CHIESE DI VENEZIA
NUOVE PROSPETTIVE DI RICERCA
Collana di Studi
La chiesa di Santa Maria
di Nazareth e la spiritualità
dei Carmelitani Scalzi a Venezia
A cura di
Giacomo Bettini e Martina Frank
Fotograie di
Francesco Turio Böhm
CHIESE DI VENEZIA. NUOVE PROSPETTIVE DI RICERCA. Collana di Studi
DIRETTORE
Gianmario Guidarelli (Studium Generale Marcianum, Venezia-Università degli Studi di Padova)
COMITATO SCIENTIFICO INTERNAZIONALE
Bernard Aikema (Università di Verona)
Natalino Bonazza (Studium Generale Marcianum, Venezia)
Caroline Bruzelius (Duke University, Durham)
† Ennio Concina (Università Ca’ Foscari, Venezia)
Laura Corti (Università IUAV di Venezia)
Michel Hochmann (Ecole Pratique des Hautes Etudes, Paris)
Deborah Howard (University of Cambridge)
Paola Modesti (Università degli Studi di Trieste)
Laura Moretti (University of St. Andrews)
Mario Piana (Università IUAV di Venezia)
Paola Rossi (Università Ca’ Foscari, Venezia)
Fabio Tonizzi (Studium Generale Marcianum, Venezia)
Giovanni Trabucco (Studium Generale Marcianum, Venezia)
SEGRETERIA SCIENTIFICA E ORGANIZZATIVA
Ester Brunet (Studium Generale Marcianum, Venezia)
In collaborazione con:
Con il patrocinio di:
Ufficio Beni Culturali
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Scuola Grande
di San Teodoro
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Impaginazione e grafica: Linotipia Antoniana, Padova
In copertina: Domenico e Giuseppe Valeriani, Gloria di angeli,
cupola del presbiterio, Venezia, Chiesa degli Scalzi
© Per gentile concessione dell’Ufficio per la Promozione dei Beni Culturali del Patriarcato di Venezia
L’Editore ha cercato con ogni mezzo i titolari dei diritti di alcune immagini senza riuscire a reperirli;
resta a disposizione per l’assolvimento di quanto occorra nei loro confronti.
ISBN 978-88-6512-225-9
INDICE
Saluti istituzionali
Fabio Tonizzi,
Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Lorenzo Giustiniani” . . .
I Padri Carmelitani Scalzi, Venezia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tiziana Agostini,
Comune di Venezia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Renata Codello,
Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia
e Laguna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Giovanna Damiani,
Soprintendenza Speciale per il Patrimonio storico, artistico e
etnoantropologico della città di Venezia e dei comuni della Gronda
lagunare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Giuseppe Barbieri,
Scuola dottorale interateneo Università Ca’ Foscari Venezia, IUAV,
Università di Verona in Storia delle Arti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Gianmario Guidarelli,
Chiese di Venezia. Nuove prospettive di ricerca . . . . . . . . . . . . . . . .
Giacomo Bettini, Martina Frank, Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Antonio Menniti Ippolito, Il Papato, la Repubblica e la Chiesa
di Venezia nel tempo dell’affermazione dei Carmelitani Scalzi in laguna . .
Elena Svalduz, Un sito strategico: l’area degli Scalzi nella storia
della città . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Andrew Hopkins, Momenti critici agli Scalzi. I primi tre disegni
architettonici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dorit Raines, La lobby cittadina dei Carmelitani Scalzi nella Venezia
secentesca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Elisabetta Marchetti, Venezia e Santa Maria di Nazareth: tappe
significative nello sviluppo culturale e nella diffusione della realtà Scalza . .
Monica De Vincenti, La facciata degli Scalzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Martina Frank, Dopo Longhena: la ridefinizione architettonica e
decorativa del coro e del presbiterio della chiesa degli Scalzi . . . . . . . . . . .
Serena Tagliapietra, Sui marmi della chiesa di Santa Maria di Nazareth
a Venezia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Emanuela Zucchetta, Le pitture murali della cupola e del coro della
chiesa degli Scalzi: appunti e considerazioni in margine al restauro per
Giuseppe e Domenico Valeriani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
P. Antonio Maria Sicari o.c.d, La mistica carmelitana tra il
“mas profundo centro” e la massima estensione missionaria . . . . . . . . . . .
William L. Barcham, Giambattista Tiepolo e Gerolamo Mengozzi
Colonna. L’armonia pittorica a due pennelli e la mistica carmelitana . . . .
Vittorio Pajusco, Ettore Tito e il nuovo soffitto degli Scalzi . . . . . . . . . . .
INDICE
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APPARATI
Abstract . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Indice dei luoghi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Indice delle immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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LA CHIESA DI SANTA MARIA DI NAZARETH DETTA GLI SCALZI.
TAVOLE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 263
VITTORIO PAJUSCO
ETTORE TITO
E IL NUOVO SOFFITTO DEGLI SCALZI
Dopo la notte della domenica, trascorsa inquieta sotto i ripetuti, ostinati, assalti
degli aeroplani nemici, Venezia si ridestava lentamente nelle nebbie del mattino,
fra cui si celava ancora un’ultima sorpresa degli strani uccelli e s’avviava alla
solita vita, già pronta a ridere di tanti spari, di tanti scoppi, che non avevano
fatto male ad alcuno, quando incominciò a spargersi la voce di gravi danni alla
chiesa di Santa Maria di Nazareth, del convento degli Scalzi, alla stazione.1
Gino Fogolari iniziava così il racconto della visione Chiesa degli Scalzi
la mattina del 25 ottobre 1915. Nelle righe immediatamente successive egli
scriveva che, arrivato davanti all’edificio, tutto gli sembrava in ordine, la facciata del Sardi non aveva subito danni ma dalla porta laterale, che apre sulla
stazione, si notava uno strano via vai di gente «che entrava trepidante e
usciva grave e sbalordita», si avvicinava e scopriva con orrore che la volta
della chiesa è stata colpita da una bomba austriaca, l’affresco di Tiepolo era
in macerie sul pavimento.
Grandissimo scandalo internazionale: tutti i giornali ne parlarono e mostrarono le foto dell’edificio lacerato simbolo della barbarie della guerra. La
chiesa viene subito chiusa al pubblico. Cominciarono i lavori di messa in sicurezza delle murature ma solo nel 1926 risulta ricostruita la copertura, finito
il restauro del pavimento «e fu possibile anche lasciar sospesa la magnifica
armatura per l’opera dell’affresco della volta stessa. E infatti, finito il soffitto,
restava il compito grave e difficile, non ancora assunto da alcuno, di affrescarlo e la cosa si era trascinata per lunghi anni».2
Nel 1920 monsignor Costantini, esperto d’arte, che già nel 1913 aveva
fondato il mensile Arte cristiana, promuoveva una grande esposizione a Venezia: la Mostra Nazionale d’Arte sacra. L’evento sarà allestito nelle sale del
Palazzo Reale (oggi Museo Correr) dove si poterono ammirare più di 900 ope-
1
2
FOGOLARI 1915, p. 1064. Si veda inoltre il saggio di William Barcham in questo volume.
BONZIO 1933, p. 294.
210
VITTORIO PAJUSCO
re tra pittura, scultura, arti applicate e modelli d’architettura. Si bandirono
anche alcuni premi tra i quali quello relativo al «Concorso per un bozzetto
raffigurante il Trasporto della Santa Casa di Loreto».3 Il relativo testo in catalogo riporta la seguente breve descrizione:
Una bomba austriaca distruggeva nell’Ottobre 1915 il soffitto della chiesa degli
Scalzi in Venezia, nel quale l’arte di Gianbattista Tiepolo aveva rappresentato
il Trasporto della Santa Casa di Loreto. Il Comitato della Mostra, pur non volendo
assumere alcun impegno nè verso i concorrenti, nè verso altri, venne nella determinazione di indire un concorso per un bozzetto raffigurante tale soggetto,
e chiudeva il bando con queste parole: È da far voto che taluno degli artisti si affermi in questa gara con nobile e geniale ispirazione, cosiché la chiesa degli Scalzi
possa aver presto il modo di accogliere una nuova opera.4
Parteciparono 15 bozzetti contraddistinti da motti che garantivano l’anonimato dell’esecutore e quindi l’inparzialità del voto della giuria. La scelta
cadde sull’opera contrassegnata dal motto Aretusa (Fig. 81) che risultò appartenere al giovane pittore milanese Cesare Fratino.
Fig. 81. Cesare Fratino, bozzetto per il soffitto della chiesa degli Scalzi, da L’illustrazione italiana,
anno XLVII, n. 52, 26 dicembre 1920
3
4
Mostra Nazionale d’Arte Sacra 1920, pp. 63-64.
Ibidem.
ETTORE TITO E IL NUOVO SOFFITTO DEGLI SCALZI
211
Fig. 82. Ettore Tito, bozzetto per il soffitto della chiesa degli Scalzi, 1929,
Venezia, collezione privata
L’artista non era uno dei più celebri tra i concorrenti ma non era nemmeno
sconosciuto all’ambiente veneziano, avendo già partecipato, sempre con pochi
quadri, alle Biennali del 1912, del 1914 e a quella in corso del 1920.5 Fratino
ricevette un premio in denaro per il bozzetto e gli fu poi chiesto di approntare
un progetto definitivo dell’opera che non sappiamo però come sia stato accolto dalla commissione.6
A questo proposito è lecito pensare che la giuria scegliendo di premiare
quel bozzetto fosse convinta che quel dipinto dal colorito e dalla composizione
così vicina ai modi di Tiepolo fosse dovuto a un altro artista, magari veneziano.7 Il restauro della chiesa viene ultimato nel 1926 e a questa data il nome
di Cesare Fratino è ormai dimenticato, mentre comincia a circolare quello
del ben più noto Ettore Tito.
PANCOTTO 1998, pp. 336-337.
VOLPARA 1921, p. 94.
7 Per un approfondimento bibliografico legato alla partecipazione di Ettore Tito al concorso
del 1920 si rimanda alla Nota bibliografica in STRINGA, 2006, p. 21.
5
6
212
VITTORIO PAJUSCO
Nel 1927 infatti la Direzione Generale delle Antichità e delle Belle Arti
riconosceva che in Italia nessuno più di Ettore Tito, «per sicuro possesso della
tecnica e per temperamento artistico, sia prossimo alla maniera di Tiepolo»
affidandogli ufficialmente l’importante committenza.8 Nel 1929 la stessa Direzione approvava il bozzetto del pittore veneziano (Fig. 82) e quindi dava
il consenso all’inizio dei lavori.9
Lo stesso documento ministeriale in oggetto, presente nell’archivio personale del pittore, porta la firma di Corrado Ricci,10 direttore delle Antichità
e Belle Arti fino al 1919 e in quel momento membro ancora abbastanza influente da poter suggerire il nome dell’amico Tito per quella importante committenza.11
Nel 1929 il prestigio di Tito veniva accresciuto dalla sua elezione alla
Reale Accademia d’Italia, unico veneziano in quel consesso che accoglieva
i più importanti intellettuali del paese nei campi delle scienze, delle lettere
e delle arti, rafforzando così la sua legittimazione per l’incarico agli Scalzi.12
Dalle testimonianze pervenuteci sembra che Tito all’inizio fosse molto riluttante ad accettare quel lavoro, molte erano le incognite, e la sua esitazione
in particolare si riferiva all’inevitabilità del confronto con l’opera di Tiepolo
e non da ultimo all’idea della fatica fisica che un lavoro del genere comportava, il maestro in effetti aveva allora già settant’anni.
Ricordo non l’esitanza soltanto ma in qualche momento la reazione e quasi
la stizza con le quali l’Artista si dichiarava restìo al cimento che, per la grandezza dell’opera scomparsa, gli sembrava superasse le possibilità dell’arte nostra.
Egli andava mormorando tra fermi dinieghi parole: fra le altre no savarìa cosa
far.13
DIREZIONE GENERALE DELLE ANTICHITÀ E BELLE ARTI 1929, p. 46.
Il bozzetto ancora oggi in collezione privata a Venezia presenta la prima idea dell’artista cioè
di replicare la stessa iconografia del Tiepolo. L’opera è stata esposta alla recente mostra monografica dell’artista alla Fondazione Cini di Venezia; per le vicende storiografiche si rinvia
alla preziosa scheda del catalogo, redatta da Anna Mazzanti, in BETTAGNO 1996, pp. 211-212
e p. 136 (immagine a colori).
10 Il documento inviato ad Ettore Tito presenta lo stesso testo di quello citato alla nota 8 che
però non portava le firme di Corrado Ricci, del ministro Belluzzo e del segretario Scaccia;
BETTAGNO 1996, p. 82.
11 BETTAGNO 1996: pp. 211-212.
12 Il decreto di nomina ad Accademico d’Italia è del 27 settembre 1929, CAGIANO DE AZEVEDO,
GERARDI 2005, p. 20.
13 MARANGONI 1945, pp. 24-25. Il testo di Marangoni è la commemorazione funebre di Ettore
Tito, letta l’11 ottobre 1941 nella Scuola Grande di San Giovanni Evangelista e composta in
questa edizione da Domenico Varagnolo, cutatore delle edizioni Serenissima.
8
9
ETTORE TITO E IL NUOVO SOFFITTO DEGLI SCALZI
213
Tali però furono le dimostrazioni di stima e di incoraggiamento che l’artista
fu persuaso a cominciare i lavori. Egli prese però due importanti decisioni,
la prima fu quella di cambiare il soggetto iconografico della volta e la seconda
quella di non utilizzare la tecnica dell’affresco, bensì di realizzare il rettangolo
centrale su tela dipinta che sarebbe poi stata applicata al soffitto con la tecnica
del marouflage.14 Il nuovo tema scelto per il soffitto fu La Gloria di Maria
Trionfante dopo il Concilio di Efeso forse ispirato dalle celebrazioni per i 1500
anni dal concilio ecumenico del 431 d.C. Egli chiamò ad aiutarlo nell’impresa
il figlio Luigi e l’allievo Giovanni Majoli. Quest’ultimo in particolare fu scelto
per la sua abilità di frescante, dato che la parte centrale era compito del maestro da realizzarsi in studio, le parti laterali e i pennacchi dovevano essere
realizzati come aveva fatto Tiepolo in situ ad affresco.
Nei quaderni e nelle agende di Giovanni Majoli ci sono a questo proposito
informazioni importanti e inedite su come procedettero i lavori, ed esse sono
una fonte fondamentale per ricostruire questa vicenda.15 Majoli ad esempio
ricordava come il maestro Tito stesse pensando per le parti laterali a dei temi
“contemporanei”, ispirati a episodi della Prima Guerra Mondiale, a Venezia.
Aveva realizzato dei cartoni con soldati che sparavano agli aerei da alcune
altane, uno di questi studi fu anche esposto alla Biennale del 1930.16 Quella
scelta iconografica fu poi accantonata essendo poco affine al tema religioso
della volta e si giunse a un’altra soluzione più in linea con la tradizione che
prevedeva una rappresentazione di Virtù e Sibille. Tra il 1929 e il 1930 i cartoni definitivi fatti da Gigetto (Luigi Tito) e Majoli furono ultimati. Nel 1931
si poté cominciare a operare direttamente in chiesa. Majoli pensò ai materiali:
«la calce vecchia e di cogolo»; chiamò Neno Miotti un abile stuccatore che
gli portò «9 botti di calce e sabbia, questa ultima occorre lavarla per bene
per essere sicuri che non contenga la benché minima parte di sale, il grande
nemico dell’affresco». Nell’estate i Tito si trasferiscono in villa a Sambruson
di Dolo e anche il Majoli sarà per due mesi loro ospite in Riviera, dove realizza
rilievi tridimensionali delle figure da affrescare, per verificarne gli effetti chia-
Per le vicende iconografiche si rimanda al saggio di Sebastiano Scarpa, SCARPA 1991, pp.
238-243.
15 Archivio di Giovanni Majoli (1893-1986) è conservato a Varzi (Pavia), paese d’origine del
pittore, presso i suoi eredi. Molti sono i documenti che riguardano il lavoro degli Scalzi: fotografie, disegni, carteggi. Gli scritti che si prendono come riferimento per le pagine seguenti
sono raccolti nel quaderno intitolato Memorie, Villa Serena, 1972, pagine scritte il 29 febbraio
1972. Tutte le citazioni che non presentano riferimento bibliografico sono da considerare proveniente da questa fonte.
16 Esposizione Biennale 1930, p. 41, n. 43, Bozzetton.
14
214
VITTORIO PAJUSCO
roscurali. A settembre cominciano i lavori sulla volta. Si preparano i colori,
nove tonalità per ogni pigmento, le più chiare si useranno nelle parti esterne
e quelle via via più scure quanto più ci si avvicini alla cornice del quadro
del maestro.
Era venuto il momento di attaccare il dipinto alla volta. Era stato portato sul
grande terrazzo in due pezzi, avvolto in due rulli, su tela venuta dal Belgio.
L’operazione era stata affidata al restauratore Steffanoni, allievo del famoso
Cavenaschi, due pezzi lunghi 7 metri, uno largo 4 metri e 80, l’altro 4 metri
e 50 [...]. Sulla terrazza distesi le due tele nel modo che il maestro le aveva
dipinte e le disposi per tracciare col gesso la mezzaria così come l’avevo tracciata sulla volta. Camminavo scalzo sulle tele. Steffanoni non si fidava di tagliare i pezzi così affidarono a me il compito. Procedetti come dallo schizzo,
applicando prima i pezzi di centro.
Si applicava una colla speciale sia sull’intonaco che sulla tela cercando
di far collimare i pezzi, si procedeva poi con un rullo dal centro verso l’esterno
per far aderire il tessuto.
Ero già a metà di settembre quando iniziai ad affrescare e si era giunti alla
metà di ottobre e cominciava a fare fresco e restavo sul ponte tutta la giornata a lavorare con la faccia alzata al soffitto, le mani bagnate con tinte colori sciolti in acqua e calce. Era un vero supplizio per me perché si formavano
sulle dite rigoni profondi. Per fortuna Mario Tito figlio maggiore del maestro,
dottore in scienze commerciali, era alla direzione della società adriatica di
elettricità e fece in modo di farci avere un riscaldamento con stufe elettriche
della società, gratuitamente. Fece istallare tre grosse stufe che mitigavano
un po’ l’aria, comunque la temperatura non superò mai i 12° per tutto l’inverno del 1931-’32.
Gigetto saliva solo saltuariamente sui ponteggi, l’affresco non era tecnica
a lui molto congeniale, il suo temperamento e il suo modo di dipingere veloce
ed espressivo non si addicevano ai tempi lenti della pittura murale.
A questo punto il maestro volle far togliere tutto l’assito per vedere l’effetto
ed anche perché il lavoro per tre quarti era finito, e per farlo vedere ad amici
e a molte personalità in quell’occasione feci un po’ gli onori di casa, dato che
consocevo meglio di tutti il lavoro che avevo fatto. La signora Lucia Tito mi
presentò come colui grazie al quale tutto questo è stato possibile. Tra i tanti
c’era la moglie dello scultore Arturo Dazzi, che mi chiese come avevamo fatto
ad applicare una cornice di marmo così pesante ad un soffitto, non volendo
credere che fosse finta, le diedi un binocolo, non si capacitava come avessi
fatto a renderla con evidenza così sfacciata. Fu un successo, però non mi frutto
ETTORE TITO E IL NUOVO SOFFITTO DEGLI SCALZI
215
molto, tanto che il maestro, a lavoro finito fece dare a tutto il complesso una
velatura di nero, per attenuare l’effetto.
Non mancava molto alla conclusione dei lavori quando Ettore Tito chiese un acconto alla Direzione Generale ma il ministero rispose in maniera
negativa. Majoli insinuava che questa presa di posizione fosse legata al ritorno di Margherita Sarfatti dall’America Latina, l’influente critica d’arte
in effetti non amava la pittura tarda di Ettore Tito. Il maestro si rivolse a
questo punto direttamente ai Carmelitani e Majoli dice di aver visto e sentito «Tito proferire improperi di ogni genere verso il priore dei frati e decidere di sospendere il lavoro». Dai documenti privati di Tito sappiamo che
il padre dell’ordine a un certo punto chiese alla Soprintendenza la restituzione dei residui di affresco di Tiepolo che si conservavano alle Gallerie
dell’Accademia sostenendo inizialmente di volerli posizionare nel coro della
chiesa, ma fu chiaro in seguito che il suo intento era di mettere in vendita
quelle opere per poter pagare i lavori sul soffitto della chiesa.17 Dopo qualche
mese i lavori ricominciarono.
Ripresi il lavoro per completare prima la parte della porta, al centro gli stemmi
per ricordare la conciliazione tra stato e chiesa, intanto pregai il maestro di
decidere per le nicchie angolari: egli decide per le campane e non cambiò più,
poi restava da decidere per i sei cappucci in corrispondenza delle finestre; su
di un fondo bluastro un traiage in giallo oro. Per questo lavoro ingaggia un
giovane studente dell’Istituo d’arte, Edmondo Bacci, che poi anni dopo divenne mio assistente.
A luglio del 1932 Tito chiamava Majoli per annunciargli che il soffitto
doveva essere finito entro il 18 settembre, il frescante dovette accelerare i
tempi.
La sera dell’11 settembre ’32 mi recai a casa Tito ad annunciare che il soffitto
era finito nessuno si scompose tranne la signora Lucia, che disse “è stato in
grazia sua se questo lavoro è andato a termine”. Sul Corriere della sera un
grosso articolo che parlava di questo lavoro unico, in questo tempo, che rinnovava l’antica tradizione della pittura.
17 Per una ricostruzione di queste vicende cfr. i documenti provenienti dall’archivio privato
di Tito, trascritti nel catalogo monografico dell’artista; BETTAGNO 1996, p. 83.
216
VITTORIO PAJUSCO
Fig. 83. Ettore Tito, La Gloria di Maria Trionfante dopo il Concilio di Efeso, 1931-33, soffitto,
Venezia, chiesa degli Scalzi
ETTORE TITO E IL NUOVO SOFFITTO DEGLI SCALZI
217
Il soffitto (Fig. 83) fu inaugurato il 25 aprile del 1933 alla presenza dei
principi di Piemonte e del patriarca La Fontaine, lo stesso giorno dell’apertura
del ponte automobilistico (ponte Littorio) che collega Venezia alla terraferma.18
Il ponte superbo gettato sulla laguna ad opera dell’ingegneria moderna unisce
materialmente l’uomo all’uomo; il soffitto dipinto da un artista grande dell’epoca nostra raffigurante la gloria dei cieli unisce spiritualmente l’uomo a
Dio.19
La zona nella quale il nuovo ponte tocca Venezia sarà oggetto di importanti rimaneggiamenti volti soprattutto alla creazione del piazzale e dei
parcheggi, diventando così la nuova porta d’accesso alla città. A partire
da questa nuova porta il primo edificio religioso che ci viene incontro è
ora la chiesa degli Scalzi20 con la sua bianca facciata, di fronte ad essa la
nuova arcata del ponte di pietra che ha sostituito quello metallico del periodo austriaco.21 Tutte queste opere (compreso il soffitto di Ettore Tito)
fanno parte di un tentativo di modernizzare la città di Venezia voluto in
particolare da Giuseppe Volpi di Misurata, amico fraterno del pittore.22 Ettore Tito scomparve nel 1941 e la sua salma fu sistemata proprio nella chiesa degli Scalzi, dapprima nella cripta dell’altar maggiore e in seguito in
una stanzina a lato della cappella di San Giovanni della Croce, dove fu
posto un sarcofago di porfido.23 «Nella Chiesa degli Scalzi, sulla cui volta
la sua opera è succeduta a quella del Tiepolo, ora una pietra sepolcrale addita il suo nome, mentre le mura riecheggiano ancora delle lontane note
della sua Ave Maria».24
DE LOGU 1933, pp. 377-382.
SCARPA 1933, p. 142.
20 «Come pia sentinella all’unica porta della città, proprio di fianco alla stazione, il forestiero,
entrando in Venezia, trova una Chiesa: S. Maria di Nazareth» con queste parole Olga Bonzio
iniza il suo articolo per l’inaugurazione dell’affresco di Ettore Tito; BONZIO 1933, p. 293.
21 Cfr. qui il saggio di Elena Svalduz.
22 Per i rapporti tra Tito e Volpi si vedono gli studi di Anna Mazzanti in MAZZANTI 1995, pp.
97-104 e BETTAGNO 1996, pp. 218-221.
23 La salma di Ettore Tito, 1943.
24 VARAGNOLO 1941, p. 450-451.
18
19
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VITTORIO PAJUSCO
L’amico Felice Carena, in uno stralcio del lungo discorso di commerazione
alla Regia Accademia d’Italia ricordava così l’artista scomparso: «Tito non
amava si parlasse di lui: lavorò semplicemente, costantemente e onestamente
anzittutto per una sua intima necessità e per portare il suo contributo di lavoro
sincero così come opera qualunque vero artista».25
Il discorso di Felice Carena pronunciato nel novembre 1941 verrà poi pubblicato in un numero della «Nuova Antologia», CARENA 1942, pp. 15-23. CAGIANO DE AZEVEDO, GERARDI
2005, p. 207-208.
25