ISSN 1974-2681
CIVILTÀ TAVOLA
ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA
ISTITUZIONE CULTURALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI
www.accademia1953.it
N. 255, DICEMBRE 2013/ MENSILE, POSTE ITALIANE SPA, SPED. ABB. POST. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1 COMMA 1 - DCB ROMA
DELLA
ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA
SOMMARIO
CARI ACCADEMICI...
CENTRO STUDI “FRANCO MARENGHI”
3
13
La tradizione e i giovani
(Giovanni Ballarini)
I NOSTRI CONVEGNI
FOCUS
5
Ciò che un buon Accademico
non deve dimenticare
(Paolo Petroni)
CONSULTA ACCADEMICA
6
La cucina di Babele
(Silvia De Lorenzo)
Tema dell’anno 2014: il riso
L’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA
È STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI
E DA LUIGI BERTETT, DINO BUZZATI TRAVERSO,
CESARE CHIODI, GIANNINO CITTERIO, ERNESTO DONÀ
DALLE ROSE, MICHELE GUIDO FRANCI, GIANNI MAZZOCCHI
BASTONI, ARNOLDO MONDADORI, ATTILIO NAVA,
ARTURO ORVIETO, SEVERINO PAGANI, ALDO PASSANTE,
GIAN LUIGI PONTI, GIÒ PONTI, DINO VILLANI,
EDOARDO VISCONTI DI MODRONE,
CON MASSIMO ALBERINI E VINCENZO BUONASSISI.
16
Fra tagli e rigaglie
(Maria Cristina Carbonelli
di Letino)
SICUREZZA & QUALITÀ
29
Il nome proprio
sull’etichetta
(Gabriele Gasparro)
CULTURA & RICERCA
22
Artusi e il quinto quarto
(Giuliano Relja)
LE RUBRICHE
8
Dolci di Natale a Napoli
(Elisa Gloria Contaldi Iodice)
24
9
Curiosità sulle frattaglie
(Elisabetta Cocito)
I dolci che allontanano
la morte
(Roberto Dottarelli)
26
Regina d’autunno:
la castagna!
(Danila Saraceno)
10
21
25
30
31
35
28
Un ortaggio spesso
sottovalutato
(Publio Viola)
11
Cucina natalizia vastese
(Pino Jubatti)
14
Roma d’inverno
(Gabriele Gasparro)
15
Sulla storia della spongata
di Brescello
(Lucio Piombi)
18
La tavola dei miracoli
(Adriana Liguori Proto)
20
Tartufo:
il profumo della terra
(Alfredo Pelle)
47
56
73
78
Calendario accademico
Accademici in primo piano
Le ricette d’Autore
In libreria
Dalle Delegazioni
Dalle Delegazioni Ecumenica
Vita dell’Accademia
Vita dell’Accademia Ecumenica
Carnet degli Accademici
International Summary
In copertina: particolare della “Madonna della
melagrana”
Sandro Botticelli (1487)
Galleria degli Uffizi, Firenze
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PA G I N A 1
CULTURA & RICERC A
I dolci che allontanano la morte
Perché si offrono dolci ai bambini? E perché proprio dolci? E perché, spesso, questi
hanno un aspetto umano? Le risposte ci vengono anche dal libro “Babbo Natale
giustiziato” di Claude Lévi Strauss.
DI ROBERTO DOTTARELLI
Accademico di Roma Castelli
N
el numero di novembre
2013 è stato ospitato uno
stimolante articolo di Giuseppe Cangemi, relativo alla tradizione siciliana di offrire ai bambini “pupi
di zuccaro” in occasione della festività dei Morti. Curiosamente, proprio
nel periodo in cui è uscito l’articolo,
stavo rileggendo una breve pubblicazione di Claude Lévi-Strauss: Babbo
Natale giustiziato edito da Sellerio nel
1995 e, in particolare, l’introduzione
di Antonino Buttitta, che si sofferma
anche sulla tradizione siciliana dei
“pupi di zuccaro”.
E allora, andando oltre i pungoli suscitati da Cangemi, vorrei divertirmi
a rispondere alle domande, che potrebbero nascere in altri attenti lettori
del suo articolo.
Perché si offrono dolci ai bambini? E
perché proprio dolci? E perché, come
nel caso dei dolci siciliani, hanno
PA G I N A 2 4
l’aspetto umano e, come cita Cangemi, li si cercava somiglianti ai
propri antenati?
Innanzitutto Lévi-Strauss pone le
basi del suo ragionamento sul
fatto che queste e altre usanze,
legate al culto dei morti, ricadono nel periodo invernale. Il progredire dell’autunno, che, specie nelle regioni più settentrionali porta ad una forte riduzione della luce solare, provoca
una temporanea sospensione
della vita.
Le piante con un ciclo annuale
si estinguono, molti animali
vanno in letargo. In tutte le
società antiche del Vecchio
Mondo, ma anche in alcune del Nuovo, il periodo invernale è associato
alla morte (si legga Passaggio a
Oriente, 2013).
È per questo che, in un periodo favorevole alla morte, si ritrovano credenze sul ritorno dei morti, talvolta
anche minaccioso, che vanno mitigate attraverso uno scambio di beni e
servigi. Tutte queste credenze e i
comportamenti ritualizzati ad esse
collegati, infatti, fanno parte di un
diffuso rito di passaggio (Vaan Gennep, I riti di passaggio, 1981), per separare vivi e morti e assicurare a
questi ultimi la loro appartenenza
definitiva all’aldilà.
A tale proposito, Buttitta cita l’uso
diffusissimo di deporre alimenti nelle
tombe dei defunti per assicurare loro
la sopravvivenza durante l’attraversamento necessario per raggiungere
l’altro mondo e la credenza, altrettanto diffusa, degli spiriti dei defunti che
non riescono a raggiungere l’oltretomba, perché non hanno ricevuto
sepoltura.
Ma vi è anche un altro livello di significazione. Scrive Mircea Eliade (Trattato di storia delle religioni, 1957)
“l’agricoltura, come tecnica profana e
come forma di culto, incontra il mondo dei morti su due piani distinti. Il
primo è la solidarietà con la terra; i
morti, come i semi, sono sotterrati,
penetrano nella dimensione ctonia
accessibile a loro soli… Simili ai semi
sepolti nella matrice tellurica, i morti
aspettano di tornare alla vita sotto
nuova forma. Per questo si accostano
ai vivi, specie nei momenti in cui la
tensione vitale delle collettività raggiunge il massimo, cioè nelle feste
dette della fertilità”. Ecco spiegato
perché si offrono dolci ai bambini.
Perché i bambini svolgono una funzione di mediazione: sono più vicini
ai morti di quanto non lo siano gli
adulti. Spiega Buttitta: “essi, nella
percezione arcaica, rappresentano
per la continuità della società quello
che le sementi costituiscono per la rinascita della vegetazione”.
Dunque, in una visione ciclica della
vita, i bambini rappresentano lo stadio successivo a quello raggiunto dai
defunti: “grazie a essi la morte si converte in vita: i morti possono ritornare a vivere”. Non a caso, in molte società tradizionali, i nomi dei nonni
passano ai nipoti.
Offrire dolci ai bambini equivale a
fornire energia alla natura che si rinnova. E, fin dall’antichità, era noto
come le maggiori energie potessero
essere trasmesse attraverso alimenti
CULTURA & RICERC A
dolci. Per esempio il miele, insieme ai
semi di papavero e di lino triturati
(memelitomenen), costituiva una miscela dall’elevato potere calorico, utilizzata dagli Spartani, per resistere
all’assedio ateniese del promontorio
di Pilo nel Peloponneso. Non riteniamo sia un caso che, nella maggior
parte dei dolci impiegati nei rituali
invernali, il miele costituisca uno degli ingredienti più diffuso (si pensi ai
“Lebkuchen” tedeschi o ai “mostazzoli” nostrani).
Rimangono ancora due domande cui
rispondere: perché ad alcuni di questi
dolci si dava l’aspetto umano e si sperava che vi fossero somiglianze con i
propri parenti morti? La spiegazione
risiede in un’antica usanza latina, da
cui poi è discesa anche la nostra tradizione del presepe.
L’usanza latina si riferisce al culto dei
Lari, antenati defunti che, secondo le
tradizioni romane, vegliavano sulla
famiglia e sulle sue proprietà.
Gli antenati venivano raffigurati con
una statuetta, di terracotta, legno o
cera, chiamata sigillum, collocata,
all’interno della domus, in una nicchia dell’altare chiamato larario, nella quale era riprodotta una scena che
raffigurava un elemento caratteristico della proprietà familiare.
In prossimità del solstizio d’inverno
(21 dicembre), si svolgeva la celebrazione dei Sigillaria e, come riporta
Svetonio, a Roma e nelle principali
città dell’Impero, poco prima della festività, si tenevano i mercatini sigillari, dove venivano poste in vendita le
figurine (sigilla), tra cui anche una
varietà di marzapane, da offrire in regalo ai bambini.
Il villaggio globale e la società dei
consumi di massa stanno un po’ alla
volta sommergendo usi e costumi locali, che, come si può vedere, hanno
radici millenarie. Bene ha fatto Cangemi a ricordarci l’usanza dei “pupi di
zuccaro”: a noi Accademici spetta
proprio il compito di mantenere vive,
il più a lungo possibile, le tradizioni
dei nostri territori e dei nostri avi.
NATALE CON ARTUSI
7. CAPPELLETTI ALL’USO DI ROMAGNA
Ricotta, oppure metà ricotta e metà cacio raveggiolo, grammi 180; mezzo petto di cappone cotto
nel burro, condito con sale e pepe, e tritato fine fine colla lunetta; parmigiano grattato grammi
30; uova, uno intero e un rosso; odore di noce moscata, poche spezie, scorza di limone a chi piace;
un pizzico di sale.
Assaggiate il composto per poterlo al caso correggere, perché gl’ingredienti non corrispondono
sempre a un modo. Mancando il petto di cappone, supplite con grammi 100 di magro di maiale
nella lombata, cotto e condizionato nella stessa maniera. Se la ricotta o il raveggiolo fossero troppo
morbidi, lasciate addietro la chiara d’uovo oppure aggiungete un altro rosso se il composto riescisse troppo sodo. Per chiuderlo fate una sfoglia piuttosto tenera di farina spenta con sole uova
servendovi anche di qualche chiara rimasta, e tagliatela con un disco rotondo. Ponete il composto
in mezzo ai dischi e piegateli in due formando così una mezza luna; poi prendete le due estremità
della medesima, riunitele insieme e avrete il cappelletto compito. Se la sfoglia vi si risecca fra
mano, bagnate, con un dito intinto nell’acqua, gli orli dei dischi. Questa minestra per rendersi
più grata al gusto, richiede il brodo di cappone; di quel rimminchionito animale che per sua bontà
si offre nella solennità di Natale in olocausto agli uomini. Cuocete dunque i cappelletti nel suo
brodo come si usa in Romagna, ove troverete, nel citato giorno, degli eroi che si vantano di averne
mangiati cento, ma c’è il caso però di crepare, come avvenne ad un mio conoscente. A un mangiatore discreto bastano due dozzine.
346. SFORMATO DELLA SIGNORA ADELE
Burro grammi 100; farina grammi 80; gruiera grammi 70; latte mezzo litro; uova 4.
Fate una balsamella con la farina, il latte e il burro, e prima di levarla dal fuoco aggiungete il
gruiera grattato o a pezzetti e salatela. Non più a bollore, gettatevi le uova, prima i rossi, uno
alla volta, poi le chiare montate. Versatelo in uno stampo liscio col buco in mezzo, dopo averlo
unto col burro e spolverizzato di pangrattato, e cuocetelo al forno da campagna per mandarlo
in tavola ripieno di un umido di rigaglie di pollo e di animelle. Potrà bastare per sei persone.
540. CAPPONE ARROSTO TARTUFATO
Ammesso che un cappone col solo busto, cioè vuoto, senza il collo e le zampe, ucciso il giorno innanzi, sia del peso di grammi 800 circa, lo riempirei nella maniera seguente:
tartufi, neri o bianchi che siano poco importa, purché odorosi, grammi 250; burro, grammi
80; Marsala, cucchiaiate 5.
I tartufi, che terrete grossi come le noci, sbucciateli leggermente e la buccia gettatela così cruda
dentro al cappone, anche qualche fettina di tartufo crudo si può inserire sotto la pelle. Mettete il
burro al fuoco e quando è sciolto buttateci i tartufi con la Marsala, sale e pepe per condimento
e, a fuoco ardente, fateli bollire per due soli minuti rimuovendoli sempre. Levati dalla cazzeruola, lasciateli diacciare finché l’unto sia rappreso e poi versate il tutto nel cappone, per cucirlo
tanto nella parte inferiore che nell’anteriore dove è stato levato il collo. Serbatelo in luogo fresco
per cuocerlo dopo 24 ore dandogli così tre giorni di frollatua. Per la cottura, avvolgerlo in un foglio spalmato di burro diaccio spolverizzato di sale, che poi leverete a due terzi di cottura per finire di cuocerlo e di colorirlo al fuoco, ungendolo coll’olio e salandolo ancora.
617. CROCCANTE
Mandorle dolci, grammi 120; zucchero in polvere, grammi 100.
Sbucciate le mandorle, distaccatene i lobi, cioè le due parti nelle quali sono naturalmente congiunte, e tagliate ognuno dei lobi in filetti o per il lungo o per traverso come più vi piace. Ponete
queste mandorle così tagliate a fuoco ed asciugatele fino al punto di far loro prendere il colore
gialliccio, senza però arrostirle. Frattanto ponete lo zucchero al fuoco in una cazzeruola possibilmente non istagnata e quando sarà perfettamente liquefatto, versatevi entro le mandorle ben
calde, e mescolate. Qui avvertite di gettare una palettata di cenere sulle bragi, onde il croccante
non vi prenda l’amaro, passando di cottura, il punto preciso della quale si conosce dal color
cannella che acquista il croccante. Allora versatelo a poco per volta in uno stampo qualunque,
unto prima col burro od olio, e pigiandolo con un limone contro le pareti, distendetelo sottile
quanto più potete. Sformatelo diaccio e se ciò vi riescisse difficile, immergete lo stampo nell’acqua bollente. Si usa anche seccar le mandorle al sole, tritarle fini colla lunetta, unendovi un
pezzo di burro quando sono nello zucchero.
See International Summary page 78
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