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1 NUOVE IPOTESI SULLE ORIGINI DEI SIGNORI DA ONARA E ROMANO. FRANCO SCARMONCIN Abstract: Le origini del casato da Romano vennero spiegate da G.B. Verci integrando il tendenzioso racconto di Rolandino da Padova, che le attribuiva ad un "povero" cavaliere beneficato da Corrado II il Salico, con alcuni documenti menzionanti Ezillus figlio di Arpo, signore di Onara tra il 1075 e il 1090. L'articolo dimostra come tale versione dei fatti sia inverosimile e avanza l'ipotesi che un miles dell'imperatore Enrico II il Santo, di nome Herp Aegizinis, menzionato in un diploma redatto alla vigilia della discesa in Italia del 1013-1014, possa essere stato il vero fondatore della famiglia. Egli, inviato per controllare lo sbocco della Valsugana e contrastare le truppe di Arduino d'Ivrea, si sarebbe insediato a Onara con il favore dei Vescovi di Frisinga e Treviso e avrebbe dato origine fin dalla prima metà dell'XI secolo ai da Romano, ponendo le premesse per la loro affermazione nel Pedemonte veneto. 1) La storia della famiglia da Romano presenta luci e ombre, ma è soprattutto intorno alle sue origini che le notizie sono vaghe e imprecise. Tentare di chiarire la sua provenienza potrà sembrare un dettaglio storiografico di poco conto, però è proprio tale lacuna che impedisce di comprendere, ad esempio, la genesi del grande patrimonio che gli Ezzelini accumularono, nonché il ruolo che ricoprirono nel sistema dei poteri della Marca Trevigiana tra XI e XII secolo. Basta leggere il saggio sulle origini di Bassano contenuto nel primo volume della nuova Storia di Bassano del Grappa, per rendersi conto di come il rapporto tra la comunità bassanese e i primi da Romano resti ancora non risolto e venga spiegato solo ammettendo che: «i primordi di questa fruttuosa politica dinastica, difficilmente perseguibile senza il benestare più o meno esplicito dell'impero …, restano come è ben noto oscuri…» 1 . Queste «oscure origini» hanno appassionato lungamente gli studiosi dei da Romano, e fu Giambatista Verci il primo a raccogliere ordinatamente le affermazioni fatte dagli storici che lo avevano preceduto 2 . Alcuni, come Lorenzo de Monacis, avevano attribuito il sorgere del casato ai tempi di Ottone I 3 , oppure, come sostennero tanto Battista Pagliarini che Pietro Gerardo, a quelli di Ottone III 4 . È vero che fin dalla vittoria di Carlo Magno sul duca del Friuli Rotgaudo nel 776 molti signori franchi si insediarono nella Marca Veronese in sostituzione dei ribelli longobardi, ma nei documenti 1 S. BORTOLAMI- F. PIGOZZO, Le origini di Bassano e le vicende politiche istituzionali dal X secolo alla fine del Duecento, in Storia di Bassano del Grappa, Dalle origini al dominio veneziano, Romano d'Ezzelino 2013, pp. 92-93. Si veda anche in: BORTOLAMI, "Honor Civitatis". Società comunale ed esperienze di governo signorile nella Padova ezzeliniana, in Nuovi Studi Ezzeliniani, I, Roma 1992, pp. 164-174, dove l'Autore ha indagato il tema della dimensione territoriale della potenza dei da Romano senza affrontare tuttavia il problema dell' origine e della provenienza della famiglia. 2 G.B. VERCI, Storia degli Ecelini, I, Bassano 1779, p. XXVI-XXXI, XXXIII-XXXVI, e pp. 2-5. 3 LAURENTII DE MONACIS VENETI CRETAE CANCELLARII Chronicon de rebus Venetis ab urbe condita ad annum MCCCLIV, Venezia 1758, p. 232. 4 B. PAGLIARINI, Cronacae, a cura di J. Grubb, Padova 1990, pp. 18-19; P. GERARDO, Vita et gesti di Ezzelino Terzo da Romano, Venezia 1543, pp. 3-4. 2 relativi a quel periodo e all'età ottoniana non si è trovata una convincente traccia di personaggi che possano essere indicati come i capostipiti degli Ezzelini. Furono invece Gerardo Maurisio e Rolandino da Padova i cronisti che su tale punto ebbero maggiore credito. Il primo, benchè fosse amico di famiglia dei da Romano e loro sostenitore, scrisse soltanto che un Ezelo era padre di un Alberico e di un altro figlio di nome Ezelo, e che dal primo Alberico erano discesi per tre generazioni uomini valorosi che si chiamavano Ezzelino. Non risalì più indietro nel racconto genealogico, ossia al padre del primo Ezelo, perchè nella sua cronaca voleva semplicemente dimostrare che il nome Ezzelino da almeno cinque generazioni contraddistingueva tale lignaggio, segno inequivocabile di vera ed elevata nobiltà 5 . Nell'opera di Rolandino da Padova, invece, in modo quasi accidentale e nel mezzo di un discorso sui rapporti tra Padova e i da Romano, si racconta che un cavaliere di nome Ecili "provvisto di un solo cavallo" - dunque un miles di rango inferiore - era sceso in Italia al seguito dell’imperatore Corrado, ottenendo da lui Onara e dando origine alla stirpe degli Ezzelini 6 . A parte il fatto che Rolandino nell'incipit presentando la genealogia dei da Romano – una delle quattro domus più illustri della Marca -, aveva citato soltanto gli ultimi tre Ezzelini; già al tempo della pubblicazione - ossia nel 1262 - questa notizia doveva apparire dubbia. Infatti era ampiamente di pubblico dominio che il 23 febbraio del 1261 a Udine, davanti al Patriarca di Aquileia Gregorio da Montelongo e a uno stuolo di dignitari laici ed ecclesiastici, il vescovo di Frisinga Corrado aveva trasferito il feudo di Godego-Onara a Tiso da Camposampiero, tramite il nobile patavino Leoardo Lemizi, suo procuratore; e anche in quell'occasione era stato ribadito chiaramente che Ezzelino da Romano et sui antecessores avevano ricevuto quel beneficio dai Vescovi della Chiesa di Frisinga e non dall'imperatore 7 . Quelle contenute nella Cronaca del Rolandino erano dunque affermazioni "faziose" - il lettore sarebbe stato indotto a fare mentalmente un confronto tra la mediocrità di Ecelo, un semplice ritter germanico, e la nobiltà della casata degli Estensi che aveva sconfitto Ezzelino III -, ma il Verci le prese per valide e ritenne che l’imperatore citato fosse Corrado II il Salico. Egli calcolò quindi che l’epoca del suo arrivo poteva corrispondere al 1036, pur ammettendo che Corrado II in quegli anni era più impegnato in Lombardia che nella Marca Trevigiana. Sarebbe stato dunque più corretto far risalire il suo arrivo al 1026, allorchè l'imperatore era passato per Trento e Verona 8 , ma in questo 5 GERARDI MAURISII Cronica Dominorum Ecelini et Alberici fratrum de Romano (aa. 1183-1237), a cura di G. Soranzo, RIS2, VIII/4, Città di Castello 1914, p. 4; ora in traduzione come G. MAURISIO, Cronaca Ezzeliniana (anni 11831237), a cura di F. Fiorese, Vicenza 1986, p. 6. 6 ROLANDINI PATAVINI Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, a cura di A. Bonardi, RIS2, VIII/1, Città di Castello 1905-908, p. 20. Questa notizia è inserita come frase incidentale, tra due trattini, entro un periodo che spiega quali patti Ezzelino II avesse stipulato con i Padovani a danno dei Vicentini. È possibile sospettare che la frase sia stata aggiunta da un copista e non fosse presente nell'originale del Rolandino, perchè i cronisti posteriori, che ben conoscevano l'opera di Rolandino, come il vicentino Pagliarini e Lorenzo de Monacis, dimostrano di ignorare questa informazione e attribuiscono la discesa di un Eccellinus de Hollandia ai tempi di Ottone III (PAGLIARINI Cronacae, pp. 18-19), oppure a Ezerinus quondam Albrici, miles gregarius di Ottone I (LAURENTII DE MONACIS, Chronicon de rebus Venetis, p. 232). 7 VERCI, Storia degli Ecelini, III, Codice Diplomatico Eceliniano (CDE), Bassano 1779, doc. CCLVII, pp. 442-445. 8 Conradi II Diplomata, II, a cura di Th. Sickel, in Monumenta Germaniae Historica (MGH), Diplomatum Regum et Imperatorum Germaniae, Hannover - Lipsia 1909, pp. 58-65. Corrado II il 14 febbraio 1026 era ad Augusta (doc. 51) e i suoi diplomi successivi furono prodotti a Verona. Era a Roma nel marzo 1027, a Ravenna in maggio e di nuovo a S. Zeno di Verona; qui nel suo seguito compare un Acilinus che il Polizzi ha ritenuto potesse essere l'Ecelo di Arpo: Ibid., pp. 125-126 e C.F. POLIZZI, Ezzelino da Romano, Signoria territoriale e comune cittadino, Romano d'Ezzelino 1989, p. 12-13. Da Bressanone l'imperatore il 31 maggio concedeva un diploma di immunità al vescovo di Trento, Olderico, che fu fondamentale per la creazione del principato di Trento, v. Conradi II Diplomata, II, pp. 143-147. Nel 1036 l'imperatore era a Nimega in luglio, e nelle campagne di Tillida sotto Verona il 10 ottobre; poi fu a Canedole presso Mantova a fine marzo del 1037, a Ravenna in aprile, presso Milano in maggio, e nuovamente a Verona in giugno-luglio; ad Aquileia e a Treviso in agosto e a Parma in dicembre; nel 1038 fu a Benevento in giugno, a Viadana in luglio e a Bressanone l'11 agosto 1038. Qui rilasciò un diploma al conte Rambaldo da Collalto con cui concedeva di "edificare un mercato" nella valle di Santa Felicita sopra Romano. Ibid., pp. 383-384. Questo è l'ultimo diploma emanato in Italia da Corrado 3 caso Ecelo avrebbe dovuto vivere all'incirca novant'anni, per essere ancora attivo nel 1090, e ciò sembrava al Verci altamente improbabile 9 . Tale notizia fu comunque accettata per vera da vari storici; ad esempio dall'erudito padovano, amico e corrispondente del Verci, Giuseppe Gennari 10 , poi da Luigi Ignazio Grotto dell'Ero nei Cenni storici sulle famiglie di Padova del 1842, e da Ercole Ricotti nella Storia delle Compagnie di Ventura in Italia del 1845, che la riferirono come fatto certo 11 , e infine da Cesare Cantù, che intorno al 1854 la riprese, assegnando comunque la discesa di Ecelo all'anno 1026 12 ; un ragguaglio che anche il patriota scrittore Filippo Zamboni nel 1859 inserì tra le note della sua fortunata tragedia Bianca della Porta 13 . Quella che per il Verci era solo un'ipotesi diventò così un dato certo; e che Ecelo da Onara e Romano, sia sceso in Italia nel 1036 al seguito dell'imperatore Corrado lo si trova scritto ormai non solo nelle pagine di internet 14 , ma anche in tutti i saggi di storia locale 15 . Al Verci dobbiamo però riconoscere il merito di aver pubblicato i documenti che provano l’esistenza di un Ecil, Ezillus o Ezellus del fu Arpo tra il 1074 e il 1090. Essi dimostrano quindi chiaramente come tale vocabolo fosse l'interpretazione elaborata dai notai, di un nome tedesco che doveva essere pronunciato all'incirca Exel o Ezil 16 , e che, se egli fosse giunto in Italia nel 1036, nel 1090 avrebbe avuto tra i settantacinque e gli ottanta anni: un'età difficilmente raggiungibile in quel tempo anche per i nobili più longevi, tanto che gli stessi imperatori molto raramente arrivavano ai settanta 17 . Sembra difficile, inoltre, che un sovrano potesse conferire a un adolescente la giurisdizione su una località strategicamente importante com'era lo sbocco della Valsugana. Tali considerazioni hanno trattenuto dunque gli storici più avveduti dal dare credito alle notizie del Verci. Non ci credette, ad esempio, Gina Fasoli, che pure sui da Romano tornò a varie riprese, e lo ribadì anche durante il primo convegno di studi ezzeliniani nel 1960 18 . Anche Andrea Castagnetti, nella relazione tenuta al convegno di Romano d'Ezzelino del 1989 non ha dato troppo credito alla versione del Rolandino, mettendo anzi in risalto l'intenzione denigratoria del cronista 19 . Josef Riedmann, poi, analizzando i rapporti tra gli Ezzelini e i vescovi di Frisinga, ha riconosciuto che la loro venuta in Italia dev'essere collocata probabilmente prima di Corrado II 20 , e ha ribadito che, per II, ma non vi si trova mai nominato Ecelo e l'area sopra Romano pare fosse allora controllata allora da Rambaldo da Collalto. 9 VERCI, Storia…, pp. 31-32; al riguardo egli diceva di essere d'accordo con lo storico padovano Giovanni Brunacci. 10 G. GENNARI, Annali della città di Padova. Bassano 1804, parte II, p. 47. 11 Si vedano L.I. GROTTO DELL'ERO, Cenni storici sulle famiglie di Padova e sui Monumenti dell'Università, Padova 1842, p. 343, E. RICOTTI, Storia delle Compagnie di Ventura in Italia, I, Torino 1845, p. 176. 12 C. CANTÙ, Ezelino da Romano, Torino 1852, p. 15; e nella riedizione intitolata Ezelino da Romano. Storia di un ghibellino, Milano 1854, p. 12; l'autore afferma però di avere scritto l'opera nel 1833. 13 F. ZAMBONI, Bianca della Porta. Tragedia, Vienna 1859, p, 69. Questa è la prima edizione dell'opera, poi ripubblicata a Firenze nel 1862. 14 Si vedano ad esempio i siti http://www.treccani.it/enciclopedia/da-romano/ e https://it.wikipedia.org/wiki/Ezzelini. 15 Pur con qualche dubbio questa versione è ripresa ad esempio da E. VOLTMER, I da Romano e l'Impero, in Nuovi Studi Ezzeliniani, I, a cura di G. Cracco, Roma 1992, p. 46; più recentemente in B. PEZZIN, Conco. Appunti di Storia, I, Marostica 2014, p. 40. 16 VERCI, CDE, docc. IV, V, VI, VII, VIII. Il suo nome in questi documenti è scritto in vario modo: Ecili, Ezilli, Ezelli ed Ezilonis. Le forme Hezel, Hezil, Hezelo, Hezilo e simili sono ampiamente attestate nelle cronache coeve, ad es. Chronica Aevi Suevici, a cura di G.H. Pertz, in MGH, Scriptorum XX, Hannover 1868, in indice. 17 Gli imperatori più longevi, prima del XIII secolo, furono Carlo Magno (72 anni) e Berengario I (74 a. circa), ma sessant'anni era comunque un'età che pochi raggiungevano, vi giunsero soltanto Ludovico I, Lotario I e Ottone I. Faccio riferimento agli imperatori perché il loro stile di vita era certamente rappresentativo di quello dell'aristocrazia di quel tempo. 18 G. FASOLI, Signoria feudale ed autonomie locali, in Studi Ezzeliniani, Roma 1963, pp. 7-12. 19 A. CASTAGNETTI, I da Romano e la loro ascesa politica, in Nuovi Studi Ezzeliniani,I, pp. 15-22. Con questo saggio l'A. fece accuratamente il punto sulle notizie relative alle origini della famiglia da Onara e Romano. 20 J. RIEDMANN, Gli Ezzelini e la Chiesa di Frisinga, in Ezzelini: signori della Marca nel cuore dell'impero di Federico II, a cura di C. Bertelli - G. Marcadella, Milano 2001, pp. 25-31, in particolare p. 29. Il Riedmann ha sottolineato pure i rapporti tra i da Romano e i vescovi frisingensi che furono all'origine dell'infeudazione di Onara ai primi Ezzelini. 4 quanto riguarda la curia di Godego e Onara, gli Ezzelini non erano tanto feudatari dell’imperatore, ma del vescovo di Frisinga, il quale l'aveva a sua volta ricevuta in beneficio da uno degli Ottoni nel 972 o, più probabilmente, nel 992 21 . Lo stesso Verci aveva nondimeno cercato di identificare l'Arpo citato quale padre di Ecelo nel 1076, attirando l'attenzione sul Codex traditionum Corbeiensium, dove trovava un conte Erpho o Erpo, vivente agli inizi dell'XI secolo nell'episcopato di Paderborn; da costui sarebbero discesi vari Erp (nome trasformatosi in Arpo, in lingua italica), di cui J. F. Falke ricostruiva pure l'albero genealogico 22 . La consuetudine delle famiglie aristocratiche di dare a un figlio in ogni nuova generazione il nome del padre o del nonno è un aspetto fondamentale in questa ricerca, ma una serie di Erp o Arpo non spiega come siano comparsi ad un certo momento gli "Ezzelini" e, malauguratamente, nella documentazione medievale germanica nomi come Acelo, Ezelo e simili sono assai numerosi in vari ambiti geografici e in momenti storici diversi. Per esempio Eccelinus era anche il nome di un importante vescovo di Merseburg, in Sassonia-Anhalt, tra il 1053-1057 23 . Il tentativo più approfondito di individuare il progenitore dei da Romano fu attuato poi da Carlo F. Polizzi nel 1989 24 . Partendo dalla constatazione che tra la diocesi di Frisinga e la famiglia da Onara dovevano esserci rapporti anteriori all'XI secolo, egli ha ricercato nella Storia di Frisinga del Meichelbeck le radici degli Ezzelini 25 , riscontrando che in una casata pusterese di vassalli e avvocati vescovili compariva ripetutamente il nome Arpo. Il suo documentatissimo saggio non riesce però a risolvere uno dei problemi di fondo: questi "Arponidi" insediati nel Mitteltirol professavano la legge baiuvara, non quella salica, cosa che Ecelo affermava invece con ostinazione; e su questo particolare ha insistito anche Riedmann nel suo saggio 26 . Anche la ricerca dell'"anello mancante" proposta dal Polizzi nel vescovo Ulderico, fratello di Arpo II, e nella stirpe dei conti di Flavon e Arsio, non è convincente, come pure è poco plausibile la sua proposta che l'Acilli o Acilinus de Torre, professante legge longobarda, presente (o presenti?) in un rogito del 1006 27 , e in un placito prodotto a S. Zeno di Verona nel 1027, corrisponda ad Ecelo da Onara 28 . Quanto alla professio iuris salica di Ecelo, ribadita in quattro documenti tra il 1076 e il 1085, insieme con quella longobarda della moglie Gisla, va segnalato che non fu più menzionata dai figli, Alberico e Ecelino, viventi tra la fine dell'XI e la prima metà del XII, come accadde d'altronde per tutta la nobiltà originaria dell'area germanica insediatasi nella Marca. Essa è certo un indicatore importante della sua origine, ma non è certo se in quel periodo designasse ancora un territorio ben definito del regno franco, la Gheldria 29 , oppure facesse riferimento in modo generico alle regioni che si trovavano a nord dell'antico limes danubiano, come la Franconia e la Renania. È lecito dubitare, ad ogni modo, che i notai si accertassero accuratamente della provenienza di Ecelo; essi si limitavano a scrivere quanto lui affermava, orgoglioso di sentirsi appartenente alla natio dei conquistatori Fran21 Mentre il documento del 972 è ritenuto sospetto (Conradi I, Henrici I et Ottonis I Diplomata, I, a cura di Th. Sickel, in MGH, Diplomatum, Hannover 1879-1884, pp. 612-13), meno dubbi ci sono sul diploma del 5 novembre 992, emanato a Dortmund da Ottone III: Ottonis II et III Diplomata, II, a cura di Th. Sickel, in MGH, Diplomata, Hannover 1893, pp. 520-521. Entrambi derivano da un cartularium di Frisinga. 22 J.F. FALKE, Codex traditionum Corbeiensium, Lipsia 1752, pp. 632-638. 23 Chronica episcoporum ecclesiae Merseburgensis edente D. Rogero Wilmans, a cura di G.H. Pertz, in MGH, Scriptorum X, Hannover 1852, pp. 181-182. Fu l'ottavo vescovo e successe ad un altro di nome Alberico. 24 POLIZZI, Ezzelino da Romano…, pp. 3-17. La bibliografia citata nel saggio di Polizzi è molto ricca e dimostra l'impegno con cui fu condotta l'indagine. 25 Si fa riferimento all'opera di C. MEICHELBECK, Historiae Frisingensis, I, Augustae 1724. 26 RIEDMANN, Gli Ezzelini…, p. 29-30. 27 A. GLORIA, Codice Diplomatico Padovano, Venezia 1877, p. 115. Nelle sottoscrizioni del documento dell'agosto 1006 si legge Signum manus domino Raimbaldo comes et Acilli da Turre adque Johanne qui Wacili vocatur et Olfaredo viventes lege langobardorum rogatis testes… 28 POLIZZI, Ezzelino da Romano…, pp. 12-13. Conradi I, Henrici I et Ottonis I…, pp. 125-126. 29 La Lex Salica, fatta redigere dal re Clodoveo intorno al 510, farebbe riferimento ai Franchi Salii, popolazione insediata nella Geldria, una regione dei Paesi Bassi. Secondo tale legge le pene erano eminentemente pecuniarie. http://www.treccani.it/enciclopedia/legge-salica/. 5 chi. Questo Ezilli poteva quindi anche essere nato in Italia da un guerriero proveniente dall'area germanica e, in tal caso, sarebbe stato suo padre Arpo il cavaliere sceso dal nord al seguito di un imperatore. Ha più senso, dunque, ritenere che Ecelo da Onara sia nato da un Arpo, già insediato nella Marca Veronese, probabilmente intorno agli anni '30 dell'XI secolo, il che non gli avrebbe impedito di affermare la sua origo tedesca professando la lex salica, come facevano altri esponenti di nobili famiglie che si trovavano nelle sue stesse condizioni, come i da Camposampiero, i da Vivaro e i San Bonifacio. È tuttavia necessario trovare qualche indizio che possa avvalorare questa ipotesi e, fortunatamente, l'enorme quantità di documentazione messa a disposizione oggigiorno su internet consente di effettuare ricerche impensabili nel passato. 2) I documenti relativi ai primi decenni dell’XI secolo sono pochi; restano però, raccolti e pubblicati nei Monumenta Germaniae Historica, i molti diplomi emanati dagli imperatori tedeschi, tra i quali il punto di partenza quasi obbligato sono gli atti prodotti tra il X e l'XI secolo, al tempo di Enrico II detto il Santo, perché fu uno dei pochi imperatori che agli inizi del secondo millennio percorsero la Valsugana e conobbero il territorio bassanese 30 . Le cause remote di questo transito risalgono al 997, allorchè il marchese Arduino d'Ivrea mosse contro l'episcopato italico, ritenendolo troppo favorito dagli imperatori tedeschi, e attaccò quindi i vescovi di Vercelli e di Ivrea. La ribellione si allargò per l'adesione alla fazione di Arduino di altri signori laici, tanto che egli fu eletto re d'Italia nel febbraio del 1002; l'imperatore Enrico II fu perciò indotto ad ordinare al duca Ottone di Carinzia di intervenire. L'esercitò ottoniano fu tuttavia sconfitto in battaglia durante la discesa per la Vallagarina e l'imperatore stesso fu allora costretto a scendere in Italia con il suo esercito 31 . Giunto a Trento, egli scelse però la via della Valsugana per evitare le insidie di Arduino, tuttavia anche le chiuse del Canale di Brenta, a nord di Cismon, erano sorvegliate dagli avversari e allora egli le aggirò risalendo i monti sovrastanti 32 . Dopo aver sbaragliato le truppe nemiche, Enrico potè scendere lungo il fiume Brenta e accamparsi presso Bassano, dove celebrò la Pasqua dell'anno 1004 33 . L'esercito arduinico battuto si ritirò e l'imperatore raggiunse dapprima Verona, poi Pavia capitale del Regno d'Italia, e poco dopo tornò in Germania. Enrico II ebbe però modo di comprendere in quella circostanza quanto fosse importante controllare le vallate che regolavano l'accesso ai valichi alpini. L'evolversi della situazione italiana lo costrinse alcuni anni più tardi ad organizzare una nuova discesa, decisa probabilmente verso la fine del 1012 a Pöhlde (allora Palithi), un castello della Bassa Sassonia edificato al tempo di Enrico I l'Uccellatore 34 . Il viaggio si era reso necessario per risolvere i problemi creati dalla contemporanea nomina a Roma di due papi rivali, appartenenti alle famiglie dei Tuscolo e dei Crescenzi, ma anche per sconfiggere definitivamente Arduino d'Ivrea. La 30 Heinrici II et Arduini Diplomata, a cura di H. Bresslau , in MGH, Diplomata, Hannover 1900-1903. Thietmari Chronicon, a cura di G.H. Pertz, in MHG, Scriptorum III, V, pp. 797-798 e 805-806; e Vita Heinrici II imperatoris auctore Adalboldo, a cura di G.H. Pertz, in MGH, Scriptorum IV, pp. 687-88 e 691-92. La località precisa della battaglia tra Ottone e Arduino non è chiaramente indicata dai cronisti, che probabilmente non conoscevano i luoghi. Entrambi parlano di un mons Ungarius o Ungaricum e Adalboldo dice "super aquam quae Brentha vocatur", ma si capisce che l'esercito italico in quell'occasione partì da Verona per incontrare quello tedesco, e la via normalmente utilizzata era quella dell'Adige. Adalboldo in questo punto copia male le informazioni da Thietmaro. 32 Thietmari Chronicon, …, p. 805-06: racconta che, «Carentani auxiliantibus…, ante ipsum diei crepusculum montem clusis superimpositum cum peditibus clam preoccubabat»; ciò farebbe pensare che la fanteria di Enrico II sia risalita fino ad Enego e discesa per la Val Gadena, ma non si conosce bene la situazione viaria di quel tempo. 33 Tali vicende sono state analizzate da numerosi storici, menzioniamo il recente volume di H. KELLER, Gli Ottoni. Una dinastia imperiale fra Europa e Italia, Roma 2013, pp. 104-08, e A. CASTAGNETTI, Il Veneto nell'alto medioevo, Verona 1990, pp. 132-141, che ricorda come anche il vescovo di Vicenza, Gerolamo, aderì al partito arduinico e fu sostituito quindi con il vescovo Teupaldo. 34 H. BRESSLAU, Manuale di diplomatica per la Germania e l'Italia, Roma 1998, pp. 402-403. La località di Pöhlde si trova a sud-est di Hannover, 31 6 cancelleria imperiale nel mesi che precedettero la partenza, forse nell'intento di non lasciare problemi in sospeso nel regno di Germania, emanò quindi una grande quantità di diplomi. Proprio in un documento prodotto nel febbraio del 1013 a Werla (oggi Schladen-Werla), un palazzo di epoca ottoniana situato a circa 70 chilometri da Pöhlde, troviamo un riscontro interessante 35 . L'atto era relativo ad una mediazione dell’imperatore nella contesa che aveva opposto l'arcivescovo di Magonza Villigiso (Willigis) al vescovo di Hildesheim Bernoardo (Bernward) per il possesso della chiesa della celebre abbazia di canonichesse di Gandersheim in Bassa Sassonia 36 . Nell'escatocollo del diploma, autenticato dal cancelliere imperiale Gunterio (Gunther), compaiono 32 testimoni, elencanti in ordine decrescente di dignità 37 . In questa lista, dopo l’imperatore e il suo arcicancelliere, l’arcivescovo Villigiso, altri dieci metropoliti, due duchi e un conte palatino, troviamo 17 personaggi, tutti indicati come conti, tranne due, e proprio al penultimo posto c'è il nome che attira la nostra attenzione: Herp Ægizinis filius, senza alcuna indicazione di titoli o incarichi. Ovviamente, se avessimo trovato un Herp senza patronimico, o il comes Erp, che dopo il 1015 compare tra i vassalli del vescovo Meinwerk a Paderborn - e già noto al Verci - non vi avremmo prestato altrettanta attenzione 38 . Che Herp diventasse in lingua italica Arpo lo si è già detto; più difficile è invece stabilire come fosse pronunciato il nome di suo padre, Ægizin. È probabile che in lingua tedesca suonasse "Eghizin" o "Exizin", ossia in modo abbastanza simile a un possibile "Ezilin". Dunque c'era nella curia di Enrico II almeno un Arpo che al figlio avrebbe potuto dare il nome del nonno, pur con una semplice modificazione nella pronuncia per adeguarlo al più dolce linguaggio italico. Che sia questo l'Arpo appartenente all'esercito imperiale? Mancano purtroppo attestazioni cronachistiche di un tale evento, constatiamo però che nei diplomi di epoca enriciana i nomi Herp o Arpo non ricompaiono quasi mai, e che questo è anzi l’unico Herp presente nell'indice dei diplomi di età enriciana editi nei Monumenta Germaniae Historica 39 . Benchè non sia una prova cruciale, è comunque un elemento importante, perché ci consente almeno di 35 Tra le località di Pöhlde e Werla si trova la città di Goslar, dove Enrico II intorno al 1005 fece erigere il nuovo palazzo imperiale. 36 Heinrici II et Arduini Diplomata…, pp. 293-296. Villigiso, arcivescovo e fondatore del duomo di Magonza, fu consigliere di Ottone I e II, arcicancelliere di Ottone III e sostenitore di Enrico II, che incoronò re di Germania preferendolo tra vari concorrenti. Bernoardo, vescovo di Hildesheim, fondatore della cattedrale del convento di S. Michele e uomo di grande cultura e spiritualità, fu proclamato santo da Celestino III nel 1192. 37 I sottoscrittori presenti nel documento citato furono: «Ego Heinricus secundus Dei gratia rex huic reconciliationi vel pactioni consentiens signo sanctę crucis gaudens subscripsi. † Ego Willigisus Mogontine sedis gratia dei archiepiscopus huic catholicę vel canonicę reconciliatione et taxationi gaudens signo crucis subscripsi.† Dagino sanctę Parthenopolitanę aecclesiae archiepiscopus signo sanctę crucis subscripsi .† Retharius sanctę Patherbornensis ecclesię episcopus subscripsi.† Bruno sanctę Augustburgensis ecclesię episcopus subscripsi.† Thiadericus sanctę Mindensis ecclesię episcopus subscripsi.† Arnulfus Halberstadhensis ecclesię episcopus subscripsi.† Berngerus Farthensis ecclesię episcopus subscripsi.† Aeggihardus Sliesuiccensis ecclesię episcopus subscripsi.† Hildiuuardus sanctę Titicensis ecclesię episcopus subscripsi.† Vuigo sanctę Brandeburgensis ecclesię episcopus subscripsi.† Aerlugin Camaracensis ecclesię episcopus subscripsi.† Bernhardus dux Uuestualorum subscripsi.† Hirimannus dux Sueuorum subscripsi.† Burchardus palatinus comes subscripsi.† Heinricus comes subscripsi.† Sigifridus comes subscripsi.† Aeggihardus comes subscripsi.† Gero comes subscripsi.† Thiaedericus comes subscripsi.† Cristan comes subscripsi.† Geuuzo comes subscripsi.† Bodo comes subscripsi.† Liudulf comes subscripsi.† Dodico comes subscripsi.† Sigubodo comes subscripsi .† Vdo comes subscripsi.† Sigifrid.† Bernherd comes.† Hiriman comes subscripsi.† Herp Aegizinis filius subscripsi.† Hernust comes subscripsi.†». L'ordine con cui sono elencati i dignitari riflette le consuetudini che saranno codificate in epoca federiciana nel Lehnrecht dello Specchio Sassone (Sachsenspiegel), ovvero: dopo il re venivano dapprima arcivescovi e vescovi, poi i laici in ordine di importanza. 38 H.A. ERHART, Regesta Historiae Westfaliae, Münster 1847, pp. 67 e ss., il conte Erp risulta presente a Paderborn tra 1015 e 1052, vedi anche nota 16. Negli stessi documenti sono presenti, in varie circostanze, personaggi che si chiamano Ecelin, Acelin, Hizil, Wezil ecc..., tra loro ad es. anche un Ecilin cum suo filio Meinhardo. 39 Heinrici II et Arduini Diplomata…, p. 778. Nell'indice del volume il nome Herp figlius Aegizinis è inserito attraverso un rimando dalla lettera H alla E e si trova dopo Erph presul e Erpho comes; non ci sono invece nomi quali Arpo o Arpho. 7 ipotizzare che, ad un certo punto della sua vita, costui si sia allontanato dall'area germanica per insediarsi nella Marca Veronese. L'appellativo Ezzelino, con tutte le sue varianti (Hecelinus, Hezelinus, Hecelo ecc…), agli inizi dell'XI secolo era assai frequente, mentre il nome Ægizin era rarissimo. Questo è un dato importante, perché ci consente di ridurre la confusione tra persone dovuta all' omonimia. Un altro aspetto da sottolineare relativamente a questo Herp è il fatto che di solito i funzionari regi non erano mai indicati con il patronimico, ma solo con il loro titolo di conti, duchi, ecc…; ognuno sapeva infatti di quale nobile si stesse parlando. Siamo quindi di fronte a un caso rarissimo di uso del patronimico nei diplomi degli imperatori sassoni. Ciò è quasi sicuramente dovuto al fatto che Herp era un personaggio secondario, non un conte, nè un presule; e non era nemmeno un orfano, perchè allora il notaio avrebbe scritto quondam. Possiamo pensare quindi che fosse un miles, un guerriero appartenente ad una famiglia di un certo rilievo sociale, probabilmente un vassallo o un comandante di truppe imperiali 40 . Si può a questo punto ragionevolmente ipotizzare che Enrico II, mentre stava predisponendo il suo viaggio in Italia, abbia assegnato ad alcuni "cavalieri" un compito logistico: occupare i punti strategici del suo itinerario, ossia le chiuse del Canale di Brenta e quelle dell'Adige, tra Dolcè e Volargne. Quando nel settembre del 1013 la spedizione di Enrico II si avventurò tra le Alpi, potè effettivamente giungere a Verona senza incontrare ostacoli 41 . Questo Herp potrebbe allora essere stato inviato in Italia alcuni mesi prima della partenza dell'esercito, con l'incarico di vigilare sulla Valsugana e garantire il transito all'esercito; e proprio per questo si sarebbe trovato a Werla in attesa di ordini. Il documento che stiamo analizzando ha comunque una storia complessa di cui dobbiamo rendere conto. Gli Annales Hildesheimenses ricordano che, per metter pace tra i vescovi Villigiso e Bernoardo 42 , l'imperatore nel 1007 si era recato presso il monastero di Gandersheim e aveva mediato una soluzione tra le due parti. L'arcivescovo di Magonza, rinunciando quindi alle sue pretese, aveva consegnato simbolicamente a Bernoardo una episcopalem ferulam e consacrato la chiesa dell'abbazia insieme ai confratelli 43 . Nel gennaio del 1013, tuttavia, un incendio aveva distrutto l'archivio di Hildesheim e così era andata perduta la pergamena contenente la rinuncia di Villigiso 44 . Secondo gli sudiosi di diplomatistica tedeschi, la cancelleria di Enrico aveva allora provveduto a riprodurre quella carta rifacendosi ad una copia conservata in un registro, ma, pur datandola al periodo della seconda redazione, ossia al 1013, aveva conservato il testo dell'originale; per questo compare al principio delle sottoscrizioni anche l'arcivescovo di Magonza Villigiso, benchè fosse già deceduto nel 1011. La lista dei testimoni risalirebbe quindi, secondo tale interpretazione, al 1007. Ma è anche vero che questo elenco fu aggiunto da una mano diversa in un riquadro del bordo inferiore e pure in un momento successivo alla redazione del rinnovato originale del diploma; non è dunque possibile 40 Non usiamo la definizione di "cavaliere" in senso stretto perché con questo termine si fa riferimento a una condizione sociale che agli inizi dell'XI secolo non era ancora ben definita. Sulle origini e gli sviluppi della cavallerie e sui suoi rapporti con la nobiltà gli studi sono innumerevoli, anche perché la situazione muta secondo i luoghi; cito a titolo di esempio l'opera di J. FLORI, Cavalieri e cavalleria nel Medioevo, Torino 1999, pp. 40-63. 41 Thietmari Chronicon…, pp. 833-35. 42 I vescovi Willigisus e Bernwardus erano fedeli e importanti sostenitori di Enrico II, al loro appoggio egli doveva la sua elezione a imperatore, ma erano entrati in contrasto per il monastero di Gandersheim. Vita Bernwardi episcopi Hildesheimensis auctore Thangmaro, a cura di G.H. Pertz, in MGH, Scriptorum IV, pp 776-777. 43 Il gesto sembra assumere il significato di una investitura per baculum; è qunque possibile che la contesa sia stata risolta con una transazione "feudale" che, salvaguardando i diritti eminenti di Villigiso, trasferiva il possesso reale sulla chiesa di Gandersheim a Bernoardo: v. BRESSLAU, Manuale di diplomatica…, pp. 735-745. 44 Annales Hildesheimenses, a cura di G.H. Pertz, in MGH, Scriptorum III, V, Hannover 1839, pp. 93-94. Grazie alle informazioni gentilmente fornite dalla direttrice del Niedersächsischen Landesarchiv di Hannover, Dr. Christine van den Heuvel, tramite il dott. Giovanni Marcadella, direttore dell'Archivio di Stato di Vicenza e Bassano del Grappa, è stato possibile prender visione della riproduzione fotografica dell'originale sul sito: http://lba.hist.uni-marburg.de. Esiste di questo diploma anche una copia, nella quale sia il testo che i nomi sono scritti dalla stessa mano con una grafia migliore e viene imitata anche la disposizione del cartiglio presente nell'originale. 8 stabilire se in quell'elenco siano citati soltanto i testimoni presenti alla stesura del 1007, o se vi siano stati aggiunti anche quelli che assistettero alla sua riproduzione nel 1013. Il sospetto nasce dal fatto che per risolvere una controversia tra vescovi e abati solitamente, come si può constatare in altri diplomi, presenziavano soltanto i grandi ecclesiastici, mentre nel documento prodotto a Werla sono menzionati pure il duca di Westfalia, il duca di Svevia, il conte palatino Burcardo e una lunga teoria di vassalli imperiali: un'assemblea che sembra più in sintonia con la preparazione di un'impresa militare, che con la soluzione di una questione di confini tra diocesi. Questo induce a sospettare che l'ignoto compilatore della lista possa aver trascritto in calce ai nomi dei presenti a Gandersheim quelli dei milites convenuti a Werla nel febbraio del 1013 45 . Tali anomalie avevano indotto alcuni storici a ritenere il documento un falso, ma analisi più accurate hanno convinto gli esperti a considerarlo veramente la riedizione di un originale antecedente. In ogni caso si può dire, a questo punto, che la presenza di un Herp Ægizinis filius nella curia di Enrico II tra il 1007 e il 1013 è un fatto assodato 46 . Come l'imperatore impiegasse i suoi "cavalieri" per svolgere missioni militari e politiche è esemplificato da un diploma del 1012, relativo alla soluzione di un'altra contesa tra il vescovo Burcardo di Worms e l'abate del monastero di Lorsch. In quell'occasione furono inviati a riconoscere i confini il conte Poppo, insieme con i milites Sigiboldo di Worms e Vernerio di Lauresheim, seguiti da vari scabini comitali, tra i quali c'era anche un certo Hezzil 47 . È un chiaro esempio di come Enrico II avvalendosi dei suoi milites controllasse il territorio e ci dimostra inoltre quanto fosse diffuso il nome "Ezelo". Il nome Ægizin era invece, lo si è già detto, tuttaltro che diffuso. Introvabile nei diplomi di epoca ottoniana, è assente pure in quelli di età successiva e lo si incontra di nuovo solamente in un documento prodotto a Salisburgo, ove si ricorda che un vir nobilis di nome Azelo (un altro!) ricevette dalle mani di Egizino, avvocato del vescovo Hartwig, 15 iugeri di terra a Wölzing-Sankt Andrä, in cambio di 21 da lui posseduti a Lavant in Carinzia 48 . Il breve, che fa parte di una serie di atti analoghi, è privo di datazione, ma si ritiene prodotto tra il 991 e il 1023, durante l'episcopato salisburghese di Hartwig, figlio del conte palatino di Baviera e in strettissimi rapporti con la chiesa di Frisinga. Impossibile a questo punto non formulare l'ipotesi che l'Arpo che abbiamo incontrato a Werla fosse figlio proprio di questo Egizino, avvocato del vescovo Hartwig di Salisburgo: un "fidelis" che Enrico II nel 1002 investiva di beni tratti dall'eredità materna per ingrandire la grande abbazia salisburghese di S. Pietro e S. Ruperto 49 . Anche se questi indizi sono, almeno per ora, insufficienti per stabilire un sicuro rapporto tra Herp, Salisburgo e Frisinga, questa è comunque una traccia che potrebbe in futuro orientare ulteriori ricerche. Herp / Arpo viveva dunque a contatto con grandi personaggi: l'imperatore Enrico II, che aveva come consigliere Odilone di Cluny, vescovi come Burcardo di Worms, teologo e giurista, e Tietmaro 45 Rileviamo pure che i nomi dei testimoni religiosi sono sempre seguiti da subscripsi, scritto per intero, mentre quelli dei laici solo da sub. Poco prima di Herp sono pure citati un Sigfrid, senza alcun titolo, e un Bernherd comes, senza sub. 46 BRESSLAU, Manuale di diplomatica…, pp. 943. L'aggiunta successiva di sottoscrittori nel margine inferiore sinistro del documento fu probabilmente dovuta al fatto che la cancelleria imperiale durante il governo di Enrico II non usava inserire i testimoni nei diplomi regi in quanto ciò non era considerato necessario a conferire validità all'atto. Fino ai tempi della lotta per le investiture la sottoscrizione di testimoni negli atti cancellereschi fu un fatto rarissimo, meno di una decina sono infatti i diplomi che li riportano tra gli oltre cinquecento prodotti dalla cancelleria di Enrico II. Il più importante tra questi è l'atto della sinodo del 1 novembre 1007, collegato alla fondazione della diocesi di Bamberga, creata per la conversione degli slavi pagani infiltratisi nell'area germanica; Heinrici II et Arduini Diplomata…, pp. 169172. 47 Heinrici II et Arduini Diplomata…, pp. 284-85. L'atto fu emanato il 18 agosto 1012 a Nierstein. 48 A. JAKSCH, Die Kärtner Geschichstquellen, 811-1202, in Monumenta Historica Ducatus Carinthiae, Klagenfurt 1904, p. 71. 49 Heinrici II et Arduini Diplomata…, pp. 36-37. Il documento è datato Ratisbona, 24 novembre 1002; l'abbazia di S. Pietro e S. Ruperto è la stessa a cui era destinata anche la terra donata da Azili, il che fa supporre che tra le due donazioni ci sia almeno una vicinanza temporale. 9 di Merseburgo, cronista degli imperatori sassoni. A una corte composta da uomini tanto esperti non può essere sfuggita l'importanza di preparare accuratamente la discesa dell'imperatore in Italia, occupando per tempo lo sbocco della Valsugana, dove i poteri di vescovi e conti Trevigiani, Padovani e Bellunesi si intrecciavano in maniera confusa da alcuni decenni. Inoltre essa era in quel momento inserita, almeno in parte, nella diocesi del vescovo vicentino Gerolamo, da poco transitato nella fazione dei ribelli arduinici 50 . Anche la via per Verona presentava qualche problema; ma su di essa vigilava comunque il vescovo di Trento Uldarico I, un altro fedelissimo di Enrico II 51 . Proprio il fatto che Arpo fosse soltanto un miles, e non un conte, agevolava questa missione, che doveva avere una funzione logistico-militare, non politica, e nemmeno era subordinata alla concessione di benefici feudali. Sul territorio, infatti, erano già presenti alcuni aristocratici detentori di poteri giurisdizionali: il conte Rambaldo di Collalto 52 , il conte patavino Todello, i marchesi Adalberto Azzo e Ugo 53 , nonché i vescovi di Belluno, Padova e Treviso, che probabilmente avrebbero mal tollerato l'arrivo di un altro missus imperiale. Arpo sarebbe stato quindi incaricato soltanto di organizzare militarmente gli uomini atti al servizio militare e possessori di terre, i "liberi del re" - come li ha definiti il Tabacco 54 -, insediati intorno a Solagna 55 e sulle antiche centuriazioni romane tra la via Postumia e l'Aurelia 56 . Tali sudditi, pur essendo da lungo tempo "trascurati" dall'Impero, erano pur sempre tenuti a prestare il loro sostegno qualora fossero richiamati alle armi 57 . 50 È noto che tra il 915 e il 917 l'imperatore Berengario aveva concesso la curia di Solagna e il Canale del Brenta al vescovo di Padova Sibicone ( I diplomi di Berengario I, a cura di L. Schiapparelli, Roma, 1903, p. 265 e VERCI, CDE, p. 1-2), ma il territorio apparteneva in realtà al comitato trevigiano e confinava con la diocesi vicentina, che fu retta tra il 1000 circa e il 1013 dal vescovo ribelle all'impero Gerolamo. Verso la fine del X secolo anche il vescovo di Belluno Giovanni, favorito da Ottone, I aveva esteso il proprio controllo su un'area che nei diplomi imperiali è indicata come Margnane, e corrispondeva forse alla parte settentrionale del territorio bassanese, sita a diretto contatto con lo sbocco della Valbrenta. G. BISCARO, I falsi documenti del vescovo di Ceneda Francesco Ramponi, «Bollettino dell'Istituto storico italiano per il Medio Evo e archivio muratoriano», XLIII (1925), pp. 106-126. Nel saggio su Bassano di BortolamiPigozzo viene giustamente sottolineata questa fase di competizione tra vescovi e conti per il controllo delle vallate alpine poco prima dell'arrivo di Enrico II; v. BORTOLAMI- PIGOZZO, Le origini di Bassano…, pp. 90-91 e G. PETOELLO, Note sulla genesi e sullo sviluppo della forma e delle funzioni urbane di Bassano (secoli X - avvio XIX), in Storia di Bassano del Grappa…, pp.235-237. 51 Bolzano e Trento erano punti di passaggio obbligati per la discesa degli imperatori in Italia attraverso il Brennero o la via dell'Adige. Alcuni storici ritengono che il vescovo di Trento Uldarico sia stato ricompensato da Enrico II con una donazione nel marzo del 1004 per l'aiuto prestato contro Arduino d'Ivrea: H. BRESSLAU, Exkurse zu den Diplomen Konrads II, «Neues Archiv der Gesellschaft für Ältere Deutsche Geschichtskunde», XXXIV, 1909, p. 122. Alla base di questa opinione sta un diploma di Federico I del 1161 in cui viene richiamata la donazione di Enrico II: in Friderici I Diplomata, pars II, a cura di H. Appelt, in MGH, Diplomata X, Hannover 1979, pp. 176-177. Inoltre si veda A. CASTAGNETTI, Tra regno italico e regno teutonico: verso i poteri comitali del Vescovo (888-1027), in Storia del Trentino, III, L'Età Medievale, a cura di A, Castagnetti – G.M. Varanini, Bologna 2005, pp. 87-99. 52 Citato varie volte in Ottonis II et III Diplomata…, pp. 249, 477-478, 601, 639, 806-809. 53 Documentati come esistenti nell'anno 1013 in GLORIA, Codice Diplomatico Padovano dal secolo sesto a tutto l'undecimo, pp. 125-129. 54 A questo tema è dedicato il noto volume di G. TABACCO, I liberi del re nell’Italia carolingia e post-carolingia, Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo, Spoleto, 1966; l'argomento è stato ripreso più recentemente da S. GASPARRI, La questione degli arimanni, «Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 87 (1978), pp. 142-153 e “Nobiles et credentes omines liberi arimanni”. Linguaggio, memoria sociale e tradizioni longobarde nel regno italico, «Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 105 (2003), pp. 25-51. 55 Nella donazione di Berengario I al vescovo di Padova Sibicone del 917 si accenna infatti alla concessione della iudiciariam potestatem tam arimanorum quam aliorum liberorum hominum, in GLORIA, Codice Diplomatico Padovano, p. 47-48. VERCI, CDE, p. 1-2, trascrive "germanorum" in luogo di "arimanorum". 56 La situazione antropica e sociale delle popolazioni esistenti nell'antico graticolato romano a nord di Padova è analizzata da S. BORTOLAMI, Il Graticolato in età medioevale tra persistenze e innovazione, in Antico e sempre nuovo. L'agro centuriato a nord-est di Padova dalle origini all'età contemporanea, Verona 2012, pp-125-221. 57 La situazione politica del territorio trevigiano è stata esaminata da D. RANDO, Dall'età del particolarismo al Comune (secoli XI-metà XIII), in Storia di Treviso, II (Il Medioevo), a cura di D. Rando e G. M. Varanini, Venezia 1991, pp. 4155. 10 Dopo aver svolto il suo incarico, Arpo probabilmente rimase nella Marca insediandosi definitavamente a Onara e Romano, ed è possibile che si sia garantito quella base patrimoniale e le relazioni sociali che fecero la fortuna della famiglia unendosi in matrimonio con la figlia di qualche signore locale 58 . La Constitutio de feudis, emanata dall'imperatore Corrado II il Salico nel 1037, giunse poi a confermare, a lui o a suo figlio, il diritto di conservare i benefici acquisiti, e si spiega allora perché Ecelo, e non Herp, sia stato indicato dal Rolandino come il vero fondatore del suo lignaggio. In realtà Arpo non avrebbe fatto altro che usare il potere di heribannum, conferitogli in occasione della sua missione militare, per consolidare la sua autorità sulla popolazione locale e sottometterla. I successori avrebbero poi rafforzato la posizione del casato prestando i loro servigi agli imperatori di passaggio - dapprima Enrico IV e Enrico V, e molto più tardi Ottone IV -, ed è ben noto che nel 1229, Alberico ed Ezzelino III, chiamati in causa davanti al podestà di Vicenza dai Bassanesi ribelli contro le masnade signorili, dimostrarono "carte alla mano", che essi possedevano su Bassano diritti comitali, confutando la pars liberorum che sosteneva il contrario 59 . Ciò induce a ritenere che i fratelli da Romano conoscessero le origini, la nobiltà e le vicende della loro famiglia e fossero in grado di renderne conto. L'estensione del territorio controllato più tardi dai da Romano si spiega quindi agevolmente: era proprio lo spazio che garantiva il passaggio per la Valsugana. Esso comprendeva il Canale del Brenta dalla chiusa di Cismon, con Enego, Foza e parte del massiccio del Grappa, aprendosi poi a ventaglio a sud, dove abbracciava Romano, Bassano, Angarano, e forse Marostica e Fonte, nonchè Onara e Godego. Era presidiato così in modo univoco tutto il transito lungo le vie del Pedemonte, conteso in precedenza tra vari potentati laici ed ecclesiastici. Si giustifica perciò anche la potenza militare che acquisirono successivamente gli Ezzelini, i quali potevano contare sui servizi dei loro "Pedemontani": ossia di quei feudatari, piccoli proprietari, braccianti e servi di masnada che erano legati alle loro fortune in forza di locazioni, o grazie al conferimento di privilegi sociali 60 . 3) Ma è anche difficile pensare che Herp sia stato inviato da solo a compiere questa missione; sicuramente gli fu affiancato un contingente di uomini armati, e fu provvisto del denaro necessario per sostenere le spese degli uomini e dei servizi richiesti. Benché le notizie riferite dagli eruditi di un tempo siano scarsamente attendibili, motivate il più delle volte da intenzioni encomiastiche, potrebbe comunque non essere pura fantasia quanto scrisse Sertorio Orsato nel 1678 nella sua Historia di Padova 61 . Egli raccontò che Enrico II, per riconoscenza verso i servizi prestati, infeudò nel 1013 un cavaliere tedesco di nome Tiso del territorio di 58 A collegamenti dei primi da Onara con famiglie altolocate del territorio farebbe pensare anche la partecipazione alla donazione all'abbazia di S. Eufemia di Villanova, in VERCI, CDE, doc. VII, di personaggi come Ermiza filia quondam Belengarii, proprietaria di beni nel territorio di Romano e che Polizzi identifica con una figlia di Biangerio, fratello di Rambaldo II da Collalto; anche India filia quondam Unangerii di legge longobardica, e madre di Tiso e Gerardo (da Camposampiero), apparteneva ad una casata importante, sarebbe stata un'altra da Collalto secondo POLIZZI, Ezzelino da Romano…, pp. 11-14. 59 La rivolta è narrata in MAURISII Cronica…, p. 26. La confidenza con l'imperatore Enrico IV di Ecilus de Aunaria il 31 dicembre 1090 (Gloria e Verci attribuirono date diverse allo stesso documento, perché quest'ultimo non tenne conto dello stile della Natività usato nella datazione) e di Albricus et Eccelino germani de Alnaria nel 1116 con Enrico V (CDE, pp. 18-21), dimostra che i primi signori di Onara erano ben inseriti nell'ambiente imperiale in quegli anni di lotta tra impero e papato - e in particolare tra 1090 e il 1092 contro Matilde di Canossa -; ciò dovette assicurare loro la riconoscenza dei sovrani e la conferma delle loro giurisdizioni. I documenti di cui parla Gerardo Maurisio furono sicuramente distrutti alla morte di Ezzelino III. Probabilmente ciò permise anche al vescovo Bartolomeo, di avanzare diritti su Bassano e paesi circostanti; si veda in I documenti del Comune di Bassano dal 1259 al 1295, a cura di F. Scarmoncin, Padova 1989, pp. 145-153. 60 Sugli uomini di masnada e i rapporti tra Ezzelino III e i Bassanesi si veda la scheda curata da F. PIGOZZO, Le masnade ezzeliniane a Bassano, in Storia di Bassano del Grappa…, I, pp. 113-121. Le complicità presenti nella società bassanese del XIII tra signoria e cittadini sono state oggetto di studio in F. SCARMONCIN, Comune e debito pubblico a Bassano nell'età ezzeliniana, Bassano del Grappa, 1986, pp. 5-52. 61 S. ORSATO, Historia di Padova, Venezia 1678, p. 219; VERCI, Storia degli Ecelini, I,…, p. XXXVI. Sono notizie non supportate da documentazione, ma che potevano derivare da tradizioni orali della famiglia. 11 Camposampiero. Il Verci stroncò questa notizia in quanto - così scrisse - non era suffragata da testimonianze, e dichiarò che i documenti dei primi Camposampiero lui li aveva davvero trovati, insieme a quelli di Ecelo. Tiso però potrebbe essere stato veramente uno dei compagni di Arpo, e l'anno 1013 corrisponderebbe effettivamente a quello del suo arrivo nella Marca. La presenza nel Pedemonte di un Tiso professante legge salica, che forse è il capostipite dei da Camposampiero, sembrerebbe addirittura documentata fin dal 1025 in una vendita di beni intorno a Marostica edita dal Brunacci e dal Gloria 62 . Grava purtroppo su tale documento il dubbio di una lettura scorretta della datazione, dovuto alle lacune della pergamena 63 . L'Orsato però, pur non rifacendosi a documenti scritti, basava le sue affermazioni su notizie tramandate nella memoria dalla famiglia da Camposampiero, che non erano necessariamente tutte false. Esse furono poi inserite anche dallo Schröeder nel suo repertorio genealogico 64 , dove è menzionata pure un'altra famiglia vicentina che vantava analoghe origini, quella dei Verlati, in cui capostipite sarebbe disceso proprio da Werla al seguito di Enrico II 65 , così come avrebbe fatto l'antenato dai da Crespignaga, secondo il trevigiano Bonifaccio 66 . Mettiamo qui in evidenza quel che si disse di lignaggi che con i da Romano ebbero successivamente rapporti di parentela, di alleanza o di conflitto, come accadde in particolare per i da Camposampiero; ma bisogna ammettere che non ci sono garanzie, almeno sul piano storiografico, del fatto che i fondatori di queste famiglie fossero i compagni di Arpo. Quello che si vuole sottolineare è il fatto che gli imperatori tedeschi sempre più spesso, da Ottone I in poi, prepararono i loro spostamenti in Germania e in Italia con l'invio di nunzi e missioni logistiche, che predisponevano alloggiamenti e vettovaglie per l'imperatore, il suo seguito e l'esercito, e sicuramente non potevano mandare avanti un solo uomo 67 . Si dovrà considerare inoltre che ben difficilmente Enrico II avrebbe potuto inviare il suo ufficiale senza il beneplacito delle autorità più coinvolte nei giochi politici del momento, com'erano i vescovi di Treviso e di Padova. Vien quindi da supporre che la donazione imperiale concessa al vescovo trevigiano Arnaldo nel maggio del 1014, presso le chiuse dell'Adige a Volargne di Dolcè, mentre l'imperatore stava rientrando in Germania, si inserisse in tale contesto come contropartita o scambio 62 La pergamena è edita da G. BRUNACCI, De re nummaria Patavinorum, Venezia 1744, pp. 13-15; e poi in GLORIA, Codice Diplomatico Padovano…, doc. 109, p. 144; con data 1 settembre 1025. Secondo altre interpretazioni però potrebbe trattarsi dell'anno 1115. Sono attori della vendita Tiso professante legge salica e sua moglie Elica di legge longobarda, i quali, secondo il Gloria, sarebbero appartenuti alla famiglia da Camposampiero. Il documento più antico su questa famiglia riportato dal Verci è invece quello relativo a Tiso e Emilia del 1064: VERCI, CDE…, pp. 3-5. Il Gloria pubblica però un atto del 1055 novembre 13 in cui è presente Tiso detto Brenta, che è, con tutta probabilità, un da Camposampiero: Ibid., doc. 174, p, 206-07. Un'analisi approfondita sulle origini della famiglia da Camposampiero è stata condotta recentemente da R. RONCATO, Origini e prime vicende del casato Da Camposampiero: fra storia e storiografia, "Il Santo", LIV (2014), pp. 23-37. Anch'egli mette in risalto la professione di legge salica dei personaggi qui menzionati e ammette che è questa una precisa indicazione della loro provenienza d'Oltralpe, ma non avanza alcuna ipotesi sull'epoca e sulle circostanze del loro arrivo in Italia. L'argomento è ripreso, ma con maggior attenzione al XII-XIII secolo, da S. BORTOLAMI, I Da Camposampiero. Un domus magnatizia nella Marca dei Comuni, "Il Santo", LIV (2014), pp. 39-54. 63 Il documento originale, conservato presso l'Archivio di Stato di Milano, presenta erosioni lungo il margine destro nel punto in cui si dovrebbe leggere parte della datazione; in base all'anno dell'indizione potrebbe essere quindi attribuito tanto al 1025 che al 1115. 64 F. SCHRÖDER, Repertorio genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titoli nobiliari esistenti nelle provincie venete, Venezia 1830, p. 190. 65 SCHRÖDER, Repertorio genealogico…, pp. 356-57. La notizia è ripresa dalla Cronaca del Pagliarini il quale racconta che un certo Johannes da Werla, castello della Westfalia, "condottiere di gente d'armi", discese in Italia con l'imperatore Enrico II e fu il fondatore della famiglia Verlato. La data di tale evento è però incerta perché, pur accennando alla prima discesa del 1004, dice poi che costui accompagnava l'imperatore che si stava recando a Roma, il che avvenne nel 1013; PAGLIARINI, Cronacae…, p. 23. Anche queste notizie sembrano più legate a tradizioni famigliari che a una precisa documentazione storica. 66 G. BONIFACCIO, Historia Trivigiana, Treviso 1591, p. 130. Anche queste affermazioni non sono tuttavia suffragate da adeguata documentazione. 67 KELLER, Gli Ottoni…, pp. 110-120. L'A. evidenzia quanto poco ancora si conosca della logistica che accompagnava lo spostamento degli eserciti imperiali in epoca ottoniana. 12 di un favore. Alcuni sospettano che questo diploma possa essere in parte una falsificazione 68 , ma esso non lo è nella parte che ci interessa, ossia dove dimostra come tra il vescovo di Frisinga Egilberto, menzionato quale patrono, e quello di Treviso dovevano intercorrere in quegli anni stretti rapporti. È quindi possibile che tra i due prelati possa anche essere intervenuto qualche accordo e che il metropolita frisingense, proprio durante la discesa in Italia al seguito di Enrico II, abbia assegnato il feudo di Godego-Onara all'inviato dell'imperatore, per garantire un miglior controllo del territorio a nord della via Postumia. Affidare all'uomo di Enrico il territorio di Onara, per l'episcopato di Frisinga era certamente una scelta migliore che quella di assegnarlo a un'inquieta casata di conti tirolesi 69 . Quella di Onara fu dunque una vera investitura feudale, e fu la prima concessa agli Ezzelini; mentre la giurisdizione su Romano arrivò in un secondo momento, a conferma del servizio di custodia sulla vallata svolto per conto dell'Impero. L'inconsueta signoria su Onara e Romano di tale casato, non ancora spiegata adeguatamente, sarebbe così più comprensibile, come pure il rapporto privilegiato che gli Ezzelini ebbero almeno fino alla fine del XII secolo, con Treviso, il suo episcopato e più tardi con il suo Comune 70 . Se l'insediamento di Arpo fu strettamente collegato, come riteniamo, ad un'iniziativa di riorganizzazione militare del territorio, trova qualche spiegazione anche l'edificazione di fortificazioni nell'area bassanese durante il secolo XI, effettivamente necessarie per contrastare eventuali attacchi da parte di forze avverse all'impero. Quando Ecelo nel 1085, insime con sua moglie e altri aristocratici, donò al monastero di S. Eufemia di Villanova un consistente numero di proprietà, dimostrarono infatti di possedere anche qualche castrum 71 , che, considerando i tempi di edificazione, dove essere stato costruito contestualmente all'affermazione del primo signore di Onara. Si ripropone così anche il tema delle origini del castello bassanese. Il controllo sul territorio di Romano era certamente importante per gli Ezzelini, in quanto da lì presidiavano un'area di mercato e l'accesso ai percorsi montani, ma senza il controllo su Bassano e Angarano la famiglia da Onara non avrebbe potuto acquisire la potenza che la contraddistinse. È vero che le fortificazioni di Bassano sono documentate solo dopo il 1150 72 , ma le esigenze militari del 1013 avrebbero potuto indurre Arpo a incoraggiare l'avvio di opere difensive intorno alla chiesa pievana menzionata in un placito fin dal 998 73 ; e in effetti egli aveva le motivazioni e il potere per farlo. Le origini e lo sviluppo del castello bassanese, attualmente chiamato degli Ezzelini, sono comunque un problema complesso sul quale non è ora il caso di soffermarsi; si vuole qui soltanto richiamare l'attenzione sul fatto che le nostre ipotesi potrebbero indurre a non considerare chiuso l'argomento 74 . 68 Heinrici II et Arduini Diplomata…, pp. 893-894. Il diploma del 1014 che mostra il vescovo Amalrico (ma in realtà Arnaldo) ricevere per interessamento del vescovo di Frisinga Egilberto varie proprietà, tra cui la chiesa di S. Maria di Asolo e alcuni beni dell'abbazia di S. Ilario (conferma di un analogo diploma del 996 concesso al vescovo Rozo), si colloca all'interno di una disputa per il controllo delle decime condotta da una parte e dall'altra con documenti almeno in parte modificati. Sebbene siano poco credibili alcune donazioni di corti appartenenti al monastero, il documento fa tuttavia riferimento a un rapporto tra i due vescovi, quelli di Treviso e di Frisinga, che doveva essere reale. 69 È questa la tesi sostenuta da Polizzi, ma viene da dubitare che la pressione di questa nobiltà tirolese verso la pianura, avrebbe trovato consenzienti i vescovi cittadini e affermati signori come Rambaldo da Collalto. 70 Anche nella Pace di Fontaniva del 1147 i da Romano, pur non figurando quali rappresentanti della comunità di Treviso, risultano chiaramente inseriti nell'ambiente di quella città: A. GLORIA, Codice diplomatico padovano dall'anno 1101 alla pace di Costanza (25 giugno 1183), II, 2, Venezia 1881, n. 1541, p. 513. 71 VERCI, CDE…, pp. 10-17. 72 G. PETOELLO, Note sulla genesi e lo sviluppo della forma e delle funzioni urbane di Bassano (secoli X - avvio XIX), in Storia di Bassano del Grappa…, pp. 235-237. La data è desunta da un documento proveniente dall'abbazia di S. Eufemia di Villanova (oggi Abbazia Pisani), in ASVe, Archivio Labia, busta 9, recentemente "riscoperto". Va anche detto che nel corso del XII secolo alcuni fenomeni sismici, come il disastroso terremoto veronese del 1117, potrebbero aver prodotto danni considerevoli a strutture murarie elevate e grossolane, rendendo necessarie varie fasi di restauro e ricostruzione. 73 Della pieve sita in Maciniano (Margnano), ossia nella parte più elevata del colle di Bassano, si parla in un atto edito in I placiti del "Regnum Italiae",II, a cura di C. Manaresi, Roma 1957, p. 241. 74 Le origini del castello bassanese sono state variamente attribuite alla volontà di un Vescovo (vicentino o padovano), com'è ipotizzato in G. MANTESE, Memorie storiche della Chiesa Vicentina, I, Dalle origini al Mille, Vicenza 1952, pp. 13 A questo punto si può dire che a fondare il casato dei da Romano fu veramente un giovane guerriero venuto d'oltralpe, come sosteneva il Rolandino, ma secondo la nostra ricostruzione non sarebbe Ecelo, bensì suo padre Arpo, il "miles ab uno equo" disceso al servizio di un imperatore; ed è intrigante notare come dal primo all'ultimo componente del casato, ossia quell'Ezzelino III che fu l'uomo di punta di Federico II, ci sia tanta analogia nell'essere stati fermi sostenitori della causa dell'Impero 75 . Il racconto rolandiniano farebbe inoltre apparire i sovrani germanici come generosi patroni di giovani guerrieri in cerca di gloria e onori. È vero che alcuni imperatori successivi, come Corrado II e soprattutto gli Hohenstaufen, utilizzarono anche uomini d'arme di origine servile, i ministeriales 76 , per il controllo di località strategicamente importanti, ma una lettura attenta dei diplomi di Enrico II e dei suoi predecessori, dimostra piuttosto un impiego oculato della concessione di benefici a parenti e vescovi al fine di creare una rete di tutela del territorio 77 ; e in tal senso doveva essere orientato anche l'insediamento dei da Onara nell'area pedemontana. Ci si può chiedere, a questo punto, se Enrico II nel favorire la creazione di una serie di presidi militari che dalla Valsugana giungevano fino al territorio padovano, non avesse in mente un progetto più ampio, e viene in mente che tutti gli imperatori germanici hanno guardato con attenzione i percorsi che conducevano a Venezia e che pure i rapporti tra la città lagunare e gli imperatori germanici furono spesso conflittuali 78 ; ma anche quelli tra i governanti veneti e gli ultimi signori da Romano, Ezzelino III e Alberico, si conclusero tragicamente. 187-88, oppure all'iniziativa dei cittadini bassanesi: G. FASOLI, Un comune veneto nel Duecento: Bassano, «Archivio Veneto», s. IV, 15 (1934), Venezia, p. 5. 75 La "fedeltà" di Ezzelino III da Romano e dei suoi predecessori all'ideale dell'Impero è ribadita anche da G. CRACCO, Il grande assalto, Venezia 2016. 76 J. B. FREED, The Origins of the European Nobility: The Problem of the Ministerials, «Viator», 7 (1976) , p. 211-242. 77 KELLER, Gli Ottoni…, pp. 125-128. 78 Per quanto riguarda i rapporti di Enrico II con Venezia ricordiamo che a pochi mesi dalla sua incoronazione, il 16 novembre 1002, egli emanò un diploma con cui riconosceva al doge veneziano Pietro II Orseolo tutte le proprietà e i diritti già concessi da Ottone I in Veronensi marchia sive in Istrensi comitatu; ma lo stile dell'atto è chiaramente quello di una conferma di patti promanante dalla propria sovranità, è insomma una concessione insomma, e non il riconoscimento di un'altra sovranità. In Heinrici II et Arduini Diplomata…, pp. 26-27.