L’onore e le gabelle di Barletta.
Spunti su negoziazione fiscale e gerarchie urbane in Puglia fra i secoli XIII e XVI
DAVIDE MORRA
Esiste un ricco filone della storiografia europea recente che, sul troncone degli studi
dedicati alla fiscalità nell’ambito dei programmi di ricerca sulla formazione dello Stato
moderno, ha innestato più approfondite riflessioni dedicate alla fiscalità urbana1. Anche
se queste ricerche guardano soprattutto all’Occidente mediterraneo e interessano in
maniera preponderante la penisola iberica e la Francia, dunque ambiti nei quali lo studio
della fiscalité des villes implica quello dell’integrazione dei sistemi di tassazione locale
entro organismi monarchici, ebbene nonostante questo mancano, nei volumi che ne sono
il frutto, riflessioni dedicate al regno di Napoli. È il sintomo di un vuoto che solo pochi
contributi hanno cercato di riempire2, negli ultimi decenni, ma che va colmato poiché – e
dovrebbe essere superfluo dirlo – l’ambito della fiscalità è centrale nella costruzione di
poteri territoriali, nonché nella definizione di gerarchie sociali e urbane.
Le questioni che si potrebbero prendere in esame sono molteplici. Qui ci si propone di
svolgere alcune osservazioni attinenti soprattutto alla dimensione politica del rapporto
fiscale fra una città, Barletta, e i sovrani del regno di Napoli, in un periodo che registra
sviluppi destinati a lasciare tracce durevoli. S’intende che la dimensione politica cui ci si
riferisce non è quella propria del rapporto fra poteri politici autonomi, ma fra una
comunità demaniale e il suo superiore feudale diretto, il re3. È una politicità che non
riguarda, dunque, la ricerca d’indipendenza, ma la contrattazione di privilegi e libertà
entro il quadro regnicolo. L’importanza di queste negoziazioni è evidente quando si
consideri che esse risultano determinanti per stabilire i confini del potere amministrativo
lasciato all’élite locale, nonché le condizioni alle quali dalle risorse fiscali teoricamente
raccolte per la soddisfazione delle tasse regie possono essere stornati profitti da destinare
1
Cfr. D. MENJOT, M. SANCHEZ MARTINEZ (a cura di), La fiscalité des villes au Moyen Âge, Toulouse, Privat,
4 voll., 1996-2004; MENJOT, SANCHEZ MARTINEZ (a cura di), Fiscalidad de Estado y fiscalidad municipal
en los reinos hispánicos medievales, Madrid, Casa de Velázquez, 2006; L’impôt dans les villes de l’Occident
méditerranéen, XIIIe-XVe siècle, Paris, Comité pour l’histoire économique et financière de la France, 2005.
2
Cfr. soprattutto F. SENATORE, Una città, il regno. Istituzioni e società a Capua nel XV secolo, Roma,
Istituto Storico Italiano per il Medioevo, 2018, vol. I, cap. 3 e A. AIRÒ, «Et signanter omne cabella et dacii
sono dela detta universita». Istituzioni, ambiente, politiche fiscali di una "località centrale": Manfredonia
nel sistema territoriale di Capitanata tra XIII e XVI secolo, in R. LICINIO (a cura di), Storia di Manfredonia,
I: Il Medioevo, Bari, Edipuglia, 2008, pp. 165-214. Utili anche P. TERENZI, L’Aquila nel Regno. I rapporti
politici fra città e monarchia nel Mezzogiorno tardomedievale, Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 357-376 e G.
ANDENNA, Fiscalità e sviluppo socio-economico nell’«universitas» di Lecce dall’età angioina all’inizio
del dominio aragonese, in B. VETERE (a cura di), Storia di Lecce. Dai bizantini agli aragonesi, Roma-Bari,
Laterza, 1993, pp. 197-250.
3
Sulla revisione di letture troppo incentrate sul concetto di autonomia si veda in ultimo P. TERENZI, Città,
autonomia e monarchia nel Mezzogiorno tardomedievale. Osservazioni sul caso aquilano, in «Studi
storici», 56, 2, 2015, pp. 349-375, insieme a M. CARAVALE, La legislazione statutaria dell’Italia
meridionale e della Sicilia, in ID., La monarchia meridionale. Istituzioni e dottrina giuridica dai Normanni
ai Borboni, Roma-Bari, Laterza, 1998, pp. 167-200; P. CORRAO, Città e normativa cittadina nell’Italia
meridionale e in Sicilia nel medioevo: un problema storiografico da riformulare, in R. DONDARINI (a cura
di), La libertà di decidere. Realtà e parvenze di autonomia nella normativa locale del medioevo, Cento,
Comune di Cento, pp. 35-60; G. GALASSO, Sovrani e città nel Mezzogiorno tardo-medievale, in S. GENSINI
(a cura di), Principi e città alla fine del Medioevo, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio
centrale per i beni archivistici, 1996, pp. 225-247.
Itinerari di ricerca storica, a. XXXV – 2021, numero 1 (nuova serie)
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Davide Morra
al beneficio di quella medesima élite o della comunità tutta, concorrendo a stabilire
l’importanza di ambedue, la loro dignità.
A questi problemi gli studi sul Mezzogiorno medievale hanno dedicato un’attenzione
non proporzionale alla loro importanza, limitandosi a valutazioni abbastanza generiche4.
Eppure, essi consentono d’intendere come attraverso i secoli tardomedievali la
costruzione del sistema fiscale dipese anche dal raggiungimento di compromessi in
merito alle procedure di tassazione, alle soglie imponibili, ai meccanismi di
redistribuzione, alle eccezioni; tutti aspetti che enucleavano il significato
dell’appartenenza di ogni comunità e di ogni individuo al Regnum, la loro posizione
all’interno di una gerarchia e quindi i connotati propri delle diverse cittadinanze, nonché
i limiti fondamentali alle possibilità di arbitrio dei sovrani e i gradi d’integrazione del
mosaico istituzionale. Naturalmente si tratta di un argomento vastissimo, che qui si
toccherà in maniera selettiva e calibrata su un singolo caso, al solo scopo di porre in risalto
alcuni nodi impossibili da sciogliere in questa sede, ma importanti da considerare.
La città senza diocesi
Oggi Barletta identifica sé stessa come "Città della Disfida", nel solco di una tradizione
soprattutto risorgimentale e fascista che nobilita la storia locale grazie all’aggancio con
un prestigioso mito nazionale5. È una rivendicazione che fa pensare e divagare. Suona, ai
nostri giorni, come la risposta a un bisogno di distinzione che ha, forse, ragioni
antropologiche, ma anche risvolti molto pragmatici. Quella memoria fa parte di un
capitale simbolico che Barletta – città fra le cosiddette "intermedie" (cioè dotate di una
popolazione fra i 24 e i 257 mila abitanti), impegnate a ritagliarsi un posto fra le metropoli
e la grande massa dei piccoli centri italiani6 – utilizza per etichettarsi e per farsi attrattore
4
Come quelle, cursorie, in N.F. FARAGLIA, Il comune nell’Italia meridionale (1100-1806), Napoli,
Tipografia della Regia Università, 1883, p. 46 e F. CALASSO, La legislazione statutaria dell’Italia
meridionale, Roma, A. Signorelli, 1929, pp. 188-190, ma anche quelle più ampie in R. CAGGESE, Roberto
d’Angiò e i suoi tempi, Firenze, Bemporad, 1922, pp. 397-439; G. GALASSO, Storia del regno di Napoli, I:
Il Mezzogiorno angioino e aragonese, 1266-1494, Torino, Utet, 2006, pp. 423-424; e G. VITOLO, Il regno
angioino, in G. GALASSO, R. ROMEO, Storia del Mezzogiorno, Roma, Edizioni del Sole, 1986, vol. IV, tomo
I, pp. 11-86 (qui 28-38).
5
L’episodio cui ci si riferisce è ovviamente lo scontro fra i 13 armigeri italiani e i 13 francesi avvenuto il
13 febbraio 1503 fra Andria e Corato - ma originato dall’insulto all’onore guerriero italico da parte del
prigioniero francese Guy de la Motte mentre era tenuto a Barletta, dove alloggiavano le truppe spagnole
del Gran Capitano Consalvo de Cordoba. Questa, almeno, è la vulgata relativa all’evento. Sulla difficile
conoscibilità dei fatti e la stratificazione delle narrazioni che vi si ispirarono sin dal Cinquecento, si guardi
ad alcuni volumi recenti: F. DELLE DONNE, V. RIVERA MAGOS (a cura di), La Disfida di Barletta. Storia,
fortuna, rappresentazione, Roma, Viella, 2017; DELLE DONNE, RIVERA MAGOS (a cura di), La Disfida di
Barletta e la fine del Regno. Coscienza del presente e percezione del mutamento tra fine Quattrocento e
inizio Cinquecento, Roma, Viella, 2019. Cfr. anche: DELLE DONNE (a cura di), L’esercizio della guerra, i
duelli e i giochi cavallereschi. Le premesse della Disfida di Barletta e la tradizione militare dei Fieramosca,
Barletta, Cafagna, 2017; DELLE DONNE, G. PERRINO, RIVERA MAGOS (a cura di), Sulle tracce della Disfida.
Guerre, trionfi, percorsi di memoria tra Medioevo ed Età moderna, Barletta, Cafagna, 2015. Più in
generale, sull’uso del medioevo per la costruzione dell’identità nazionale nell’Ottocento, si rimanda almeno
a D. BALESTRACCI, Medioevo e Risorgimento. L’invenzione dell’identità italiana nell’Ottocento, Bologna,
Il Mulino, 2015. Il titolo di Città della Disfida è rivendicato con orgoglio nell’art. 5 dello statuto comunale
di Barletta (disponibile all’URL: <https://www.comune.barletta.bt.it/retecivica/istituzioni/statuto12.pdf>).
6
La definizione di città intermedie e il dibattito sul loro ruolo è circolato nella stampa specie dopo la
pubblicazione del rapporto L’Italia policentrica. Il fermento delle città intermedie, Milano, Franco Angeli,
2020.
L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su …
13
di flussi turistici, nodo riconoscibile nel quadro di una provincia piuttosto densa, che già
dal nome (Barletta-Andria-Trani) denuncia un certo grado di policentrismo7.
Questo corrivo riferimento al presente ha un’affascinante risonanza con la lunga storia
delle fluide gerarchie urbane pugliesi8. Con un certo gusto per il paradosso potremmo dire
che la principale differenza fra Barletta e le maggiori città vicine fra medioevo ed età
moderna stava in un’assenza: quella di un’autonoma diocesi, tale da rispecchiare la
posizione eminente della comunità nel quadro provinciale e da renderla il centro di una
giurisdizione ecclesiastica distinta con chiarezza da quella della vicina Trani, sede
metropolitica e concorrente anche sul piano economico e amministrativo. Nei fatti, i
barlettani riuscirono comunque a esercitare la loro influenza sulle istituzioni
ecclesiastiche locali; ma sul piano simbolico rimase presente questa sorta di diminutio
della dignità cittadina e molto è stato scritto sui "surrogati" con i quali si cercò di
compensarla9.
Non che questo abbia precluso in alcun modo l’ascesa di questa terra, né sul piano
politico, né su quello demografico ed economico. La crescita di Barletta è un fatto che
comincia ad affermarsi gradualmente in concomitanza con l’arrivo dei Normanni e la
fortificazione da parte del conte Pietro (1046), per poi trovare fattori di accelerazione nel
formarsi di legami importanti con la Terrasanta e, soprattutto, nella riorganizzazione
territoriale orchestrata da Ruggero II verso la metà del XII secolo. Alla fine del secolo,
Barletta, come altri centri pugliesi, andava assumendo una vivace facies di insediamento
polinucleato, con borghi che sorgevano lungo gli assi viari e nei pressi delle chiese e delle
sedi degli Ordini monastico-cavallereschi, circondati da fossati e piccole cinte murarie;
un polo attrattivo per migranti e forestieri, incoraggiati dal fervore di attività intorno al
7
Dal 1903 l’evento della Disfida è divenuto oggetto di rievocazioni, accompagnate peraltro da rivalità con
Trani, Molfetta e Bari, che tentarono anche un’appropriazione della commemorazione. Sulle eclatanti
proteste di piazza scatenate nel novembre 1931 dall’ipotesi che il monumento per la Disfida potesse essere
collocato altrove che a Barletta - non senza legame con il declassamento amministrativo che la città aveva
subito nel 1927 - si rimanda alla ricostruzione di A. ANTONUCCI, I fatti del 1931. Tra municipalismo
identitario e microconflittualità politica, in F. DELLE DONNE, V. RIVERA MAGOS (a cura di), La Disfida di
Barletta. Storia, fortuna, rappresentazione, cit., pp. 169-181. Cfr. anche A. MAGLIOCCA, La Disfida di
Barletta: da manifestazione popolare a evento turistico internazionale, in Ivi, pp. 233-244.
8
Cfr. almeno, specie per la Terra di Bari, G. GALASSO, La provincializzazione del regno e l’egemonia
napoletana nel secolo XVI: il caso pugliese, in ID., Alla periferia dell’impero. Il Regno di Napoli nel
periodo spagnolo (secoli XVI-XVII), Torino, Einaudi, 1994, pp. 389-421; A. MASSAFRA, Terra di Bari:
1500-1600, in G. GALASSO, R. ROMEO (a cura di), Storia del Mezzogiorno, Roma, Edizioni del Sole, 1986,
vol. VII, pp. 517-587; E. PAPAGNO, Un paesaggio costruito: la provincia storica di Terra di Bari, in A.
SPAGNOLETTI (a cura di), La Puglia. Un profilo per i beni culturali, Roma, Ministero dei Beni e delle
Attività Culturali e del Turismo, Direzione Generale Archivi, 2018, pp. 203-258; B. SALVEMINI, Prima
della Puglia. Terra di Bari e il sistema regionale in età moderna, in L. MASELLA, B. SALVEMINI (a cura di),
Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi: La Puglia, Torino, Einaudi, 1989, pp. 5-218; ID., Un mondo
"paradossale"? Poteri, società e risorse nello spazio pugliese della lunga età moderna, in A. GIUFFRIDA,
F. D’AVENIA, D. PALERMO (a cura di), Studi storici dedicati a Orazio Cancila, Palermo, Associazione
Mediterranea, 2011, pp. 821-861.
9
Cfr. F. PANARELLI, Le istituzioni ecclesiastiche (secc. XI-XV), in V. RIVERA MAGOS, G. VOLPE, S. RUSSO
(a cura di), Archeologia Storia Arte. Materiali per la storia di Barletta (secoli IV a.C.-XIX d.C.), Bari,
Edipuglia, 2015, pp. 77-85; M. SPEDICATO, Le istituzioni ecclesiastiche a Barletta in epoca moderna, in
RIVERA MAGOS, VOLPE, RUSSO, Archeologia Storia Arte, cit., pp. 109-122; e V. RIVERA MAGOS, Canne,
Nazareth, Barletta. Note per un’interpretazione dei processi di costruzione identitaria in una città del
Mezzogiorno medievale, in A. CORCELLA (a cura di), I ‘tessuti’ della memoria. Costruzioni, trasmissioni,
invenzioni, Bari, edizionidipagina, 2018, pp. 122-129; insieme ai contributi raccolti in L. DEROSA, F.
PANARELLI, V. RIVERA MAGOS (a cura di), Tra Oriente e Occidente. Istituzioni religiose a Barletta nel
Medioevo (secoli XI-XV), Bari, Edipuglia, 2018.
14
Davide Morra
porto e dalle occasioni di occupazione presso i possedimenti ecclesiastici, ma forse anche
dal privilegio di demanialità del 119010.
L’inclinazione urbana si confermò nel Duecento. Nei documenti disponibili, l’élite
civica – in seno alla quale spiccavano ancora i milites – mostra chiaramente la
propensione all’esplicita assunzione di un ruolo nella gestione di prerogative pubbliche,
di concerto con l’autorità sovrana e «pro honore patrie»11. Al 1276 si data il furto delle
reliquie di san Ruggero dalla decaduta Canne, che non approdò però alla costituzione di
una diocesi barlettana; al 1280 una suggestiva dichiarazione pubblica delle libertà relative
alla fiera cittadina di metà agosto; al 1294 il privilegio che univa al territorio di Barletta
quello di Canne, rafforzando la gravitazione dell’hinterland ofantino verso la città e il suo
porto. Negli anni subito successivi, Carlo II promosse una risistemazione urbanistica per
assicurare pulizia, viabilità, mura salde e un porto funzionante, come si addiceva a una
città che doveva risplendere fra le altre. Fiorita grazie a un felice concorso di fattori,
Barletta prosperava quale città regia.
Eppure, questi fasti non devono falsare la prospettiva. La posizione guadagnata e il
favore dei sovrani non erano privi di paragoni nell’area pugliese, anche se è difficile
effettuare confronti stringenti a causa della lacunosità delle fonti. Nei primi anni del
Trecento appare chiaro che Barletta è un porto aperto soprattutto sull’Adriatico,
frequentato dai Veneziani, utilizzato da funzionari regi importanti e dagli Ordini, ma
anche da una miriade di operatori minori. Aveva ragione, Georges Yver, nel considerarla
in quel momento «la capitale commerciale de la Pouille»? È difficile tradurre
quest’opinione in certezze quantitative e vieppiù seguire l’evolvere della situazione. Yver
fondava la sua interpretazione sugli scritti di Francesco Pegolotti e sui dati che
denunciavano Barletta come la seconda maggiore contribuente del regno dopo Napoli
(nel 1316 pagava 622 once di generalis subventio; Napoli 692)12. Ma Trani, su questo
piano, la seguiva da vicino (502 once), soprattutto se si deve tener conto che, nel 1306, le
era stato accordato uno sgravio fiscale di 100 once13; inoltre, se Barletta era divenuta
centrale nella rete affaristica delle grandi compagnie fiorentine di Bardi, Peruzzi e
Acciaiuoli, non bisogna neppure dimenticare che i Veneziani avevano installato un
10
Alla costruzione della città fra XII e XIII secolo, specie sotto il profilo della storia sociale, è dedicato il
libro di V. RIVERA MAGOS, Milites Baroli. Signori e poteri a Barletta tra XII e XIII secolo, Napoli, FedOA
- Federico II University Press, 2020, con ulteriori ampi rimandi. Cfr. anche A. BRUSA, Barletta, in Itinerario
normanno in Terra di Bari. I centri costieri. Monopoli, Bari, Molfetta, Bisceglie, Trani, Barletta, Bari,
Regione Puglia, Assessorato alla cultura, CSPCR, 1985, pp. 189-204 e la parte dedicata a Canne in R. IORIO,
Siponto, Canne, in G. MUSCA (a cura di), Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno normanno-svevo, Bari,
edizioni Dedalo, 1993, pp. 385-425 (in 402-425). E per la presenza degli Ordini monastico-cavallereschi:
L. DEROSA, Barletta e la Terrasanta: bilancio storiografico e prospettive di ricerca, in Ivi, pp. 143-162,
con ulteriori riferimenti.
11
V. RIVERA MAGOS, Milites Baroli, cit., pp. 317-440; ID., «Inter vicinas civitates resplendet». Costruzione
dello spazio e proiezione territoriale: Barletta alla fine del Duecento, in Fra impegno culturale e
lungimiranza. Gli Amici dell’arte e della storia barlettana, Barletta, Cafagna, 2015, pp. 89-119; F.
VIOLANTE, Strutture produttive, commerciali e finanziarie tra XII e XV secolo, in V. RIVERA MAGOS, G.
VOLPE, S. RUSSO (a cura di), Archeologia storia arte, cit., pp. 87-97; G. VITALE, Percorsi urbani nel
Mezzogiorno medievale, Battipaglia, Laveglia&Carlone, 2016, pp. 113-200. La citazione è ripresa da V.
RIVERA MAGOS, «Inter vicinas civitates resplendet», cit., p. 119.
12
La citazione da Yver è in G. YVER, Le commerce et les marchands dans l’Italie méridionale au XIIIe et
au XIVe siècle, Paris, A. Fontemoing, 1903, p. 167; a ben vedere, peraltro, lo stesso Pegolotti segnalava che
a Manfredonia si imbarcavano fisicamente più merci che a Barletta, come nota F. VIOLANTE, Territorio e
identità cittadina nella Barletta medievale: alcune note sulla riflessione storiografica di XVIII-XIX secolo,
in A. SPAGNOLETTI (a cura di), La Puglia, cit., pp. 179-201 (qui 194).
13
Notizia dello sgravio di Trani è in G. YVER, Le commerce, cit., p. 166.
L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su …
15
proprio consolato a Trani già dal XIII secolo14. Oltretutto anche a Trani si verificava nel
medesimo torno di decenni un processo di assestamento urbanistico analogo a quello
barlettano15.
Anche un altro centro portuale, Manfredonia, andò ritagliandosi un’indubitabile
importanza, attirando il medesimo tipo di operatori che frequentavano gli altri due.
Nondimeno, e nonostante il fatto che una concorrenza di fondo rispetto ad essi esistesse,
la posizione più discosta di Manfredonia favoriva una spartizione più equilibrata dei
retroterra di riferimento, funzionale a incanalare verso il mare le produzioni agricole di
aree differenti16.
Alcune testimonianze quattrocentesche sembrano confermare che la convivenza
competitiva fra queste tre città, ma soprattutto fra Barletta e Trani, restava aperta. Nel
tardo XV secolo Anselmo Adorno avrebbe affermato che Barletta «maior est quam Trani
civitas» e seconda in Puglia solo a Lecce; e di lì a ottant’anni, nel pieno Cinquecento,
Vincenzo Massilla avrebbe scritto che Barletta, pur non essendolo formalmente, era «plus
quam civitas, nam est prima terra que sit in regno»17. In effetti, essa spiccava rispetto alle
vicine anzitutto per la sua dimensione demografica18. Si badi bene, però, che lo stesso
Adorno riteneva superiore l’importanza commerciale di Trani. «Nulla est in Pulia in
negociis sive mercimoniis similis», scriveva nel suo itinerario19.
Dati quantitativi sembrano confermarlo. Nel 1486-87 il mastro portolano di Puglia
registrava più alti volumi di esportazione dai porti di Trani (soprattutto per extra Regnum)
e Manfredonia (soprattutto per infra Regnum) che da quello di Barletta20. Un sintetico
14
F. CARABELLESE, Le relazioni commerciali fra la Puglia e la Repubblica di Venezia dal secolo X al XV.
Ricerche e documenti, Tip. Vecchi, Trani, 1897, p.27; V. RIVERA MAGOS, Una colonia nel regno angioino
di Napoli. La comunità toscana a Barletta tra 1266 e 1345. Presenze e influenza in un rapporto di lungo
periodo, Barletta, Crsec, 2005.
15
Su Trani si vedano R. COLAPIETRA, Profilo storico-urbanistico di Trani dalle origini alla fine
dell’Ottocento, in «Archivio storico pugliese», 33, 1987, pp. 3-107; C.D. FONSECA, Trani, in G. MOSCA (a
cura di), Itinerari e centri urbani, cit., pp. 365-384; G. VITALE, Percorsi urbani, cit., pp. 149-200; V.
VITALE, Trani dagli Angioini agli Spagnoli. Contributo alla storia civile e commerciale di Puglia nei secoli
XV e XVI, Bari, Tipografia Vecchi, 1912.
16
Così V. RIVERA MAGOS, La chiave de tutta la Puglia. Presenze straniere, attività commerciali e interessi
mediterranei a Manfredonia, ‘agriporto’ di Capitanata (secoli XIII-XVI), in R. LICINIO (a cura di), Storia
di Manfredonia, cit., pp. 63-99 (qui 65). Sono abbastanza convincenti anche le argomentazioni dell’autore
circa il fatto che tra fine Due e inizio Trecento il porto di Manfredonia dovesse avere alle spalle una
comunità cittadina e delle élites meno "mature" di quelle barlettane e tranesi, così come sembra importante
la notazione relativa al fatto che a quell’altezza cronologica, benché frequentata anche da veneziani e
fiorentini, Manfredonia non fosse sede di loro consolati, a differenza delle altre due. Su Manfredonia cfr.
anche A. AIRÒ, «Et signanter omne cabella, cit.
17
Entrambi sono citati in A. AMBROSI, Tracciati urbani nei secoli XI e XIX: studi e ipotesi di lavoro, in V.
RIVERA MAGOS, G. VOLPE, S. RUSSO (a cura di), Archeologia storia arte, cit., pp. 185-193 (qui note 44 e
47). Cfr. J. HEERS, G. DE GROER (a cura di), Itinéraire d’Anselme Adorno en Terre Sainte, 1470-1471, Paris,
Centre National de la Recherche Scientifique, 1978.
18
Barletta spicca come il centro con il maggior numero di fuochi in Terra di Bari nella numerazione del
1447, quando ne ha 1152 e Trani 1065 (F. COZZETTO, Mezzogiorno e demografia nel XV secolo, Soveria
Mannelli, Rubbettino, 1986, p. 117). Nel 1507 Barletta è numerata per 1309 fuochi, Trani 1037 (ASN, TP,
5385, ff. 2v-3r). Il distacco cresce nel 1510, quando Barletta ha 1258 fuochi e Trani è caduta a 814 (ASN,
TP, 5386, ff. 2v e 24r); nel 1540 Barletta 1574, Trani 714 (ASN, TP, 5389, ff. 18r e 24v).
19
Cfr. G. VITALE, Percorsi urbani, cit., p. 173. Manfredonia, dal canto suo, che a quell’altezza cronologica
aveva ormai visto impiantarsi anche un consolato di ragusei e maturare attività imprenditoriali più
rimarchevoli da parte delle élites locali, appariva ad Adorno come un buon porto dotato di una rada e di un
molo di marmo, riparato dai vicini monti del Gargano (cfr. V. RIVERA MAGOS, La chiave de tutta la Puglia,
cit.).
20
Cfr. G. VITALE, Percorsi urbani, cit., pp. 141-145.
16
Davide Morra
conto relativo alle entrate delle dogane regie nel 1483-84 lascia emergere una gerarchia
solo in parte diversa, con la dogana di Trani che registra comunque un movimento
nettamente superiore, introitando la somma di 716 ducati, seguita da quelle di Barletta
(584), Monopoli (457) e, qui con maggior distacco, Manfredonia (286)21.
Anche testimonianze qualitative, poi, evidenziano le somiglianze esistenti fra i porti
pugliesi tre-quattrocenteschi: i contatti con Ragusa e l’Adriatico orientale, l’esportazione
di vettovaglie, la forte presenza di operatori stranieri, i contatti con l’Oriente latino; non
si riscontra una più marcata concentrazione di funzioni nell’uno o nell’altro, né, a quanto
è dato capire, una reale differenziazione delle rispettive specializzazioni; forse Trani
presentava una maggiore vocazione a farsi centro di coordinamento dal punto di vista
finanziario, ma le presenze di mercanti stranieri erano forti anche a Barletta22. Quanto alle
funzioni amministrative, poi, se è vero che in quest’ultima aveva teoricamente sede il
mastro portolano di Puglia, nel riorganizzare le circoscrizioni fiscali re Alfonso collocò a
Trani la sede del commissario della tassa generale nelle province pugliesi23. Si capisce,
insomma, che se l’importanza di Barletta è certa, la sua è una preminenza condivisa con
alcuni centri non distanti e, in questo, non del tutto comparabile con quella di città come
Napoli e L’Aquila nelle rispettive regioni, bensì espressione di un policentrismo che la
Corona tendeva a favorire24. È significativo, appunto, ricordare come Barletta avesse
quasi la stessa taglia di Napoli a inizio Trecento; è ovvio che la vicenda storica della
Capitale, grazie ai privilegi e al rapporto speciale con la corte, aveva dato dei frutti
differenti nell’arco del secolo e mezzo successivo25.
È utile, a questo punto, ricordare che la Terra di Bari è una delle aree regnicole per le
quali la storiografia ha parlato di gerarchia piatta fra gli insediamenti, emersa in
21
ASN, TP, 5383, ff. 20r-25v.
F. CARABELLESE, Le relazioni commerciali, cit.; ID., Carlo d’Angiò nei rapporti politici e commerciali
con Venezia, Trani, Tip. Vecchi, 1911; M. POPOVIC-RADENKOVIC, Le relazioni commerciali fra Dubrovnik
(Ragusa) e la Puglia nel periodo angioino (1266-1442), in «Archivio storico per le province napoletane»,
37, 1957, pp. 5-36; 38, 1958, pp. 153-206; M. SPREMIC, Dubrovnik e gli Aragonesi (1442-1495), Palermo,
Accademia nazionale di scienze lettere e arti, 1986; A. LEONE, Caratteri dell’economia mercantile pugliese
(1467-1488), in ID., Mezzogiorno e Mediterraneo. Credito e mercato internazionale nel secolo XV, Napoli,
Dick Peerson, 1988, pp. 83-106; ID., Il versante adriatico del regno nell’ultimo quarto di secolo XV. Trani,
1484-1488, in Ivi, pp. 69-82; S. TOGNETTI, Uno scambio diseguale. Aspetti dei rapporti commerciali tra
Firenze e Napoli nella seconda metà del Quattrocento, in «Archivio storico italiano», 158, 3, 2000, pp.
461-490; E. SAKELLARIOU, Southern Italy in the Late Middle Ages. Demographic, Institutional and
Economic Change in the Kingdom of Naples, c.1440-c.1530, Leiden - Boston, Brill, 2012; A. FENIELLO,
Un capitalismo mediterraneo. I Medici e il commercio del grano in Puglia nel tardo Quattrocento, in
«Archivio storico italiano», 641, 3, 2014, pp. 435-512.
23
La notizia è in Archivo de la Corona de Aragón, Cancillería, Registros, 2913, ff. 75r-76v. Cfr. F.
VIOLANTE, Territorio e identità cittadina, cit., pp. 179-182, che chiarisce anche l’errore nel quale incorreva
lo storico locale Sabino Loffredo, quando interpretava un passo del De bello neapolitano di Pontano come
dimostrazione del fatto che Barletta era caput regionis sin dal sacco di Bari del 1156.
24
Ne parla E. SAKELLARIOU, The Cities of Puglia in the Fifteenth and Sixteenth Centuries. Their Economy
and Society, in A. COWAN (a cura di), Mediterranean Urban Culture, 1400-1700, Exeter, University of
Exeter Press, 2000, pp. 97-114.
25
Sull’ascesa di Napoli cfr. almeno: T. COLLETTA, Napoli, città portuale e mercantile. La città bassa, il
porto e il mercato dall’VIII al XVII secolo, Roma, Kappa, 2006; A. FENIELLO, Alle origini di Napoli
capitale. Il porto, la terra, il denaro, in «Mélanges de l’École Française de Rome», 124, 2, 2012, disponibile
all’URL: <http://journals.openedition.org/mefrm/779>; G. GALASSO, Napoli capitale. Identità politica e
identità cittadina. Studi e ricerche, 1266-1860, Napoli, Electa, 2003; A. LEONE, F. PATRONI GRIFFI, Le
origini di Napoli capitale, Cava de’ Tirreni, Edizioni Studi Storici Meridionali, 1984; G. VITALE, Élite
burocratica e famiglia. Dinamiche nobiliari e processi di costruzione statale nella Napoli angioinoaragonese, Napoli, Liguori, 2003.
22
L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su …
17
particolare dalla ristrutturazione demografico-economica successiva alla crisi di metà
Trecento. Di una gerarchia, cioè, segnata da popolamento concentrato, che faceva perno
su alcuni insediamenti medio-grandi e una presenza stabile di piccole città, nell’assenza
quasi totale, invece, di nuclei minori sparsi nelle campagne. Ciò evoca la famigerata
immagine delle agrotowns: grossi borghi che fungono da dormitori per famiglie
contadine; ma, a dire il vero, si tratta di un riflesso pavloviano di cui si può fare a meno26.
Molti indizi mostrano che specie centri costieri come Barletta e Trani avevano nel tardo
medioevo un’articolazione sociale interna variegata, con fasce probabilmente non
trascurabili della popolazione impegnate in attività non agricole. Il problema, semmai, è
quello di riconoscere polarità, elementi di specializzazione e potenziali scarti in avanti
entro un contesto di «demographic mobility and intense competition among settlements
at a time of accelerated commercial exchange and production diversification, and renegotiation of political authority distribution between the central government, the towns
and the feudal lords»27. Proprio a tal riguardo l’esame della vicenda fiscale di Barletta
potrebbe offrire nuovi spunti, con ricadute, ad esempio, sulla lettura degli esiti che
sembrerebbe avere la concorrenza fra le città di Trani e Barletta dopo la fine del XV
secolo.
Prendiamo la questione dei porti, uno degli emblemi del grado di urbanità dei centri
costieri pugliesi. Per secoli la vicinanza della foce dell’Ofanto e la natura sabbiosa del
fondale hanno fatto sì che il porto di Barletta andasse incontro a regolari problemi
d’interramento28. La cosa interessante, peraltro, è che essi colpivano anche il porto di
26
La discussione su questi temi è aperta. Per l’analisi delle gerarchie urbane regnicole si veda E.
SAKELLARIOU, Southern Italy, cit., pp. 80-126 e le considerazioni in D. CURTIS, Is there an ‘agro-town’
model for Southern Italy? Exploring the diverse roots and development of the agro-town structure through
a comparative case study in Apulia, in «Continuity and Change», 28, 3, 2013, pp. 377-419; P.
D’ARCANGELO, La Capitanata urbana tra Quattro e Cinquecento, Napoli, Società Napoletana di Storia
Patria, 2017, pp. 27-48; B. SALVEMINI, Prima della Puglia, cit.; S. TOGNETTI, L’economia del Regno di
Napoli tra Quattro e Cinquecento. Riflessioni su una recente rilettura, in «Archivio storico italiano», 634,
4, 2012, pp. 757-768 e G. VITOLO, L’Italia delle altre città. Un’immagine del Mezzogiorno medievale,
Napoli, Liguori, 2014, pp. 1-20; si aggiunga ora, anche se relativo a un’altra area, F. SENATORE, About the
Urbanization in the Kingdom of Naples: the Campanian area in 15th-16th cent., in M. ASENJO, E.
CROUZET-PAVAN, A. ZORZI (a cura di), Urban Hierarchy: The Interaction Between Towns and Cities in
Europe in Late Medieval and Early Modern Times, Turnhout, Brepols, 2021, pp. 109-126. Cfr. anche M.
GINATEMPO, L. SANDRI, L’Italia delle città. Il popolamento urbano tra Medioevo e Rinascimento (secoli
XIII-XVI), Firenze, Le Lettere, 1990, pp. 153-171, le cui valutazioni risultano però generiche a causa dalla
scarsa densità cronologica dei dati disponibili all’epoca in letteratura.
27
E. SAKELLARIOU, The Cities of Puglia, cit., p. 100. Alle pp. 105-108 ci sono vari esempi di "corsa al
privilegio" che vedono protagoniste Trani e Barletta. Ad esempio, nel 1436 i barlettani ottengono dal
Magnanimo che certi sgravi fiscali utili ad attirare i Veneziani nella piazza tranese siano applicati anche
nella loro città; essa, nel 1439, guadagnava un’esenzione da tasse sull’esportazione di vin, che Trani riuscì
a ricevere nel 1462. I tranesi avevano invece preceduto i barlettani nell’acquisizione di immunità
commerciali simili a quelle dei Veneziani stessi, nel 1429; Barletta l’avrebbe conseguita per i suoi cittadini
nel 1463.
28
Quel che il sindaco di Barletta scriveva all’intendente di Terra di Bari in una relazione del 1829 segnala
una coscienza sorprendentemente longeva della questione: «Dai registri comunali si osserva che nell’anno
1295 il re Carlo d’Angiò accordò la tratta di carra 150 di frumento a favore del Comune, affine di sollecitare
le riparazioni del molo; [...] si è che nel 1321 tutt’i proventi della portolania di Barletta per ordine sovrano,
furono impiegati per le riparazioni del porto, e delle mura della città. [...] Quante migliaia dunque si sono
spese sino al governo vicereale dalla comune e dagli Augusti Sovrani, per lo ristauro, per la conservazione
del nostro porto, e del nostro molo. E quante migliaia non si sono spese dalla sola comune sino all’anno
1750, in cui per ordine dell’immortale Carlo III fu dedicata per l’uso del porto, e delle mura della città, la
rendita patrimoniale de’ cittadini che si ottiene dalle terre, così dette le Mezzane? E quante migliaia di
questa rendita delle Mezzane si sono spese per il molo, e per il porto, dal 1750 fin’oggi?». Il brano è citato
18
Davide Morra
Trani e altri attracchi pugliesi29. Era quindi decisivo disporre di risorse economiche per
provvedere alla manutenzione e alla costruzione di infrastrutture per accogliere e
proteggere navigli. Era fondamentale che la Corona mettesse a disposizione risorse di sua
titolarità o consentisse alle università di gestirne in proprio. Da questo punto di vista,
l’istituzione di gabelle municipali non solo contava sui traffici e sulla circolazione di
persone per generare proventi, ma poteva aiutare un centro a stabilizzare e accrescere quei
flussi, creando un circolo virtuoso.
Gli albori di una fiscalità municipale
Per quanto ne sappiamo, le città del Regnum Siciliae non avevano, in età sveva, una
vera e propria organizzazione fiscale interna, né detenevano stabili diritti di prelievo. È
possibile che la situazione presentasse delle variazioni, naturalmente, e che esistessero
redditi provenienti dalla gestione di proprietà e terre municipali30. Inoltre, sappiamo che
i sovrani potevano acconsentire all’imposizione di tasse temporanee all’interno di una
comunità, se queste erano mirate a scopi d’interesse pubblico, come poteva essere la
manutenzione di infrastrutture31. È da notare, ancora, che questo non escludeva affatto le
élites locali da forme di partecipazione subordinata. In ogni centro del regno esistevano
diritti facenti capo alle baglive (tipici il plateatico e la bucceria), che potevano essere
appaltati. In questo modo, comprando diritti di pertinenza regia o ricoprendo officia, i più
ricchi esponenti delle comunità potevano amministrare cespiti, esercitare una forma di
potere e ottenere dei profitti personali (anche attraverso l’abuso)32.
in G. CARLONE, Barletta, un fiume di grano. Città e campagna nell’Ottocento, in V. RIVERA MAGOS, G.
VOLPE, S. RUSSO (a cura di), Archeologia storia arte, cit., pp. 195-205 (qui 198). Fu grazie a importanti
lavori avviati dalla monarchia per la viabilità e finanziati anche dal comune e dagli imprenditori barlettani
per l’agibilità del porto che tra fine Sette e inizio Ottocento la città poté spiccare insieme a Bari come nodo
fondamentale dell’estrazione di prodotti granari e agricoli dalla Puglia; e fu anche per problemi di
finanziamento di ulteriori ammodernamenti delle infrastrutture che verso la metà del secolo il porto andò
nuovamente interrandosi e decadendo. Cfr. anche Barletta tra il grano e la sabbia. I progetti per il porto,
Bari, Dedalo, 1983.
29
G. VITALE, Percorsi urbani, cit., pp. 176-184; C. MASSARO, Spazi pubblici e città nella Puglia del tardo
Medioevo, in G. VITOLO (a cura di), Città, spazi pubblici e servizi sociali nel Mezzogiorno medievale,
Battipaglia, Laveglia&Carlone, 2016, pp. 175-203 (qui 194-196); V. RIVERA MAGOS, La chiave de tutta la
Puglia, cit., p. 85. La questione, naturalmente, aveva un interesse anche più ampio e non poteva che essere
affrontata attraverso la concertazione con i monarchi, il cui ruolo nel favorire uno sviluppo policentrico o
piuttosto un accentramento delle funzioni risulta tanto più evidente. Cfr. P. DALENA, Il sistema portuale e
la marineria in età angioina, in G. ANDENNA, H. HOUBEN (a cura di), Mediterraneo, Mezzogiorno, Europa.
Studi in onore di Cosimo Damiano Fonseca, Bari, Adda, 2004, vol. I, pp. 359-381.
30
G. FASOLI, Organizzazione delle città ed economia urbana, in Potere, società e popolo nell’età sveva
(1210-1266), Bari, Dedalo, 1985, pp. 167-189. Cfr. anche: G. ANDENNA, Federico II e le città, in P.
CORDASCO, C. VIOLANTE (a cura di), Un regno nell’impero. I caratteri originari del regno normanno
nell’età sveva: persistenze e differenze, Bari, Adda, 2010, pp. 69-120; G. CHERUBINI, Federico II e le città
del Regno di Sicilia, in F. BOCCHI, G.M. VARANINI (a cura di), L’eredità culturale di Gina Fasoli, Roma,
Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 2008, pp. 241-260; J.M. MARTIN, Le città demaniali, in P.
TOUBERT, A. PARAVICINI BAGLIANI (a cura di), Federico II e le città italiane, Palermo, Sellerio, 1994, pp.
179-195.
31
J.M. MARTIN, Fiscalité et économie étatique dans le royaume angevin de Sicile à la fin du XIIIe siècle,
in L’État angevin. Pouvoir, culture et société entre XIIIe et XIVe siècle, Roma, École française de Rome,
1998, pp. 601-648 (qui 631-632). Cfr. anche G. VITOLO, Città, monarchia e servizi sociali. Il caso di Napoli,
in ID. (a cura di), Città, spazi pubblici, servizi sociali, cit., pp. 6-29 (qui 8-9).
32
Per Barletta, cfr. ad esempio V. RIVERA MAGOS, Milites Baroli, cit., pp. 317 ss.
L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su …
19
Sul finire del Duecento, le trasformazioni cui andava incontro la fiscalità regnicola
suscitarono importanti novità, parallele a quelle che interessavano un po’ tutto
l’Occidente coevo. Le crescenti esigenze militari sono un riconosciuto sprone di questo
mutamento, che conduceva principi, monarchi e città-stato a inasprire la pressione
tributaria su sudditi e vassalli, ricorrendo in maniera regolare a forme di prelievo dal
carattere giuridicamente congiunturale33. Questo provocava un florilegio di nuovi diritti
impositivi, che nel regno di Napoli è ben visibile specialmente dopo l’inizio della Guerra
del Vespro: costretti a impegnarsi in un oneroso duello mediterraneo con i re d’Aragona,
ma nello stesso tempo bisognosi di tenere compatto il fronte interno, i sovrani angioini di
Napoli finirono per avallare vari meccanismi di redistribuzione del peso tributario. Ciò
accadde con l’adoa, per esempio, la tassa sostitutiva del servizio militare che veniva
imposta ai feudatari e che essi potevano riscuotere per metà dai propri vassalli34. Ma
accadde anche con riguardo alle sei collette della generalis subventio, cui dovevano
contribuire le università35.
La divisione degli oneri all’interno delle comunità, lasciata alle universitates stesse,
generò discordie fra i gruppi locali molto presto. Per scongiurare il rallentamento del
prelievo, Carlo I, alla fine degli anni Settanta del XIII secolo, varò norme per regolare la
preparazione degli apprezzi di beni e rendite, da utilizzare per una più equa ripartizione.
Le modalità di stima delle sostanze dei cittadini rimasero comunque fortemente legate
all’esistenza di consuetudini e alla dialettica fra le parti sociali, perciò alcune comunità
cominciarono a suggerire procedure meno divisive.
Allo stato attuale delle nostre conoscenze, Barletta fu la prima a sottoporre un elenco di
gabelle al re nella forma dei capitula sive dacia, ottenendo nel 1297 l’approvazione di
Carlo II36. La concessione fu tutt’altro che isolata e riguardò centri situati in tutto il
33
Cfr. in particolare W.M. ORMROD, The West European Monarchies in the Later Middle Ages, in R.
BONNEY (a cura di), Economic Systems and State Finance, Oxford, Clarendon Press, 1995, pp. 123-160 e
G. ARDANT, Politica finanziaria e struttura economica degli stati nazionali moderni, in C. TILLY (a cura
di), La formazione degli stati nazionali nell’Europa occidentale, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 153-226.
Per un’ampia casistica, cfr. i contributi in: R. BONNEY (a cura di), The Rise of the Fiscal State in Europe, c.
1200-1815, Oxford, Oxford University Press, 1999 e S. CAVACIOCCHI (a cura di), La fiscalità nell’economia
europea, secc. XIII- XVIII, Firenze, Firenze University Press, 2008.
34
Cfr. G. Vitolo, Il regno angioino, cit., p. 27.
35
Cfr. almeno: J.-M- MARTIN, L’organisation administrative et militaire du territoire, in Potere, società e
popolo nell’età sveva, cit., pp. 71-121; K. TOOMASPOEG, Collecta, in Enciclopedia Federiciana, 2005,
disponibile all’URL: <https://www.treccani.it/enciclopedia/colletta_%28Federiciana%29/>; F. VIOLANTE,
Burocrazia e fiscalità nel regno di Sicilia tra età sveva ed età angioina: alcuni aspetti, in V. RIVERA MAGOS
(a cura di), Una famiglia, una città. I Della Marra di Barletta nel Medioevo, Bari, Edipuglia, 2014, pp. 7790. Sulla fiscalità angioina, in particolare S. MORELLI, Il controllo delle periferie nel Mezzogiorno angioino
alla metà del XIII secolo: produzione e conservazione di carte, in «Reti Medievali Rivista», 9, 1, 2008,
disponibile all’URL: <http://www.rmojs.unina.it/index.php/rm/article/view/urn%3Anbn%3Ait%3Aunina3130>; EAD., Note sulla fiscalità diretta e indiretta nel Regno angioino, in C. MASSARO, L. PETRACCA (a
cura di), Territorio, culture e poteri nel Medioevo e oltre. Studi in onore di B. Vetere, Galatina, Congedo,
2011, vol. I, pp. 389-413; EAD., Per conservare la pace. I giustizieri del regno di Sicilia da Carlo I a Carlo
II d’Angiò, Napoli, Liguori, 2012; W.A. PERCY, The revenues of the Kingdom of Sicily under Charles I of
Anjou 1266-1285 and their relationship to the Vespers, PhD Thesis, University of Princeton, 1964; J.M.
MARTIN, Fiscalité et économie étatique, cit. Per una prospettiva più lunga: A. BULGARELLI LUCKACS,
«Domain state» e «tax state» nel Regno di Napoli (secoli XII-XIX), in «Società e storia», 106, 2004, pp.
781-812.
36
Cfr. V. RIVERA MAGOS, I capitula di Barletta e di Manfredonia (1297 e 1301). Due fonti fiscali per lo
studio della Capitanata e della valle dell’Ofanto nel Medioevo, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano
per il Medio Evo», 120, 2018, pp. 91-133. Da un punto di vista lessicale, P. MAINONI, Gabelle. Percorsi di
lessici fiscali tra Regno di Sicilia e Italia comunale (secoli XII-XIII), in P. GRILLO (a cura di), Signorie
20
Davide Morra
territorio regnicolo37. Le osservazioni più ricche in merito restano quelle di Romolo
Caggese, tanto più che le fonti da lui usate, i registri della cancelleria angioina, sono
andate distrutte. Come lo studioso annotava, sarebbe riduttivo credere che quei capitoli
contenessero solo imposte su commerci e consumi. A seconda delle realtà, vi si
stratificavano usi relativi a imposte personali (testatico) o sulla proprietà immobiliare e
terriera, o ancora sul reddito da lavoro. Il che, invero, permette di cogliere persino delle
continuità fra apprezzo e datia, poiché certi criteri adottati per l’uno confluivano nei
secondi38.
È ovvio che la legittimazione di queste forme tributarie dipendeva dall’autorità sovrana
e doveva piegarsi alla logica per la quale il fisco era la cassa ove si riversavano i contributi
dei sudditi perché il re, fonte del diritto e della giustizia, potesse usarli al fine di
salvaguardare il proprio stato e il bene pubblico39. Di conseguenza, i privilegi nei quali
erano inseriti i capitula sive dacia vincolavano i cespiti locali al pagamento delle collette
e, anzi, prevedevano che se il nuovo sistema avesse finito per penalizzare i diritti regi,
l’università avrebbe dovuto provvedere a ripagare i danni inflitti all’erario. Non si
trattava, quindi, di approvare sistemi slegati dalla fiscalità regia, ma semplicemente di
istituzionalizzare un nuovo profilo per la mediazione che le università esercitavano.
Va però rimarcato che vi erano città rimproverate dal sovrano perché esigevano dazi
non autorizzati40 e che il riconoscimento di sua maestà poteva essere strumentalizzato in
una dialettica competitiva fra le università stesse, come accadde allorché i cittadini di
Barletta, nel 1311, ricusando di sottoporsi ai dazi imposti a Canosa, asserirono che, a
differenza dei capitoli barlettani, quelli dei rivali non avevano ricevuto alcun assenso da
italiane e modelli monarchici (secoli XIII-XIV), Roma 2013, pp. 45-75.
37
Un elenco non esaustivo: Barletta (1297), Manfredonia e Ariano (1301), Isernia (1306), Andria, Canosa,
Otranto (1307), Amalfi (1308), Lecce (1309), Cava (1312), Molfetta (1313), Lucera, Melfi (1314), Lavello,
Miglionico, Gaudiano, Ruvo, Andria, Corato, Gragnano (1315), Sant’Andrea in Stagnis (1322), Gallipoli
(1327), Monopoli (1335), Fiorentino, Troia (1338), Alessano (1339), Aversa (1340), Altamura (1342). Le
notizie vengono da: R. CAGGESE, Roberto d’Angiò, cit., pp. 397-439; Repertorio delle pergamene della
università e della città di Aversa dal luglio 1215 al 30 aprile 1549, Napoli, Tip. R. Rinaldi e G. Sellitto,
1881; R. BEVERE, I dacia della città di Ariano, in «Samnium», 13, 1-2, 1940, pp. 31-43; G. ABIGNENTE,
Gli statuti inediti di Cava dei Tirreni, Roma, Loescher&C., 1886. Cfr. anche E. ROGADEO, Ordinamenti
economici in Terra di Bari nel secolo XIV, Bitonto, Tip. N. Garofalo, 1900.
38
R. CAGGESE, Roberto d’Angiò, cit., pp. 421-439. Il valore dei termini dazi e gabelle come una sorta di
iperonimo per forme di tassazione variegate è comune anche al contesto dell’Italia centro-settentrionale,
cfr. M. GINATEMPO, Spunti comparativi sulle trasformazioni della fiscalità in età post-comunale, in P.
MAINONI (a cura di), Politiche finanziarie e fiscali nell’Italia settentrionale, secoli XIII-XV, Milano,
Unicopoli, 2001, pp. 125-220 (qui p. 128 nota 7).
39
Si veda, per l’epoca angioina, J.-P. BOYER, Le fisc d’après les juristes napolitains (fin XIIIe-début XIVe
siècle), in S. MORELLI (a cura di), Périphéries financières angevines. Institutions et pratiques de
l’administration de territoires composites (XIIIe-XVe siècle), Roma, École Française de Rome, 2018,
disponibile all’URL: <http://books.openedition.org/efr/3540>; per quella aragonese, R. DELLE DONNE,
Regis servitium nostra mercatura. Culture e linguaggi della fiscalità nella Napoli aragonese, in G. PETTI
BALBI, G. VITOLO (a cura di), Linguaggi e pratiche del potere. Genova e il Regno di Napoli tra Medioevo
ed età moderna, Salerno, Laveglia, 2007, pp. 91-150. Per una prospettiva più ampia sulle teorie
giustificative dell’imposta nel medioevo: E. ISENMANN, Medieval and renaissance theories of state finance,
in R. BONNEY (a cura di), Economic systems and state finance, Oxford, Clarendon Press, 1995, pp. 21-52;
ma cfr. anche E. CORTESE, Intorno alla «causa impositionis» e a taluni aspetti privatistici delle finanze
medievali, in I. BIROCCHI, U. PETRONIO (a cura di), Scritti, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto
Medioevo, 1999, vol. I, pp. 155-232; e L. PEZZOLO, Tassare e pagare le tasse tra medioevo e prima età
moderna, in C. AZZARA, E. ORLANDO, M. POZZA, A. RIZZI (a cura di), Historiae. Scritti per Gherardo
Ortalli, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2013, pp. 237-251.
40
R. CAGGESE, Roberto d’Angiò, cit., pp. 413-414 riporta i casi di Trani, Bari, Brindisi e Lanciano.
L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su …
21
parte del re41. La costante presenza regia negli affari municipali, dunque, non equivale
alla passività della società locale, né tanto meno all’assenza di impulsi e strategie basate
proprio sulle ambivalenze del rapporto con la monarchia, sull’essere il potere sovrano
fonte di legittimazione e garante di equilibri che contribuiva a consolidare.
D’altro canto, non v’è dubbio che, grazie ai datia, l’università desse spessore alla sua
fisionomia collettiva, alla sua proiezione giurisdizionale e alla sua capacità d’azione nel
publicum. Sin dal testo dei capitula di Barletta, ad esempio, si prevedeva che quote degli
introiti delle gabelle fossero riservate a spese per porto e mura42. Queste voci, anzi,
divennero una costante nella contrattazione con la monarchia. Il 27 ottobre 1300
l’università otteneva da Roberto d’Angiò di stornare alcuni diritti dovuti alla corte e alcuni
già nelle mani dell’università in favore dei lavori al porto, ma quell’assegnazione fu usata
anche per scopi diversi: a vent’anni di distanza risulta che l’università finanziasse con
essa la ristrutturazione di botteghe e magazzini. Invece di reprimere l’arbitrio, il re dispose
che solo metà dei fondi fosse destinata a tale scopo, mentre l’altra doveva servire alla
riparazione delle mura cittadine. Quando tutti questi lavori fossero terminati, il denaro
andava impiegato per il porto e, si ammetteva, per altri bisogni dell’università. Lo stesso
accadeva nel 1339, quando le entrate da destinare al porto venivano dirottate per la messa
in sicurezza di case pericolanti nei pressi del fondaco cittadino43.
Esisteva, dunque, un capitale del quale l’università si servì con apparente continuità nel
corso degli anni e che la stessa corte si mostrava accondiscendente a rivolgere verso
quegli usi, poiché in qualche modo supplivano a necessità d’intervento tramite altre
risorse economiche. Appare ovvio che il principale confine tracciato dall’autorità regia
fosse quello dell’adempienza fiscale; ma la realtà che i sovrani regolamentavano
assomiglia a un terreno accidentato, punteggiato di crepacci, costoni e boschi che offrono
possibilità di movimento al di là e al di qua dei termini suddetti e complicano, per contro,
l’esercizio di un efficace controllo da parte della monarchia.
È dirimente notare come le spese cui si è accennato avvenissero in un periodo durante
il quale i barlettani non erano certo contribuenti virtuosi, come si dirà subito. È una prima
pennellata di grigio da aggiungere al nostro quadro, offuscando il biancore ideale di una
dimensione giuridica pervasa dalla presenza del sovrano. Dieci anni dopo l’approvazione
dei dazi, l’entità dei residui fiscali induceva re Roberto a scrivere al capitano di Barletta
perché convocasse l’università e i suoi daciarii e ingiungesse loro di conferirgli mese per
mese i soldi destinati al pagamento della sovvenzione generale e dei doni. Il 6 giugno
1309 aveva luogo la prima sanatoria, in un ciclo indebitamento-condono che si ripete
negli anni successivi44. Il problema non dipendeva soltanto da difficoltà oggettive o da
una scarsa redditività dei dazi stessi. Il 14 maggio 1317 Roberto si doleva, in una lettera
indirizzata ai baglivi, ai giudici e ai cittadini di Barletta, perché gran parte del denaro
riscosso dalle gabelle era stato usato non per pagare le collette, ma gli stipendi di capitani,
giudici, notai d’atti, medici e altri ufficiali, nonché per i bisogni dell’università. A questo
si aggiungeva l’accertamento di enormi somme pendenti, ancora una volta: ben 1642 once
16 tarì e 9 grana. La volontà del sovrano era dunque che si desse priorità al pagamento
41
Il diploma da cui si desume la vicenda è dettagliatamente descritto in R. BATTI (a cura di), Repertorio
delle pergamene della università o comune di Barletta (1234-1658), Napoli, Stab. Tip. Michele d’Auria,
1904, pp. 25-26. Peraltro risulta che, al contrario, i capitoli di Canosa fossero stati approvati nel 1307 (R.
CAGGESE, Roberto d’Angiò, cit., p. 425).
42
R. FILANGIERI DI CANDIDA (a cura di), Pergamene di Barletta del Regio Archivio di Napoli (1075-1309),
Trani, Tip. Vecchi, 1927, p. 282.
43
R. BATTI (a cura di), Repertorio, cit., pp. 20-22, 39-40 e 52-53.
44
Ivi, pp. 23-25.
22
Davide Morra
delle tasse regie, anche se questo doveva significare bloccare gli stipendi degli ufficiali45.
I richiami al senso delle gabelle dal punto di vista della corte sono ancora più espliciti
in un diploma del 28 settembre 1329: i dazi erano stati stabiliti per provvedere alle collette
e solo in second’ordine ad altri bisogni dell’università. Il sovrano minacciava la revoca
della concessione se l’università non avesse pagato entro ottobre tutti i residui46. Si
trattava di un’affermazione conforme alla logica di approvazione dei capitula, ma non
pare che essa avesse seguito. Dieci anni dopo queste circostanze si ripetono: il 30 ottobre
1339 Roberto comunicava all’università di aver contattato il capitano e i mastri portolani
per «il cumulo de residui dovuti da quella università, per non avere essa impiegato il
prodotto de dazi interamente nel pagamento delle collette fiscali». Ancora una volta si
sbandierava l’abolizione dei dazi come spauracchio se non si fosse riparato a queste
negligenze47.
Certo giocavano un ruolo i gruppi di potere locali. Nella citata lettera del settembre
1329 il sovrano si riferiva esplicitamente al fatto che solo pochi barlettani
monopolizzavano i proventi dei dazi per il proprio utile privato, danneggiando gli altri
cittadini. In quella del 1339 dichiarava di aver saputo che grosse somme restavano in
potere degli appaltatori e dei sindaci. Di lì a poco, in relazione ad avvenimenti che
impressionarono cronisti dentro e fuori il regno, Giovanni Pipino fu additato come il
principale sedizioso che bisognava eliminare per raggiungere una pacificazione. Non è
improbabile che il Pipino e i suoi alleati De Gattis fossero coinvolti nelle questioni di
mala amministrazione, ma certo non doveva trattarsi di un’abitudine solo loro48. Il
sovrano, in ogni caso, accolse le istanze che dopo l’uscita di scena del Pipino furono
veicolate dall’università, accogliendo la richiesta dei sindaci perché annualmente fosse
possibile eleggere sei persone che, senza emolumenti ma solo per amore della cosa
pubblica, rassettassero gli affari cittadini e, in particolare, si occupassero della vendita dei
dazi e di vigilare sulla destinazione dei proventi alle collette e alle altre spese autorizzate
per il porto e le mura49.
È chiaro che le possibilità di dispersione degli introiti erano connaturate al sistema
amministrativo. Molto dipendeva dal clima in cui arrendatori e ufficiali operavano, dalla
copertura che essi potevano trovare negli equilibri di potere locali, nel disordine e nella
scarsa definizione di procedure e controlli. Se all’inizio non erano previsti, ben presto la
monarchia si avvide della necessità di controlli sui dazi e la loro amministrazione. Il 23
agosto 1324 lettere regie furono inviate a varie città, fra cui Barletta, per segnalare che
45
Ivi, pp. 29-30.
Ivi, pp. 48-49.
47
Ivi, pp. 53-54.
48
Per la vicenda del conte di Altamura cfr. R. CAGGESE, Giovanni Pipino conte d’Altamura, in Studi di
storia napoletana in onore di Michelangelo Schipa, Napoli, I.T.E.A., 1926, pp. 141-165; G. CONIGLIO,
Feudatari di Puglia in un diploma di Roberto principe di Taranto, in M. PAONE (a cura di), Studi di storia
pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, Galatina, Congedo, 1972, vol. I, pp. 633-669. Il Nostro era nipote
di un omonimo Giovanni Pipino, notaio di Barletta e iniziatore delle fortune familiari, che fra le altre cose,
quando furono approvati i capitula sive dacia nel 1297, era stato indicato come uno dei cinque custodi
dell’arca che conteneva i proventi delle gabelle, a ragione della sua dignità di maestro razionale della Gran
Curia (R. FILANGIERI DI CANDIDA (a cura di), Pergamene di Barletta, cit., p. 281). Per quanto riguarda i
Della Marra e le dissensioni barlettane, si guardi a A.M. DIVICCARO, I Della Marra: un profilo, in V. RIVERA
MAGOS (a cura di), Una famiglia, una città, cit., pp. 91-105 e a V. RIVERA MAGOS, Della Marra e De Gattis.
Poteri e conflitti a Barletta nel secolo XIII, in Ivi, pp. 110-122.
49
R. BATTI (a cura di), Repertorio, pp. 57-58, dove è regestato un diploma del 28 marzo 1342. Giovanni
Pipino era stato imprigionato nella primavera del 1341, i suoi beni confiscati e divisi fra vari soggetti,
compresi i Della Marra (R. CAGGESE, Giovanni Pipino, cit., pp. 154-155).
46
L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su …
23
gli appaltatori avrebbero dovuto dare conto annualmente presso i Maestri Razionali della
Gran Curia50. Cionondimeno, la disposizione ebbe esiti quantomeno contrastati, se nel
1338 era ribadito un ordine simile51 e se nel 1339 Roberto d’Angiò ordinava che tutti i
gabelloti, compratori di dazi e sindaci di Barletta fossero chiamati a discutere i propri
conti presso il capitano e i portolani, per appurare le ragioni dei residui52. Qui, di fatto, si
riconosce un durevole punto di frizione fra volontà d’intrusione della monarchia e
consapevole renitenza delle comunità. L’instabilità dinastica tra la seconda metà del Tre
e l’inizio del Quattrocento, oltretutto, non dovette semplificare il controllo ravvicinato, e
anzi contribuì al consolidarsi della delega in materia alle università53. Di conseguenza,
anche questa prassi divenne parte integrante delle dinamiche che orientavano le
possibilità di redistribuzione dei profitti delle gabelle fra re, comunità e privati.
L’età dei privilegi
Il periodo che va grossomodo dai primi decenni del Quattrocento – con una fase di
preparazione che copre il tardo XIV secolo ed è segnata dalle contese fra il ramo
napoletano e quello durazzesco di casa d’Angiò – ai primi del Cinquecento potrebbe
essere descritto come una lunga fase di transizione che conclude la cosiddetta Guerra dei
Duecent’anni nel Mezzogiorno d’Italia e vede il regno di Napoli passare nella sfera
d’influenza iberica sul Mediterraneo54. È un periodo che conosce a sua volta una serie di
sotto-articolazioni: la progressiva crisi del potere angioino con i travagliati regni di
Ladislao e Giovanna II, e i tentativi di Renato d’Angiò di contrapporsi ad Alfonso V
d’Aragona (1386-1442); la conquista da parte di quest’ultimo e il primo inserimento del
reame entro la consociazione di stati della Corona d’Aragona (1442-1458); il ritorno
all’autocefalia durante il regno del figlio bastardo di Alfonso, Ferrante, apertosi con una
50
Ivi, pp. 407-408.
Ibidem.
52
R. BATTI (a cura di), Repertorio, cit., pp. 53-54. L’ordine per Barletta era ripetuto ancora il 6 febbraio
1340 (Ivi, p. 54), stavolta comandando che la rendicontazione avvenisse presso il giustiziere di Terra di
Bari. Un diverso metodo per esercitare una supervisione poteva essere quello di affiancare ufficiali
all’operato degli amministratori locali, in grado di sorvegliarli e di mettere la corte in condizione di muovere
le sue obiezioni e difendere i suoi interessi. Ad esempio, la spesa per la riparazione di edifici pericolanti nel
fondaco della città, con fondi dirottati dalla cassa per il porto, fu sottoposta alla sorveglianza di due probi
uomini di Barletta e dei portolani di Puglia, perché stimassero il costo dei salari per mastri muratori e
carpentieri, e documentassero il tutto con appositi quaderni. Ma sorgevano anche qui problemi di cui rende
chiara la misura F. SENATORE, Una città, il Regno, cit., pp. 288-297.
53
S. MORELLI, Pratiche di tradizione angioina nell’Italia meridionale: dal prelievo diretto alla tassazione
negoziata (sec. XIV-XV), in T. PÉCOUT (a cura di), Les officiers et la chose publique dans les territoires
angevins (XIIIe-XVe siècle): vers une culture politique?, Roma, École Française de Rome, 2020, disponibile
all’URL: <https://books.openedition.org/efr/6662?lang=it>; S. PIZZUTO, Osservazioni sulla fiscalità diretta
in età angioina: le forme del prelievo in Terra di Bari e Terra d’Otranto, in S. MORELLI (a cura di),
Périphéries financières angevines. Institutions et pratiques de l’administration de territoires composites
(XIIIe-XVe siècle), Roma, École Française de Rome, 2018, pp. 219-232. Cfr. anche D. MORRA, Il «libro
affronte» del credenziere. Note sul controllo della contabilità municipale nel Regno di Napoli (XIII-XVI
secolo), in «Rivista della Corte dei conti», 74, numero speciale 1, 2021, pp. 87-97.
54
D. ABULAFIA, I regni del Mediterraneo occidentale dal 1200 al 1500. La lotta per il dominio, RomaBari, Laterza, 1999; G. GALASSO, Storia del regno di Napoli, I, Il Mezzogiorno angioino e aragonese, 12661494, Torino, Utet, 2006. Cfr. anche A. SPAGNOLETTI, Il Regno di Napoli e la Puglia nel gioco delle grandi
potenze tra XV e XVI secolo, in F. DELLE DONNE, V. RIVERA MAGOS (a cura di), La Disfida di Barletta.
Storia, fortuna, rappresentazione, cit., pp. 15-31.
51
24
Davide Morra
tormentosa Guerra di successione e segnato anche dalla successiva Congiura dei Baroni
degli anni Ottanta (1458-1494); l’avvio delle Guerre d’Italia nel 1494, con la contesa
franco-spagnola per il Mezzogiorno e l’aggregazione del regno al sistema imperiale
spagnolo, dopo le vittorie militari del 1503 e il fallimento della spedizione del Lautrec
nel 1528-29. Nel 1559, infine, la pace di Cateau Cambrésis avrebbe visto la rinuncia dei
francesi ai diritti sul Mezzogiorno.
Non stupisce che questo susseguirsi di eventi abbia suscitato rivolgimenti e assestamenti
nell’equilibrio dei rapporti fra gli attori politici, sociali ed economici attivi nello scenario
regnicolo. Non mancarono le opportunità per conquistare privilegi e risorse, per
competere con rivali e vicini, per ritagliarsi margini di manovra all’interno
dell’onnipresente quadro costituzionale monarchico. Tutto ciò ha lasciato una traccia
tangibile nei corpora di privilegi, grazie e capitoli delle comunità urbane e rurali del
regno, che proliferano infatti nel corso del XV secolo e tendono a divenire la base per la
rivendicazione di una memoria privilegiata nei secoli successivi55. Attraverso di essi è
ancora possibile una parziale ricostruzione degli assetti locali, plasmatisi tra impulsi delle
comunità e interventi della Corona.
Il primo fenomeno che colpisce l’attenzione è la pioggia di sgravi fiscali che questo tipo
di documenti testimonia tra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento56. Se ne giova,
naturalmente, anche Barletta. Ricordiamo che se a inizio XIV secolo la città versava 622
once annue al fisco, fra 1384 e 1442 esse scesero a circa 16057.
L’intera sequenza dei privilegi che lo permisero può essere chiarificatrice: il 27
novembre 1384 risulta la concessione di uno sgravio di 200 once annue concesso da Carlo
III sulla somma notata nei cedolari per la sovvenzione generale o colletta; il 4 gennaio
1413 re Ladislao riduceva da 422 a 250 once il carico; il 9 gennaio 1416 era poi Giovanna
II ad accordare un’ulteriore diminuzione di 50 once; il 20 marzo di quell’anno viene
chiarito all’erario e commissario di Terra di Bari che da Barletta deve riscuotere solo fino
a quattro collette annue, non sei; la ragione di queste viene precisata il 20 dicembre, nella
misura di 175 once ciascuna; il 15 novembre 1419 Giovanna II rimette altre 50 once, dopo
aver constatato che lo spopolamento e la miseria impediscono ai barlettani di pagare
anche solo un peso fiscale di 175 once per colletta; ancora, l’11 ottobre 1422 Giovanna
giudica opportuno sgravare i barlettani di 10 once, rispetto a un carico che, secondo
quanto si dice, è già ormai attestato su 110 once annue; e di nuovo, il 5 marzo 1423,
sempre per conseguenza dei danni patiti per tenersi fedeli alla regina, i barlettani vengono
beneficati di una riduzione di 50 delle 100 once dovute.
Questa semplice elencazione conferma non solo l’andamento discendente del carico
fiscale, ma il suo precipitare nel giro di dieci anni (dalle 422 once del 1413 alle 50 del
55
Cfr. in particolare F. SENATORE, Sistema documentario, archivi e identità cittadine nel Regno di Napoli
durante l’antico regime, in «Archivi», 10, 1, 2015, pp. 33-74, ma anche: A. AIRÒ, L’inventario dell’archivio
che non c’è più. I privilegi aragonesi come deposito della memoria documentaria dell’università di
Taranto, in A. BARTOLI LANGELI, A. GIORGI, S. MOSCADELLI (a cura di), Archivi e comunità tra Medioevo
ed Età moderna, Roma, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, 2009, pp. 521-558; B. SASSE TATEO, I
"Libri Rossi" di Puglia: una prima indagine, in «Archivi per la storia», 6, 1993, p. 263-271; A. CARRINO,
Quasi sint civitates. Società, poteri e rappresentazioni nella Puglia in età moderna, Canterano, Aracne,
2017, pp. 331-353.
56
Cfr. S. PIZZUTO, Osservazioni sulla fiscalità diretta, cit., e S. MORELLI, Pratiche di tradizione angioina,
cit. Ho raccolto ulteriori dati a conferma della generalità e della cronologia del fenomeno nella mia tesi di
dottorato.
57
Per i dati utilizzati si veda R. BATTI (a cura di), Repertorio, cit., p. 82, 97, 102, 103, 106, 116, 123-124,
125, 135, 138-139. Cfr. S. PIZZUTO, Osservazioni sulla fiscalità diretta, cit.
L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su …
25
1423, quasi otto volte meno). Quando l’università comincia a trattare con Alfonso
d’Aragona, la situazione segue almeno inizialmente la stessa linea di tendenza: il 18
settembre 1436 il Magnanimo rimette perpetuamente 100 ducati dai 400 cui, si dice,
Barletta era tenuta per ogni colletta, ordinaria o straordinaria; il 14 dicembre 1442, poi,
riscontrandosi nei cedolari angioini un’aliquota di 50 once, viene accordata un’esenzione
di altre 10, con disposizione di aggiornare i cedolari stessi. Se si tiene fermo il limite di
quattro collette annue accordato da Giovanna II, si potrebbe a questo punto stimare in un
totale di 160 once annue (40x4), vale a dire 960 ducati, la quota massima di tassazione
che Alfonso accettava di poter chiedere a Barletta.
Questo trend dipende certo da crisi demografiche e danni di guerra, ma è abbastanza
chiaro che dovettero influenzarlo anche le circostanze politiche. L’avvento di Alfonso
d’Aragona corrisponde non per niente con una riforma fiscale il cui obiettivo precipuo
era rinegoziare su scala generale i montanti della tassazione ordinaria, caduti a livelli
bassissimi nei decenni precedenti e non commisurati alla dimensione demograficoeconomica degli insediamenti58. Nel caso di Barletta lo scarto si rivelò meno eclatante
che altrove, ma comunque non è di pochissimo conto: nel 1447 la città fu numerata per
1152 fuochi59. Applicando l’aliquota di 1 ducato per fuoco, dunque, essa cominciò a
essere tassata per quasi 200 ducati in più rispetto a quanto le contrattazioni sulle collette
avevano reso possibile60.
La difficile successione di Ferrante, poi, consentì ai barlettani di profittare della sua
precaria posizione nell’estate del 1458. Del 4 agosto è un privilegio la cui arenga mette
in risalto la clementia e la liberalitas che si addicono ai principi verso i sudditi, da tradursi
in «gratias, exemptiones, privilegia et immunitates»61. A questa significativa scelta
retorica seguono alcune concessioni per noi particolarmente interessanti, come la
conferma di tutte le gabelle che l’università «tene et possede jure dominii vel quasi»; la
possibilità di modificarle «secondo alla ditta università parerà et piacerà secondo li
bisogni et necessità di essa università»; e l’assicurazione «che la ditta università non sia
tenuta mostrare raione delle ditte gabelle ad nullo officiale che volesse vedere ditte raioni
tanto dello passato quanto dello advenire», con riferimento oltretutto a un costume
consolidato da tempo («secondo è stato solito per lo passato»). I barlettani ottennero
anche l’assenso all’estrazione di 500 salme di cereali esenti da tratte ogni anno, con la
vendita delle quali s’intendeva finanziare la manutenzione del porto. Inoltre,
l’annullamento di una «nova imposizione» concessa da Alfonso «ad certi speciali del
reame», consistente in 1 tornese su ogni tomolo di grano, orzo e altri legumi estratti dai
porti regnicoli, «considerato alla ditta impositione resultare in detrimento alle raioni
fiscali et alle tracte et anco alla università predicta». Quest’ultima, dunque, consolidava
la sua libertà d’azione nel campo della fiscalità municipale e tendeva a sgombrare lo
spazio cittadino da balzelli intestati ad altri soggetti62.
È interessante anche notare che queste richieste furono presentate al re da quattro
58
M. DEL TREPPO, Il regno aragonese, in G. GALASSO, R. ROMEO (a cura di), Storia del Mezzogiorno,
Roma, Edizioni del Sole, 1986, vol. IV, tomo I, pp. 89-201 (qui 110-116); E. SAKELLARIOU, Southern Italy,
cit., pp. 97-101; E. SCARTON, F. SENATORE, Parlamenti generali a Napoli in età aragonese, Napoli, FedOA
- Federico II University Press, 2018, pp. 131-144.
59
F. COZZETTO, Mezzogiorno e demografia, cit., p. 117.
60
Cfr. supra nota 56.
61
S. LOFFREDO, Storia della città di Barletta, cit., vol. II, pp. 472-481.
62
Ferma restando la convivenza con le dogane regie, che d’altronde erogavano anche decime per le chiese
barlettane, e con alcuni altri cespiti posseduti da membri di casa Della Marra, come lo scannaggio e il passo
di Canne (cfr. ASN, Regia Camera della Sommaria, Partium, 18, ff. 26v-27r; 19, f. 147r).
26
Davide Morra
rappresentanti della città, due dei quali appartenevano alla famiglia Della Marra, Barnaba
e Gabriele. Il primo, già signore di Capurso e altre terre, oltre che ufficiale regio e uomo
d’arme al servizio di re Alfonso, durante la Guerra di successione fu uno dei punti di
riferimento di Ferrante in Terra di Bari, militando in una squadra di armigeri barlettani e
tranesi e ricoprendo anche il ruolo di governatore della stessa Barletta. L’influenza dei
Della Marra in quegli anni raggiunse un’acme che spingeva l’oratore sforzesco Antonio
da Trezzo, nel 1460, a dire: essi «manegiano quella terra come vogliono»63. Se poteva
valere a promuovere le necessità della comunità, tuttavia, questo strapotere produceva
anche degli eccessi. Un episodio emblematico è lo scontro aperto fra i Della Marra e il
castellano regio di Barletta, che finì per portare all’arresto di Barnaba e di suo fratello
Renzo nel 146464. Non era certo la fine del casato, anzi, ma questi avvenimenti segnano
l’inizio di un periodo diverso e di interventi da parte del sovrano che sembrano favorire
una maggiore pluralità e disciplina nella vita politica locale65.
Alla metà degli anni Sessanta si apriva per il regno una fase di deciso rafforzamento del
potere monarchico e di esercizio più pieno delle sue prerogative giurisdizionali66. Presero
avvio alcune grandi operazioni di regolamentazione delle amministrazioni locali, anche
nei loro aspetti fiscali67. A Barletta esse danno luogo agli ordinamenti del 1466 e poi alla
loro riforma del 147368, introdotta in termini ideologicamente cristallini come volta a
garantire «bono regimine, pace ac tranquillitate», rispondendo a recenti querele «de malo
regimine, de nonnullis oppressionibus factis contra Rem publicam Universitatis dicte
Terre et dissipatione introituum et publicorum bonorum». Una chiosa morale ulteriore,
non a caso, appariva a introduzione delle misure per regolare l’appalto delle gabelle
cittadine: «Avaritiae cecitas et damnatae ambitionis improbitas aliquorum animos
occupantes cupientium privata commoda publicis utilitatibus preferri, diversis
calliditatibus in rem publicam insurgebant». L’intento di questi interventi era
scompaginare concrezioni di potere locale incistate nell’amministrazione dell’università
ma facenti capo a famiglie e individui potenti che riorientavano abusivamente il
funzionamento dei circuiti fiscali e patrimoniali locali a proprio vantaggio. Non mi
63
La citazione è tratta da A. RUSSO, I cives armigeri tranesi e barlettani. Esercito e Stato nel regno
aragonese di Napoli (1442-1494), in S. CHIAFFARATA, V. RIVERA MAGOS, F. VIOLANTE (a cura di), Storie
dalla città. Tra ricerca e valorizzazione: Barletta dalla tarda antichità all’età moderna, Barletta, Editrice
Rotas, 2017, pp. 101-114 (qui 112). Sulla militanza fra gli armigeri regi, cfr. già F. STORTI, L’esercito
napoletano nella seconda metà del Quattrocento, Salerno, Laveglia, 2007, pp. 101-105.
64
Cfr. A. RUSSO, I cives armigeri, cit.; F. STORTI, Il Regno, Barletta e la Puglia: appunti per una sociologia
della guerra in età aragonese, in F. DELLE DONNE, V. RIVERA MAGOS (a cura di), La Disfida di Barletta.
Storia, fortuna, rappresentazione, cit., pp. 33-47; e, più in generale, F. STORTI, I lancieri del re. Esercito e
comunità cittadine nel Mezzogiorno aragonese, Battipaglia, Laveglia&Carlone, 2017. Ma anche A.M.
DIVICCARO, I Della Marra: un profilo, cit.
65
Di questa nuova temperie sono un prodotto, per esempio, la denuncia degli abusi commessi da Gabriele
Della Marra in qualità di maestro delle fiere barlettane, nel 1471 e la confisca di beni appartenuti a Barnaba.
Cfr. ivi, p. 104.
66
Su Ferrante cfr. in particolare F. STORTI, «El buen marinero». Psicologia politica e ideologia monarchica
al tempo di Ferdinando I d’Aragona re di Napoli, Roma, Viella, 2014. Ma a proposito della sua politica
anche almeno: M. DEL TREPPO, Il regno aragonese, cit. ed E. SCARTON, F. SENATORE, Parlamenti generali,
cit.
67
R. COLAPIETRA, Gli aspetti interni della crisi della monarchia aragonese, in «Archivio storico italiano»,
119 (1961), pp. 163-199; D. MORRA, Il «libro affronte», cit.; P. TERENZI, The citizens and the king. Voting
and electoral procedures in Southern Italian towns under the Aragonese, in S. FERENTE, L. KUNCEVIC, M.
PATTENDEN (a cura di), Cultures of Voting in Pre-Modern Europe, London-New York, Routledge, 2018, pp.
257-273.
68
S. LOFFREDO, Storia della città di Barletta, cit., vol. II, pp. 363-381 e 381-414.
L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su …
27
soffermerò sulla lettera di queste riforme, perché è più significativo esaminarle in maniera
comparativa e perché mi preme maggiormente sottolineare un’altra questione, forse
banale, ma meno scontata di quanto si pensi.
Ancora nel Quattrocento inoltrato, numeratori regi contavano i fuochi delle comunità
mentre altri ufficiali riscuotevano dai rappresentanti delle università le aliquote dovute.
Nondimeno, la ripartizione del carico in seno alla comunità, le modalità della sua raccolta,
l’elezione di apprezzatori e collettori che se ne occupassero, o la scelta degli appaltatori
ai quali delegare la riscossione delle gabelle in cambio di anticipazioni e prestiti: di tutto
questo si occupavano i consigli e le magistrature esecutive delle università. È molto
importante fare presente che quest’ordine delle cose suscitava dei problemi e delle
disfunzionalità di cui a corte si aveva piena coscienza, ma che risultavano inaffrontabili
senza intraprendere una difficile riorganizzazione generale. Nella prima metà degli anni
Ottanta un tentativo fu compiuto con la riforma delle nuove imposizioni, che aveva uno
dei suoi aspetti fondamentali nella completa assunzione della gestione fiscale locale nelle
mani della Corona. La riforma, però, fallì e l’esistenza di un certo spazio amministrativo
locale affidato alle università si confermò un dato consolidato nel Cinquecento69.
È difficile capire, senza dati quantitativi e in assenza pure di fonti qualitative adeguate
a penetrare i misteri dell’amministrazione locale, quale fosse l’entità di questi spazi:
quanto denaro vi circolasse, quanta parte dei proventi daziari fosse realmente consegnata
agli ufficiali regi e quanta invece divenisse margine di profitto per i privati coinvolti nella
sua gestione o per le comunità stesse. In questa sede, però, possiamo ricorrere ad alcuni
materiali inediti per guardare meglio al caso di Barletta.
Nel 1465 la città aveva ottenuto – come accadeva anche altrove – un’esenzione
dodicennale dalla tassazione ordinaria. Non sappiamo per quanto tempo essa fu
effettivamente vigente, ma s’intuisce che nei quindici-venti anni successivi dovette
maturare a corte la coscienza che Barletta era fra le città regnicole capaci d’incassare con
le gabelle somme molto superiori a quelle pagate al re per il focatico. In altri casi analoghi,
la Corona cercò in quegli anni di riequilibrare la situazione concordando degli «excambi»
con le università70. Abbiamo un indizio lampante del fatto che ciò avvenne anche a
Barletta. In un quaderno contabile del percettore regio di Terra di Bari durante la II
indizione 1483-84, la città risulta assente fra quelle che contribuiscono alla tassazione per
fuochi e sali; tuttavia essa compare, sola, in una sezione speciale, consacrata
all’«Introytus iuris iumelle terre Baroli»71. La giumella, come stiamo per vedere, era uno
dei dazi più redditizi di Barletta e consisteva sostanzialmente in un’imposta sul transito
69
Sulle «nove impositioni» si vedano M. DEL TREPPO, Il regno aragonese, cit., pp. 122-127 ed E. SCARTON,
F. SENATORE, Parlamenti generali, cit., pp. 174-198; sull’argomento si concentra con maggiore attenzione
la mia tesi di dottorato, intitolata Fisco, società e potere nel Mezzogiorno tardomedievale. Esperimenti di
ricerca storica tra fonti e linked open data, elaborata presso l’Università "Federico II" di Napoli sotto la
supervisione di Roberto Delle Donne e Francesco Storti. Sul ruolo delle università nel Cinquecento cfr. A.
BULGARELLI LUCKACS, L’imposta diretta nel Regno di Napoli in età moderna, Milano, Franco Angeli,
1993; G. MUTO, Istituzioni dell’universitas e ceti dirigenti locali, in G. GALASSO, R. ROMEO (a cura di),
Storia del Mezzogiorno, Napoli, Edizioni del Sole, vol. IX, tomo 2, 1991, pp. 17-62; G. SABATINI, Il
controllo fiscale sul territorio nel Mezzogiorno spagnolo e il caso delle province abruzzesi, Napoli, Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici, 1997; A. SPAGNOLETTI, Potere amministrativo ed élite nelle "università"
del regno di Napoli (sec. XVI-XVII), in J. BRAVO LOZANO (a cura di), Espacios de poder: corte, ciudades y
villas (ss. XVI-XVIII), Madrid, Universidad Autonoma de Madrid, 2002, vol. I, pp. 69-78.
70
Con Taranto, ad esempio, il re aveva concordato nel 1474 la remissione delle funzioni fiscali in cambio
della cessione delle saline e del dazio delle mercanzie. Cfr. R. ALAGGIO (a cura di), Le pergamene
dell’Università di Taranto (1312-1652), Galatina, Congedo, 2004, pp. 173-178.
71
ASN, TP, 5383, ff. 27r-30v.
28
Davide Morra
di grano, orzo, fave e altri legumi, applicata quando questi prodotti venivano condotti in
città e stoccati momentaneamente in fosse, prima di essere contrattati per la vendita72. Si
deduce che il re aveva rilasciato i barlettani dall’obbligo di pagare il focatico, ottenendo
in cambio gli introiti di questo cespite. E lo scambio era certamente redditizio: nel 148384 la giumella rese ducati 2306 tarì 1 grani 191/2. Si consideri che in base ai fuochi Barletta
avrebbe dovuto versare circa 1439 ducati73. Anche il confronto con le altre maggiori
contribuenti della provincia e con quello che pagavano per sali e fuochi nel 1483-84
conferma la rilevanza degli introiti della giumella: il montante di Trani assomma a
1849.1.17 ducati, quello di Bitonto a 1466.1.5, quello di Altamura a 1369.2.91/2, quello di
Monopoli a 1336, quello di Gravina a 1270.3.151/2, quello di Molfetta a 1086.4.974.
La conferma che gli introiti dell’università erano molto superiori alle somme richieste
dal re per la tassazione ordinaria viene da un’attestazione isolata di poco più tarda. Per il
1486-87 ci risulta che i proventi di tutte le gabelle di Barletta raggiungevano la bella
somma di 794 once, cioè 4764 ducati, dovuti in misura di circa il 30% alla giumella75.
Questo significa che, rispetto alle somme da pagare per il focatico, le gabelle fruttavano
alla città più di 3000 ducati in eccesso. Per apprezzare meglio la straordinarietà del dato
si tenga presente, per esempio, che una ricca commenda abbaziale come quella della SS.
Trinità di Cava de’ Tirreni, con i suoi diritti signorili e i suoi patrimoni nella vallata
metelliana, a Napoli, Salerno e in numerose altre località regnicole, forniva rendite
intorno ai 2400 ducati76. Si consideri pure che il bilancio coevo per le gabelle di Trani
ammontava a 3030 ducati, per un surplus rispetto al focatico di poco meno di 200077. Per
i risicati dati a nostra disposizione (che non comprendono Bari e Taranto) le uniche
università pugliesi con gabelle ricche grossomodo quanto quelle di Barletta sono Lecce
(4548 ducati) e Matera (4212)78.
Su questo piano, dunque, sarebbe possibile riconoscere uno dei motori fondamentali
che sospingevano la ricerca di preminenza di Barletta entro la Terra di Bari e la difesa del
72
In F. CARABELLESE, La Puglia nel secolo XV da fonti inedite, Trani, V. Vecchi, 1901, pp. 229-326 sono
pubblicati dei Capitula, statuta, ordinationes et stabilimenta di Barletta, fra i quali si trovano i capitoli della
catapania e quelli delle gabelle (giumella, taverne, grassa, bucceria, bestie vive, nuova gabella, mulini e
forni, frescaria). La fonte è un bel manoscritto oggi archiviato presso la Biblioteca Comunale "Sabino
Loffredo" di Barletta, con la segnatura Apulia I 78, che contiene anche copia dei capitoli concessi alla città
nel 1466, 1471 e 1473. Il Carabellese ne proponeva un’incerta datazione tra la fine del Quattro e l’inizio
del Cinquecento, mentre sulla coperta è presente, insieme al titolo "Liber quartus capitulationum", la data
1476. Analisi recenti sembrano confermare l’ipotesi cronologica del Carabellese, cfr. V. CAMPANELLA, Il
Liber quartus capitolationum della Biblioteca Comunale "Sabino Loffredo" di Barletta, in S. CHIAFFARATA,
V. RIVERA MAGOS, F. VIOLANTE (a cura di), Storie dalla città, cit., pp. 71-82.
73
Questo dato è ricostruito guardando ai fuochi computati per il 1507 in ASN, TP, 5385, f. 2r, e applicando
l’aliquota di 1 fuoco = 1 ducato.
74
ASN, TP, 5383, ff. 12r-17v.
75
La fonte che permette di tracciare questo bilancio è ASN, Regia Camera della Sommaria, Relevi, 242, ff.
91r-94v. Menzionata anche in P. D’ARCANGELO, I conti del principe. Rendita e contabilità feudale negli
stati di Melfi e Ascoli (secoli XV-XVI), Bari, Edipuglia, 2019, p. 69, ma ancora mai analizzata, è una fonte
preziosa e non priva di problemi, sui quali qui non mi dilungherò. Essa contiene i bilanci delle gabelle di
23 università pugliesi e ad essi sto dedicando un altro saggio, per un’analisi comparativa più approfondita
della struttura degli introiti e del loro significato in rapporto alle trasformazioni della fiscalità municipale
nel regno.
76
D. MORRA, Santissima Trinità di Cava de’ Tirreni, in F. DEL TREDICI (a cura di), La signoria rurale
nell’Italia del tardo medioevo. Censimento e quadri regionali, Roma, Universitalia, in corso di
pubblicazione.
77
ASN, Regia Camera della Sommaria, Relevi, 242, f. 93r.
78
Ivi, ff. 93r e 94r.
L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su …
29
suo status. I dazi mettevano nelle mani dei suoi ceti dirigenti fondi superiori a quelli delle
città vicine per curare gli interessi e accrescere l’onore della comunità. Purtroppo, la
mancanza di veri bilanci e di dati contabili relativi alle spese dell’università impediscono
di svolgere un’analisi più precisa delle ricadute di questa situazione. Gli unici indizi che
possiamo sfruttare sono quelli che vengono da testi normativi, quale la riforma
dell’ordinamento cittadino varata nel 1473 di concerto con il commissario regio
Francesco de Arenis79. Alcuni dei capitoli fissati in quell’occasione vincolavano i cespiti
locali a spese precise, stabilendo un ordine di priorità. Non a caso, i proventi delle gabelle
più redditizie (giumella e taverne, insieme alla gabella della grassa, quella della bucceria
e quella di forni e mulini) venivano destinati a soddisfare le tasse regie ordinarie e
straordinarie. Altri diritti («gabella animalium ad bardam, gabella frescariae, gabella nova
gabellarum, gabella animalium vivorum, gabella pannorum, gabella lignorum et gabella
curruum») servivano ai salari di capitano, giudici e mastro d’atti. Ancora, la gabella del
porto doveva essere deputata al pagamento dei medici, del maestro di scuola, del sindaco,
del notaio dell’università, del percettore e delle elemosine. Le «gabellae scorciariae,
sansariae, et quod superest ex provisionibus Officialium, et de omnibus Gabellis
supradictis, et de venditione salis, et de omnibus aliis emolumentis et introitibus
spectantibus et pertinentibus dictae Universitatis, et Gabellae delli sfossaturi», infine, si
riservavano «in commodum et utilitatem dictae Universitatis» per la riparazione delle
mura, per il pagamento dei debiti, per altre spese straordinarie «et supplemento aliarum
Gabellarum supradictarum et Officiorum».
Ad alcune ulteriori assegnazioni venivano vincolati direttamente gli ufficiali cittadini.
Il gabelloto delle taverne doveva dare due once al percettore «pro orologio aptando». Il
percettore, a sua volta, erogava tre tarì in elemosina a Sant’Eligio ogni anno e un’oncia
al «magister aptanti orologium». Il gabelloto della grassa forniva al percettore altre
quattro once vincolate come salario dei giurati. Un’elemosina per i poveri gravava la
giumella, dai cui proventi dipendeva anche la fornitura di quattro torce di cera da quattro
libbre l’una alla chiesa di S. Giovanni e di altre due alla chiesa del Santo Sepolcro.
Dunque, l’università utilizzava i fondi per salariare ufficiali, garantire alcuni servizi
(istruzione, sanità, elemosine) e mantenere infrastrutture quali le mura e il porto; ma
anche, ed è interessante notarlo pur nell’impossibilità di approfondire la questione, per
coprire il debito cittadino80. Sono tutte spese ordinarie (alle quali si aggiungevano le
straordinarie) che trovano facilmente paragoni con quelle che potevano avere luogo in
altre città regnicole ed extra-regnicole81.
79
S. LOFFREDO, Storia della città di Barletta, cit., vol. II, pp. 381-414.
Doveva trattarsi di debito fluttuante, come a Capua, cfr. F. SENATORE, Una città, il regno, cit., vol. I, pp.
301-313. Dalle fonti statutarie barlettane emergono alcuni riferimenti tardi ai creditori dell’università: un
debito di 1500 ducati con la corte veniva cassato da Carlo VIII il 2 aprile 1495 (S. LOFFREDO, Storia della
città di Barletta, cit., vol. II, pp. 488-502), mentre il 31 ottobre 1496 Federico d’Aragona sosteneva la
richiesta di una dilazione di 4 anni per i debiti contratti dall’università con mercanti forestieri, per un valore
di 4000 ducati (G.I. CASSANDRO (a cura di), Le pergamene della Biblioteca Comunale di Barletta (11861507), Trani, Tip. Vecchi, 1938, pp. 104-116). Quest’ultimo riferimento è di notevole interesse. A Capua il
debito pubblico della città non riguardava mercanti stranieri; l’attestazione, quindi, mostra una traccia
dell’intreccio peculiare che doveva esistere a Barletta e nell’area pugliese fra gli interessi finanziari di
comunità, cittadini e forestieri.
81
Si vedano le spese ricostruite per Capua in F. SENATORE, Una città, il regno, cit., vol. I, pp. 271-288, dai
quali peraltro emerge che durante gli anni Sessanta e Settanta del XV secolo la principale voce di spesa,
dopo il pagamento delle tasse regie (46%), era quella per i lavori pubblici (17%). Numerosi spunti sono
sparsi anche fra le pagine dei contributi raccolti in G. VITOLO (a cura di), Città, spazi pubblici e servizi
sociali, cit. Per spunti di comparazione in senso più ampio si rimanda a F. BOCCHI, Per antiche strade.
80
30
Davide Morra
Qualche ultima osservazione, infine, si può trarre dagli eventi che interessarono il regno
e Barletta agli inizi del Cinquecento, consentendo alla città di godere, per poco meno di
un trentennio, di un profilo privilegiato straordinario. Ancora una volta, la congiuntura di
crisi del potere monarchico è determinante. Con il crollo della dinastia aragonese e
l’inizio della guerra franco-spagnola, nel corso dell’estate 1502 Barletta si ritrovò a essere
il centro del conflitto. Il Gran Capitano Consalvo de Cordoba si asserragliò a presidiarla
e dispose le sue truppe anche a Manfredonia, accerchiato dai francesi e sotto lo sguardo
neutrale dei Veneziani, che controllavano Trani dal 1496. La presenza degli spagnoli si
protrasse fino alla battaglia di Cerignola nell’aprile 1503, gravando i barlettani degli oneri
che questo comportava, ma consentendo anche l’esaltazione memorialistica del ruolo
avuto nella «gran vittoria», poi prontamente investita nella richiesta di privilegi82. Fu così
che nel 1507 Barletta ottenne da Ferdinando il Cattolico l’esenzione perpetua dai
pagamenti fiscali ordinari. Questo significava che i proventi delle gabelle potevano essere
dedicati a «res utiles et necessarias dictae Terrae» e anzitutto, come previsto dalla stessa
decretazione in calce alla richiesta, alla manutenzione delle mura e del porto83.
Questa situazione favorevolissima dovette protrarsi fino al 1528. Ancora nel 1521,
infatti, la riforma statutaria orchestrata dal commissario Jéronimo de Col teneva conto
della disponibilità delle gabelle per finanziare lavori di ampliamento delle mura e per
riservare fino a 1.000 ducati annui alla «fabrica del molo»84. Gli avvenimenti del ’28-’29,
invece, quando la spedizione francese del Lautrec trovò a Barletta il sostegno di una
fazione cittadina e finì per condurla al sacco e a una salata multa di 12.000 ducati, dopo
la vittoria degli spagnoli, dovettero provocare l’archiviazione di quel privilegio e
l’esposizione di Barletta alle vicende del progressivo aggravio delle finanze municipali
regnicole per via della forte pressione fiscale esercitata dalla monarchia85.
Conclusioni
«Decadimento»: così Sabino Loffredo, nel 1893, sceglieva d’intitolare la terza parte
Caratteri e aspetti delle città medievali, Roma, Viella, 2013, in particolare pp. 139-274.
82
Cfr. V. RIVERA MAGOS, Belisario de Galiberto e la gran vittoria. La memoria della guerra a Barletta
nella prima metà del Cinquecento, in F. DELLE DONNE, G. PERRINO, V. RIVERA MAGOS (a cura di), Sulle
tracce della Disfida, cit., pp. 51-105. V. VITALE, Trani dagli Angioini agli Spagnoli, cit., pp. 379-386.
83
S. LOFFREDO, Storia della città di Barletta, cit., p. 513.
84
Ivi, pp. 454-455. La validità dell’esenzione è confermata da alcuni registri fiscali: il conto del percettore
di Terra di Bari durante la X indizione (1506-7) attribuisce a Barletta un carico di 1309 ducati, ma la somma
non viene riscossa «per causa che dicta terra è francha de pagamenti fiscali in perpetuo per virtù del regio
privilegio del Catholico Re nostro signore». La Sommaria si contenta di ordinare vagamente che si sorvegli
l’utilizzo del denaro riscosso dall’università e che sia conforme al tenore del privilegio (ASN, TP, 5385, f.
2r). Il registro per la XIII indizione (1510-11) testimonia un versamento di 377 ducati e spiccioli da parte
dell’università, che era tassata per 2276.4.18 ducati; la somma era lasciata inesatta poiché «ey immune»
(ASN, TP, 5386, f. 2v). È da notare che tanto nel primo caso quanto nel secondo caso l’esenzione
dell’università non viene rispettata per quanto riguarda il donativo (ca. 785 ducati, cfr. ASN, TP, 5385, f.
36v) e il maritaggio (ca. 569 ducati, cfr. ASN, TP, 5386, f. 52v). A maggior ragione, la mancanza di apodisse
relative alla tassa ordinaria dovuta da Barletta in un ulteriore quaderno del 1521, nel quale compaiono
invece i pagamenti delle altre università della provincia e anche un versamento della stessa Barletta per la
rata agostana del donativo, pare ribadire il persistere dell’immunità a quella data (ASN, TP, 5387, le carte
non sono numerate). I successivi conti disponibili, per il 1540 e il 1564, attestano invece l’avvenuta
cessazione del privilegio (ASN, TP, 5389, f. 18r e ASN, TP, 5397, f. 76r).
85
Sugli eventi del 1528-29 cfr. V. VITALE, L’impresa di Puglia degli anni 1528-1529, in «Nuovo Archivio
veneto», 7, 13, p. 2, 1907, pp. 5-68.
L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su …
31
della sua Storia della città di Barletta, quella che cominciava con il Cinquecento. Anche
altri lavori dell’erudizione locale pugliese (e non solo) dell’Otto e Novecento considerano
il medioevo e specialmente l’epoca aragonese come un’età dell’oro, seguita dalla
decadenza dovuta alla dominazione spagnola86. Sono interpretazioni a spanne,
assecondando le quali si rischia di ripercorrere sterilmente i sentieri già battuti da una
storiografia alla ricerca di spiegazioni alla "modernizzazione mancata" del
Mezzogiorno87. Oltretutto, esse si accompagnano a forzature insoddisfacenti.
Si ripensi alla convinzione di Loffredo che Barletta, dopo il sacco di Bari nel 1156, fosse
divenuta caput regionis della Terra di Bari, mantenendo tale posizione fino al
Cinquecento inoltrato88. Abbiamo già visto in apertura che la realtà era ben più mossa e
complessa. Non c’è dubbio che la città ebbe in quel periodo una posizione di sicura
rilevanza, per il suo porto, il suo profilo demografico, il peso che le sue élites furono in
grado di giocare nelle vicende pugliesi. Dalla fine del XII secolo i barlettani riuscirono a
sfruttare la condizione demaniale e il favore regio per proiettare i propri interessi sul
territorio ofantino e verso il mare Adriatico. La ricchezza delle gabelle locali rifletteva il
successo di questo percorso e offriva opportunità per rilanciarlo. Eppure, Barletta non
divenne mai il grande polo cittadino della Terra di Bari, né tantomeno l’incontrastato
caput regionis. Perché?
Mi sembra che una parte fondamentale della risposta stia proprio nelle evoluzioni e
nelle costanti della negoziazione con la Corona in materia di fisionomia fiscale della
comunità; in altre parole, nella definizione dei suoi privilegi e dei suoi obblighi. Qui non
è possibile allargare il discorso come si dovrebbe, ma va rimarcato che il forte legame fra
contrattazioni e congiuntura, insieme all’intensa competizione fra le comunità, sempre
pronte a rivendicare per sé i medesimi privilegi concessi alle vicine, producono in queste
dialettiche scansioni di massima comuni, che sono poi quelle della storia del Regnum e
delle sue province. Le fiscalità municipali regnicole si sviluppano sostanzialmente in
risposta alla crescita della fiscalità regia, al suo interno ma talora in concorrenza con
alcune sue componenti. Tra la fine del Tre e il Quattrocento inoltrato la situazione vede
prima un abbassamento generalizzato dei carichi ordinari e poi, dagli anni Quaranta, un
recupero graduale, da parte della monarchia, attraverso un carezzevole assolutismo che si
spinse sino a insidiare le stesse gabelle municipali (intendendole come costola
distaccatasi dal fisco regio), ma che fu frenato tanto dalla gelosa difesa di identità
privilegiate quanto dal susseguirsi di crisi interne ed esterne. Il fallimento della riforma
del 1481-85 e poi soprattutto l’instabilità di fine secolo aprirono nuove occasioni, e una
città come Barletta, complici le circostanze, poté così approdare al momento forse più
positivo nella storia dei suoi assetti fiscali.
Nei medesimi anni, Trani attraversava una fase di crollo demografico, legato agli eventi
dell’incerto dominio veneziano (1496-1509) e del ritorno nelle mani della Corona, che
parve poi sensibile più a destinare i proventi locali verso la fortificazione costiera contro
l’eventualità di attacchi turchi che non a impiegare fondi nella risistemazione del porto, a
quanto pare impraticabile o quasi89. La notevole fisionomia fiscale di Barletta le garantì
86
Cfr. A. SPAGNOLETTI, La storiografia urbana in Terra di Bari, in G. GALASSO (a cura di), Le città del
Regno di Napoli nell’età moderna. Studi storici dal 1980 al 2010, Napoli, Editoriale Scientifica, 2011, pp.
291-337; M. DEL TREPPO, Realtà, mito e memoria di Napoli aragonese, in I. ZILLI (a cura di), Fra spazio
e tempo. Studi in onore di Luigi De Rosa, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, vol. I, pp. 361-382.
87
Quella che Biagio Salvemini chiama «la nobile arte di cercare le peculiarità del Mezzogiorno». Cfr. ID.,
Sulla nobile arte di cercare le peculiarità del Mezzogiorno, in «Società e storia», 68, 1995, pp. 353-372.
88
F. VIOLANTE, Territorio e identità cittadina, cit.
89
V. VITALE, Trani dagli Angioini agli Spagnoli, cit., pp. 311-467; R. COLAPIETRA, Profilo storico-
32
Davide Morra
probabilmente un vantaggio competitivo. Essa, mentre il porto di Trani s’interrava,
manuteneva il suo grazie ai cospicui fondi che l’esenzione perpetua dalla tassa generale
le consentiva di dirottare in quel senso. È molto probabile che ciò influì sulla persistente
spinta alla crescita demografico-economica della città e del suo porto nel XVI secolo,
portandola a divenire, con Manfredonia, lo scalo di riferimento per il traffico di cereali,
nonché uno dei principali mercati per le merci provenienti da Ragusa90.
Nel frattempo, è rilevante notare che altri centri provinciali superavano la soglia dei
mille fuochi più o meno largamente entro il primo decennio del nuovo secolo: Altamura,
Bari, Bitonto, Gravina, Monopoli. La sommità della gerarchia demografica di Terra di
Bari andava facendosi più affollata e stretta che nel Quattrocento, accogliendo peraltro
non più soltanto città costiere91. Le vicende del 1528-29 e la successiva stabilizzazione
del governo spagnolo nel regno favorirono poi una stretta sui privilegi barlettani e
inaugurarono il progressivo aumento della pressione fiscale regia, che verso gli ultimi
decenni del XVI secolo avrebbe condotto alla crisi generalizzata delle finanze municipali
regnicole92. Inoltre, nonostante il declino che colpì proprio Trani in quegli anni, nel
secondo Cinquecento essa fu designata come sede dell’Udienza provinciale, ancora una
volta all’insegna di una logica di distribuzione delle funzioni e delle prerogative93.
In conclusione, sembra esistere nel Quattro e persistere nel Cinquecento una volontà
livellatrice, da parte della Corona, che combinata ai risvolti della frammentazione
giurisdizionale ed ecclesiastica del territorio meridionale produsse arcipelaghi di polarità
amministrative, economiche, religiose e politiche, tali da contenere le ambizioni di
preminenza dei centri maggiori entro livelli tutto sommato omogenei, almeno in Terra di
Bari94. Il XVI secolo, anzi, dovette favorire ulteriormente questa tendenza, per via di una
serie di fattori interconnessi e noti: la trasformazione della Puglia in frontiera militare, la
politica economica della monarchia orientata all’annona interna e in particolare
napoletana, la rafforzata "ruralizzazione" delle attività locali, l’aristocratizzazione delle
élites95. Siamo ben oltre i limiti di questo contributo, che voleva semplicemente dare un
assaggio del complesso intreccio esistente fra le dinamiche di concertazione monarchiauniversità sulla fiscalità municipale e il definirsi di gerarchie e fisionomie urbane nel
Mezzogiorno tardomedievale.
urbanistico, cit., pp. 33-35.
90
G. FENICIA, Politica economica e realtà mercantile nel regno di Napoli nella prima metà del XVI secolo
(1503-1556), Bari, Cacucci, 1996.
91
Bitonto e Altamura già nel 1507, rispettivamente con 1177 e 1000 fuochi (ASN, TP, 5385, ff. 5v e 15r);
nel 1510 anche Bari con 1274, Gravina con 1395, Monopoli con 1136 (ASN, TP, 5386, ff. 4r, 13r, 16r). Cfr.
i dati di Barletta alla nota 18.
92
Cfr. almeno A. BULGARELLI LUKACS, La finanza locale sotto tutela, Venezia, Marsilio, 2012; G. MUTO,
Le finanze pubbliche napoletane tra riforme e restaurazione (1520-1634), Napoli, Edizioni scientifiche
italiane, 1980; G. SABATINI, Hacienda real y poderes locales: los intentos de reformar las finanzas
municipales del reino de Nápoles en los siglos XVI y XVII, in «Studia Historica. Historia Moderna», 27,
2005, pp. 223-239.
93
S. LOFFREDO, Storia della città di Barletta, cit., vol. II, pp. 134-138.
94
Sulla frammentazione giurisdizionale, si veda G. VALLONE, Istituzioni feudali dell’Italia meridionale tra
Medioevo ed antico regime. L’area salentina, Roma, Viella, 1999, pp. 179-234; su quella ecclesiastica C.D.
FONSECA, Le istituzioni ecclesiastiche del Basso Medioevo nell’Italia meridionale, in ID., Particolarismo
istituzionale e organizzazione ecclesiastica del Mezzogiorno medievale, Galatina, Congedo, 1987, pp. 147170 e G. VITOLO, Vescovi e diocesi, in G. GALASSO, R. ROMEO (a cura di), Storia del Mezzogiorno, Napoli,
Edizioni del Sole, 1990, vol. III, pp. 74-151.
95
Cfr. i testi citati alla nota 8 e G. FENICIA, Politica economica, cit.