F
ISSN 1592-9930
amilia
1
Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa
Rivista bimestrale di Classe A dal 2016
gennaio - febbraio
D IRETTA DA SALVATORE PATTI
Tommaso Auletta, Mirzia Bianca, Francesco Macario, Lucilla Gatt (vicedirettore),
Fabio Padovini, Massimo Paradiso, Enrico Quadri, Carlo Rimini, Giovanni Maria Uda
www.rivistafamilia.it
IN EVIDENZA
CONTRATTI DEL MINORE E RESPONSABILITÀ PER I DANNI PRODOTTI ALLA CONTROPARTE
Francesco Rossi
LA DIVISIONE CONVENZIONALE DELL’EREDITÀ NELL’ORDINAMENTO SPAGNOLO
Manuel Espejo Lerdo de Tejada
IL DIRITTO AL MANTENIMENTO DEL FIGLIO MAGGIORENNE E I SUOI LIMITI
(NOTA A CASS. CIV., SEZ. I, ORD. 14 AGOSTO 2020, N. 17183)
Claudia Benanti
Pacini
INDICE
Parte I
Dottrina
FRANCESCO ROSSI, Contratti del minore e responsabilità per i danni prodotti alla controparte ..............»
3
TEJADA, La divisione convenzionale dell’eredità nell’ordinamento spagnolo ..»
19
FRANCESCO MEGLIO, Legatum liberationis e remissione del debito: quid novi sub sole? ..........................»
45
VALERIO BRIZZOLARI, La cessazione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne tra legittime
aspirazioni, autoresponsabilità e costi sociali .........................................................................................»
55
MANUEL ESPEJO LERDO
DE
Parte II
Giurisprudenza
CLAUDIA BENANTI, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne e i suoi limiti (nota a Cass. civ.,
sez. I, ord. 14 agosto 2020, n. 17183) ......................................................................................................»
73
FILIPPO RIZZI, Testamenti simultanei e patto successorio istitutivo tra coniugi: riflessioni critiche su
una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (nota a Cass. civ., sez. II, 2 settembre
2020, n. 18197) .........................................................................................................................................»
103
Parte III
La recensione di
MARIA LUISA CHIARELLA, Recensione a F. Di Lella, Le attività pericolose nel settore bio-medico. Spunti
per una rilettura dell’art. 2050 c.c., Pisa, 2020 ......................................................................................»
119
1
VALERIO BRIZZOLARI
La cessazione del diritto
al mantenimento del figlio
maggiorenne tra legittime
aspirazioni, autoresponsabilità e
costi sociali*
SOMMARIO : 1. Premessa: verso l’equiparazione al sistema statunitense? – 2. Dai
codici preunitari al presente. Breve evoluzione del diritto al mantenimento con
particolare riferimento alla legislazione nazionale. – 3. Cause estintive del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne. Confronto tra differenti e variabili
“traguardi”: il raggiungimento dell’autosufficienza economica… – 4. (segue)…e il
raggiungimento della maggiore età. Il sistema statunitense. – 5. Obbligo di mantenimento od obbligo di “integrazione”? – 6. Il “costo sociale” del mantenimento.
Una soluzione giuridica a un problema socio-economico.
The essay focuses on the problem of adult child support in Italy. According to Italian
Civil code (artt. 315-bis and 337-ter), the parents have to maintain the offspring until it is
economically independent, notwithstanding the age. A recent intervention of the Court of
cassation provides for a different interpretation of the law. The Court argues that the duty to
maintain the child ends when he turns eighteen years old and for older children it is up to
the judge to decide whether the parents are obliged to maintain them. Starting from the new
judgement, the paper summarizes the relevant Italian case law on this topic and makes a
comparison between Italian and North American systems. The purpose of the comparison is
to show that the adult child support, as it happens in common law systems, has to aim to a
specific purpose: finishing education or acquiring a specific expertise. When this happens,
the adult child cannot demand a full maintenance and he has to seek an employment to
make himself independent, even if that employment does not fit to his expectations.
*
Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.
55
Valerio Brizzolari
1. Premessa: verso l’equiparazione al sistema statunitense?
Una recente pronuncia della Suprema corte ha (ri)acceso il dibattito su un tema ampiamente esplorato da dottrina e giurisprudenza che, prima o poi, in considerazione dell’attuale momento storico, si sarebbe necessariamente riproposto, se non altro perché, tra le
tante implicazioni della pandemia che imperversa nel mondo, vi sono anche quelle sul
mercato del lavoro e, di riflesso, sulla possibilità per i giovani di inserirvisi1.
Si può quindi affermare che l’intervento della Cassazione, in realtà, ha solo un effetto
anticipatorio sulla discussione che verrà. Non è però possibile prevedere – né soffermarsi
in questa sede su – quale sarà l’impatto che la pandemia provocherà nel lungo termine,
potendosi immaginare anche dei risvolti positivi, i quali, magari, produrranno tra l’altro
effetti benefici in favore di coloro che si immetteranno nel mondo del lavoro.
Cionondimeno, occorre intanto volgere lo sguardo a quelle che saranno le conseguenze nel breve termine e dunque al periodo senza dubbio più difficoltoso per i maggiorenni
che tentano di rendersi economicamente indipendenti. La Suprema corte interviene in
questo ambito con una pronuncia che sicuramente li colloca in una posizione parzialmente deteriore rispetto a prima, se si considera la portata innovativa del recente arresto. In
sostanza, la Cassazione interviene per correggere (e specificare) alcuni principi radicatisi
nel corso degli anni e stabilisce che, dalla lettura degli artt. 147, 315-bis e 337-septies c.c.,
si ricava una differenziazione nella posizione giuridica dei figli minorenni e maggiorenni.
Mentre i primi avrebbero diritto sempre e comunque al mantenimento, in forza appunto
degli artt. 147 e 315-bis c.c., i secondi invece lo acquisterebbero solo a fronte dell’impossibilità (non colpevole) di procurarsi redditi propri e di altre circostanze che il magistrato
dovrà valutare di volta in volta. L’art. 337-septies c.c., difatti, rubricato non a caso “disposizioni in favore dei figli maggiorenni”, a meno di volerlo ritenere superfluo e meramente
ripetitivo delle altre disposizioni richiamate, afferma la Corte, non può che avere lo scopo
di “istituire” il diritto al mantenimento per il figlio maggiorenne solo al ricorrere delle condizioni anzidette2.
La nuova lettura del dato normativo – al di là, per il momento, della sua condivisibilità
– conduce a un risultato tanto semplice quanto dirompente: “l’obbligo di mantenimento
legale cessa con la maggiore età del figlio; in seguito ad essa, l’obbligo sussiste laddove
1
2
Il riferimento è a Cass., 14 agosto 2020, n. 17183, in questo fascicolo, 73 ss., con nota di C. BENANTI, secondo cui, ai fini del
riconoscimento dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente (ma anche del diritto
all’assegnazione della casa coniugale), il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento e caso per caso, con
criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del
suddetto obbligo o l’assegnazione dell’immobile, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di
tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di
formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori) aspirazioni.
Per un’analisi più specifica della motivazione di Cass., 14 agosto 2020, n. 17183, cit., si veda C. BENANTI, Il diritto al mantenimento del
figlio maggiorenne e i suoi limiti, in questo fascicolo, 84 ss., e G. DE MARZO, Mantenimento dei figli maggiorenni: una vera svolta?, in
Foro it., 2020, I, 2628.
56
La cessazione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne
stabilito dal giudice, sulla base delle norme richiamate”. Con questo passaggio la Suprema
corte imprime una decisa “inversione di marcia” al precedente e granitico orientamento,
secondo il quale l’obbligo di mantenimento non termina ipso facto con il raggiungimento
della maggiore età della prole, ma perdura, in linea di principio, finché essa non ha raggiunta una propria indipendenza economica3.
Il recente intervento di cui si è dato sommariamente conto offre dunque l’occasione
per “fare il punto” e svolgere alcune riflessioni sulla questione del mantenimento del figlio
maggiorenne non in grado di provvedere a sé stesso.
In primo luogo, la collocazione del limite temporale al mantenimento del figlio nel
compimento del diciottesimo anno d’età rimanda inevitabilmente agli ordinamenti di common law, notoriamente meno inclini a garantire al discendente maggiorenne un supporto
economico. Nel breve confronto che si svolgerà appresso si avrà modo di vedere come
presso alcuni stati nordamericani il diritto a farsi mantenere cessa automaticamente al
raggiungimento della maggiore età, fatti salvi specifici casi particolari. Ci si interrogherà
allora sulla sovrapponibilità del sistema italiano con quello nordamericano alla luce del
nuovo indirizzo impresso dalla Cassazione. In secondo luogo, anche sulla scorta di quanto
emerso dal raffronto con il predetto sistema, verrà vagliata la possibilità di addivenire a
soluzioni che si pongono a metà strada tra il pieno mantenimento del figlio sino alla totale,
effettiva indipendenza economica e la “perdita” automatica del diritto una volta raggiunta
la maggiore età.
2. Dai codici preunitari al presente. Breve evoluzione del diritto
al mantenimento con particolare riferimento alla legislazione
nazionale.
Il diritto del figlio al mantenimento da parte dei genitori ha subita un’evoluzione tutto
sommato lineare e priva di significativi cambiamenti o stravolgimenti, almeno laddove si
consideri il dato strettamente codicistico. Il dovere di mantenere la prole, per quanto non
rientri direttamente nella responsabilità genitoriale4, costituisce comunque una compo-
3
4
Ex multis, si vedano: Cass., 5 marzo 2018, n. 5088, in Foro it., Rep. 2018, voce Matrimonio, n. 152 (peraltro richiamata anche in
Cass., 14 agosto 2020, n. 17183, cit., ma solo per ribadire la necessità che il figlio s’attivi per la ricerca di un’occupazione), Cass., 9
maggio 2013, n. 11020, in Fam. e dir., 2014, 240, con nota di C. MAGLI, e Cass., 26 settembre 2011, n. 19589, in Foro it., Rep. 2011,
voce Matrimonio, n. 142, tutte con massime di analogo tenore. Nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Roma, 23 marzo 2012, in
Dir. famiglia, 2012, 1694. La dottrina aderisce a questo principio. Cfr. in proposito T. AULETTA, Diritto di famiglia, Torino, 2016, 361;
C. CARICATO, Il rapporto di filiazione, in Diritto della famiglia, a cura di S. Patti e M.G. Cubeddu, Milano, 2011, 931; C. CICERO, voce
Filiazione (riforma della), in Dig. disc. priv., sez. civ., aggiornamento, Torino, 2016, § 7; M. SESTA, voce Filiazione (diritto civile), in
Enc. dir., annali VIII, Milano, 2015, 452, nt. 41, nonché G. FERRANDO, voce Filiazione, 1) rapporto di filiazione, in Enc. giur. Treccani,
XV, Roma, 1989, 4. Per i riferimenti alle (rare e isolate) voci contrarie, si veda infra nt. 15.
Il dovere del genitore di mantenere il figlio esula dalla responsabilità genitoriale, in quanto sussiste anche se costui decade
dall’esercizio della funzione (cfr. art. 330 c.c.). Si vedano in proposito A.C. PELOSI, voce Potestà dei genitori, in Dig. disc. priv., sez.
57
Valerio Brizzolari
nente in cui s’articola il profilo applicativo di detta responsabilità e risulta perciò arduo
trattare separatamente e scindere i due argomenti. Tanto è vero che l’attuale compendio
di disposizioni (ben quattro: artt. 147, 148, 315-bis e 337-septies), avente ad oggetto il dovere in discorso, è il frutto dei vari interventi legislativi proprio in tema di responsabilità
genitoriale5 e consegna all’interprete una disciplina più articolata e dettagliata di quella offerta in precedenza dalla versione originaria della codificazione attuale e, ancor prima, dai
codici Pisanelli e preunitari. In altre parole, la specificazione del diritto al mantenimento
così com’è dettato oggi è il risultato di tutti gli interventi riformatori che hanno riguardata
la responsabilità genitoriale.
L’innovazione dell’ultima riforma è costituita senza dubbio dall’art. 337-septies c.c., dedicato proprio al mantenimento dei figli maggiorenni in caso di separazione, divorzio o
annullamento del matrimonio. Le altre disposizioni che qui rilevano (artt. 147, 148, 315-bis
ss. c.c. e le corrispondenti precedenti alle varie riforme) si segnalano più che altro per aver
giustamente ricondotto – oramai già da tempo – l’obbligo del mantenimento alla coerenza
con un altro importante passaggio nell’evoluzione del diritto di famiglia, vale a dire l’unificazione dello status del figlio.
Occorre però procedere con ordine e muovere innanzitutto dalla collocazione del dovere di mantenimento dei figli.
Seguendo il modello del Codice Napoleone (art. 203), le codificazioni preunitarie e il
Codice Pisanelli disciplinavano l’obbligo in discorso tra quelli nascenti dal matrimonio, con
una collocazione sistematica profondamente diversa dall’impostazione data dal legislatore
dell’ultima riforma del 2013. Oggi, il dovere in discorso, sebbene sia ancora contemplato
tra quelli nascenti dal matrimonio – per ragioni più che altro storiche, vien fatto di dire
–, è oggetto di un rinvio operato dallo stesso art. 147 c.c. a all’art. 315-bis c.c. Il diritto al
mantenimento trova allora una sistemazione differente, slegata dall’istituto matrimoniale
vero e proprio e connessa invece, come si diceva pocanzi, alla responsabilità genitoriale6.
La scelta di seguire il modello francese comportava conseguenze di non poco conto
nei confronti dei figli appartenenti a categorie diverse da quella dei legittimi. Difatti, nelle
codificazioni dell’Italia preunitaria era stabilito chiaramente che i figli nati fuori dal ma-
5
6
civ., aggiornamento, Torino, 2012, § 2, e già A. BUCCIANTE, voce Potestà dei genitori, in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1985, § 22, le cui
considerazioni valgono anche in riferimento alla responsabilità genitoriale.
Dalla patria potestà alla responsabilità genitoriale, passando per la potestà dei genitori, il diritto al mantenimento non ha conosciuto
particolari evoluzioni, almeno nella formulazione codicistica. Anche dal versante più pratico, vale a dire quello applicativo nelle aule
di giustizia, come si vedrà, non si registrano significativi cambiamenti, eccetto quello di cui si è dato conto in principio. Nonostante
il d.lgs. n. 154 del 2013 sia stato salutato con diffuso favore, per l’illustrazione di alcuni profili critici nel passaggio dalla potestà alla
responsabilità genitoriale, si segnala il contributo di G. DE CRISTOFARO, Dalla potestà alla responsabilità genitoriale: profili problematici
di una innovazione discutibile, in Le nuove leggi civ. comm., 2014, 782 ss.
Si deve comunque segnalare che, indipendentemente dalla collocazione sistematica del diritto al mantenimento, nel corso della storia
non si è mai dubitato, almeno nei paesi più vicini alla nostra tradizione giuridica, che tale compito gravasse sui genitori. Affermava
infatti A. TRABUCCHI, Doveri verso i figli, sub art. 147, in Commentario al diritto italiano della famiglia, II, Padova, 1992, 569, che
trattasi di “un dovere morale elevato ad affermazione giuridica”. Attribuire una collocazione piuttosto che un’altra, dunque, ha effetti
esclusivamente sul quantum (mantenimento o alimenti) e sull’eventuale concorso, come visto, con gli altri figli.
58
La cessazione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne
trimonio avevano diritto non al mantenimento, bensì ai soli alimenti, a condizione che vi
fosse la prova del rapporto di filiazione nei modi stabiliti dai codici medesimi7. Essi, peraltro, erano esposti a una sorta di postergazione: nel caso di concorso con i figli legittimi,
legittimati o adottivi, se non fosse stato possibile garantire gli alimenti a tutti, quelli nati
fuori dal matrimonio sarebbero stati posposti8. In breve, l’iniquità derivante dalla “classificazione” dei figli in virtù del loro status, appunto, si riverberava inevitabilmente anche sul
diritto al mantenimento. Tanto è vero che il solo figlio naturale riconosciuto acquisiva il
mantenimento vero e proprio9.
Quanto ai figli legittimi, sempre nella legislazione preunitaria, non si registrano formulazioni degne di nota. Tra i vari obblighi susseguenti al matrimonio v’era ovviamente quello di mantenere la prole: sul punto, non si rinvengono differenze tra le codificazioni sin
qui considerate. È però necessario segnalare le due seguenti particolarità. Con riferimento
al soggetto obbligato, a quanto consta, i Codici sabaudo e del Lombardo-Veneto erano
gli unici a specificare espressamente che l’obbligo in discorso spettava principalmente al
padre (nel Codice Pisanelli, esso verrà attribuito ad entrambi i coniugi, in proporzione
alle loro sostanze: cfr. art. 138 c.c. abr.)10. Con riferimento, invece, al limite del diritto al
mantenimento, un riferimento trovavasi nel § 141 c.c. Lombardo-Veneto, secondo il quale
“il padre è principalmente obbligato a mantenere i figli sino a tanto che essi non possono
provvedere da sé medesimi al proprio mantenimento”. Quest’ultima disposizione – invero ancora piuttosto attuale; v. infatti ora l’art. 337-septies c.c. –, anticipa il concetto di
indipendenza economica e non risulta essere stata successivamente ripresa né nel Codice
Pisanelli, né nella codificazione del millenovecento quarantadue, almeno nella versione
originaria11.
Riassunta brevemente l’evoluzione della disciplina passata, è ora opportuno segnalare
che la dottrina coeva non ha apportato particolari contributi al dettato legislativo e non si
è soffermata su particolari questioni, quasi certamente poiché il mantenimento del figlio
maggiorenne è tema intimamente legato alle particolari contingenze socioeconomiche e
risente inevitabilmente di fattori che variano nel corso della storia. Così – sia consentita la
generalizzazione –, sino alla metà del secolo scorso, ci si è limitati a ribadire che è dovere
7
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9
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11
Si vedano, a questo proposito, gli artt. 161 c.c. estense e 121 c.c. parmense. Le disposizioni si presentavano identiche. Entrambe
stabilivano che i soli genitori – perciò l’obbligo in discorso non riguardava gli ascendenti o gli altri obbligati individuati dalla legge
in condizioni normali – dovevano provvedere alla corresponsione degli alimenti ai figli naturali. Qualora uno di loro non fosse stato
in grado di provvedere, l’obbligo sarebbe ricaduto interamente sull’altro genitore, sempreché il rapporto giuridico di filiazione fosse
stato instaurato anche con quest’ultimo.
Così stabilivano gli artt. 162 c.c. estense e 123 c.c. parmense.
Il principio era sancito nell’art. 186 c.c. abr., il quale addossava al genitore non solo il semplice mantenimento, bensì anche il dovere
di avviare a una professione oppure a un’arte il figlio naturale riconosciuto, perciò con un obbligo il cui contenuto era persino di più
ampio di quello imposto dall’art. 138 c.c. abr. per i figli legittimi.
L’art. 116, comma 2, c.c. sabaudo stabiliva che le spese del mantenimento e dell’educazione “incumbono principalmente al padre”;
solo in caso di insufficienza dei mezzi di questi, sarebbe spettato alla madre o agli altri soggetti individuati dalla disposizione.
Si segnalano gli artt. 138 c.c. abr., 147 e 148 c.c. nella prima formulazione. In entrambi non si rinviene l’indicazione di un qualsivoglia
limite al diritto del figlio a essere mantenuto.
59
Valerio Brizzolari
dei genitori mantenere ed educare i figli, senza però porsi tutti gli interrogativi che ora
occupano il dibattito, legati alla durata dell’obbligo di mantenimento, al suo contenuto,
agli eventuali comportamenti colpevoli del figlio e via discorrendo12; e questo nella consapevolezza, diffusa e acquisita almeno già al tempo dell’unificazione del paese, che il diritto
al mantenimento non cessa con il raggiungimento della maggiore età13.
3.
Cause estintive del diritto al mantenimento del figlio
maggiorenne. Confronto tra differenti e variabili “traguardi”: il
raggiungimento dell’autosufficienza economica…
La delimitazione temporale del diritto del figlio maggiorenne al mantenimento è senza
dubbio l’aspetto sul quale si registrano maggiori differenze tra il nostro ordinamento e
quelli esteri più rappresentativi, dei quali si darà conto nel successivo paragrafo.
Per il momento si può anticipare che la summa divisio riguarda due soluzioni profondamente differenti tra loro: da un lato, quella più certa e obiettiva, consistente nell’individuazione da parte della legge di un limite temporale definito e dunque conoscibile ex
ante (il raggiungimento della maggiore età); dall’altro, quella “variabile”, in cui l’estinzione
del diritto si realizza in momenti diversi da figlio a figlio, perché connessa alla capacità di
quest’ultimo di mantenersi autonomamente14.
Naturalmente, in ciascun sistema sono presenti dei correttivi. Mentre nel primo di solito
è previsto che il figlio maggiorenne continui a essere mantenuto se ciò corrisponde a uno
scopo ben definito (ad esempio il completamento di un corso di studi); nel secondo egli
deve adoperarsi per raggiungere la suddetta autonomia e cioè non deve versare in uno
stato di colpa o inerzia. Proprio su questi ultimi due aspetti s’è concentrata l’elaborazione
giurisprudenziale.
Il dibattito condotto in Italia sino ad ora si fonda sull’assunto che il raggiungimento
della maggiore età non fa venir meno il diritto al mantenimento15. Questo assunto poggia
12
13
14
15
Per avere una conferma in tal senso, è sufficiente volgere lo sguardo alla dottrina dell’epoca. Sotto la vigenza del Codice Pisanelli, si
vedano G. PIOLA, voce Matrimonio (diritto civile), in Dig. it., XV, 1, Torino, 1927, 1059 ss., e F. LEONI, voce Filiazione, in Dig. it., XI, 2,
Torino, 1926, 207 ss. i quali non approfondiscono alcuna problematica legata al diritto al mantenimento, ma si limitano essenzialmente
ad aderire tacitamente alle disposizioni di riferimento del predetto Codice, senza aggiungere alcunché. Con riferimento invece agli
anni di poco successivi alla nuova codificazione, non si discosta da quanto accaduto sotto la vigenza della precedente, ad esempio,
G. AZZARITI, voce Filiazione legittima e naturale, in Noviss. dig. it., VII, Torino, 1961, 315 ss.
Come riferisce E. GIACOBBE, Il matrimonio, I, L’atto e il rapporto, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, III, Le persone e la
famiglia, Torino, 2011, 742, sotto l’imperio del Codice Pisanelli non si dubitava che le obbligazioni imposte dal matrimonio ai coniugi
non venissero meno al raggiungimento della maggiore età da parte dei figli. Ciò si ricavava dall’art. 220 c.c. abr., il quale non poneva
limiti di tempo o età ai doveri dei figli nei confronti dei genitori.
Si badi che, una volta acquisita l’autosufficienza economica, il diritto al mantenimento si perde e non può risorgere, qualora il figlio
versi in caso di indigenza o difficoltà economiche. Egli potrà vantare unicamente il diritto agli alimenti. Cfr. in proposito Cass., 5
agosto 1997, n. 7195, in Foro it., Rep. 1997, voce Matrimonio, n. 130
La dottrina sul punto è pressoché unanime. Oltre agli Autori citati retro nt. 3, si veda senz’altro C.M. BIANCA, Diritto civile, II, 1, La
60
La cessazione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne
a sua volta su due ordini di considerazioni: i) non sono previsti limiti o cause di decadenza, cessazione o interruzione del diritto in discorso ed ii) essi non sarebbero comunque
determinabili ex ante, non potendosi individuare a priori un’età nella quale si diviene
economicamente autosufficienti16. Se l’argomento sub i) è incontestabile, quanto all’altro
ci si limita a segnalare che non pare cogliere nel segno. Difatti, analoga considerazione
potrebbe svolgersi, ad esempio, in riferimento al raggiungimento della maggiore età, per
la quale invece l’ordinamento astrattamente individua un termine – e, se si vuole, una
presunzione –, pur essendo collegata al concetto di maturità individuale che, come quello
dell’autosufficienza economica, è variabile da individuo a individuo. Eppure, il legislatore accomuna tutte le persone ed evita qualsivoglia valutazione soggettiva17. E se ciò non
bastasse, si consideri che si danno numerosi esempi di legislazioni straniere che individuano un’età oltre la quale il diritto al mantenimento cessa; ma di queste si darà conto
nel successivo paragrafo. Per ora, sia consentito osservare che non è ben chiaro per quale
ragione il maggiorenne si può presume (astrattamente) capace di delinquere, contrattare
e via discorrendo, ma non di essere economicamente autonomo.
Ad ogni modo, sono state individuate varie cause che determinano la decadenza dal
diritto in discorso. La più frequente è il raggiungimento dell’“indipendenza economica”
(espressione che figura nell’art. 337-septies) del figlio. Si tratta però, com’è evidente, di
una formula se non piuttosto vaga quantomeno aperta alle più disparate interpretazioni18,
16
17
18
famiglia, 331 ss. Ma si vedano altresì F. RUSCELLO, Potestà dei genitori e rapporti con i figli, in Il nuovo diritto di famiglia, III, Filiazione
e adozione, diretto da G. Ferrando, Bologna, 2007, 121, e F. FINOCCHIARO, Del Matrimonio, art 84-158, II, in Commentario del codice
civile Scialoja e Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 1993, 315. Le uniche voci contrarie, a quanto consta, sono: in dottrina, D.
VINCENZI AMATO, Gli alimenti: struttura giuridica e funzione sociale, Milano, 1973, 228, secondo la quale alla maggiore età il figlio non
vanterebbe più il diritto al mantenimento, bensì solo agli alimenti; e in giurisprudenza Trib. Lucca 17 luglio 1988, in Giur. it., 1990, I,
650, con nota critica di PALADINI e Pret. Foligno, 30 marzo 1989, in Foro it., Rep. 1989, voce Matrimonio, n. 127, secondo cui l’obbligo
del genitore al mantenimento e all’istruzione dei figli non cessa col raggiungimento della maggiore età di questi, ove a tale data detta
istruzione sia ancora in corso, ma, al contrario, permane fino al completamento degli studi e con il conseguimento del titolo relativo.
Più sfumata, ma comunque dissenziente con la giurisprudenza della Cassazione, granitica nell’escludere che il solo fatto di divenire
maggiorenni faccia decadere dal diritto a ricevere il mantenimento, è la posizione di A. QUADRUCCI, Il diritto al mantenimento del figlio
maggiorenne. Note di diritto comparato, in questa Rivista, 2003, 201 ss. Si segnala altresì G.A. PARINI, I mobili “confini” del diritto al
mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente indipendenti, in Fam. e dir., 2017, 239, nt. 1, che discorre di atteggiamento
“garantista” e “materno” di una certa giurisprudenza.
Cfr. in proposito B. TOTI, Oltre una certa età un figlio è oramai un adulto (recenti orientamenti sul mantenimento del figlio
maggiorenne), in Le nuove leggi civ. comm., 2019, 378, F. DANOVI, Obbligo di mantenimento del maggiorenne, autoresponsabilità e
vicinanza della prova: si inverte l’onus probandi?, in Fam. e dir., 2020, 1025, che discorre di vera e propria “impossibilità”, e anche
P. MOROZZO DELLA ROCCA, Il mantenimento del figlio: recenti itinerari di dottrina e giurisprudenza, in Fam. e dir., 2013, 385. Un cenno
all’argomento sub ii) si legge anche in M.S. ESPOSITO, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne tra aspirazioni personali e
colpevole inerzia, in Fam e dir., 2017, 137, nt. 8. In giurisprudenza, si veda Cass., 7 aprile 2006, n. 8221, in Foro it., Rep. 2006, voce
Matrimonio, n. 107, secondo cui il giudice di merito non può prefissare un termine all’obbligo di mantenimento, atteso che il limite
di persistenza dello stesso va determinato non sulla base di un termine astratto (ancorché desunto dalla media della durata degli studi
in una determinata facoltà e dalla normalità del tempo mediamente occorrente ad un giovane laureato, in una data realtà economica,
affinché questo possa trovare impiego), bensì sulla base (soltanto) del fatto che il figlio, malgrado i genitori gli abbiano assicurato
le condizioni necessarie (e sufficienti) per concludere gli studi intrapresi e conseguire il titolo indispensabile ai fini dell’accesso
alla professione auspicata, non abbia saputo trarne profitto, per inescusabile trascuratezza o per libera (ma discutibile) scelta delle
opportunità offertegli, ovvero non sia stato in grado di raggiungere l’autosufficienza economica per propria colpa.
Come rilevato da C. RUPERTO, voce Età, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, § 2.
Il concetto di autosufficienza economica rimanda immediatamente, almeno con riferimento alla difficoltà di attribuzione di un
61
Valerio Brizzolari
come dimostra la casistica giurisprudenziale. L’indipendenza di cui trattasi è da valutarsi
in riferimento allo standard dell’uomo medio oppure varia da caso a caso e sulla base di
quali parametri? Deve trattarsi di autosufficienza economica derivante da qualsivoglia attività o solo da quella congrua con il percorso di studi o formazione del figlio? Questi sono
solo alcuni degli innumerevoli interrogativi.
Il principio oggi prevalente è quello dell’“adeguatezza”, con ciò intendendosi la legittimità del rifiuto di tutte quelle posizioni lavorative non adeguate, appunto, alle aspirazioni
personali e/o alla formazione scolastica o accademica del figlio19. Non rileva dunque la
percezione di un reddito che sarebbe, in astratto e di per sé, idoneo a garantire l’autosufficienza, bensì la fonte di tale reddito; cioè se esso proviene da un’attività in linea con
quanto appena illustrato. È evidente che questo orientamento presenta almeno due inconvenienti: in primo luogo, l’ulteriore spostamento in avanti del momento in cui cessa
l’obbligo di mantenimento; in secondo luogo, induce il beneficiario a rifiutare eventuali
offerte comunque congruamente retribuite. Se si conviene sul fatto che il lavoro saltuario
o precario e le altre attività stipendiate ma non propriamente lavorative20 non siano idonee a far decadere dal diritto al mantenimento – in considerazione del fatto che esso non
può essere successivamente riacquisito –, meno condivisibili sono quelle pronunce che
legittimano il rifiuto di impieghi non corrispondenti alle aspirazioni o alla professionalità
del figlio21. Queste ultime vengono generalmente accolte con favore poiché sarebbero
poste a presidio di un ulteriore dovere dei genitori (e, specularmente, diritto del figlio): la
realizzazione delle aspirazioni personali di quest’ultimo (cfr. art. 315-bis c.c.)22. Tuttavia,
non si tiene in debita considerazione che le legittime aspirazioni possono essere raggiunte
(evidentemente, in un secondo momento) anche in costanza di un’attività lavorativa inco-
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22
contenuto “certo” e alla sua mutevolezza, a quello di “adeguatezza dei mezzi” di cui alla Legge sul divorzio, sul quale è superfluo
segnalare la travagliata evoluzione tanto in dottrina quanto in giurisprudenza. Per questi aspetti, si veda senz’altro a F. MACARIO, Una
decisione anomala e restauratrice delle sezioni unite nell’attribuzione (e determinazione) dell’assegno di divorzio, in Foro it., 2018,
I, 3605.
Così si ricava da Cass., 1° febbraio 2016, n. 1858, in Fam. e dir., 2017, 134, con nota di M.S. ESPOSITO e Cass., 8 agosto 2013, n. 18974,
in Foro it., Rep. 2013, voce Matrimonio, n. 107. Ancora più esplicita è Cass., 21 febbraio 2007, n. 4102, in Fam. e dir., 2007, 550, con
nota di A. GRECO, secondo cui devono continuare ad essere mantenuti dai genitori i figli maggiorenni e diplomati che non hanno
trovato un impiego confacente al loro titolo di studio ma solo un “lavoro non qualificato”, come può apparire quello dell’apprendista
muratore a un ragazzo quasi trentenne con il titolo di geometra e ragioniere.
Come potrebbe essere una borsa di studio; per questo caso, cfr. Cass., 23 gennaio 2020, n. 1448, in Guida al dir., 2020, 8, 97, e Cass.,
15 febbraio 2012, n. 2171, in Foro it., Rep. 2012, voce Separazione di coniugi, n. 144, secondo cui il raggiungimento dell’indipendenza
economica non è dimostrato dal mero conseguimento di una borsa di studio correlata ad un dottorato di ricerca, sia per la sua
temporaneità, sia per la modestia dell’introito in rapporto alle incrementate, presumibili necessità, anche scientifiche, del beneficiario.
Sull’apprendistato, invece, si segnala Cass., 11 gennaio 2007, n. 407, in Foro it., 2007, I, 770.
Il riferimento è a Cass., 21 febbraio 2007, n. 4102, cit., e Cass., 3 aprile 2002, n. 4765, in Foro it., 2002, I, 1323, per la quale il dovere
di mantenimento del figlio maggiorenne, gravante sul genitore separato non convivente, persiste finché quest’ultimo non abbia
dimostrato che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica o è stato posto nelle condizioni concrete per conseguirla, ovvero che
il mancato svolgimento di un’attività lavorativa dipende da un atteggiamento del figlio colposo o inerte, tale non essendo il rifiuto
di una sistemazione inadeguata rispetto alla sua preparazione ed alle sue attitudini, compatibilmente con le condizioni economiche
della famiglia, e sempre che quelle aspirazioni siano realizzabili in ragionevoli limiti temporali.
Questo argomento è sostenuto ad esempio da M.S. ESPOSITO, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne tra aspirazioni
personali e colpevole inerzia, cit., 139 e in part. 140 ss.
62
La cessazione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne
erente con la propria formazione o, comunque, che esse non vengono automaticamente
meno per il semplice fatto di aver inizialmente intrapreso un impiego diverso dalle aspettative individuali. In breve, si ritiene che il “sacrificio” debba provenire da entrambe le
parti: è corretto chiedere al genitore di mantenere il figlio maggiorenne; ma è altrettanto
corretto che costui si “adegui”, almeno nella prima esperienza lavorativa, a quanto offre il
mercato del lavoro23.
Un lieve correttivo all’indirizzo in discorso è costituito dalla “ragionevolezza” del tempo
in cui dette aspirazioni possono essere conseguite. Si tratta però di un ulteriore “spostamento” del problema e “rinvio” della soluzione: è corretto discorrere di ragionevolezza in
un contesto, come l’attuale, in cui l’ingresso nel mondo del lavoro è fortemente spostato
in età avanzata e c’è scarsa flessibilità nella sua entrata? Una parziale – e forse involontaria – risposta a tale interrogativo si rinviene in un (più recente) indirizzo della Cassazione,
secondo il quale si giustifica la sopravvivenza del diritto al mantenimento solo se questo
è finalizzato alla conclusione di un percorso educativo o formativo24.
Il trend inaugurato da quest’ultimo orientamento è indice di un’evoluzione e della presa d’atto – sebbene non ancora generalizzata e diffusa – della necessità di rivedere alcuni
principi tramandatisi più che altro – questa è l’impressione – per fedeltà a massime tralatizie, senza una congrua valutazione del loro impatto25.
La pronuncia della Suprema corte di cui s’è dato conto in principio costituisce senza
dubbio il culmine e il punto d’arrivo di questa tendenza26, che annovera – nei suoi passaggi intermedi – anche una parte della giurisprudenza di merito che ha individuato nel
trentaquattresimo anno d’età il limite (presuntivo) oltre il quale si “perde” il diritto al mantenimento27.
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Soprattutto in un particolare momento storico in cui le offerte di lavoro “stabile” non si presentano a ritmo giornaliero. Sono perciò
da condividere e da considerare ancora attuali le osservazioni di E. BOLONDI, Sempre più tutelata la posizione dei figli maggiorenni?,
in Nuova giur. civ. comm., 2003, 822.
In questi termini, Cass., 20 agosto 2014, n. 18076, in Foro it., 2015, I, 1021, secondo la quale il giudice di merito è tenuto a
valutare la persistenza del diritto al mantenimento con prudente apprezzamento, caso per caso e soprattutto con criteri di rigore
proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari. In breve, con il progredire dell’età del figlio aumenta la severità del
giudizio.
Come già rilevato da A. QUADRUCCI, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne. Note di diritto comparato, cit., 200 ss. Appartiene
a quel trend anche Cass., 22 giugno 2016, n. 12952, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 1635, con nota di F. ESPOSITO, Il mantenimento del
figlio maggiorenne e la sua cessazione. Quest’ultima Autrice correttamente sottolinea il messaggio della Suprema corte espresso nella
sentenza appena menzionata, secondo il quale il “principio di autoresponsabilità”, giunti a un certo punto della propria esistenza,
impone a chi abbia raggiunta l’età adulta di accantonare le proprie aspirazioni e, soprattutto prendendo atto della crisi occupazionale
dei giovani, di accettare anche un impiego non del tutto confacente al proprio percorso formativo. Ancora più esplicita è stata la
Corte in una nota pronuncia (Cass., 11 luglio 2018, n. 18287, in Foro it., 2018, I, 3999, con nota di C.M. CEA), ove si legge che “il
figlio maggiorenne ha il compito sociale, prima che giuridico, di mettersi nelle condizioni di essere economicamente indipendente e
l’obbligo di mantenimento è definito temporalmente in funzione del raggiungimento dell’obiettivo”. Sulla disamina della sentenza da
ultimo richiamata, si veda per tutti S. PATTI, Assegno di divorzio, il “passo indietro” delle Sezioni Unite, in Corr. giur., 2018, 1197 ss.
Il riferimento è a Cass., 14 agosto 2020, n. 17183, cit.
Si vedano, in questi termini, Trib. Milano, 29 marzo 2016, e Trib. Modena, 1° febbraio 2018, entrambe consultabili nella banca dati
DeJure, che desumono il limite del trentaquattresimo anno da statistiche nazionali ed europee circa l’occupazione dei giovani. L’idea
di utilizzare queste ultime come parametro era stata già avanzata da IORIO, Il fondamento dell’estinzione dell’obbligo di contribuzione
dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni, in Fam. e dir., 2012, 1073 ss.
63
Valerio Brizzolari
Prima di soffermarsi sul sistema nordamericano, è opportuno illustrare brevemente il francese. Esso presenta alcuni punti di contatto con il nostro. Le disposizioni di riferimento sono gli
artt. 371-2 e 373-2-2 c.c. francese: il primo stabilisce espressamente che il dovere di mantenere
il figlio (l’obligation d’entretien de l’enfant majeur, secondo la terminologia d’oltralpe) non
cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età; il secondo, che un genitore
può chiedere all’altro un contributo per il mantenimento e l’istruzione del figlio non in grado
di provvedere a sé stesso. Le disposizioni appena richiamate sono state introdotte nel 2016 ed
hanno abrogato il precedente art. 295 c.c. francese. Quest’ultimo poneva una condizione al
mantenimento del maggiorenne, consistente nella prosecuzione degli studi28.
Pur non rinvenendosi significative differenze nelle formulazioni legislative, la giurisprudenza francese sembra interpretare il dato codicistico in maniera più severa rispetto
all’italiana, concedendo appunto l’erogazione del mantenimento solo a fronte della (proficua) prosecuzione degli studi29. A conclusione di questa parte, si segnala che l’art. 371-2
c.c. francese è stato oggetto di una recente pronuncia della Cour de cassation, che ha
rigettata la questione di legittimità costituzionale mediante la quale si era sostenuto che la
disposizione violerebbe – laddove non lega il termine del diritto al raggiungimento della
maggiore età – i principi di uguaglianza e di conduzione di una vita familiare normale30.
4. (segue)…e il raggiungimento della maggiore età. Il sistema
statunitense.
Completata la rapida disamina del sistema italiano e dei simili, è il momento di soffermarsi sugli ordinamenti che individuano un termine esatto per la fine del diritto al
mantenimento del figlio maggiorenne. Sul continente europeo, si segnala innanzitutto
l’art. 1:395a c.c. olandese: i genitori hanno l’obbligo di provvedere al mantenimento e
all’istruzione dei figli maggiorenni di età compresa tra i 18 e 21 anni31. Ancora più severo,
per dir così, è l’art. 277 ZGB, il quale individua il termine finale del diritto in discorso nel
raggiungimento della maggiore età (diciotto anni); salvo il caso in cui il figlio non abbia
ancora conseguita una formazione appropriata32.
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Per alcune osservazioni sull’art. 295 c.c. francese ante riforma del 2016 – che però si ritengono comunque ancora valide –, si
segnalano A. QUADRUCCI, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne. Note di diritto comparato, cit., 205 ss., F.R. FANTETTI, Obbligo
di mantenimento, realizzazione delle aspirazioni e indipendenza economica del figlio maggiorenne, in Fam., pers. e succ., 2008, 977,
e PARINI, I mobili “confini” del diritto al mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente indipendenti, cit., 242, nt. 21.
In questi termini, Cass., 27 gennaio 2000, n. 96-11.410, in Bull. civ., I, n ° 27, in Revue Juridique Personnes et Famille, 2000-4/53.
La pronuncia è Cass., 18 settembre 2019, n.19-40.022, relativa proprio al comma 2 dell’art. 371-2 c.c. francese, laddove stabilisce
che il dovere di mantenimento non cessa al raggiungimento della maggiore età del figlio. La questione di legittimità costituzionale
(rectius: la question prioritaire de constitutionnalité) era stata sollevata da un padre divorziato e condannato a mantenere i due figli
maggiorenni.
In argomento, si vedano I. CURRY-SUMNER e P. MONTANUS, Child maintenance in the Netherlands, 14 Eur. J. Soc. Sec. 304 (2012), 304 ss.
L’art. 277, comma 2, ZGB stabilisce che “Se, raggiunta la maggiore età, il figlio non ha ancora una formazione appropriata, i genitori,
64
La cessazione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne
Quanto al Nordamerica, occorre premettere che il diritto di famiglia è di competenza
statale, per cui non è possibile fornire informazioni valevoli e univoche per tutta la Federazione americana; nondimeno, si possono individuare alcuni tratti comuni alle legislazioni
statali, come si vedrà immediatamente.
Innanzitutto, solo a livello federale esiste una nozione di child support, per giunta limitatamente al figlio minorenne. Il c.d. post majority support è lasciato invece ai singoli stati
e quelli che hanno deciso di regolare il diritto al mantenimento hanno provveduto negli
statutes relativi alla separazione e al divorzio33. La regola generale, per dir così, è che è
sempre individuabile un evento “certo”, realizzatosi il quale il mantenimento non è più dovuto al figlio. Tale momento è costituito dal raggiungimento della maggiore età (variabile
da stato a stato) oppure dalla conclusione degli studi liceali (high school), se essa avviene
dopo, ma comunque entro un limite temporale sempre definito ex ante34.
I casi in cui viene garantito un mantenimento al maggiorenne si possono definire dunque “eccezionali” rispetto alla suddetta regola generale, poiché deve ricorrere un’esigenza
specifica per la quale il mantenimento viene riconosciuto35. Essa è costituita nella quasi
totalità delle ipotesi dalle spese necessarie per frequentare il college o i corsi di postsecondary education (fatta eccezione, naturalmente, per i figli disabili, sui quali nulla quaestio).
Nello stato dell’Iowa, ad esempio, il giudice della separazione o del divorzio può riconoscere il mantenimento (rectius: la copertura delle spese per il college) al maggiorenne se
ricorre una “good cause”, determinata all’esito di una valutazione di vari parametri (età,
predisposizione allo studio e via discorrendo), trai quali figura il contributo (economico)
che lo stesso figlio può dare (magari se lavoratore part time)36.
La disciplina sin qui sintetizzata, proprio perché collocata tra le regole sulla crisi coniugale, ha creato una situazione di vera e propria disparità tra i figli delle coppie sepa-
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36
per quanto si possa ragionevolmente pretendere da loro dato l’insieme delle circostanze, devono continuare a provvedere al suo
mantenimento fino al momento in cui una simile formazione possa normalmente concludersi”.
Una panoramica generale sul sistema statunitense è offerta da A. STęPIEń-SPOREK e M. RYZNAR, Child support for adult children, in
30(2) Quinnipiac L. Rev. (2012), 364 ss. Gli Autori riferiscono che, tuttavia, la maggior parte degli stati americani non ha adottata
una disciplina specifica sul mantenimento del figlio maggiorenne. Una rassegna delle legislazioni vigenti in Alabama, Connecticut,
Florida, Hawaii, Illinois, Indiana, Maryland, Mississippi, Missouri, Montana, New Jersey, New York, North Dakota, Pennsylvania, South
Carolina e Washington si può comunque leggere in M. MARZANO-LESNEVICH e S.C. LATERRA, Child support and college: What is the correct
result, in 22 J. Am. Acad. Matrimonial Law (2009), 339 ss.
Questa soluzione è adottata, ad esempio, dallo stato del Kansas. Si veda il Chapter 23 del Kansas family code law revised; più
precisamente il § 23-3001, sub art. 30, il quale, relativamente ai giudizi di separazione e divorzio, prevede il termine del diritto al
mantenimento con il raggiungimento della maggiore età (18 anni), a meno che i genitori si accordino per continuare a mantenere
il figlio oppure egli divenga maggiorenne prima o dopo del completamento del ciclo di studio liceale, che rimane evidentemente
lo spartiacque. Un sistema simile vige in Missouri, del quale si segnala il § 452.340 nel titolo XXX delle Missouri Revised Statutes
(2018). La disposizione, a differenza di quella del Kansas, aggiunge però, tra le cause di estinzione del diritto, il raggiungimento
dell’autosufficienza economica o l’arruolamento nell’esercito.
Si esprime in termini di exceptions S.F. GOLDFARB, Who pays for the boomerang generation: A legal perspective on financial support for
young adults, in 37(1) Harv. J.L. & Gender (2014), 45, tra le quali annovera anche il caso di figli disabili. Cfr. anche A. STęPIEń-SPOREK
e M. RYZNAR, Child support for adult children, cit., 367, sempre nel senso che la prosecuzione degli studi costituisce una eccezione al
termine del diritto al mantenimento al raggiungimento della maggiore età.
Così stabilisce il § 598.21F del Iowa Code, title XV, chapter 598, versione 2021.
65
Valerio Brizzolari
rate o divorziate con quelli di coppie ancora intatte. Si palesa qui un’ulteriore differenza
rispetto al nostro ordinamento. Movendo dal presupposto che la Costituzione americana
non riconosce un diritto specifico alla postsecondary education, si danno soluzioni giurisprudenziali (apparentemente) contrastanti, pur a parità di fattispecie. Nel caso Canning
v Canning, deciso dalla New Jersey State Superior Court, è stato deciso che la figlia diciottenne non ha diritto a vedersi riconosciuto il mantenimento finalizzato alla frequenza al
college37. In Black v Black, invece, è stato reso un verdetto esattamente opposto38. In entrambi i casi si trattava di soggetti appena divenuti maggiorenni, intenzionati a proseguire
gli studi presso l’università; in entrambi, i genitori s’erano rifiutati di provvedere alle spese
di educazione, essenzialmente per ragioni di natura personale (contrasto con i figli).
L’unica divergenza che si rinviene nei due precedenti è che nel secondo trattavasi di
genitori separati. Il differente trattamento si spiega per varie ragioni. In primo luogo, il
diritto al mantenimento – se di mantenimento vero e proprio si può discorrere39 – cessa
al raggiungimento della maggiore età e le corti hanno il potere d’imposizione di detto
mantenimento solo nei procedimenti che hanno ad oggetto la crisi coniugale; in secondo
luogo, c’è una generale tendenza a non interferire con le scelte della famiglia ancora integra e, per converso, c’è invece un intento di “protezione” verso i figli di coppie separate o
divorziate, ritenuti più “svantaggiati” proprio in ragione della crisi familiare40.
La dottrina d’oltreoceano è ben consapevole che sussistono “fairness issues” determinati
dal trattamento “iniquo” che le corti americane riservano ai figli a seconda dello status dei
genitori41. Allo stesso modo, si registrano anche alcune voci favorevoli a garantire al figlio
un supporto (economico) dopo il raggiungimento della maggiore età; ma la tendenza generale, anche alla luce del case law, pare rimanere di segno opposto42. La giurisprudenza,
da parte sua, talvolta ha mostrato consapevolezza del problema. La Supreme Court della
Pennsylvania, ad esempio, ha dichiarato incostituzionale la legislazione dello stato, che
distingueva i figli sulla base appunto della separazione o divorzio dei genitori43.
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Il caso Canning v Canning è riportato da S. ARZOUMANIDIS, Why requiring parents to pay for postsecondary education is unconstitutional
and bad policy, in 54(2) Fam. Ct. Rev. (2016), 314 ss. Il titolo del contributo appena citato è già di per sé significativo e indicativo
di quale è l’approccio al tema qui trattato, evidentemente molto distante da quello invece proprio del dibattito italiano e in parte
europeo.
92 A.3d 688, 691 (N.J Super. Ch. 2013).
A. STęPIEń-SPOREK e M. RYZNAR, Child support for adult children, cit., 366, ad esempio, discorrono di university stipend.
L’intervento del giudice, nelle coppie non divorziate o separate, è limitato ai soli casi di abuso o negligenza da parte dei genitori e
non essendo scontato il diritto al mantenimento del maggiorenne difficilmente viene imposto ai genitori di continuare a foraggiare
il figlio. Cfr. a questo proposito A. STęPIEń-SPOREK e M. RYZNAR, Child support for adult children, cit., 375 ss. e, ancora con maggiore
approfondimento, R.M. WASHBURN, Post-majority support: Oh dad, poor dad, in 44(3) Temp. L.Q. 319 (1971), 319 ss. In argomento si
veda anche A. QUADRUCCI, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne. Note di diritto comparato, cit., 208.
L’espressione è ancora di A. STęPIeń-SPOREK e M. RYZNAR, Child support for adult children, cit., 377; ma un rilievo analogo è svolto da
S. ARZOUMANIDIS, Why requiring parents to pay for postsecondary education is unconstitutional and bad policy, cit., 315.
Come ad esempio quella di S.F. GOLDFARB, Who pays for the boomerang generation: A legal perspective on financial support for young
adults, cit., 58, secondo cui “parental support for young adults serves a crucial function and confers significant advantages on young
adults, their parents, and society”. Cfr. anche L.C. BARNETT, Having their cake and eating it too - post-emancipation child support as a
valid judicial option, in 80(4) U. Chi. L. Rev. (2013), 1799 ss.
666 A.2d 265 (Pa. 1995). La legislazione dello stato è stata ritenuta contraria alla Equal protection clause di cui al quattordicesimo
66
La cessazione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne
A completamento della rapida disamina sul sistema statunitense, sia consentito un
breve cenno all’australiano. Il Child Support Assessment Act del 1989 e il Family Law Act
del 1975 stabiliscono anch’essi il termine del diritto del figlio al mantenimento e lo individuano nel raggiungimento del diciottesimo anno d’età oppure nel completamento della
scuola secondaria. Anche presso questo ordinamento si presume che al raggiungimento di
quell’età o, al più tardi, alla conclusione del percorso di studi il figlio sia economicamente
autosufficiente44.
5. Obbligo di mantenimento od obbligo di “integrazione”?
Il rapido confronto con il sistema americano non deve suscitare eccessiva sorpresa.
Sono ampiamente note le profonde differenze culturali e socioeconomiche che separano
i sistemi qui considerati, alle quali non può che corrispondere un differente approccio al
problema del mantenimento al figlio maggiorenne45. Per chi volesse sostenere una revisione dei principi giurisprudenziali italiani, sarebbe riduttivo e superficiale volersi richiamare
sic et simpliciter a quanto accade oltreoceano, per la semplice divergenza dei contesti.
L’indagine svolta nelle pagine precedenti tuttavia dimostra che, per quanto gli ordinamenti presi come riferimento possano sembrare diametralmente opposti, in verità, a ben
vedere, nessuno di questi adotta una soluzione tranchant. I sistemi considerati prevedono
tutti dei correttivi che, per dir così, mitigano il rigore – tanto in un senso, quanto nell’altro
– del dettame legislativo. Sennonché, presso di noi, tali correttivi paiono eccessivamente
sbilanciati in favore del figlio maggiorenne.
Tralasciando per un momento l’impatto che produrrà il recentissimo intervento della
Cassazione, sino ad ora si è sempre preteso che il figlio consegua un introito stabile, sicuro
e soprattutto corrispondente alla professionalità acquisita. Se si conviene sulla sicurezza
e sulla stabilità, quali attributi del reddito percepito dal maggiorenne, meno condivisibile
appare richiedere che egli possa legittimamente rifiutare le proposte lavorative non corrispondenti al suo profilo, le quali, nondimeno, gli consentirebbero d’essere autonomo.
A dire il vero, si dovrebbe anche condurre una riflessione sulla stabilità, noto essendo il
progressivo allontanamento dal “posto fisso” e l’avvio verso forme di lavoro più “instabili”.
Ad ogni modo, il terreno della discussione è insidioso, poiché coinvolge (contrapposti)
valori di rango costituzionale (artt. 1, comma 1, 2 e 30 Cost.), tra i quali solo recente-
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emendamento della Costituzione americana. Cfr. in proposito S. ARZOUMANIDIS, Why requiring parents to pay for postsecondary
education is unconstitutional and bad policy, cit., 319.
Per una panoramica del sistema australiano, si veda B. SMYTH, Child support for young adult children in Australia, in 16(1) Int’l J.L.
Pol’y & Fam. (2002), 22 ss.
È da condividere l’osservazione conclusiva di A. QUADRUCCI, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne. Note di diritto comparato,
cit., 209, secondo la quale il divario tra civil law e common law è da attribuire proprio al differente background economico, sociale,
culturale e, vien fatto di dire, anche giuridico.
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Valerio Brizzolari
mente ha fatto ingresso il principio di autoresponsabilità. Non si vuole affatto mettere in
dubbio la solidarietà familiare, che impone al genitore di mantenere il figlio anche oltre
i diciott’anni, ma occorre valorizzare maggiormente quest’ultimo principio e ricondurre
la riflessione al contesto presente, diverso da quello in cui s’è sviluppato l’orientamento
giurisprudenziale prevalente46.
La Cassazione, nel suo ultimo intervento, pare aver differenziata la posizione giuridica
del figlio maggiorenne da quella del minorenne. Si concorda con coloro che reputano
priva di fondamento questa differenziazione47; ma ciò non toglie che dalla formulazione
dell’art. 337-septies c.c. si possa comunque ricavare una ricostruzione alternativa. Posto
che l’attuale legislazione non consente di individuare un termine finale per il diritto al
mantenimento (cfr. art. 315-bis), la via più corretta da seguire pare quella di “rivedere” il
contenuto dell’obbligo in discorso.
Tradizionalmente si afferma che il mantenimento del genitore da garantire al figlio (anche maggiorenne) consiste nel riconoscergli tutto quanto necessario all’esistenza, secondo
il tenore di vita della famiglia48. L’art. 337-septies c.c., tuttavia, dispone, per il figlio ultradiciottenne, la corresponsione di un “assegno periodico”, espressione, quest’ultima, di per
sé neutrale e non necessariamente legata al mantenimento vero e proprio; essa ricorre,
anzi, nell’art. 443 c.c., anche in tema di alimenti. Si potrebbe sostenere che il legislatore
abbia dato per scontato che quell’assegno periodico si riferisce al mantenimento e che la
disposizione richiamata indica solo la modalità attuativa di detto obbligo; ma si consideri
quanto segue.
In primo luogo, lo stesso art. 147 c.c. impone ai genitori il dovere di mantenere i figli
secondo quanto previsto nell’art. 315-bis c.c., nel quale si trova anche l’obbligo per il figlio
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In argomento, v. senz’altro S. PUGLIATTI, voce Autoresponsabilità, in Enc. dir., IV, 1959. La stessa Cass., 14 agosto 2020, n. 17183, cit.,
dedica alcuni passaggi al principio di autoresponsabilità, sul quale v. anche le osservazioni di F. DANOVI, Obbligo di mantenimento
del maggiorenne, autoresponsabilità e vicinanza della prova: si inverte l’onus probandi?, cit., 1027. Sia poi consentito il rinvio a V.
BRIZZOLARI, Limitazione della capacità di agire e prodigalità obiettiva, in questa Rivista, 2018, 97 ss., sempre nel senso di un dovere di
rendersi autonomi in termini economici per non ricadere sulla collettività o sugli obbligati agli alimenti (oppure sul genitore, come
nel caso in analisi). Altri riferimenti al principio in discorso si rinvengono in Cass., 29 agosto 2017, n. 20525, in Fam. e dir., 2018,
573, con nota di L. GIORGIANNI (in motivazione, relativamente all’assegno divorzile), Cass., 6 febbraio 2020, n. 2756, in Foro it., Rep.
2020, voce Vendita, n. 8 (per i vizi della cosa nel contratto di compravendita) o in Cass., 10 maggio 2018, n. 11272, in Danno e resp.,
2018, 589, con nota di M. TOPI (per il risarcimento del danno). Una rassegna delle sentenze rilevanti in tema è comunque contenuta
in Cass., 20 agosto 2014, n. 18076, cit.
Il riferimento è a G. DE MARZO, Mantenimento dei figli maggiorenni: una vera svolta?, cit., 2628.
In questi termini F. RUSCELLO, Potestà dei genitori e rapporti con i figli, cit., 123, e F. FINOCCHIARO, Del Matrimonio, cit., 313. Sull’entità
del mantenimento, si veda C.M. BIANCA, Diritto civile, cit., 332, che giustamente mette in guardia dalle pretese di un tenore di vita
lussuoso da parte del figlio, che potrebbe avere un effetto “diseducativo”. Nella giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Rieti, 6 febbraio
2020, in Riv. dir. fam. e succ., 2020, 156, secondo cui, a seguito della separazione personale tra coniugi, anche la prole ha diritto
ad un mantenimento tale da garantire un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia e analogo, per
quanto possibile, a quello goduto in precedenza, continuando a trovare applicazione l’art. 147 c.c. che, imponendo il dovere di
mantenere, istruire ed educare i figli, obbliga i genitori a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo
alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna
predisposizione, fin quando l’età dei figli stessi lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le
necessità di cura e educazione.
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La cessazione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne
di contribuire ai bisogni della famiglia. Quest’ultimo, per quanto abbia uno spiccato contenuto patrimoniale, non necessariamente consiste nella ricerca di un’attività (lavorativa) che
sacrifichi le aspirazioni del figlio, ma senza dubbio può costituire un giusto complemento
al suo dovere di rendersi economicamente autosufficiente. Il che può avvenire anche attraverso il risparmio di spesa dato dalla (parziale e magari saltuaria) autosufficienza economica del figlio. Peraltro, una volta raggiunta la maggiore età, è indiscutibile che il dovere di
mantenimento sia finalizzato solo a mettere in condizione la progenie di essere appunto
economicamente autonoma49. E in questo può tornar utile il confronto con il sistema americano, nel quale si è visto che il mantenimento al maggiorenne è sempre orientato a uno
specifico scopo e viene persino meno se quest’ultimo manca.
Poiché la condizione di autonomia economica presuppone l’ottenimento di un titolo
di studio, di altri titoli professionali o abilitativi e via discorrendo, una volta conseguito
uno di questi ultimi necessariamente sorge il dovere di “sganciarsi” dalla famiglia perché
si è – astrattamente – in grado di poter vivere da soli e il compito genitoriale può dirsi
compiuto. Il figlio, in quel momento, deve allora attivarsi per rendersi indipendente, anche
mediante l’accettazione di impieghi non corrispondenti alla professionalità acquisita; posto che difficilmente si raggiunge il proprio obiettivo professionale al primo incarico e che,
diversamente, sarebbe il genitore a doversi “adeguare”. Quanto precede significa, in altri
termini, che il soggetto maggiorenne in grado (in termini astratti) di mantenersi non può
pretendere un mantenimento integrale, ma deve attivarsi per reperire un impiego (anche
parziale, part time o saltuario), quantomeno per “contribuire” (indirettamente) anch’egli
alla famiglia. Il dovere di mantenimento dei genitori, dunque, scema e degrada, per dir così, a dovere di “integrazione”50 e nei casi più gravi dovrebbe ridursi alla mera prestazione
alimentare, qualora il figlio sia inerte51. Talvolta, nella giurisprudenza di merito è stata fatta
applicazione di quanto precede ed ora, grazie al recentissimo intervento della Cassazione,
si auspica che tutta la giurisprudenza prenda maggiore consapevolezza della necessità di
responsabilizzare il figlio e soprattutto del vero scopo del mantenimento del maggiorenne:
il completamento del percorso formativo o l’acquisizione di una professionalità52, raggiunti
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Come correttamente rilevato da G. IORIO, Il fondamento dell’estinzione dell’obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli
maggiorenni, cit., 1072 e da B. TOTI, Oltre una certa età un figlio è oramai un adulto (recenti orientamenti sul mantenimento del
figlio maggiorenne), cit., 392; ma anche da Cass., 20 agosto 2014, n. 18076, cit., in motivazione (“il diritto del figlio si giustifica, infatti,
all’interno e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo”).
L’espressione è di A. TRABUCCHI, Doveri verso i figli, cit., 570: “l’obbligo al mantenimento di cui si parla in questa sede deve intendersi
sopra tutto come un obbligo di integrazione delle altre fonti di cui il figlio può direttamente giovarsi, per mezzi a sua disposizione
o a lui forniti da terzi, soggetti pubblici o privati che siano”. G. IORIO, Il fondamento dell’estinzione dell’obbligo di contribuzione dei
genitori nei confronti dei figli maggiorenni, cit., 1069 ss., invece, discorre di obbligo di “contribuzione” in favore dei figli maggiorenni.
Cfr. in proposito App. Cagliari, 20 settembre 1991, in Riv. giur. sarda, 1993, 311.
Si veda, ad esempio, App. Catania, 13 luglio 2017, in Foro it., 2017, I, 3180, che ha revocato il mantenimento alla figlia ventisettenne,
iscritta da dieci anni all’università, che aveva persino rifiutata una proposta di lavoro procuratale dal padre e compatibile con la
prosecuzione dello studio. Simile è App. Napoli, 18 marzo 2011, in Fam. e dir., 2011, 1117 ss. Ma v. pure, nella giurisprudenza
di legittimità, Cass., 22 luglio 2019, n. 19696, in Foro it., Rep. 2019, voce Responsabilità genitoriale, n. 39, secondo cui l’obbligo
di mantenimento dei genitori consiste nel dovere di assicurare ai figli, anche dopo il raggiungimento della maggiore età ed in
proporzione alle proprie risorse economiche, la possibilità di completare il percorso formativo prescelto e di acquisire la capacità
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Valerio Brizzolari
i quali l’obbligo in discorso è adempiuto. Responsabilizzazione che passa altresì attraverso
la necessità di intraprendere un’attività lavorativa appena si è in grado53.
In altri termini, l’autosufficienza economica di cui all’art. 337-septies c.c. dovrebbe intendersi in senso non effettivo54, ma potenziale e astratto. Spetterà poi al giudice valutare
le circostanze del caso concreto, secondo il suo prudente apprezzamento, per riconoscere
al figlio maggiorenne – astrattamente autosufficiente – il mantenimento, qualora lo stato
di disoccupazione o precarietà non dipendano da sua colpa. Naturalmente, tutto ciò vale
qualora sorgano conflitti tra il figlio e il genitore; se quest’ultimo invece assume volontariamente l’obbligo in discorso, nulla quaestio55.
6. Il “costo sociale” del mantenimento. Una soluzione giuridica
a un problema socio-economico.
Come talvolta accade nel diritto di famiglia, ma non solo, l’interprete è chiamato a misurarsi con interrogativi trasversali, che originano da problematiche extragiuridiche e si
riversano nel mondo del diritto a causa dell’impossibilità (o incapacità, a seconda della
prospettiva) di risolvere definitivamente i problemi che ne sono alla base. Il mantenimento
del figlio maggiorenne è tema intimamente collegato a note carenze del sistema economico italiano. È sufficiente richiamare le più note: la scarsa flessibilità in entrata nel mondo
del lavoro, l’invecchiamento costante della popolazione e il dilagare del lavoro precario
(tanto pubblico, quanto privato); il quale, di per sé, non rappresenta un problema, ma
lo diventa nel momento in cui, appunto, non si trova un impiego con la medesima facilità con la quale si perde. Va da sé che se il passaggio dall’università (o dalla scuola) al
mondo del lavoro fosse lineare, la questione del mantenimento del maggiorenne sarebbe
lavorativa necessaria a rendersi autosufficiente.
Anche attraverso la sperimentazione di varie attività (rectius: esperienze) lavorative che non possono che giovare alla “formazione”
personale del neo maggiorenne. Sono da condividere le osservazioni conclusive, sebbene non propriamente di taglio giuridico, di I.
NASTI, Nihil sub soli novi: i figli maggiorenni economicamente non autosufficienti hanno diritto al mantenimento, in Fam. e dir., 2002,
360, secondo cui “si dovrebbe fare tutto quanto è possibile per facilitare nel figlio, tanto più se maggiorenne, il distacco dai genitori,
dal genitore con cui convive come da quello con cui non convive, perché
è
capace di prendersi le sue responsabilità; questo sforzo va fatto, avvalendosi eventualmente anche degli strumenti offerti dalla
psicologia moderna”.
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Il riferimento all’autosufficienza economica “effettiva” era diffuso in passato, prima che la giurisprudenza mutasse parzialmente
indirizzo, come nei casi riferiti retro alla nt. 52. Si veda infatti, ad esempio, Trib. Genova, 2 dicembre 1980, in Giur. merito, 1982, 308,
con nota di B. CRISALLI, secondo cui l’obbligo del genitore di mantenere il figlio non cessa con il compimento della maggiore età, ma
si prolunga fino al raggiungimento di un’effettiva autonomia economica di questo.
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Pertanto, se il genitore acconsente a un determinato percorso formativo, non può successivamente domandare la cessazione
dell’obbligo di mantenimento prima che il figlio l’abbia portato a termine. Per un caso di questo genere, v. Trib. Roma, 7 marzo
2017, in Foro it., 2017, I, 2167, secondo cui permane il dovere del genitore non convivente di concorrere, con il versamento di un
assegno periodico, al mantenimento della figlia maggiorenne che ha rifiutata un’offerta di lavoro, peraltro a tempo determinato,
per la necessità di completare all’estero un prestigioso percorso postuniversitario, tenuto anche conto delle buone disponibilità
dell’obbligato.
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La cessazione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne
“virtuale” e riguarderebbe pochi e isolati casi. Invece, il perdurare (e l’acuirsi) delle problematiche appena richiamate provoca lo spostamento di un costo (sociale) dalla collettività
alla famiglia, laddove questa si fa carico del “ritardo” con il quale il maggiorenne diviene
autonomo. Con l’ulteriore conseguenza dell’insorgenza di numerosi contenziosi all’interno
della famiglia medesima.
Se il contesto italiano non facilita la risoluzione delle problematiche di cui s’è dato brevemente conto, è altrettanto vero che si sono sviluppati alcuni indirizzi giurisprudenziali
eccessivamente “protettivi” verso i maggiorenni e si ritiene che la sentenza della Cassazione che ha ispirato questo contributo testimoni la “reazione contraria” a questi ultimi.
È innegabile altresì che il tema qui affrontato risenta di numerosi fattori, anche culturali, e in questo il rapido confronto con il sistema americano testimonia la divergenza di
approcci. Mentre presso di noi il mantenimento del figlio maggiorenne non ancora autosufficiente costituisce la regola, oltreoceano invece è l’eccezione. Parimenti, lì l’autonomia
economica è intesa in senso astratto; qui in senso effettivo. Il principio di solidarietà familiare senza dubbio previene l’accoglimento puro e semplice della soluzione americana, la
quale presenta ad ogni modo vari profili che ne rendono di fatto impossibile l’attuazione
in Italia. Quanto però alla causa di cessazione dell’obbligo di mantenimento, occorre affermare che il maggiorenne ha il dovere di rendersi indipendente (anche parzialmente)
tutte le volte in cui gli si presenti l’occasione per esserlo. Potrà non succedere immediatamente in questo obiettivo; ma, prima di reclamare un mantenimento integrale, egli deve
procurarsi un introito in virtù dei suoi doveri di collaborazione e autoresponsabilità, anche
nell’ottica di ripartire il “costo” del suo mantenimento con il genitore medesimo. La configurazione del dovere in discorso in termini di “integrazione”, anziché mantenimento vero
e proprio, consente di ridurre l’onere per il genitore in ragione del contributo del figlio, se
presente; qualora assente, il giudice dovrà tenere conto, nella quantificazione, del reddito
astrattamente percepibile dal figlio stesso, naturalmente tenendo in considerazione l’età, il
percorso di studi che sta compiendo e via discorrendo.
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