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@PONTIFEX: la comunicazione di Papa Francesco Christian Guzzardi Introduzione L’elezione di Jorge Mario Bergoglio come nuovo Pontefice della Chiesa di Roma rappresenta probabilmente l’evento più importante dell’anno che sta per concludersi. Ciò è vero per diverse ragioni: innanzitutto perché è stata determinata dalla storica rinuncia di Benedetto XIV e in secondo luogo perché ha dato avvio a quello che sembra configurarsi come un Papato assolutamente inedito. A confermare l’eccezionalità dell’elezione di Bergoglio non è solo la manifesta curiosità e il crescente entusiasmo che essa ha generato ma è soprattutto il fatto che il Papa argentino – a soli nove mesi dalla sua elezione – sia già diventato una figura iconica del nostro tempo, tanto da essere stato insignito della copertina di Time Magazine come l’uomo dell’anno. Obiettivo di questo saggio tuttavia non è quello di addentrarsi nel significato teologico del Papato di Bergoglio; al contrario ci si soffermerà, quasi esclusivamente, sull’analisi del suo stile comunicativo. Già a partire dalla sua prima apparizione, la sera del 13 Marzo 2013, Papa Francesco si è presentato al mondo come un abilissimo comunicatore. I suoi gesti accuratamente semplici hanno infatti attirato immediatamente l’attenzione dei fedeli e dei media di tutto il pianeta. Si cercherà dunque di individuare le caratteristiche fondamentali dello stile comunicativo di Papa Francesco; uno stile radicale e raffinato che ne sta attestando il gradimento e la popolarità. Il pretesto per dare avvio a questo saggio è l’analisi dei primi discorsi pubblici di Bergoglio. Essi costituiscono infatti la vera sintesi dello stile del Pontefice ed è a partire da questi che si possono ripercorrere le tappe di una strategia comunicativa senza precedenti. Verranno analizzate dunque sia le forme puramente verbali dei discorsi del Papa sia alcuni aspetti pragmatici della sua comunicazione. Un’attenzione particolare sarà riservata agli elementi non verbali come la gestualità, la prossemica e la cinesica che rappresentano probabilmente la vera chiave del successo di Bergoglio. Seguiranno poi un necessario – quanto breve – confronto con i suoi due ultimi predecessori e un’analisi del modo in cui i media hanno raccontato e commentato l’elezione e i primi mesi di pontificato di Papa Francesco. L’effetto Francesco Una ricerca condotta dal CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni) pubblicata il 15 Aprile 2013, ha mostrato come in Italia – solo dopo un mese dall’inizio del pontificato – si fosse verificato un riavvicinamento considerevole dei fedeli nei confronti della Chiesa e delle istituzioni religiose. Tale riavvicinamento sarebbe stato dimostrato non solo dal “ripopolamento” delle parrocchie ma anche da un esponenziale incremento del numero delle confessioni. La ricerca del CESNUR, che oggi può risultare datata ma che restituisce perfettamente il clima immediatamente successivo all’elezione di Bergoglio, rappresenta uno dei primi esiti di quello che è stato definito come effetto Francesco. Con tale definizione ci si riferisce a tutte quelle pratiche con le quali il mondo cattolico (e non solo) ha reagito all’elezione del Papa argentino. A quasi 9 mesi dall’ascesa di Bergoglio al soglio pontificio, l’effetto Francesco continua ad essere testimoniato sia dalla copiosa partecipazione di fedeli e curiosi alle uscite pubbliche del Papa, sia dal costante interesse dei media per le sue apparizioni pubbliche. Basta ricordare, ad esempio, come in occasione di ogni Angelus Piazza San Pietro continui ad accogliere migliaia di persone. Alla luce di quanto detto appare dunque legittimo interrogarsi su quali siano le motivazioni che stanno alla base di un interesse tanto grande quanto durevole. È proprio Time Magazine a fornire un primo spunto di riflessione su questo argomento; secondo il settimanale statunitense, infatti, «quel che rende questo Papa così importante è la velocità con cui ha catturato l’immaginazione di milioni che avevano perso la speranza nella Chiesa». Un elemento particolarmente significativo è costituito inoltre dall’attenzione che il mondo laico sta riservando al Pontefice. Si pensi soprattutto alla conversazione, emblematicamente inaugurata dal quotidiano La Repubblica, tra Eugenio Scalfari e Papa Francesco. Sono dunque queste le motivazioni che lasciano pensare al fatto che l’effetto Francesco sia qualcosa capace di andare ben oltre la semplice curiosità originata dall’elezione di un nuovo Pontefice. Uno scenario come questo, infatti, smentisce almeno parzialmente la tesi secondo cui questo fenomeno sia solo una conseguenza della storica rinuncia di Benedetto XVI. Al contrario, la duratura attenzione mostrata dai media e i continui bagni di folla danno prova del fatto che – nonostante il gesto di Joseph Ratzinger abbia avuto il merito di riaccendere i riflettori sulla Chiesa – la popolarità di Papa Francesco non sia soltanto figlia delle circostanze che lo hanno portato all’elezione. A colpire gli osservatori è infatti la figura di un Pontefice tanto inedito quanto rassicurante, capace come riporta ancora una volta Time Magazine di fare «un uso da maestro degli strumenti del ventunesimo secolo nel suo mandato del Primo secolo». Bergoglio è infatti un Papa che parla, si muove e si comporta come nessuno aveva mai fatto prima ma che, allo stesso tempo, ricorda alcuni suoi amatissimi predecessori (Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II in primis). Già dalle sue prime apparizioni Papa Francesco è ricorso, infatti, ad un modello comunicativo capace di andare oltre le parole. Un modo di comunicare accompagnato da azioni semplici ma altamente simboliche. A rendere ancor più efficace la comunicazione di Papa Francesco si aggiunge inoltre un’avvincente biografia. Bergoglio infatti è (e come tale verrà ricordato) il primo Papa latinoamericano, il primo Papa gesuita e il primo a volersi chiamare Francesco. Chi è Francesco Per comprendere meglio lo stile comunicativo di Papa Francesco occorre necessariamente guardare alla storia personale di Jorge Mario Bergoglio. Nato il 17 dicembre 1936 a Buenos Aires, Jorge è il primo di cinque figli di una famiglia di origine italiana. Dopo aver conseguito il diploma di perito chimico, a 22 anni, entra nella Compagnia di Gesù. Nel 1969 viene ordinato sacerdote. Laureatosi in filosofia inizia ben presto la carriera da insegnante. Nel corso degli anni ottiene poi importanti posizioni nell’ordine gesuita, nel clero argentino e parallelamente in diverse Congregazioni della Curia romana. Viene nominato arcivescovo di Buenos Aires nel 1998 e poi cardinale da Giovanni Paolo II nel 2001. Il suo lungo ministero episcopale si è caratterizzato per una grande attenzione ai temi sociali e per una costante presenza nelle periferie più degradate della sua città, sempre al fianco degli ultimi. A partire dalla biografia di Jorge Mario Bergoglio è dunque possibile comprendere l’origine di alcune scelte compiute una volta divenuto Papa. È già la sola appartenenza all’ordine dei gesuiti a farne un efficace comunicatore. La compagnia di Gesù, infatti, è storicamente impegnata in una missione di evangelizzazione che ha portato, sin dalle origini, i suoi membri a diffondere il cattolicesimo in tutto il Mondo. Sono inoltre prerogative dell’ordine: l’esperienza nel campo dell’educazione (e dell’insegnamento) e la predilezione per l’assistenza ai bisognosi. Da non sottovalutare è anche la particolare attenzione per gli strumenti di comunicazione e per le nuove tecnologie. Già dal ’700 infatti la Compagnia di Gesù ha sfruttato dispositivi tecnologici (lanterna magica, camera obscura, etc.) al fine di impressionare e suggestionare i fedeli. Oggigiorno, più banalmente, i gesuiti sono molto presenti sul web e sui social network. Non a caso anche Bergoglio, oltre al profilo ufficiale su Twitter (@pontifex) inaugurato da Benedetto XVI, possiede un account su Facebook, molto utilizzato soprattutto durante gli anni in cui era cardinale. Dunque, nonostante Bergoglio rispecchi perfettamente il prototipo del gesuita, è possibile affermare che a caratterizzare la sua comunicazione non sia soltanto un’evidente e ricercata efficacia. Ciò che spicca maggiormente è semmai una consapevole semplicità. La stessa che gli è stata funzionale, durante la lunga attività pastorale, per confrontarsi con i poveri della sua città. Terzo ma non ultimo aspetto è rappresentato dalle origini argentine di Bergoglio; il fatto di provenire dal continente cattolico per eccellenza, infatti, ne fa il simbolo vivente della rinascita della Chiesa e di tutte le Chiese lontane da Roma. A fornire delle indicazioni precise su chi sia davvero Jorge Mario Bergoglio è l’intervista pubblicata il 19 Settembre 2013 da La Civiltà Cattolica. In una lunga conversazione con Antonio Spadaro è lo stesso Pontefice a fornire alcune indicazioni preziose sulla sua biografia e sul modo in cui questa influisca sul suo stile comunicativo. All’esplicita domanda «Chi è Jorge Mario Bergoglio?», il Pontefice risponde definendosi «un peccatore». Si tratta, senza dubbio, di una risposta spiazzante e volutamente provocatoria se pronunciata da un Papa. Allo stesso tempo però questa appare come una scelta coerente e in perfetta linea di continuità con la volontà di chiamarsi Francesco. Bergoglio infatti pare muoversi fin da subito su un territorio dicotomico. È questa una collocazione che gli consente di associare significati opposti entro un unico significante. Bergoglio dunque può essere Papa e Francesco, può essere Papa e peccatore, può essere – come afferma nelle pagine de La Civiltà Cattolica – «furbo» ed «ingenuo». Nel corso dell’intervista, Antonio Spadaro chiede poi quale siano le motivazioni che hanno spinto Bergoglio ad entrare nella compagnia di Gesù. Le risposte arrivano puntuali e dimostrano come il fatto di essere un gesuita sia una delle chiavi fondamentali per interpretarne la linea politico-programmatica del suo Papato e di conseguenza il modello comunicativo applicato. Dice Bergoglio: «Della Compagnia mi hanno colpito tre cose: la missionarietà, la comunità e la disciplina. Curioso questo, perché io sono un indisciplinato nato, nato, nato». Anche questa risposta diventa emblematica dal momento in cui mette in evidenza alcuni aspetti tipici del Papato, che come vedremo è certamente un Papato missionario, e della comunicazione verbale di Bergoglio spesso accompagnata dallo strumento retorico della ripetizione (nato, nato, nato). Sono queste due caratteristiche che ben si sposano in quanto l’una è funzionale all’altra. Come comunica Francesco Quello di Papa Francesco è dunque uno stile comunicativo profondamente innovativo e tipicamente postmoderno. Ciò è riconducibile ad almeno due caratteristiche fondamentali: l’essenzialità e la discontinuità con la recente tradizione. Ad oggi, infatti, ogni aspetto del suo pontificato può essere interpretato secondo queste due prospettive. Prima di Bergoglio nessuno si era chiamato Francesco. Prima di Bergoglio nessun Papa si era mai presentato alla Loggia Vaticana privo dei paramenti di rito. Prima di Bergoglio nessun Papa si era mai definito un peccatore. Sono questi alcuni gesti che, per quanto simbolici, sintetizzano la cifra espressiva di Papa Francesco e che costituiscono una vera e propria linea programmatica del suo Papato. Prima di analizzarne le parole e i gesti, al fine di verificare se le caratteristiche sopra citate costituiscano realmente i tratti distintivi della sua comunicazione, occorre però fare una breve riflessione sulla questione del genere discorsivo. I discorsi del Papa, infatti, non sono facilmente categorizzabili per almeno due ragioni. Innanzitutto perché non possono essere ridotti a discorsi di carattere esclusivamente religioso. Inoltre bisogna precisare che anche la comunicazione papale si caratterizza per delle varietà diafasiche determinate dal contesto e dalle finalità. I discorsi del Papa, infatti, possono essere altamente formali (si pensi alla cerimonia di insediamento, all’incontro con i capi di stato o con le altre istituzioni religiose, all’incontro con i cardinali, etc.) o relativamente formali (udienze generali, Angelus, incontro con i giornalisti, etc.). Si tratta in ogni caso di discorsi pubblici in cui a variare è il destinatario principale. Se, per esempio, in occasione dell’Angelus domenicale il destinatario privilegiato è il popolo dei fedeli, al contrario un discorso pubblico ai cardinali avrà come interlocutori primari non solo i cardinali stessi ma anche tutti “gli addetti ai lavori”. Difficilmente il Papa pronuncia discorsi informali, è la sua stessa carica ad impedirglielo. Basta ricordare che secondo il protocollo ecclesiale il Papa rappresenta il vicario di Cristo sulla terra. Ciò non esclude tuttavia che alcuni pontefici – come Giovanni Paolo II ma anche come Francesco – possano ricorrere talvolta a battute o a incisi che contribuiscono ad abbassare il livello di formalità del discorso pubblico. Ricorrendo alle categorie tipiche della politica – ma del resto anche il Pontefice è un politico in quanto capo dello Stato Vaticano – potremmo dire che i discorsi del Papa costituiscono una forma ibrida di discorso istituzionale. Essi infatti condividono col genere politico-istituzionale la valenza simbolico-rituale e il richiamo ai valori fondanti. Quella del Papa tuttavia è una strategia discorsiva che ha anche altri obiettivi; da un lato è tesa a fornire i fedeli di chiavi interpretative in merito a fatti e avvenimenti, dall’altro compie un vero e proprio sforzo di evangelizzazione riservato soprattutto ai non credenti. Appare dunque evidente che si tratta di discorsi carichi di finalità persuasive. Necessita un’analisi a sé stante invece la varietà linguistica utilizzata dal Papa. Si tratta di una lingua che sta a metà tra un livello specialistico, caratterizzato da un’importante nomenclatura di derivazione latina, e uno settoriale, contrassegnato invece dal prelievo e dalla risemantizzazione di alcuni termini appartenenti al lessico comune. In entrambi i casi, quella del Papa è comunque una lingua che possiede un nucleo di base specifico che determina la sua riconoscibilità. Molto dipende inoltre dalle caratteristiche personali di un Pontefice. Un breve confronto tra Francesco e Benedetto XVI mostra, ad esempio, come tra i due esistano delle differenze sostanziali. Nonostante entrambi siano parlanti non italofoni, i due pontefici hanno una variante romanza di riferimento diversa. Ratzinger è un parlante nativo germanico che probabilmente, nonostante una consolidata conoscenza dell’italiano dovuta al fatto che ha speso buona parte della sua vita a Città del Vaticano, tende a prendere la lingua latina come modello di riferimento. Bergoglio, invece, è un parlante nativo ispanico; ciò certamente gli consente di avere una maggiore padronanza dell’italiano e di operare consapevolmente delle scelte di registro adeguate ad ogni occasione. Non bisogna sottovalutare inoltre i retaggi professionali; mentre Ratzinger è stato un raffinato teologo, Bergoglio, al contrario, è stato soprattutto un Vescovo. I discorsi e i gesti di Papa Francesco Uno studio sulla comunicazione di Papa Francesco non può prescindere dall’analisi della strategia comunicativa da lui adottata. Ogni parola e ogni gesto, a partire dall’ormai celeberrimo Buonasera, fino al recente invito ad assumere la Misericordina, vanno interpretati come i tasselli fondamentali di un modello che ha come fine ultimo quello del superamento della distanza tra l’emittente-Chiesa e il destinatario-Popolo. Proprio perché ogni discorso è intriso della logica del riavvicinamento sarà necessario soffermarsi sugli aspetti retorici, sulla prossemica e sulle forme di comunicazione non verbale, ovvero su tutti quegli aspetti che annullano la fugacità della parola orale rendendola memorabile. Nell’arco dei nove mesi di pontificato Papa Francesco ha ormai pronunciato moltissimi discorsi tuttavia gli aspetti maggiormente significativi della sua comunicazione possono essere individuati già a partire alla sua prima apparizione in occasione della Benedizione Urbi et Orbi. In quella circostanza, a colpire l’opinione pubblica e i media furono soprattutto il ricorso a un linguaggio semplice e l’utilizzo di alcune formule discorsive divenute poi il “marchio di fabbrica” dello stile Francesco. A distanza di qualche mese è dunque possibile affermare che Bergoglio, con le sue prime parole, abbia voluto illustrare al mondo il programma in nuce del suo Pontificato sfruttando a pieno quello che gli psicologi sociali chiamano e ffetto primacy. Francesco inaugura il suo primo discorso ai fedeli con un inaspettato Buonasera, proponendo fin da subito quella forma di saluto che diventerà l’incipit e l’elemento di riconoscibilità di tutti i suoi interventi pubblici. Appare subito evidente come la retorica del Papa sia basata su alcune caratteristiche ben precise: a testimonianza di una filosofia di vita basata sull’umiltà (non a caso la scelta di chiamarsi Francesco) e della volontà di ridurre le distanze con il popolo cristiano, Bergoglio sceglie di non riferirsi mai a sé stesso definendosi Papa bensì utilizza la perifrasi sinonimica Vescovo di Roma. Una delle figure retoriche più usate da Bergoglio la sera del 13 Marzo 2013 è quella della ripetizione; attraverso questa soluzione il neo eletto Papa Francesco realizza, infatti, alcuni obiettivi specifici: crea un climax ascendente, ribadisce alcuni concetti fondamentali, produce un ritmo funzionale all’efficacia del suo discorso. Tutto ciò è inoltre accompagnato dalla scansione decisa di alcune parole e da opportune variazioni prosodiche capaci di restituire ai destinatari un certo pathos. Ciò è evidente soprattutto in alcuni passaggi; si pensi, ad esempio, ai momenti in cui il Papa ricorda il suo predecessore («Il Signore lo benedica») oppure quando invita i fedeli a pregare per lui («Ma prima vi chiedo un favore»). Un elemento particolarmente interessante è il ricorso alla deissi spaziale in riferimento alla propria provenienza («Sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo»). Bergoglio, infatti, pare dare per scontato che tutti i fedeli presenti in Piazza San Pietro conoscano la sua nazionalità. È poi l’utilizzo di un’altra deissi a consentire a Francesco di annullare immediatamente l’apparente inconciliabilità tra la fine del mondo e Roma; con poche parole, attraverso il ricorso all’avverbio «qui», Bergoglio introduce immediatamente due dei temi maggiormente significativi nella suo Papato: il riavvicinamento (dei fedeli) e lontananza (delle Chiese del mondo). Attraverso questa strategia comunicativa, infatti Francesco dichiara di volersi occupare sia di Roma («qui») sia delle Chiese lontane da Roma («alla fine del mondo»). Altro elemento riscontrabile nelle prime parole di Francesco è una ragionata coerenza discorsiva: ciò accade sia quando si riferisce a Benedetto XVI definendolo Vescovo emerito (così come aveva definito sé stesso Vescovo di Roma) sia quando, in piena continuità col saluto iniziale, si congeda dai fedeli augurando loro Buonanotte. Si tratta di una coerenza ben ragionata in funzione della quale Bergoglio decide di correre persino qualche rischio. Si pensi, per esempio, alla scelta di recitare le preghiere in lingua italiana. Ciò ha portato inevitabilmente il Pontefice a dimenticare alcune parole ma gli ha concesso, allo stesso tempo, di proporsi immediatamente come il Vescovo di Roma. Per quanto riguarda le caratteristiche non verbali, in occasione della sua prima apparizione pubblica, Papa Francesco non esplicita del tutto le sue grandi doti comunicative. Per lunghi tratti del discorso, probabilmente a causa della forte emozione, Bergoglio rimane a tratti immobile. L’attitudine a “parlare con i gesti”, che risulterà incontenibile in altre occasioni, tuttavia non è del tutto assente. Anche se sotto traccia, alcune caratteristiche della comunicazione non verbale emergono già la sera del 13 Marzo. È immediatamente riscontrabile, per esempio, il fatto che il Papa tenda ad accompagnare le parole più significative con la sua gestualità; ciò non solo contribuisce a una maggiore comprensibilità del messaggio ma consente anche di scandirne il ritmo e di rendere vive e visibili tutte le immagini evocate. Francesco infatti riproduce con le mani la distanza che separa Roma dal suo paese, disegna la forma del mondo, simula il movimento di un cammino da percorrere insieme. Le braccia alzate poi, segnano (e segnalano) il momento più importante del discorso; vengono utilizzate infatti, per catturare l’attenzione, poco prima della richiesta, avanzata ai fedeli, di pregare per il loro nuovo Vescovo. Anche a livello prossemico, Francesco si sforza di gestire lo spazio avvicinandosi quanto più possibile ai fedeli; non a caso si inchina verso la piazza per ricevere la preghiera e si sporge dalla loggia per ammirare la folla. Anche nel momento del saluto, infine, il Papa china il capo verso Piazza San Pietro. Così facendo compie un gesto di rispetto verso quello che è, a tutti gli effetti, il coprotagonista (il secondo participants) della situazione comunicativa. Oltre ai gesti e alle parole a destare un grande interesse è stata l’immagine del Pontefice. Non solo perché più vicino fisicamente all’immagine stereotipica di un Papa (molti hanno evidenziato una certa somiglianza con Giovanni XXIII), ma anche perché effettivamente Bergoglio rompe la tradizione non rispettando l’etichetta che il cardinale appena eletto deve seguire. Ha colpito così l’assenza della stola rossa (indossata solo durante la benedizione Urbi et Orbi) e anche la scelta di mantenere la croce di ferro personale rinunciando a quella dorata tipica del Pontefice. Si tratta ancora una volta di una strategia di estrema coerenza per chi, come Bergoglio, ha deciso di chiamarsi Francesco. Insieme alla prima apparizione pubblica, l’incontro con i giornalisti del 16 Marzo 2013, è l’evento che meglio racconta lo stile comunicativo e il progetto politico di Papa Francesco. In occasione dell’udienza nell’Aula Paolo VI, i circa seimila giornalisti partecipanti hanno potuto assistere a un piccolo compendio del modo di comunicare del Vescovo di Roma. Si tratta infatti di un discorso tenuto all’insegna della semplicità e impreziosito da un umorismo coinvolgente capace di affascinare ogni ascoltatore. Ciò ha naturalmente ridotto il livello di formalità, richiesto dalle circostanze, permettendo a tutti di conoscere importantissimi particolari riguardo alla scelta di Bergoglio di chiamarsi Francesco. Per raccontare le motivazioni che lo hanno portato alla scelta del nome, il Papa ricorre a un’argomentazione dettagliata e particolarmente avvincente. Ecco così che il ritratto di San Francesco d’Assisi («L’uomo della pace, l’uomo della povertà, l’uomo che ama e custodisce il creato») diventa la sintesi del suo progetto politico-religioso. Tuttavia, nel discorso ai giornalisti, a colpire è soprattutto il modo in cui Bergoglio utilizza lo strumento dell’aneddoto; questo diviene la chiave attraverso la quale realizzare un duplice obiettivo: attirare l’attenzione del pubblico e illustrare in maniera semplice ed evocativa il programma del suo ministero «Io vi racconterò la storia» diviene così l’incipit perfetto per una narrazione efficace ed evocativa. A dare enfasi al discorso è inoltre la drammatizzazione dei dialoghi. Bergoglio infatti mette in scena le conversazioni avvenute prima con il cardinale Hummes («Non ti dimentichi dei poveri») e poi con gli altri cardinali («Tu dovresti già chiamarti Adriano»; «Il tuo nome dovrebbe essere Clemente»). Con una spiccata capacità attoriale Bergoglio, infatti, riporta le parole dei suoi interlocutori riproducendone il tono e l’espressività. Altra caratteristica che emerge in occasione del discorso ai giornalisti è il gusto per l’umorismo; ciò è riscontrabile soprattutto nel racconto degli episodi che hanno caratterizzato il Conclave. Francesco, ancora una volta, si dimostra capace, con un notevole senso teatrale, sia di divertire i suoi spettatori («Così te vendichi contro Clemente XV») sia di indurli alla riflessione («Ah come vorrei una Chiesa povera e per i poveri»). A livello retorico, anche in questa occasione, è presente il ricorso alla ripetizione («un grande amico, un grande amico»; «i poveri, i poveri».), elemento che insieme ai gesti e alle variazioni prosodiche, dà ritmo al discorso. A differenza della prima apparizione pubblica, il 16 Marzo 2013, le caratteristiche non verbali di Papa Francesco appaiono meno controllate e decisamente più efficaci. Emerge soprattutto una spiccata gestualità che contribuisce sensibilmente al buon esito della sua comunicazione. La mimica evidenzia i passaggi più importanti della narrazione rendendola indimenticabile (ad esempio quando si tocca la fronte mentre dice: «E quella parola è entrata qui. I poveri, i poveri»). Persino i fogli, che Francesco tiene in mano, diventano uno strumento comunicativo; questi infatti vengono utilizzati come la bacchetta del direttore d’orchestra e contribuiscono alla scansione del ritmo del discorso. Le caratteristiche che contraddistinguono lo stile comunicativo del Papa, ben distinguibili dall’analisi dei due discorsi sopra citati, ricorrono tuttavia anche in altre occasioni. A queste poi se ne affiancano delle altre sia a livello verbale si a livello non verbale. È possibile affermare che, dal punto di vista verbale, la comunicazione di Papa Francesco si distingue fondamentalmente per una retorica evocativa impreziosita da elementi quali la ripetizione, il ricorso agli aneddoti, l’uso di formule ricorrenti e il gusto per l’umorismo. L’unicità dello stile di Bergoglio tuttavia sta nel fatto che queste caratteristiche ritornano in ogni contesto: dalle situazioni altamente formali a quelle relativamente formali. Oltre alle formule di saluto e all’utilizzo allo strumento della ripetizione – foriere di ritmo, musicalità e riconoscibilità – l’elemento più interessante è quello del ricorso agli aneddoti e alle metafore. Entrambi questi espedienti retorici, presenti nel repertorio dei più abili comunicatori, restituiscono un’idea precisa del progetto comunicativo di Papa Francesco. Non bisogna mai dimenticare infatti che la consolidata esperienza pastorale ha fatto di Bergoglio un uomo capace di ascoltare e per tanto capace di parlare a tutti. Nella sua narrazione, il Papa, attinge a piene mani da un patrimonio familiare e popolare. L’incontro con una anziana donna o i ricordi legati alla propria infanzia diventano così il veicolo che lo avvicina al popolo. Gli aneddoti, i racconti riportati o le metafore semplificano dunque ulteriormente il messaggio evangelico, lo radicalizzano e fanno in modo che questo possa conquistare (o riconquistare) i credenti, i laici e i media. Si tratta di un processo di normalizzazione della comunicazione papale, per troppo tempo, rimasta ancorata ai precetti teologici ufficiali. In tal senso è possibile citare il modo in cui Bergoglio racconta, nell’intervista a La Civiltà Cattolica, la sua idea di santità. In un passaggio particolarmente intenso egli dice: Io vedo la santità nel popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati, i preti anziani che hanno tante ferite ma che hanno il sorriso perché hanno servito il Signore, le suore che lavorano tanto e che vivono una santità nascosta. Questa per me è la santità comune. La santità io la associo spesso alla pazienza: non solo la pazienza come hypomoné, il farsi carico degli avvenimenti e delle circostanze della vita, ma anche come costanza nell’andare avanti, giorno per giorno. Questa è la santità della Iglesia militante di cui parla anche sant’Ignazio. Questa è stata la santità dei miei genitori: di mio papà, di mia mamma, di mia nonna Rosa che mi ha fatto tanto bene. Nel breviario io ho il testamento di mia nonna Rosa, e lo leggo spesso: per me è come una preghiera. Lei è una santa che ha tanto sofferto, anche moralmente, ed è sempre andata avanti con coraggio. Ancora una volta Papa Francesco associa immagini, idee e precetti apparentemente opposti. Mette insieme santità e quotidianità, il testamento di sua nonna Rosa e le preghiere, le difficoltà ed il coraggio. È grazie a questa retorica dicotomica, che attinge alla stessa maniera dalla tradizione alta e da quella bassa, che il Papa realizza il suo progetto comunicativo; un progetto finalizzato non solo al riavvicinamento (del popolo nei confronti della Chiesa e delle Chiese periferiche nei confronti di quella centrale) ma soprattutto al superamento dell’ossimoro Papa/Francesco ovvero di quella curiosa e brillante idea che mette insieme il capo dello stato Vaticano al santo della povertà. Tra le metafore utilizzate da Bergoglio quelle maggiormente convincenti riguardano la Chiesa e la sua mission. Nella conversazione con Antonio Spadaro, il Papa dice: Questa Chiesa con la quale dobbiamo “sentire” è la casa di tutti, non una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate. Non dobbiamo ridurre il seno della Chiesa universale a un nido protettore della nostra mediocrità. E la Chiesa è Madre. La Chiesa è feconda, deve esserlo. Vedi, quando io mi accorgo di comportamenti negativi di ministri della Chiesa o di consacrati o consacrate, la prima cosa che mi viene in mente è: “ecco uno scapolone”, o “ecco una zitella”. Non sono né padri, né madri. Non sono stati capaci di dare vita. Invece, per esempio, quando leggo la vita dei missionari salesiani che sono andati in Patagonia, leggo una storia di vita, di fecondità. Qui i riferimenti sono nuovamente attribuibili all’idea della casa e della famiglia quali nucleo centrale ed originario della vita umana e quindi anche della vita della principale istituzione religiosa del cristianesimo. Altri elementi che arricchiscono lo stile discorsivo e la narrazione di Bergoglio sono il gusto per l’umorismo e il ricorso all’enfasi. Si tratta di elementi che, insieme a tutte le dinamiche prossemiche e cinesiche, rendono ecfrastica la sua comunicazione. Per spiegare meglio questi aspetti è possibile citare alcuni esempi; in occasione del suo primo Angelus, la mattina del 17 Marzo 2013, Bergoglio fu capace di divertire i suoi ascoltatori con un inciso riguardante un libro del cardinale Kasper. Durante il suo discorso diceva: «In questi giorni ho potuto leggere un libro. Di un cardinale, il cardinale Kasper, un teologo in gamba, eh, un buon teologo. Sulla misericordia. E mi ha fatto tanto bene quel libro – ma non credete che faccio pubblicità ai libri dei miei cardinali, eh?». Anche in questo caso è proprio il gioco dei contrasti a restituire l’umorismo; è infatti l’idea che un Papa possa diventare, esplicitamente e consapevolmente, testimonial di un libro a divertire lo stesso Bergoglio e tutti i fedeli presenti. Un esempio che riguarda invece la comunicazione enfatica è rintracciabile nel discorso tenuto in occasione della veglia di Pentecoste, il 18 Maggio 2013. Il Papa, a proposito della crisi finanziaria dice: «Questo succede oggi: se gli investimenti nelle banche calano un po’: tragedia; come si fa? Ma se muoiono di fame le persone, se non hanno da mangiare, se non hanno salute, non fa niente! Questa è la nostra crisi di oggi! E la testimonianza di una Chiesa povera per i poveri va contro questa mentalità». Quello appena citato rappresenta un esempio particolarmente significativo non solo perché in quell’occasione il Papa dimostrò un vigore espressivo che fino a quel momento non era venuto fuori e che pareva non appartenergli completamente (a differenza invece di quanto accadeva con altri Papi, Giovanni Paolo II su tutti) ma anche perché è diventato uno dei passaggi maggiormente ricordato nella memoria collettiva tanto da essere citato, più o meno testualmente, da Barak Obama in occasione di un discorso sulla disuguaglianza economica tenuto il 4 Dicembre scorso. La vera prerogativa della comunicazione di Bergoglio, tuttavia, non è esclusivamente riconducibile alle sue capacità retoriche. Ad assumere un ruolo predominante è soprattutto la dimensione non verbale. Con questa non si intendono solo i gesti che accompagnano i discorsi, l’aspetto cinesico o la prossemica; ci si riferisce bensì a tutte quelle azioni che Papa Francesco ha compiuto nella dimensione più pubblica del suo pontificato. Non bisogna mai dimenticare il fatto che, attraverso la comunicazione, Francesco mette in atto una strategia che ha come obiettivo quello di riavvicinare la gente alla Chiesa. Il Papa diviene così veicolo reale dell’evangelizzazione e fornisce di sé stesso un’immagine di speranza e umiltà che risulta potentissima nell’era post-moderna. In un periodo in cui ad affermarsi sono soprattutto le verità estetiche la diffusione del messaggio evangelico infatti, non può che passare da una piano di spettacolarizzazione. I gesti di Papa Francesco, nonostante siano passati solo pochi mesi, costituiscono già capisaldi della cultura visiva del Ventunesimo Secolo. Così come lo furono in passato le braccia spalancate di Pio XII tra la folla di San Giovanni (il 13 Agosto 1943), oppure il discorso di Giovanni Paolo II dalla Valle dei Templi (il 9 Maggio 1993), le immagini di Bergoglio insieme a Benedetto XVI così come quelle a Lampedusa o durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro assumono il valore di frames cognitivi che ci consentono di interpretare la nostra epoca. Le azioni di Bergoglio inoltre assolvono anche la funzione di monitorare e mantenere coerente la linea programmatica scelta con l’assunzione del nome Francesco. Ecco così che – giusto per riportare qualche esempio – il rifiuto dei paramenti in oro, la scelta di proporsi come primus inter pares al cospetto con i suoi cardinali, i continui bagni di folla contribuiscono al mantenimento dell’immagine francescana del Papa favorendo, allo stesso tempo, la fidelizzazione di fedeli, non fedeli e media nei suoi confronti. Papa Francesco e i media, tra luci e ombre Ogni Papa, che sia destinato a guidare la Chiesa di Roma a lungo o ad avere un ruolo di transizione, vedrà sempre puntati su di sé tutti i riflettori del mondo. La sua immagine verrà trasmessa su tutti i canali e su di lui si scriveranno fiumi di inchiostro, sin dalla sua prima apparizione. Nel caso di Bergoglio tutti questi aspetti hanno assunto una portata eccezionale per innumerevoli motivi. Bisogna ricordare, infatti, che l’attenzione mediatica – almeno in un primissimo momento – è stata dovuta quasi esclusivamente alle storiche ragioni che hanno portato al Conclave del 2013. Tuttavia così come per l’analisi dello stile comunicativo (verbale e non verbale), per comprendere a pieno il modo in cui media stanno gestendo le informazioni sull’attuale pontificato, occorre ricostruire il racconto dell’elezione e dei primi giorni da Papa di Jorge Mario Bergoglio. Superata la curiosità per le dinamiche del Conclave ed esaurite le ipotesi su chi potesse essere il successore di Benedetto XVI, il primo vero impatto di Bergoglio con i media è stato dato dall’inaspettata scelta del nome Francesco. A partire da questa si sono susseguiti una serie di commenti ed interpretazioni che hanno fatto leva sui tratti distintivi del primo Papa argentino e gesuita. Un altro aspetto su cui si sono concentrati molto i quotidiani nazionali ed internazionali è stato quello relativo alle prime parole pronunciate da Bergoglio subito dopo la sua elezione. Queste, insieme ad alcuni passaggi della sua biografia, sono diventate le passwords che hanno permesso ai media di realizzare un ritratto significativo del nuovo Papa .Oltre all’eccezionale incipit del primo discorso di Papa Francesco, a colpire i media è stato soprattutto l’utilizzo, ritenuto inedito, della perifrasi Vescovo di Roma. A soffermarsi su questo aspetto fu soprattutto il Corriere della Sera, che nell’edizione del 14 Marzo 2013, sottolineava la portata rivoluzionaria di una tale scelta comunicativa. Secondo Aldo Cazzullo, nel suo articolo “Ora pregate per me”, i segnali innovativi erano già visibili dal modo in cui il Papa decideva di presentarsi al mondo. Il giornalista, infatti, all’indomani dell’elezione, parla della rivoluzione simbolica operata dalle azioni di un pontefice che decide di affacciarsi dalla loggia vaticana privo della classica mozzetta rossa, che per tutto il suo primo discorso non si definisce mai Papa e che si inchina davanti ai suoi fedeli. Secondo Cazzullo i gesti di Papa Francesco altro erano che azioni coerenti con lo stile di vita esercitato durante gli anni da cardinale, quando Bergoglio si spostava in autobus, viveva in un piccolo appartamento e chiedeva ai fedeli di Buenos Aires di donare i soldi raccolti per una festa in suo onore in favore dei più poveri. Ancora sul Corriere del 14 Marzo, Luigi Accattoli evidenziava inoltre come anche Benedetto, che ha scelto di chiamarsi Papa emerito, venisse definito da Francesco Vescovo emerito. Il giornalista Accattoli raccontava inoltre alcune indiscrezioni sul Conclave del 2005. Nell’articolo “Il Gesuita col Saio” a proposito del passo indietro operato da Bergoglio che consentì l’elezione del cardinale Ratzinger, scrive: «Otto anni dopo è l’eletto di allora a rinunciare e tocca al primo rinunciatario prendere il suo posto: una vicenda parabolica che di sicuro tiene in sé molti significati». Anche le origini italiane di Bergoglio sono state oggetto di narrazione da parte dei giornali. Il profilo del Papa tracciato da Avvenire, per esempio, non solo ricordava le radici piemontesi del pontefice ma in un certo senso faceva di queste un elemento di continuità con un altro gesuita illustre come Carlo Maria Martini (“Gesuita mite e umile figlio di italiani andati in Argentina” di Geninazzi e Rizzi). La notizia dell’elezione del Papa non è stata accolta solo dai giornali ma anche e soprattutto dalle televisioni che hanno seguito costantemente l’evento sin dalle prime ore del Conclave. Oltre alla cronaca e ai commenti di tutte le televisioni all news (RaiNews24, Sky Tg24, etc. ) e dei telegiornali, ad occuparsi di questo evento furono anche le trasmissioni di intrattenimento (Pomeriggio Cinque, La vita in diretta, Le Invasioni Barbariche, etc). Queste hanno subito ripreso le parole chiave del primo discorso del Papa trasformandole in un vero e proprio tormentone televisivo. Noti anchorman televisivi, ad esempio, esordirono nelle loro trasmissioni con un caloroso “Buonasera” rivolto ai telespettatori e al nuovo Pontefice. Molti commentatori inoltre decisero di cavalcare l’onda dello stupore suscitata dalla scelta del nome interrogandosi sul suo significato profondo ed aprendo curiosi dibattiti sull’uso di primo (I) da affiancare a Francesco. Particolarmente curiose le definizioni attribuite al Papa nella trasmissione Mattino Cinque, dove alcuni commentatori si spinsero a definire Bergoglio addirittura come un «Papa figo». L’elezione di Bergoglio tuttavia non è stata accompagnata solo da commenti curiosi ed entusiastici. Essa, infatti, ha scatenato moltissime critiche che hanno assunto immediatamente una risonanza non indifferente. Ecco dunque che l’ipotetica notizia della vicinanza del neo-Papa al regime di Videla, cominciò ad occupare, già dal giorno successivo all’elezione, le colonne dei più importanti quotidiani del mondo. Il New York Times sottolineava così come il pontefice fosse stato «accusato di essere a conoscenza degli abusi della Sporca Guerra e di non aver fatto abbastanza per fermarli». In Gran Bretagna, invece, il Times lanciava il proprio dubbio in prima pagina titolando: «L’amico dei poveri che era anche a suo agio con i dittatori». In realtà, già subito dopo l’Habemus Papam, il regista americano Michael Moore su Twitter aveva postato la foto di un presunto Bergoglio, ritratto di spalle, mentre somministra la comunione a Videla. Fu poi lo stesso Moore, qualche ora dopo, a smentire – sempre con un cinguettio – l’autenticità della foto. In Italia la notizia venne riportata con particolare attenzione da Il Manifesto. Il corrispondente del quotidiano da Buenos Aires, Filippo Fiorini, nell’articolo intitolato “Quando guidava la chiesa argentina torture e morte per i preti del popolo” scriveva: Aveva mancato di un soffio l’ultimo conclave, ma non ha sbagliato quello di ieri, l’uomo che oggi il mondo conosce come Francesco I. Tuttavia, dietro a quel nome che sbandiera un voto di povertà, ce n’è un altro, Jorge Mario Bergoglio, che proprio nel suo rapporto con i poveri nasconde quello che per alcuni è il suo peccato più grave. Nel libro El Silencio, l’intellettuale e giornalista argentino Horacio Verbitsky racconta che quando a Buenos Aires correvano i tempi della dittatura militare, i generali al governo, per lo più intenti a sterminare gli oppositori politici, si resero conto della presenza scomoda di alcuni preti che passavano le loro giornate nelle baraccopoli. Davanti alla fame e l’ignoranza del loro gregge, questi sacerdoti mandati nelle chiese a cielo aperto della città di lamiere, avevano compiuto il gesto rivoluzionario di affiancare alla messa anche qualche corso d’istruzione elementare e qualche pentolone da cui chiunque potesse mangiare. Un fatto di per sé innocente, non fosse che queste azioni venivano compiute alla luce della Teologia della liberazione, quell’idea strana che mette nel frullatore il Vangelo di San Matteo e il Capitale di Carlo Marx, tirandone fuori una guida all’azione che non proibisce l’uso combinato di pistole e crocefissi. I generali, guidati in quel momento da Jorge Rafael Videla, pensarono che la pratica fosse controproducente: i poveri è meglio che restino poveri e ignoranti, sia mai che si accorgano di essere sfruttati e decidano di rovesciare il governo. La Curia argentina, d’altra parte, che già all’epoca era guidata da Bergoglio, si trovò d’accordo: andava bene tutto, ma i preti comunisti proprio no. Fu così che, sempre secondo le testimonianze raccolte ne El Silencio, iniziarono le intimidazioni e le minacce da parte della Casa Rosada e della Chiesa nei confronti dei missionari delle baraccopoli. Don Yorio, don Jalics, don Douron e don Rastellini furono prima accusati di essere fiancheggiatori della guerriglia, poi sequestrati, portati in un campo di concentramento e torturati per giorni. Due di loro sopravvissero, mentre altri due no. Nel suo articolo Fiorini faceva ricorso ad una argomentazione inequivocabilmente esplicita. Bergoglio, già a partire dal titolo (“Quando guidava la chiesa argentina torture e morte per i preti del popolo”), veniva presentato come uno dei responsabili comprovati degli abusi commessi dal regime di Videla. La notizia che altri media raccontano come una verità presunta diventava così, per Fiorini, una verità incontrovertibile. Non stupisce invece il fatto che Avvenire non avesse neppure lontanamente accennato a tale vicenda. Al contrario, il quotidiano dei Vescovi si concentrava in maniera approfondita sulla cronaca dell’attività pastorale del cardinale Bergoglio (“Don Jorge: il cardinale dei poveri e delle Villas Miserias” di Lucia Capuzzi). A prescindere dal racconto del “lato oscuro” di Francesco, ad avere una posizione deliberatamente polemica fu ancora Il Manifesto. Il giornale infatti esordiva in prima pagina con un pungente “Non è Francesco”. Oltre a richiamare le parole di una celebre canzone di Lucio Battisti, il titolo sembrava voler allentare l’entusiasmo per l’elezione di un pontefice che non poteva (e non potrà mai essere) associato al “poverello d’Assisi”. Nelle pagine dedicate al Papa, si parlava inoltre di sorpresa ma non di novità; il chiaro riferimento era al Conclave del 2005 in occasione del quale Bergoglio era stato il principale avversario di Ratzinger. Esaurite le curiosità e le polemiche per l’elezione del primo Papa latinoamericano, a distanza di qualche settimana i media hanno cominciato ad analizzare ancor più attentamente la comunicazione del pontefice, arricchita intanto da gesti e azioni altamente simboliche. Sul Fatto Quotidiano del 14 Aprile Francesco Antonio Grana scriveva: «A un mese dalla sua elezione Papa Bergoglio sta prendendo confidenza con il suo nuovo ‘habitat’. Lui che non ha mai vissuto nella Curia romana e che era venuto al conclave con in tasca il biglietto aereo low cost per poter ritornare nella sua Buenos Aires in tempo per la settimana santa, si ritrova circondato dall’opulenza dello stato più piccolo del mondo. Quarantaquattro ettari che a Bergoglio stanno stretti. Rivoluzionario fin da subito: rifiuta la croce d’oro, l’auto d’ordinanza targata SCV1, gli abiti e i paramenti ricercati e antiquati, e, persino, l’appartamento pontificio al terzo piano del Palazzo Apostolico». Ancora sulla comunicazione di Bergoglio, Paolo Gambi in un articolo del 24 Aprile su Huffington Post parlava del reality show di Papa Francesco: «Tutti lo vedono, tutti gli occhi – dei vescovi, dei preti, dei fedeli – sono fissi su di lui. Grazie ai media. E lui ha scelto di comunicare così: con la concretezza dell’azione che passa dalle tv, dai giornali e da internet. Quasi a dire: io sono il vescovo (di Roma), un vescovo si comporta così. Chi vuole si adegui. E chi non vuole faccia poi i conti con i fedeli che gli chiederanno conto avendo avuto come prototipo di vescovo quello di Roma. Questo è il “reality show” di Papa Francesco. Una trasmissione che va in onda su tutti i media del mondo e che racconta la quotidianità di un vescovo che si è trovato a fare il Papa». Nonostante in un primo momento siano emersi due partiti mediatici opposti, è possibile notare come progressivamente gli organi di informazione stiano contribuendo alla costruzione di una vera e propria mitologia su Papa Francesco. Bergoglio viene sempre più raccontato come un pontefice carismatico, mediatico ed estremamente sociale: immerso tra la gente e impegnato in gesti e parole “straordinarie”. Come non citare ad esempio la presunta notizia, riportata il 20 Maggio 2013 dai maggiori quotidiani italiani, di un esorcismo compiuto in pubblico. A nove mesi dall’inizio del pontificato appare evidente come l’affermazione di una narrazione cerimoniale e a tratti propagandistica vada attribuita quasi totalmente alle grandissime capacità comunicative di Papa Francesco. Con i suoi gesti, con le sue parole e con le sue azioni mediatiche (dai tweet alle lettere, passando per le telefonate), Bergoglio è riuscito a imporsi come uno dei principali attori della comunicazione globale. Interprete di un modello comunicativo multitasking, Papa Francesco è il vero demiurgo della comunicazione del Vaticano e sul Vaticano all’interno della quale i media diventano solo uno strumento funzionale ad una narrazione ampiamente pianificata. Per comprendere meglio questo discorso basta citare due esempi, molto diversi tra loro, di come la figura di Papa Francesco sia diventata parte indissolubile del sistema mediatico. Il primo esempio riguarda i dati Auditel di TV2000. In occasione della visita ad Assisi di Bergoglio, la televisione Vaticana è stata la più seguita tra le tv non generaliste. Il secondo esempio riguarda invece il programma di intrattenimento Le Iene che, nella puntata del 22 Ottobre 2013, durante la trasmissione di un servizio su un caso di violenza sessuale operato da un sacerdote nei confronti di una minorenne lanciava un hashtag (#papaascoltaerik) da diffondere sui social network, al fine di recapitare la triste vicenda umana della ragazza direttamente al Papa. Ecco che così i media supportano e diventano parte della narrazione di (e su) Francesco. Una narrazione assolutamente inedita che si differenzia sia da quella wojtyliana, la cui sintesi era rappresentata dalla fisicità (prima dirompente e poi precaria), sia da quella di Ratzinger, partita sottotono e compromessa da gaffes e dallo scandalo Vatileaks. Conclusioni Trarre le conclusioni da un’analisi sulla comunicazione di Papa Francesco è un’operazione particolarmente complicata. Lo è poi ancor di più se si pensa che dall’inizio del suo Pontificato è trascorso meno di un anno. Si tratta infatti di effettuare delle considerazioni basandosi su un numero di discorsi, di azioni e di gesti che, seppur numerosi e altamente simbolici, una volta sviscerati non esauriscono dubbi e curiosità su un personaggio così complesso. Restano aperte molte domande infatti su un Papa che ha reso il mezzo un vero e proprio messaggio; Bergoglio è e verrà ricordato come un comunicatore che ha scelto di diffondere il suo progetto politico in maniera trasversale. Ecco così che la conversazione epistolare con Eugenio Scalfari, dichiaratamente ateo ma attento alle questioni religiose, diventa il veicolo che consente contestualmente di dialogare senza rinunciare alle proprie identità, diffondendo il proprio manifesto teologico. Ciò che colpisce di Bergoglio è proprio l’adattabilità alle più disparate situazioni comunicative e la ricerca, andata finora sempre a buon fine, di chiavi discorsive efficaci. Bergoglio infatti riesce a trasformare le parole in immagini attraverso uno stile – verbale e non verbale – che attinge a piene mani dalla tradizione teologica e da quella pop, da Bob Dylan (si pensi all'analogia tra la prima parte di Masters of War e il discorso contro i venditori di armi tenuto in occasione della veglia per la pace il 7 Settembre scorso) e dal Vangelo. Per cogliere e sottolineare i tratti distintivi dello stile comunicativo di Papa Francesco è necessario operare un confronto con la comunicazione dei suoi predecessori più recenti. Un paragone con Ratzinger, per esempio, lascia emergere come la vera forza del nuovo Pontefice sia la comunicazione non verbale. È questa infatti che rende espliciti i contenuti dei suoi messaggi: sintetizzandoli e riducendoli a pratiche pragmatiche. In questo raffronto bisogna tenere a mente che quella di Bergoglio tuttavia non è solo una comunicazione non verbale di tipo didascalico; essa rappresenta soprattutto un modello funzionale al superamento di tutti quegli ostacoli che hanno segnato una perdita esponenziale di consensi e che sono stati accentuati dal fallimento comunicativo di Ratzinger. In questo scenario, dunque, la comunicazione di Bergoglio appare come un efficace strumento di dissimulazione. Uno modo di comunicare modernissimo dietro al quale si nascondono posizioni teologiche e filosofiche deliberatamente moderate e non troppo distanti da quelle di Benedetto XVI. A Bergoglio sarà apparso inevitabile così assumere come modello, rivedendolo e riattualizzandolo, Karol Wojtyla, un altro abile comunicatore. Ciò è evidente sotto diversi punti di vista: nella riproposizione di alcune sue parole (Vescovo di Roma, venuto da Lontano, etc.); nella ripresa di alcune azioni, come i bagni di folla o le relazioni dirette con i media (si pensi alla telefonata di Giovanni Paolo II alla trasmissione Porta a Porta); nel ritorno ad alcuni temi come, ad esempio, il perdono, l’invito alla conversione rivolto ai mafiosi, la misericordia e la vocazione mariana. Altro elemento che accomuna Bergoglio a Wojtyla, anche se un po’ meno dirompente, è l’enfasi discorsiva. Entrambi, infatti, hanno dimostrato di poter essere forti, decisi o divertenti a seconda delle situazioni, a differenza di Ratzinger sempre monocorde sia che parlasse con dei bambini sia che pronunciasse un discorso contro l’olocausto. È per tutte queste ragioni che la comunicazione di Bergoglio, seppur con alcuni tratti di continuità, rappresenta una cesura con il passato. Non è casuale dunque che ogni discorso che egli pronuncia risulti inedito anche se non del tutto originale. Elemento fondamentale della comunicazione di Francesco è inoltre il tentativo (certamente riuscito) di superare l’ossimoro “Papa+Francesco”. Quelli che per millenni sono apparsi come due nomi profondamente in disaccordo, con Bergoglio, diventano il punto di forza di un progetto politico. Dal punto di vista prettamente comunicativo dunque quella di Bergoglio è certamente un’operazione ineccepibile che, accompagnata da una serie coerente di gesti, ha avuto il merito di attirare l’attenzione sul Papa distraendo i media dai Vatileaks di turno. Superato l’ossimoro originario resta adesso da capire quale sia il reale progetto di Bergoglio. Nei primi nove mesi di Pontificato, con i suoi gesti e le sue parole, Papa Francesco ha dimostrato di voler attuare forte mente un programma di evangelizzazione, di conversione e di cambiamento incentrato sul riavvicinamento dei fedeli alla Chiesa e sulla ricerca di un consenso universale: a partire da una miscredente Europa per finire con l’America Latina, sempre più affascinata da socialismo e protestantesimo. È soprattutto attraverso alcune azioni, come la stesura della prima enciclica (Lumen in fidei), la diffusione dell’esortazione apostolica e soprattutto la storica visita a Lampedusa, che Francesco pare voler accendere l’attenzione del mondo su alcune tematiche drammaticamente attuali come, ad esempio, le relazioni tra Nord e Sud del Mondo compromesse dalla globalizzazione dell’indifferenza. Alla luce di quanto detto possiamo affermare che Papa Francesco si propone, ed è a tutti gli effetti, come il Papa mediatico per eccellenza. Lo è per contingenze personali, caratteriali e storiche. Non è forse il primo Papa da reality show, come molti hanno affermato, ma è certamente un papa da social network. Un pontefice che ai followers reali (come furono i Papa Boys) vuole aggiungerne tanti altri virtuali, provenienti da ogni parte del mondo. Riferimenti bibliografici Palermo M., Linguistica testuale dell’italiano, Bologna, Il Mulino, 2013. Dell’Anna M.V., Lingua italiana e Politica, Roma, Carrocci, 2010. dal «Corriere della Sera» del 14 Marzo 2013: Luigi Accattoli, Il Gesuita col Saio Luigi Accattoli, Si rivolge al popolo da Vescovo di Roma Aldo Cazzullo, Ora pregate per me. Il primo Papa sudamericano Gian Guido Vecchi, Cucina da solo, si sposta in bus e ricorda il dialetto piemontese Armando Torno, Francesco. Nessun Pontefice lo aveva mai scelto. Il poverello d'Assisi come esempio Vittorio Messori, Scelta geopolitica: come Wojtyla. Da «Il Manifesto» del 14 Marzo 2013: Franco Cardini, L’outsider che cambia tutto Luca Kocci, Una sorpresa, non una novità Filippo Fiorini, Quando guidava la chiesa argentina torture e morte per i preti del popolo Da «Avvenire» del 14 Marzo 2013: Marco Tarquinio, Il segno e la gioia Pierangelo Sequierei, La memoria dello Spirito Pino Ciociola, Sale al cielo lo stupore del silenzio Luigi Geninazzi e Filippo Rizzi, Gesuita mite e umile figlio di italiani andati in Argentina Lucia Capuzzi, Don Jorge: il cardinale dei poveri e delle Villas Miserias CESNUR, Indagine del CESNUR sulle reazioni dei fedeli al nuovo Papa Francesco, url: http://www.cesnur.org/ La Civiltà Cattolica, numero 3918, anno 164, 19 Settembre 2013. 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I dubbi sulle foto di Videla e Bergoglio, url: http://www.corriere.it/esteri/speciali/2013/conclave/notizie/14-mar-i-dubbi-sulle-foto-di-bergoglio-convidela_3f166818-8cbe-11e2-ab2c-711cc67f5f67.shtml 21 Maggio 2013 Redazione Online, In tv «l'esorcismo del Papa». E alla fine Boffo si scusa, url: http://www.corriere.it/cronache/13_maggio_21/tv-cei-esorcismo-boffo-scuse_203492b0-c212-11e2-a4cd35489c3421dc.shtml 26 Maggio 2013 Redazione Online, Papa Francesco come Giovanni Paolo II: «Mafiosi convertitevi», url: http://video.corriere.it/papa-francesco-come-giovanni-paolo-ii-mafiosi-convertitevi/f65b1cf6-c609-11e2-91df63d1aefa93a2 11 Dicembre 2013 – Carlotta De Leo - Time, Papa Bergoglio è l’uomo dell’anno: «Un settantenne superstar », url: http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/13_dicembre_11/papa-bergoglio-l-uomo-dell-anno-time-1ba3c6ac-626311e3-a809-0fced5f7d9ac.shtml Da repubblica.it: 17 Marzo 2013 Redazione Online, Papa Francesco, primo Angelus a San Pietro il saluto ai 300mila fedeli, il boato dalla folla, url: http://roma.repubblica.it/cronaca/2013/03/17/news/papa_francesco_per_il_primo_angelus_a_san_pietro_delegazioni _da_tutto_il_mondo_e_fedeli_in_festa-54740401/ 18 Maggio 2013 Redazione Online, Papa: ''Crisi è preoccuparsi delle banche, mentre c'è chi muore di fame”, url: http://video.repubblica.it/dossier/il-nuovo-papa/papa-crisi-e-preoccuparsi-delle-banche-mentre-c-e-chi-muore-difame/128818/127316?ref=&ref=HREC1-5 Da rai.it: 15 Aprile 2013 – Redazione Online, Effetto Papa Francesco, in crescita il numero di fedeli e confessioni, url: http://www.rai.it/dl/grr/notizie/ContentItem-4d398a87-27a6-4278-b592-6b11654c39dc.html?refresh_ce