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UCLA Carte Italiane Title Scipione e l'ira funesta: da Cicerone a Seneca a Petrarca Permalink https://escholarship.org/uc/item/0wt4x22b Journal Carte Italiane, 1(9) ISSN 0737-9412 Author Calzavara, Adriano Publication Date 1988 DOI 10.5070/C919011266 Peer reviewed eScholarship.org Powered by the California Digital Library University of California Scipione E L'Ira Funesta: da Cicerone a Seneca a Petrarca Nel quarto libro dell'Africa, Roma; il la comparazione tro elementi: Scipione e Achille da una di Siface, fa re africano all'alleanza umana e l'esaltazione della sua figura creticamente attraverso Il alla corte Lelio, panegirico di Scipione per convincere un con e civile avviene sin- parallela, e incrociata, di quat- parte, Ennio e Omero dall'altra. passo in questione è Afr. IV, 38 sgg.: Maximus insano iuveni vigilavit Homerus; Rusticus egregio vigilar nunc Ennius. Atqui Dignus Vate est hic Questo giudizio contiene altri Graio; sic dignior ille Latino fuit. in sé elementi ricchi di riflessi versanti dell'opera petrarchesca; riferimenti non ed echi in un molto casuali ad preciso filone della cultura latina; ed aspetti, per altri versi già ben indagati, non indegni di un'attenta considerazione critica. punto che offre occasione di ulteriori precisazioni è il confronto Un tra Scipione e Achille, che avviene implicitamente attraverso quello dei rispettivi cantori; e parente ovvietà, il più precisamente sarà da verificare, valore degli attributi, e il definito "egregius" l'uno, "insanus" l'altro. Per Scipione la questione è tale che riguarda e della sensibilità petrarchesca, egli ed è i al di là dell'ap- perché Petrarca abbia quanto riguarda massimi sistemi del pensiero nota l'ammirazione assoluta che aveva nei confronti di questa figura storica, tanto da paragonarla talvolta a quella di Laura (R.v.f. 186, 9-11). Ammirazione derivante, 36 SCIPIONE E L'IRA FUNESTA 37 ancor più che dall'effettiva eccezionalità morale dell'uomo, dal fatto che esso costituisce il modello esemplare a cui rimanda tutta zione letteraria stoica latina.^ Scipione paradigmatico della virtus stoica tutte le e repubblicana, ergendosi perciò su altre figure eroiche dell'antichità. Nell'ambito opposto, quello come indegno protagonista àtVCinsania e del vitium, è posto Achille, dell'opera del Lo la tradi- costituisce così prototipo si massimo poeta. con una rassegna di esempi di stesso tipo di confronto, titudo da parte degli eroi di Roma stoica yfer- repubblicana contrapposta alle scelleratezze degli eroi omerici, occorre nelle Tusculanae di Cicerone, ai dove troviamo anche Ennio capitoli XXII e XXIII del quarto libro, indirettamente. come Omero. Particolarmente importante, fonte del passo petrarchesco, il in quanto seguente brano di Tusc. si e, rivela rv, XXIII, 52: An est quidquam similius insaniae quam ira? torum quam partem habent quid Agamemnone quam bene Ennius initium impotentia dictorum ac dixit insaniae. Color, vox, oculi, spiritus, fac- Quid Achille Homerico foedius, Aiacem quidem ira ad furorem mor- sanitatis? Nam in iurgio? temque perduxit. Sulla testimonianza enniana, alla come definizione dell'ira dunque, opera Cicerone, accostando inizio della pazzia gli esempi degli eroi omerici più iracondi, primo fra tutti Achille perché più forte e perciò più colpevole. Accanto Dict. mem. al Massimo {Fact. et Superior Africanus. .vir Homerico quam ben noto passo libri. Vili, 14, 1: di Valerio . rudi atque impolito preconio dignior), sarà quindi questo lo spunto aggiuntivo sul quale Petrarca elabora la formazione delle due coppie Omero-Achille, Ennio-Scipione. Nello Scipione petrarchesco vengono, per dir così, a riassumersi e condensarsi tutti gli esempi di romana for- tezza elencati da Cicerone poco prima, soprattutto quelli dell'Africano minore {Tusc. IV, XXII, 50) e di ma vi più ancora zione traditi da tutto un si fa Scipione Nasica Serapio (XXIII, 51), confluiscono quei caratteri morali e umani di perfe- filone della letteratura latina e di cui Petrarca testimone e consapevole erede. Per Vinsanus iuvenis, specifica- mente, la giustificazione più stringente si trova proprio nell'assimila- zione di questo passo dell'Arpinate, nella presenza della citazione di CARTE ITALIANE 38 Ennio come tori in esplicita auctontas di Cicerone, e nella fusione dei due au- un'espressione che è solo petrarchesca; infatti \ Achille homerico delle Tusculanae può diventare Vinsanus iuvenis dell' Africa solo in ragione del giudizio enniano offerto in quella precisa maniera nel contesto ciceroniano e suffragato dal giudizio su Aiace Ma il poco più avanti. passo delle Tusculanae ha ancora qualcosa da indicarci per son. 232 del Canzoniere, che dice ai il w. 9-11: Valentinian, eh 'a simil pena Sa '1 ira conduce: '1 et sa Aiace in molti, quei che ne more et poi in se stesso, forte. commenti^ rimandano a Seneca e, ma è cosa diversa, all'episodio omologo di Ovidio {Met. XIII, 384-397). Ai nostri fini sarà interessante un confronto tra Seneca e Cicerone. Si Per quanto riguarda Aiace, tratta di De" z>^. Il, i 36, 5: Multi itaque continuaverunt irae furorem nec unquam Il receperunt: Aiacem in mortem quam expulerant egit furor, in mentem furorem ira. secondo, appunto Cic. Tusc. IV, 52: Nam Aiacem quidem ira ad furorem mortemque perduxit. come V exemplum senecano sia sostanzialmente una ripresa da Cicerone, e si può con ragione supporre che di ciò fosse consapevole anche Petrarca. In ogni caso questo si configura come uno di quei molti Si noterà luoghi petrarcheschi in cui convergono, attualizzati, mente livelli diacronica- distinti della lignee classica. La suggestione senecana e la ripresa fonica si si attua col concorso di due piani interagenti, realizza nella parallela bipartizione sintattica: Aiace in molti ... in se stesso forte Aiacem Mentre, però, il in mortem ... periodo senecano si in furorem compone di detiche con due soggetti distinti, in Petrarca il ira. due proposizioni soggetto si asin- unifica in due membri del periodo sono uniti da congiunzione. E' dati dell'ira e della morte di Aiace siano dati per scontati e già esauriti col verso \0 {....e saH quei che ne more). Il verso successivo contiene uno sviluppo appositivo del precedente, sviluppo disteso fra il nome "Aiace" e l'aggettivo atteso, ma di fatto rinviato Aiace e i notevole che i SCIPIONE E L'IRA FUNESTA all'altro 39 estremo. Per quanto riguarda debito con Seneca, a parte il primo emistichio, dei due periodi: in fine l'evidente ripresa nella struttura sintattica e fonica del è interessante soffermarsi sul secondo membro di frase ritroviamo uguale scansione ritmica ("in se stesso forte" furorem ira") e analoghe strutture foniche Se Seneca può avanzare questi sintattica. Intanto gica 2. il conduce del v. Semper Aiax fortis, di Seneca. Soprattutto, poi, è deter- fortissimus ivi: tamen in furore: maximum, cum Danais Summan rem perfecit manu" "Facinus fecit proelium restituir insaniens: E' così che K\2s:t forte trova fortis, fortissimus. una . , lessicale. 10 è molto più vicino per continuità etimolo2i\V egit minante, poche righe più avanti, Cic. tra l'altro, in sede fonica e ritmico- diritti Cicerone ha, però, consistenti rivalse sul versante perduxit che non /"in allitteranti. dicamus nam inclinantibus igitur utilem una sanzione molto più con un diretto precedente insaniam? stringente VitVC Aiax lessicale che presenta, forte allitterazione di /(si noti ancora: in furore), prolun- gata addirittura nella Qn-àzionc: facinus fecit .. .^ . Notevole è pure che questa iterata allitterazione di /si ritrovi ancora nella adnominatio s^ntcàndi furor-furorem. L'ultimo passo di Cicerone fornisce, inoltre, un precedente sintattico per la bipartizione del discorso unico, e un' avversativa che, a ben guardare, presenta tinenza con la con soggetto una certa at- corrispettiva particella avverbiale {e poi) del verso petrarchesco. Forse qui, meglio che nel passo àitVì Africa visto prima, a passata di mano, le sottili si sentono, venature del verso petrarchesco: l'intero sonetto è intessuto di riferimenti dotti: Plinio, Stazio e Orazio sono solo i nomi più grossi accanto ad altri minori; eppure l'impostazione è senecana, e già nell'iniziale paragone tra Alessandro e Filippo mia delle letture è tra Anneo la dicoto- e Tullio. E' presumibile quindi che nei prima terzina Petrarca avesse in mente il dettato senecano, ma nel contempo usasse le parole tulliane che così profondamente aveva assimilato. Si noti infine lo svolgimento logico del discorso: dopo una nutrita serie di esempi di iracondia, Aiace è l'ultimo {e sa l quei che ne more /Nam Aiacem quidem...), supremo e scellerato. Se dunque in Afr. IX, 302, in una battuta di dialogo tra Ennio e versi della CARTE ITALIANE 40 Scipione, troviamo detto: Scipio mitis momento ait, ciò nificativo. Sia pure legato alla fine della guerra e all'attesa del trionfo a al ha ormai un valore sig- del dialogo sulla via del ritorno, Roma; resta che quell'ag- gettivo è paradigmatico del personaggio Scipione nei confionti di tutti "fiore anticho di vertuti" molto prima che gli altri eroi-guerrieri, d'armi, ed è un'espressione che ha lo stesso valore caratterizzante dell' equivalente /?//^j" Aeneas virgiliano. Proprio sul piano di questa mitezza avviene lo scarto da tutti gli altri: Annibale nella storia (ma attraverso Livio), Achille nella letteratura. Adriano Calzavara Università di Venezia Notes 1. Per Scipione nell'opera del Petrarca, cfr. A. S. Bernardo, Petrarch, Scipio the "Africa. " The Birth ofHumanism's Dream, Baltimore, Maryland, 1962. 2. P.e. lo Zingarelli cita il passo di Seneca e riporta, col Carducci-Ferrari, il and passo di Ovidio. Chiorboli tace. 3. Versus tragiciincerti. Cito le Tusculanae Disputationes M. Pohlenz, Lipsia, 1965. ,