@PONTIFEX: la comunicazione di Papa Francesco
Christian Guzzardi
Introduzione
L’elezione di Jorge Mario Bergoglio come nuovo Pontefice della Chiesa di Roma rappresenta
probabilmente l’evento più importante dell’anno che sta per concludersi. Ciò è vero per diverse ragioni:
innanzitutto perché è stata determinata dalla storica rinuncia di Benedetto XIV e in secondo luogo perché ha
dato avvio a quello che sembra configurarsi come un Papato assolutamente inedito. A confermare
l’eccezionalità dell’elezione di Bergoglio non è solo la manifesta curiosità e il crescente entusiasmo che essa
ha generato ma è soprattutto il fatto che il Papa argentino – a soli nove mesi dalla sua elezione – sia già
diventato una figura iconica del nostro tempo, tanto da essere stato insignito della copertina di Time
Magazine come l’uomo dell’anno.
Obiettivo di questo saggio tuttavia non è quello di addentrarsi nel significato teologico del Papato di
Bergoglio; al contrario ci si soffermerà, quasi esclusivamente, sull’analisi del suo stile comunicativo. Già a
partire dalla sua prima apparizione, la sera del 13 Marzo 2013, Papa Francesco si è presentato al mondo
come un abilissimo comunicatore. I suoi gesti accuratamente semplici hanno infatti attirato immediatamente
l’attenzione dei fedeli e dei media di tutto il pianeta. Si cercherà dunque di individuare le caratteristiche
fondamentali dello stile comunicativo di Papa Francesco; uno stile radicale e raffinato che ne sta attestando il
gradimento e la popolarità.
Il pretesto per dare avvio a questo saggio è l’analisi dei primi discorsi pubblici di Bergoglio. Essi
costituiscono infatti la vera sintesi dello stile del Pontefice ed è a partire da questi che si possono ripercorrere
le tappe di una strategia comunicativa senza precedenti. Verranno analizzate dunque sia le forme puramente
verbali dei discorsi del Papa sia alcuni aspetti pragmatici della sua comunicazione. Un’attenzione particolare
sarà riservata agli elementi non verbali come la gestualità, la prossemica e la cinesica che rappresentano
probabilmente la vera chiave del successo di Bergoglio. Seguiranno poi un necessario – quanto breve –
confronto con i suoi due ultimi predecessori e un’analisi del modo in cui i media hanno raccontato e
commentato l’elezione e i primi mesi di pontificato di Papa Francesco.
L’effetto Francesco
Una ricerca condotta dal CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni) pubblicata il 15 Aprile 2013, ha
mostrato come in Italia – solo dopo un mese dall’inizio del pontificato – si fosse verificato un
riavvicinamento considerevole dei fedeli nei confronti della Chiesa e delle istituzioni religiose. Tale
riavvicinamento sarebbe stato dimostrato non solo dal “ripopolamento” delle parrocchie ma anche da un
esponenziale incremento del numero delle confessioni. La ricerca del CESNUR, che oggi può risultare datata
ma che restituisce perfettamente il clima immediatamente successivo all’elezione di Bergoglio, rappresenta
uno dei primi esiti di quello che è stato definito come effetto Francesco. Con tale definizione ci si riferisce a
tutte quelle pratiche con le quali il mondo cattolico (e non solo) ha reagito all’elezione del Papa argentino.
A quasi 9 mesi dall’ascesa di Bergoglio al soglio pontificio, l’effetto Francesco continua ad essere
testimoniato sia dalla copiosa partecipazione di fedeli e curiosi alle uscite pubbliche del Papa, sia dal
costante interesse dei media per le sue apparizioni pubbliche. Basta ricordare, ad esempio, come in occasione
di ogni Angelus Piazza San Pietro continui ad accogliere migliaia di persone.
Alla luce di quanto detto appare dunque legittimo interrogarsi su quali siano le motivazioni che stanno
alla base di un interesse tanto grande quanto durevole. È proprio Time Magazine a fornire un primo spunto di
riflessione su questo argomento; secondo il settimanale statunitense, infatti, «quel che rende questo Papa così
importante è la velocità con cui ha catturato l’immaginazione di milioni che avevano perso la speranza nella
Chiesa».
Un elemento particolarmente significativo è costituito inoltre dall’attenzione che il mondo laico sta
riservando al Pontefice. Si pensi soprattutto alla conversazione, emblematicamente inaugurata dal quotidiano
La Repubblica, tra Eugenio Scalfari e Papa Francesco.
Sono dunque queste le motivazioni che lasciano pensare al fatto che l’effetto Francesco sia qualcosa
capace di andare ben oltre la semplice curiosità originata dall’elezione di un nuovo Pontefice. Uno scenario
come questo, infatti, smentisce almeno parzialmente la tesi secondo cui questo fenomeno sia solo una
conseguenza della storica rinuncia di Benedetto XVI. Al contrario, la duratura attenzione mostrata dai media
e i continui bagni di folla danno prova del fatto che – nonostante il gesto di Joseph Ratzinger abbia avuto il
merito di riaccendere i riflettori sulla Chiesa – la popolarità di Papa Francesco non sia soltanto figlia delle
circostanze che lo hanno portato all’elezione.
A colpire gli osservatori è infatti la figura di un Pontefice tanto inedito quanto rassicurante, capace come
riporta ancora una volta Time Magazine di fare «un uso da maestro degli strumenti del ventunesimo secolo
nel suo mandato del Primo secolo». Bergoglio è infatti un Papa che parla, si muove e si comporta come
nessuno aveva mai fatto prima ma che, allo stesso tempo, ricorda alcuni suoi amatissimi predecessori
(Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II in primis). Già dalle sue prime apparizioni Papa Francesco è ricorso,
infatti, ad un modello comunicativo capace di andare oltre le parole. Un modo di comunicare accompagnato
da azioni semplici ma altamente simboliche.
A rendere ancor più efficace la comunicazione di Papa Francesco si aggiunge inoltre un’avvincente
biografia. Bergoglio infatti è (e come tale verrà ricordato) il primo Papa latinoamericano, il primo Papa
gesuita e il primo a volersi chiamare Francesco.
Chi è Francesco
Per comprendere meglio lo stile comunicativo di Papa Francesco occorre necessariamente guardare alla
storia personale di Jorge Mario Bergoglio. Nato il 17 dicembre 1936 a Buenos Aires, Jorge è il primo di
cinque figli di una famiglia di origine italiana. Dopo aver conseguito il diploma di perito chimico, a 22 anni,
entra nella Compagnia di Gesù. Nel 1969 viene ordinato sacerdote. Laureatosi in filosofia inizia ben presto la
carriera da insegnante. Nel corso degli anni ottiene poi importanti posizioni nell’ordine gesuita, nel clero
argentino e parallelamente in diverse Congregazioni della Curia romana. Viene nominato arcivescovo di
Buenos Aires nel 1998 e poi cardinale da Giovanni Paolo II nel 2001. Il suo lungo ministero episcopale si è
caratterizzato per una grande attenzione ai temi sociali e per una costante presenza nelle periferie più
degradate della sua città, sempre al fianco degli ultimi.
A partire dalla biografia di Jorge Mario Bergoglio è dunque possibile comprendere l’origine di alcune
scelte compiute una volta divenuto Papa. È già la sola appartenenza all’ordine dei gesuiti a farne un efficace
comunicatore. La compagnia di Gesù, infatti, è storicamente impegnata in una missione di evangelizzazione
che ha portato, sin dalle origini, i suoi membri a diffondere il cattolicesimo in tutto il Mondo. Sono inoltre
prerogative dell’ordine: l’esperienza nel campo dell’educazione (e dell’insegnamento) e la predilezione per
l’assistenza ai bisognosi. Da non sottovalutare è anche la particolare attenzione per gli strumenti di
comunicazione e per le nuove tecnologie. Già dal ’700 infatti la Compagnia di Gesù ha sfruttato dispositivi
tecnologici (lanterna magica, camera obscura, etc.) al fine di impressionare e suggestionare i fedeli.
Oggigiorno, più banalmente, i gesuiti sono molto presenti sul web e sui social network. Non a caso anche
Bergoglio, oltre al profilo ufficiale su Twitter (@pontifex) inaugurato da Benedetto XVI, possiede un
account su Facebook, molto utilizzato soprattutto durante gli anni in cui era cardinale. Dunque, nonostante
Bergoglio rispecchi perfettamente il prototipo del gesuita, è possibile affermare che a caratterizzare la sua
comunicazione non sia soltanto un’evidente e ricercata efficacia. Ciò che spicca maggiormente è semmai una
consapevole semplicità. La stessa che gli è stata funzionale, durante la lunga attività pastorale, per
confrontarsi con i poveri della sua città. Terzo ma non ultimo aspetto è rappresentato dalle origini argentine
di Bergoglio; il fatto di provenire dal continente cattolico per eccellenza, infatti, ne fa il simbolo vivente
della rinascita della Chiesa e di tutte le Chiese lontane da Roma.
A fornire delle indicazioni precise su chi sia davvero Jorge Mario Bergoglio è l’intervista pubblicata il 19
Settembre 2013 da La Civiltà Cattolica. In una lunga conversazione con Antonio Spadaro è lo stesso
Pontefice a fornire alcune indicazioni preziose sulla sua biografia e sul modo in cui questa influisca sul suo
stile comunicativo. All’esplicita domanda «Chi è Jorge Mario Bergoglio?», il Pontefice risponde definendosi
«un peccatore». Si tratta, senza dubbio, di una risposta spiazzante e volutamente provocatoria se pronunciata
da un Papa. Allo stesso tempo però questa appare come una scelta coerente e in perfetta linea di continuità
con la volontà di chiamarsi Francesco. Bergoglio infatti pare muoversi fin da subito su un territorio
dicotomico. È questa una collocazione che gli consente di associare significati opposti entro un unico
significante. Bergoglio dunque può essere Papa e Francesco, può essere Papa e peccatore, può essere – come
afferma nelle pagine de La Civiltà Cattolica – «furbo» ed «ingenuo». Nel corso dell’intervista, Antonio
Spadaro chiede poi quale siano le motivazioni che hanno spinto Bergoglio ad entrare nella compagnia di
Gesù. Le risposte arrivano puntuali e dimostrano come il fatto di essere un gesuita sia una delle chiavi
fondamentali per interpretarne la linea politico-programmatica del suo Papato e di conseguenza il modello
comunicativo applicato. Dice Bergoglio: «Della Compagnia mi hanno colpito tre cose: la missionarietà, la
comunità e la disciplina. Curioso questo, perché io sono un indisciplinato nato, nato, nato». Anche questa
risposta diventa emblematica dal momento in cui mette in evidenza alcuni aspetti tipici del Papato, che come
vedremo è certamente un Papato missionario, e della comunicazione verbale di Bergoglio spesso
accompagnata dallo strumento retorico della ripetizione (nato, nato, nato). Sono queste due caratteristiche
che ben si sposano in quanto l’una è funzionale all’altra.
Come comunica Francesco
Quello di Papa Francesco è dunque uno stile comunicativo profondamente innovativo e tipicamente postmoderno. Ciò è riconducibile ad almeno due caratteristiche fondamentali: l’essenzialità e la discontinuità con
la recente tradizione. Ad oggi, infatti, ogni aspetto del suo pontificato può essere interpretato secondo queste
due prospettive. Prima di Bergoglio nessuno si era chiamato Francesco. Prima di Bergoglio nessun Papa si
era mai presentato alla Loggia Vaticana privo dei paramenti di rito. Prima di Bergoglio nessun Papa si era
mai definito un peccatore. Sono questi alcuni gesti che, per quanto simbolici, sintetizzano la cifra espressiva
di Papa Francesco e che costituiscono una vera e propria linea programmatica del suo Papato.
Prima di analizzarne le parole e i gesti, al fine di verificare se le caratteristiche sopra citate costituiscano
realmente i tratti distintivi della sua comunicazione, occorre però fare una breve riflessione sulla questione
del genere discorsivo. I discorsi del Papa, infatti, non sono facilmente categorizzabili per almeno due ragioni.
Innanzitutto perché non possono essere ridotti a discorsi di carattere esclusivamente religioso. Inoltre
bisogna precisare che anche la comunicazione papale si caratterizza per delle varietà diafasiche determinate
dal contesto e dalle finalità. I discorsi del Papa, infatti, possono essere altamente formali (si pensi alla
cerimonia di insediamento, all’incontro con i capi di stato o con le altre istituzioni religiose, all’incontro con
i cardinali, etc.) o relativamente formali (udienze generali, Angelus, incontro con i giornalisti, etc.).
Si tratta in ogni caso di discorsi pubblici in cui a variare è il destinatario principale. Se, per esempio, in
occasione dell’Angelus domenicale il destinatario privilegiato è il popolo dei fedeli, al contrario un discorso
pubblico ai cardinali avrà come interlocutori primari non solo i cardinali stessi ma anche tutti “gli addetti ai
lavori”.
Difficilmente il Papa pronuncia discorsi informali, è la sua stessa carica ad impedirglielo. Basta ricordare
che secondo il protocollo ecclesiale il Papa rappresenta il vicario di Cristo sulla terra. Ciò non esclude
tuttavia che alcuni pontefici – come Giovanni Paolo II ma anche come Francesco – possano ricorrere talvolta
a battute o a incisi che contribuiscono ad abbassare il livello di formalità del discorso pubblico.
Ricorrendo alle categorie tipiche della politica – ma del resto anche il Pontefice è un politico in quanto
capo dello Stato Vaticano – potremmo dire che i discorsi del Papa costituiscono una forma ibrida di discorso
istituzionale. Essi infatti condividono col genere politico-istituzionale la valenza simbolico-rituale e il
richiamo ai valori fondanti.
Quella del Papa tuttavia è una strategia discorsiva che ha anche altri obiettivi; da un lato è tesa a fornire i
fedeli di chiavi interpretative in merito a fatti e avvenimenti, dall’altro compie un vero e proprio sforzo di
evangelizzazione riservato soprattutto ai non credenti. Appare dunque evidente che si tratta di discorsi
carichi di finalità persuasive.
Necessita un’analisi a sé stante invece la varietà linguistica utilizzata dal Papa. Si tratta di una lingua che
sta a metà tra un livello specialistico, caratterizzato da un’importante nomenclatura di derivazione latina, e
uno settoriale, contrassegnato invece dal prelievo e dalla risemantizzazione di alcuni termini appartenenti al
lessico comune.
In entrambi i casi, quella del Papa è comunque una lingua che possiede un nucleo di base specifico che
determina la sua riconoscibilità. Molto dipende inoltre dalle caratteristiche personali di un Pontefice.
Un breve confronto tra Francesco e Benedetto XVI mostra, ad esempio, come tra i due esistano delle
differenze sostanziali. Nonostante entrambi siano parlanti non italofoni, i due pontefici hanno una variante
romanza di riferimento diversa. Ratzinger è un parlante nativo germanico che probabilmente, nonostante una
consolidata conoscenza dell’italiano dovuta al fatto che ha speso buona parte della sua vita a Città del
Vaticano, tende a prendere la lingua latina come modello di riferimento. Bergoglio, invece, è un parlante
nativo ispanico; ciò certamente gli consente di avere una maggiore padronanza dell’italiano e di operare
consapevolmente delle scelte di registro adeguate ad ogni occasione. Non bisogna sottovalutare inoltre i
retaggi professionali; mentre Ratzinger è stato un raffinato teologo, Bergoglio, al contrario, è stato
soprattutto un Vescovo.
I discorsi e i gesti di Papa Francesco
Uno studio sulla comunicazione di Papa Francesco non può prescindere dall’analisi della strategia
comunicativa da lui adottata. Ogni parola e ogni gesto, a partire dall’ormai celeberrimo Buonasera, fino al
recente invito ad assumere la Misericordina, vanno interpretati come i tasselli fondamentali di un modello
che ha come fine ultimo quello del superamento della distanza tra l’emittente-Chiesa e il destinatario-Popolo.
Proprio perché ogni discorso è intriso della logica del riavvicinamento sarà necessario soffermarsi sugli
aspetti retorici, sulla prossemica e sulle forme di comunicazione non verbale, ovvero su tutti quegli aspetti
che annullano la fugacità della parola orale rendendola memorabile.
Nell’arco dei nove mesi di pontificato Papa Francesco ha ormai pronunciato moltissimi discorsi tuttavia
gli aspetti maggiormente significativi della sua comunicazione possono essere individuati già a partire alla
sua prima apparizione in occasione della Benedizione Urbi et Orbi. In quella circostanza, a colpire
l’opinione pubblica e i media furono soprattutto il ricorso a un linguaggio semplice e l’utilizzo di alcune
formule discorsive divenute poi il “marchio di fabbrica” dello stile Francesco. A distanza di qualche mese è
dunque possibile affermare che Bergoglio, con le sue prime parole, abbia voluto illustrare al mondo il
programma in nuce del suo Pontificato sfruttando a pieno quello che gli psicologi sociali chiamano e ffetto
primacy.
Francesco inaugura il suo primo discorso ai fedeli con un inaspettato Buonasera, proponendo fin da
subito quella forma di saluto che diventerà l’incipit e l’elemento di riconoscibilità di tutti i suoi interventi
pubblici.
Appare subito evidente come la retorica del Papa sia basata su alcune caratteristiche ben precise: a
testimonianza di una filosofia di vita basata sull’umiltà (non a caso la scelta di chiamarsi Francesco) e della
volontà di ridurre le distanze con il popolo cristiano, Bergoglio sceglie di non riferirsi mai a sé stesso
definendosi Papa bensì utilizza la perifrasi sinonimica Vescovo di Roma.
Una delle figure retoriche più usate da Bergoglio la sera del 13 Marzo 2013 è quella della ripetizione;
attraverso questa soluzione il neo eletto Papa Francesco realizza, infatti, alcuni obiettivi specifici: crea un
climax ascendente, ribadisce alcuni concetti fondamentali, produce un ritmo funzionale all’efficacia del suo
discorso. Tutto ciò è inoltre accompagnato dalla scansione decisa di alcune parole e da opportune variazioni
prosodiche capaci di restituire ai destinatari un certo pathos. Ciò è evidente soprattutto in alcuni passaggi; si
pensi, ad esempio, ai momenti in cui il Papa ricorda il suo predecessore («Il Signore lo benedica») oppure
quando invita i fedeli a pregare per lui («Ma prima vi chiedo un favore»).
Un elemento particolarmente interessante è il ricorso alla deissi spaziale in riferimento alla propria
provenienza («Sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo»).
Bergoglio, infatti, pare dare per scontato che tutti i fedeli presenti in Piazza San Pietro conoscano la sua
nazionalità.
È poi l’utilizzo di un’altra deissi a consentire a Francesco di annullare immediatamente l’apparente
inconciliabilità tra la fine del mondo e Roma; con poche parole, attraverso il ricorso all’avverbio «qui»,
Bergoglio introduce immediatamente due dei temi maggiormente significativi nella suo Papato: il
riavvicinamento (dei fedeli) e lontananza (delle Chiese del mondo). Attraverso questa strategia
comunicativa, infatti Francesco dichiara di volersi occupare sia di Roma («qui») sia delle Chiese lontane da
Roma («alla fine del mondo»).
Altro elemento riscontrabile nelle prime parole di Francesco è una ragionata coerenza discorsiva: ciò
accade sia quando si riferisce a Benedetto XVI definendolo Vescovo emerito (così come aveva definito sé
stesso Vescovo di Roma) sia quando, in piena continuità col saluto iniziale, si congeda dai fedeli augurando
loro Buonanotte. Si tratta di una coerenza ben ragionata in funzione della quale Bergoglio decide di correre
persino qualche rischio. Si pensi, per esempio, alla scelta di recitare le preghiere in lingua italiana. Ciò ha
portato inevitabilmente il Pontefice a dimenticare alcune parole ma gli ha concesso, allo stesso tempo, di
proporsi immediatamente come il Vescovo di Roma.
Per quanto riguarda le caratteristiche non verbali, in occasione della sua prima apparizione pubblica, Papa
Francesco non esplicita del tutto le sue grandi doti comunicative. Per lunghi tratti del discorso,
probabilmente a causa della forte emozione, Bergoglio rimane a tratti immobile. L’attitudine a “parlare con i
gesti”, che risulterà incontenibile in altre occasioni, tuttavia non è del tutto assente. Anche se sotto traccia,
alcune caratteristiche della comunicazione non verbale emergono già la sera del 13 Marzo.
È immediatamente riscontrabile, per esempio, il fatto che il Papa tenda ad accompagnare le parole più
significative con la sua gestualità; ciò non solo contribuisce a una maggiore comprensibilità del messaggio
ma consente anche di scandirne il ritmo e di rendere vive e visibili tutte le immagini evocate. Francesco
infatti riproduce con le mani la distanza che separa Roma dal suo paese, disegna la forma del mondo, simula
il movimento di un cammino da percorrere insieme.
Le braccia alzate poi, segnano (e segnalano) il momento più importante del discorso; vengono utilizzate
infatti, per catturare l’attenzione, poco prima della richiesta, avanzata ai fedeli, di pregare per il loro nuovo
Vescovo.
Anche a livello prossemico, Francesco si sforza di gestire lo spazio avvicinandosi quanto più possibile ai
fedeli; non a caso si inchina verso la piazza per ricevere la preghiera e si sporge dalla loggia per ammirare la
folla. Anche nel momento del saluto, infine, il Papa china il capo verso Piazza San Pietro. Così facendo
compie un gesto di rispetto verso quello che è, a tutti gli effetti, il coprotagonista (il secondo participants)
della situazione comunicativa.
Oltre ai gesti e alle parole a destare un grande interesse è stata l’immagine del Pontefice. Non solo perché
più vicino fisicamente all’immagine stereotipica di un Papa (molti hanno evidenziato una certa somiglianza
con Giovanni XXIII), ma anche perché effettivamente Bergoglio rompe la tradizione non rispettando
l’etichetta che il cardinale appena eletto deve seguire. Ha colpito così l’assenza della stola rossa (indossata
solo durante la benedizione Urbi et Orbi) e anche la scelta di mantenere la croce di ferro personale
rinunciando a quella dorata tipica del Pontefice. Si tratta ancora una volta di una strategia di estrema
coerenza per chi, come Bergoglio, ha deciso di chiamarsi Francesco.
Insieme alla prima apparizione pubblica, l’incontro con i giornalisti del 16 Marzo 2013, è l’evento che
meglio racconta lo stile comunicativo e il progetto politico di Papa Francesco. In occasione dell’udienza
nell’Aula Paolo VI, i circa seimila giornalisti partecipanti hanno potuto assistere a un piccolo compendio del
modo di comunicare del Vescovo di Roma.
Si tratta infatti di un discorso tenuto all’insegna della semplicità e impreziosito da un umorismo
coinvolgente capace di affascinare ogni ascoltatore. Ciò ha naturalmente ridotto il livello di formalità,
richiesto dalle circostanze, permettendo a tutti di conoscere importantissimi particolari riguardo alla scelta di
Bergoglio di chiamarsi Francesco.
Per raccontare le motivazioni che lo hanno portato alla scelta del nome, il Papa ricorre a
un’argomentazione dettagliata e particolarmente avvincente. Ecco così che il ritratto di San Francesco
d’Assisi («L’uomo della pace, l’uomo della povertà, l’uomo che ama e custodisce il creato») diventa la
sintesi del suo progetto politico-religioso.
Tuttavia, nel discorso ai giornalisti, a colpire è soprattutto il modo in cui Bergoglio utilizza lo strumento
dell’aneddoto; questo diviene la chiave attraverso la quale realizzare un duplice obiettivo: attirare
l’attenzione del pubblico e illustrare in maniera semplice ed evocativa il programma del suo ministero «Io vi
racconterò la storia» diviene così l’incipit perfetto per una narrazione efficace ed evocativa.
A dare enfasi al discorso è inoltre la drammatizzazione dei dialoghi. Bergoglio infatti mette in scena le
conversazioni avvenute prima con il cardinale Hummes («Non ti dimentichi dei poveri») e poi con gli altri
cardinali («Tu dovresti già chiamarti Adriano»; «Il tuo nome dovrebbe essere Clemente»). Con una spiccata
capacità attoriale Bergoglio, infatti, riporta le parole dei suoi interlocutori riproducendone il tono e
l’espressività.
Altra caratteristica che emerge in occasione del discorso ai giornalisti è il gusto per l’umorismo; ciò è
riscontrabile soprattutto nel racconto degli episodi che hanno caratterizzato il Conclave. Francesco, ancora
una volta, si dimostra capace, con un notevole senso teatrale, sia di divertire i suoi spettatori («Così te
vendichi contro Clemente XV») sia di indurli alla riflessione («Ah come vorrei una Chiesa povera e per i
poveri»). A livello retorico, anche in questa occasione, è presente il ricorso alla ripetizione («un grande
amico, un grande amico»; «i poveri, i poveri».), elemento che insieme ai gesti e alle variazioni prosodiche,
dà ritmo al discorso.
A differenza della prima apparizione pubblica, il 16 Marzo 2013, le caratteristiche non verbali di Papa
Francesco appaiono meno controllate e decisamente più efficaci. Emerge soprattutto una spiccata gestualità
che contribuisce sensibilmente al buon esito della sua comunicazione. La mimica evidenzia i passaggi più
importanti della narrazione rendendola indimenticabile (ad esempio quando si tocca la fronte mentre dice: «E
quella parola è entrata qui. I poveri, i poveri»). Persino i fogli, che Francesco tiene in mano, diventano uno
strumento comunicativo; questi infatti vengono utilizzati come la bacchetta del direttore d’orchestra e
contribuiscono alla scansione del ritmo del discorso.
Le caratteristiche che contraddistinguono lo stile comunicativo del Papa, ben distinguibili dall’analisi dei
due discorsi sopra citati, ricorrono tuttavia anche in altre occasioni. A queste poi se ne affiancano delle altre
sia a livello verbale si a livello non verbale.
È possibile affermare che, dal punto di vista verbale, la comunicazione di Papa Francesco si distingue
fondamentalmente per una retorica evocativa impreziosita da elementi quali la ripetizione, il ricorso agli
aneddoti, l’uso di formule ricorrenti e il gusto per l’umorismo. L’unicità dello stile di Bergoglio tuttavia sta
nel fatto che queste caratteristiche ritornano in ogni contesto: dalle situazioni altamente formali a quelle
relativamente formali.
Oltre alle formule di saluto e all’utilizzo allo strumento della ripetizione – foriere di ritmo, musicalità e
riconoscibilità – l’elemento più interessante è quello del ricorso agli aneddoti e alle metafore. Entrambi
questi espedienti retorici, presenti nel repertorio dei più abili comunicatori, restituiscono un’idea precisa del
progetto comunicativo di Papa Francesco. Non bisogna mai dimenticare infatti che la consolidata esperienza
pastorale ha fatto di Bergoglio un uomo capace di ascoltare e per tanto capace di parlare a tutti. Nella sua
narrazione, il Papa, attinge a piene mani da un patrimonio familiare e popolare. L’incontro con una anziana
donna o i ricordi legati alla propria infanzia diventano così il veicolo che lo avvicina al popolo. Gli aneddoti,
i racconti riportati o le metafore semplificano dunque ulteriormente il messaggio evangelico, lo radicalizzano
e fanno in modo che questo possa conquistare (o riconquistare) i credenti, i laici e i media. Si tratta di un
processo di normalizzazione della comunicazione papale, per troppo tempo, rimasta ancorata ai precetti
teologici ufficiali. In tal senso è possibile citare il modo in cui Bergoglio racconta, nell’intervista a La Civiltà
Cattolica, la sua idea di santità. In un passaggio particolarmente intenso egli dice:
Io vedo la santità nel popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa
il pane, gli ammalati, i preti anziani che hanno tante ferite ma che hanno il sorriso perché hanno servito il Signore, le
suore che lavorano tanto e che vivono una santità nascosta. Questa per me è la santità comune. La santità io la associo
spesso alla pazienza: non solo la pazienza come hypomoné, il farsi carico degli avvenimenti e delle circostanze della
vita, ma anche come costanza nell’andare avanti, giorno per giorno. Questa è la santità della Iglesia militante di cui
parla anche sant’Ignazio. Questa è stata la santità dei miei genitori: di mio papà, di mia mamma, di mia nonna Rosa che
mi ha fatto tanto bene. Nel breviario io ho il testamento di mia nonna Rosa, e lo leggo spesso: per me è come una
preghiera. Lei è una santa che ha tanto sofferto, anche moralmente, ed è sempre andata avanti con coraggio.
Ancora una volta Papa Francesco associa immagini, idee e precetti apparentemente opposti. Mette
insieme santità e quotidianità, il testamento di sua nonna Rosa e le preghiere, le difficoltà ed il coraggio. È
grazie a questa retorica dicotomica, che attinge alla stessa maniera dalla tradizione alta e da quella bassa, che
il Papa realizza il suo progetto comunicativo; un progetto finalizzato non solo al riavvicinamento (del popolo
nei confronti della Chiesa e delle Chiese periferiche nei confronti di quella centrale) ma soprattutto al
superamento dell’ossimoro Papa/Francesco ovvero di quella curiosa e brillante idea che mette insieme il
capo dello stato Vaticano al santo della povertà.
Tra le metafore utilizzate da Bergoglio quelle maggiormente convincenti riguardano la Chiesa e la sua
mission. Nella conversazione con Antonio Spadaro, il Papa dice:
Questa Chiesa con la quale dobbiamo “sentire” è la casa di tutti, non una piccola cappella che può contenere solo un
gruppetto di persone selezionate. Non dobbiamo ridurre il seno della Chiesa universale a un nido protettore della nostra
mediocrità. E la Chiesa è Madre. La Chiesa è feconda, deve esserlo. Vedi, quando io mi accorgo di comportamenti
negativi di ministri della Chiesa o di consacrati o consacrate, la prima cosa che mi viene in mente è: “ecco uno
scapolone”, o “ecco una zitella”. Non sono né padri, né madri. Non sono stati capaci di dare vita. Invece, per esempio,
quando leggo la vita dei missionari salesiani che sono andati in Patagonia, leggo una storia di vita, di fecondità.
Qui i riferimenti sono nuovamente attribuibili all’idea della casa e della famiglia quali nucleo centrale ed
originario della vita umana e quindi anche della vita della principale istituzione religiosa del cristianesimo.
Altri elementi che arricchiscono lo stile discorsivo e la narrazione di Bergoglio sono il gusto per
l’umorismo e il ricorso all’enfasi. Si tratta di elementi che, insieme a tutte le dinamiche prossemiche e
cinesiche, rendono ecfrastica la sua comunicazione. Per spiegare meglio questi aspetti è possibile citare
alcuni esempi; in occasione del suo primo Angelus, la mattina del 17 Marzo 2013, Bergoglio fu capace di
divertire i suoi ascoltatori con un inciso riguardante un libro del cardinale Kasper. Durante il suo discorso
diceva: «In questi giorni ho potuto leggere un libro. Di un cardinale, il cardinale Kasper, un teologo in
gamba, eh, un buon teologo. Sulla misericordia. E mi ha fatto tanto bene quel libro – ma non credete che
faccio pubblicità ai libri dei miei cardinali, eh?». Anche in questo caso è proprio il gioco dei contrasti a
restituire l’umorismo; è infatti l’idea che un Papa possa diventare, esplicitamente e consapevolmente,
testimonial di un libro a divertire lo stesso Bergoglio e tutti i fedeli presenti.
Un esempio che riguarda invece la comunicazione enfatica è rintracciabile nel discorso tenuto in
occasione della veglia di Pentecoste, il 18 Maggio 2013. Il Papa, a proposito della crisi finanziaria dice:
«Questo succede oggi: se gli investimenti nelle banche calano un po’: tragedia; come si fa? Ma se muoiono
di fame le persone, se non hanno da mangiare, se non hanno salute, non fa niente! Questa è la nostra crisi di
oggi! E la testimonianza di una Chiesa povera per i poveri va contro questa mentalità».
Quello appena citato rappresenta un esempio particolarmente significativo non solo perché in
quell’occasione il Papa dimostrò un vigore espressivo che fino a quel momento non era venuto fuori e che
pareva non appartenergli completamente (a differenza invece di quanto accadeva con altri Papi, Giovanni
Paolo II su tutti) ma anche perché è diventato uno dei passaggi maggiormente ricordato nella memoria
collettiva tanto da essere citato, più o meno testualmente, da Barak Obama in occasione di un discorso sulla
disuguaglianza economica tenuto il 4 Dicembre scorso.
La vera prerogativa della comunicazione di Bergoglio, tuttavia, non è esclusivamente riconducibile alle
sue capacità retoriche. Ad assumere un ruolo predominante è soprattutto la dimensione non verbale. Con
questa non si intendono solo i gesti che accompagnano i discorsi, l’aspetto cinesico o la prossemica; ci si
riferisce bensì a tutte quelle azioni che Papa Francesco ha compiuto nella dimensione più pubblica del suo
pontificato.
Non bisogna mai dimenticare il fatto che, attraverso la comunicazione, Francesco mette in atto una
strategia che ha come obiettivo quello di riavvicinare la gente alla Chiesa. Il Papa diviene così veicolo reale
dell’evangelizzazione e fornisce di sé stesso un’immagine di speranza e umiltà che risulta potentissima
nell’era post-moderna. In un periodo in cui ad affermarsi sono soprattutto le verità estetiche la diffusione del
messaggio evangelico infatti, non può che passare da una piano di spettacolarizzazione.
I gesti di Papa Francesco, nonostante siano passati solo pochi mesi, costituiscono già capisaldi della
cultura visiva del Ventunesimo Secolo. Così come lo furono in passato le braccia spalancate di Pio XII tra la
folla di San Giovanni (il 13 Agosto 1943), oppure il discorso di Giovanni Paolo II dalla Valle dei Templi (il
9 Maggio 1993), le immagini di Bergoglio insieme a Benedetto XVI così come quelle a Lampedusa o
durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro assumono il valore di frames cognitivi che ci
consentono di interpretare la nostra epoca.
Le azioni di Bergoglio inoltre assolvono anche la funzione di monitorare e mantenere coerente la linea
programmatica scelta con l’assunzione del nome Francesco. Ecco così che – giusto per riportare qualche
esempio – il rifiuto dei paramenti in oro, la scelta di proporsi come primus inter pares al cospetto con i suoi
cardinali, i continui bagni di folla contribuiscono al mantenimento dell’immagine francescana del Papa
favorendo, allo stesso tempo, la fidelizzazione di fedeli, non fedeli e media nei suoi confronti.
Papa Francesco e i media, tra luci e ombre
Ogni Papa, che sia destinato a guidare la Chiesa di Roma a lungo o ad avere un ruolo di transizione, vedrà
sempre puntati su di sé tutti i riflettori del mondo. La sua immagine verrà trasmessa su tutti i canali e su di lui
si scriveranno fiumi di inchiostro, sin dalla sua prima apparizione. Nel caso di Bergoglio tutti questi aspetti
hanno assunto una portata eccezionale per innumerevoli motivi. Bisogna ricordare, infatti, che l’attenzione
mediatica – almeno in un primissimo momento – è stata dovuta quasi esclusivamente alle storiche ragioni
che hanno portato al Conclave del 2013.
Tuttavia così come per l’analisi dello stile comunicativo (verbale e non verbale), per comprendere a pieno
il modo in cui media stanno gestendo le informazioni sull’attuale pontificato, occorre ricostruire il racconto
dell’elezione e dei primi giorni da Papa di Jorge Mario Bergoglio.
Superata la curiosità per le dinamiche del Conclave ed esaurite le ipotesi su chi potesse essere il
successore di Benedetto XVI, il primo vero impatto di Bergoglio con i media è stato dato dall’inaspettata
scelta del nome Francesco. A partire da questa si sono susseguiti una serie di commenti ed interpretazioni
che hanno fatto leva sui tratti distintivi del primo Papa argentino e gesuita.
Un altro aspetto su cui si sono concentrati molto i quotidiani nazionali ed internazionali è stato quello
relativo alle prime parole pronunciate da Bergoglio subito dopo la sua elezione. Queste, insieme ad alcuni
passaggi della sua biografia, sono diventate le passwords che hanno permesso ai media di realizzare un
ritratto significativo del nuovo Papa .Oltre all’eccezionale incipit del primo discorso di Papa Francesco, a
colpire i media è stato soprattutto l’utilizzo, ritenuto inedito, della perifrasi Vescovo di Roma.
A soffermarsi su questo aspetto fu soprattutto il Corriere della Sera, che nell’edizione del 14 Marzo
2013, sottolineava la portata rivoluzionaria di una tale scelta comunicativa. Secondo Aldo Cazzullo, nel suo
articolo “Ora pregate per me”, i segnali innovativi erano già visibili dal modo in cui il Papa decideva di
presentarsi al mondo. Il giornalista, infatti, all’indomani dell’elezione, parla della rivoluzione simbolica
operata dalle azioni di un pontefice che decide di affacciarsi dalla loggia vaticana privo della classica
mozzetta rossa, che per tutto il suo primo discorso non si definisce mai Papa e che si inchina davanti ai suoi
fedeli. Secondo Cazzullo i gesti di Papa Francesco altro erano che azioni coerenti con lo stile di vita
esercitato durante gli anni da cardinale, quando Bergoglio si spostava in autobus, viveva in un piccolo
appartamento e chiedeva ai fedeli di Buenos Aires di donare i soldi raccolti per una festa in suo onore in
favore dei più poveri. Ancora sul Corriere del 14 Marzo, Luigi Accattoli evidenziava inoltre come anche
Benedetto, che ha scelto di chiamarsi Papa emerito, venisse definito da Francesco Vescovo emerito. Il
giornalista Accattoli raccontava inoltre alcune indiscrezioni sul Conclave del 2005. Nell’articolo “Il Gesuita
col Saio” a proposito del passo indietro operato da Bergoglio che consentì l’elezione del cardinale Ratzinger,
scrive: «Otto anni dopo è l’eletto di allora a rinunciare e tocca al primo rinunciatario prendere il suo posto:
una vicenda parabolica che di sicuro tiene in sé molti significati».
Anche le origini italiane di Bergoglio sono state oggetto di narrazione da parte dei giornali. Il profilo del
Papa tracciato da Avvenire, per esempio, non solo ricordava le radici piemontesi del pontefice ma in un certo
senso faceva di queste un elemento di continuità con un altro gesuita illustre come Carlo Maria Martini
(“Gesuita mite e umile figlio di italiani andati in Argentina” di Geninazzi e Rizzi).
La notizia dell’elezione del Papa non è stata accolta solo dai giornali ma anche e soprattutto dalle
televisioni che hanno seguito costantemente l’evento sin dalle prime ore del Conclave. Oltre alla cronaca e ai
commenti di tutte le televisioni all news (RaiNews24, Sky Tg24, etc. ) e dei telegiornali, ad occuparsi di
questo evento furono anche le trasmissioni di intrattenimento (Pomeriggio Cinque, La vita in diretta, Le
Invasioni Barbariche, etc). Queste hanno subito ripreso le parole chiave del primo discorso del Papa
trasformandole in un vero e proprio tormentone televisivo. Noti anchorman televisivi, ad esempio,
esordirono nelle loro trasmissioni con un caloroso “Buonasera” rivolto ai telespettatori e al nuovo Pontefice.
Molti commentatori inoltre decisero di cavalcare l’onda dello stupore suscitata dalla scelta del nome
interrogandosi sul suo significato profondo ed aprendo curiosi dibattiti sull’uso di primo (I) da affiancare a
Francesco. Particolarmente curiose le definizioni attribuite al Papa nella trasmissione Mattino Cinque, dove
alcuni commentatori si spinsero a definire Bergoglio addirittura come un «Papa figo».
L’elezione di Bergoglio tuttavia non è stata accompagnata solo da commenti curiosi ed entusiastici. Essa,
infatti, ha scatenato moltissime critiche che hanno assunto immediatamente una risonanza non indifferente.
Ecco dunque che l’ipotetica notizia della vicinanza del neo-Papa al regime di Videla, cominciò ad occupare,
già dal giorno successivo all’elezione, le colonne dei più importanti quotidiani del mondo. Il New York
Times sottolineava così come il pontefice fosse stato «accusato di essere a conoscenza degli abusi della
Sporca Guerra e di non aver fatto abbastanza per fermarli». In Gran Bretagna, invece, il Times lanciava il
proprio dubbio in prima pagina titolando: «L’amico dei poveri che era anche a suo agio con i dittatori». In
realtà, già subito dopo l’Habemus Papam, il regista americano Michael Moore su Twitter aveva postato la
foto di un presunto Bergoglio, ritratto di spalle, mentre somministra la comunione a Videla. Fu poi lo stesso
Moore, qualche ora dopo, a smentire – sempre con un cinguettio – l’autenticità della foto.
In Italia la notizia venne riportata con particolare attenzione da Il Manifesto. Il corrispondente del
quotidiano da Buenos Aires, Filippo Fiorini, nell’articolo intitolato “Quando guidava la chiesa argentina
torture e morte per i preti del popolo” scriveva:
Aveva mancato di un soffio l’ultimo conclave, ma non ha sbagliato quello di ieri, l’uomo che oggi il mondo conosce
come Francesco I. Tuttavia, dietro a quel nome che sbandiera un voto di povertà, ce n’è un altro, Jorge Mario
Bergoglio, che proprio nel suo rapporto con i poveri nasconde quello che per alcuni è il suo peccato più grave.
Nel libro El Silencio, l’intellettuale e giornalista argentino Horacio Verbitsky racconta che quando a Buenos Aires
correvano i tempi della dittatura militare, i generali al governo, per lo più intenti a sterminare gli oppositori politici, si
resero conto della presenza scomoda di alcuni preti che passavano le loro giornate nelle baraccopoli. Davanti alla fame
e l’ignoranza del loro gregge, questi sacerdoti mandati nelle chiese a cielo aperto della città di lamiere, avevano
compiuto il gesto rivoluzionario di affiancare alla messa anche qualche corso d’istruzione elementare e qualche
pentolone da cui chiunque potesse mangiare. Un fatto di per sé innocente, non fosse che queste azioni venivano
compiute alla luce della Teologia della liberazione, quell’idea strana che mette nel frullatore il Vangelo di San Matteo e
il Capitale di Carlo Marx, tirandone fuori una guida all’azione che non proibisce l’uso combinato di pistole e crocefissi.
I generali, guidati in quel momento da Jorge Rafael Videla, pensarono che la pratica fosse controproducente: i poveri è
meglio che restino poveri e ignoranti, sia mai che si accorgano di essere sfruttati e decidano di rovesciare il governo.
La Curia argentina, d’altra parte, che già all’epoca era guidata da Bergoglio, si trovò d’accordo: andava bene tutto,
ma i preti comunisti proprio no. Fu così che, sempre secondo le testimonianze raccolte ne El Silencio, iniziarono le
intimidazioni e le minacce da parte della Casa Rosada e della Chiesa nei confronti dei missionari delle baraccopoli. Don
Yorio, don Jalics, don Douron e don Rastellini furono prima accusati di essere fiancheggiatori della guerriglia, poi
sequestrati, portati in un campo di concentramento e torturati per giorni. Due di loro sopravvissero, mentre altri due no.
Nel suo articolo Fiorini faceva ricorso ad una argomentazione inequivocabilmente esplicita. Bergoglio,
già a partire dal titolo (“Quando guidava la chiesa argentina torture e morte per i preti del popolo”), veniva
presentato come uno dei responsabili comprovati degli abusi commessi dal regime di Videla. La notizia che
altri media raccontano come una verità presunta diventava così, per Fiorini, una verità incontrovertibile.
Non stupisce invece il fatto che Avvenire non avesse neppure lontanamente accennato a tale vicenda. Al
contrario, il quotidiano dei Vescovi si concentrava in maniera approfondita sulla cronaca dell’attività
pastorale del cardinale Bergoglio (“Don Jorge: il cardinale dei poveri e delle Villas Miserias” di Lucia
Capuzzi). A prescindere dal racconto del “lato oscuro” di Francesco, ad avere una posizione deliberatamente
polemica fu ancora Il Manifesto. Il giornale infatti esordiva in prima pagina con un pungente “Non è
Francesco”. Oltre a richiamare le parole di una celebre canzone di Lucio Battisti, il titolo sembrava voler
allentare l’entusiasmo per l’elezione di un pontefice che non poteva (e non potrà mai essere) associato al
“poverello d’Assisi”. Nelle pagine dedicate al Papa, si parlava inoltre di sorpresa ma non di novità; il chiaro
riferimento era al Conclave del 2005 in occasione del quale Bergoglio era stato il principale avversario di
Ratzinger.
Esaurite le curiosità e le polemiche per l’elezione del primo Papa latinoamericano, a distanza di qualche
settimana i media hanno cominciato ad analizzare ancor più attentamente la comunicazione del pontefice,
arricchita intanto da gesti e azioni altamente simboliche. Sul Fatto Quotidiano del 14 Aprile Francesco
Antonio Grana scriveva: «A un mese dalla sua elezione Papa Bergoglio sta prendendo confidenza con il suo
nuovo ‘habitat’. Lui che non ha mai vissuto nella Curia romana e che era venuto al conclave con in tasca il
biglietto aereo low cost per poter ritornare nella sua Buenos Aires in tempo per la settimana santa, si ritrova
circondato dall’opulenza dello stato più piccolo del mondo. Quarantaquattro ettari che a Bergoglio stanno
stretti. Rivoluzionario fin da subito: rifiuta la croce d’oro, l’auto d’ordinanza targata SCV1, gli abiti e i
paramenti ricercati e antiquati, e, persino, l’appartamento pontificio al terzo piano del Palazzo Apostolico».
Ancora sulla comunicazione di Bergoglio, Paolo Gambi in un articolo del 24 Aprile su Huffington Post
parlava del reality show di Papa Francesco: «Tutti lo vedono, tutti gli occhi – dei vescovi, dei preti, dei fedeli
– sono fissi su di lui. Grazie ai media. E lui ha scelto di comunicare così: con la concretezza dell’azione che
passa dalle tv, dai giornali e da internet. Quasi a dire: io sono il vescovo (di Roma), un vescovo si comporta
così. Chi vuole si adegui. E chi non vuole faccia poi i conti con i fedeli che gli chiederanno conto avendo
avuto come prototipo di vescovo quello di Roma. Questo è il “reality show” di Papa Francesco. Una
trasmissione che va in onda su tutti i media del mondo e che racconta la quotidianità di un vescovo che si è
trovato a fare il Papa».
Nonostante in un primo momento siano emersi due partiti mediatici opposti, è possibile notare come
progressivamente gli organi di informazione stiano contribuendo alla costruzione di una vera e propria
mitologia su Papa Francesco. Bergoglio viene sempre più raccontato come un pontefice carismatico,
mediatico ed estremamente sociale: immerso tra la gente e impegnato in gesti e parole “straordinarie”. Come
non citare ad esempio la presunta notizia, riportata il 20 Maggio 2013 dai maggiori quotidiani italiani, di un
esorcismo compiuto in pubblico.
A nove mesi dall’inizio del pontificato appare evidente come l’affermazione di una narrazione
cerimoniale e a tratti propagandistica vada attribuita quasi totalmente alle grandissime capacità comunicative
di Papa Francesco. Con i suoi gesti, con le sue parole e con le sue azioni mediatiche (dai tweet alle lettere,
passando per le telefonate), Bergoglio è riuscito a imporsi come uno dei principali attori della comunicazione
globale. Interprete di un modello comunicativo multitasking, Papa Francesco è il vero demiurgo della
comunicazione del Vaticano e sul Vaticano all’interno della quale i media diventano solo uno strumento
funzionale ad una narrazione ampiamente pianificata. Per comprendere meglio questo discorso basta citare
due esempi, molto diversi tra loro, di come la figura di Papa Francesco sia diventata parte indissolubile del
sistema mediatico. Il primo esempio riguarda i dati Auditel di TV2000. In occasione della visita ad Assisi di
Bergoglio, la televisione Vaticana è stata la più seguita tra le tv non generaliste. Il secondo esempio riguarda
invece il programma di intrattenimento Le Iene che, nella puntata del 22 Ottobre 2013, durante la
trasmissione di un servizio su un caso di violenza sessuale operato da un sacerdote nei confronti di una
minorenne lanciava un hashtag (#papaascoltaerik) da diffondere sui social network, al fine di recapitare la
triste vicenda umana della ragazza direttamente al Papa. Ecco che così i media supportano e diventano parte
della narrazione di (e su) Francesco. Una narrazione assolutamente inedita che si differenzia sia da quella
wojtyliana, la cui sintesi era rappresentata dalla fisicità (prima dirompente e poi precaria), sia da quella di
Ratzinger, partita sottotono e compromessa da gaffes e dallo scandalo Vatileaks.
Conclusioni
Trarre le conclusioni da un’analisi sulla comunicazione di Papa Francesco è un’operazione
particolarmente complicata. Lo è poi ancor di più se si pensa che dall’inizio del suo Pontificato è trascorso
meno di un anno. Si tratta infatti di effettuare delle considerazioni basandosi su un numero di discorsi, di
azioni e di gesti che, seppur numerosi e altamente simbolici, una volta sviscerati non esauriscono dubbi e
curiosità su un personaggio così complesso. Restano aperte molte domande infatti su un Papa che ha reso il
mezzo un vero e proprio messaggio; Bergoglio è e verrà ricordato come un comunicatore che ha scelto di
diffondere il suo progetto politico in maniera trasversale. Ecco così che la conversazione epistolare con
Eugenio Scalfari, dichiaratamente ateo ma attento alle questioni religiose, diventa il veicolo che consente
contestualmente di dialogare senza rinunciare alle proprie identità, diffondendo il proprio manifesto
teologico. Ciò che colpisce di Bergoglio è proprio l’adattabilità alle più disparate situazioni comunicative e
la ricerca, andata finora sempre a buon fine, di chiavi discorsive efficaci. Bergoglio infatti riesce a
trasformare le parole in immagini attraverso uno stile – verbale e non verbale – che attinge a piene mani dalla
tradizione teologica e da quella pop, da Bob Dylan (si pensi all'analogia tra la prima parte di Masters of
War e il discorso contro i venditori di armi tenuto in occasione della veglia per la pace il 7 Settembre scorso)
e dal Vangelo.
Per cogliere e sottolineare i tratti distintivi dello stile comunicativo di Papa Francesco è necessario
operare un confronto con la comunicazione dei suoi predecessori più recenti. Un paragone con Ratzinger, per
esempio, lascia emergere come la vera forza del nuovo Pontefice sia la comunicazione non verbale. È questa
infatti che rende espliciti i contenuti dei suoi messaggi: sintetizzandoli e riducendoli a pratiche pragmatiche.
In questo raffronto bisogna tenere a mente che quella di Bergoglio tuttavia non è solo una comunicazione
non verbale di tipo didascalico; essa rappresenta soprattutto un modello funzionale al superamento di tutti
quegli ostacoli che hanno segnato una perdita esponenziale di consensi e che sono stati accentuati dal
fallimento comunicativo di Ratzinger. In questo scenario, dunque, la comunicazione di Bergoglio appare
come un efficace strumento di dissimulazione. Uno modo di comunicare modernissimo dietro al quale si
nascondono posizioni teologiche e filosofiche deliberatamente moderate e non troppo distanti da quelle di
Benedetto XVI.
A Bergoglio sarà apparso inevitabile così assumere come modello, rivedendolo e riattualizzandolo, Karol
Wojtyla, un altro abile comunicatore. Ciò è evidente sotto diversi punti di vista: nella riproposizione di
alcune sue parole (Vescovo di Roma, venuto da Lontano, etc.); nella ripresa di alcune azioni, come i bagni di
folla o le relazioni dirette con i media (si pensi alla telefonata di Giovanni Paolo II alla trasmissione Porta a
Porta); nel ritorno ad alcuni temi come, ad esempio, il perdono, l’invito alla conversione rivolto ai mafiosi,
la misericordia e la vocazione mariana. Altro elemento che accomuna Bergoglio a Wojtyla, anche se un po’
meno dirompente, è l’enfasi discorsiva. Entrambi, infatti, hanno dimostrato di poter essere forti, decisi o
divertenti a seconda delle situazioni, a differenza di Ratzinger sempre monocorde sia che parlasse con dei
bambini sia che pronunciasse un discorso contro l’olocausto.
È per tutte queste ragioni che la comunicazione di Bergoglio, seppur con alcuni tratti di continuità,
rappresenta una cesura con il passato. Non è casuale dunque che ogni discorso che egli pronuncia risulti
inedito anche se non del tutto originale.
Elemento fondamentale della comunicazione di Francesco è inoltre il tentativo (certamente riuscito) di
superare l’ossimoro “Papa+Francesco”. Quelli che per millenni sono apparsi come due nomi profondamente
in disaccordo, con Bergoglio, diventano il punto di forza di un progetto politico. Dal punto di vista
prettamente comunicativo dunque quella di Bergoglio è certamente un’operazione ineccepibile che,
accompagnata da una serie coerente di gesti, ha avuto il merito di attirare l’attenzione sul Papa distraendo i
media dai Vatileaks di turno.
Superato l’ossimoro originario resta adesso da capire quale sia il reale progetto di Bergoglio. Nei primi
nove mesi di Pontificato, con i suoi gesti e le sue parole, Papa Francesco ha dimostrato di voler attuare forte mente un programma di evangelizzazione, di conversione e di cambiamento incentrato sul riavvicinamento
dei fedeli alla Chiesa e sulla ricerca di un consenso universale: a partire da una miscredente Europa per finire
con l’America Latina, sempre più affascinata da socialismo e protestantesimo. È soprattutto attraverso alcune
azioni, come la stesura della prima enciclica (Lumen in fidei), la diffusione dell’esortazione apostolica e soprattutto la storica visita a Lampedusa, che Francesco pare voler accendere l’attenzione del mondo su alcune
tematiche drammaticamente attuali come, ad esempio, le relazioni tra Nord e Sud del Mondo compromesse
dalla globalizzazione dell’indifferenza.
Alla luce di quanto detto possiamo affermare che Papa Francesco si propone, ed è a tutti gli effetti, come
il Papa mediatico per eccellenza. Lo è per contingenze personali, caratteriali e storiche. Non è forse il primo
Papa da reality show, come molti hanno affermato, ma è certamente un papa da social network. Un pontefice
che ai followers reali (come furono i Papa Boys) vuole aggiungerne tanti altri virtuali, provenienti da ogni
parte del mondo.
Riferimenti bibliografici
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Dell’Anna M.V., Lingua italiana e Politica, Roma, Carrocci, 2010.
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Aldo Cazzullo, Ora pregate per me. Il primo Papa sudamericano
Gian Guido Vecchi, Cucina da solo, si sposta in bus e ricorda il dialetto piemontese
Armando Torno, Francesco. Nessun Pontefice lo aveva mai scelto. Il poverello d'Assisi come esempio
Vittorio Messori, Scelta geopolitica: come Wojtyla.
Da «Il Manifesto» del 14 Marzo 2013:
Franco Cardini, L’outsider che cambia tutto
Luca Kocci, Una sorpresa, non una novità
Filippo Fiorini, Quando guidava la chiesa argentina torture e morte per i preti del popolo
Da «Avvenire» del 14 Marzo 2013:
Marco Tarquinio, Il segno e la gioia
Pierangelo Sequierei, La memoria dello Spirito
Pino Ciociola, Sale al cielo lo stupore del silenzio
Luigi Geninazzi e Filippo Rizzi, Gesuita mite e umile figlio di italiani andati in Argentina
Lucia Capuzzi, Don Jorge: il cardinale dei poveri e delle Villas Miserias
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Sitografia
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Daniela
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http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/17/bergoglio-e-la-favola-di-papa-francesco/533382/
19 Marzo 2013 Horacio Verbitsky, Papa Francesco, i due volti di Bergoglio tra fede e militari, url:
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8 Aprile 2013 Francesco Antonio Grana, Papa Francesco e i gesti “wojtyliani” che lo “allontanano” da Ratzinger, url:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/04/08/papa- francesco-e-suoi-gesti-wojtyliani-che-allontanano-daratzinger/555043/
14 Aprile 2013 Francesco Antonio Grana, Papa Francesco, un mese da pontefice: rifiuta il lusso e condanna i vizi di
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Da huffingtonpost.it:
24 Aprile 2013 Paolo Gambi, Il reality show di Papa Francesco: come la Chiesa impara ad usare i nuovi linguaggi,
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14 Marzo 2013- Marta Serafini, La Chiesa e la dittatura argentina. I dubbi sulle foto di Videla e Bergoglio, url:
http://www.corriere.it/esteri/speciali/2013/conclave/notizie/14-mar-i-dubbi-sulle-foto-di-bergoglio-convidela_3f166818-8cbe-11e2-ab2c-711cc67f5f67.shtml
21 Maggio 2013 Redazione Online, In tv «l'esorcismo del Papa». E alla fine Boffo si scusa, url:
http://www.corriere.it/cronache/13_maggio_21/tv-cei-esorcismo-boffo-scuse_203492b0-c212-11e2-a4cd35489c3421dc.shtml
26 Maggio 2013 Redazione Online, Papa Francesco come Giovanni Paolo II: «Mafiosi convertitevi», url:
http://video.corriere.it/papa-francesco-come-giovanni-paolo-ii-mafiosi-convertitevi/f65b1cf6-c609-11e2-91df63d1aefa93a2
11 Dicembre 2013 – Carlotta De Leo - Time, Papa Bergoglio è l’uomo dell’anno: «Un settantenne superstar », url:
http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/13_dicembre_11/papa-bergoglio-l-uomo-dell-anno-time-1ba3c6ac-626311e3-a809-0fced5f7d9ac.shtml
Da repubblica.it:
17 Marzo 2013 Redazione Online, Papa Francesco, primo Angelus a San Pietro il saluto ai 300mila fedeli, il boato
dalla
folla,
url:
http://roma.repubblica.it/cronaca/2013/03/17/news/papa_francesco_per_il_primo_angelus_a_san_pietro_delegazioni
_da_tutto_il_mondo_e_fedeli_in_festa-54740401/
18 Maggio 2013 Redazione Online, Papa: ''Crisi è preoccuparsi delle banche, mentre c'è chi muore di fame”, url:
http://video.repubblica.it/dossier/il-nuovo-papa/papa-crisi-e-preoccuparsi-delle-banche-mentre-c-e-chi-muore-difame/128818/127316?ref=&ref=HREC1-5
Da rai.it:
15 Aprile 2013 – Redazione Online, Effetto Papa Francesco, in crescita il numero di fedeli e confessioni, url:
http://www.rai.it/dl/grr/notizie/ContentItem-4d398a87-27a6-4278-b592-6b11654c39dc.html?refresh_ce