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L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su negoziazione fiscale e gerarchie urbane in Puglia fra i secoli XIII e XVI DAVIDE MORRA Esiste un ricco filone della storiografia europea recente che, sul troncone degli studi dedicati alla fiscalità nell’ambito dei programmi di ricerca sulla formazione dello Stato moderno, ha innestato più approfondite riflessioni dedicate alla fiscalità urbana1. Anche se queste ricerche guardano soprattutto all’Occidente mediterraneo e interessano in maniera preponderante la penisola iberica e la Francia, dunque ambiti nei quali lo studio della fiscalité des villes implica quello dell’integrazione dei sistemi di tassazione locale entro organismi monarchici, ebbene nonostante questo mancano, nei volumi che ne sono il frutto, riflessioni dedicate al regno di Napoli. È il sintomo di un vuoto che solo pochi contributi hanno cercato di riempire2, negli ultimi decenni, ma che va colmato poiché – e dovrebbe essere superfluo dirlo – l’ambito della fiscalità è centrale nella costruzione di poteri territoriali, nonché nella definizione di gerarchie sociali e urbane. Le questioni che si potrebbero prendere in esame sono molteplici. Qui ci si propone di svolgere alcune osservazioni attinenti soprattutto alla dimensione politica del rapporto fiscale fra una città, Barletta, e i sovrani del regno di Napoli, in un periodo che registra sviluppi destinati a lasciare tracce durevoli. S’intende che la dimensione politica cui ci si riferisce non è quella propria del rapporto fra poteri politici autonomi, ma fra una comunità demaniale e il suo superiore feudale diretto, il re3. È una politicità che non riguarda, dunque, la ricerca d’indipendenza, ma la contrattazione di privilegi e libertà entro il quadro regnicolo. L’importanza di queste negoziazioni è evidente quando si consideri che esse risultano determinanti per stabilire i confini del potere amministrativo lasciato all’élite locale, nonché le condizioni alle quali dalle risorse fiscali teoricamente raccolte per la soddisfazione delle tasse regie possono essere stornati profitti da destinare 1 Cfr. D. MENJOT, M. SANCHEZ MARTINEZ (a cura di), La fiscalité des villes au Moyen Âge, Toulouse, Privat, 4 voll., 1996-2004; MENJOT, SANCHEZ MARTINEZ (a cura di), Fiscalidad de Estado y fiscalidad municipal en los reinos hispánicos medievales, Madrid, Casa de Velázquez, 2006; L’impôt dans les villes de l’Occident méditerranéen, XIIIe-XVe siècle, Paris, Comité pour l’histoire économique et financière de la France, 2005. 2 Cfr. soprattutto F. SENATORE, Una città, il regno. Istituzioni e società a Capua nel XV secolo, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medioevo, 2018, vol. I, cap. 3 e A. AIRÒ, «Et signanter omne cabella et dacii sono dela detta universita». Istituzioni, ambiente, politiche fiscali di una "località centrale": Manfredonia nel sistema territoriale di Capitanata tra XIII e XVI secolo, in R. LICINIO (a cura di), Storia di Manfredonia, I: Il Medioevo, Bari, Edipuglia, 2008, pp. 165-214. Utili anche P. TERENZI, L’Aquila nel Regno. I rapporti politici fra città e monarchia nel Mezzogiorno tardomedievale, Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 357-376 e G. ANDENNA, Fiscalità e sviluppo socio-economico nell’«universitas» di Lecce dall’età angioina all’inizio del dominio aragonese, in B. VETERE (a cura di), Storia di Lecce. Dai bizantini agli aragonesi, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 197-250. 3 Sulla revisione di letture troppo incentrate sul concetto di autonomia si veda in ultimo P. TERENZI, Città, autonomia e monarchia nel Mezzogiorno tardomedievale. Osservazioni sul caso aquilano, in «Studi storici», 56, 2, 2015, pp. 349-375, insieme a M. CARAVALE, La legislazione statutaria dell’Italia meridionale e della Sicilia, in ID., La monarchia meridionale. Istituzioni e dottrina giuridica dai Normanni ai Borboni, Roma-Bari, Laterza, 1998, pp. 167-200; P. CORRAO, Città e normativa cittadina nell’Italia meridionale e in Sicilia nel medioevo: un problema storiografico da riformulare, in R. DONDARINI (a cura di), La libertà di decidere. Realtà e parvenze di autonomia nella normativa locale del medioevo, Cento, Comune di Cento, pp. 35-60; G. GALASSO, Sovrani e città nel Mezzogiorno tardo-medievale, in S. GENSINI (a cura di), Principi e città alla fine del Medioevo, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1996, pp. 225-247. Itinerari di ricerca storica, a. XXXV – 2021, numero 1 (nuova serie) 12 Davide Morra al beneficio di quella medesima élite o della comunità tutta, concorrendo a stabilire l’importanza di ambedue, la loro dignità. A questi problemi gli studi sul Mezzogiorno medievale hanno dedicato un’attenzione non proporzionale alla loro importanza, limitandosi a valutazioni abbastanza generiche4. Eppure, essi consentono d’intendere come attraverso i secoli tardomedievali la costruzione del sistema fiscale dipese anche dal raggiungimento di compromessi in merito alle procedure di tassazione, alle soglie imponibili, ai meccanismi di redistribuzione, alle eccezioni; tutti aspetti che enucleavano il significato dell’appartenenza di ogni comunità e di ogni individuo al Regnum, la loro posizione all’interno di una gerarchia e quindi i connotati propri delle diverse cittadinanze, nonché i limiti fondamentali alle possibilità di arbitrio dei sovrani e i gradi d’integrazione del mosaico istituzionale. Naturalmente si tratta di un argomento vastissimo, che qui si toccherà in maniera selettiva e calibrata su un singolo caso, al solo scopo di porre in risalto alcuni nodi impossibili da sciogliere in questa sede, ma importanti da considerare. La città senza diocesi Oggi Barletta identifica sé stessa come "Città della Disfida", nel solco di una tradizione soprattutto risorgimentale e fascista che nobilita la storia locale grazie all’aggancio con un prestigioso mito nazionale5. È una rivendicazione che fa pensare e divagare. Suona, ai nostri giorni, come la risposta a un bisogno di distinzione che ha, forse, ragioni antropologiche, ma anche risvolti molto pragmatici. Quella memoria fa parte di un capitale simbolico che Barletta – città fra le cosiddette "intermedie" (cioè dotate di una popolazione fra i 24 e i 257 mila abitanti), impegnate a ritagliarsi un posto fra le metropoli e la grande massa dei piccoli centri italiani6 – utilizza per etichettarsi e per farsi attrattore 4 Come quelle, cursorie, in N.F. FARAGLIA, Il comune nell’Italia meridionale (1100-1806), Napoli, Tipografia della Regia Università, 1883, p. 46 e F. CALASSO, La legislazione statutaria dell’Italia meridionale, Roma, A. Signorelli, 1929, pp. 188-190, ma anche quelle più ampie in R. CAGGESE, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, Firenze, Bemporad, 1922, pp. 397-439; G. GALASSO, Storia del regno di Napoli, I: Il Mezzogiorno angioino e aragonese, 1266-1494, Torino, Utet, 2006, pp. 423-424; e G. VITOLO, Il regno angioino, in G. GALASSO, R. ROMEO, Storia del Mezzogiorno, Roma, Edizioni del Sole, 1986, vol. IV, tomo I, pp. 11-86 (qui 28-38). 5 L’episodio cui ci si riferisce è ovviamente lo scontro fra i 13 armigeri italiani e i 13 francesi avvenuto il 13 febbraio 1503 fra Andria e Corato - ma originato dall’insulto all’onore guerriero italico da parte del prigioniero francese Guy de la Motte mentre era tenuto a Barletta, dove alloggiavano le truppe spagnole del Gran Capitano Consalvo de Cordoba. Questa, almeno, è la vulgata relativa all’evento. Sulla difficile conoscibilità dei fatti e la stratificazione delle narrazioni che vi si ispirarono sin dal Cinquecento, si guardi ad alcuni volumi recenti: F. DELLE DONNE, V. RIVERA MAGOS (a cura di), La Disfida di Barletta. Storia, fortuna, rappresentazione, Roma, Viella, 2017; DELLE DONNE, RIVERA MAGOS (a cura di), La Disfida di Barletta e la fine del Regno. Coscienza del presente e percezione del mutamento tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento, Roma, Viella, 2019. Cfr. anche: DELLE DONNE (a cura di), L’esercizio della guerra, i duelli e i giochi cavallereschi. Le premesse della Disfida di Barletta e la tradizione militare dei Fieramosca, Barletta, Cafagna, 2017; DELLE DONNE, G. PERRINO, RIVERA MAGOS (a cura di), Sulle tracce della Disfida. Guerre, trionfi, percorsi di memoria tra Medioevo ed Età moderna, Barletta, Cafagna, 2015. Più in generale, sull’uso del medioevo per la costruzione dell’identità nazionale nell’Ottocento, si rimanda almeno a D. BALESTRACCI, Medioevo e Risorgimento. L’invenzione dell’identità italiana nell’Ottocento, Bologna, Il Mulino, 2015. Il titolo di Città della Disfida è rivendicato con orgoglio nell’art. 5 dello statuto comunale di Barletta (disponibile all’URL: <https://www.comune.barletta.bt.it/retecivica/istituzioni/statuto12.pdf>). 6 La definizione di città intermedie e il dibattito sul loro ruolo è circolato nella stampa specie dopo la pubblicazione del rapporto L’Italia policentrica. Il fermento delle città intermedie, Milano, Franco Angeli, 2020. L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su … 13 di flussi turistici, nodo riconoscibile nel quadro di una provincia piuttosto densa, che già dal nome (Barletta-Andria-Trani) denuncia un certo grado di policentrismo7. Questo corrivo riferimento al presente ha un’affascinante risonanza con la lunga storia delle fluide gerarchie urbane pugliesi8. Con un certo gusto per il paradosso potremmo dire che la principale differenza fra Barletta e le maggiori città vicine fra medioevo ed età moderna stava in un’assenza: quella di un’autonoma diocesi, tale da rispecchiare la posizione eminente della comunità nel quadro provinciale e da renderla il centro di una giurisdizione ecclesiastica distinta con chiarezza da quella della vicina Trani, sede metropolitica e concorrente anche sul piano economico e amministrativo. Nei fatti, i barlettani riuscirono comunque a esercitare la loro influenza sulle istituzioni ecclesiastiche locali; ma sul piano simbolico rimase presente questa sorta di diminutio della dignità cittadina e molto è stato scritto sui "surrogati" con i quali si cercò di compensarla9. Non che questo abbia precluso in alcun modo l’ascesa di questa terra, né sul piano politico, né su quello demografico ed economico. La crescita di Barletta è un fatto che comincia ad affermarsi gradualmente in concomitanza con l’arrivo dei Normanni e la fortificazione da parte del conte Pietro (1046), per poi trovare fattori di accelerazione nel formarsi di legami importanti con la Terrasanta e, soprattutto, nella riorganizzazione territoriale orchestrata da Ruggero II verso la metà del XII secolo. Alla fine del secolo, Barletta, come altri centri pugliesi, andava assumendo una vivace facies di insediamento polinucleato, con borghi che sorgevano lungo gli assi viari e nei pressi delle chiese e delle sedi degli Ordini monastico-cavallereschi, circondati da fossati e piccole cinte murarie; un polo attrattivo per migranti e forestieri, incoraggiati dal fervore di attività intorno al 7 Dal 1903 l’evento della Disfida è divenuto oggetto di rievocazioni, accompagnate peraltro da rivalità con Trani, Molfetta e Bari, che tentarono anche un’appropriazione della commemorazione. Sulle eclatanti proteste di piazza scatenate nel novembre 1931 dall’ipotesi che il monumento per la Disfida potesse essere collocato altrove che a Barletta - non senza legame con il declassamento amministrativo che la città aveva subito nel 1927 - si rimanda alla ricostruzione di A. ANTONUCCI, I fatti del 1931. Tra municipalismo identitario e microconflittualità politica, in F. DELLE DONNE, V. RIVERA MAGOS (a cura di), La Disfida di Barletta. Storia, fortuna, rappresentazione, cit., pp. 169-181. Cfr. anche A. MAGLIOCCA, La Disfida di Barletta: da manifestazione popolare a evento turistico internazionale, in Ivi, pp. 233-244. 8 Cfr. almeno, specie per la Terra di Bari, G. GALASSO, La provincializzazione del regno e l’egemonia napoletana nel secolo XVI: il caso pugliese, in ID., Alla periferia dell’impero. Il Regno di Napoli nel periodo spagnolo (secoli XVI-XVII), Torino, Einaudi, 1994, pp. 389-421; A. MASSAFRA, Terra di Bari: 1500-1600, in G. GALASSO, R. ROMEO (a cura di), Storia del Mezzogiorno, Roma, Edizioni del Sole, 1986, vol. VII, pp. 517-587; E. PAPAGNO, Un paesaggio costruito: la provincia storica di Terra di Bari, in A. SPAGNOLETTI (a cura di), La Puglia. Un profilo per i beni culturali, Roma, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Direzione Generale Archivi, 2018, pp. 203-258; B. SALVEMINI, Prima della Puglia. Terra di Bari e il sistema regionale in età moderna, in L. MASELLA, B. SALVEMINI (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi: La Puglia, Torino, Einaudi, 1989, pp. 5-218; ID., Un mondo "paradossale"? Poteri, società e risorse nello spazio pugliese della lunga età moderna, in A. GIUFFRIDA, F. D’AVENIA, D. PALERMO (a cura di), Studi storici dedicati a Orazio Cancila, Palermo, Associazione Mediterranea, 2011, pp. 821-861. 9 Cfr. F. PANARELLI, Le istituzioni ecclesiastiche (secc. XI-XV), in V. RIVERA MAGOS, G. VOLPE, S. RUSSO (a cura di), Archeologia Storia Arte. Materiali per la storia di Barletta (secoli IV a.C.-XIX d.C.), Bari, Edipuglia, 2015, pp. 77-85; M. SPEDICATO, Le istituzioni ecclesiastiche a Barletta in epoca moderna, in RIVERA MAGOS, VOLPE, RUSSO, Archeologia Storia Arte, cit., pp. 109-122; e V. RIVERA MAGOS, Canne, Nazareth, Barletta. Note per un’interpretazione dei processi di costruzione identitaria in una città del Mezzogiorno medievale, in A. CORCELLA (a cura di), I ‘tessuti’ della memoria. Costruzioni, trasmissioni, invenzioni, Bari, edizionidipagina, 2018, pp. 122-129; insieme ai contributi raccolti in L. DEROSA, F. PANARELLI, V. RIVERA MAGOS (a cura di), Tra Oriente e Occidente. Istituzioni religiose a Barletta nel Medioevo (secoli XI-XV), Bari, Edipuglia, 2018. 14 Davide Morra porto e dalle occasioni di occupazione presso i possedimenti ecclesiastici, ma forse anche dal privilegio di demanialità del 119010. L’inclinazione urbana si confermò nel Duecento. Nei documenti disponibili, l’élite civica – in seno alla quale spiccavano ancora i milites – mostra chiaramente la propensione all’esplicita assunzione di un ruolo nella gestione di prerogative pubbliche, di concerto con l’autorità sovrana e «pro honore patrie»11. Al 1276 si data il furto delle reliquie di san Ruggero dalla decaduta Canne, che non approdò però alla costituzione di una diocesi barlettana; al 1280 una suggestiva dichiarazione pubblica delle libertà relative alla fiera cittadina di metà agosto; al 1294 il privilegio che univa al territorio di Barletta quello di Canne, rafforzando la gravitazione dell’hinterland ofantino verso la città e il suo porto. Negli anni subito successivi, Carlo II promosse una risistemazione urbanistica per assicurare pulizia, viabilità, mura salde e un porto funzionante, come si addiceva a una città che doveva risplendere fra le altre. Fiorita grazie a un felice concorso di fattori, Barletta prosperava quale città regia. Eppure, questi fasti non devono falsare la prospettiva. La posizione guadagnata e il favore dei sovrani non erano privi di paragoni nell’area pugliese, anche se è difficile effettuare confronti stringenti a causa della lacunosità delle fonti. Nei primi anni del Trecento appare chiaro che Barletta è un porto aperto soprattutto sull’Adriatico, frequentato dai Veneziani, utilizzato da funzionari regi importanti e dagli Ordini, ma anche da una miriade di operatori minori. Aveva ragione, Georges Yver, nel considerarla in quel momento «la capitale commerciale de la Pouille»? È difficile tradurre quest’opinione in certezze quantitative e vieppiù seguire l’evolvere della situazione. Yver fondava la sua interpretazione sugli scritti di Francesco Pegolotti e sui dati che denunciavano Barletta come la seconda maggiore contribuente del regno dopo Napoli (nel 1316 pagava 622 once di generalis subventio; Napoli 692)12. Ma Trani, su questo piano, la seguiva da vicino (502 once), soprattutto se si deve tener conto che, nel 1306, le era stato accordato uno sgravio fiscale di 100 once13; inoltre, se Barletta era divenuta centrale nella rete affaristica delle grandi compagnie fiorentine di Bardi, Peruzzi e Acciaiuoli, non bisogna neppure dimenticare che i Veneziani avevano installato un 10 Alla costruzione della città fra XII e XIII secolo, specie sotto il profilo della storia sociale, è dedicato il libro di V. RIVERA MAGOS, Milites Baroli. Signori e poteri a Barletta tra XII e XIII secolo, Napoli, FedOA - Federico II University Press, 2020, con ulteriori ampi rimandi. Cfr. anche A. BRUSA, Barletta, in Itinerario normanno in Terra di Bari. I centri costieri. Monopoli, Bari, Molfetta, Bisceglie, Trani, Barletta, Bari, Regione Puglia, Assessorato alla cultura, CSPCR, 1985, pp. 189-204 e la parte dedicata a Canne in R. IORIO, Siponto, Canne, in G. MUSCA (a cura di), Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno normanno-svevo, Bari, edizioni Dedalo, 1993, pp. 385-425 (in 402-425). E per la presenza degli Ordini monastico-cavallereschi: L. DEROSA, Barletta e la Terrasanta: bilancio storiografico e prospettive di ricerca, in Ivi, pp. 143-162, con ulteriori riferimenti. 11 V. RIVERA MAGOS, Milites Baroli, cit., pp. 317-440; ID., «Inter vicinas civitates resplendet». Costruzione dello spazio e proiezione territoriale: Barletta alla fine del Duecento, in Fra impegno culturale e lungimiranza. Gli Amici dell’arte e della storia barlettana, Barletta, Cafagna, 2015, pp. 89-119; F. VIOLANTE, Strutture produttive, commerciali e finanziarie tra XII e XV secolo, in V. RIVERA MAGOS, G. VOLPE, S. RUSSO (a cura di), Archeologia storia arte, cit., pp. 87-97; G. VITALE, Percorsi urbani nel Mezzogiorno medievale, Battipaglia, Laveglia&Carlone, 2016, pp. 113-200. La citazione è ripresa da V. RIVERA MAGOS, «Inter vicinas civitates resplendet», cit., p. 119. 12 La citazione da Yver è in G. YVER, Le commerce et les marchands dans l’Italie méridionale au XIIIe et au XIVe siècle, Paris, A. Fontemoing, 1903, p. 167; a ben vedere, peraltro, lo stesso Pegolotti segnalava che a Manfredonia si imbarcavano fisicamente più merci che a Barletta, come nota F. VIOLANTE, Territorio e identità cittadina nella Barletta medievale: alcune note sulla riflessione storiografica di XVIII-XIX secolo, in A. SPAGNOLETTI (a cura di), La Puglia, cit., pp. 179-201 (qui 194). 13 Notizia dello sgravio di Trani è in G. YVER, Le commerce, cit., p. 166. L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su … 15 proprio consolato a Trani già dal XIII secolo14. Oltretutto anche a Trani si verificava nel medesimo torno di decenni un processo di assestamento urbanistico analogo a quello barlettano15. Anche un altro centro portuale, Manfredonia, andò ritagliandosi un’indubitabile importanza, attirando il medesimo tipo di operatori che frequentavano gli altri due. Nondimeno, e nonostante il fatto che una concorrenza di fondo rispetto ad essi esistesse, la posizione più discosta di Manfredonia favoriva una spartizione più equilibrata dei retroterra di riferimento, funzionale a incanalare verso il mare le produzioni agricole di aree differenti16. Alcune testimonianze quattrocentesche sembrano confermare che la convivenza competitiva fra queste tre città, ma soprattutto fra Barletta e Trani, restava aperta. Nel tardo XV secolo Anselmo Adorno avrebbe affermato che Barletta «maior est quam Trani civitas» e seconda in Puglia solo a Lecce; e di lì a ottant’anni, nel pieno Cinquecento, Vincenzo Massilla avrebbe scritto che Barletta, pur non essendolo formalmente, era «plus quam civitas, nam est prima terra que sit in regno»17. In effetti, essa spiccava rispetto alle vicine anzitutto per la sua dimensione demografica18. Si badi bene, però, che lo stesso Adorno riteneva superiore l’importanza commerciale di Trani. «Nulla est in Pulia in negociis sive mercimoniis similis», scriveva nel suo itinerario19. Dati quantitativi sembrano confermarlo. Nel 1486-87 il mastro portolano di Puglia registrava più alti volumi di esportazione dai porti di Trani (soprattutto per extra Regnum) e Manfredonia (soprattutto per infra Regnum) che da quello di Barletta20. Un sintetico 14 F. CARABELLESE, Le relazioni commerciali fra la Puglia e la Repubblica di Venezia dal secolo X al XV. Ricerche e documenti, Tip. Vecchi, Trani, 1897, p.27; V. RIVERA MAGOS, Una colonia nel regno angioino di Napoli. La comunità toscana a Barletta tra 1266 e 1345. Presenze e influenza in un rapporto di lungo periodo, Barletta, Crsec, 2005. 15 Su Trani si vedano R. COLAPIETRA, Profilo storico-urbanistico di Trani dalle origini alla fine dell’Ottocento, in «Archivio storico pugliese», 33, 1987, pp. 3-107; C.D. FONSECA, Trani, in G. MOSCA (a cura di), Itinerari e centri urbani, cit., pp. 365-384; G. VITALE, Percorsi urbani, cit., pp. 149-200; V. VITALE, Trani dagli Angioini agli Spagnoli. Contributo alla storia civile e commerciale di Puglia nei secoli XV e XVI, Bari, Tipografia Vecchi, 1912. 16 Così V. RIVERA MAGOS, La chiave de tutta la Puglia. Presenze straniere, attività commerciali e interessi mediterranei a Manfredonia, ‘agriporto’ di Capitanata (secoli XIII-XVI), in R. LICINIO (a cura di), Storia di Manfredonia, cit., pp. 63-99 (qui 65). Sono abbastanza convincenti anche le argomentazioni dell’autore circa il fatto che tra fine Due e inizio Trecento il porto di Manfredonia dovesse avere alle spalle una comunità cittadina e delle élites meno "mature" di quelle barlettane e tranesi, così come sembra importante la notazione relativa al fatto che a quell’altezza cronologica, benché frequentata anche da veneziani e fiorentini, Manfredonia non fosse sede di loro consolati, a differenza delle altre due. Su Manfredonia cfr. anche A. AIRÒ, «Et signanter omne cabella, cit. 17 Entrambi sono citati in A. AMBROSI, Tracciati urbani nei secoli XI e XIX: studi e ipotesi di lavoro, in V. RIVERA MAGOS, G. VOLPE, S. RUSSO (a cura di), Archeologia storia arte, cit., pp. 185-193 (qui note 44 e 47). Cfr. J. HEERS, G. DE GROER (a cura di), Itinéraire d’Anselme Adorno en Terre Sainte, 1470-1471, Paris, Centre National de la Recherche Scientifique, 1978. 18 Barletta spicca come il centro con il maggior numero di fuochi in Terra di Bari nella numerazione del 1447, quando ne ha 1152 e Trani 1065 (F. COZZETTO, Mezzogiorno e demografia nel XV secolo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1986, p. 117). Nel 1507 Barletta è numerata per 1309 fuochi, Trani 1037 (ASN, TP, 5385, ff. 2v-3r). Il distacco cresce nel 1510, quando Barletta ha 1258 fuochi e Trani è caduta a 814 (ASN, TP, 5386, ff. 2v e 24r); nel 1540 Barletta 1574, Trani 714 (ASN, TP, 5389, ff. 18r e 24v). 19 Cfr. G. VITALE, Percorsi urbani, cit., p. 173. Manfredonia, dal canto suo, che a quell’altezza cronologica aveva ormai visto impiantarsi anche un consolato di ragusei e maturare attività imprenditoriali più rimarchevoli da parte delle élites locali, appariva ad Adorno come un buon porto dotato di una rada e di un molo di marmo, riparato dai vicini monti del Gargano (cfr. V. RIVERA MAGOS, La chiave de tutta la Puglia, cit.). 20 Cfr. G. VITALE, Percorsi urbani, cit., pp. 141-145. 16 Davide Morra conto relativo alle entrate delle dogane regie nel 1483-84 lascia emergere una gerarchia solo in parte diversa, con la dogana di Trani che registra comunque un movimento nettamente superiore, introitando la somma di 716 ducati, seguita da quelle di Barletta (584), Monopoli (457) e, qui con maggior distacco, Manfredonia (286)21. Anche testimonianze qualitative, poi, evidenziano le somiglianze esistenti fra i porti pugliesi tre-quattrocenteschi: i contatti con Ragusa e l’Adriatico orientale, l’esportazione di vettovaglie, la forte presenza di operatori stranieri, i contatti con l’Oriente latino; non si riscontra una più marcata concentrazione di funzioni nell’uno o nell’altro, né, a quanto è dato capire, una reale differenziazione delle rispettive specializzazioni; forse Trani presentava una maggiore vocazione a farsi centro di coordinamento dal punto di vista finanziario, ma le presenze di mercanti stranieri erano forti anche a Barletta22. Quanto alle funzioni amministrative, poi, se è vero che in quest’ultima aveva teoricamente sede il mastro portolano di Puglia, nel riorganizzare le circoscrizioni fiscali re Alfonso collocò a Trani la sede del commissario della tassa generale nelle province pugliesi23. Si capisce, insomma, che se l’importanza di Barletta è certa, la sua è una preminenza condivisa con alcuni centri non distanti e, in questo, non del tutto comparabile con quella di città come Napoli e L’Aquila nelle rispettive regioni, bensì espressione di un policentrismo che la Corona tendeva a favorire24. È significativo, appunto, ricordare come Barletta avesse quasi la stessa taglia di Napoli a inizio Trecento; è ovvio che la vicenda storica della Capitale, grazie ai privilegi e al rapporto speciale con la corte, aveva dato dei frutti differenti nell’arco del secolo e mezzo successivo25. È utile, a questo punto, ricordare che la Terra di Bari è una delle aree regnicole per le quali la storiografia ha parlato di gerarchia piatta fra gli insediamenti, emersa in 21 ASN, TP, 5383, ff. 20r-25v. F. CARABELLESE, Le relazioni commerciali, cit.; ID., Carlo d’Angiò nei rapporti politici e commerciali con Venezia, Trani, Tip. Vecchi, 1911; M. POPOVIC-RADENKOVIC, Le relazioni commerciali fra Dubrovnik (Ragusa) e la Puglia nel periodo angioino (1266-1442), in «Archivio storico per le province napoletane», 37, 1957, pp. 5-36; 38, 1958, pp. 153-206; M. SPREMIC, Dubrovnik e gli Aragonesi (1442-1495), Palermo, Accademia nazionale di scienze lettere e arti, 1986; A. LEONE, Caratteri dell’economia mercantile pugliese (1467-1488), in ID., Mezzogiorno e Mediterraneo. Credito e mercato internazionale nel secolo XV, Napoli, Dick Peerson, 1988, pp. 83-106; ID., Il versante adriatico del regno nell’ultimo quarto di secolo XV. Trani, 1484-1488, in Ivi, pp. 69-82; S. TOGNETTI, Uno scambio diseguale. Aspetti dei rapporti commerciali tra Firenze e Napoli nella seconda metà del Quattrocento, in «Archivio storico italiano», 158, 3, 2000, pp. 461-490; E. SAKELLARIOU, Southern Italy in the Late Middle Ages. Demographic, Institutional and Economic Change in the Kingdom of Naples, c.1440-c.1530, Leiden - Boston, Brill, 2012; A. FENIELLO, Un capitalismo mediterraneo. I Medici e il commercio del grano in Puglia nel tardo Quattrocento, in «Archivio storico italiano», 641, 3, 2014, pp. 435-512. 23 La notizia è in Archivo de la Corona de Aragón, Cancillería, Registros, 2913, ff. 75r-76v. Cfr. F. VIOLANTE, Territorio e identità cittadina, cit., pp. 179-182, che chiarisce anche l’errore nel quale incorreva lo storico locale Sabino Loffredo, quando interpretava un passo del De bello neapolitano di Pontano come dimostrazione del fatto che Barletta era caput regionis sin dal sacco di Bari del 1156. 24 Ne parla E. SAKELLARIOU, The Cities of Puglia in the Fifteenth and Sixteenth Centuries. Their Economy and Society, in A. COWAN (a cura di), Mediterranean Urban Culture, 1400-1700, Exeter, University of Exeter Press, 2000, pp. 97-114. 25 Sull’ascesa di Napoli cfr. almeno: T. COLLETTA, Napoli, città portuale e mercantile. La città bassa, il porto e il mercato dall’VIII al XVII secolo, Roma, Kappa, 2006; A. FENIELLO, Alle origini di Napoli capitale. Il porto, la terra, il denaro, in «Mélanges de l’École Française de Rome», 124, 2, 2012, disponibile all’URL: <http://journals.openedition.org/mefrm/779>; G. GALASSO, Napoli capitale. Identità politica e identità cittadina. Studi e ricerche, 1266-1860, Napoli, Electa, 2003; A. LEONE, F. PATRONI GRIFFI, Le origini di Napoli capitale, Cava de’ Tirreni, Edizioni Studi Storici Meridionali, 1984; G. VITALE, Élite burocratica e famiglia. Dinamiche nobiliari e processi di costruzione statale nella Napoli angioinoaragonese, Napoli, Liguori, 2003. 22 L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su … 17 particolare dalla ristrutturazione demografico-economica successiva alla crisi di metà Trecento. Di una gerarchia, cioè, segnata da popolamento concentrato, che faceva perno su alcuni insediamenti medio-grandi e una presenza stabile di piccole città, nell’assenza quasi totale, invece, di nuclei minori sparsi nelle campagne. Ciò evoca la famigerata immagine delle agrotowns: grossi borghi che fungono da dormitori per famiglie contadine; ma, a dire il vero, si tratta di un riflesso pavloviano di cui si può fare a meno26. Molti indizi mostrano che specie centri costieri come Barletta e Trani avevano nel tardo medioevo un’articolazione sociale interna variegata, con fasce probabilmente non trascurabili della popolazione impegnate in attività non agricole. Il problema, semmai, è quello di riconoscere polarità, elementi di specializzazione e potenziali scarti in avanti entro un contesto di «demographic mobility and intense competition among settlements at a time of accelerated commercial exchange and production diversification, and renegotiation of political authority distribution between the central government, the towns and the feudal lords»27. Proprio a tal riguardo l’esame della vicenda fiscale di Barletta potrebbe offrire nuovi spunti, con ricadute, ad esempio, sulla lettura degli esiti che sembrerebbe avere la concorrenza fra le città di Trani e Barletta dopo la fine del XV secolo. Prendiamo la questione dei porti, uno degli emblemi del grado di urbanità dei centri costieri pugliesi. Per secoli la vicinanza della foce dell’Ofanto e la natura sabbiosa del fondale hanno fatto sì che il porto di Barletta andasse incontro a regolari problemi d’interramento28. La cosa interessante, peraltro, è che essi colpivano anche il porto di 26 La discussione su questi temi è aperta. Per l’analisi delle gerarchie urbane regnicole si veda E. SAKELLARIOU, Southern Italy, cit., pp. 80-126 e le considerazioni in D. CURTIS, Is there an ‘agro-town’ model for Southern Italy? Exploring the diverse roots and development of the agro-town structure through a comparative case study in Apulia, in «Continuity and Change», 28, 3, 2013, pp. 377-419; P. D’ARCANGELO, La Capitanata urbana tra Quattro e Cinquecento, Napoli, Società Napoletana di Storia Patria, 2017, pp. 27-48; B. SALVEMINI, Prima della Puglia, cit.; S. TOGNETTI, L’economia del Regno di Napoli tra Quattro e Cinquecento. Riflessioni su una recente rilettura, in «Archivio storico italiano», 634, 4, 2012, pp. 757-768 e G. VITOLO, L’Italia delle altre città. Un’immagine del Mezzogiorno medievale, Napoli, Liguori, 2014, pp. 1-20; si aggiunga ora, anche se relativo a un’altra area, F. SENATORE, About the Urbanization in the Kingdom of Naples: the Campanian area in 15th-16th cent., in M. ASENJO, E. CROUZET-PAVAN, A. ZORZI (a cura di), Urban Hierarchy: The Interaction Between Towns and Cities in Europe in Late Medieval and Early Modern Times, Turnhout, Brepols, 2021, pp. 109-126. Cfr. anche M. GINATEMPO, L. SANDRI, L’Italia delle città. Il popolamento urbano tra Medioevo e Rinascimento (secoli XIII-XVI), Firenze, Le Lettere, 1990, pp. 153-171, le cui valutazioni risultano però generiche a causa dalla scarsa densità cronologica dei dati disponibili all’epoca in letteratura. 27 E. SAKELLARIOU, The Cities of Puglia, cit., p. 100. Alle pp. 105-108 ci sono vari esempi di "corsa al privilegio" che vedono protagoniste Trani e Barletta. Ad esempio, nel 1436 i barlettani ottengono dal Magnanimo che certi sgravi fiscali utili ad attirare i Veneziani nella piazza tranese siano applicati anche nella loro città; essa, nel 1439, guadagnava un’esenzione da tasse sull’esportazione di vin, che Trani riuscì a ricevere nel 1462. I tranesi avevano invece preceduto i barlettani nell’acquisizione di immunità commerciali simili a quelle dei Veneziani stessi, nel 1429; Barletta l’avrebbe conseguita per i suoi cittadini nel 1463. 28 Quel che il sindaco di Barletta scriveva all’intendente di Terra di Bari in una relazione del 1829 segnala una coscienza sorprendentemente longeva della questione: «Dai registri comunali si osserva che nell’anno 1295 il re Carlo d’Angiò accordò la tratta di carra 150 di frumento a favore del Comune, affine di sollecitare le riparazioni del molo; [...] si è che nel 1321 tutt’i proventi della portolania di Barletta per ordine sovrano, furono impiegati per le riparazioni del porto, e delle mura della città. [...] Quante migliaia dunque si sono spese sino al governo vicereale dalla comune e dagli Augusti Sovrani, per lo ristauro, per la conservazione del nostro porto, e del nostro molo. E quante migliaia non si sono spese dalla sola comune sino all’anno 1750, in cui per ordine dell’immortale Carlo III fu dedicata per l’uso del porto, e delle mura della città, la rendita patrimoniale de’ cittadini che si ottiene dalle terre, così dette le Mezzane? E quante migliaia di questa rendita delle Mezzane si sono spese per il molo, e per il porto, dal 1750 fin’oggi?». Il brano è citato 18 Davide Morra Trani e altri attracchi pugliesi29. Era quindi decisivo disporre di risorse economiche per provvedere alla manutenzione e alla costruzione di infrastrutture per accogliere e proteggere navigli. Era fondamentale che la Corona mettesse a disposizione risorse di sua titolarità o consentisse alle università di gestirne in proprio. Da questo punto di vista, l’istituzione di gabelle municipali non solo contava sui traffici e sulla circolazione di persone per generare proventi, ma poteva aiutare un centro a stabilizzare e accrescere quei flussi, creando un circolo virtuoso. Gli albori di una fiscalità municipale Per quanto ne sappiamo, le città del Regnum Siciliae non avevano, in età sveva, una vera e propria organizzazione fiscale interna, né detenevano stabili diritti di prelievo. È possibile che la situazione presentasse delle variazioni, naturalmente, e che esistessero redditi provenienti dalla gestione di proprietà e terre municipali30. Inoltre, sappiamo che i sovrani potevano acconsentire all’imposizione di tasse temporanee all’interno di una comunità, se queste erano mirate a scopi d’interesse pubblico, come poteva essere la manutenzione di infrastrutture31. È da notare, ancora, che questo non escludeva affatto le élites locali da forme di partecipazione subordinata. In ogni centro del regno esistevano diritti facenti capo alle baglive (tipici il plateatico e la bucceria), che potevano essere appaltati. In questo modo, comprando diritti di pertinenza regia o ricoprendo officia, i più ricchi esponenti delle comunità potevano amministrare cespiti, esercitare una forma di potere e ottenere dei profitti personali (anche attraverso l’abuso)32. in G. CARLONE, Barletta, un fiume di grano. Città e campagna nell’Ottocento, in V. RIVERA MAGOS, G. VOLPE, S. RUSSO (a cura di), Archeologia storia arte, cit., pp. 195-205 (qui 198). Fu grazie a importanti lavori avviati dalla monarchia per la viabilità e finanziati anche dal comune e dagli imprenditori barlettani per l’agibilità del porto che tra fine Sette e inizio Ottocento la città poté spiccare insieme a Bari come nodo fondamentale dell’estrazione di prodotti granari e agricoli dalla Puglia; e fu anche per problemi di finanziamento di ulteriori ammodernamenti delle infrastrutture che verso la metà del secolo il porto andò nuovamente interrandosi e decadendo. Cfr. anche Barletta tra il grano e la sabbia. I progetti per il porto, Bari, Dedalo, 1983. 29 G. VITALE, Percorsi urbani, cit., pp. 176-184; C. MASSARO, Spazi pubblici e città nella Puglia del tardo Medioevo, in G. VITOLO (a cura di), Città, spazi pubblici e servizi sociali nel Mezzogiorno medievale, Battipaglia, Laveglia&Carlone, 2016, pp. 175-203 (qui 194-196); V. RIVERA MAGOS, La chiave de tutta la Puglia, cit., p. 85. La questione, naturalmente, aveva un interesse anche più ampio e non poteva che essere affrontata attraverso la concertazione con i monarchi, il cui ruolo nel favorire uno sviluppo policentrico o piuttosto un accentramento delle funzioni risulta tanto più evidente. Cfr. P. DALENA, Il sistema portuale e la marineria in età angioina, in G. ANDENNA, H. HOUBEN (a cura di), Mediterraneo, Mezzogiorno, Europa. Studi in onore di Cosimo Damiano Fonseca, Bari, Adda, 2004, vol. I, pp. 359-381. 30 G. FASOLI, Organizzazione delle città ed economia urbana, in Potere, società e popolo nell’età sveva (1210-1266), Bari, Dedalo, 1985, pp. 167-189. Cfr. anche: G. ANDENNA, Federico II e le città, in P. CORDASCO, C. VIOLANTE (a cura di), Un regno nell’impero. I caratteri originari del regno normanno nell’età sveva: persistenze e differenze, Bari, Adda, 2010, pp. 69-120; G. CHERUBINI, Federico II e le città del Regno di Sicilia, in F. BOCCHI, G.M. VARANINI (a cura di), L’eredità culturale di Gina Fasoli, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 2008, pp. 241-260; J.M. MARTIN, Le città demaniali, in P. TOUBERT, A. PARAVICINI BAGLIANI (a cura di), Federico II e le città italiane, Palermo, Sellerio, 1994, pp. 179-195. 31 J.M. MARTIN, Fiscalité et économie étatique dans le royaume angevin de Sicile à la fin du XIIIe siècle, in L’État angevin. Pouvoir, culture et société entre XIIIe et XIVe siècle, Roma, École française de Rome, 1998, pp. 601-648 (qui 631-632). Cfr. anche G. VITOLO, Città, monarchia e servizi sociali. Il caso di Napoli, in ID. (a cura di), Città, spazi pubblici, servizi sociali, cit., pp. 6-29 (qui 8-9). 32 Per Barletta, cfr. ad esempio V. RIVERA MAGOS, Milites Baroli, cit., pp. 317 ss. L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su … 19 Sul finire del Duecento, le trasformazioni cui andava incontro la fiscalità regnicola suscitarono importanti novità, parallele a quelle che interessavano un po’ tutto l’Occidente coevo. Le crescenti esigenze militari sono un riconosciuto sprone di questo mutamento, che conduceva principi, monarchi e città-stato a inasprire la pressione tributaria su sudditi e vassalli, ricorrendo in maniera regolare a forme di prelievo dal carattere giuridicamente congiunturale33. Questo provocava un florilegio di nuovi diritti impositivi, che nel regno di Napoli è ben visibile specialmente dopo l’inizio della Guerra del Vespro: costretti a impegnarsi in un oneroso duello mediterraneo con i re d’Aragona, ma nello stesso tempo bisognosi di tenere compatto il fronte interno, i sovrani angioini di Napoli finirono per avallare vari meccanismi di redistribuzione del peso tributario. Ciò accadde con l’adoa, per esempio, la tassa sostitutiva del servizio militare che veniva imposta ai feudatari e che essi potevano riscuotere per metà dai propri vassalli34. Ma accadde anche con riguardo alle sei collette della generalis subventio, cui dovevano contribuire le università35. La divisione degli oneri all’interno delle comunità, lasciata alle universitates stesse, generò discordie fra i gruppi locali molto presto. Per scongiurare il rallentamento del prelievo, Carlo I, alla fine degli anni Settanta del XIII secolo, varò norme per regolare la preparazione degli apprezzi di beni e rendite, da utilizzare per una più equa ripartizione. Le modalità di stima delle sostanze dei cittadini rimasero comunque fortemente legate all’esistenza di consuetudini e alla dialettica fra le parti sociali, perciò alcune comunità cominciarono a suggerire procedure meno divisive. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, Barletta fu la prima a sottoporre un elenco di gabelle al re nella forma dei capitula sive dacia, ottenendo nel 1297 l’approvazione di Carlo II36. La concessione fu tutt’altro che isolata e riguardò centri situati in tutto il 33 Cfr. in particolare W.M. ORMROD, The West European Monarchies in the Later Middle Ages, in R. BONNEY (a cura di), Economic Systems and State Finance, Oxford, Clarendon Press, 1995, pp. 123-160 e G. ARDANT, Politica finanziaria e struttura economica degli stati nazionali moderni, in C. TILLY (a cura di), La formazione degli stati nazionali nell’Europa occidentale, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 153-226. Per un’ampia casistica, cfr. i contributi in: R. BONNEY (a cura di), The Rise of the Fiscal State in Europe, c. 1200-1815, Oxford, Oxford University Press, 1999 e S. CAVACIOCCHI (a cura di), La fiscalità nell’economia europea, secc. XIII- XVIII, Firenze, Firenze University Press, 2008. 34 Cfr. G. Vitolo, Il regno angioino, cit., p. 27. 35 Cfr. almeno: J.-M- MARTIN, L’organisation administrative et militaire du territoire, in Potere, società e popolo nell’età sveva, cit., pp. 71-121; K. TOOMASPOEG, Collecta, in Enciclopedia Federiciana, 2005, disponibile all’URL: <https://www.treccani.it/enciclopedia/colletta_%28Federiciana%29/>; F. VIOLANTE, Burocrazia e fiscalità nel regno di Sicilia tra età sveva ed età angioina: alcuni aspetti, in V. RIVERA MAGOS (a cura di), Una famiglia, una città. I Della Marra di Barletta nel Medioevo, Bari, Edipuglia, 2014, pp. 7790. Sulla fiscalità angioina, in particolare S. MORELLI, Il controllo delle periferie nel Mezzogiorno angioino alla metà del XIII secolo: produzione e conservazione di carte, in «Reti Medievali Rivista», 9, 1, 2008, disponibile all’URL: <http://www.rmojs.unina.it/index.php/rm/article/view/urn%3Anbn%3Ait%3Aunina3130>; EAD., Note sulla fiscalità diretta e indiretta nel Regno angioino, in C. MASSARO, L. PETRACCA (a cura di), Territorio, culture e poteri nel Medioevo e oltre. Studi in onore di B. Vetere, Galatina, Congedo, 2011, vol. I, pp. 389-413; EAD., Per conservare la pace. I giustizieri del regno di Sicilia da Carlo I a Carlo II d’Angiò, Napoli, Liguori, 2012; W.A. PERCY, The revenues of the Kingdom of Sicily under Charles I of Anjou 1266-1285 and their relationship to the Vespers, PhD Thesis, University of Princeton, 1964; J.M. MARTIN, Fiscalité et économie étatique, cit. Per una prospettiva più lunga: A. BULGARELLI LUCKACS, «Domain state» e «tax state» nel Regno di Napoli (secoli XII-XIX), in «Società e storia», 106, 2004, pp. 781-812. 36 Cfr. V. RIVERA MAGOS, I capitula di Barletta e di Manfredonia (1297 e 1301). Due fonti fiscali per lo studio della Capitanata e della valle dell’Ofanto nel Medioevo, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo», 120, 2018, pp. 91-133. Da un punto di vista lessicale, P. MAINONI, Gabelle. Percorsi di lessici fiscali tra Regno di Sicilia e Italia comunale (secoli XII-XIII), in P. GRILLO (a cura di), Signorie 20 Davide Morra territorio regnicolo37. Le osservazioni più ricche in merito restano quelle di Romolo Caggese, tanto più che le fonti da lui usate, i registri della cancelleria angioina, sono andate distrutte. Come lo studioso annotava, sarebbe riduttivo credere che quei capitoli contenessero solo imposte su commerci e consumi. A seconda delle realtà, vi si stratificavano usi relativi a imposte personali (testatico) o sulla proprietà immobiliare e terriera, o ancora sul reddito da lavoro. Il che, invero, permette di cogliere persino delle continuità fra apprezzo e datia, poiché certi criteri adottati per l’uno confluivano nei secondi38. È ovvio che la legittimazione di queste forme tributarie dipendeva dall’autorità sovrana e doveva piegarsi alla logica per la quale il fisco era la cassa ove si riversavano i contributi dei sudditi perché il re, fonte del diritto e della giustizia, potesse usarli al fine di salvaguardare il proprio stato e il bene pubblico39. Di conseguenza, i privilegi nei quali erano inseriti i capitula sive dacia vincolavano i cespiti locali al pagamento delle collette e, anzi, prevedevano che se il nuovo sistema avesse finito per penalizzare i diritti regi, l’università avrebbe dovuto provvedere a ripagare i danni inflitti all’erario. Non si trattava, quindi, di approvare sistemi slegati dalla fiscalità regia, ma semplicemente di istituzionalizzare un nuovo profilo per la mediazione che le università esercitavano. Va però rimarcato che vi erano città rimproverate dal sovrano perché esigevano dazi non autorizzati40 e che il riconoscimento di sua maestà poteva essere strumentalizzato in una dialettica competitiva fra le università stesse, come accadde allorché i cittadini di Barletta, nel 1311, ricusando di sottoporsi ai dazi imposti a Canosa, asserirono che, a differenza dei capitoli barlettani, quelli dei rivali non avevano ricevuto alcun assenso da italiane e modelli monarchici (secoli XIII-XIV), Roma 2013, pp. 45-75. 37 Un elenco non esaustivo: Barletta (1297), Manfredonia e Ariano (1301), Isernia (1306), Andria, Canosa, Otranto (1307), Amalfi (1308), Lecce (1309), Cava (1312), Molfetta (1313), Lucera, Melfi (1314), Lavello, Miglionico, Gaudiano, Ruvo, Andria, Corato, Gragnano (1315), Sant’Andrea in Stagnis (1322), Gallipoli (1327), Monopoli (1335), Fiorentino, Troia (1338), Alessano (1339), Aversa (1340), Altamura (1342). Le notizie vengono da: R. CAGGESE, Roberto d’Angiò, cit., pp. 397-439; Repertorio delle pergamene della università e della città di Aversa dal luglio 1215 al 30 aprile 1549, Napoli, Tip. R. Rinaldi e G. Sellitto, 1881; R. BEVERE, I dacia della città di Ariano, in «Samnium», 13, 1-2, 1940, pp. 31-43; G. ABIGNENTE, Gli statuti inediti di Cava dei Tirreni, Roma, Loescher&C., 1886. Cfr. anche E. ROGADEO, Ordinamenti economici in Terra di Bari nel secolo XIV, Bitonto, Tip. N. Garofalo, 1900. 38 R. CAGGESE, Roberto d’Angiò, cit., pp. 421-439. Il valore dei termini dazi e gabelle come una sorta di iperonimo per forme di tassazione variegate è comune anche al contesto dell’Italia centro-settentrionale, cfr. M. GINATEMPO, Spunti comparativi sulle trasformazioni della fiscalità in età post-comunale, in P. MAINONI (a cura di), Politiche finanziarie e fiscali nell’Italia settentrionale, secoli XIII-XV, Milano, Unicopoli, 2001, pp. 125-220 (qui p. 128 nota 7). 39 Si veda, per l’epoca angioina, J.-P. BOYER, Le fisc d’après les juristes napolitains (fin XIIIe-début XIVe siècle), in S. MORELLI (a cura di), Périphéries financières angevines. Institutions et pratiques de l’administration de territoires composites (XIIIe-XVe siècle), Roma, École Française de Rome, 2018, disponibile all’URL: <http://books.openedition.org/efr/3540>; per quella aragonese, R. DELLE DONNE, Regis servitium nostra mercatura. Culture e linguaggi della fiscalità nella Napoli aragonese, in G. PETTI BALBI, G. VITOLO (a cura di), Linguaggi e pratiche del potere. Genova e il Regno di Napoli tra Medioevo ed età moderna, Salerno, Laveglia, 2007, pp. 91-150. Per una prospettiva più ampia sulle teorie giustificative dell’imposta nel medioevo: E. ISENMANN, Medieval and renaissance theories of state finance, in R. BONNEY (a cura di), Economic systems and state finance, Oxford, Clarendon Press, 1995, pp. 21-52; ma cfr. anche E. CORTESE, Intorno alla «causa impositionis» e a taluni aspetti privatistici delle finanze medievali, in I. BIROCCHI, U. PETRONIO (a cura di), Scritti, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 1999, vol. I, pp. 155-232; e L. PEZZOLO, Tassare e pagare le tasse tra medioevo e prima età moderna, in C. AZZARA, E. ORLANDO, M. POZZA, A. RIZZI (a cura di), Historiae. Scritti per Gherardo Ortalli, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2013, pp. 237-251. 40 R. CAGGESE, Roberto d’Angiò, cit., pp. 413-414 riporta i casi di Trani, Bari, Brindisi e Lanciano. L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su … 21 parte del re41. La costante presenza regia negli affari municipali, dunque, non equivale alla passività della società locale, né tanto meno all’assenza di impulsi e strategie basate proprio sulle ambivalenze del rapporto con la monarchia, sull’essere il potere sovrano fonte di legittimazione e garante di equilibri che contribuiva a consolidare. D’altro canto, non v’è dubbio che, grazie ai datia, l’università desse spessore alla sua fisionomia collettiva, alla sua proiezione giurisdizionale e alla sua capacità d’azione nel publicum. Sin dal testo dei capitula di Barletta, ad esempio, si prevedeva che quote degli introiti delle gabelle fossero riservate a spese per porto e mura42. Queste voci, anzi, divennero una costante nella contrattazione con la monarchia. Il 27 ottobre 1300 l’università otteneva da Roberto d’Angiò di stornare alcuni diritti dovuti alla corte e alcuni già nelle mani dell’università in favore dei lavori al porto, ma quell’assegnazione fu usata anche per scopi diversi: a vent’anni di distanza risulta che l’università finanziasse con essa la ristrutturazione di botteghe e magazzini. Invece di reprimere l’arbitrio, il re dispose che solo metà dei fondi fosse destinata a tale scopo, mentre l’altra doveva servire alla riparazione delle mura cittadine. Quando tutti questi lavori fossero terminati, il denaro andava impiegato per il porto e, si ammetteva, per altri bisogni dell’università. Lo stesso accadeva nel 1339, quando le entrate da destinare al porto venivano dirottate per la messa in sicurezza di case pericolanti nei pressi del fondaco cittadino43. Esisteva, dunque, un capitale del quale l’università si servì con apparente continuità nel corso degli anni e che la stessa corte si mostrava accondiscendente a rivolgere verso quegli usi, poiché in qualche modo supplivano a necessità d’intervento tramite altre risorse economiche. Appare ovvio che il principale confine tracciato dall’autorità regia fosse quello dell’adempienza fiscale; ma la realtà che i sovrani regolamentavano assomiglia a un terreno accidentato, punteggiato di crepacci, costoni e boschi che offrono possibilità di movimento al di là e al di qua dei termini suddetti e complicano, per contro, l’esercizio di un efficace controllo da parte della monarchia. È dirimente notare come le spese cui si è accennato avvenissero in un periodo durante il quale i barlettani non erano certo contribuenti virtuosi, come si dirà subito. È una prima pennellata di grigio da aggiungere al nostro quadro, offuscando il biancore ideale di una dimensione giuridica pervasa dalla presenza del sovrano. Dieci anni dopo l’approvazione dei dazi, l’entità dei residui fiscali induceva re Roberto a scrivere al capitano di Barletta perché convocasse l’università e i suoi daciarii e ingiungesse loro di conferirgli mese per mese i soldi destinati al pagamento della sovvenzione generale e dei doni. Il 6 giugno 1309 aveva luogo la prima sanatoria, in un ciclo indebitamento-condono che si ripete negli anni successivi44. Il problema non dipendeva soltanto da difficoltà oggettive o da una scarsa redditività dei dazi stessi. Il 14 maggio 1317 Roberto si doleva, in una lettera indirizzata ai baglivi, ai giudici e ai cittadini di Barletta, perché gran parte del denaro riscosso dalle gabelle era stato usato non per pagare le collette, ma gli stipendi di capitani, giudici, notai d’atti, medici e altri ufficiali, nonché per i bisogni dell’università. A questo si aggiungeva l’accertamento di enormi somme pendenti, ancora una volta: ben 1642 once 16 tarì e 9 grana. La volontà del sovrano era dunque che si desse priorità al pagamento 41 Il diploma da cui si desume la vicenda è dettagliatamente descritto in R. BATTI (a cura di), Repertorio delle pergamene della università o comune di Barletta (1234-1658), Napoli, Stab. Tip. Michele d’Auria, 1904, pp. 25-26. Peraltro risulta che, al contrario, i capitoli di Canosa fossero stati approvati nel 1307 (R. CAGGESE, Roberto d’Angiò, cit., p. 425). 42 R. FILANGIERI DI CANDIDA (a cura di), Pergamene di Barletta del Regio Archivio di Napoli (1075-1309), Trani, Tip. Vecchi, 1927, p. 282. 43 R. BATTI (a cura di), Repertorio, cit., pp. 20-22, 39-40 e 52-53. 44 Ivi, pp. 23-25. 22 Davide Morra delle tasse regie, anche se questo doveva significare bloccare gli stipendi degli ufficiali45. I richiami al senso delle gabelle dal punto di vista della corte sono ancora più espliciti in un diploma del 28 settembre 1329: i dazi erano stati stabiliti per provvedere alle collette e solo in second’ordine ad altri bisogni dell’università. Il sovrano minacciava la revoca della concessione se l’università non avesse pagato entro ottobre tutti i residui46. Si trattava di un’affermazione conforme alla logica di approvazione dei capitula, ma non pare che essa avesse seguito. Dieci anni dopo queste circostanze si ripetono: il 30 ottobre 1339 Roberto comunicava all’università di aver contattato il capitano e i mastri portolani per «il cumulo de residui dovuti da quella università, per non avere essa impiegato il prodotto de dazi interamente nel pagamento delle collette fiscali». Ancora una volta si sbandierava l’abolizione dei dazi come spauracchio se non si fosse riparato a queste negligenze47. Certo giocavano un ruolo i gruppi di potere locali. Nella citata lettera del settembre 1329 il sovrano si riferiva esplicitamente al fatto che solo pochi barlettani monopolizzavano i proventi dei dazi per il proprio utile privato, danneggiando gli altri cittadini. In quella del 1339 dichiarava di aver saputo che grosse somme restavano in potere degli appaltatori e dei sindaci. Di lì a poco, in relazione ad avvenimenti che impressionarono cronisti dentro e fuori il regno, Giovanni Pipino fu additato come il principale sedizioso che bisognava eliminare per raggiungere una pacificazione. Non è improbabile che il Pipino e i suoi alleati De Gattis fossero coinvolti nelle questioni di mala amministrazione, ma certo non doveva trattarsi di un’abitudine solo loro48. Il sovrano, in ogni caso, accolse le istanze che dopo l’uscita di scena del Pipino furono veicolate dall’università, accogliendo la richiesta dei sindaci perché annualmente fosse possibile eleggere sei persone che, senza emolumenti ma solo per amore della cosa pubblica, rassettassero gli affari cittadini e, in particolare, si occupassero della vendita dei dazi e di vigilare sulla destinazione dei proventi alle collette e alle altre spese autorizzate per il porto e le mura49. È chiaro che le possibilità di dispersione degli introiti erano connaturate al sistema amministrativo. Molto dipendeva dal clima in cui arrendatori e ufficiali operavano, dalla copertura che essi potevano trovare negli equilibri di potere locali, nel disordine e nella scarsa definizione di procedure e controlli. Se all’inizio non erano previsti, ben presto la monarchia si avvide della necessità di controlli sui dazi e la loro amministrazione. Il 23 agosto 1324 lettere regie furono inviate a varie città, fra cui Barletta, per segnalare che 45 Ivi, pp. 29-30. Ivi, pp. 48-49. 47 Ivi, pp. 53-54. 48 Per la vicenda del conte di Altamura cfr. R. CAGGESE, Giovanni Pipino conte d’Altamura, in Studi di storia napoletana in onore di Michelangelo Schipa, Napoli, I.T.E.A., 1926, pp. 141-165; G. CONIGLIO, Feudatari di Puglia in un diploma di Roberto principe di Taranto, in M. PAONE (a cura di), Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, Galatina, Congedo, 1972, vol. I, pp. 633-669. Il Nostro era nipote di un omonimo Giovanni Pipino, notaio di Barletta e iniziatore delle fortune familiari, che fra le altre cose, quando furono approvati i capitula sive dacia nel 1297, era stato indicato come uno dei cinque custodi dell’arca che conteneva i proventi delle gabelle, a ragione della sua dignità di maestro razionale della Gran Curia (R. FILANGIERI DI CANDIDA (a cura di), Pergamene di Barletta, cit., p. 281). Per quanto riguarda i Della Marra e le dissensioni barlettane, si guardi a A.M. DIVICCARO, I Della Marra: un profilo, in V. RIVERA MAGOS (a cura di), Una famiglia, una città, cit., pp. 91-105 e a V. RIVERA MAGOS, Della Marra e De Gattis. Poteri e conflitti a Barletta nel secolo XIII, in Ivi, pp. 110-122. 49 R. BATTI (a cura di), Repertorio, pp. 57-58, dove è regestato un diploma del 28 marzo 1342. Giovanni Pipino era stato imprigionato nella primavera del 1341, i suoi beni confiscati e divisi fra vari soggetti, compresi i Della Marra (R. CAGGESE, Giovanni Pipino, cit., pp. 154-155). 46 L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su … 23 gli appaltatori avrebbero dovuto dare conto annualmente presso i Maestri Razionali della Gran Curia50. Cionondimeno, la disposizione ebbe esiti quantomeno contrastati, se nel 1338 era ribadito un ordine simile51 e se nel 1339 Roberto d’Angiò ordinava che tutti i gabelloti, compratori di dazi e sindaci di Barletta fossero chiamati a discutere i propri conti presso il capitano e i portolani, per appurare le ragioni dei residui52. Qui, di fatto, si riconosce un durevole punto di frizione fra volontà d’intrusione della monarchia e consapevole renitenza delle comunità. L’instabilità dinastica tra la seconda metà del Tre e l’inizio del Quattrocento, oltretutto, non dovette semplificare il controllo ravvicinato, e anzi contribuì al consolidarsi della delega in materia alle università53. Di conseguenza, anche questa prassi divenne parte integrante delle dinamiche che orientavano le possibilità di redistribuzione dei profitti delle gabelle fra re, comunità e privati. L’età dei privilegi Il periodo che va grossomodo dai primi decenni del Quattrocento – con una fase di preparazione che copre il tardo XIV secolo ed è segnata dalle contese fra il ramo napoletano e quello durazzesco di casa d’Angiò – ai primi del Cinquecento potrebbe essere descritto come una lunga fase di transizione che conclude la cosiddetta Guerra dei Duecent’anni nel Mezzogiorno d’Italia e vede il regno di Napoli passare nella sfera d’influenza iberica sul Mediterraneo54. È un periodo che conosce a sua volta una serie di sotto-articolazioni: la progressiva crisi del potere angioino con i travagliati regni di Ladislao e Giovanna II, e i tentativi di Renato d’Angiò di contrapporsi ad Alfonso V d’Aragona (1386-1442); la conquista da parte di quest’ultimo e il primo inserimento del reame entro la consociazione di stati della Corona d’Aragona (1442-1458); il ritorno all’autocefalia durante il regno del figlio bastardo di Alfonso, Ferrante, apertosi con una 50 Ivi, pp. 407-408. Ibidem. 52 R. BATTI (a cura di), Repertorio, cit., pp. 53-54. L’ordine per Barletta era ripetuto ancora il 6 febbraio 1340 (Ivi, p. 54), stavolta comandando che la rendicontazione avvenisse presso il giustiziere di Terra di Bari. Un diverso metodo per esercitare una supervisione poteva essere quello di affiancare ufficiali all’operato degli amministratori locali, in grado di sorvegliarli e di mettere la corte in condizione di muovere le sue obiezioni e difendere i suoi interessi. Ad esempio, la spesa per la riparazione di edifici pericolanti nel fondaco della città, con fondi dirottati dalla cassa per il porto, fu sottoposta alla sorveglianza di due probi uomini di Barletta e dei portolani di Puglia, perché stimassero il costo dei salari per mastri muratori e carpentieri, e documentassero il tutto con appositi quaderni. Ma sorgevano anche qui problemi di cui rende chiara la misura F. SENATORE, Una città, il Regno, cit., pp. 288-297. 53 S. MORELLI, Pratiche di tradizione angioina nell’Italia meridionale: dal prelievo diretto alla tassazione negoziata (sec. XIV-XV), in T. PÉCOUT (a cura di), Les officiers et la chose publique dans les territoires angevins (XIIIe-XVe siècle): vers une culture politique?, Roma, École Française de Rome, 2020, disponibile all’URL: <https://books.openedition.org/efr/6662?lang=it>; S. PIZZUTO, Osservazioni sulla fiscalità diretta in età angioina: le forme del prelievo in Terra di Bari e Terra d’Otranto, in S. MORELLI (a cura di), Périphéries financières angevines. Institutions et pratiques de l’administration de territoires composites (XIIIe-XVe siècle), Roma, École Française de Rome, 2018, pp. 219-232. Cfr. anche D. MORRA, Il «libro affronte» del credenziere. Note sul controllo della contabilità municipale nel Regno di Napoli (XIII-XVI secolo), in «Rivista della Corte dei conti», 74, numero speciale 1, 2021, pp. 87-97. 54 D. ABULAFIA, I regni del Mediterraneo occidentale dal 1200 al 1500. La lotta per il dominio, RomaBari, Laterza, 1999; G. GALASSO, Storia del regno di Napoli, I, Il Mezzogiorno angioino e aragonese, 12661494, Torino, Utet, 2006. Cfr. anche A. SPAGNOLETTI, Il Regno di Napoli e la Puglia nel gioco delle grandi potenze tra XV e XVI secolo, in F. DELLE DONNE, V. RIVERA MAGOS (a cura di), La Disfida di Barletta. Storia, fortuna, rappresentazione, cit., pp. 15-31. 51 24 Davide Morra tormentosa Guerra di successione e segnato anche dalla successiva Congiura dei Baroni degli anni Ottanta (1458-1494); l’avvio delle Guerre d’Italia nel 1494, con la contesa franco-spagnola per il Mezzogiorno e l’aggregazione del regno al sistema imperiale spagnolo, dopo le vittorie militari del 1503 e il fallimento della spedizione del Lautrec nel 1528-29. Nel 1559, infine, la pace di Cateau Cambrésis avrebbe visto la rinuncia dei francesi ai diritti sul Mezzogiorno. Non stupisce che questo susseguirsi di eventi abbia suscitato rivolgimenti e assestamenti nell’equilibrio dei rapporti fra gli attori politici, sociali ed economici attivi nello scenario regnicolo. Non mancarono le opportunità per conquistare privilegi e risorse, per competere con rivali e vicini, per ritagliarsi margini di manovra all’interno dell’onnipresente quadro costituzionale monarchico. Tutto ciò ha lasciato una traccia tangibile nei corpora di privilegi, grazie e capitoli delle comunità urbane e rurali del regno, che proliferano infatti nel corso del XV secolo e tendono a divenire la base per la rivendicazione di una memoria privilegiata nei secoli successivi55. Attraverso di essi è ancora possibile una parziale ricostruzione degli assetti locali, plasmatisi tra impulsi delle comunità e interventi della Corona. Il primo fenomeno che colpisce l’attenzione è la pioggia di sgravi fiscali che questo tipo di documenti testimonia tra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento56. Se ne giova, naturalmente, anche Barletta. Ricordiamo che se a inizio XIV secolo la città versava 622 once annue al fisco, fra 1384 e 1442 esse scesero a circa 16057. L’intera sequenza dei privilegi che lo permisero può essere chiarificatrice: il 27 novembre 1384 risulta la concessione di uno sgravio di 200 once annue concesso da Carlo III sulla somma notata nei cedolari per la sovvenzione generale o colletta; il 4 gennaio 1413 re Ladislao riduceva da 422 a 250 once il carico; il 9 gennaio 1416 era poi Giovanna II ad accordare un’ulteriore diminuzione di 50 once; il 20 marzo di quell’anno viene chiarito all’erario e commissario di Terra di Bari che da Barletta deve riscuotere solo fino a quattro collette annue, non sei; la ragione di queste viene precisata il 20 dicembre, nella misura di 175 once ciascuna; il 15 novembre 1419 Giovanna II rimette altre 50 once, dopo aver constatato che lo spopolamento e la miseria impediscono ai barlettani di pagare anche solo un peso fiscale di 175 once per colletta; ancora, l’11 ottobre 1422 Giovanna giudica opportuno sgravare i barlettani di 10 once, rispetto a un carico che, secondo quanto si dice, è già ormai attestato su 110 once annue; e di nuovo, il 5 marzo 1423, sempre per conseguenza dei danni patiti per tenersi fedeli alla regina, i barlettani vengono beneficati di una riduzione di 50 delle 100 once dovute. Questa semplice elencazione conferma non solo l’andamento discendente del carico fiscale, ma il suo precipitare nel giro di dieci anni (dalle 422 once del 1413 alle 50 del 55 Cfr. in particolare F. SENATORE, Sistema documentario, archivi e identità cittadine nel Regno di Napoli durante l’antico regime, in «Archivi», 10, 1, 2015, pp. 33-74, ma anche: A. AIRÒ, L’inventario dell’archivio che non c’è più. I privilegi aragonesi come deposito della memoria documentaria dell’università di Taranto, in A. BARTOLI LANGELI, A. GIORGI, S. MOSCADELLI (a cura di), Archivi e comunità tra Medioevo ed Età moderna, Roma, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, 2009, pp. 521-558; B. SASSE TATEO, I "Libri Rossi" di Puglia: una prima indagine, in «Archivi per la storia», 6, 1993, p. 263-271; A. CARRINO, Quasi sint civitates. Società, poteri e rappresentazioni nella Puglia in età moderna, Canterano, Aracne, 2017, pp. 331-353. 56 Cfr. S. PIZZUTO, Osservazioni sulla fiscalità diretta, cit., e S. MORELLI, Pratiche di tradizione angioina, cit. Ho raccolto ulteriori dati a conferma della generalità e della cronologia del fenomeno nella mia tesi di dottorato. 57 Per i dati utilizzati si veda R. BATTI (a cura di), Repertorio, cit., p. 82, 97, 102, 103, 106, 116, 123-124, 125, 135, 138-139. Cfr. S. PIZZUTO, Osservazioni sulla fiscalità diretta, cit. L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su … 25 1423, quasi otto volte meno). Quando l’università comincia a trattare con Alfonso d’Aragona, la situazione segue almeno inizialmente la stessa linea di tendenza: il 18 settembre 1436 il Magnanimo rimette perpetuamente 100 ducati dai 400 cui, si dice, Barletta era tenuta per ogni colletta, ordinaria o straordinaria; il 14 dicembre 1442, poi, riscontrandosi nei cedolari angioini un’aliquota di 50 once, viene accordata un’esenzione di altre 10, con disposizione di aggiornare i cedolari stessi. Se si tiene fermo il limite di quattro collette annue accordato da Giovanna II, si potrebbe a questo punto stimare in un totale di 160 once annue (40x4), vale a dire 960 ducati, la quota massima di tassazione che Alfonso accettava di poter chiedere a Barletta. Questo trend dipende certo da crisi demografiche e danni di guerra, ma è abbastanza chiaro che dovettero influenzarlo anche le circostanze politiche. L’avvento di Alfonso d’Aragona corrisponde non per niente con una riforma fiscale il cui obiettivo precipuo era rinegoziare su scala generale i montanti della tassazione ordinaria, caduti a livelli bassissimi nei decenni precedenti e non commisurati alla dimensione demograficoeconomica degli insediamenti58. Nel caso di Barletta lo scarto si rivelò meno eclatante che altrove, ma comunque non è di pochissimo conto: nel 1447 la città fu numerata per 1152 fuochi59. Applicando l’aliquota di 1 ducato per fuoco, dunque, essa cominciò a essere tassata per quasi 200 ducati in più rispetto a quanto le contrattazioni sulle collette avevano reso possibile60. La difficile successione di Ferrante, poi, consentì ai barlettani di profittare della sua precaria posizione nell’estate del 1458. Del 4 agosto è un privilegio la cui arenga mette in risalto la clementia e la liberalitas che si addicono ai principi verso i sudditi, da tradursi in «gratias, exemptiones, privilegia et immunitates»61. A questa significativa scelta retorica seguono alcune concessioni per noi particolarmente interessanti, come la conferma di tutte le gabelle che l’università «tene et possede jure dominii vel quasi»; la possibilità di modificarle «secondo alla ditta università parerà et piacerà secondo li bisogni et necessità di essa università»; e l’assicurazione «che la ditta università non sia tenuta mostrare raione delle ditte gabelle ad nullo officiale che volesse vedere ditte raioni tanto dello passato quanto dello advenire», con riferimento oltretutto a un costume consolidato da tempo («secondo è stato solito per lo passato»). I barlettani ottennero anche l’assenso all’estrazione di 500 salme di cereali esenti da tratte ogni anno, con la vendita delle quali s’intendeva finanziare la manutenzione del porto. Inoltre, l’annullamento di una «nova imposizione» concessa da Alfonso «ad certi speciali del reame», consistente in 1 tornese su ogni tomolo di grano, orzo e altri legumi estratti dai porti regnicoli, «considerato alla ditta impositione resultare in detrimento alle raioni fiscali et alle tracte et anco alla università predicta». Quest’ultima, dunque, consolidava la sua libertà d’azione nel campo della fiscalità municipale e tendeva a sgombrare lo spazio cittadino da balzelli intestati ad altri soggetti62. È interessante anche notare che queste richieste furono presentate al re da quattro 58 M. DEL TREPPO, Il regno aragonese, in G. GALASSO, R. ROMEO (a cura di), Storia del Mezzogiorno, Roma, Edizioni del Sole, 1986, vol. IV, tomo I, pp. 89-201 (qui 110-116); E. SAKELLARIOU, Southern Italy, cit., pp. 97-101; E. SCARTON, F. SENATORE, Parlamenti generali a Napoli in età aragonese, Napoli, FedOA - Federico II University Press, 2018, pp. 131-144. 59 F. COZZETTO, Mezzogiorno e demografia, cit., p. 117. 60 Cfr. supra nota 56. 61 S. LOFFREDO, Storia della città di Barletta, cit., vol. II, pp. 472-481. 62 Ferma restando la convivenza con le dogane regie, che d’altronde erogavano anche decime per le chiese barlettane, e con alcuni altri cespiti posseduti da membri di casa Della Marra, come lo scannaggio e il passo di Canne (cfr. ASN, Regia Camera della Sommaria, Partium, 18, ff. 26v-27r; 19, f. 147r). 26 Davide Morra rappresentanti della città, due dei quali appartenevano alla famiglia Della Marra, Barnaba e Gabriele. Il primo, già signore di Capurso e altre terre, oltre che ufficiale regio e uomo d’arme al servizio di re Alfonso, durante la Guerra di successione fu uno dei punti di riferimento di Ferrante in Terra di Bari, militando in una squadra di armigeri barlettani e tranesi e ricoprendo anche il ruolo di governatore della stessa Barletta. L’influenza dei Della Marra in quegli anni raggiunse un’acme che spingeva l’oratore sforzesco Antonio da Trezzo, nel 1460, a dire: essi «manegiano quella terra come vogliono»63. Se poteva valere a promuovere le necessità della comunità, tuttavia, questo strapotere produceva anche degli eccessi. Un episodio emblematico è lo scontro aperto fra i Della Marra e il castellano regio di Barletta, che finì per portare all’arresto di Barnaba e di suo fratello Renzo nel 146464. Non era certo la fine del casato, anzi, ma questi avvenimenti segnano l’inizio di un periodo diverso e di interventi da parte del sovrano che sembrano favorire una maggiore pluralità e disciplina nella vita politica locale65. Alla metà degli anni Sessanta si apriva per il regno una fase di deciso rafforzamento del potere monarchico e di esercizio più pieno delle sue prerogative giurisdizionali66. Presero avvio alcune grandi operazioni di regolamentazione delle amministrazioni locali, anche nei loro aspetti fiscali67. A Barletta esse danno luogo agli ordinamenti del 1466 e poi alla loro riforma del 147368, introdotta in termini ideologicamente cristallini come volta a garantire «bono regimine, pace ac tranquillitate», rispondendo a recenti querele «de malo regimine, de nonnullis oppressionibus factis contra Rem publicam Universitatis dicte Terre et dissipatione introituum et publicorum bonorum». Una chiosa morale ulteriore, non a caso, appariva a introduzione delle misure per regolare l’appalto delle gabelle cittadine: «Avaritiae cecitas et damnatae ambitionis improbitas aliquorum animos occupantes cupientium privata commoda publicis utilitatibus preferri, diversis calliditatibus in rem publicam insurgebant». L’intento di questi interventi era scompaginare concrezioni di potere locale incistate nell’amministrazione dell’università ma facenti capo a famiglie e individui potenti che riorientavano abusivamente il funzionamento dei circuiti fiscali e patrimoniali locali a proprio vantaggio. Non mi 63 La citazione è tratta da A. RUSSO, I cives armigeri tranesi e barlettani. Esercito e Stato nel regno aragonese di Napoli (1442-1494), in S. CHIAFFARATA, V. RIVERA MAGOS, F. VIOLANTE (a cura di), Storie dalla città. Tra ricerca e valorizzazione: Barletta dalla tarda antichità all’età moderna, Barletta, Editrice Rotas, 2017, pp. 101-114 (qui 112). Sulla militanza fra gli armigeri regi, cfr. già F. STORTI, L’esercito napoletano nella seconda metà del Quattrocento, Salerno, Laveglia, 2007, pp. 101-105. 64 Cfr. A. RUSSO, I cives armigeri, cit.; F. STORTI, Il Regno, Barletta e la Puglia: appunti per una sociologia della guerra in età aragonese, in F. DELLE DONNE, V. RIVERA MAGOS (a cura di), La Disfida di Barletta. Storia, fortuna, rappresentazione, cit., pp. 33-47; e, più in generale, F. STORTI, I lancieri del re. Esercito e comunità cittadine nel Mezzogiorno aragonese, Battipaglia, Laveglia&Carlone, 2017. Ma anche A.M. DIVICCARO, I Della Marra: un profilo, cit. 65 Di questa nuova temperie sono un prodotto, per esempio, la denuncia degli abusi commessi da Gabriele Della Marra in qualità di maestro delle fiere barlettane, nel 1471 e la confisca di beni appartenuti a Barnaba. Cfr. ivi, p. 104. 66 Su Ferrante cfr. in particolare F. STORTI, «El buen marinero». Psicologia politica e ideologia monarchica al tempo di Ferdinando I d’Aragona re di Napoli, Roma, Viella, 2014. Ma a proposito della sua politica anche almeno: M. DEL TREPPO, Il regno aragonese, cit. ed E. SCARTON, F. SENATORE, Parlamenti generali, cit. 67 R. COLAPIETRA, Gli aspetti interni della crisi della monarchia aragonese, in «Archivio storico italiano», 119 (1961), pp. 163-199; D. MORRA, Il «libro affronte», cit.; P. TERENZI, The citizens and the king. Voting and electoral procedures in Southern Italian towns under the Aragonese, in S. FERENTE, L. KUNCEVIC, M. PATTENDEN (a cura di), Cultures of Voting in Pre-Modern Europe, London-New York, Routledge, 2018, pp. 257-273. 68 S. LOFFREDO, Storia della città di Barletta, cit., vol. II, pp. 363-381 e 381-414. L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su … 27 soffermerò sulla lettera di queste riforme, perché è più significativo esaminarle in maniera comparativa e perché mi preme maggiormente sottolineare un’altra questione, forse banale, ma meno scontata di quanto si pensi. Ancora nel Quattrocento inoltrato, numeratori regi contavano i fuochi delle comunità mentre altri ufficiali riscuotevano dai rappresentanti delle università le aliquote dovute. Nondimeno, la ripartizione del carico in seno alla comunità, le modalità della sua raccolta, l’elezione di apprezzatori e collettori che se ne occupassero, o la scelta degli appaltatori ai quali delegare la riscossione delle gabelle in cambio di anticipazioni e prestiti: di tutto questo si occupavano i consigli e le magistrature esecutive delle università. È molto importante fare presente che quest’ordine delle cose suscitava dei problemi e delle disfunzionalità di cui a corte si aveva piena coscienza, ma che risultavano inaffrontabili senza intraprendere una difficile riorganizzazione generale. Nella prima metà degli anni Ottanta un tentativo fu compiuto con la riforma delle nuove imposizioni, che aveva uno dei suoi aspetti fondamentali nella completa assunzione della gestione fiscale locale nelle mani della Corona. La riforma, però, fallì e l’esistenza di un certo spazio amministrativo locale affidato alle università si confermò un dato consolidato nel Cinquecento69. È difficile capire, senza dati quantitativi e in assenza pure di fonti qualitative adeguate a penetrare i misteri dell’amministrazione locale, quale fosse l’entità di questi spazi: quanto denaro vi circolasse, quanta parte dei proventi daziari fosse realmente consegnata agli ufficiali regi e quanta invece divenisse margine di profitto per i privati coinvolti nella sua gestione o per le comunità stesse. In questa sede, però, possiamo ricorrere ad alcuni materiali inediti per guardare meglio al caso di Barletta. Nel 1465 la città aveva ottenuto – come accadeva anche altrove – un’esenzione dodicennale dalla tassazione ordinaria. Non sappiamo per quanto tempo essa fu effettivamente vigente, ma s’intuisce che nei quindici-venti anni successivi dovette maturare a corte la coscienza che Barletta era fra le città regnicole capaci d’incassare con le gabelle somme molto superiori a quelle pagate al re per il focatico. In altri casi analoghi, la Corona cercò in quegli anni di riequilibrare la situazione concordando degli «excambi» con le università70. Abbiamo un indizio lampante del fatto che ciò avvenne anche a Barletta. In un quaderno contabile del percettore regio di Terra di Bari durante la II indizione 1483-84, la città risulta assente fra quelle che contribuiscono alla tassazione per fuochi e sali; tuttavia essa compare, sola, in una sezione speciale, consacrata all’«Introytus iuris iumelle terre Baroli»71. La giumella, come stiamo per vedere, era uno dei dazi più redditizi di Barletta e consisteva sostanzialmente in un’imposta sul transito 69 Sulle «nove impositioni» si vedano M. DEL TREPPO, Il regno aragonese, cit., pp. 122-127 ed E. SCARTON, F. SENATORE, Parlamenti generali, cit., pp. 174-198; sull’argomento si concentra con maggiore attenzione la mia tesi di dottorato, intitolata Fisco, società e potere nel Mezzogiorno tardomedievale. Esperimenti di ricerca storica tra fonti e linked open data, elaborata presso l’Università "Federico II" di Napoli sotto la supervisione di Roberto Delle Donne e Francesco Storti. Sul ruolo delle università nel Cinquecento cfr. A. BULGARELLI LUCKACS, L’imposta diretta nel Regno di Napoli in età moderna, Milano, Franco Angeli, 1993; G. MUTO, Istituzioni dell’universitas e ceti dirigenti locali, in G. GALASSO, R. ROMEO (a cura di), Storia del Mezzogiorno, Napoli, Edizioni del Sole, vol. IX, tomo 2, 1991, pp. 17-62; G. SABATINI, Il controllo fiscale sul territorio nel Mezzogiorno spagnolo e il caso delle province abruzzesi, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1997; A. SPAGNOLETTI, Potere amministrativo ed élite nelle "università" del regno di Napoli (sec. XVI-XVII), in J. BRAVO LOZANO (a cura di), Espacios de poder: corte, ciudades y villas (ss. XVI-XVIII), Madrid, Universidad Autonoma de Madrid, 2002, vol. I, pp. 69-78. 70 Con Taranto, ad esempio, il re aveva concordato nel 1474 la remissione delle funzioni fiscali in cambio della cessione delle saline e del dazio delle mercanzie. Cfr. R. ALAGGIO (a cura di), Le pergamene dell’Università di Taranto (1312-1652), Galatina, Congedo, 2004, pp. 173-178. 71 ASN, TP, 5383, ff. 27r-30v. 28 Davide Morra di grano, orzo, fave e altri legumi, applicata quando questi prodotti venivano condotti in città e stoccati momentaneamente in fosse, prima di essere contrattati per la vendita72. Si deduce che il re aveva rilasciato i barlettani dall’obbligo di pagare il focatico, ottenendo in cambio gli introiti di questo cespite. E lo scambio era certamente redditizio: nel 148384 la giumella rese ducati 2306 tarì 1 grani 191/2. Si consideri che in base ai fuochi Barletta avrebbe dovuto versare circa 1439 ducati73. Anche il confronto con le altre maggiori contribuenti della provincia e con quello che pagavano per sali e fuochi nel 1483-84 conferma la rilevanza degli introiti della giumella: il montante di Trani assomma a 1849.1.17 ducati, quello di Bitonto a 1466.1.5, quello di Altamura a 1369.2.91/2, quello di Monopoli a 1336, quello di Gravina a 1270.3.151/2, quello di Molfetta a 1086.4.974. La conferma che gli introiti dell’università erano molto superiori alle somme richieste dal re per la tassazione ordinaria viene da un’attestazione isolata di poco più tarda. Per il 1486-87 ci risulta che i proventi di tutte le gabelle di Barletta raggiungevano la bella somma di 794 once, cioè 4764 ducati, dovuti in misura di circa il 30% alla giumella75. Questo significa che, rispetto alle somme da pagare per il focatico, le gabelle fruttavano alla città più di 3000 ducati in eccesso. Per apprezzare meglio la straordinarietà del dato si tenga presente, per esempio, che una ricca commenda abbaziale come quella della SS. Trinità di Cava de’ Tirreni, con i suoi diritti signorili e i suoi patrimoni nella vallata metelliana, a Napoli, Salerno e in numerose altre località regnicole, forniva rendite intorno ai 2400 ducati76. Si consideri pure che il bilancio coevo per le gabelle di Trani ammontava a 3030 ducati, per un surplus rispetto al focatico di poco meno di 200077. Per i risicati dati a nostra disposizione (che non comprendono Bari e Taranto) le uniche università pugliesi con gabelle ricche grossomodo quanto quelle di Barletta sono Lecce (4548 ducati) e Matera (4212)78. Su questo piano, dunque, sarebbe possibile riconoscere uno dei motori fondamentali che sospingevano la ricerca di preminenza di Barletta entro la Terra di Bari e la difesa del 72 In F. CARABELLESE, La Puglia nel secolo XV da fonti inedite, Trani, V. Vecchi, 1901, pp. 229-326 sono pubblicati dei Capitula, statuta, ordinationes et stabilimenta di Barletta, fra i quali si trovano i capitoli della catapania e quelli delle gabelle (giumella, taverne, grassa, bucceria, bestie vive, nuova gabella, mulini e forni, frescaria). La fonte è un bel manoscritto oggi archiviato presso la Biblioteca Comunale "Sabino Loffredo" di Barletta, con la segnatura Apulia I 78, che contiene anche copia dei capitoli concessi alla città nel 1466, 1471 e 1473. Il Carabellese ne proponeva un’incerta datazione tra la fine del Quattro e l’inizio del Cinquecento, mentre sulla coperta è presente, insieme al titolo "Liber quartus capitulationum", la data 1476. Analisi recenti sembrano confermare l’ipotesi cronologica del Carabellese, cfr. V. CAMPANELLA, Il Liber quartus capitolationum della Biblioteca Comunale "Sabino Loffredo" di Barletta, in S. CHIAFFARATA, V. RIVERA MAGOS, F. VIOLANTE (a cura di), Storie dalla città, cit., pp. 71-82. 73 Questo dato è ricostruito guardando ai fuochi computati per il 1507 in ASN, TP, 5385, f. 2r, e applicando l’aliquota di 1 fuoco = 1 ducato. 74 ASN, TP, 5383, ff. 12r-17v. 75 La fonte che permette di tracciare questo bilancio è ASN, Regia Camera della Sommaria, Relevi, 242, ff. 91r-94v. Menzionata anche in P. D’ARCANGELO, I conti del principe. Rendita e contabilità feudale negli stati di Melfi e Ascoli (secoli XV-XVI), Bari, Edipuglia, 2019, p. 69, ma ancora mai analizzata, è una fonte preziosa e non priva di problemi, sui quali qui non mi dilungherò. Essa contiene i bilanci delle gabelle di 23 università pugliesi e ad essi sto dedicando un altro saggio, per un’analisi comparativa più approfondita della struttura degli introiti e del loro significato in rapporto alle trasformazioni della fiscalità municipale nel regno. 76 D. MORRA, Santissima Trinità di Cava de’ Tirreni, in F. DEL TREDICI (a cura di), La signoria rurale nell’Italia del tardo medioevo. Censimento e quadri regionali, Roma, Universitalia, in corso di pubblicazione. 77 ASN, Regia Camera della Sommaria, Relevi, 242, f. 93r. 78 Ivi, ff. 93r e 94r. L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su … 29 suo status. I dazi mettevano nelle mani dei suoi ceti dirigenti fondi superiori a quelli delle città vicine per curare gli interessi e accrescere l’onore della comunità. Purtroppo, la mancanza di veri bilanci e di dati contabili relativi alle spese dell’università impediscono di svolgere un’analisi più precisa delle ricadute di questa situazione. Gli unici indizi che possiamo sfruttare sono quelli che vengono da testi normativi, quale la riforma dell’ordinamento cittadino varata nel 1473 di concerto con il commissario regio Francesco de Arenis79. Alcuni dei capitoli fissati in quell’occasione vincolavano i cespiti locali a spese precise, stabilendo un ordine di priorità. Non a caso, i proventi delle gabelle più redditizie (giumella e taverne, insieme alla gabella della grassa, quella della bucceria e quella di forni e mulini) venivano destinati a soddisfare le tasse regie ordinarie e straordinarie. Altri diritti («gabella animalium ad bardam, gabella frescariae, gabella nova gabellarum, gabella animalium vivorum, gabella pannorum, gabella lignorum et gabella curruum») servivano ai salari di capitano, giudici e mastro d’atti. Ancora, la gabella del porto doveva essere deputata al pagamento dei medici, del maestro di scuola, del sindaco, del notaio dell’università, del percettore e delle elemosine. Le «gabellae scorciariae, sansariae, et quod superest ex provisionibus Officialium, et de omnibus Gabellis supradictis, et de venditione salis, et de omnibus aliis emolumentis et introitibus spectantibus et pertinentibus dictae Universitatis, et Gabellae delli sfossaturi», infine, si riservavano «in commodum et utilitatem dictae Universitatis» per la riparazione delle mura, per il pagamento dei debiti, per altre spese straordinarie «et supplemento aliarum Gabellarum supradictarum et Officiorum». Ad alcune ulteriori assegnazioni venivano vincolati direttamente gli ufficiali cittadini. Il gabelloto delle taverne doveva dare due once al percettore «pro orologio aptando». Il percettore, a sua volta, erogava tre tarì in elemosina a Sant’Eligio ogni anno e un’oncia al «magister aptanti orologium». Il gabelloto della grassa forniva al percettore altre quattro once vincolate come salario dei giurati. Un’elemosina per i poveri gravava la giumella, dai cui proventi dipendeva anche la fornitura di quattro torce di cera da quattro libbre l’una alla chiesa di S. Giovanni e di altre due alla chiesa del Santo Sepolcro. Dunque, l’università utilizzava i fondi per salariare ufficiali, garantire alcuni servizi (istruzione, sanità, elemosine) e mantenere infrastrutture quali le mura e il porto; ma anche, ed è interessante notarlo pur nell’impossibilità di approfondire la questione, per coprire il debito cittadino80. Sono tutte spese ordinarie (alle quali si aggiungevano le straordinarie) che trovano facilmente paragoni con quelle che potevano avere luogo in altre città regnicole ed extra-regnicole81. 79 S. LOFFREDO, Storia della città di Barletta, cit., vol. II, pp. 381-414. Doveva trattarsi di debito fluttuante, come a Capua, cfr. F. SENATORE, Una città, il regno, cit., vol. I, pp. 301-313. Dalle fonti statutarie barlettane emergono alcuni riferimenti tardi ai creditori dell’università: un debito di 1500 ducati con la corte veniva cassato da Carlo VIII il 2 aprile 1495 (S. LOFFREDO, Storia della città di Barletta, cit., vol. II, pp. 488-502), mentre il 31 ottobre 1496 Federico d’Aragona sosteneva la richiesta di una dilazione di 4 anni per i debiti contratti dall’università con mercanti forestieri, per un valore di 4000 ducati (G.I. CASSANDRO (a cura di), Le pergamene della Biblioteca Comunale di Barletta (11861507), Trani, Tip. Vecchi, 1938, pp. 104-116). Quest’ultimo riferimento è di notevole interesse. A Capua il debito pubblico della città non riguardava mercanti stranieri; l’attestazione, quindi, mostra una traccia dell’intreccio peculiare che doveva esistere a Barletta e nell’area pugliese fra gli interessi finanziari di comunità, cittadini e forestieri. 81 Si vedano le spese ricostruite per Capua in F. SENATORE, Una città, il regno, cit., vol. I, pp. 271-288, dai quali peraltro emerge che durante gli anni Sessanta e Settanta del XV secolo la principale voce di spesa, dopo il pagamento delle tasse regie (46%), era quella per i lavori pubblici (17%). Numerosi spunti sono sparsi anche fra le pagine dei contributi raccolti in G. VITOLO (a cura di), Città, spazi pubblici e servizi sociali, cit. Per spunti di comparazione in senso più ampio si rimanda a F. BOCCHI, Per antiche strade. 80 30 Davide Morra Qualche ultima osservazione, infine, si può trarre dagli eventi che interessarono il regno e Barletta agli inizi del Cinquecento, consentendo alla città di godere, per poco meno di un trentennio, di un profilo privilegiato straordinario. Ancora una volta, la congiuntura di crisi del potere monarchico è determinante. Con il crollo della dinastia aragonese e l’inizio della guerra franco-spagnola, nel corso dell’estate 1502 Barletta si ritrovò a essere il centro del conflitto. Il Gran Capitano Consalvo de Cordoba si asserragliò a presidiarla e dispose le sue truppe anche a Manfredonia, accerchiato dai francesi e sotto lo sguardo neutrale dei Veneziani, che controllavano Trani dal 1496. La presenza degli spagnoli si protrasse fino alla battaglia di Cerignola nell’aprile 1503, gravando i barlettani degli oneri che questo comportava, ma consentendo anche l’esaltazione memorialistica del ruolo avuto nella «gran vittoria», poi prontamente investita nella richiesta di privilegi82. Fu così che nel 1507 Barletta ottenne da Ferdinando il Cattolico l’esenzione perpetua dai pagamenti fiscali ordinari. Questo significava che i proventi delle gabelle potevano essere dedicati a «res utiles et necessarias dictae Terrae» e anzitutto, come previsto dalla stessa decretazione in calce alla richiesta, alla manutenzione delle mura e del porto83. Questa situazione favorevolissima dovette protrarsi fino al 1528. Ancora nel 1521, infatti, la riforma statutaria orchestrata dal commissario Jéronimo de Col teneva conto della disponibilità delle gabelle per finanziare lavori di ampliamento delle mura e per riservare fino a 1.000 ducati annui alla «fabrica del molo»84. Gli avvenimenti del ’28-’29, invece, quando la spedizione francese del Lautrec trovò a Barletta il sostegno di una fazione cittadina e finì per condurla al sacco e a una salata multa di 12.000 ducati, dopo la vittoria degli spagnoli, dovettero provocare l’archiviazione di quel privilegio e l’esposizione di Barletta alle vicende del progressivo aggravio delle finanze municipali regnicole per via della forte pressione fiscale esercitata dalla monarchia85. Conclusioni «Decadimento»: così Sabino Loffredo, nel 1893, sceglieva d’intitolare la terza parte Caratteri e aspetti delle città medievali, Roma, Viella, 2013, in particolare pp. 139-274. 82 Cfr. V. RIVERA MAGOS, Belisario de Galiberto e la gran vittoria. La memoria della guerra a Barletta nella prima metà del Cinquecento, in F. DELLE DONNE, G. PERRINO, V. RIVERA MAGOS (a cura di), Sulle tracce della Disfida, cit., pp. 51-105. V. VITALE, Trani dagli Angioini agli Spagnoli, cit., pp. 379-386. 83 S. LOFFREDO, Storia della città di Barletta, cit., p. 513. 84 Ivi, pp. 454-455. La validità dell’esenzione è confermata da alcuni registri fiscali: il conto del percettore di Terra di Bari durante la X indizione (1506-7) attribuisce a Barletta un carico di 1309 ducati, ma la somma non viene riscossa «per causa che dicta terra è francha de pagamenti fiscali in perpetuo per virtù del regio privilegio del Catholico Re nostro signore». La Sommaria si contenta di ordinare vagamente che si sorvegli l’utilizzo del denaro riscosso dall’università e che sia conforme al tenore del privilegio (ASN, TP, 5385, f. 2r). Il registro per la XIII indizione (1510-11) testimonia un versamento di 377 ducati e spiccioli da parte dell’università, che era tassata per 2276.4.18 ducati; la somma era lasciata inesatta poiché «ey immune» (ASN, TP, 5386, f. 2v). È da notare che tanto nel primo caso quanto nel secondo caso l’esenzione dell’università non viene rispettata per quanto riguarda il donativo (ca. 785 ducati, cfr. ASN, TP, 5385, f. 36v) e il maritaggio (ca. 569 ducati, cfr. ASN, TP, 5386, f. 52v). A maggior ragione, la mancanza di apodisse relative alla tassa ordinaria dovuta da Barletta in un ulteriore quaderno del 1521, nel quale compaiono invece i pagamenti delle altre università della provincia e anche un versamento della stessa Barletta per la rata agostana del donativo, pare ribadire il persistere dell’immunità a quella data (ASN, TP, 5387, le carte non sono numerate). I successivi conti disponibili, per il 1540 e il 1564, attestano invece l’avvenuta cessazione del privilegio (ASN, TP, 5389, f. 18r e ASN, TP, 5397, f. 76r). 85 Sugli eventi del 1528-29 cfr. V. VITALE, L’impresa di Puglia degli anni 1528-1529, in «Nuovo Archivio veneto», 7, 13, p. 2, 1907, pp. 5-68. L’onore e le gabelle di Barletta. Spunti su … 31 della sua Storia della città di Barletta, quella che cominciava con il Cinquecento. Anche altri lavori dell’erudizione locale pugliese (e non solo) dell’Otto e Novecento considerano il medioevo e specialmente l’epoca aragonese come un’età dell’oro, seguita dalla decadenza dovuta alla dominazione spagnola86. Sono interpretazioni a spanne, assecondando le quali si rischia di ripercorrere sterilmente i sentieri già battuti da una storiografia alla ricerca di spiegazioni alla "modernizzazione mancata" del Mezzogiorno87. Oltretutto, esse si accompagnano a forzature insoddisfacenti. Si ripensi alla convinzione di Loffredo che Barletta, dopo il sacco di Bari nel 1156, fosse divenuta caput regionis della Terra di Bari, mantenendo tale posizione fino al Cinquecento inoltrato88. Abbiamo già visto in apertura che la realtà era ben più mossa e complessa. Non c’è dubbio che la città ebbe in quel periodo una posizione di sicura rilevanza, per il suo porto, il suo profilo demografico, il peso che le sue élites furono in grado di giocare nelle vicende pugliesi. Dalla fine del XII secolo i barlettani riuscirono a sfruttare la condizione demaniale e il favore regio per proiettare i propri interessi sul territorio ofantino e verso il mare Adriatico. La ricchezza delle gabelle locali rifletteva il successo di questo percorso e offriva opportunità per rilanciarlo. Eppure, Barletta non divenne mai il grande polo cittadino della Terra di Bari, né tantomeno l’incontrastato caput regionis. Perché? Mi sembra che una parte fondamentale della risposta stia proprio nelle evoluzioni e nelle costanti della negoziazione con la Corona in materia di fisionomia fiscale della comunità; in altre parole, nella definizione dei suoi privilegi e dei suoi obblighi. Qui non è possibile allargare il discorso come si dovrebbe, ma va rimarcato che il forte legame fra contrattazioni e congiuntura, insieme all’intensa competizione fra le comunità, sempre pronte a rivendicare per sé i medesimi privilegi concessi alle vicine, producono in queste dialettiche scansioni di massima comuni, che sono poi quelle della storia del Regnum e delle sue province. Le fiscalità municipali regnicole si sviluppano sostanzialmente in risposta alla crescita della fiscalità regia, al suo interno ma talora in concorrenza con alcune sue componenti. Tra la fine del Tre e il Quattrocento inoltrato la situazione vede prima un abbassamento generalizzato dei carichi ordinari e poi, dagli anni Quaranta, un recupero graduale, da parte della monarchia, attraverso un carezzevole assolutismo che si spinse sino a insidiare le stesse gabelle municipali (intendendole come costola distaccatasi dal fisco regio), ma che fu frenato tanto dalla gelosa difesa di identità privilegiate quanto dal susseguirsi di crisi interne ed esterne. Il fallimento della riforma del 1481-85 e poi soprattutto l’instabilità di fine secolo aprirono nuove occasioni, e una città come Barletta, complici le circostanze, poté così approdare al momento forse più positivo nella storia dei suoi assetti fiscali. Nei medesimi anni, Trani attraversava una fase di crollo demografico, legato agli eventi dell’incerto dominio veneziano (1496-1509) e del ritorno nelle mani della Corona, che parve poi sensibile più a destinare i proventi locali verso la fortificazione costiera contro l’eventualità di attacchi turchi che non a impiegare fondi nella risistemazione del porto, a quanto pare impraticabile o quasi89. La notevole fisionomia fiscale di Barletta le garantì 86 Cfr. A. SPAGNOLETTI, La storiografia urbana in Terra di Bari, in G. GALASSO (a cura di), Le città del Regno di Napoli nell’età moderna. Studi storici dal 1980 al 2010, Napoli, Editoriale Scientifica, 2011, pp. 291-337; M. DEL TREPPO, Realtà, mito e memoria di Napoli aragonese, in I. ZILLI (a cura di), Fra spazio e tempo. Studi in onore di Luigi De Rosa, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, vol. I, pp. 361-382. 87 Quella che Biagio Salvemini chiama «la nobile arte di cercare le peculiarità del Mezzogiorno». Cfr. ID., Sulla nobile arte di cercare le peculiarità del Mezzogiorno, in «Società e storia», 68, 1995, pp. 353-372. 88 F. VIOLANTE, Territorio e identità cittadina, cit. 89 V. VITALE, Trani dagli Angioini agli Spagnoli, cit., pp. 311-467; R. COLAPIETRA, Profilo storico- 32 Davide Morra probabilmente un vantaggio competitivo. Essa, mentre il porto di Trani s’interrava, manuteneva il suo grazie ai cospicui fondi che l’esenzione perpetua dalla tassa generale le consentiva di dirottare in quel senso. È molto probabile che ciò influì sulla persistente spinta alla crescita demografico-economica della città e del suo porto nel XVI secolo, portandola a divenire, con Manfredonia, lo scalo di riferimento per il traffico di cereali, nonché uno dei principali mercati per le merci provenienti da Ragusa90. Nel frattempo, è rilevante notare che altri centri provinciali superavano la soglia dei mille fuochi più o meno largamente entro il primo decennio del nuovo secolo: Altamura, Bari, Bitonto, Gravina, Monopoli. La sommità della gerarchia demografica di Terra di Bari andava facendosi più affollata e stretta che nel Quattrocento, accogliendo peraltro non più soltanto città costiere91. Le vicende del 1528-29 e la successiva stabilizzazione del governo spagnolo nel regno favorirono poi una stretta sui privilegi barlettani e inaugurarono il progressivo aumento della pressione fiscale regia, che verso gli ultimi decenni del XVI secolo avrebbe condotto alla crisi generalizzata delle finanze municipali regnicole92. Inoltre, nonostante il declino che colpì proprio Trani in quegli anni, nel secondo Cinquecento essa fu designata come sede dell’Udienza provinciale, ancora una volta all’insegna di una logica di distribuzione delle funzioni e delle prerogative93. In conclusione, sembra esistere nel Quattro e persistere nel Cinquecento una volontà livellatrice, da parte della Corona, che combinata ai risvolti della frammentazione giurisdizionale ed ecclesiastica del territorio meridionale produsse arcipelaghi di polarità amministrative, economiche, religiose e politiche, tali da contenere le ambizioni di preminenza dei centri maggiori entro livelli tutto sommato omogenei, almeno in Terra di Bari94. Il XVI secolo, anzi, dovette favorire ulteriormente questa tendenza, per via di una serie di fattori interconnessi e noti: la trasformazione della Puglia in frontiera militare, la politica economica della monarchia orientata all’annona interna e in particolare napoletana, la rafforzata "ruralizzazione" delle attività locali, l’aristocratizzazione delle élites95. Siamo ben oltre i limiti di questo contributo, che voleva semplicemente dare un assaggio del complesso intreccio esistente fra le dinamiche di concertazione monarchiauniversità sulla fiscalità municipale e il definirsi di gerarchie e fisionomie urbane nel Mezzogiorno tardomedievale. urbanistico, cit., pp. 33-35. 90 G. FENICIA, Politica economica e realtà mercantile nel regno di Napoli nella prima metà del XVI secolo (1503-1556), Bari, Cacucci, 1996. 91 Bitonto e Altamura già nel 1507, rispettivamente con 1177 e 1000 fuochi (ASN, TP, 5385, ff. 5v e 15r); nel 1510 anche Bari con 1274, Gravina con 1395, Monopoli con 1136 (ASN, TP, 5386, ff. 4r, 13r, 16r). Cfr. i dati di Barletta alla nota 18. 92 Cfr. almeno A. BULGARELLI LUKACS, La finanza locale sotto tutela, Venezia, Marsilio, 2012; G. MUTO, Le finanze pubbliche napoletane tra riforme e restaurazione (1520-1634), Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1980; G. SABATINI, Hacienda real y poderes locales: los intentos de reformar las finanzas municipales del reino de Nápoles en los siglos XVI y XVII, in «Studia Historica. Historia Moderna», 27, 2005, pp. 223-239. 93 S. LOFFREDO, Storia della città di Barletta, cit., vol. II, pp. 134-138. 94 Sulla frammentazione giurisdizionale, si veda G. VALLONE, Istituzioni feudali dell’Italia meridionale tra Medioevo ed antico regime. L’area salentina, Roma, Viella, 1999, pp. 179-234; su quella ecclesiastica C.D. FONSECA, Le istituzioni ecclesiastiche del Basso Medioevo nell’Italia meridionale, in ID., Particolarismo istituzionale e organizzazione ecclesiastica del Mezzogiorno medievale, Galatina, Congedo, 1987, pp. 147170 e G. VITOLO, Vescovi e diocesi, in G. GALASSO, R. ROMEO (a cura di), Storia del Mezzogiorno, Napoli, Edizioni del Sole, 1990, vol. III, pp. 74-151. 95 Cfr. i testi citati alla nota 8 e G. FENICIA, Politica economica, cit.