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La collana accoglie monografie e volumi collettanei che indaghino le interazioni tra letteratura, scienza e medicina. Comitato scientifico: Giancarlo Alfano, Stefano Carrai, Michele Cometa, Daniela De Liso, Andrea Manganaro, Valeria Merola, Anna Tylusinska Kowalska, Sebastiano Valerio, Marco Veglia. I testi pubblicati nella collana sono sottoposti a un processo peer review che ne attesta la validità scientifica. € 18,00 ISBN 978 88 32193 30 5 9 788832 193305 PAOLO LOFFREDO Studi d’intersezione tra letteratura, scienza e medicina a cura di Daniela De Liso e Valeria Merola Il libro attraversa la letteratura italiana, dal Rinascimento alla contemporaneità, indagando modi, tempi e luoghi d’intersezione di scienza medica e letteratura. Dalle scene ai versi, dalla trattatistica alla narrativa, la letteratura italiana ha raccontato nel corso del tempo la malattia, servendosi della scienza medica, come di un’arte sorella. La critica letteraria ha solo di recente cominciato a lambire i nuovi orizzonti di ricerca che la medicina narrativa e la biopoetica hanno individuato. Questo libro vuol suggerire uno sconfinamento, configurarsi come un invito ad oltrepassare il limen, interrogando autori e testi, che hanno raccontato la malattia, per curarla, per comprenderla, per affrancarsene o solo per tenerla, in maniera apotropaica, lontana. la medicina dell’Anima la medicina dell’Anima prosa e poesia per il racconto della malattia 1 Paolo Loffredo Ed. Valeria Merola insegna Letteratura italiana presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila. Si è occupata prevalentemente di scrittura per il teatro e della presenza del tema morale nella letteratura. Ha pubblicato vari studi dedicati a Emanuele Tesauro e alla letteratura seicentesca, al teatro del Settecento e al Novecento. Attualmente la sua ricerca si concentra sulle intersezioni tra generi letterari e tra linguaggi. ISSN 2704-9485 la medicina cop definitiva? ahh ahh:Layout 1 03/02/20 17:05 Pagina 1 la medicina dell’Anima prosa e poesia per il racconto della malattia a cura di Daniela De Liso e Valeria Merola PAOLO LOFFREDO Daniela De Liso insegna Letteratura italiana presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi “Federico II” di Napoli. Ha pubblicato saggi e volumi sulla letteratura italiana dal Rinascimento alla contemporaneità e partecipato a numerosi Convegni internazionali. Si occupa attualmente delle intersezioni tra letteratura ed arti. È componente del Comitato scientifico delle riviste «Critica Letteraria» e «Studium». Le Muse di ippocrate studi d’intersezione tra Letteratura, scienza e Medicina 1 Descrizione La collana accoglie monografie e volumi collettanei che indaghino le interazioni tra letteratura, scienza e medicina. comitato scientifico Giancarlo alfano, stefano carrai, Michele cometa, daniela de Liso, andrea Manganaro, Valeria Merola, anna tylusinska Kowalska, sebastiano Valerio, Marco Veglia. i testi pubblicati nella collana sono sottoposti a un processo peer review che ne attesta la validità scientifica. La Medicina deLL’aniMa: prosa e poesia per iL racconto deLLa MaLattia a cura di daniela de Liso e Valeria Merola PAOLO LOFFREDO volume pubblicato con il contributo dell’Università degli Studi dell’Aquila - Dipartimento di Scienze Umane e dell’Universita degli Studi Federico II di Napoli – Dipartimento di Studi Umanistici. Proprietà letteraria riservata Impaginazione: Graphic olisterno - portici (napoli) Stampa: Grafica elettronica srl - napoli issn 2704-9485 isBn 978-88-32193-30-5 PAOLO LOFFREDO © 2020 by paolo Loffredo editore srl 80128 napoli, via ugo palermo, 6 - paololoffredoeditore@gmail.com www.loffredoeditore.com indice Premessa daniela de Liso e Valeria Merola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 7 Malattia del corpo e dell’anima nella commedia italiana fra XVI e XVII secolo anna rita rati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 13 Dal paradosso allo stupore: malattie letterarie cinque-secentesche Valeria Merola. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 25 «Un morbo universale/che si veste d’ogni male»: l’ipocondria tra letteratura e medicina nel secolo dei lumi Maria di Maro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 43 Tra le odi “mediche” del Settecento daniela de Liso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 63 Patocenosi della Vita di Alfieri Giuseppe andrea Liberti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 79 La storia del cholera in napoli o di alcuni costumi napoletani del 1837 di Giuseppina Guacci Nobile Valeria puccini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 93 «Il corpo parla»: Carlo Dossi e la voce della malattia chiara Ferrara . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 111 La sindrome del reo: complesso del martire e senso di colpa in senilità di Svevo salvatore Francesco Lattarulo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 125 6 indice Alberto Moravia anni Trenta. Dal sanatorio al manicomio: la prosa del male e della malattia antonio r. daniele. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p 143 La narrazione della malattia nel Male oscuro di Giuseppe Berto Maria panetta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 157 La penna-bisturi di Tommaso Landolfi Laura Bardelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 171 Il racconto della malattia in Memoriale di Volponi: tanti medici contro un poeta sara Lorenzetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 185 Esclusione, autoironia, accettazione della disabilità acquisita nella poesia di Antonio Giuseppe Malafarina Federica Millefiorini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 201 Come fare cose con le storie. Un’esperienza di Medicina narrativa christian delorenzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 221 Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 231 La sindroMe deL reo: coMpLesso deL Martire e senso di coLpa in SENILITà di sVeVo salvatore Francesco Lattarulo* 1. il racconto vero e proprio della malattia di amalia occupa l’ultima parte di Senilità. La scoperta della sorella delirante nel proprio letto di inferma si offre a emilio Brentani come una visione memorabile. L’inatteso sbocco finale della patologia della donna rappresenta per il protagonista del libro di italo svevo un evento traumatico che lo sbalza fuori dal suo abituale limbo di torpore e irresolutezza per condurlo sulla strada della presa in carico di una decisione fino ad allora sempre differita: troncare la cervellotica relazione con angiolina, quasi che la, per così chiamarla, guarigione spirituale di emilio sia destinata a compiersi attraverso la crisi, l’agonia e il trapasso di amalia1. spettatore inerme, o – mutuando un termine dell’amato schopenhauer2 – ‘contemplatore’3 dell’affievolirsi delle funzioni vitali della propria consangui* dottore di ricerca in italianistica, università degli studi di Bari “aldo Moro”. 1 «ora, troppo tardi, forse, era guarito di quell’amore. pianse in silenzio, nell’ombra, amaramente» (italo svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», edizione critica con apparato genetico e commento di nunzia palmieri e Fabio Vittorini, saggio introduttivo e cronologia di Mario Lavagetto, Milano, Mondadori, 2004, p. 590). 2 a proposito dell’influsso esercitato dal filosofo tedesco sul triestino cfr. almeno Gennaro savarese, Scoperta di Schopenhauer e crisi del naturalismo nel primo Svevo, «La rassegna della letteratura italiana», LXXV (settembre-dicembre 1971), pp. 411-431; enrico Ghidetti, Svevo: dall’«incapace a vivere» all’«uomo psicologico», in id., Malattia, coscienza e destino. Per una mitografia del Decadentismo, Firenze, La nuova italia, 1993, pp. 117-157; Luca curti, Svevo e Schopenhauer. Rilettura di una vita, pisa, ets, 1992; id., Zeno guarisce dall’ottimismo. Schopenhauer e Freud nella coscienza, «rivista di letteratura italiana», Xii (1994), n. 2-3, pp. 401-427. 3 È l’atteggiamento che esplicitamente l’autore gli fa assumere nell’ultimo capitolo, davanti al sepolcro della sorella, in una cocente giornata estiva («sulla tomba prese la posa del contem- 126 salvatore francesco lattarulo nea, il giovane impiegato vorrebbe senza effetto «sentire tutto il suo male per soffrire con lei»4. La vana aspirazione di assumere su di sé lo strazio della moribonda certifica in qualche modo quel ‘senso di colpa’ che più o meno intenzionalmente tormenta il fratello lungo tutto l’arco del romanzo, facendo di lui il tipo ideale del martire designato. a ben vedere sarebbe questa sorta di ‘sindrome del reo’ l’effettiva afflizione psichica di emilio cui il tragico epilogo del morbo di amalia si porge come specchio nel quale riflettersi e riconoscersi. ed è in tale prospettiva assai sintomatico che, dinanzi allo spettro della morte della sorella, la cui responsabilità egli avoca a sé per una sua supposta condotta negligente5, emilio dichiari con tono grave – a mo’ di reo confesso –: «non so se provo maggior dolore o rimorso»6. 2. il vettore tensionale di Senilità, come si è premesso, può essere individuato nel senso di colpa da cui è gravato il protagonista. emilio avverte tale sentimento nei confronti dei due personaggi femminili del romanzo, figure a un tempo opposte e complementari, legate da uno stretto nesso di reciprocità come sembra suggerire anche la comunanza della lettera inziale dei loro nomi: la sorella amalia e l’amante angiolina7. in sintesi si dirà che il protagonista si sente inadeguato rispettivamente nel ruolo di fratello e di fidanzato. Quel che mette conto notare, ai fini del presente lavoro, è che in questa sede s’intenderà il senso di colpa nell’accezione con cui sigmund Freud ne diplatore, ma non seppe contemplare», svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 615). 4 Ivi, p. 604. 5 «ella era ammalata prima di tutto, perché egli aveva mancato al dovere di proteggerla» (ivi, p. 589). una culpa – a volerla così chiamare – in vigilando. Vale certo la pena notare che anche nella Coscienza di Zeno l’ossessione della propria colpevolezza deflagra nel protagonista proprio ai piedi del letto del genitore moribondo laddove zeno si oppone all’accanimento terapeutico sul malato per risparmiargli un inutile atto disumano. «il gesto pietoso nei confronti del padre […] si trasforma in uno dei diversi ingredienti del senso di colpa che di lì a poco si abbatterà, con la precisione di uno schiaffo, sulla guancia del giovane» (Giovanni albertocchi, I sogni di Zeno, «Quaderns d’italià», 13, 2008, p. 74). 6 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 581. si potrebbe parlare di «complexe de cain» prendendo in prestito un’espressione di claude imberty applicata ai rapporti di rivalità tra fratelli di sesso maschile in svevo (D’une structure de “La Coscienza di Zeno”: la rivalité, la maladie et le frère, «revue des Études italiennes», XXV, 1979, n. 1-3, p. 174). 7 per la valenza simbolica dell’onomastica dei personaggi sveviani cfr. Giovanni palmieri, Tutti i nomi di Zeno, «strumenti critici», iX (1994), n. 76, pp. 441-464 (in partic. per Senilità pp. 447-449). complesso del martire e senso di colpa in SENILITÀ di svevo 127 scute a proposito dei ‘nevrotici’, nei quali esso non si riallaccia a crimini commessi nella vita effettiva: un nevrotico ossessivo può essere gravato da un senso di colpa che si attaglierebbe al colpevole di una strage, anche se egli si è comportato verso il suo prossimo come il più riguardoso e scrupoloso dei compagni fin dall’infanzia. eppure il suo senso di colpa è fondato […] nella misura in cui siano presi in considerazione i suoi pensieri inconsci e non gli atti che egli ha compiuto intenzionalmente8. si tratta quindi di sgombrare il campo dalla colpa propriamente detta, da intendersi nella valenza formale pertinente alla giurisprudenza (reato) o, se si vuole, alla teologia (peccato), per mettere sotto la lente la colpa per così dire ideale, apparente, se non inesistente, la quale fa dell’individuo che se la intesta più o meno consapevolmente il tipo del ‘colpevole immaginario’. «alla base del senso di colpa dei nevrotici ci sono soltanto realtà psichiche, non realtà di fatto»9. per prendere in prestito un’espressione del diritto, si dirà allora che il sedicente colpevole merita l’assoluzione con formula piena perché ‘il fatto non sussiste’. e tuttavia proprio il tribunale interno della coscienza fa sì che emilio inneschi all’interno del libro sveviano un inconfessato auto-processo. 3. sin dall’incipit del romanzo amalia è presentata come una donna di costituzione minuta e fragile, con una cera smunta, malaticcia («non ingombrante né fisicamente né moralmente, piccola e pallida»)10. È un breve profilo psi8 sigmund Freud, Totem e tabù. Alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici, in id., Opere, ed. it. a cura di cesare Luigi Musatti, vol. 7, Milano, Boringhieri, 1975, p. 92 (corsivo mio). «although Senilità was written before svevo had read Freud, it gives ample evidence that svevo was intuitively prepared to respond to Freudian insights» (paula robison, senilità: The Secret of Svevo’s Weeping Madonna, «italian Quarterly», XiV, 1971, n. 55, p. 61). e cfr. su questo punto Giovanni palmieri, La vera cura di Zeno e le sue opinioni, «strumenti critici», Viii (1993), n. 71, pp. 40-41. per un’utile messa a punto della lettura dell’opera sveviana in chiave psicanalitica negli studi critici si veda adesso Valentino Baldi, Zeno dopo Freud, «studi novecenteschi», XXXiX (2018), 84, pp. 345 ss. 9 Freud, Totem e tabù, cit., p. 162. al sentimento di colpa legato all’esecuzione di uno specifico misfatto Freud assegnava piuttosto il nome di «rimorso» (Il disagio della civiltà, in Opere di S. F., ed. it. a cura di c. L. Musatti, vol. 10, Milano, Boringhieri, 1978, p. 617). in sede psicanalitica, dunque, il senso di colpa (Schuldgefühl) non è subordinato a un evento determinato, così da essere assimilabile all’«angoscia» (ivi, p. 621). Quest’ultima, a differenza della paura, che origina da cose o circostanze definite, è il timore vago di una minaccia generica. 10 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 403. «pallida» è l’attributo che 128 salvatore francesco lattarulo cosomatico in cui l’esilità della corporatura sembra fare il paio con la ristrettezza dell’orizzonte etico. a ben vedere, è della sorella del protagonista il primo ritratto dell’opera. e per di più, l’iniziale identikit del Brentani è tracciato a partire da un confronto con la consanguinea: «di qualche anno più giovane di lui, ma più vecchia per carattere o forse per destino. dei due era lui l’egoista, il giovine»11. L’autore costruisce un’assai efficace descrizione prosopica biunivoca attraverso la figura retorica del chiasmo, ove ai poli esterni si situa il dato anagrafico, ai poli interni il dato temperamentale: la minore età di lei sta al proprio altruismo materno come l’individualismo fanciullesco di lui sta alla propria maggiore età. in apparenza tale dualismo poggia su un’inversione dei ruoli: è la sorella più piccola a fare da genitore al fratello più grande (e oltretutto maschio) e non viceversa. il vincolo asimmetrico si traduce tuttavia in una relazione simbiotica, dal momento che l’una si fa carico della sorte dell’altro e viceversa: «ella viveva per lui come una madre dimentica di se stessa, ma ciò non impediva a lui di parlarne come di un altro destino importante legato al suo e che pesava sul suo»12. amalia si ritaglia quel ruolo di ‘badante’ che sarà poi ricoperto da augusta nei confronti del protagonista della Coscienza di Zeno13. cionondimeno emilio, all’interno di una dialettica dello scambio, farà mostra di un atteggiamento ‘tutoriale’ verso amalia cercando di proteggerla dal suo sentimento per il donnaiolo stefano Balli fin poi ad accudirla paternamente negli ultimi suoi momenti di vita. Va inoltre messo in chiaro, sempre nell’ottica di una simile ‘corrispondenza di amorosi sensi’, che il tratto della senilità, sin dal principio definito in chiave metaforica14, è ascritto in ordine di tempo ad amalia («ma più vecchia per ca«accompagna, fissa la povera amalia, ancora consolata dal sogno, dalla speranza» (Vittorio Lugli, Senilità e vecchiaia: i tre libri di Svevo, in id., Pagine ritrovate. Memorie fantasie letture, torino, einaudi, 1964, p. 278). 11 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 403. 12 Ibid. 13 cfr. u. Frey, La “mosca” di Montale, la “sana bàlia” di Svevo, la “cagna fedele” di Saba e l’amore folle di Althusser, «carte vive», Xi (2000), n. 27, pp. 52-56. 14 sull’accezione figurata del titolo, che, come si sa, ha avuto una genesi sofferta e ha fatto storcere il naso ad alcuni critici sveviani della prima ora, l’autore insiste nel finale delle carte preparatorie della Prefazione alla seconda edizione (Milano, Morreale, 1927): «io non so neppure l’origine di esso, non so se attribuii un carattere senile al protagonista del romanzo, alla sua razza o all’ambiente [si notino i riferimenti alle categorie della race e del milieu tipici del romanzo naturalista] in cui si moveva. doveva spiegare e scusare qualche cosa. certo quel titolo mi guidò e lo vissi» (italo svevo, Prefazione alla seconda edizione di Senilità, in id., Romanzi e «Con- complesso del martire e senso di colpa in SENILITÀ di svevo 129 rattere o forse per destino»)15 e trasferito quasi per osmosi al fratello («a trentacinque anni si ritrovava nell’anima la brama insoddisfatta di piaceri e di amore, e già l’amarezza di non averne goduto»)16. L’esistenza di emilio si caratterizza sulle prime per un’aspirazione edonistica che in qualche modo va a braccetto con quella di andrea sperelli, l’eroe del Piacere dannunziano. nel rimpianto, di sapore quasi leopardiano, di un tempo perduto e mai vissuto, la giovinezza appunto, orfana delle gioie della carne e dei palpiti del cuore, emilio addita in tinuazioni», cit., p. 1355). dunque l’intitolazione farebbe riferimento a una sorta di patologia dell’io. Gabriella contini parla di una «malattia ‘culturale’ del personaggio», contratta «sin dalla prima giovinezza» (Le lettere malate di Svevo, napoli, Guida, 1979, p. 70). più di recente, Mara santi argomenta a favore della tesi di un malessere epocale («the symptomatology of an era»), e non già individuale, provocato dal crepuscolo del secolo (Ineptitude as cultural senility in Italo Svevo’s second novel, in Italo Svevo and his legacy for the third millenium, vol. i, philology and interpretation, a cura di Giuseppe stellardi e emanuela tandello, Leicester, troubador publishing, 2014, p. 72). tuttavia è un fatto non di poco conto che la sua eziologia autentica sfugga allo stesso firmatario dell’opera. in ogni caso, nel medesimo testo svevo fa le viste di intendere il termine in una direzione diversa da quella appannaggio di una certa vulgata interpretativa che inclina a leggerlo come variante lessicale di ‘inettitudine’ («condizione psicologica ed esistenziale che esime l’individuo dalla responsabilità delle scelte e delle azioni, confinandolo in un’inerzia e in un torpore affettivo propri di un’età avanzata», Gabriella Fenocchio, Italo Svevo in La letteratura italiana diretta da ezio raimondi. Il Novecento.1. Da Pascoli a Montale, a cura di G. F., Milano, Bruno Mondadori, 2004, p. 159; un tentativo di non ricondurre i due termini «ad uno stesso referente» è ora in novella di nunzio, La differenza tra il concetto di inettitudine e il concetto di senilità nell’opera di Italo Svevo, in Italo Svevo and his legacy for the third millenium, cit., pp. 74-86). Lo scrittore triestino, al contrario, spiega infatti il titolo non sub specie di un deficit quanto semmai di uno squilibrato surplus di vitalità del suo personaggio; e cioè emilio, vittima del demone della passione, vi si abbandonerebbe con la sproporzionata e ossessiva morbosità di un anziano («anch’io, che so oramai che cosa sia una vera senilità, sorrido talvolta di aver attribuito a senilità un eccesso in amore», svevo, Prefazione alla seconda edizione di Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 1354). che l’attrazione parossistica per la sua Angie sia quasi una forma patologica trae alimento anche da un passo del cap. Xi del libro («egli la seguì per un pezzo e vedendola in mezzo alla via, offrirsi sfacciatamente con l’occhio ad ogni passante, fu ripreso dalla sua malattia che dominò ogni altro suo sentimento», svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 567). rovesciando il tavolo della discussione critica si potrebbe persino affermare che emilio soffre del male contrario, il complesso dell’eterna giovinezza, una sorta di sindrome di peter pan («Viveva pel futuro […] come se l’età delle belle energie per lui non fosse tramontata», ivi, p. 404). si ricorderà che anche cesare pavese, nel Mestiere di vivere, leggeva e contrario la senilità di emilio al modo eccentrico di «adolescenza». a conti fatti, allora, il titolo suona «come ultima mistificazione», «metafora fuorviante», volta a «depistare il lettore» (Giorgio Luti, «Senilità» 1898-1986, «il ponte», XLiii, 1987, n. 2, pp. 128 e 125). 15 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 403. 16 Ibidem. 130 salvatore francesco lattarulo filigrana un presunto colpevole, «o più probabilmente alibi»17: la figura ‘scomoda’ di amalia («e così, sentendosi le spalle gravate di tanta responsabilità, egli traversava la vita cauto, lasciando da parte tutti i pericoli, ma anche il godimento, la felicità»)18. L’affezione ‘senile’ della sorella avrebbe contagiato emilio, condannandolo spiritualmente a una precoce vecchiaia dell’anima. analogamente, la tempra fiacca della donna è complementare all’indole inoperosa dell’uomo («e nel cervello una grande paura di se stesso e della debolezza del proprio carattere, invero piuttosto sospettata che saputa per esperienza»)19. Questa istantanea di famiglia che occupa le primissime righe del romanzo fa allora emergere l’ineluttabile stato di cose di due destini intrecciati a doppio filo secondo la massima del simul stabunt vel simul cadent. il libro prende l’abbrivo con un piglio brusco entrando senza indugio nel merito della tresca con angiolina («subito, con le prime parole che le rivolse, volle avvisarla che non intendeva compromettersi in una relazione troppo seria»)20. si tratta di un attacco ex abrupto fatto risaltare da scoperti segni meta-testuali («subito»). un siffatto avvio ha quasi l’aria di una falsa partenza, se è vero che il discorso dirotta nel capoverso successivo sull’altra ‘relazione’, quella intra-familiare, da cui dipenderebbe la love story introdotta nelle battute iniziali. La messa in moto de improviso21 dell’azione ammiccherà all’irruzione inattesa dell’incontro con l’altro sesso, rappresentato dalla zarri, nel riflessivo modo di vivere di emilio e suonerà come un urto violento destinato a lacerare l’intimo ménage tra i due fratelli22. che in fondo la relazione con angiolina sortisca l’effetto imponderato di spezzare l’idillio domestico tra i due Brentani è la stessa amalia a confessarlo verso la fine, ormai sul letto di morte, pur con la mente offuscata dal vaneggiamento della malattia. una si17 Laura Benedetti, Vivere ed essere vissuti: Amalia in Svevo’s Senilità, «italica», LXViii (1991), n. 2, p. 206. 18 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 403. 19 Ibidem. 20 Ibidem. 21 La perifrasi «con le prime parole» funge, del resto, quasi da marcatore testuale di un incipit narrativo. Mauro Buccheri ha dedicato un persuasivo contributo critico agli esordi dei tre romanzi sveviani («Senilità» di Italo Svevo o l’avventura della differenza, «rivista di studi italiani», iV, 1986, n. 2, pp. 85-108). in particolare, Buccheri evidenzia in Senilità «quell’iniziare […] in medias res, di narrazione che comincia nel “mezzo”»; lo stesso protagonista, quasi novello dante in virtù dei suo trentacinque anni di età, «si trova psicologicamente, economicamente e cronologicamente nel “mezzo del cammin”» (ivi, p. 87). 22 su questo punto cfr. anche Benedetti, Vivere ed essere vissuti, cit., p. 206. complesso del martire e senso di colpa in SENILITÀ di svevo 131 mile ammissione in limine mortis è per l’altro della coppia una rivelazione fulminante: un istante di quel delirio non fu più dimenticato da emilio. – sì, noi due – fece ella, guardandolo con quel tono dei deliranti, che non si sa se esclami o domandi. – noi due, qui, tranquilli, uniti, noi due soli. – La serietà ansiosa della faccia accompagnava la serietà della parola e l’affanno pareva l’espressione di un dolore cocente. poco dopo però, ella parlava di loro due soli nella casa a buon mercato23. nelle pieghe del vaniloquio prodotto dalla febbre24 alta fluttuano «le fantasie incestuose che hanno attraversato sotterraneamente il rapporto tra i due fratelli. La sessualità, il corpo di amalia che emilio aveva cercato di scacciare […] acquisiscono nella malattia diritto di parola»25. Già alcune pagine addietro emilio, spiando nel sonno la sorella che fantasticava un dolce futuro di sposa, ha esclamato tra sé: «disgraziata! ella sognava nozze»26. non è di certo escluso che qui amalia immaginasse un imeneo con il Balli sì da scatenare la ‘gelosia’ di emilio27. tant’è che costui ostacola la passione della sorella nei confronti dell’amico scultore al punto di pentirsene amaramente nella coda del cap. Viii dove è davvero notevole che la parola «rimorso» sia usata ben tre volte nel giro svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 584. sul «meccanismo psichico dell’allucinazione» riconducibile già secondo schopenhauer alla piressia cfr. palmieri, La vera cura di Zeno, cit., p. 55. 25 nunzia palmieri - Fabio Vittorini, in svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 1502. del resto, la prima parte della relazione tra angiolina ed emilio, che si astiene dal possederla carnalmente, ha molto di un rapporto quasi ‘fraterno’. non a caso una volta, trascorso ormai del tempo da quando i due si sono finalmente congiunti fisicamente, angiolina si rivolge a emilio con un tono spiazzante: «anch’ella sentiva che nulla in lei poteva più ripugnare ad emilio ed una volta ebbe una bellissima espressione: – a te racconto tutto come a un fratello –» (ivi, p. 552). su questo aspetto cfr. inoltre Guido almansi, Il tema dell’incesto nelle opere di Svevo, «paragone», XXiii (1972), n. 264, pp. 47-60 (in particolare pp. 49-56 per Senilità). 26 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 483. 27 anche amalia vive il rapporto con la sfera erotica all’insegna di un occulto senso di colpa, poiché in lei l’amore si alimenta clandestinamente, a tutela della «rispettabilità borghese della loro vita familiare» (paolo rambelli, Il principio formale della senilità nell’opera narrativa di Svevo, in «Moderna», ii, 2000, n. 1, p. 127), nella dimensione del sogno e non della veglia. per lei l’eros è una zona interdetta che adombra un divieto risalente, quasi freudianamente, sin ai tempi dell’infanzia, e che le fa apparire il desiderio per l’altro sesso come un «peccato» (svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 461). nota robison che amalia soffre di «a sense of sexual guilt» (senilità: The Secret of Svevo’s Weeping Madonna, cit., p. 75). 23 24 132 salvatore francesco lattarulo di poche righe28. L’aver represso il forte affetto di amalia per stefano è un altro stigma che si imprime nella coscienza del protagonista29. non stupisce, allora, che svevo, quasi all’inizio del capitolo seguente, commenti così: «tra fratello e sorella c’era oramai una barriera: la colpa di emilio»30. ed è vieppiù carico di significato che la voce narrante descriva tale sentimento dell’eroe come inconsapevole («egli non se ne accorgeva»)31. tuttavia è indicativa la cappa di silenzio con cui l’autore avvolge la figura del bramato marito proiettando sull’intera scena del sogno origliato di amalia un’ombra densa di ambiguità. tanto più che la sequenza ha delle tinte erotiche: la sorella riposa con un braccio «denudato»32 ed emilio si accosta «seminudo»33 al suo uscio per porgere orecchio alle farneticazioni della donna. Quando in seguito il protagonista rientra nella propria camera si addormenta tra le lenzuola solitarie del tutto dimentico di angiolina e con la mente occupata solo dalle frammentate parole notturne della sorella abbandonandosi a un ipotetico amplesso. emilio sarà colpito dalle «nudità» di amalia più tardi, allorché la scorgerà appunto semivestita nella sua stanza da letto in preda al delirio della polmonite34. «poi, quando nella stanza vicina percepì chiara e sonora la voce di quell’altra sognatrice [amalia], il suo rimorso fu cocentissimo. che male ci sarebbe stato a lasciar continuare quei sogni innocenti nei quali si concentrava tutta la vita d’amalia? Vero è che quel rimorso finì col mutarsi in una grande compassione di se stesso che lo fece piangere e trovare un grande sollievo in quello sfogo. Quella notte dunque il rimorso gli fece trovare il sonno» (svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 510; corsivi aggiunti; e cfr. il commento di palmieri - Vittorini ad loc.: «il rimorso sembra essere la condizione naturale degli inetti sveviani: solo così è possibile giustificare l’effetto calmante che il senso di colpa produce su emilio», p. 1441). 29 a sua volta è il Balli a essere messo nella condizione di sentirsi in colpa per aver involontariamente sedotto amalia («stefano non seppe più quale contegno tenere. non doveva essergli accaduto molto spesso nella sua vita di venir accusato a torto. si sentiva innocente come un neonato», ivi, p. 507). per evitare di alimentare sospetti lo scultore cessa di frequentare casa Brentani innescando il risentimento di amalia. tocca quindi a emilio «scolpare l’amico» (ivi, p. 517) agli occhi di lei. 30 Ivi, p. 511. 31 Ibidem. 32 Ivi, p. 482. 33 Ibidem. 34 Ivi, pp. 573-574. aggiungo che nella descrizione degli indumenti gettati alla rinfusa sul pavimento spicca il dettaglio feticistico delle scarpe su cui l’autore getta un faro di luce («alcuni panni giacevano sotto il letto, la camicia era chiusa fra le due vetriate della finestra e i due stivali, con evidente accuratezza, erano posti proprio nel centro del tavolo» (ivi, p. 574). sull’attrazione feticistica del triestino per il sesso femminile cfr. almansi (Il tema dell’incesto, cit., pp. 58-60), che però si sofferma per lo più sulla Coscienza di Zeno (in particolare, per l’adorazione 28 complesso del martire e senso di colpa in SENILITÀ di svevo 133 anche dopo essersi staccato dal capezzale di lei in caccia di soccorsi la mente è assalita da quella ‘scabrosa’ memoria visiva fraterna35. Lo scoppio della malattia di amalia irrompe inopinatamente nel torpore esistenziale di emilio: è pari a un sasso scagliato con cieca violenza nelle acque stagnanti in cui si adagia il suo rapporto con la realtà. La visione improvvisa dell’inferma marchierà a lettere di fuoco di qui in avanti la vita di lui: «aperse la porta evitando di far rumore e gli si presentò agli occhi uno spettacolo del cui ricordo non seppe mai più liberarsi»36. e a strettissimo giro: «durante tutta la sua vita bastò che i suoi sensi fossero colpiti dall’uno o dall’altro dei particolari di quella scena, per ricordarla immediatamente tutta, per fargliene sentire lo spavento, l’orrore»37. L’uomo, obnubilato fino a quel momento dal pensiero dominante di angiolina, si rende conto veramente solo allora di aver ‘tradito’ la sorella preferendole la compagnia dell’amante, abbandonandosi così al «rimpianto di aver dedicato ad una simile donna tanta parte della propria vita»38. e dunque il sesso fuori delle mura di casa è percepito come una colpa verso il nucleo familiare di appartenenza39. se nel caso di emilio la presunta malattia resta confinata nell’ambito psicologico, altro è l’iter che essa compie nel caso della sorella: in lei si somatizza e si acutizza fino a diventare letale. «inizia qui la metamorfosi di amalia, da insignidei gambaletti: «anche i sogni più audaci di zeno sembrano arrestarsi, faute de mieux, ai loro stivaletti», ivi p. 60; e cfr. contini, Le lettere malate di Svevo, cit., p. 72). a proposito del richiamo per le estremità nude di amalia (che inconsciamente pare voler sedurre il fratello mettendo in mostra alcune sue parti anatomiche) in questo passo segnalo ancora poco più avanti: «ritornò alle gambe nude ove (scil. emilio) si fermò con tanta curiosità» (svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 574); «si trovò (scil. amalia) nella destra un dito del proprio piede; lo coperse con la mano che poi si sollevò chiusa come se avesse afferrato qualche cosa. era vuota però ed ella lo guardò più volte; poi ritornò al proprio piede pronta a curvarsi di nuovo per ritornare a quella strana caccia» (ivi, p. 575); «portò (scil. amalia) senza pudore una gamba dopo l’altra sul letto e si lasciò ricoprire» (ibidem). osservo infine che un analogo turbamento coglie emilio alla vista delle calzature dell’amante («egli vide rilucere le scarpe nere di angiolina. ne fu subito turbato», ivi, p. 531). 35 «oh, quale dolore ricordarne la compassionevole nudità!» (ivi, p. 578). tale pietismo nasconderà fantasie proibite represse («emilio non ha difese di fronte alla nudità di amalia, che aveva scrupolosamente segregato, e che ora la malattia lo costringe a guardare», palmieri - Vittorini, in svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 1493). 36 Ivi, p. 573. 37 Ibidem. L’«orrore» è, freudianamente, la manifestazione del senso di colpa di matrice incestuosa. 38 Ivi, p. 596. 39 cfr. robison, senilità: The Secret of Svevo’s Weeping Madonna, cit. p. 76. 134 salvatore francesco lattarulo ficante cassa di risonanza delle emozioni di emilio a personaggio di primo piano […], con il manifestarsi della malattia»40. L’entrata in scena del medico, intempestiva rispetto alla gravità della paziente, a seguito di un ulteriore comportamento omissivo da parte del convivente41, dà vita a un «interrogatorio»42 clinico in cui il dottor carini, supportato dal Balli, mette quasi alla sbarra l’‘indiziato’ emilio43. il medico, che pure ha ipotizzato come diagnosi una polmonite acuta all’ultimo stadio, cerca di indagare sull’eziologia della malattia che a suo avviso doveva già aver mostrato i suoi segni nei giorni addietro. sottinteso: come mai il fratello non se n’era accorto prima? «di nuovo emilio doveva scolparsi di quel passato che giaceva tanto lontano da lui»44. La situazione si complica quando carini prospetta che il fisico di amalia sia stato fiaccato dall’uso di alcool. ella ha compromesso la sua integrità fisica dandosi al bere per obliare la sua vita infelice. per emilio è una malignità intollerabile che lede la reputazione integerrima della sorella. Ma né il dottore né lo scultore prestano fede alla difesa del fratello a favore della moribonda e, in fondo, di sé medesimo45. sul capo 40 palmieri - Vittorini, in svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., pp. 1421- 1422. 41 a emilio, schiacciato dal dispiacere, passa di mente di interpellare un dottore. tocca al Balli rimediare a questa gaffe. «Brentani, con straordinario atto mancato ante litteram, dimentica di chiamare il medico per la sorella e anticipa in questo zeno e ada, responsabili [nella Coscienza di Zeno] rispettivamente del tardivo intervento in soccorso del padre e di Guido agonizzanti» (alberto cavaglion, L’igienista vecchio. Figure di medici nella coscienza di zeno, «Letteratura italiana contemporanea», Vi, 1985, n. 15, p. 106). invero emilio – ironia della sorte –, prima che la vicenda degenerasse nella catastrofe, aveva ammonito di chiamare il dottor carini dicendosi preoccupato per il colorito smorto di amalia; allora era stato proprio il Balli a non dargli manforte! (vd. svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., pp. 523-524). 42 Ivi, p. 588. 43 L’attendibilità dell’accertamento medico è tuttavia, mi sembra, messa sub iudice dal mediocre curriculum professionale di carini, cui svevo dà finanche del «dilettante» (ivi, p. 584). sulla «incapacité» delle figure mediche nella narrativa del triestino si veda annie Lalanne-olive, Svevo et le savoir médical, «revue des Études italiennes», XXXiX (1993), nn. 1-4, p. 141. Va detto che screditare la professionalità del dottore è una forma di colpevolizzazione dell’altro e un’indulgenza verso se stessi. in maniera non dissimile zeno accusa il dottor coprosich di dubbia deontologia per scaricare su di lui «di riflesso anche la colpa» della morte del padre (albertocchi, I sogni di Zeno, cit., p. 73). 44 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 587 (corsivo mio). si aggiunga che il progressivo deperimento organico di amalia, di cui emilio crede di scorgere delle tracce esteriori, è un campanello d’allarme per la sua salute che viene sottovalutato da chi le sta accanto. 45 anche in un’altra circostanza emilio ha cercato di tutelare l’immagine della sorella al co- complesso del martire e senso di colpa in SENILITÀ di svevo 135 di emilio pende allora anche l’insinuazione di aver contribuito con il suo lassismo a fare dell’incorruttibile amalia un’incorreggibile ubriacona46. 4. La prima accusa in ordine di tempo che viene indirizzata a emilio muove dalle labbra di angiolina, che gli rinfaccia apertamente di essersi fidanzata con il laido Volpini stante il rifiuto del suo amante ad avere con lei una relazione alla luce del sole e a farla sua moglie: sei stato tu la colpa che mi sono data a lui. – Vedendolo sorpreso di quell’incolpazione, fatta per la prima volta con violenza, ella si corresse: – se non per tua colpa, certo per amor tuo. con queste dolci parole lo lasciò ed egli restò convinto che l’incolpazione non era stata fatta per altro motivo che per indurlo ad appoggiarla con tutte le forze in quella lotta che stava per imprendere contro il Volpini47. La lettera che emilio deve scrivere a Volpini, in replica alle critiche fatte per iscritto da costui ad angiolina a proposito della sua dubbia moralità, è una sorta di risarcimento morale verso la donna, un modo per discolparsi agli occhi di lei e di emendare un proprio fallo ascrivibile alla sua natura prudente frutto dell’asservimento alle convenzioni sociali. Vero è che nelle valutazioni del promesso sposo della zarri c’è una base di attendibilità: ella sarebbe volubile, insincera e opportunista. tratti della personalità di lei che lo stesso suo amante avrebbe sperimentato sulla propria pelle. sicché angiolina avrebbe buon gioco a far sentire in colpa emilio per allontanare da sé l’immagine del proprio torto. una circostanza emotiva analoga – lei che per discolparsi incolpa lui – ricorre nel terzo capitolo, quando angiolina, prima di andare in chiesa a confessarsi rifiuta un, per altro innocente, bacio di emilio per presentarsi paradossalmente ‘senza macchia’ davanti al prete: – Ho già tanti peccati sulla coscienza – disse ella seria, seria, – che oggi mi spetto del Balli, quando si è provato a «togliere da amalia qualunque aspetto di colpa» (ivi, p. 524) circa il suo interesse per lo scultore. 46 tale accorata apologia è anche un tentativo disperato per redimersi agli occhi di lei: «emilio tentò d’attaccarsi ad amalia proteggendola, difendendola ad onta che persino nel delirio ella lo respingesse da sé» (ivi, p. 594). È singolare che anche angiolina cada a un certo punto nel vizio dell’etilismo. in tal caso, tuttavia, emilio si mostra non solo comprensivo ma, sotto sotto, persino contento, visto che l’amante in stato di ebrezza gli si concede per un’accesa notte di sesso. 47 Ivi, p. 567. 136 salvatore francesco lattarulo sarà ben difficile di ottenere l’assoluzione. per colpa tua mi presento al confessore con l’animo mal preparato48. tuttavia emilio, come si diceva, assume il compito di redigere per conto di lei la missiva per il sarto come forma inconscia di espiazione49. È significativo che tale riparazione sia affidata al mezzo della scrittura, l’effettiva vocazione di emilio, che cova in petto una smisurata ambizione letteraria, una tale smania di grandezza da ricondursi, direi, a una sorta di ‘sindrome di napoleone’50, equivalente a quella dell’alfonso nitti di Una vita51. proprio la «carriera», del tutto verisimilmente letteraria, insieme alla «famiglia»52, è la barriera che sin da subito emilio frappone alla possibilità di coltivare una storia seria con angiolina. ora egli ha l’occasione di mettere a disposizione dell’amata quell’abilità retorica di home de lettre che, a conti fatti, pare essere la sua sola oscura ragione di vita («la risposta colò intera dalla penna esperta di emilio»)53. Ma anziché essere messa al servizio del nobile genere del romanzo l’arte di scrivere si presta alla stesura di una modesta lettera privata54. da narratore apprezzato il Brenta48 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 429 (corsivo mio). più avanti svevo aggiunge: «gridava [angiolina] mea maxima culpa quando egli diventava troppo esigente» (ivi, pp. 429-430). il latinismo ecclesiastico è impiegato «da lei – sottolinea Maria santi – per prevenire il costante rimprovero di emilio» in relazione alla sua lascivia «(benché venga inteso come ammissione di colpa)» (Angiolina e Amalia, ovvero della crisi di un sistema letterario e sociale, in tatiana crivelli [a cura di], Selvagge e Angeliche. Personaggi femminili della tradizione letteraria italiana, Leonforte, insula, 2007, p. 188). sullo «spregiudicato uso del linguaggio religioso» da parte della zarri si veda anche Gian paolo Biasin, Un deo gratias qualunque: Svevo, il linguaggio, il sapere, «italica», LXi (1984), n. 2, p. 135. 49 a una ragazza del popolo qual è angiolina scrivere, sia pure una lettera, è attività che poco si confà. anche quando emilio l’allontana, questi spera invano di ricevere da lei una lettera di riconciliazione. 50 sulla falsariga di Giuliano, il protagonista di Rosso e Nero di stendhal. anna Guarnieri ortolani vede nel narcisismo di emilio un’«esasperazione dell’individualismo di stendhal» (Dostoevskij e Italo Svevo, «rivista di letterature moderne», iX, 1946, n. 1, p. 302). sull’alta ricorrenza delle citazioni della figura di «napoleone nelle pagine sveviane» si rinvia a alberto cavaglion, Italo Svevo, Milano, Bruno Mondadori, 2000, pp. 121-123. 51 «dinanzi a un libro pensato faceva sogni da megalomane» (svevo, Una vita, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 70); «trovava la sua felicità da una parte nello studio accanito stesso, dall’altra nella sua ambizione cresciuta gigante, la fame di gloria. sentiva di essere superiore agli altri» (ivi, p. 76); «per completare qualche sogno da megalomane» (ivi, p. 86). 52 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 403. 53 Ivi, p. 570. 54 Quello della lettera è uno stratagemma narrativo largamente diffuso nella letteratura di ogni tempo e di ogni latitudine. Giova ricordare che il romanzo precedente di svevo, Una vita, complesso del martire e senso di colpa in SENILITÀ di svevo 137 ni si degrada al rango di un marginale scribacchino. oltretutto quella missiva è un atto di viltà, poiché ha lo scopo di ricucire il legame di fidanzamento tra la zarri e il Volpini rendendo ancora aperta la porta al matrimonio della coppia. solo al momento di spedirla emilio ne prende davvero atto: ella lo congedò e, per ultimo saluto, lo pregò di imbucare la lettera al Volpini. così egli si trovò in mezzo alla via con quella lettera in mano, segno palpabile dell’azione più bassa ch’egli avesse compiuto in vita sua, ma di cui aveva coscienza soltanto allora che angiolina non era più seduta accanto a lui55. si potrebbe dire che qui viene ineluttabilmente a galla il senso di colpa del protagonista nella cui mente sembrano riecheggiare le parole di biasimo di angiolina che poco prima, come s’è visto, gli ha contestato di averla gettata nelle mani di un uomo privo di scrupoli. L’epistola al sarto celebra allora il ricorso a un uso ‘malato’, alienato della scrittura, laddove permane l’inibizione di emilio a produrre un nuovo romanzo nel segno di una ‘sana’ continuità con l’attività di narratore iniziata tempo addietro56. dopo l’uscita della sua opera prima, il Brentani ha infatti lasciato seguire un lungo silenzio. Quello con la creazione letteraria è nel suo caso – mi sia concesso esprimermi così – un coitus interruptus57. egli soffrirebbe quindi del ‘blocco dello scrittore’58. rinunciando a fare di angiolina la sua legittima sposa, ritagliandosi persino un ruolo da ruffiano per favorire le nozze tra lei e Volpini, emilio si abbandona a una relazione infeconda con la donna, che metterei sullo stesso piano della sterilità artistica59. si apre con una lettera del protagonista alla madre. anche alfonso nitti è un aspirante scrittore, costretto tuttavia al ruolo di copialettere nella banca in cui lavora. 55 Ivi, p. 572. 56 un simile contegno potrebbe essere fatto risalire a ciò che in psicanalisi è un atto mancato: la composizione della lettera equivale a uno slittamento verso un surrogato della scrittura artistica. 57 una poetica del ‘canone sospeso’ per mutuare una locuzione di umberto eco (Opera aperta. Forma e indeterminazione delle poetiche contemporanee, Milano, Bompiani, 1962, p. 33). 58 tale afflizione nevrotica è stata indagata da edmund Bergler, The Writer and Psychoanalysis, 1950, tr. it., La letteratura come nevrosi. Lo scrittore e la psicanalisi, rimini, Guaraldi, 1974. 59 un aborto estetico si rivela lo sforzo di scrivere un nuovo romanzo, di cui si narra nel cap. X, che esita in un immedicabile horror vacui («rimaneva estatico dinanzi alla carta bianca», svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 530). La frustrazione letteraria, attiva e passiva (apatia sia verso la scrittura ma anche verso la lettura), è il portato della crisi sentimentale con angiolina. È proprio in questa zona del testo che aggalla la parola «inettitudine» (ivi, p. 138 salvatore francesco lattarulo un altro aspetto che induce emilio a colpevolizzare se stesso è la circostanza di aver sublimato la figura di angiolina fino a volersi imporre la privazione di godere del suo corpo vivendo quasi in un regime di castità forzata. egli si ascrive il grave torto di aver trasfigurato una creatura femminile votata per natura all’infedeltà al punto tale di affliggersi fino all’estremo per i suoi continui adulteri: se egli avesse voluto, voluto energicamente, sarebbe stata sua. invece era stato solo intento a mettere in quella relazione un’idealità che aveva finito col renderlo ridicolo anche ai propri occhi. s’alzò da quel muricciolo più quieto ma più affranto di quando vi era seduto. tutta la colpa era sua. era lui l’individuo strano, l’ammalato, non angiolina. e questa conclusione avviliente lo accompagnò fino a casa60. È qui, per la prima volta, che il protagonista mette a referto il proprio status di «ammalato». né va passato sotto silenzio che tale autodiagnosi si compie in concomitanza con l’assunzione dinanzi alla propria coscienza dello status di imputato61. La sindrome del reo diventa così tutt’uno con la condizione patologica dell’individuo. ai suoi occhi questa epifania interiore del male di vivere diventa il preannuncio della «guarigione»62. 5. solo troppo tardi emilio realizza il proposito che accarezzava da tempo («rotta la relazione con angiolina egli si sarebbe potuto dedicare interamente alla sorella. sarebbe vissuto al dovere»)63. in realtà la rupture sentimentale, perentoriamente decisa allo spirare del cap. Vi e sottoposta invero a un ambiguo 529), da leggersi, perciò, non tanto genericamente come inabilità a vivere la vita quanto piuttosto segnatamente come inidoneità a narrare la vita. 60 Ivi, pp. 481-482. 61 c’è anche da sottolineare che dirsi malato è una maniera per giustificare la sensazione colposa. un’autodifesa per surrogazione sintetizzabile con alfonso Berardinelli nella locuzione «malato anziché peccatore» applicata a cosini («La coscienza di Zeno», ovvero: la salute impossibile e la saggezza inutile, in Il romanzo, vol. V, a cura di Franco Moretti, pier Vincenzo Mengaldo, ernesto Franco, torino, einaudi, 2003, p. 455). 62 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 481. come ‘terapia’ emilio si prescrive di prendere angiolina con la forza, trattandola da pari a pari (vd. il finale del cap. X). cionondimeno questa condotta violenta tra le lenzuola, poco consentanea all’indole mite di emilio, resterà confinata allo spazio di una sola sera. che il Brentani sia ancora lontano dal recupero della ‘salute’ è del resto un’intima convinzione del Balli, che funge un po’ da praeceptor amoris dell’amico («la guarigione di emilio doveva essere opera del tempo», ivi, p. 555). 63 Ivi, p. 483. complesso del martire e senso di colpa in SENILITÀ di svevo 139 regime dilatorio, non farà che alimentare nuovi sensi di colpa nell’artefice del rifiuto, tanto verso se stesso quanto verso la donna64. convintosi una buona volta dell’assoluta immoralità di lei («ella era definitivamente perduta»)65, egli constata al tempo stesso di essersi imposto un inutile castigo reprimendo la propria libido per non aver approfittato delle grazie di angiolina alla stregua degli altri suoi amanti («aveva punito se stesso. tutti l’avevano posseduta meno lui. perciò il deriso tra tutti quegli uomini era lui»)66. La persuasione di essersi inflitto una pena con le sue sole proprie mani, che ha come precedente un testo noto quale L’heautontimorouménos di Baudelaire (Le fleurs du mal, LXXXiii) – che è un po’ il manifesto lirico della pulsione autodistruttiva propria della cultura decadente a cavallo tra i due secoli passati e di cui sarà a sua volta debitore il Totò Merùmeni dei Colloqui di Gozzano – si spinge fino a recriminare un moto autolesionistico («avrebbe dovuto picchiare se stesso»)67. L’impulso masochistico68 tocca quasi il culmine nel momento in cui emilio proclama, a fronte della tanto biasimata natura fedifraga di angiolina, di nutrire cionondimeno per la ragazza del popolo un amore superlativo. tale parossistica dichiarazione d’amore sembra attualizzare l’antica formula messa a dimora da catullo nel celebre carme LXXii, secondo cui la passione erotica è inversamente proporzionale alla dimensione affettiva, poiché aumenta con il decrescere di quella («amare magis, sed bene velle minus»). a rendere più aggrovigliate le maglie di questo intreccio emotivo sta il simultaneo cruccio di emilio di essersi sbagliato sul conto di angiolina, la cui presunta promiscuità sessuale sarebbe il frutto esclusivo della sua morbosa gelosia («egli aveva stranamente collabora64 «La dialettica tra divieto e trasgressione, assunzione d’impegno e deroga, riprovazione e godimento, colpa e rimorso – osserva Giuseppe Langella – rientra nella sfera del “malato immaginario”» (La «dolce malattia». Intorno a una pagina di Svevo, in «Lettere italiane», XLVii, 1995, n. 2, p. 281). 65 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 487. 66 Ivi, pp. 492-493. al contempo in lui «il possesso carnale è vissuto con disgusto e senso di colpa» (Guido Baldi, Le maschere dell’inetto. Lettura di «Senilità», torino, paravia, 1998, p. 16). 67 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 492. La locuzione è anch’essa memore dell’incipit della citata lirica di Baudelaire, in cui il poeta rivolgendosi a se stesso dice: «Je te frapperai sans colère». 68 «un desiderio di autopunizione – osserva Giovanna Miceli-Jeffries – da scontare con l’angoscia delle delusioni e il disprezzo di se stessi» (Per una poetica della senilità: la funzione della donna in senilità e un amore, in «italica», LXVii, 1990, n. 3, p. 363). sul masochismo di emilio si veda anche robison, senilità: The Secret of Svevo’s Weeping Madonna, cit., pp. 63-65. Freud insegna che il senso di colpa coincide con «il bisogno di essere puniti» (Il disagio della civiltà, cit., p. 614). 140 salvatore francesco lattarulo to a vedere in angiolina ciò che ella non era, che era stato lui a creare la menzogna»)69. e finanche quando, verso il termine del romanzo, emilio scaccia – questa volta per sempre – l’amante gettandole addirittura delle pietre addosso – in una scena drammatica che pare alludere con un rovesciamento di piani al celebre episodio evangelico dell’adultera70 –, egli sarà assalito da un ennesimo senso di colpa: «– non la rivedrò mai più – disse come per rispondere ad un rimprovero»71. 6. L’ultimo capitolo del romanzo può essere letto come il luogo della remissione della colpa: «era passata la morte, il grande misfatto, ed egli sentiva che i propri errori e misfatti erano stati del tutto dimenticati»72. Quasi a intendere che davanti alla iniquità dell’evento tanatologico (imago mortis) la specie umana non può che rivendicare la propria completa innocenza. rea di tutto è «l’impassibilità del destino»73, lemma ubiquo del romanzo e che sin dall’avvio contrassegna le vite di amalia ed emilio74: «non v’era colpa, per quanto ci fosse tanto danno»75. La fine prematura della sorella – e in particolare la pietà suscitata dalle ultime ore del coma – è fonte di una palingenesi attraverso cui procurarsi l’oblio della sensazione di colpevolezza che preme sul recente passato: «erano tutti i ricordi della propria colpa. Bisognava coprire il tutto con la morte di amalia»76. La sintesi conclusiva degli opposti attraverso cui emilio realizza la fusione delle due immagini femminili rivali, la defunta amalia e la fuggita angiolina, 69 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 494. «io sono ammalato di gelosia – confessa emilio a stefano –, solo di gelosia» (ivi, p. 501). 70 cfr. robison, senilità: The Secret of Svevo’s Weeping Madonna, cit., p. 78. 71 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 603. «il rimpianto per non aver potuto dire l’ultima, risolutiva parola, che potrebbe mettere le cose a posto e cancellare colpe e rimorsi segna tutti e tre i protagonisti dei romanzi di svevo: ad alfonso viene negato l’ultimo colloquio con annetta Maller, a emilio resta l’amarezza per non aver saputo convincere amalia della propria innocenza, a zeno il rimorso per non essersi potuto discolpare presso il padre morente» (palmieri - Vittorini, in svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 1515). 72 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 615. 73 Ivi, p. 599. 74 sulla valenza martellante in Senilità del termine ‘destino’, che fa dei personaggi che vi sono assoggettati gli eroi di un canto tragico, si veda eduardo saccone, senilità di Italo Svevo: dalla “impotenza del privato” all’“ansiosa speranza”, «MLn», 82 (1967), n. 1, pp. 1-55 (in part. pp. 38-42). 75 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 599 (corsivo mio). 76 Ivi, p. 616 (corsivo mio). complesso del martire e senso di colpa in SENILITÀ di svevo 141 risana il conflitto interiore del protagonista. L’attribuzione all’ex amante dei tratti umorali della perduta sorella (la tristezza, l’inerzia, l’intellettualità) produce nella fantasia artistica di emilio un idolo a due facce verso cui provare un amore eterno, dal momento che quest’ultimo è la somma di «ammirazione» (leggi amalia) e «desiderio»77 (leggi angiolina). ora è moralmente lecito ‘amare’ amalia in angiolina, pressoché a dire che lo stimolo incestuoso78 si è convertito in tensione esogamica. nelle battute terminali ciascuno dei tre attori di questo triangolo amoroso viene, a conti fatti, sollevato dal sospettato stato di colpa. È prosciolta angiolina dall’imputazione morale di aver provocato indirettamente la morte di amalia in nome del già evocato principio della fatalità del male («Ma quella colpa non poteva esserle rimproverata. oh, il male avveniva, non veniva commesso»)79. e soprattutto è sgravata da ogni addebito etico la coppia fraterna in nome di una visione ironica e disincantata del mondo e dei vizi umani che maturerà a pieno nel futuro romanzo di zeno: per l’antica abitudine di ripiegarsi su stesso e analizzarsi, gli [a emilio] venne il sospetto che forse il suo stato d’animo era risultato dal bisogno di scusarsi e di assolversi. ne sorrise come di cosa comicissima. come erano stati colpevoli lui e amalia di prendere la vita tanto sul serio!80 Ivi, p. 621. osserverei che nella novella sveviana Marianno si ritrova una situazione narrativa non del tutto difforme dal plot di Senilità. il protagonista è un trovatello che viene a un certo punto incolpato dalla matrigna Berta di aver contagiato della sua stessa malattia la sorellina acquisita di nome adele. L’ingiusta accusa della madre adottiva produce in Marianno un senso di colpa («egli se ne sarebbe andato, grattandosi la parte lesa, conscio di una colpa […]»; «egli non sapeva ancora di quale colpa fosse accusato ma piangendo in compagnia di adele si sentiva punito in compagnia sua ciò che non poteva non essere giusto», italo svevo, [Marianno], in id., Racconti e scritti autobiografici, edizione critica con apparato genetico e commento di clotilde Bertoni. saggio introduttivo e cronologia di Mario Lavagetto, Milano, Mondadori, 2004, pp. 334-335). e, come in Senilità, anche qui affiora «la natura ambiguamente erotica del rapporto del protagonista con la sorellastra» (caterina Verbaro, Il paradigma della memoria: la riscrittura di Marianno e la sua datazione, in Italo Svevo and his legacy for the third millenium, cit., p. 239). 79 svevo, Senilità, in id., Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 598 (corsivo mio). 80 Ibidem (corsivi miei). 77 78