Santarcangelo di Romagna
e i «dialetti dei dittonghi»
di Daniele Vitali e Luciano Canepari
0. Delimitazione dell'area
0.1. Nel 1917, Friedrich Schürr dava alle stampe il libro Romagnolische
Mundarten, contenente vari esempi di 10 dialetti romagnoli. Uno di questi era il
dialetto di Santarcangelo di Romagna, di cui risultava subito evidente la complessità
fonetica (malgrado le difficoltà d'interpretazione dovute all'impervia trascrizione
romanistica utilizzata dall'autore, il quale dichiarava che avrebbe voluto adottare
l'Alfabeto Fonetico Internazionale, ma di non averlo potuto fare per problemi
tipografici); da segnalare in particolare 4 dittonghi, così notati: aï, å°, éï, éu,
inesistenti a Ravenna, più eæ, in comune fra i due dialetti.
A quell'epoca, come osserva Giuseppe Bellosi nella sua prefazione al presente
volume, il santarcangiolese era un dialetto sostanzialmente privo di tradizione scritta,
e i suoi dittonghi facevano un effetto strano ai romagnoli circostanti, cui sembravano
segno di un idioma rustico e incomprensibile («periferico», come dice giustamente
Bellosi nella prefazione, e «marginale» come si legge in Bellosi 2005, anche se poi la
cittadina non è certo irrilevante: aveva 7!759 abitanti nel 1861 e ne ha 21!118 nel
2012, inoltre si trova ora sulla Via Emilia e, fino al 1739, poco più a sud; in
quell'anno crollò infatti il ponte che permetteva alla Via di scavalcare l'Uso, e in
seguito a quell'evento il tracciato della strada fu spostato proprio per includere
Santarcangelo).
Molte cose sono cambiate da allora, o meglio dal 1946, quando con Tonino
Guerra il santarcangiolese inizia la sua vicenda letteraria, nella quale si inseriscono
via via, nell'ordine in cui li cita Bellosi, Nino Pedretti, Raffaello Baldini, Giuliana
Rocchi e Gianni Fucci, fino ad Annalisa Teodorani, con un effetto di trascinamento
anche sulle località circostanti dal dialetto imparentato, come la San Mauro Pascoli
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Daniele Vitali e Luciano Canepari, «Santarcangelo di Romagna e i ‘dialetti dei dittonghi'», in: Davide
Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
di Gianfranco Miro Gori, che è al tempo stesso poeta rappresentativo e sindaco del
paese.
I dittonghi hanno così cessato di essere stramberie rusticali per diventare anzi
un segno distintivo, quasi un marchio di dignità letteraria per il quale passa anche
una certa fierezza identitaria, come dimostra ad es. la manifestazione «I poeti del
dittongo», tenutasi a San Mauro Pascoli nel 2010 con la partecipazione di autori di
Santarcangelo, San Mauro e (Montenovo di) Montiano.
I dittonghi santarcangiolesi sono naturalmente di grande interesse anche per i
linguisti, data una loro certa ineffabilità, in particolar modo di quelli «alti»
(®!§!2.6), e considerato il singolare intreccio di rapporti con la situazione,
foneticamente più semplice, delle località vicine.
Quest'ineffabilità ha dato luogo a numerosi problemi di trascrizione, non solo a
livello degli studi specialistici (sostanzialmente, i lavori di Schürr e la tesi di Rino
Molari del 1937), ma anche di scelta della grafia da parte dei poeti santarcangiolesi,
come più volte rilevato nella trattazione di Davide Pioggia e come si vedrà anche qui
sotto.
0.2. Sembra quindi utile soffermarsi un poco sui dittonghi del santarcangiolese
(santarcang.), ricorrendo agli strumenti già usati negli studi precedenti (®!la
bibliografia alla fine di quest'articolo): partendo da varie registrazioni, s'è ricavato il
suo inventario fonologico, e lo si è confrontato a quelli di alcuni dialetti circostanti,
ossia Poggio Berni, San Mauro Pascoli e Savignano sul Rubicone, fino a Calisese,
frazione del comune di Cesena, con la parlata analoga di Case Missiroli più volte
ricordata nella trattazione di Pioggia (per la posizione di tutte queste località, ®!la
cartina a p.!28 del presente volume). Saranno date nozioni anche dei dialetti di San
Vito e di Gambettola.
Oltre alle differenze negli inventari fonologici, si sono poi fatte osservare le
differenze che esistono fra tutti questi dialetti a livello fonetico, ricorrendo a
trascrizioni in Œì (® §!1.1) e a vari schemi o vocogrammi.
Va osservato che, a livello fonetico, la stessa Santarcangelo presenta una certa
variabilità: è tradizionale la dicotomia fra la zona alta detta delle «contrade», strette
strade del centro storico più in quota un tempo poverissimo e oggi riqualificato
borgo di grande interesse turistico, e la zona bassa meno in quota, economicamente
più vivace e a tutt'oggi in espansione demografica. Ormai peraltro le differenze
fonetiche fra i parlanti sembrano essere anzitutto individuali, per il rimescolarsi delle
carte che ha fatto seguito all'aumento della mobilità registratosi nel secondo
dopoguerra. Va aggiunta una certa variabilità delle realizzazioni anche della stessa
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persona, che si può spiegare invece con la complessità di un modello sotto la
pressione di quelli circostanti, a volte di natura opposta, ®!§!8.5.
0.3. Si ringraziano i parlanti, tutti nati fra il 1910 e il 1953 (con la maggioranza
collocata fra gli anni Venti e Trenta), per la cortesia e disponibilità.
Per!Santarcangelo si tratta di Giuseppina Venturini della zona alta, di Giaele
Pedretti (sorella di Nino) e Nazzareno Casadei della zona bassa, nonché di Gianni
Fucci che, originario della zona alta, è anche stato molto in contatto linguistico con
parlanti della zona bassa (dei poeti citati, Giuliana Rocchi era della zona alta,
Raffaello Baldini e Tonino Guerra di quella bassa).
Per Poggio Berni abbiamo ascoltato Rino Salvi, per San Mauro Pascoli
Anna Antonelli detta Adriana e madre di Gianfranco Miro Gori (anch'egli
consultato, come pure il padre Fulvio Gori), per Savignano sul Rubicone
Luciano Rinaldi e Gino Caprili, per Calisese Giuseppina Sbrighi. Inoltre, per San
Vito abbiamo ascoltato Lucia Pesaresi, per Gambettola Riccardo Pascucci e
Rinaldo Ugolini, per Cesena (parlata di Porta Santi) Giuseppe Spada.
Si ringraziano in modo particolare Gianni!Fucci, per averci aiutato nella
scoperta del suo dialetto fin dal 2002 (come documentato anche da rai3, ®
www.youtube.com/watch?v=YXUJQhMB2I4), e Luciano Rinaldi, che ci ha fornito
ogni tipo di aiuto e materiale su Savignano e dintorni, compresa una preziosa
registrazione dello zio (ora ultra)centenario.
I vocogrammi in Œì sono stati realizzati da Luciano Canepari, il testo è di
Daniele Vitali.
1. Trascrizioni e terminologia
1.1. Per quanto riguarda la trascrizione, osserviamo subito che, come nei lavori
precedenti, anche descrivendo il santarcangiolese si daranno le parole prima in grafia
(in corsivo), e poi in trascrizione fonologica (tra barre oblique: /!/), cui seguirà la
traduzione (fra virgolette: «!»). Per la fonologia si usano i simboli dell'Alfabeto
fonetico internazionale (ì), un tipo di trascrizione «larga» che indica in pratica
solo i fenomeni distintivi. Laddove servirà, sarà data anche la trascrizione fonetica
(tra parentesi quadre: (!)); trattandosi di una trascrizione «stretta», che indica anche
fenomeni accessori e automatici spesso inconsapevoli per i parlanti, occorrerà usare
un sistema più accurato, detto Œì e utilizzato nei lavori di L.!Canepari, come
quello indicato in bibliografia.
Qui basterà osservare che, in Œ ì , (™, ø) stanno per e, o di apertura
intermedia; inoltre (Û, Ù, Ä, ∏, P, ¯, &, ¨, É, Ö) sono i corrispondenti centralizzati di
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(i, e, E, O, o, u, I, U, ™, ø); (Å) è più avanzata di (a) e (ù) è la versione arrotondata di
(A); ancora, (#) rappresenta (°) più bassa e (x) sta per (X) più bassa.
Per le consonanti, (£) è un (n) di articolazione alveolare debole (cioè senza vero
contatto fra gli organi articolatori) con contemporaneo sollevamento del dorso della
lingua in corrispondenza del velo palatino (una via di mezzo fra (n) e («), con
quest'ultimo che a sua volta rappresenta un (˙) debole); (s) è una realizzazione
alveolare particolarmente arretrata di /s/, come accade in genere nei dialetti
emiliano-romagnoli; (Ç) aggiunge l'arrotondamento labiale ed è la realizzazione tipica
in bolognese; (√) è un semi-costrittivo labio-dentale, cioè una via di mezzo tra (v) e
(V).
Va poi ricordato che la tilde indica oscillazione, es. (ÉE è ÄE), e che V o (é) sta
per vocale, C o (0) sta per consonante e N o (ö) sta per consonante nasale (come
(m, n, N, ˙)).
Figura!1!-!Le vocali secondo l'ì ufficiale (da www.langsci.ucl.ac.uk/ipa/vowels.html).
Figura!2!-!Le vocali secondo il Γ: a sinistra quelle non-arrotondate, a destra quelle
arrotondate (da http://venus.unive.it/canipa).
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1.2. In grafia ove opportuno si usa il raddoppio delle consonanti: non per
indicare consonanti doppie (che sono molto rare e si indicano separandole con un
trattino), ma per ricordare l'allungamento automatico e non distintivo della
consonante che si ha dopo vocale accentata breve all'interno della parola (® Vitali
2009, §!2.4). In questo modo si dà anche un utile «aiuto alla lettura», ricordando la
brevità della vocale che precede.
La scelta dei grafemi è stata fatta tenendo continuamente conto delle soluzioni
già adottate nei lavori precedenti per gli altri dialetti romagnoli, che si ritrovano in
Vitali 2009, Vitali-Pioggia 2010 e Pioggia 2011.
L'obiettivo infatti è arrivare a un'Ortografia Romagnola Comune (orc) che
consenta di scrivere tutti i dialetti romagnoli secondo lo stesso sistema, ma anche
senza cancellare le differenze: come s'è spiegato nei lavori citati, un'ortografia di
questo tipo prevederà un buon numero di diacritici, che però non si utilizzano mai
tutti, poiché per ogni dialetto si usano solo quelli necessari per mostrare il suo
sistema fonologico.
Per maggiori dettagli sulla grafia qui usata per il santarcangiolese, ® §!6.
Infine, il latino è dato in maiuscoletto.
1.3. Per quanto riguarda la terminologia, osserviamo che con Romagna
occidentale s'intende la parte della Romagna in cui si parlano dialetti di tipo
ravennate-forlivese o rf (molti chiamano la pianura rf «Romagna centrale»), mentre
con Romagna orientale s'intendono Cesena, Sarsina, Santarcangelo e Rimini. Sui
dialetti rf, ®!Vitali 2009, su Sarsina Vitali 2009 e Pioggia 2011, su Rimini VitaliPioggia 2010, mentre le nozioni di cesenate date in quest'articolo vengono
pubblicate per la prima volta.
Inoltre, per sillabe caudate e non-caudate s'intendono qui le sillabe
tradizionalmente definite come «chiuse» e «aperte».
1.4. Le vocali lunghe del santarcangiolese hanno durata doppia rispetto alle
brevi corrispondenti: qui vengono trascritte /ee, EE, OO, oo/ anziché /e:, E:, O:, o:/
come vorrebbe la convenzione.
Hanno la stessa durata doppia anche /i, a, u/ accentate presenti in tutta la
Romagna, ma non c'è bisogno di trascrivere /ii, aa, uu/ o /i:, a:, u:/, dato che non
hanno corrispondenti fonemi brevi cui opporsi.
Anche se le vocali lunghe durano come dittonghi, conviene stabilire una
distinzione terminologica fra le une e gli altri: in Romagna infatti ê /eÈ/ è sempre
stato descritto come un dittongo, perché ha articolazione relativamente «estesa», cioè
con una certa distanza fra i due elementi che lo costituiscono; viceversa i, a, u /i, a,
u/ accentate, data l'articolazione meno estesa, e quindi la maggiore somiglianza
acustica fra i loro due elementi costitutivi, non sono mai state considerate dittonghi,
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Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
e sono state di rado descritte anche solo come vocali lunghe (causa la mancanza di
sensibilità fonologica per la lunghezza vocalica che contraddistingue l'area rf, ®
Vitali-Pioggia 2010, §§!0.2 e 2.1).
Per il santarcangiolese quindi, nel caso di /eÈ; Ei, √u; Èi, Èu/ parleremo di
dittonghi fonologici, mentre in /ee, EE, OO, oo/ e in /i, a, u/ vedremo dei dittonghi
fonetici. Inoltre, per /ee, EE, OO, oo/ si parlerà di vocali lunghe fonologicamente,
mentre /i, a, u/ sono vocali lunghe solo foneticamente.
2. Le vocali del santarcangiolese
2.1. Il santarcangiolese urbano ha 16 elementi, ossia le 11 vocali orali i, ", é, è,
ë, a, ö, ò, $, ó, u /i, e, ee, E, EE, a, OO, O, o, oo, u/, 1 dittongo fonologico comune ai
dialetti rf, ê /eÈ/, e i 4 dittonghi fonologici propri äi, åu; Ei, Eu /Ei, √u; Èi, Èu/ (il
punto e virgola serve qui a separare i diversi tipi di dittonghi).
Esempi:
/i/
/e/
/ee/
/E/
/EE/
/a/
/OO/
/O/
/o/
/oo/
/u/
ci§a, prit, pigra /'ciza, p'rit, 'pigra/ «chiesa, prete, pecora»
dr"tt, cas"tt, l"tt /d'ret, ka'set, 'let/ «dritto, cassetti, letti»
févra, méd, pérs /'feevra, 'meed, 'peers/ «febbre, mietere, perso»
sècc, casètt, quèll /'sEk, ka'sEt, k'wEl/ «secco, cassetto, quello»
lët, fradël, quël /'lEEt, fra'dEEl, k'wEEl/ «letto, fratello, qualcosa»
gat, cavàl, sac, an /'gat, ka'val, 'sak, 'an/ «gatto/i, cavallo/i, sacco/hi, anno/i»
böta, cöl, cöt /'bOOta, 'kOOl, 'kOOt/ «botta, collo, cotto»
bòtta, ròss, ròtt /'bOta, 'rOs, 'rOt/ «bótte, rosso, rotto»
br$tt, r$tt, r$ss, c$tt /b'rot, 'rot, 'ros, 'kot/ «brutto, rotti, russo/rossi, cotti»
bóta, nóv, scóla /'boota, 'noov, s'koola/ «saracinesca, nuovo, scuola»
cug, fug, fura /'kug, 'fug, 'fura/ «cuoco, fuoco, fuori»
/eÈ/
mêl, pêl, mêr, pên, richêm /'meÈl, 'peÈl, 'meÈr, 'peÈn, ri'keÈm/ «male, palo,
mare, pane, ricamo»
/Ei/
/√u/
/Èi/
/Èu/
mäila, päil, säira /'mEila, 'pEil, 'sEira/ «mela, pelo, sera»
cåuda, fiåur, såura /'k√uda, 'fj√ur, 's√ura/ «coda, fiore, sopra»
amEig, fEil, pEil /a'mÈig, 'fÈil, 'pÈil/ «amico, filo, peli»
bEu§, nEud, fiEur /'bÈuz, 'nÈud, 'fjÈur/ «buco, nudo, fiori».
2.2. Come i dialetti rf, il sarsinate, il cesenate e il riminese, anche il santarcang.
ha /i, a, u/ accentate sempre lunghe (® §!1.4).
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Al pari del cesenate e del riminese, ma diversamente dai dialetti rf, il
santarcang. ha opposizione fonologica tra le vocali lunghe /ee, EE, OO, oo/ e le brevi
/e, E, O, o/: mél /'meel/ ('meÙl) «miele» V m"ll /'mel/ ('mÙl:) «1000», quël /k'wEEl/
(k'√E™l) «qualcosa» V quèll /k'wEl/ (k'√Äl:) «quello», böta, röca /'bOOta, 'rOOka/
('bOøtx, 'rOøkx) «botta, rocca (fortificata)» V bòtta, ròcca /'bOta, 'rOka/ ('bùt:x, 'rùk:x)
«bótte, rocca (per filare)», e cór /e'koor/ (Ù'koPr) «il cuore» V e c$rr /e'kor/ (Ù'kPr:)
«corre», ecc.
Sia il cesenate di Porta Santi che il riminese mancano dei dittonghi rf /eÈ, oÈ/,
mentre il sarsinate e il santarcang. hanno il primo, /eÈ/, anche se con articolazione
diversa, più «piatta», rispetto al tipico (eÉ) dei dialetti rf: sars. (ÉE è ÄE) (nella
frazione di Careste anche (åÄ)), santarcang. (EÉ è ÄÉ è πÉ), ® figura 3 e §!8.8.
Figura!3!- Il fonema /eÈ/ a Santarcangelo nei quattro parlanti analizzati. Per tutti, la
realizzazione primaria è (EÉ), ma sono possibili anche altre articolazioni (in grigio), che
nel campione dato ricorrevano in genere davanti a /l/ (o, con minore scarto, a /ö/).
Questa distribuzione è stata indicata in figura ma, data la variabilità delle realizzazioni
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dei dittonghi santarcangiolesi, sembra meglio considerare che il fonema /eÈ/ possa avere
le realizzazioni (EÉ è ÄÉ è πÉ) in variazione più o meno libera.
Figura!4!- Il fonema /EE/ a Santarcangelo nei quattro parlanti analizzati.
2.3. Come si vede dalle figure, la differenza fonetica tra ê /eÈ/ (EÉ) e ë /EE/ (E™)
non è tanto netta in santarcang., essendo le rispettive articolazioni molto più vicine
di quanto non accada coi corrispondenti fonemi rf ê /eÈ/ (eÉ) e ë /EÈ/ (πE) (® Vitali
2009, §!2.1).
Eppure, nonostante certe grafie semplificate usino il grafema è per entrambi i
fonemi (® §!6.5), i santarcangiolesi distinguono benissimo fra sêla /'seÈla/ «sala» e
sëla /'sEEla/ «sella», proprio come i ravennati e i forlivesi.
Anzi, molti scrivono o descrivono /eÈ/ come se fosse estremamente differenziato
da /EE/, addirittura come se fosse /oE/: per Fucci 1989, p.!103, ê è una «vocale
dittongata il cui primo suono (evanescente) è una o e il secondo una e aperta»; se
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però questo autore, riconoscendo che si tratta del fonema evolutivamente parallelo a
quello tipico dell'area ravennate-forlivese, scrive ê come si fa nei dialetti rf, Giuliana
Rocchi lo scriveva oe (nelle opere pubblicate oè, ® Bellosi 2005, p.!125), con un
accorgimento graficamente disinvolto ma in linea col sentire dello stesso Fucci.
Ecco come spiegheremmo la cosa. In alcune parti della Romagna, e
contrariamente all'italiano o al bolognese, le consonanti labiali /m, p, b, f, v/
possono avere un trattamento fonetico particolare. In zona riminese, e anche in
santarcangiolese, ci può essere un arrotondamento labiale aggiuntivo anche molto
evidente, per cui anziché (m, p, b, f, v) si ha spesso (m, P, b, F, v): ad es., in
santarcang. mêl, päil, böta, fEil, vaca /'meÈl, 'pEil, 'bOOta, 'fÈil, 'vaka/ «male, pelo,
botta, filo, mucca» si pronunciano ('mEÉl, 'pÄil, 'bOøtx, 'f~il, 'vÅåkx) ma anche, e più
spesso, ('mEÉl, 'PÄil, 'bOøtx, 'F~il, 'vÅåkx).
Nel dialetto rf di Lavezzola, fra le consonanti labiali e il fonema ã /'/ si può
avere come elemento di transizione l'approssimante velare non-arrotondato (µ)
(ossia (w) senza intervento delle labbra), che accorcia la realizzazione del fonema /'/,
per cui si ha (µ≈) anziché (≈≈), es. mãma, i mãgna, fãm /'m'ma, i'm' Na, 'f'm/
('mµ≈må, Û'mµ≈Nå, 'fµ≈m) «mamma, mangiano, fame».
In santarcang. si può inserire un approssimante velare (per la precisione, il
semi-approssimante velare (j), cioè un (w) meno marcato) fra le consonanti labiali e
il fonema ê /eÈ/, per cui mêl, pêl, mêr /'meÈl, 'peÈl, 'meÈr/ «male, palo, mare», oltre a
('mEÉl, 'pEÉl, 'mEÉr) oppure ('m EÉl, 'PEÉl, 'mEÉr), si pronunciano anche (m'jEÉl,
p'jEÉl, m'jEÉr) o (m'jEÉl, P'jEÉl, m'jEÉr) secondo un procedimento analogo, anche
se con distribuzione diversa, a quello lavezzolese: in pratica, queste parole si
potrebbero anche trascrivere fonologicamente /m'weÈl, p'weÈl, m'weÈr/. Dalla
posizione dopo consonante labiale, il fenomeno si può trasferire anche ad altri casi,
ed ecco che la distinzione fra sêla /'s(w)eÈla/ (s'jEÉlx) «sala» e sëla /'sEEla/ ('sE™lx)
«sella» diventa chiarissima.
A questo punto, non appare strano che una pronuncia in cui /eÈ/ (EÉ) è
preceduto da un elemento labializzato aggiuntivo (per arrotondamento di /m, p, b,
f, v/ oppure per inserimento di /w/) lo faccia interpretare, ad es. da G.!Rocchi e
G.!Fucci, come /oE/.
Si può anche argomentare che questo fenomeno, data la frequenza delle parole
in cui /eÈ/ è preceduto da C labiale, abbia contribuito alla conservazione del fonema
/eÈ/, che è invece sparito in varie località dei dintorni, confluendo con /EE/ cui, senza
la labializzazione, tanto somiglierebbe (® §!8.8).
2.4. Diversamente dai dialetti rf, ma come in cesenate e riminese, il santarcang.
non ha vocali nasali.
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In Vitali-Pioggia 2010, § § !1.2 e 2.2, si argomenta che un tempo,
probabilmente, le vocali nasali avrebbero caratterizzato anche la Romagna orientale
ma sarebbero poi retrocesse a favore di un sistema di vocale o dittongo orale + N,
analogamente a quanto accaduto in bolognese (® Vitali 2008): in effetti,
dell'inventario dei fonemi vocalici riminesi fanno parte anche i dittonghi fonologici
/Ei, Ou/, che ricorrono solo davanti a consonante nasale, es. zèint, tèinp, galèina
/'†Eint, 'tEinp, ga'lEina/ «100, tempo, gallina», limòun, s-ciafòun, padròuna /li'mOun,
sca'fOun, pad'rOuna/ «limone, schiaffone, padrona».
Il cesenate ha il dittongo fonologico /ai/, che ricorre solo davanti a!N, es. cäin,
päinza, väina, mäint, muläin, faräina /'kain, 'pain†a, 'vaina, 'maint, mu'lain,
fa'raina/ «cane, pancia, vena, mente, mulino, farina»: come si vede, si tratta di un
succedaneo di -an-, -én-, -ino, -ina.
Inoltre, il cesenate ha /Ei, Ou/ in corrispondenza di é, ó del latino volgare in
sillaba non-caudata (perlomeno nella parlata di Porta Santi, mentre altre non
presentano, oggi, questi dittonghi): mèil, pèil, sèira /'mEil, 'pEil, 'sEira/ «melo, pelo,
sera», fiòur, sòul, sòura, padròun /'fjOur, 'sOul, 'sOura, pad'rOun/ «fiore, sole, sopra,
padrone».
2.5. Il santarcang. porta questa tendenza alla dittongazione ancora oltre: manca
sì di /ai/, ma ha dittongato é, ó lat. volg. di sill. non-caudata come il cesenate di
Porta Santi, e persino i, u lat. volg. di sillaba non-caudata.
Certo, oltre al cesenate e al santarcang., presentano dittonghi «bassi»
provenienti da é, ó anche diversi altri dialetti dell'Emilia-Romagna (come il
bolognese, il comacchiese e il reggiano, in particolare il quartiere popolare di Santa
Croce e i paesi di Scandiano e di Arceto, fino a Sassuolo, in provincia di Modena e
diocesi di Reggio, ® Vitali 2008, §!3.6), ma i due dittonghi «alti» provenienti da i,!u
sono una specificità di Santarcangelo e dintorni, se si eccettua il caso delicato di
Castel Guelfo di Bologna (® Vitali 2008, §!4.6 della versione pubblicata su ianua; il
riferimento a quel dialetto è stato cancellato dalle versioni successive in attesa di
completare uno studio specifico sulla campagna orientale bolognese).
Si tratta di un fenomeno piuttosto interessante, che il santarcangiolese vero e
proprio condivide con i suoi dintorni. Così infatti scriveva Schürr 1974, p.!31: «in
una striscia [...] che va da Gatteo, S. Mauro-Pascoli, Savignano, S. Arcangelo, Borghi
e Verucchio e lungo le falde del Titano a Torre Pedrera [...] ai dittonghi da ù, ò
s'aggiungono quelli da í, ú (mais, fjaur - amëig, möur = muro ecc.)».
Molari 1937, p.!2 parla del «comune di Santarcangelo, S.!Mauro Pascoli,
Savignano sul Rubicone, Borghi, Poggio Berni, Scorticata, Verucchio, Sogliano al
Rubicone e alcune frazioni del comune di Rimini, quali Bellaria, Igea Marina
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Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
(Bordonchio), S.!Giustina, Corpolò», tutti luoghi in cui si usano i 4 dittonghi che
lui a p.!38 trascrive ai, åu, $i, éu.
La situazione poi è ancor più complessa di quel che lasciano trasparire queste
trascrizioni, poiché le realizzazioni di questi 4 dittonghi cambiano da un paese
all'altro e anche da un parlante all'altro, con notevoli oscillazioni anche presso lo
stesso parlante, come mostrano le figure che seguono.
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Figura 5 - I dittonghi «bassi» da é, ó a Santarcangelo nei quattro parlanti analizzati. I
segnalini quadrati indicano vocali non-arrotondate, quelli tondi vocali arrotondate. Le
realizzazioni indicate dopo punto e virgola sono meno frequenti.
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Daniele Vitali e Luciano Canepari, «Santarcangelo di Romagna e i ‘dialetti dei dittonghi'», in: Davide
Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
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Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
Figura 6 - I dittonghi «alti» da i, u a Santarcangelo nei quattro parlanti analizzati. I
segnalini quadrati indicano vocali non-arrotondate, quelli romboidali vocali
parzialmente arrotondate, quelli tondi vocali arrotondate. Anche qui, le realizzazioni
indicate dopo punto e virgola sono meno frequenti. Come per /eÈ/, anche in questo
caso alcune articolazioni alternative nel campione dato ricorrevano in genere davanti a
/ö/. Questa distribuzione è stata indicata in figura ma, data la variabilità dei dittonghi
santarcangiolesi, sembra meglio considerare che i fonemi /Èi, Èu/ possano avere diverse
realizzazioni in variazione più o meno libera.
2.6. Cominciamo dai dittonghi alti Ei, Eu /Èi, Èu/. Come si può vedere dalla
loro rappresentazione grafica, sono piuttosto instabili: il primo elemento di /Èi/ può
essere anteriore, centrale o posteriore, o ancora non-arrotondato, semi-arrotondato o
arrotondato, e il primo elemento di /Èu/ può essere anteriore o centrale, o ancora
non-arrotondato, semi-arrotondato o arrotondato, anche nello stesso parlante.
La frequenza dei suoni «di tipo schwa», come appunto lo schwa semiarrotondato (~), ma anche la presenza di altre vocali centrali (semi-)arrotondate o no
(eventualmente più avanzate come (Ù, ,), o più arretrate come (∑), o più basse come
(Ï) ecc.), consigliano di adottare E /È/ per la trascrizione ortografica e fonemica del
primo elemento di entrambi i dittonghi.
Va osservato che la presenza del semi-arrotondamento, complicando
l'articolazione del primo elemento del dittongo, dà un'impressione più di triplicità
che di duplicità, come se fosse /wÈi, wÈu/ anziché semplicemente /Èi, Èu/.
L'impressione è rafforzata dopo consonante labiale (arrotondata): amEig, capEi, fEig,
fEil, vEidar, vEint, vEita; anvEud, bivEuda, fEuran, fiEur, mEur /a'mÈig, ka'pÈi, 'fÈig,
'fÈil, 'vÈidar, 'vÈint, 'vÈita; an'vÈud, bi'vÈuda, 'fÈuran, 'fjÈur, 'mÈur/ (x'm~ig, kx'P~i,
'F~ig, 'F~il, 'v~idxr, 'v~i£t, 'v~itx; x£'v~ud, bi'v~udx, 'F~urx£, 'Fj~ur, 'm~ur) «amico,
capito, fico, filo, vetri, 20, vita; nipoti, bevuta, forni, fiori, muro».
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Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
2.7. Come si vede dalla figura 5, anche i dittonghi bassi äi, åu /Ei, √u/ hanno
realizzazioni diverse a seconda dei parlanti, ma in modo un po' più sistematico,
dovuto in parte a questioni geografiche: è sentire comune che il dittongo da ó sia au
nella zona alta e òu nella zona bassa della cittadina (® §!0.2), e infatti G.!Rocchi,
delle contrade, scriveva udàur «odore» (® Bellosi 2005, p.!124), mentre G.!Fucci
scrive udòur. A riprova di ciò, la figura mostra bene che la nostra parlante delle
contrade pronuncia (au) (oltre a (Øu)), mentre Fucci ha soprattutto (ùu) (e solo
occasionalmente (√u)).
Poiché comunque in tutti i parlanti c'è convivenza tra realizzazioni nonarrotondate ((au, √u)) e arrotondate ((ùu, Øu, ∏u)), la trascrizione ortografica e
fonemica più adatta per il dittongo da ó sembra å u /√u/, per dar conto
dell'indecisione tra au /au/ cui rimanderebbe (au) e /Ou/ òu cui rimanderebbero (ùu,
Øu, ∏u) (quanto a (√u), rimanda proprio a åu /√u/, come nel caso del bolognese).
Analogamente, per il dittongo da é abbiamo come possibili realizzazioni (åi),
che rimanderebbe a ai /ai/, oppure (Äi) o (Ei) che rimanderebbero a èi /Ei/, anche
nello stesso parlante, per cui sembra opportuno scegliere come trascrizione
ortografica äi, che indica la presenza di entrambe le possibilità, e come trascrizione
fonemica /Ei/, per i motivi evolutivi spiegati al §!8.6.
3. Le vocali nei dintorni di Santarcangelo
3.1. Il dialetto di San Mauro Pascoli ha 16 elementi, ossia le 11 vocali orali i, ",
é, è, ë, a, ö, ò, $, ó, u /i, e, ee, E, EE, a, OO, O, o, oo, u/, 1 dittongo fonologico comune
ai dialetti rf, ê /eÈ/ (che è però in via di sparizione, ® §!8.8), e i 4 dittonghi
fonologici propri åi, òu; $i, "u /√i, Ou; oi, eu/.
Figura!7!- I dittonghi bassi da é, ó a San Mauro Pascoli.
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Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
Figura 8 - I dittonghi alti da i, u a San Mauro Pascoli.
Rispetto al santarcang., sono piuttosto diversi i dittonghi non-rf: a livello
fonetico, come si vede in particolare dalla figura 8, sono costituiti da elementi più
«chiari», meno «barocchi» di quelli santarcangiolesi, ossia più facilmente associabili a
vocali immediatamente riconoscibili. A livello fonologico vale la stessa osservazione
per il fatto che si hanno /e, o/ anziché /È/, con la notevole particolarità che il
dittongo alto proveniente da i del latino volgare è /oi/, col primo elemento
posteriore, mentre quello proveniente da u lat. volg. è /eu/, col primo elemento
anteriore: in pratica, sono «incrociati» rispetto alla situazione originaria, dal
momento che i è anteriore e u posteriore. Questo incrocio delle articolazioni, che
vedremo in altre località dell'area, è dovuto certo a dissimilazione, fenomeno che
colpisce spesso i dittonghi (un caso classico è dato dal francese antico, in cui é, ó
dettero dapprima ei, ou fino ad evolversi in oi, eu; nei secoli la pronuncia è cambiata
ma la grafia è rimasta, fino agli odierni moi, fleur /'mwa, 'fl§K/ «me, fiore»).
Vediamo alcuni esempi per i dittonghi sammauresi, da confrontare con quelli
santarcangiolesi appena visti: måila, påil, såira /'m√ila, 'p√il, 's√ira/ «mela, pelo,
sera», còuda, fiòur, sòura /'kOuda, 'fjOur, 'sOura/ «coda, fiore, sopra»; am$ig, f$il, p$il
/a'moig, 'foil, 'poil/ «amico, filo, peli», b"u§, n"ud, fi"ur /'beuz, 'neud, 'fjeur/ «buco,
nudo, fiori».
Si noti che anche il dittongo da é lat. volg. è un po' «scivolato all'indietro»:
accanto alla realizzazione piuttosto «netta» (ai), che si ottiene facilmente per
abbassamento di un originario /Ei/ (com'è accaduto in bolognese, ®!Vitali 2008), si
ha la realizzazione più frequente (ùI), laddove (ù) corrisponde a una a più arretrata e
con arrotondamento labiale, cioè quasi una ò molto aperta (Gianfranco Miro Gori
scrive òi, ®!§!7.1).
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Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
3.2. Il dialetto di Savignano sul Rubicone ha 15 elementi, ossia le 11 vocali orali
i, ", é, è, ë, a, ö, ò, $, ó, u /i, e, ee, E, EE, a, OO, O, o, oo, u/ e i 4 dittonghi fonologici
òi, òu; "i, $u /Oi, Ou; ei, ou/.
Figura 9 - I dittonghi bassi da é, ó a Savignano sul R. nei due parlanti analizzati.
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Figura 10 - I dittonghi alti da i, u a Savignano sul R. nei due parlanti analizzati.
Rispetto al santarcang., in savignanese manca /eÈ/ (confluito in /EE/: mël, pël,
mër, pën, richëm /'mEEl, 'pEEl, 'mEEr, 'pEEn, ri'kEEm/ «male, palo, mare, pane,
ricamo»); inoltre i dittonghi alti sono «netti» come quelli di San Mauro, ma non
sono «incrociati»: sono infatti i normali /ei, ou/, che ci si può aspettare dalla
dittongazione di i, u del latino volgare.
Per le realizzazioni effettive, oltre al nostro informatore principale, Luciano
Rinaldi, abbiamo potuto ascoltare anche lo zio Gino Caprili che, essendo nato nel
1910, quasi tre decenni prima del nipote, ci ha consentito di verificare se il
savignanese abbia ripiegato in tempi recenti su dittonghi alti più riconoscibili o se
invece la nettezza delle realizzazioni sia tradizionale e se sia dunque stato il
santarcangiolese che, partendo da un'antica situazione comune a tutta l'area dei
dittonghi, abbia poi, col tempo, sviluppato un proprio sistema più «barocco».
Come si vede dalla figura 10, sembra giusta la seconda ipotesi: infatti i
dittonghi alti del parlante savignanese più anziano, pur se un po' diversi da quelli del
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nipote, non sono affatto più «strani» o più «barocchi», e sembrano piuttosto
rientrare in una variazione individuale, anziché storica.
Notiamo poi che in savignanese è incrociato il dittongo da é, soprattutto nel
parlante principale, il quale ha sistematicamente (ùI) e quando scrive usa òi, qui
trascritto fonemicamente /Oi/; il parlante più anziano può avere (∏i) oppure (åi), qui
trascritti /√i/ come s'è fatto anche per San Mauro. In pratica, l'odierna situazione
savignanese per il dittongo da é sembra portare a compimento un'evoluzione ancora
in corso in sammaurese.
Diamo ora gli esempi per i dittonghi savignanesi, da confrontare con quelli
santarcangiolesi e sammauresi appena visti: mòila, pòil, sòira /'mOila, 'pOil, 'sOira/
«mela, pelo, sera», còuda, fiòur, sòura /'kOuda, 'fjOur, 'sOura/ «coda, fiore, sopra»;
am"ig, f"il, p"il /a'meig, 'feil, 'peil/ «amico, filo, peli», b$u§, n$ud, fi$ur /'bouz,
'noud, 'fjour/ «buco, nudo, fiori».
3.3. Il dialetto di Gambettola presenta condizioni savignanesi: manca di /eÈ/ ma
ha i dittonghi /Oi, Ou; ei, ou/.
3.4. Il dialetto di Poggio Berni ha 16 elementi, ossia le 11 vocali orali i, ", é, è, ë,
a, ö, ò, $, ó, u /i, e, ee, E, EE, a, OO, O, o, oo, u/, 1 dittongo fonologico comune ai
dialetti rf, ê /eÈ/, e i 4 dittonghi fonologici propri òi, åu; $i, "u /Oi, √u; oi, eu/.
Figura 11 - I dittonghi bassi da é, ó a Poggio Berni.
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Figura 12 - I dittonghi alti da i, u a Poggio Berni.
Come a San Mauro, e diversamente da Savignano, c'è /eÈ/; i dittonghi da i e da
u sono incrociati, come a San Mauro; il dittongo da é è arretrato e arrotondato al
punto che lo possiamo trascrivere foneticamente /Oi/ come a Savignano, quello da ó
è meglio scriverlo /√u/ in ragione delle sue oscillazioni, come a Santarcangelo.
Esempi dei dittonghi poggiobernesi: mòila, pòil, sòira /'mOila, 'pOil, 'sOira/
«mela, pelo, sera», cåuda, fiåur, såura /'k√uda, 'fj√ur, 's√ura/ «coda, fiore, sopra»;
am$ig, f$il, p$il /a'moig, 'foil, 'poil/ «amico, filo, peli», b"u§, n"ud, fi"ur /'beuz,
'neud, 'fjeur/ «buco, nudo, fiori».
4. Il continuum fra Cesena e Santarcangelo
Ritenuti una caratteristica dei dialetti di Santarcangelo e dintorni (®!la
distribuzione geografica secondo Schürr data al §!2.5), i dittonghi da i e da u si
ritrovano in realtà anche in comune di Cesena: non in città, dove già la presenza dei
dittonghi da é, ó è contrastata (si ritrova cioè tipicamente nella parlata di Porta
Santi, ma non in alcune altre), bensì in una frazione collinare come Calisese, nonché
in una posta proprio sulla Via Emilia (a est della città, vicino a Gambettola) come
Case Missiroli. Queste due località, in cui si usano due parlate dello stesso dialetto,
rappresentano l'anello di congiunzione fra l'area cesenate e quella santarcangiolese
all'interno della Romagna orientale. Vediamone l'inventario dei fonemi vocalici.
Il dialetto di Calisese ha 16 elementi, ossia le 11 vocali orali i, ", é, è, ë, a, ö, ò,
$, ó, u /i, e, ee, E, EE, a, OO, O, o, oo, u/ e i 5 dittonghi fonologici äi; èi, òu; "i, $u /ai;
Ei, Ou; ei, ou/.
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Figura 13 - Il dittongo da a, e, i + N a Calisese: (åi) è più frequente di (Äi).
Figura 14 - I dittonghi bassi da é, ó a Calisese.
Figura 15 - I dittonghi alti da i, u a Calisese.
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Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
Esempi:
/i/
/e/
/ee/
/E/
/EE/
/a/
/OO/
/O/
/o/
/oo/
/u/
/ai/
/Ei/
/Ou/
/ei/
/ou/
ci§a, prit, pigra /'ciza, p'rit, 'pigra/ «chiesa, prete, pecora»
dr"tt, cas"tt, l"tt /d'ret, ka'set, 'let/ «dritto, cassetti, letti»
févra, méd, pérs /'feevra, 'meed, 'peers/ «febbre, mietere, perso»
sècc, casètt, quèll /'sEk, ka'sEt, k'wEl/ «secco, cassetto, quello»
lët, fradël, quël, ghët, cavël, sëc, mël, pël, mër /'lEEt, fra'dEEl, k'wEEl, 'gEEt,
ka'vEEl, 'sEEk, 'mEEl, 'pEEl, 'mEEr/ «letto, fratello, qualcosa, gatti, cavalli,
sacchi, male, palo, mare»
gat, cavàl, sac, an /'gat, ka'val, 'sak, 'an/ «gatto, cavallo, sacco, anno»
böta, cöl, cöt /'bOOta, 'kOOl, 'kOOt/ «botta, collo, cotto»
bòtta, ròss, ròtt /'bOta, 'rOs, 'rOt/ «bótte, rosso, rotto»
br$tt, r$tt, r$ss, c$tt /b'rot, 'rot, 'ros, 'kot/ «brutto, rotti, russo/rossi, cotti»
nóv, scóla, cór /'noov, s'koola, 'koor/ «nuovo, scuola, cuore»
cug, fug, nuv /'kug, 'fug, 'nuv/ «cuoco, fuoco, nuovi»
cäin, bäin, täimp, däint, väin, faräina, präima /'kain, 'bain, 'taimp, 'daint,
'vain, fa'raina, p'raima/ «cane, bene, tempo, dente, vino, farina, prima»
mèila, pèil, sèira /'mEila, 'pEil, 'sEira/ «mela, pelo, sera»
còuda, fiòur, sòura /'kOuda, 'fjOur, 'sOura/ «coda, fiore, sopra»
am"ig, f"il, p"il /a'meig, 'feil, 'peil/ «amico, filo, peli»
b$u§, n$ud, fi$ur /'bouz, 'noud, 'fjour/ «buco, nudo, fiori».
Rispetto al santarcang., manca /eÈ/, come in cesenate, e si aggiunge il dittongo
ante-nasale /ai/, sempre come in cesenate. D'altra parte, rispetto al cesenate ci sono i
dittonghi alti come in santarcang. e dintorni (e non sono «incrociati», proprio come
in savignanese), e ci sono le opposizioni di lunghezza /ee/ V /e/ e /oo/ V /o/, sempre
come in santarcangiolese: Calisese e Case Missiroli rappresentano cioè un anello di
congiunzione fra le due aree, con un certo continuum laddove sembrava ci fosse
netta rottura.
5. Le consonanti di Santarcangelo e dintorni
L'inventario dei fonemi consonantici nei dialetti fin qui incontrati è a 22
elementi, gli stessi di rf, cesenate e riminese: /m, n, N÷ p b, t d, k g÷ f v, † ∑, s z÷ c
G÷ j, w÷ r÷ l, L/.
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Daniele Vitali e Luciano Canepari, «Santarcangelo di Romagna e i ‘dialetti dei dittonghi'», in: Davide
Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
In effetti, l'unico a distinguersi fra i dialetti romagnoli fin qui studiati è il
sarsinate, che ha 24 elementi, poiché a quelli visti vanno aggiunti /©, á/ (®!Vitali
2009, §!3.4), tipici dei dialetti emiliano-romagnoli parlati più in quota.
6. La grafia del santarcangiolese
6.1. Come s'è detto al §!1.2, quest'articolo utilizza l'Ortografia Romagnola
Comune (orc), costituitasi col tempo nella Romagna occidentale (con alcune
modifiche per quanto riguarda le vocali nasali e la quantità consonantica automatica,
®!Vitali 2009, §§!2.2 e 2.4) e poi estesa alla Romagna orientale nel corso degli studi
fatti sul sarsinate (Vitali 2009, §§!3.1 e segg. e Pioggia 2011) e sul riminese (VitaliPioggia 2010), con gli opportuni accorgimenti per dar conto di sistemi fonologici
diversi.
6.2. Applicata al santarcangiolese, l'orc dà il seguente sistema per le vocali
accentate, cui va confrontato quello usato da Davide Pioggia nel resto del libro,
nonché quello usato da Gianni Fucci ad es. nelle raccolte del 1989 e del 1996 citate
in bibliografia (nei lavori precedenti usava è al posto di ê, nei lavori successivi userà
êi al posto di éi):
Fonema
orc
Pioggia
Fucci
/i/
/e/
/ee/
/E/
/EE/
/a/
/OO/
/O/
/o/
/oo/
/u/
i
"
é
è
ë
a
ö
ò
$
ó
u
ì
ê
é
è
è
à
ò
ò
ó
ó
ù
i
é
é
è
è
a
ò
ò
ó
ó
u
/eÈ/
ê
ê
ê (è)
/Ei/
/√u/
/Èi/
/Èu/
äi
åu
Ei
Eu
äi
åu
Ei
Eu
ài
òu
éi (êi)
éu
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Daniele Vitali e Luciano Canepari, «Santarcangelo di Romagna e i ‘dialetti dei dittonghi'», in: Davide
Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
6.3. Come si vede, il sistema di D.!Pioggia, il quale si conta tra i fautori
dell'orc (al di là della scelta di accentare sempre i, a, u, che è una delle possibilità
previste dall'orc, anche se in casi come prit, gat, cug si può evitare essendo ovvia la
sede dell'accento), concorda con quello usato in quest'articolo, con la sola grande
differenza che, anziché ricorrere rispettivamente a ", é, è, ë per /e, ee, E, EE/ e a $, ó,
ò, ö per /o, oo, O, OO/ come s'è fatto per il riminese, usa rispettivamente ê, é, è, è, ó, ó,
ò, ò.
Questa scelta si spiega con la volontà di rispettare il sistema usato dagli autori
locali, a partire da G.!Fucci, i quali scrivono solo é, è, ó, ò lasciando al raddoppio
grafico della consonante successiva la funzione di indicare le vocali brevi (®!la
trattazione di Fucci 1996, p.!137, citata in Vitali-Pioggia 2010, §!2.1). Infatti, gli
autori della Romagna orientale in genere non indicano in modo esplicito e diretto la
lunghezza vocalica, pur sentendola meglio degli autori della Romagna occidentale.
Pioggia rispetta quest'uso, aggiungendo però il diacritico di brevità per distinguere le
brevi ê,!è, ó, ò /e, E, o, O/ dalle lunghe é, è, ó, ò /ee, EE, oo, OO/.
6.4. In quest'articolo invece si seguono in pieno le convenzioni dell'orc estesa
alla Romagna orientale, già spiegate abbondantemente in occasione degli studi sopra
citati riguardanti il sarsinate e il riminese, per cui l'unica novità è data dalla scrittura
dei 4 dittonghi /Ei, √u; Èi, Èu/, con la proposta del sistema äi, åu; Ei, Eu seguito
anche da D.!Pioggia.
Per quanto riguarda i dittonghi alti /Èi, Èu/, l'uso di E per il primo elemento è
logica conseguenza della scelta di trascrivere fonemicamente con /È/ l'ampia gamma
di suoni indicati alla figura 6 e al §!2.6. In effetti /È/ viene spesso usato in ì per le
vocali un po' indistinte, e il corrispondente di /È/ per le vecchie trascrizioni
glottologiche è proprio E; questo grafema ha anche il merito di ricordare le
trascrizioni schürriane éï, éu, in cui il segno é voleva indicare una e chiusa abbastanza
arretrata, riprese in versione semplificata dagli AA.VV. 1986, i quali propongono fl
(anche se solo per il dittongo da u). Coi computer moderni il grafema E si può
ottenere abbastanza facilmente, tuttavia chi avesse difficoltà può rivolgersi a
D.!Pioggia tramite il sito www.dialettiromagnoli.it o a D.!Vitali tramite il sito
www.bulgnais.com.
Per quanto riguarda i dittonghi bassi /Ei, √u/, le notazioni ortografiche più
opportune sembrano essere äi, åu, come s'è detto al §!2.7 e come si vedrà meglio al
§!8.6.
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6.5. Vediamo infine come scrivevano i dittonghi Tonino Guerra e Raffaello
Baldini (ricorrendo a due tra le loro ultime pubblicazioni prima delle rispettive
scomparse, ® bibliografia):
Fonema
orc
Guerra
Baldini
/eÈ/
ê
è
è
/Ei/
/√u/
/Èi/
/Èu/
äi
åu
Ei
Eu
ài
òu
ói
éu
ài
òu
éi
éu
Come si vede, né Guerra né Baldini usavano un segno a sé per /eÈ/, per cui non
distinguevano graficamente tra questo e gli altri due fonemi /E, EE/, tutti scritti è. Più
che l'indicazione di un'assenza di questo fonema nel loro modo di parlare il dialetto,
si tratta di scelte grafiche per semplificare la vita a sé e agli editori, scelte cui
fortunatamente si è sottratto G.!Fucci.
È vero che nel libro di Tonino Guerra si ringrazia «il poeta Gianni Fucci per il
suo controllo della scritta in dialetto», ma questo controllo ortografico sarà
comunque stato calibrato sulle scelte dell'autore, come indica chiaramente la
notazione ói per /Èi/: infatti, come osserva Giuseppe Bellosi nella sua prefazione al
presente volume, Guerra «nel corso degli anni ha modificato il proprio modo di
scrivere», ossia «prima scrive muréi (‘morire'), poi murói, ovviamente senza che
cambi la pronuncia» (® anche Bellosi 2005, p.!125).
La grafia ói per /Èi/ era usata anche da G.!Rocchi (® Bellosi cit.), e questo uso
di ói anziché éi si spiega probabilmente con la frequenza dei suoni
(semi-)arrotondati usati per realizzare il dittongo /Èi/ (® §!2.6). Fra questi suoni,
molti si usano anche per il dittongo /Èu/, ma lì, al contrario, l'aspettativa di un
primo elemento arrotondato fa verosimilmente percepire il semi-arrotondamento
come insufficiente a scrivere óu, tant'è vero che tutti, come s'è visto, scrivono éu,
«incrociando» in qualche modo la resa grafica dei due dittonghi rispetto alla loro
origine fonologica (ói da é, éu da ó).
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7. Le grafie nei dintorni di Santarcangelo
7.1. Vediamo anche come sono scritti i dittonghi da é, ó e da i, u d e l
sammaurese in orc e da Gianfranco Miro Gori:
Fonema
orc
Gori
/eÈ/
ê
è
/√i/
/Ou/
/oi/
/eu/
åi
òu
$i
"u
òi
òu
ói
éu
Anche Gori, al pari di Guerra e Baldini, non distingue fra /eÈ/ e /EE/, scrivendo
entrambi con è (segno usato anche per /E/), ma nel suo caso, essendo di generazione
successiva agli altri due autori, si tratta effettivamente di come pronuncia, non di
una mera scelta semplificatoria (® §§!6.5 e 8.8).
7.2. Diamo anche i dittonghi del savignanese come sono scritti in orc e da
Luciano Rinaldi, ripreso da D.!Pioggia nel resto del volume per ridurre la frequenza
dei segni ",!$ (la grafia dell'autore ottocentesco Gino Vendemini, rispettata
dall'edizione critica del 2001, non consente un confronto sicuro con la pronuncia del
tempo):
Fonema
orc
Rinaldi
/Oi/
/Ou/
/ei/
/ou/
òi
òu
"i
$u
òi
òu
éi
óu
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Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
7.3. Infine, ecco i dittonghi del poggiobernese come sono scritti in orc e da
Rino Salvi (tra parentesi una variante precedente di quest'ultimo):
Fonema
orc
Salvi
/eÈ/
ê
æ
/Oi/
/√u/
/oi/
/eu/
òi
åu
$i
"u
òi
àu
ói (ôi)
éu
8. Cenni sull'evoluzione fonetica del santarcangiolese
8.1. Il vocalismo del santarcangiolese è particolarmente complesso e
interessante, ma in tutta l'Emilia-Romagna le vocali accentate sono state sottoposte a
una rotazione vocalica che ha cambiato notevolmente il sistema rispetto a quello del
latino volgare (® Vitali 2008).
Riassumendo, dal latino classico al latino volgare si ebbero le seguenti
evoluzioni:
latino classico
latino volgare
I Ì E È A Å Ö O Û U
| \/ | \/ | \/ |
i é
è a ò ó u
A quel punto, nel passaggio al «proto-aemiliano» ci fu una differenziazione
vocalica (secondo il termine Vokaldifferenzierung usato da Weinrich 1958), che
portò ad allungare le vocali di sillaba non-caudata:
lat. volg. sill. non-caudata
proto-aemiliano
i é è a ò ó u
| | | | | | |
/ii ee EE aa OO oo uu/
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Daniele Vitali e Luciano Canepari, «Santarcangelo di Romagna e i ‘dialetti dei dittonghi'», in: Davide
Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
lat. volg. sill. caudata
proto-aemiliano
i é è a ò ó u
| | | | | | |
/i e E a O o u/
8.2. Successivamente, il proto-aemiliano cominciò a differenziarsi nei diversi
dialetti emiliano-romagnoli, ciascuno dei quali trattò alla propria maniera le vocali
così ottenute, in genere distinguendo fra quelle lunghe e quelle brevi. In secoli di
evoluzione, di cui in questa sede si saltano i tanti passaggi intermedi, ecco cos'è
successo al bolognese (davanti a consonanti diverse da N):
proto-aemiliano
bolognese
proto-aemiliano
bolognese
/ii ee EE aa
OO
oo uu/
|
| / \
|
/ \
|
|
/ii ai ii ee EE uu oo √u uu/
/i e E a O o u/
| | | | | | |
/e a EE aa OO a o/
(I fonemi brevi /i, u; E, O/ sono poi rientrati per altre vie, per cui il bolognese
conta oggi 16 fonemi vocalici accentati, ® Vitali 2008).
8.3. Ecco invece l'evoluzione del ravegnano (davanti a consonanti diverse
da!N):
proto-aemiliano
ravegnano
proto-aemiliano
ravegnano
/ii ee EE aa
OO
|
| / \
|
/ \
/i e i e eÈ u oÈ
/i e E
\ / |
/E EÈ
oo uu/
|
|
o u/
a O o u/
| |
\ /
a OÈ O/
(Come s'è detto al §!1.4, in ravegnano /i, a, u/ stanno per vocali foneticamente
lunghe: (ii, aå, uu); lo stesso vale per /e, o/, che sono (eÙ, oP) oppure (ee, oo)).
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Daniele Vitali e Luciano Canepari, «Santarcangelo di Romagna e i ‘dialetti dei dittonghi'», in: Davide
Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
8.4. Ed ecco l'evoluzione del santarcangiolese (davanti a consonanti diverse
da!N):
proto-aemiliano
santarcang.
proto-aemiliano
santarcang.
/ii ee EE aa
OO oo uu/
|
| / \
|
/ \
|
|
/Èi Ei i ee eÈ u oo √u Èu/
/i e E a O o u/
| | | | | | |
/e E EE a OO O o/
(Anche in santarcang. /i, a, u/ stanno per vocali foneticamente lunghe: (ii, Åå,
uu)).
Come s'è già detto, la grande particolarità del santarcang. consiste nell'aver
dittongato i, u di sillaba non-caudata lat. volg., ossia /ii, uu/ del proto-aemiliano,
che sono invece rimasti invariati in bolognese e (interpretati fonemicamente come /i,
u/) in ravegnano. A dire il vero, /ii, uu/ davanti a N hanno dittongato anche in
bolognese e in tanti altri dialetti emiliano-romagnoli, es. bol. rustico galéina, lóuna
/ga'leina, 'louna/ «gallina, luna» (da cui è poi venuto l'odierno bol. cittadino
galé@na, ló@na /ga'le˙na, 'lo˙na/), ma appunto la particolarità di Santarcangelo e
dintorni è aver dittongato /ii, uu/ in tutte le posizioni. L'interrogativo, forse, non è
tanto perché il santarcangiolese abbia dittongato in buona sostanza tutte le vocali
lunghe del proto-aemiliano, ma perché questa modalità di differenziazione vocalica
non abbia riguardato anche gli altri dialetti regionali.
8.5. Comunque sia, stabilito che le vocali lunghe, essendo già dittonghi
fonetici, possono facilmente dare dittonghi fonologici (® §!1.4), ecco cosa dev'essere
successo in santarcang. e dintorni.
È probabile che, in un primo momento, /ii, uu/ abbiano dato dittonghi
abbastanza semplici, ottenuti abbassando il primo elemento, ossia quegli /ei, ou/
ancora presenti a Savignano e Calisese (® §§!3.2 e 4). Successivamente però la
pronuncia labializzata di /m, p, b, f, v/ (® §§!2.3 e 2.6) causò un arrotondamento
del primo elemento di /ei/, che dovette portare anche a un suo arretramento: è la
situazione odierna del santarcang. nei parlanti che hanno (~i) e (êi) (® figura 6).
Questo arretramento del primo elemento di /ei/ causò, per simmetria, un
avanzamento del primo elemento di /ou/, fino alla situazione odierna del santarcang.
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Daniele Vitali e Luciano Canepari, «Santarcangelo di Romagna e i ‘dialetti dei dittonghi'», in: Davide
Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
nei parlanti che hanno (êu), nonché un suo dearrotondamento in (~u), tutte
realizzazioni possibili oggi nella cittadina: erano così nati i santarcangiolesi /Èi, Èu/.
L'esportazione di questo spostamento nei dintorni, dove non era endogeno,
come non lo è la pronuncia labializzata di /m, p, b, f, v/ (perlomeno non così
frequentemente ed evidentemente), ha dato luogo a pronunce più semplificate, come
/oi, eu/ di San Mauro e Poggio Berni: in effetti, poiché un dittongo anteriore col
primo elemento semi-arrotondato sembra più arrotondato del normale e uno
posteriore col primo elemento dearrotondato sembra meno arrotondato del normale,
(~i, ~u) si prestavano abbastanza bene ad essere interpretati come /oi, eu/. Al §!6.5
abbiamo visto che è proprio in questo modo che si spiegano le scelte ortografiche
degli stessi autori di Santarcangelo.
A questo punto si può anche formulare un'ipotesi per spiegare perché i
dittonghi alti santarcangiolesi siano foneticamente così oscillanti da un parlante
all'altro e nello stesso parlante, con realizzazioni sommamente incrociate come (5i)
per /Èi/ oppure (™u) per /Èu/ (® figura 6): sembra trattarsi di un precario equilibrio
fra le realizzazioni dei centri circostanti, nonché di un camuffamento confuso per
non scegliere troppo nettamente fra i dittonghi «normali» /ei, ou/ e quelli
«incrociati» /oi, eu/.
8.6. Se la dittongazione di /ii, uu/ del proto-aemiliano è una peculiarità di
Santarcangelo e dintorni, la dittongazione di /ee, oo/ del proto-aemiliano è invece
piuttosto diffusa in Emilia-Romagna. In bolognese, come si vede dallo schema del
§!8.2, si sono avuti gli sviluppi /ee=ai/ e /oo=√u/, coi passaggi intermedi /ee=Ei=ai/
e /oo=Ou=√u/ (® Vitali 2008):
latino classico nÌve(m ) = latino volgare néve = proto-aemiliano /'neeve/ =
bolognese /'neev='nEiv='naiv/ naiv ('nåÛÑ) «neve»;
latino classico sOle(m) = latino volgare sóle = proto-aemiliano /'soole/ =
bolognese /'sool='sOul='s√ul/ såul ('Ç√¯l) «sole».
Il comacchiese è andato anche oltre rispetto al bolognese, arrivando ad /ai, au/
(® Canepari 2007, §!16.32).
In Romagna occidentale /ee, oo/ si mantengono (interpretati foneticamente
come /e, o/), ma con la possibilità che, accanto a realizzazioni fonetiche sdoppiate
come (ee, oo) o comunque non-estese come (eÙ, oP), si pronuncino (™i, øu), come
avviene a San Zaccaria (® Vitali 2009, §!2.1).
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Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
Anche in santarcang. ci dev'essere stata una fase iniziale di allontanamento fra i
due elementi di ciascun dittongo, come (eI, oU), poi passata a una fase con
allontanamento ancor maggiore, del tipo appunto di (™i, øu), fino a dare /Ei, Ou/,
realizzati rispettivamente (Äi, Ei) e (∏u, Øu, ùu) o (√u). La centralizzazione di
realizzazioni come (Ä, ù) rispetto a (E, O) e il dearrotondamento di (√) rispetto a (∏)
hanno causato una crescente confluenza delle realizzazioni in (åi, au), che a rigore
sarebbero /ai, au/, come in comacchiese.
La situazione santarcang. però è ancora molto incerta, per cui è sembrato
opportuno adottare una soluzione di compromesso. Per il dittongo da é abbiamo
scelto come trascrizione ortografica äi, che indica la possibilità di pronunciare sia
(Äi) che (åi), e come trascrizione fonemica /Ei/, intendendo che le realizzazioni in
(åi) sono un'oscillazione che potrebbe eventualmente aprire la strada a un fonema
/ai/, com'è avvenuto in tante altre zone dell'Emilia-Romagna ma non ancora a
Santarcangelo; per il dittongo da ó abbiamo scelto come trascrizione ortografica åu,
che indica la possibilità di pronunciare sia (∏u, Øu, ùu) sia (√u, au) (e quindi, in
particolare, la possibilità che non vi sia rotondità, senza escludere che vi sia), e come
trascrizione fonemica /√u/, intendendo che le realizzazioni in (au) sono
un'oscillazione che può eventualmente aprire la strada a un fonema /au/, com'è
avvenuto in altre zone dell'Emilia-Romagna ma non ancora a Santarcangelo.
8.7. Come s'è visto al §!3, nei dintorni di Santarcangelo il dittongo da é è
incrociato: abbiamo infatti /√i/ (ùI, ai) a San Mauro, /Oi/ (ùI) oppure /√i/ (åi, ∏i) a
Savignano e /Oi/ (∏i, ØI) a Poggio Berni. In questa situazione, e analogamente a
quanto visto per i dittonghi alti, /√i/ sembra una fase intermedia sul cammino che
porta a /Oi/. Va osservato che a Poggio Berni, sempre analogamente a quanto
accaduto nel caso dei dittonghi alti santarcangiolesi, il dittongo da ó dearrotonda
spesso il primo elemento, in risposta all'arrotondamento del primo elemento del
dittongo da é.
Quest'indecisione fra arretramento e avanzamento, arrotondamento e
dearrotondamento si riscontra in altre zone della Romagna orientale: in sarsinate i
precedenti fonemi /o, O/ sono infatti diventati /°, §/ (°, #) (® Vitali 2009, §!3.1, e
Vitali-Pioggia 2010, §!1), ma il secondo può anche essere occasionalmente
pronunciato (√), e d'altronde anche a San Mauro /O/ può essere (,).
Infine, a Calisese i dittonghi bassi sono i normali /Ei, Ou/, in linea con la parlata
orientale di Cesena, quella di Porta Santi.
8.8. Rimane da parlare dell'evoluzione di /eÈ/ che, come s'è visto al §!8.4, viene
da /aa/ del proto-aemiliano, a sua volta derivato da a lat. volg. in sillaba noncaudata.
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Daniele Vitali e Luciano Canepari, «Santarcangelo di Romagna e i ‘dialetti dei dittonghi'», in: Davide
Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
Secondo Schürr 1974, questa a del lat. volg., che lui chiama « á!libera», sarebbe
passata per una serie di trasformazioni successive, trascritte così: wa, äa, 'a, eæ, "æ (§!8).
L'ultima fase è quella della «Romagna centrale», ossia Forlì, Faenza, Imola, Ravenna
(con Lugo, arrivata addirittura a "), ed essendo quella più discosta dalla
configurazione originaria sarebbe questa la zona della Romagna dove il fenomeno
ebbe origine. Nelle zone periferiche, invece, si trovano ancora le fasi meno evolute,
per esempio wæ, w, ä «con tali oscillazioni nella stessa parlata di Sarsina» (§!19).
In effetti, s'è visto al §!2.2 di quest'articolo che, mentre i dialetti rf realizzano
/eÈ/ come (eÉ), col primo elemento che è un vero e proprio e chiuso (il che spiega la
trascrizione schürriana "æ), il sarsinate ha realizzazioni più vicine a e aperto e tendenti
ad a, ossia (ÉE è ÄE è åÄ) ((åÄ) potrebbe essere wæ di Schürr: è un peccato che l'autore,
dopo il disappunto tipografico del 1917, non abbia usato l'ipa almeno in questo
lavoro, di 57 anni successivo!); lo stesso vale per il santarcangiolese, che ha (EÉ è ÄÉ è
πÉ) ((ÄÉ è πÉ) potrebbero essere ä?).
S'è visto alle figure 3 e 4 e ai §§!2.2 e 2.3 che la differenza fonetica tra ê /eÈ/
(EÉ) e ë /EE/ (E™) non è tanto netta in santarcang., e che questo dialetto
probabilmente ha evitato il confluire dei due fonemi in un unico fonema /EE/
ricorrendo alla labializzazione. Lo stesso fenomeno si osserva nella frazione di San
Vito.
Poco lontano, a Rimini, la confluenza invece c'è stata, e il riminese quindi
pronuncia «sala» e «sella» allo stesso modo, cioè sëla /'sEEla/. Però anche il riminese
doveva un tempo avere /eÈ/, dal momento che in certi suoi dialetti rustici esiste
ancora: si ritrova infatti in varie località della Valconca (® Vitali-Pioggia 2010, §!1).
Sicuramente, la confluenza del capoluogo è dovuta ad articolazioni non abbastanza
differenziate: a Viserba /eÈ/ (Ä™) riesce ad opporsi a /EE/ (ÉE) grazie a realizzazioni
praticamente opposte, ma siamo sempre nello stesso spazio fonetico e una loro
neutralizzazione non sarebbe impensabile.
Considerando che le città hanno dialetti più evolutivi, non stupirà allora che la
confluenza ci sia stata proprio a Rimini e Cesena, mentre ha saltato alcuni centri
minori. Ecco infatti com'è la situazione: ha solo /EE/ Calisese, per influenza della
vicina Cesena di cui è frazione, lo stesso dicasi di Case Missiroli, che per
sovrammercato è posta sulla Via Emilia, veicolo privilegiato di trasmissione di tanti
fenomeni da Est ad Ovest e da Ovest ad Est; hanno solo /EE/ anche Savignano e
Gambettola, poste sulla Via Emilia, mentre /eÈ/ resiste a San Mauro, per quanto
non in tutti i parlanti (è confluito in /EE/ nella parlata di Gianfranco Miro Gori e del
padre, ma si trova ancora nella madre), e si trova saldamente a Poggio Berni, posta
più in quota e in zona più periferica.
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Daniele Vitali e Luciano Canepari, «Santarcangelo di Romagna e i ‘dialetti dei dittonghi'», in: Davide
Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
Figura 16 - Il fonema /EE/ a Calisese.
Figura 17 - Il fonema /EE/ a Savignano sul Rubicone (Rinaldi).
Figura 18 - I fonemi /eÈ/ e /EE/ a San Mauro Pascoli.
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Daniele Vitali e Luciano Canepari, «Santarcangelo di Romagna e i ‘dialetti dei dittonghi'», in: Davide
Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
Figura 19 - I fonemi /eÈ/ e /EE/ a Poggio Berni.
9. Conclusione
Come s'è fatto precedentemente per il dialetto riminese, diamo la favoletta
esopica «Il Vento di Tramontana e il Sole» in santarcangiolese, tradotta da Gianni
Fucci e trascritta in orc da Davide!Pioggia (senza l'apostrofo dopo e articolo e
pronome clitico, usato invece nel resto del libro). Il testo italiano e il sonoro della
versione dialettale possono essere consultati sul sito www.dialettiromagnoli.it.
E Vént ad Tramuntêna e e Såul
Un dè i s aragn"vva la Tramuntêna e e Såul, l Eun pretend"nnd d ës piò fórt ad
cl êlt, quand ch'i avd"tt un piligrEin, ch'l avn"vva Eulta gupléd t la caparëla.
Alåura i du rivêl i decid"tt ch'e sar"bb stê piò fórt chi di dEu e f$ss stê capêzi ad
fê cavê la caparëla d'indös m'e piligrEin.
E vént e tach"tt a sufié fórt, mò piò e sufi"vva piò e piligrEin u s stran<"vva t la
caparëla; ae pEunt che t l Eultum e póri vént e cn"tt arnunzié m'e su propó§it. Alåura
e Såul u s mustrò t e zil e póc döp e piligrEin, ch'e sint"vva chêld, u s cavò la caparëla.
Acsè la Tramuntêna la f$ custrètta a arcnòss che e Såul l "rra piò fórt ad lì.
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Daniele Vitali e Luciano Canepari, «Santarcangelo di Romagna e i ‘dialetti dei dittonghi'», in: Davide
Pioggia, Fonologia del santarcangiolese, Verucchio : Pazzini 2012 - versione del gennaio 2024
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