artisti contemporanei non vengono più catalogati per stili,
tecniche o epoche, ma secondo il principio dei rapporti umani; per questo risulta
difficile definire un periodo esatto per inquadrare l’estetica relazionale. Dobbiamo
sicuramente tenere in considerazione i movimenti che precedono questo tipo di
arte, tra cui ricordiamo il movimento Fluxus, in cui l’opera non è più l’oggetto in sè,
ma l’azione che ne deriva, il Dada, basato sulla negazione dei valori razionali e
sull'esaltazione di quelli istintivi, l’arte concettuale, dove il concetto o l’idea diventa
più importante dell’esecuzione tecnica, e l’happening, che si basa
sull’improvvisazione dell’azione ed il coinvolgimento del pubblico. Tutte queste
correnti artistiche, sebbene molto diverse tra loro, sono accomunate
dall’aspirazione a superare la tradizionale visione estetica dando più importanza al
flusso, al concetto, all’azione, all’idea.
Vediamo alcuni degli artisti che hanno contribuito all’affermazione dell’arte
relazionale durante il XX secolo, tra cui molti di loro sono attivi ancora oggi.
Rirkrit Tiravanija è un
artista contemporaneo tra
i più rappresentativi
dell’estetica relazionale
definita da Nicolas
Bourriaud nell’omonimo
libro. Nelle sue opere che
definisce “piattaforme per
condividere”, pone al
centro una continua
ricerca di forme di
interazione e condivisione
con il pubblico, che
4.Tomorrow is another day,
Rirkrit Tiravanija, 1997
7
diventa parte stessa dell’opera. Usando spesso oggetti effimeri come il cibo,
trasforma lo spazio espositivo in un momento conviviale in cui offre da mangiare
gratuitamente, trasformando l’arte in un pretesto per stare insieme. Il suo lavoro si
sposta dall’ambito della contemplazione all’ambito del vissuto, in cui viene
eliminata la distinzione tra arte e non arte. Nel 1997, in occasione di una mostra a
Colonia, Tiravanija allestisce una copia in compensato del suo appartamento di
New York, compreso di cucina e bagno funzionanti, aperto 24 ore su 24 per tre
mesi, offrendo ai visitatori la possibilità di vivere nell’appartamento temporaneo.
L’obiettivo era capire se e quanto i visitatori si sentivano autorizzati ad usufruire dei
servizi resi disponibili, e quanto questo utilizzo potesse essere spontaneo. Questo è
un esempio di come l’artista vuole abbattere il muro che divide l’arte dalla vita,
rendendo arte la vita stessa.
Quando Marina Abramovič nel 1974
presenta a Napoli “Rhythm 0”, si pone al
pubblico come un oggetto, immobile, a
disposizione di chiunque voglia interagire
con lei. Il pubblico aveva a disposizione
72 diversi oggetti (tra cui anche una
pistola) che poteva usare come voleva sul
corpo dell’artista nell’arco di tempo di sei
ore. Durante tutta la performance di body
art, l’Abramovič rimase passivamente
immobile, accettando senza opporsi
qualsiasi cosa le venisse fatta. Così
facendo, voleva esplorare le relazioni
dirette tra l’artista e il pubblico, ed il
contrasto tra i limiti del corpo e le
possibilità della mente. Il vero fulcro
dell’opera era quindi la reazione del
pubblico e la sua curiosità di poter fare
qualsiasi cosa, arrivando persino ad
uccidere. L’opera porta alla memoria
l’offerta sacrificale, come abbiamo visto,
anche se in maniera diversa, in GonzalezTorres. L’artista mette a disposizione il
suo corpo per rendere protagonista il
pubblico, innescando una relazione: con la mancanza di uno dei due, l’opera non
può avvenire. La presenza di entrambe le parti è quindi fondamentale per la sua
manifestazione. Sempre dell’Abramovič potremmo citare ancora molti lavori, come
il più recente “The Artist is Present”, che ha preso vita a New York nel 2010 e
consisteva in una sala espositiva con al centro un tavolo (che poi decise di togliere) e
due sedie, dove l’artista è rimasta seduta per circa due mesi, otto ore al giorno,
sempre nella solita posizione e fissando negli occhi, in silenzio, chiunque si fosse
seduto davanti a lei, esplorando così l’incontro con l’altro. Mentre si aspettava,
5. Rhythm 0, Marina Abramovič, 1974
8
il pubblico assisteva con viva partecipazione a quel
che stava accadendo: molti stazionavano per ore
semplicemente per esserci. In effetti, col tempo, si è
creata una vera e propria comunità: la gente tornava
per partecipare di nuovo, per sperimentare ancora
l’energia dell’incontro, per imparare a guardare e a
guardarsi con la stessa intensità assoluta.
Lygia Clark insieme ad un gruppo di amici scrive un
manifesto in cui propone l’allontanamento da
un’estetica razionalista, centrata sui valori percettivi.
Da lì in poi cerca di porre il suo lavoro come occasione
di partecipazione, concentrandosi meno sul corpo e sulla durata dell’opera,
cercando di fare in modo che i partecipanti diano un significato al loro gesto. In
“Baba antropofàgica” l’artista offre il suo corpo come vassoio dove un gruppo di
amici possono mangiarci degli spaghetti, cercando di cancellare le barriere tra l’io e
il tu, formando un corpo collettivo.
Sulla stessa scia, Lygia Pape crea “Divisor”, un enorme abito con un telo di stoffa
bianco di 30 metri, quasi a formare un’epidermide che accomuna circa duecento
individui. Attraverso questo dispositivo, i partecipanti da singoli diventano unità,
costretti a condividere e ad assecondare il moto generale, sottolineando come lo
scambio non sia sempre facile o piacevole.
Il rapporto che si crea tra l’io e il tu viene inteso come un lato drammatico nei
confronti dell’emancipazione femminile: l’artista ed attivista Valie Export
partecipa al movimento femminista austriaco negli anni settanta, gli stessi anni che
vedono il suo corpo protagonista delle sue performance, sempre volte a suscitare
scandalo e contrapporsi alle regole. La performance “Tap und Tast Cinema”, che
esegue davanti a dieci cinema di dieci città europee, dal 1968 al 1971, prevede che lei
6. Baba antropofàgica, Lygia Clark, 1973
7. Divisor, Lygia Pape, 1968
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indossi una scatola nella parte superiore del corpo, nudo; la scatola, aperta davanti,
invita i passanti e gli spettatori ad inserire le mani all’interno e quindi toccare il
corpo nudo dell’artista, interagendo col corpo di una vera donna, invece che con
alcune immagini su uno schermo. Questa performance volle essere una denuncia
contro lo sfruttamento del corpo femminile nel mondo cinematografico, ritenuta
un’esperienza voyeuristica. In questa performance, al contrario, la donna prende il
controllo della situazione ed offre liberamente se stessa, a dispetto delle regole
sociali. Il pubblico non ha solo un
contatto relazionale con un'altra
persona, in questo caso l’artista, ma lo
fa visto dal pubblico presente. Si
genera quindi inizialmente una sorta
di imbarazzo nello spettatore che
contempla l’opera, fino a diventarne il
fruitore diretto, curioso di capire cosa
si provi a poter toccare liberamente
un corpo; questo accade anche, come
abbiamo visto, pur se in maniera più
forte ed estrema, nell’opera “Rhythm
0” della Abramovič.
Ritrovarsi a di fronte ad una performance di Vanessa Beecroft genera imbarazzo:
8. Tap und Tast Cinema, Valie Export, 1968
9. VB1, Vanessa Beecroft, 1993
10
l’idea di una condivisione estrema non richiesta, il nudo, fa sentire lo spettatore
colpevole. Le sue opere sono situazioni che costruiscono relazioni forzate dove la
donna è vista come oggetto, usata solo per il suo corpo: un esempio è la
performance “VB1” svoltasi a Milano, in cui l’artista espone delle modelle tutte
simili e senza veli, come fossero sculture viventi, con l’idea esternare da sé
un’immagine che le appartiene, moltiplicandola, con l’intento di produrre un
autoritratto fatto per essere guardato nello spazio vuoto, proprio come una statua.
Ottiene però critiche perché ritenuta una performance scandalosa e pornografica:
“Penso di aver disegnato modelle nude dentro una stanza un’infinità di volte
mentre studiavo all’accademia di Belle arti. È lì che mi hanno insegnato a
guardare il corpo come un solido, un insieme di linee e curve, niente di più.
Ricordo che veniva tralasciata ogni sfumatura psicologica. Quello che ho fatto per
risaltare il dato umano è stato sostituire il disegno della modella con la modella
vera e propria, moltiplicando tutto per trenta”*, afferma. Nella sua performance
c’è la ricerca di un contatto che faccia ragionare lo spettatore sull’esecuzione di un
lavoro, sull’osservazione dell’artista che come uno scienziato guarda la realtà che la
circonda, tutta uguale e immobile, cercando di capirla.
Marta Armengol, artista contemporanea barcellonese, nel 2017 inizia una serie di
performance chiamate “Awkward Moments” e suddivise in cinque parti,
definendole delle “collaborative life tutorial performance” che si pongono l’obiettivo
di aprirsi ad un’interazione fisica ed emotiva con il pubblico. Durante questa
esperienza, lo spettatore diventa performer, abbandona la funzione di consumatore
estetico e passivo prendendo attivamente parte alla performance, relazionandosi
con l’altro in un flusso di azioni libere e non pianificate. Il corpo, attraverso la
presenza fisica, i gesti e il movimento, è il mezzo espressivo per esplicitare questo
dialogo sensibile, relazione dinamica che il performer riesce a stabilire con
l’osservatore, arrivando ad essere l’uno con l’altro, unendo, di nuovo, l’io al tu.
*Vanessa Beecroft parla dei suoi lavori in un’intervista
10. Awkward Moments, series II, Marta Armengol, 2017
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L’atto performativo, in questo caso il II, è strutturato in sei capitoli: Nascita,
Esperienza, Amore, Decadimento, Morte e Rinascita. È un incontro intimo tra arte e
vita, un intervallo olistico nel quale lo spettatore e il performer, il sentire e l’agire, la
comunicazione e la condivisione, si fondono in un fenomeno indivisibile e
irripetibile.
Potrei continuare a citare molti artisti, più o meno recenti, che rientrano nella sfera
dell’arte e dell’estetica relazionale, poiché molti di loro fanno parte di molte altre
correnti e scuole di pensiero, oppure niente affatto: Joseph Beyus, che sfugge a
qualsiasi precisa catalogazione artistica, è convinto che esista una creatività
condivisa tra tutti gli individui, e che questa debba essere utilizzata e indirizzata da
persone che operano (gli artisti) per produrre un miglioramento della vita collettiva.
Così si definisce un nuovo ruolo dell’artista, diverso da quando era al di fuori della
collettività e delle problematiche sociali: “Io pongo domande, metto sulla carta
forme di linguaggio, così come forme di sensibilità, di intenti e di idee, e lo faccio
con lo scopo di stimolare il pensiero. Per di più desidero non soltanto stimolare gli
altri, ma anche provocarli. Anche là dove questo carattere provocatorio non è
subito evidente (come ad esempio nei disegni) esso è comunque presente in
profondità.” *
Come abbiamo potuto dedurre, l’aspetto critico centrale di questo nuovo genere è la
necessità interna all’opera che spinge l’artista non a misurarsi semplicemente con il
pubblico, ma a collaborare con esso su questioni di interesse pubblico e sociale,
conferendo all’arte un ruolo centrale nella società. L’artista non vuole essere un
educatore, ma uno stimolatore in grado di condividere le ragioni dell’arte ad un
maggior numero di persone possibili, assumendo il ruolo di mediatore culturale,
che consente di stabilire fruttuose connessioni. Si passa quindi dalla creazione di
opere permanenti collocate in spazi pubblici, alla costruzione di un pubblico attivo
da parte degli artisti: domina l’idea di rendere partecipe il fruitore, e non più uno
spettatore passivo.
*Heinr Bastian, Jeanot Simmen, Intervista con Joseph Beuys, in Drawing -cat. mostra-, National
Galerie Berlin
12
.Conclusioni
L’oggetto artistico nell’epoca moderna era visto come massima espressione della
creatività umana, ma nell’arte più recente prendono il sopravvento azioni come
performance e happening, inserendo l’arte nello spazio urbano: questo richiede una
partecipazione maggiore rispetto alla mera azione voyeuristica che fino ad ora era
stata concepita nei confronti dell’arte in quanto oggetto finito. L’arte inizia a
coinvolgere lo spettatore, ad interagire con il pubblico: spesso è fatta di azioni
apparentemente banali, come abbiamo visto con Tiravanija, in cui l’arte diventa
quasi indistinguibile dalla vita.
Il modello di realtà proposto dall’arte non vale solo come modello di
rappresentazione utopistico del mondo, ma anche come figurazione di una realtà da
realizzare. Si arriva a togliere ogni sacralità, vedendo l’opera come un’opportunità
di scambio, di relazione, e quindi passando dalla semplice visione dell’oggetto ad
una vera e propria esperienza artistica; si crea un’azione nello spazio urbano,
ridefinendo anch’esso come spazio di interazione.
L’artista dunque non agisce più solo nel ma anche per il contesto sociale come
“conduttore di esperienze”, proponendo operazioni estetiche in grado di creare
nuovi modelli di socialità, permettendo al fruitore di creare una relazione con
l’artista o con l’opera.
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.Bibliografia e Sitografia
- Nicolas Bourriaud, Estetica Relazionale, Ed. Postmedia, Milano, 2010
- Francesco Poli, Arte Contemporanea, le ricerche internazionali dalla fine degli
anni ’50 a oggi, Ed. Mondadori Electa, Milano, 2003
- Si fa con tutto, Angela Vettese, Ed. Economica Laterza, Bari, 2010
- Francesco Bonami, Il Bonami dell’arte. Incontri ravvicinati della giungla
contemporanea, Ed. Mondadori Electa, Milano, 2015
- Luca Palermo , L’approccio partecipativo dell’estetica contemporanea, tratto da
GENTES, anno IV, numero 4, Ed. Perugia Stranieri University Press, Perugia,
2017
- https://www.awkwardmoments.space/
- http://www.artispresent.it/arte-relazionale.html
.Indice delle immagini
(in ordine cronologico)
1. Turkish and Arabic Jokes, Jens Haaning, 1994
2. Untitled, Felix Gonzalez-Torres, 1996
3. Esposizione in tempo reale n.4, Franco Vaccari, 1972
4. Tomorrow is another day, Rirkrit Tiravanija, 1997
5. Rhythm 0, Marina Abramovič, 1974
6. Baba antropofàgica, Lygia Clark, 1973
7. Divisor, Lygia Pape, 1968
8. Tap und Tast Cinema, Valie Export, 1968
9. VB1, Vanessa Beecroft, 1993
10. Awkward Moments, series II, Marta Armengol, 2017
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