DIACRONÌA
Rivista di storia della filosofia del diritto
1 | 2021
Diacronìa : rivista di storia della filosofia del diritto. - (2019)- . - Pisa : IUS-Pisa university press, 2019- .
- Semestrale
340.1 (22.)
1. Filosofia del diritto - Periodici
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Indice
Filosofía del derecho e historia: cuestiones metodológicas
a cura di Francisco Javier Ansuátegui Roig
Non solo i classici? La questione dell’invisibilità nella storia della filosofia del diritto
Thomas Casadei................................................................................................13
Appunti per una riflessione ‘discronica’ su potere e obbedienza: da Arendt a Epicuro
Lorenzo Milazzo ................................................................................................45
βία: storie (filosofiche) del diritto
Francesco Mancuso ...........................................................................................81
Un classico dei classici della filosofia giuridica. Schmitt e Olivecrona lettori di Locke
Ilario Belloni ...................................................................................................117
Il diritto come fatto. Prime notazioni su Vico e la filosofia giuridica tra Otto e Novecento
Valeria Marzocco .............................................................................................141
Las teorías críticas en la historia de los derechos humanos
María del Carmen Barranco Avilés ....................................................................163
Historia, memoria y justicia transicional
Cristina García Pascual ....................................................................................189
Gli inizi di una visione storica del mondo nella filosofia del Novecento
Adriano Ballarini .............................................................................................217
Saggi
Legge e giusto mezzo: la filosofia del diritto di Mosè Maimonide
Lucia Corso, Cosimo Nicolini Coen .................................................................235
5
DIACRONÌA 1 | 2021
Tra antiquari e orologiai. Filosofia del diritto e dimensione storica
Andrea Porciello ..............................................................................................267
Note
La teologia politica moderna
Vincenzo Omaggio ..........................................................................................295
Per un’eredità del pluralismo classico. Politica e diritto in Romano, Schmitt e Mortati
Pier Giuseppe Puggioni ...................................................................................311
Questo fascicolo di Diacronìa è dedicato a Franco Bonsignori in occasione del suo
ottantesimo compleanno
6
DIACRONÌA 1 | 2021
DOI: 10.12871/978883318103510
LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA
FILOSOFIA DEL DIRITTO DI
MOSÈ MAIMONIDE
Lucia Corso, Cosimo Nicolini Coen
Abstract
In this essay we discuss the philosophy of law of Moses Ben Maimon, dedicating special attention to two issues: the function of the law and the golden middle way of the
classic ethical tradition. We argue that the intersection among these two issues lies in
the concept of the law as an instrument to temper human excess in order to achieve
an ordered society, an ethical life, and a sufficient knowledge of God. Drawing on the
philosophical, ethical, and medical writings of the Jewish thinker, we argue that the
achievements of good habits and an educated inclination do not make laws irrelevant
and superfluous. On the contrary, human beings are required to comply with both
intelligible and less intelligible rules, to the extent these rules come directly or indirectly (via interpretation) from God. The revealed law (Torah) as paradigm of limit
and moderation emerges as well in Maimonides conception of legal hermeneutics. In
this way, we argue that the high moral value represented by the action’s attributes of
God in Jewish thought is matched by the awareness of the limits of human intellect: it
is according to these limits that the Jewish law (Halakha) outlines its rules.
Keywords
Maimonides; Golden middle way; Law, Torah & medicine; Talmud and karaitism; Limit.
Questa Torah assomiglia a due sentieri: uno di fuoco e uno di neve. Deviando
da una parte, si perisce nel fuoco, deviando dall’altra si perisce nella neve. Che
cosa, dunque, si deve fare? Si proceda nel mezzo, non deviando né da una
parte, né dall’altra.
Talmud ger., Chagigà
235
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
1. Introduzione
Questo saggio intende affrontare la filosofia del diritto del Maestro filosofo ebreo Mosè Maimonide dedicando attenzione a due temi in qualche misura connessi, il tema della moderazione o del giusto mezzo e il
tema della funzione della legge. L’originale intreccio fra i due temi fa sì
che sebbene il pensatore sostenga una concezione altissima della legge,
al tempo stesso religiosa, morale e perfino giuridica, emerge comunque
dai suoi scritti una profonda diffidenza non solo nei confronti del vizio e
della trasgressione, come è facile aspettarsi, ma anche, ed è qui l’aspetto
più interessante, nei confronti dell’eccesso di virtù.
Mosè Maimonide (letteralmente, Mosè figlio di Maimon, in ebraico Moshè ben Maimon), noto più comunemente con l’acronimo di
RaMBaM, è il più grande pensatore ebreo medioevale e tutt’ora gode
di un’enorme fama, riassunta nel detto: da Mosè [figlio di Amran] a
Mosè [figlio di Maimon], nessuno fu grande come Mosè1, cosa che
dimostra che all’interno della tradizione ebraica il paragone fra
Maimonide e Mosè non viene ritenuto fuor di luogo. Il Perush
HaMishnah (Commento alla Mishnah, 1160-1170), scritto in dieci anni, è uno dei primi tentativi di restituire autorità al testo della
Mishnah redatto nel II sec. e.v., mettendo ordine anche fra le innumerevoli interpretazioni a cui il testo era stato soggetto nel corso
dei secoli2; mentre il Mishne-h To-ra-h (Seconda Legge o Ripetizione
della Legge, 1170-1180), un compendio di 14 volumi della Halakhà
(il corpus normativo ebraico), offre una sistematizzazione di tutto il materiale giuridico sparso nei volumi del Talmud. Ma Maimonide fu anche
un fine giurista, un medico dalla solida reputazione e un filosofo. La
sua principale opera filosofica, il Mo-re-h nĕbu-ki-m (Guida dei perplessi
1180-1190ca.) persegue l’obiettivo di conferire una veste di maggiore
intellegibilità ai fondamenti dell’ebraismo attraverso la sapienza greca e,
M. Kellner, From Moses to Moses, in «Rambam Maimonides Medical Journal», I
(2010), 2, pp. 1-5.
2
Per la spiegazione del termine Mishnah si rinvia al § 6.
1
236
LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE
soprattutto, la filosofia di Aristotele. Come spiega l’autore nell’introduzione, l’opera non si rivolge alle masse o ai principianti nella speculazione, ma a quei pochi che avvertono un senso di smarrimento, i perplessi appunto, per essere, da un lato, saldi nella fede e nell’osservanza e,
dall’altro, profondi conoscitori della filosofia e della dialettica3.
Si sbaglierebbe tuttavia a ritenere la Guida un’opera filosofica orientata
a dimostrare la compatibilità di ragione e fede. Maimonide fu innanzitutto
un Maestro ebreo il quale, se da un lato si serve delle speculazioni dello
Stagirita (e dei suoi traduttori arabi) per le proprie discussioni metafisiche
ed etiche, non esita a smarcarsi da certe affermazioni del filosofo greco qualora contraddicano i fondamenti dell’ebraismo4: ad esempio, all’opinione
dell’eternità del mondo, Maimonide contrappone il principio alla base del
monoteismo della creazione del mondo ex nihilo ad opera di Dio.
Della sua sterminata produzione, prevalentemente in arabo (ma anche in giudeo arabo e in ebraico), e che attraversa vari campi del sapere,
dalla logica ai commenti e alla sistematizzazione della legge ebraica, ad
opere di medicina, ai pareri giuridico religiosi, la dottrina etica rimane
forse la parte più originale, valida e duratura5.
Ed è proprio su questo aspetto, e cioè sui fondamenti dell’etica maimonidea, che il saggio intende concentrare la propria attenzione. L’obiettivo degli autori è di riflettere sulla singolarità della proposta etico
giuridica di Maimonide nella parte in cui questi innesta la convinzione,
tipicamente ebraica, della Torah come fonte prevalente se non esclusiva
della normatività, sulla concezione classica dell’etica del giusto mezzo,
che ha trovato in Aristotele il suo massimo esponente. Maimonide non
si allontana radicalmente dal solco tracciato dai Maestri dell’ebraismo
che, in linea con l’insegnamento del libro dei Proverbi e di numerosi
Salmi, e di una buona parte della tradizione ebraico ellenistica, nonché
M. Maimonide, La guida dei perplessi, a cura di M. Zonta, UTET, Torino 2003,
(d’ora in avanti la “Guida”), Introduzione, pp. 69-70.
4
G. Laras, Prefazione, in Mosè Maimonide, Gli Otto Capitoli. La dottrina dell’etica, Giuntina, Firenze 2001, p. 10 (d’ora in avanti, “Otto Capitoli”).
5
Ivi, p. 11.
3
237
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
di quella del periodo mishnico e di quello talmudico, si caratterizzavano
per respingere ogni forma di eccesso, sia verso il male che verso il bene6.
Il saggio intende affrontare due temi distinti ma connessi. Il primo riguarda il concetto di via mediana o di moderazione, che trova in Maimonide una declinazione peculiare anche rispetto alla trattazione aristotelica
a cui l’autore attinge. La Torah, insiste Maimonide, non richiede all’uomo
nulla più di quanto non sia conforme alla sua natura e scoraggia pratiche
eccessive, come l’ascetismo, la castità, l’eremitaggio, la rinuncia radicale ai
beni materiali. Sotto questo profilo, la via mediana di cui parla il Rambam
non può essere fatta coincidere con la virtù della temperanza della tradizione paolina7. Proprio perché le norme morali non possono prescindere dai
tratti caratteriali di chi le deve osservare, importantissime diventano le prescrizioni finalizzate ad orientare la psicologia individuale, ad esempio il controllo degli appetiti, ma anche i tratti squisitamente fisici, come la costanza
degli umori corporei, il funzionamento dell’intestino, il battito cardiaco. Ne
segue un’originale sovrapposizione fra comandamenti religiosi, norme mirate a modificare i temperamenti ma anche prescrizioni di carattere medico.
Il secondo tema è quello della funzione della Legge. Maimonide presuppone una sostanziale identificazione fra legge morale e legge divina, fra
diritto e religione. Ci si potrebbe aspettare che una morale della legge mal
si adatti alla morale delle inclinazioni o del carattere. E invece il pensatore
ebreo offre un’originale riflessione che fa intrecciare l’interpretazione filosofica e religiosa della Halakhà con considerazioni di tipo antropologico
e psicologico sui tratti caratteriali dell’essere umano. La concezione della
legge non può essere quindi declinata se non a partire da questo connubio8.
Vale la pena in chiusura di questa introduzione anticipare cosa esuli dai
nostri propositi. Innanzitutto, intendiamo tenerci a distanza dalle dispute
interpretative che riguardano la teologia di Maimonide, con la conseguenza
Ivi, p. 7.
San Paolo, scrivendo a Tito, dà questo consiglio: «Insegna ai vegliardi ad essere sobrii, onesti, moderati, e a conservarsi puri nella fede, nella carità e nella pazienza» (Tt 2,2).
8
A. Luzzatto, Il rinnovamento della halakhah in Israele, in «Studi fatti ricerche»,
50 (1990), p. 3.
6
7
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LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE
che, ove vengano trattate, le questioni squisitamente teologiche (ad esempio, sugli attributi di Dio) verranno affrontate attingendo e spesso facendo riferimento ad altri studiosi. Rinunciamo poi a pretese rigorosamente
filologiche, anche perché lettori delle opere del pensatore, prevalentemente
(seppur non esclusivamente) attraverso le traduzioni italiane ed inglesi.
Da ultimo, sebbene Maimonide sia un autore sul quale la letteratura
ebraica sia di gran lunga dominante, il nostro obiettivo non è quello di
rivolgerci al pubblico dei dotti del giudaismo. Piuttosto, forse in questo
tradendo lo spirito del pensatore ebreo, pensiamo che le sue riflessioni
sui comportamenti corretti dell’essere umano, che coinvolgono anche
indicazioni di psicologia e di medicina, possano interessare un pubblico più vasto, magari laico, fatto, come noi che scriviamo, da persone che
cercano di comprendere il valore della moderazione e del suo rapporto
con le norme morali e con il diritto, ma che di certo non si arrogano la
pretesa di collocarsi fra coloro che stanno ‘saldi nella fede e nell’osservanza’, né fra i ‘profondi conoscitori della filosofia e della dialettica’.
2. Moshe ben Maimon: un uomo in esilio
Restituire i principali tratti della vita e delle opere di Maimonide non rileva solo per una preoccupazione di ordine storiografico. A delinearsi, nello sguardo retrospettivo al grande filosofo, codificatore e medico – nato
a Cordova nel 1138 e morto a Fustat (Cairo) nel 12049 – è piuttosto un
costante rimando tra destino personale, a sua volta inscindibile da quello
del popolo ebraico, e produzione teoretica ed etico-giuridica. Rapporto
tra realtà materiale e speculazione che trova la propria definizione nella
M-R Hayoun, Maïmonide ou l’autre Moïse Edition 2017, Pocket Agora, Paris
2013-2017, p. 69. Dell’opera si trova una traduzione in italiano della prima edizione;
tr. it. di S. Salpietro, Maimonide l’altro Mosè, con un testo di Giuseppe Laras, JacaBook,
Milano 2003. Circa la data della nascita, mentre Hayoun riporta il 1138, lo storico
Abitbol nel suo lavoro del 2013 ancora riporta la data del 1135; M. Abitbol, Histoire
des juifs. De la genèse à nos jours, Perrin, Paris 2013, p. 118; tr. it. di V. Zini, Storia
degli ebrei. Dalle origini ai nostri giorni, Einaudi, Torino 2015.
9
239
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
condizione dell’esilio: da qui la ricerca di un equilibrio, ove prescrizioni
e insegnamenti della Torah divengono percorso di vita e dove, per parafrasare il salmista, «bontà e verità si incontrano»10. Per cogliere tali aspetti
pare anzitutto necessario mettere in luce quelle diverse matrici culturali
che fecero di Maimonide un «prodotto della socio-cultura giudeo-araba»11. Matrici che si possono riassumere nel nome al-Andalus, la Spagna
di dominazione araba o, secondo l’etimo ebraico, Sefarad. Qui, come
noto, la simbiosi arabo-ebraica raggiunse uno dei suoi vertici12. Proprio
nella Spagna degli Omayyadi (929-1031) era fiorita nel tempo una rigorosa tradizione di scuole talmudiche, che crebbe in prestigio tanto da ledere
l’egemonia delle accademie del Vicino Oriente. A questa tradizione si affiancava la rinascita, avviata dalle prime traduzioni dal greco al siriaco dei
cristiani d’Oriente13, della filosofia greca, in particolare di quella neo-aristotelica, filtrata da Al Farabi (il «secondo Maestro», dopo Aristotele)
ed Avicenna14. Due matrici – gli studi tradizionali e la filosofia – distinte
che tuttavia, sulla scorta di quanto avvenuto in ambito mussulmano, non
mancheranno anche in quello ebraico di interagire portando a maturazione, nello studio della grammatica e della logica, fino alla metafisica e alla
teologia, nuovi orientamenti di pensiero. Alcuni (più rari) volti a mettere
in luce l’asimmetria tra ragione e rivelazione; altri a ricercarne momenti di
Salmi, 85-11, Bibbia ebraica.
Hayoun, Maïmonide, cit., p. 64.
12
M. Abitbol, Histoire des juifs, cit., pp. 111-138.
13
C. Martini Bonadeo, La filosofia dell’Islam, in U. Eco (a cura di), La filosofia e
le sue storia, Laterza, Bari 2014, p. 424.
14
Cfr., Hayoun, Maïmonide, cit., p. 58. Per una ricostruzione sintetica, C. Martini
Bonadeo, La filosofia dell’Islam, e R. Fedriga, la filosofia degli ebrei, in U. Eco (a cura di),
La filosofia e le sue storie, cit., pp. 424-444. La letteratura sulle influenze della filosofia
islamica sull’opera di Maimonide è ampia: cfr. S. Harvey, Alghazali and Maimonides and
their Books of Knowledge, in J.M. Harris (a cura di), Be’erot Yitzhak: Studies in Memory of
Isadore Twersky, Harvard University Press, Cambridge 2005, pp. 99-117; S. Stroumsa,
Maimonides in His World: Portrait of a Mediterranean Thinker, Princeton University
Press, Princeton-Oxford 2009; cfr. anche S. Pines (tr.), Moses Maimonides, The Guide
of the Perplexed, University of Chicago Press, Chicago 1963, Introduction, lvii-cxxxiv.
10
11
240
LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE
sintesi – come tentato da Sa’adia Gaon (882-946), a capo dell’Accademia
talmudica di Sura (attuale Iraq) ed esponente del razionalismo ebraico.
Il fertile confronto tra ragione e rivelazione, inizialmente sorto nel Vicino
Oriente dell’Impero abbaside, divenne, così, caratteristica della Spagna
araba. Tuttavia, con l’arrivo al potere degli Almohadi (1147), fautori di
un Islam integrale, quella che era stata la grande tradizione sefardita di
studi talmudici e filosofici, venne irreversibilmente meno. Fu proprio a
questa tradizione, o alla sua eredità, cui Maimonide sempre guardò, in
quella «nostalgie de la sagesse»15, che lo accompagnerà lungo il corso delle sue peregrinazioni. Gli almohadi, infatti, posero le locali popolazioni
ebraiche e cristiane di fronte alla scelta della conversione o della morte.
La famiglia dei Maimon si diede dunque alla fuga, dapprima all’interno
dell’Andalusia (1147-1160 circa), quindi in Marocco, a Fez. Fu a Fez, tra
i1160-1165, che Maimonide approfondirà i suoi studi in teologia islamica, medicina e Talmud16. Il giovane Maimonide aveva già messo a punto
un sunto di lessico logico-aristotelico (1151), un lavoro sul calendario
(Mamar HaIbbur, 1158), e aveva iniziato a mettere mano a quello che
diventerà il suo Commento alla Mishnà.
Pochi anni dopo aver composto la Iggeret HaShmad (Lettera sull’apostasia, 1162), Maimonide dovette assistere al martirio del suo maestro di Talmud, che rifiutò la conversione all’Islam, nel 1165. A seguito
del nuovo inasprirsi delle persecuzioni, la famiglia Maimom si imbarcò
verso la terra di Israele. Sbarcarono ad Acco, nel 116517 ma decisero
presto di recarsi in Egitto – ad Alessandria. Sarà poi a Fustat, nei pressi
del Cairo, che Maimonide si dedicherà alle opere che lo resero celebre,
nel mondo ebraico e non solo: il suo grande codice, il Mishné Torah
(ultimato nel 1180 e preceduto dal Sefer HaMizwot, nel 1170), e la Guida dei perplessi (1190). In Egitto, pur essendosi pienamente integrato,
quale punto di riferimento della comunità ebraica, e come stimato me-
15
16
17
G. Roux, Maïmonide ou la nostalgie de la sagesse, Editions Points, Paris 2017.
Hayoun, Maïmonide, cit., pp. 83-84.
Ivi, pp. 85-86.
241
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
dico di corte, Maimonide continuò a firmarsi «lo spagnolo»18. A percepirsi, dunque, come un uomo in esilio.
Maimonide sapeva bene, avendo vissuto le persecuzioni islamiche in
al-Andalus e in Marocco, che senza una condizione politica stabile, ma
al contempo vivibile per la minoranza ebraica, non vi può essere osservanza dei precetti, della legge (cfr., Lettera allo Yemen, 1772)19. Si può
dunque aderire all’ipotesi che sia stata proprio la condizione dell’esilio
a spingere Maimonide all’opera di codificazione, iniziata con il Commento alla Mishnah e culminata con il Mishné Torah20. E si può forse
anche formulare la congettura che la dimensione dell’esilio, condizione
che richiede spesso sopportazione, umiltà e specialmente capacità di
mediazione e compromesso, abbia potuto altresì influire sulla centralità
assegnata nel suo corpus di scritti alla moderazione e dunque alla rivisitazione, alla luce della tradizione mishnica e talmudica, del principio
regolatore cardine dell’etica aristotelica, il giusto mezzo.
3. La via giusta è la via mediana
Le riflessioni di Maimonide sui comportamenti che il giusto deve
seguire sono sparse all’interno del suo vasto corpus di scritti21. Di
particolare rilievo sono le seguenti opere: i cosiddetti Otto Capitoli
(Shemoneh Perakim), una trattazione suddivisa in otto capitoli che fa
da introduzione al commento sul Pirkè Avot all’interno del Commento
alla Mishnah; le Norme di vita morale (Hilchoth De’oth, 1170-1180),
Ivi, pp. 172-173; cfr anche, p.e. H. Le Porrier, Le médecin de Cordoue, Editions du Seuil,
Paris 1974, p. 284.
19
M. Maimonides, The Epistle to Yemen, in D. Hartman (a cura di), Epistles of
Maimonides. Crisis and Leadership, The Jewish Publication Society of America,
2009, pp. 93-131 (d’ora in avanti “Epistle to Yemen”).
20
M. Halbertal, Maimonides. Life and Thoughts, Princeton University Press,
2015, p. 23; G. Roux, Maimonide ou de la nostalgie de la sagesse, cit.
21
Per una raccolta degli scritti morali, cfr. Moses Ben Maimon, The Ethical Writings of Maimonides, Raymond L. Weiss with Charles L. Butterworth (Eds.), Dover
Publications, Inc., New York 1975.
18
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LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE
contenute nel terzo capitolo del Primo Libro del Mishneh Torah; il
Libro dei Precetti (Sefer ha-Mitzwot), scritto poco prima della redazione del Mishneh Torah e contenente i 613 comandamenti prescritti
dalla Torah; la Guida alla Salute (Hanhagath Ha-Beriuth, 1198)22,
alcune lettere indirizzate ai capi delle comunità ebraiche sparse per il
mondo23 e alcuni brani contenuti prevalentemente nella parte III della
Guida per il perplessi.
Nelle Norme di vita morale (Hilkhot de’oth)24, dopo avere elencato
undici comandamenti25 del giudaismo a cui gli ideali etici sono ispirati,
il pensatore di Cordova passa in rassegna i temperamenti e i caratteri
degli uomini e afferma che «[l]a via giusta è la via mediana, che passa fra
i due estremi opposti, propri di ciascuna disposizione dell’anima»26. Se
dunque, c’è chi è irascibile e chi insensibile, chi si rallegra e chi si affligge, chi è taccagno e chi è prodigo, chi è crudele e chi è misericordioso,
chi è pavido e chi è coraggioso, e così via27, la via mediana è la scelta fra
gli estremi. Maimonide segue Aristotele anche nei suggerimenti per correggere un temperamento che tenda verso un estremo e che consistono
innanzitutto nell’introspezione e, poi, nell’esercizio.
Il primo atto è quello, dunque, di scoprire la propria indole che
può essere naturale ovvero acquisita28: «l’uomo sapiente deve control-
G. Laras, M. Tedeschi, Maimonide un percorso verso il benessere, Muzzio Editore, Monte San Pietro 2010.
23
D. Hartman (Eds.), Epistles of Maimonides. Crisis and leadership, The Jewish
Publication Society, Philadelphia and Jerusalem 1993.
24
M. Maimonide, Norme di vita morale, a cura di M. Giuliani, Giuntina, Firenze
2018 (d’ora in poi “Norme di vita morale”).
25
Eccoli: 1. Imitare le vie di Dio; 2. Associarsi a coloro che Lo conoscono; 3.
Amare il prossimo; 4. Amare gli stranieri; 5 Non provare sentimenti di odio verso i
fratelli; 6. Correggerli [quando sbagliano]; 7. Non svergognare nessuno in pubblico;
8. Non affliggere quanti sono [già] infelici; 9. Non spargere maldicenze; 10. Non perseguire vendetta; 11. Non serbare rancore, Ibidem, Introduzione, p. 43.
26
Norme di vita morale, I, 4.7.
27
Ivi, I, 1.
28
Otto capitoli, IV, p. 65.
22
243
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
lare sempre i suoi atteggiamenti, soppesare le sue azioni ed esaminare
quotidianamente le inclinazioni della sua anima»29. Questo implica che
il sapiente riconosca i propri limiti perché, come aveva già affermato Aristotele, «è impossibile trovare un uomo, naturalmente dotato di tutte le
virtù etiche e intellettive»30. Maimonide cita anche Salomone: «non esiste
uomo giusto sulla terra che faccia sempre il bene, senza mai peccare»31.
Vi è una curiosa similitudine fra medicina e norme di vita morale32,
sia per quel che concerne la diagnosi che per quel che riguarda la cura:
«Gli ammalati del corpo sentono l’amaro dolce e il dolce amaro. […]
Tutto in ragione della gravità della malattia. Allo stesso modo ci sono
uomini malati nell’anima che desiderano e amano i cattivi comportamenti e detestano la vita buona, non attivandosi verso essa, in quanto
questa appare loro troppo pesante. E tutto in ragione della loro malattia»33. Tenersi in buona salute diventa dunque un principio morale
perché «non si può comprendere e conoscere alcunché se si è malati»34.
Quanto all’esercizio, l’uomo che abbia preso atto del proprio temperamento, deve porre in essere azioni proprie del temperamento opposto. Ad esempio, l’uomo irascibile deve esercitarsi ad esporsi alle offese
Otto capitoli, IV.
Aristotele, Etica Nicomachea, VII, I; Saadia Gaòn, Sèfer ha – Emunoth ve – ha
– de’oth V, 2-3.
31
Re, 8,46 e Qo 7,20, Otto capitoli, IV: «Di conseguenza i maestri più antichi
hanno raccomandato che l’essere umano valuti sempre le proprie attitudini e qualità,
ne calcoli la rettitudine e le orienti verso il giusto mezzo, al fine di godere di piena
salute. […] Inoltre, non dovrebbe occuparsi di affari se non di quelli che gli sono
necessari per i bisogni della vita quotidiana, come dice il salmista: ‘Il poco di cui il
giusto ha bisogno è cosa buona’ (Salmi 37, 16). Non dovrebbe stringere la sua mano
[nell’avarizia] né sperperare il suo denaro. […] E non sia eccessivamente gaio e ridente né eccessivamente triste o appesantito, ma piuttosto stia sobriamente sobriamente
contento ogni giorno facendo a tutti buona accoglienza».
32
I. Englard, The Example of Medicine in Law and Equity - On a Methodological Analogy in Classical and Jewish Thought, in «Oxford Journal of Legal Studies» 5
(1985), 2, pp. 238-247.
33
Norme di vita morale, cap. II, alef, 53.
34
Ivi, cap. IV, alef, 65.
29
30
244
LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE
e al disprezzo altrui senza reagire; allo stesso modo l’uomo troppo parsimonioso deve sforzarsi di fare prestito e fare beneficienza più di quanto non sia necessario35. Colui che eccede nel cibo deve mangiare molto
poco e chi indugia eccessivamente nei piaceri della carne deve praticare
forme di astinenza temporanea36.
Tali pratiche compensative, tuttavia, hanno una durata limitata
e sono orientate a stabilire un equilibrio. Maimonide mette perciò in
guardia dalla tentazione di tendere verso il polo opposto a quello chiaramente negativo, ritenendolo il fine della propria azione morale. Ecco
cosa scrive, verosimilmente in polemica con i cristiani:
«Qualcuno potrebbe dire: ‘Dal momento che l’invidia, la lussuria e
tutti i vizi ad essi analoghi costituiscono comportamenti sbagliati e rovinano la vita umana, me ne terrò a molta distanza e mi rifugerò al polo che
è loro opposto’. [Ciò significa vivere] senza mangiare carne e senza bere
vino, senza sposarsi e senza abitare in una casa confortevole, e non vestirsi in modo elegante ma solo con tela di sacco e ruvida lana, o cose simili,
come usano i monaci di Edom [ossia della cristianità]. Anche tale scelta
è un comportamento sbagliato ed è proibito inoltrarsi in questa strada.
Colui che la pratica è considerato un peccatore. […] Pertanto, i sapienti
hanno raccomandato che l’uomo non si astenga se non da quelle cose
che la Torà ci ha proibito: nessuno deve vietare a sé stesso, attraverso
voti e giuramenti, quelle cose che la Torà ci ha permesso. […] In questa
regola generale sono inclusi quanti praticano frequenti digiuni: costoro
non seguono la via retta e buona. I maestri hanno vietato di mortificare
sé stessi attraverso la pratica del digiuno. Su tutta questa materia e su casi
analoghi, Salomone dice: ‘Non essere giusto all’eccesso né troppo saggio: perché vuoi rendere miserabile la tua esistenza?’» (Qohelet 7,16)37.
Ivi, I, 3.
L’attenzione all’alimentazione è ribadita nella Guida alla Salute, in Laras e Tedeschi, Maimonide, Un percorso verso il benessere, cit., (d’ora in avanti, Guida alla
Salute), capp. 1, 6, p. 100. Sul tema cfr. anche: M. Zonta, Un interprete ebreo della
filosofia di Galeno, Zamorani, Torino, 1995.
37
Ivi, III, 1.
35
36
245
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
Stesse considerazioni erano state espresse negli Otto Capitoli qualche decennio prima. Di fronte alle regole eccessive che l’uomo virtuoso si autoimpone, Maimonide aveva citato il Talmud, nono capitolo di
Nedarim: «Rav Idi, a nome di Rabbi Izchak, diceva: non ti basta quello
che già la Torah ti ha proibito, che vai proibendoti altre cose?»38. Solo
per ragioni terapeutiche o per controbilanciare l’estremo opposto è legittimo abbandonare la via mediana. Ma si tratta di discostamenti temporanei e finalizzati a ritornare al giusto mezzo. Commentando il Salmo
che recita «a chi prende la via diritta farò brillare la salvezza di Dio»39,
Maimonide offre la seguente spiegazione: «Non leggere ‘chi prende’ ma
‘chi pondera’, e ponderazione significa misura e senso critico»40.
La strada retta consiste dunque nella qualità intermedia che sta in
mezzo ai comportamenti estremi che l’uomo può adottare. Si tratta di
una qualità che si trova appunto equamente lontana dai due poli che si
contrappongono, o almeno che non è vicina a nessuno dei due41. L’equilibrio presuppone anche regolarità: «Le abitudini e la regolarità rappresentano un principio fondamentale per il mantenimento della salute e la
cura delle malattie»42.
Maimonide sembra concedere la possibilità di eccesso di umiltà,
predicata dagli zadikim, coloro che nella tradizione ebraica sono considerati particolarmente pii i santi. L’umiltà, tuttavia, è la sola virtù di cui è
consentita la sovrabbondanza, che però non va generalizzata ma limitata
soltanto ad una ristretta categoria di individui43.
Otto Capitoli, IV.
Sal, 50,23.
40
Otto Capitoli, IV.
41
Norme di vita morale, I, 4.
42
Guida alla Salute, cap. IV, 15,149.
43
Maimonide distingue fra il sapiente e il devoto. Si guardi al seguente passo
delle Norme di Vita Morale: «Lo stesso criterio si applichi a tutte le altre disposizioni.
Questa è la via dei maestri: chiunque coltivi queste disposizioni intermedie – che stanno nel giusto mezzo tra gli estremi – merita il nome di sapiente. 6 HE [5] Colui che è
più esigente con sé stesso e si allontana un poco dall’atteggiamento intermedio, da un
lato o dall’altro, merita il nome di chassid, di uomo devoto» (Devarim/Dt 28,9).
38
39
246
LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE
Il Maestro sembra infine risolvere la contraddizione fra l’etica delle
inclinazioni, propria del mondo classico, e l’etica del dovere che invece è stata spesso al centro della tradizione ebraica44 aderendo alla tesi
aristotelica che colloca la virtù nell’indole e nel carattere. Si fa, tuttavia,
carico anche dell’opinione contraria presente nella tradizione rabbinica, secondo cui colui che è tentato dal male ma vi resiste è più grande
di colui che non combatte alcuna battaglia. Con l’abilità propria del fine
interprete della legge e dell’astuto giurista, Maimonide prova a conciliare le due distinte tradizioni spiegando che qualora la trasgressione
riguardi le azioni ritenute malvagie dalla generalità degli uomini e le cui
fonti normative risiedono nei cosiddetti mishpatim, quali ad esempio
l’omicidio, il furto, il ricambiare il male verso i benefattori, allora sono
le inclinazioni che contano. Sarebbe infatti contrario ad ogni logica ritenere virtuoso colui che riesce a frenare il proprio impulso omicida.
Al contrario, quando il comportamento è richiesto non da precetti noti
alla generalità degli uomini, ma attiene ai cosiddetti precetti «uditivi»
o chukkim, e dunque riguarda azioni che se non fossero proibite dalla
Torah non sarebbero malvagie, come ad esempio il divieto di mischiare
latte e carne o di indossare vesti costituite da materiali diversi, allora vale
esattamente il contrario. Più virtuoso è non colui che per indole (magari
per gusto) aderisce al precetto, ma colui che pur essendo spinto dal
desiderio di trasgredire, esercita un controllo su sé stesso. Risuona l’eco
dell’insegnamento rabbinico secondo cui un uomo è tanto più grande
di un altro, quanto più forte è in lui l’istinto45. È proprio per questo,
spiega Maimonide, che l’uomo deve permettere a sé stesso di desiderare
tali azioni e che non deve considerare altro motivo di impedimento, che
non sia la Torah46. Questa spiegazione, distante anni luce dai tentativi
J. Jacobs, Law, Reasons, and Morality in Medieval Jewish Philosophy, Saadia
Gaon, Baya ibn Pakuds, and Moses Maimonides, Oxford University Press, Oxford and
New York, 2011, pp. 155 e ss, pp. 186 e ss.
45
M. Halbertal, Maimonides. Life and Thoughts, cit., pp. 152-153; Otto Capitoli,
cit., pp. 83-84.
46
Otto Capitoli, cit., p. 85.
44
247
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
di giustificazione della legge divina dei teologici cristiani medioevali, ci
porta dunque a riflettere sul significato e la funzione della legge che in
alcuni casi va obbedita solo perché così richiesto dalle Scritture.
4. Legge, ragione e limite
Maimonide è un Maestro della tradizione prima ancora che un filosofo
e le sue discussioni sulla legge non possono prescindere da questo dato.
Non gli occorre spiegare la necessità della legge poiché gli basta partire
dalla sua esistenza47. La legge è innanzitutto legge divina, data e rivelata
agli uomini per volere di Dio, complessivamente chiara nel contenuto
(a meno che Dio stesso non abbia utilizzato un linguaggio difficilmente
accessibile ai più); e il ruolo degli uomini nel definirne i contorni ha al
più natura interpretativa. A differenza della tradizione giusnaturalista
medioevale che troverà la massima espressione in Tommaso d’Aquino,
non esiste una reale distinzione fra la legge come concetto e la legge
come atto di comando e come contenuto di tale atto. Se in Tommaso
«la legge è una regola o una misura dell’agire in quanto uno viene spinto
all’azione o viene stornato da essa» (I-II, 90,1), per Maimonide la legge
non è un meccanismo per testare, e magari mettere alla prova, la ragione
umana, né una norma generalissima (evita il male, e fai il bene), le cui
espressioni concrete sono formulate dalla ragione umana e che comunque finirà con l’essere interiorizzata, ma il vincolo esterno che segna il
limite stesso dell’uomo e allo stesso tempo ne definisce l’essenza. Se
Tommaso parlerà di legge avendo in mente in prevalenza la legge uma-
Scrive Leo Strauss: «a differenza della scolastica Cristiana, la filosofia giudaica
medievale si sviluppò nel contesto di una rivelazione divina che assunse la forma della
legge piuttosto che quella del dogma o della fede. Tale legge, come ogni lettore del
Pentateuco può osservare, mira alla prescrizione e alla regolamentazione, fin nei minimi dettagli, della condotta e delle credenze di un’intera comunità», cfr. L. Strauss & J.
Cropsey: Storia della filosofia politica, ll Melangolo, Milano 1993, p. 362; cfr. anche L.
Strauss, Philosophy and Law. Contributions to the Understanding of Maimonides and
His Precedessors, SUNY Press, Albany 1995.
47
248
LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE
na, per Maimonide la legge, spesso identificata con la parola Torah o
Sharia, è innanzitutto di Dio ed è dunque tendenzialmente immutabile
e inequivocabilmente dettata all’uomo dall’alto48.
Sarebbe però scorretto ritenere Maimonide scettico sul ruolo della ragione umana. Nota è la polemica nei confronti del contemporaneo Yehuda HaLevì, il quale aveva sostenuto nell’HaKuzari la superiorità della
fede rispetto alla ragione e aveva di conseguenza negato ogni possibilità di
lettura allegorica della Torah. Ma Maimonide si spinge più in là. Ad esempio, si premura di riconoscere la razionalità alle prescrizioni divine perché altrimenti si dovrebbe presumere un Dio irrazionale e frivolo49. Nel
tracciare una distinzione fra mishpatim, regole note all’universalità degli
uomini, e chukkim, imposizioni vincolanti solo perché contenute nella Torah, Maimonide sembra concedere che alcune prescrizioni – i mishpatim
appunto – esistono a prescindere dal comando divino cosicché, come dicevano i saggi, anche se non fossero state scritte, avrebbero comunque
meritato di essere scritte50. Hermann Cohen, il quale individua in Maimonide l’iniziatore del razionalismo ebraico culminato nell’Haskalà (l’Illuminismo ebraico)51, ha proprio in mente il Maestro medioevale quando
descrive l’ebraismo come la veritiera «religione della ragione»52.
E in effetti la diffidenza di Maimonide nei confronti del misticismo e di
quello che l’autore definiva l’eccesso della facoltà immaginativa è desumibile non solo dalle interpretazioni allegoriche che offre della creazione e della
visione del carro di Ezechiele contenute nella Guida53, ma anche dai toni
asciutti e vigili con cui descrive l’essenza del profetismo e l’avvento del Mes-
F. Viola, Aquinas (Natural Law), in M. Sellers, S. Kirste (eds.), Encyclopedia of
the Philosophy of Law and Social Philosophy, Springer, 2019.
49
Guida, III Parte, cap. XXVI, p. 610.
50
M. Maimonide, Otto Capitoli. La dottrina etica, a cura di G. Laras, Giuntina,
Firenze 2001 (d’ora in avanti, “Gli Otto Capitoli”), cap. VI, p. 85; cfr. anche Talmud
bab, Yomà 67b.
51
Abitbol, Histoire des juifs, cit., pp. 423 e ss.
52
H. Cohen, The Ethics of Maimonides, University of Wisconsin Press, 2019, p. 36.
53
Guida, Parte III, capp. 1-7, pp. 509-525.
48
249
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
sia54. Anche con riferimento ad Abramo, Maimonide segnala l’importanza
dello studio e dell’insegnamento nel progresso spirituale del patriarca, ridimensionando al contrario il ruolo del miracolo e financo della rivelazione55.
Come ricorda Laras, però, Maimonide è razionalista «solo in apparenza»56. Più volte nel corso dei suoi scritti prende le distanze dall’insegnamento dei Mutakallimum, e cioè dei filosofi/teologi che aderiscono alla scuola del Kalam islamico, secondo cui la legge può essere
conosciuta indipendentemente dalla rivelazione57 e piuttosto segnala
la limitatezza dell’intelletto umano a cui, con riferimento ad alcuni
enti e cose, la percezione è preclusa58. E questo vale per la metafisica
molto più che per la fisica e la matematica59. Maimonide attribuisce
ad alcuni difetti caratteriali – morali, perfino – dell’uomo l’incapacità
intellettiva. Ed ecco che ritorna il Maestro della legge e della moderazione a prevalere sul filosofo. L’errore nella speculazione è spesso il
frutto dell’ambizione di primeggiare sugli altri60, ovvero è il risultato
di una sorta di pigrizia mentale che ci induce a non mettere in discussione ciò a cui siamo abituati61; ma è il più delle volte la conseguenza
di un eccesso di tracotanza che spinge a dimenticare i propri limiti.
Facendo propria la metafora contenuta nei Proverbi62 che assimila il
cibo alla conoscenza, Maimonide mette in guardia dall’ingordigia in
entrambi campi: come l’eccesso di miele porta alla saturazione e perfino al vomito, così l’eccesso di studio e conoscenza produce l’effetto
opposto a quello desiderato. Si deve dunque procedere verso la casa
Ivi, II, cap. XXXII, p. 444.
Laws concerning idolatry, 1:3; Halbertal, cit., p. 213.
56
G. Laras, Il pensiero filosofico di Mosè Maimonide, Carucci editore, Roma 1985, p. 24.
57
Guida, I, cap. LXXI, p. 251.
58
Ivi, Parte I, cap. XXXI, 44, 1, p. 136.
59
Ivi, 44,25, p. 138.
60
Ivi, 44,30, p. 138.
61
Ivi, 45,10, p. 138.
62
25,16: «Hai trovato miele? Mangiane quanto ne basta, altrimenti te ne ingozzerai e lo vomiterai».
54
55
250
LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE
di Dio guardando il proprio piede63, e dunque con atteggiamento di
umiltà e moderazione. Ovvero, riprendendo l’insegnamento dei sapienti: «Non [si deve] cercare ciò che è troppo meraviglioso per te, e
non studiare ciò che ti è coperto; studia ciò che ti è permesso e non
occuparti di cose meravigliose»64.
Naturalmente, avvisa Maimonide, la cautela nei confronti dell’eccesso di sapienza non può essere utilizzata come alibi per ostruire la porta
alla speculazione, come spesso fanno gli ignoranti65, ma serve solo per
ricordare il limite entro il quale l’intelletto umano deve fermarsi66.
Si comprende dunque come il tema dell’obbedienza alla legge si intrecci al principio morale della moderazione. La legge, del cui contenuto talvolta si può speculare con la ragione, rimane tuttavia fondamentalmente lo strumento che ricorda all’uomo la sua natura limitata. Non è
un principio di coordinazione delle azioni umane e si può speculare che
se anche ci fosse un solo uomo sulla terra la legge rimarrebbe necessaria.
Si spiega così l’importanza assegnata ai chukkim e alle regole la cui osservanza scandiscono la giornata dell’uomo morale: norme che quando
rivolte solo al popolo ebraico stanno ad indicare che la scelta di Dio per
il suo popolo, e dunque l’elezione, risulta in un aggravio di responsabilità per il beneficiario. Questo vale anche per l’utilizzo dell’intelletto.
Come ci racconta Maimonide, fra i quattro saggi che discettavano
dell’importanza della conoscenza, fu Rabbi Akiva il solo a entrare «in
pace» nel Pardes, e a uscire «in pace», mentre gli altri Maestri sarebbero
caduti nell’abiura o nella pazzia. E ciò è dovuto alla capacità di Rabbi
Akiva a saper riconoscere i propri limiti.
Non è un caso che Maimonide, anche dopo aver illustrato la differenza
fra mishpatim e chukkim, insiste nel negare una gerarchia fra principi e
norme a seconda della loro importanza. Anzi, l’idea fondamentale della
63
64
65
66
Ecclesiaste 4,17.
Guida, Parte I, cap. XXXII, 47,1, p. 141.
Guida, Parte I, cap. XXXII, 47,15, p. 141.
Ibidem.
251
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
pari validità e status di ogni prescrizione della Torah e di ogni passaggio
delle Scritture67 sembra indiscutibile. Parimenti, dopo aver riconosciuto
l’universalità delle leggi noachidi, Maimonide si precipita ad aggiungere
che i non ebrei che osservano le sette mitzwot che Dio ha comandato a Noè
e ai suoi discendenti devono essere considerati me-chasidè umot ‘olam, e
dunque ‘giusti fra le nazioni’, solo ad una condizione: e cioè solo e soltanto
nella misura in cui accettino queste leggi perché sono state dettate da Dio
e non perché conclusioni dell’intelletto (mipnè ha-kara‘ ha-de‘ot)68.
Si comprende dunque l’invito alla moderazione e alla cautela rivolto
anche a chi voglia comunque avventurarsi negli abissi della metafisica:
«all’uomo è inaccessibile la mente di Dio, il modo in cui Dio conosce»,
perché «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono
le Mie vie, Is. 45,8»69.
5. La legge umana vale poco: caratteristiche della Legge e
sue funzioni
Nel capitolo 14 del Trattato sulla Logica (Millot ha-higgayon), Maimonide colloca all’interno della scienza della politica l’arte del governo sulle genti e sulle nazioni. Tuttavia, dopo aver menzionato i testi di filosofia
politica del passato che illustravano le caratteristiche dei nomoi e la finalità del governo, conclude che questi insegnamenti sono inutili per gli
ebrei, perché per costoro sono le leggi divine che guidano la condotta
umana. Non ne deriva tuttavia la sostanziale inutilità della scienza po-
Mishneh Torah, Hilkhoth Teshuvah 9: 1, consultabile online (in ebraico e in
inglese): https://www.sefaria.org/Mishneh_Torah%2C_Repentance.9.1?lang=en&with=all&lang2=en. Per ed. it., cfr, M. Maimonide, Ritorno a Dio Norme sulla Teshuvà,
a cura di R. Levi, Giuntina, Firenze 2004.
68
Hilkhot melakhim 8, 10-11, consultabile online (in ebraico e in inglese): https://
www.sefaria.org/Mishneh_Torah%2C_Repentance.9.1?lang=en&with=all&lang2=en. Per ed. it., cfr, M. Maimonide, Ritorno a Dio Norme sulla Teshuvà, a cura di R.
Levi, Giuntina, Firenze 2004.
69
Omniscenza e libertà – Mishnè – Torà, Trattati sulla Penitenza, V, 5.
67
252
LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE
litica per il popolo di Israele, quanto piuttosto l’imperativo a leggere la
Torah come il testo fondamentale sulla politica e sul diritto70.
La Guida non è parca di indicazioni sulla funzione della legge. Ancora una volta riteniamo che l’interpretazione a cogliere nella legge un
meccanismo di moderazione rimanga confermata anche nei passi contenuti nella Guida. La legge è preordinata a fare raggiungere sia il benessere dell’anima che il benessere del corpo71. Il benessere dell’anima
presuppone la correttezza delle opinioni riguardo a Dio. Maimonide
precisa che standard di conoscenza diversi sono richiesti al volgo e ai
sapienti, perché l’acquisizione delle opinioni corrette è calibrata sulle
capacità e possibilità di ciascuno72. Il benessere del corpo attiene invece
a ciò che noi propriamente chiamiamo diritto. Spiega Maimonide che
esso può essere raggiunto solo attraverso la correzione delle condizioni
in cui gli uomini vivono gli uni con gli altri e più precisamente in due
modi: con l’eliminazione dei torti reciproci, «ossia il fatto che ad ogni
individuo non sia permesso di compiere la propria volontà o ciò a cui
arriva la sua capacità, ma egli sia costretto a fare ciò che è utile per la
comunità» e con «l’acquisizione da parte degli individui di costumi utili
alla comunità, così che la città sia ordinata»73.
Se però per Aristotele la partecipazione alla vita politica della comunità costituisce già una gratificazione in sé stessa, Maimonide spiega che il benessere del corpo precede solo cronologicamente ma non
assiologicamente il benessere dell’anima74. Tutto è funzionale a questo
secondo scopo perché «l’uomo non può concepire un intellegibile […],
quando ha un dolore, o è molto affamato, o assetato, o accaldato o ha
molto freddo»75.
L. Strauss, Maimonides’ Statement On Political Science, in «Proceedings of the
American Academy for Jewish Research», XXII (1953), pp. 115-130.
71
Guida, Parte III, cap. XXVII, p. 614.
72
Ivi, p. 614.
73
Ibidem.
74
Ivi, p. 615.
75
Ibidem.
70
253
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
Poiché Dio è il vero legislatore rimane poco spazio per la legge umana.
La ragione fondamentale della legge umana discende «dalla complessità
della specie dell’uomo, dove grandi sono le diversità fra i suoi individui,
al punto che non trovi due […] che concordino per carattere, benché
concordino nelle forme esteriori»76. Infatti, spiega Maimonide, data la
diversità dei temperamenti umani, così che esistono persone violente e
persone miti, persone pigre e persone attivissime, occorre un governante
che controlli le azioni degli uomini, ne perfezioni le manchevolezze e ne
riduca gli eccessi, e stabilisca azioni e costumi cui tutti gli uomini si attengano sempre secondo lo stesso uso, così che la loro naturale diversità resti
celata dietro l’ampia concordia fissata dalla convenzione e la società risulti
ben ordinata77. Perciò la legge umana, «anche se non è naturale, viene fatta
rientrare fra le cose naturali». Essa è il frutto della sapienza divina, giacché
Dio che ne ha voluto l’esistenza, «al fine della sopravvivenza di questa
specie, ha dotato alcuni individui della capacità di governo»78.
Basta leggere qualche rigo sotto quelli appena citati per rendersi
conto, però, che il vero compito del legislatore è di recepire, attraverso
la rivelazione e cioè «in visione o in sogno»79, la legge di Dio, perché «se
non ci fosse un profeta, non ci sarebbe una Legge»80. Viene presentata infatti una distinzione fra tre tipi di legislatori. I primi si professano
autori della legge ma si limitano a regolare i rapporti civili senza alcuna
pretesa di imporre le giuste credenze. Su costoro Maimonide non spende che poche parole, ritenendoli probabilmente già incapaci di rivendi-
Ivi, II, cap. XL, 468.
Ivi, 468. Sul rapporto fra la filosofia di Maimonide ed il giusnaturalismo medioevale, cfr. J.E. David, Maimonides, Nature and Natural Law, in «Journal of Law,
Philosophy and Culture», 1 voll., 1 (2010), pp. 67-82; cfr. anche M. Levine, The
Role of Reason in the Ethics of Maimonides: Or, Why Maimonides Could Have Had
a Doctrine of Natural Law Even if He Did Not, in «The Journal of Religious Ethics»,
14(2) (1986), pp. 279-295. Sul tema cfr. anche: D. Novack, Natural Law in Judaism,
Cambridge University Press, Cambridge 1998.
78
Guida, Parte II, cap. XL, p. 469.
79
Ivi, Parte II, cap. XLIV, p. 482.
80
Ivi, Parte III, cap. XLV, p. 690.
76
77
254
LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE
care autorità legittima proprio in virtù dell’origine esclusivamente umana della legge81. Gli altri invece si professano interpreti della parola di
Dio, e dunque dettano leggi che ambiscono a regolare anche le credenze
e non soltanto i rapporti esteriori. Per riconoscerne la legittimità occorre però verificarne l’autenticità e distinguere dunque falsi profeti dai
profeti che lo sono davvero. Maimonide offre qualche indicazione per
smascherare gli impostori. Costoro di solito si comportano da sbruffoni
e non si sottraggono all’eccesso di piaceri della carne. Data la loro capacità manipolativa e dunque l’abilità ad ingannare la gente, la pena per
i falsi profeti è la morte e la condanna va impartita con inflessibilità82.
I veri profeti invece si distinguono per coraggio, divinazione e conoscenza immediata delle verità speculative senza necessità di conoscerne le
premesse83 e soprattutto per capacità immaginativa. Si tratta di doti naturali
che prescindono dal comportamento di chi le possiede e che non possono
essere perfezionate ad esempio per mezzo di un regime medico84. Maimonide però precisa che esiste una profonda differenza fra Mosè e tutti gli altri
profeti e che in effetti la sola ed unica legge, la Legge, è riconducibile a costui: infatti, «non c’è mai stata nessuna Legge e non ce ne sarà mai, eccezion
fatta per una sola, ossia la Legge di ‘Mosè nostro maestro’»85. La profezia di
coloro che hanno seguito Mosè è per così dire attenuata. Esistono vari gradi
di profezia e non tutti i profeti riescono a raggiungere il grado più alto86.
Tre sono le caratteristiche essenziali della legge rivelata dai profeti.
La prima è la giustizia che però viene definita nei termini dell’equilibrio87, e cioè l’equidistanza dal difetto e dall’eccesso di virtù, poiché anche l’eccesso di rinunce è una trasgressione della legge, perché è scritto
Ivi, Parte III, cap. XL, p. 470.
Ivi, 471.
83
Ivi, Parte II, cap. XXXVIII, p. 462-463.
84
Ivi, Parte II, cap. XXXVI, p. 455.
85
Ivi, Parte II, cap. XXXIX, p. 465. Maimonide nega che i patriarchi possano
essere assimilati ai profeti (ivi, p. 466).
86
Ivi, Parte II, cap. LXV, pp. 484-493.
87
Ivi, Parte II, cap. XXXIX, p. 467.
81
82
255
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
la Torah non è in cielo (Deut, 30,12). «Sta scritto infatti: ‘Prescrizioni
e giudizi giusti’ (Deut. 4,8) – e tu sai che ‘giusti’ significa equilibrati»88.
Non, dunque, atti di culto cerimoniosi ed eccessivi, come la vita da monaco, da anacoreta, e simili, né si tratta di lassismo che comporti il vizio
e la rilassatezza, al punto da far venir meno la perfezione umana a livello
etico e dianoetico, ma leggi di cui appare evidente «il loro equilibrio e la
loro sapienza»89. Non si tratta di una legge che per il virtuoso è difficile
da seguire, mentre il vizioso e prepotente sarà sempre recalcitrante. Ma
la legge, che ha fra le sue finalità anche quella di regolare gli appetiti90 e
di far sì che gli uomini acquisiscano gentilezza e docilità e riducano gli
aspetti grossolani91, non è ritagliata sulle capacità dell’uomo malvagio
ma sull’indole equilibrata dei temperanti, a cui non può essere chiesto
troppo, perché il Signore non chiede a nessuno di diventare deserto per
Israele (Ger. 2,31)92. L’intreccio di prescrizioni etiche, giuridiche ma
anche igieniche e alimentari conferma il legame fra legge ed equilibrio.
La seconda caratteristica della legge è la generalità. La legge infatti
«non si occupa dei casi anormali, e non c’è legislazione che riguardi ciò
che accade di rado»93, ma avendo come fine un’opinione, un costume o
un’azione utile, la legge presta attenzione a ciò che avviene nella maggioranza dei casi, non alle cose che accadono di rado o al danno che un uomo
solo può avere94. Da queste premesse discendono due conseguenze. La
prima è che il fine della legge non è raggiunto perfettamente per ogni singolo individuo e anzi vi sono individui che «quel governo stabilito dalla
Legge non porta a perfezione»95. La seconda è quella della sostanziale
immutabilità della legge al variare delle condizioni e dei tempi. Se infatti
88
89
90
91
92
93
94
95
Ibidem.
Ibidem.
Ivi, Parte III, cap. XXXIII, p. 639.
Ivi, 640.
Ivi, Parte II, cap. XXXIX, p. 468.
Ivi, Parte III, cap. XXXIV, p. 641.
Ibidem.
Ivi, p. 642.
256
LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE
si consentisse la modifica della legge la si esporrebbe al rischio di corruzione96 perché spetterebbe agli uomini questa opera di riadattamento97.
La terza caratteristica stride in parte con le due precedenti ed è legata
alla complessità della profezia. Poiché l’unica legge – e dunque l’unico
sistema normativo – discende dai profeti, e poiché vi è una differenza
sostanziale fra Mosè e i profeti che lo hanno seguito, la rivelazione della
legge successiva a Mosè è priva di quella chiarezza che contraddistingue i 613 precetti contenuti nella Torah. I profeti, infatti, si esprimono
attraverso allegorie e metafore e «la Legge parla una lingua di esagerazione (Talmud bavli, Hullin, 90a; Tamid 2a)»98. Questa situazione
implica uno sforzo ricostruttivo nell’interprete che tuttavia deve tenersi
alla larga da due rischi egualmente pericolosi: da un lato la tentazione di
moltiplicare le interpretazioni dei testi, portando ad esasperazione un
aspetto altrimenti proprio della tradizione talmudica, ed esporre dunque i fedeli all’incertezza, dall’altro la parimenti deprecabile tracotanza
di sbarazzarsi di tutto il corpus interpretativo pregresso per ritornare
semplicemente al testo, come avevano proposto i Caraiti.
6. Moderazione e interpretazione
Il tema dell’interpretazione della legge sembra esulare dall’argomento
che si è in prevalenza scelto di trattare in queste pagine, e cioè quello
della relazione fra legge e moderazione. E tuttavia riteniamo che l’equidistanza tenuta da Maimonide dai due fondamentali eccessi dell’interprete, quello cioè di avvicinarsi al testo senza filtri e quello al contrario
di attribuirsi un’ampia libertà interpretativa possa essere letta proprio
attraverso la chiave qui proposta e cioè la diffidenza (se non lo sdegno)
di Maimonide per l’eccesso. Per comprendere però la proposta maimonidea su come interpretare la legge è necessaria una breve digressione.
96
Ibidem.
Sulla relazione fra l’equità di Aristotele e la generalità della Legge di Maimonide, cfr. H. Ben Menachem.
98
Guida, Parte II, cap. XLVII, p. 497.
97
257
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
Uno degli assunti fondamentali del pensiero rabbinico consiste
nell’opinione che Dio abbia trasmesso al popolo di Israele sul Monte
Sinai la Torah in una duplice forma99, scritta (Torah She Bi-ktav) e orale
(Torah She’ Ba’al Peh). La Torah scritta coincide con i primi cinque
libri della Bibbia, il Pentateuco. Per Torah orale si intende l’insieme di
interpretazioni, decisioni halakiche e commenti omiletici, che furono
tramandati per molte generazioni, fino a quando a causa dell’ellenizzazione forzata da parte di Adriano, non si decise di metterne per iscritto
la parte normativa nella Mishnà. Questa opera di codificazione, redatta
sotto la guida di Rabbi Yehuda HaNasi intorno al 217 e.v., non cessò
tuttavia il travaglio interpretativo che seguitò nella Ghemarà. Si formò
così il Talmud. Va precisato che nella cultura rabbinica la Torah orale
non è una forzatura del testo, quanto il suo approfondimento100. L’intento di Maimonide che recepisce la distinzione fra Torah scritta e orale101
non è di certo quello di sbarazzarsi della tradizione rabbinica, quanto
piuttosto di recuperare l’originaria sistematicità del corpus normativo
ebraico seppure integrandovi le interpretazioni successive: da qui l’ambizione di redigere una seconda Mishnah, il Mishneh Torah102.
J. Neusner, What, Exactly, Did the Rabbinic Sages Mean by “The Oral Law”,
University of South Florida, Atlanta: Scholars press, 1998, p. 1.
100
Cfr. D. Banon, La lecture infinie les voies de l’interprétation midrachique, Seuil,
Paris 1987; ed. it., La lettura infinita. Il midrash e le vie dell’interpretazione nella
tradizione ebraica, Jaca Book, Milano 2009.
101
M. Maimonides, Introduction to the Mishneh Torah: «Le mitzvot che furono
date a Mosè sul Monte Sinai furono tutte accompagnate da spiegazioni, così come
implicito in Esodo 24, 12: «‘E io vi darò le tavole di pietra, la Torah e la mitzvah’. La
Torah si riferisce alla Legge Scritta; la mitzvah alla sua spiegazione. […] La mitvah è
la Legge Orale», (traduzione dall’inglese), consultabile online (in ebraico e in inglese):
https://www.sefaria.org/Mishneh_Torah,_Transmission_of_the_Oral_Law (d’ora in
avanti: «Introduction to the Mishneh Torah»).
102
Ecco come Maimonide spiega la finalità della sua opera: «Per ricapitolare: [l’intento di questo testo] è di non rendere necessario il ricorso ad altri con riguardo ad
alcuna delle leggi ebraiche. Piuttosto, questo testo sarà una compilazione dell’intera
Legge Orale», in Introduction to the Mishneh Torah, supra, nota 103.
99
258
LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE
Questa esigenza di sistematizzazione, che ha portato alcuni commentatori contemporanei ad accostare Maimonide a Napoleone, per l’avvio
dell’opera di codificazione da quest’ultimo promossa103, è alla base della
caratterizzazione del pensatore di Cordova come un interprete formalista, restio all’opera di adattamento equitativo delle prescrizioni di legge
alle circostanze concrete, talvolta addirittura ottuso nelle conclusioni. A
sostegno di una simile conclusione vengono citate non solo le osservazioni contenute nella Guida sulla generalità della legge, che per essenza
mal si adatta al caso concreto, ma anche alcuni Responsa dove, ad esempio, si ribadisce il divieto di canzoni e musica, indipendentemente dalla
natura di chi vi presta ascolto, che si tratti cioè di soggetti inclini a forti
passioni ovvero uomini saggi capaci di autocontrollo104. Il commentatore E.S. Rosenthal parla al riguardo del prezzo della legge per il caso
isolato e cioè del costo da sostenere per preservarne la generalità105; e
sottolinea come l’inflessibilità interpretativa sia in fondo un riconoscimento che la legge non necessita di alcuna correzione106.
Una volta giunto in Egitto Maimonide dovette far fronte alla forte
eterogeneità che caratterizzava la comunità ebraica locale, e specialmente all’eterodossia caraita. Il movimento caraita misconosceva il carattere autoritativo della Torah orale107 e proponeva una lettura diretta del
testo biblico. Nello scagliarsi contro l’eccesso di letteralismo, da una
J. Taieb, From Maimonides to Napoleon: the True and the Normative, in «Global
Jurist», 7 (2007), 1.
104
J. Blau et al. (a cura di), The Responsa of Maimonides, Machon Yerushalaym
nd
(2 ed.), Jerusalem 1986, pp. 186-188.
105
E.S. Rosenthal, For the Most Part (“Al Derekh haRov”), 1 (1968) «P’raqim»
183-224, Jerusalem; cfr. anche S. Rosenberg, And again about ‘For the Most Part’, in
«Spiritual Leadership in Israel», E. Belfer, E. (Ed.), Tel Aviv 1982, (in Hebrew), pp.
103-187, pp. 300-303.
106
E.S. Rosenthal, “Gleanings of P’raqim I” (1969-74) 2 «P’raqim» 381-383;
contra H. Ben Manhem, The Second Canonization of the Talmud, in «Cardozo Law
Review», 28, 1 (2006), pp. 37-51; cfr. anche S. Ettinger, Halacha and Law, in ebraico,
Modan, Moshav Ben-Shemen 2014, p. 123.
107
M-R Hayoun, Maïmonide, cit., pp. 98-100.
103
259
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
parte, e contro un eccesso o una erronea comprensione dell’ermeneutica, dall’altra, Maimonide sembra sollecitare anche nell’ambito ermeneutico-halakico l’individuazione di una sorta di via mediana o punto
di equilibrio108.
Su queste basi siamo in grado di cogliere alcuni tratti della posizione
di Maimonide in ambito meta-halakico. Come ricorda Halbertal l’interpretazione viene anzitutto intesa dal Rambam in guisa di deduzione109.
Maimonide si rifà alla distinzione, propria alla Tradizione tra i precetti (mizvot) de’oraità, provenienti dalla Torah, e quelli de’rabbanan, la
cui origine è da individuare nelle deliberazioni rabbiniche110. Il primo
gruppo si costituisce a partire da un nucleo auto-evidente, non soggetto
a disputa o divergenza di opinione111. A partire dal secondo, viceversa,
si potranno insinuare divergenze di opinioni (mahlokhot). Maimonide
mette così capo a una delle pagine più intense della riflessione ebraica
medievale in tema di ermeneutica e filosofia dell’Halakhà, sebbene gli
argomenti addotti e le conclusioni cui giunse il Rambam furono lungi
dall’essere accolte in modo trasversale all’interno del mondo ebraico.
Maimonide, dunque, traccia una linea di demarcazione tra la componente dell’Halakhà proveniente o direttamente o per deduzione dalla
rivelazione sinaitica rispetto a quel materiale halakico che consiste nelle
deliberazioni rabbiniche prese a maggioranza e che inserisce un certo
livello di frattura rispetto alla diretta provenienza profetica112.
L’opera di codificazione di Maimonide, restituita nel Mishné Torah,
lungi dall’essere una negazione della Torah Orale è una conferma del suo
Sul tema del limite ermeneutico: U. Volli, Reasonable, Ruled, Responsible, in
«Int J Semiot Law», 33 (2020), pp. 951-968; anche R. Scialom, Anthologie de droit
hébraïque – sources et codification, Edition la mémorie du droit, Paris 2017.
109
Cfr, M., Halbertal, Maimonides. Life and Thought, cit., p. 122. Cfr. anche F.
Manns, Leggere la Mishnà, Paideia, Brescia 1987, pp. 105-108.
110
Halbertal, Maimonides. Life and Thought, cit., pp. 116-117.
111
Ivi, p. 126.
112
Cfr. Halbertal, cit., p. 106; cfr. anche N.S. Hecht e S. Wosner, Controversy and
Dialogue in the Jewish Tradition, Routledge, London 2005.
108
260
LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE
valore. Se Yehuda HaNassi sentì l’esigenza di porre per iscritto la tradizione orale di fronte alla dispersione spirituale (e quindi normativa) del popolo ebraico sotto i colpi dell’oppressione romana, Maimonide esperisce
la medesima esigenza di fronte al rischio del letteralismo propugnato dai
caraiti, da una parte, e al rischio, rappresentato dal potere halakico detenuto dai Gheonim, ultima generazione degli esponenti delle accademie
talmudiche orientali, di uno scollamento eccessivo tra sapere giurisprudenziale e condizioni materiali di vita delle masse ebraiche, dall’altra.
7. Maimonide, filosofo della legge
Maimonide è un filosofo della legge. Il suo tentativo di comprendere i
gradi della normatività parte dalla spiegazione delle singole norme (dall’omicidio, alle regole sulla custodia della cosa altrui, alle norme sul levirato,
alle prescrizioni rituali, e così via)113, procede attraverso la sistematizzazione del corpus halakhico proveniente dalla tradizione114, si addentra
nella distinzione fra prescrizioni (halakhot) e racconti (aggadoth)115 e man
mano si eleva sulle vette della speculazione teorica. Da uomo religioso del
medioevo, Maimonide concepisce il sistema normativo all’interno di un
ordine metafisico, la cui comprensione intellettiva è il fine ultimo dell’uomo devoto. Nella metafora del castello in cui l’umanità viene descritta in
relazione alla posizione che tiene rispetto al palazzo del re (alcuni stanno
proprio fuori le mura, altri, benché all’interno, vi voltano le spalle, altri si
aggirano nei corridoi, ma solo pochissimi possono avvicinarsi al cospetto
del re), Maimonide colloca i giuristi, coloro che «credono in opinioni corrette per tradizione e studiano il diritto relativo alle pratiche di culto»116
ma che non hanno familiarità con la speculazione intorno ai principi re-
Scrive Maimonide: «Ho diviso i precetti, a seconda del loro scopo, in quattordici gruppi», Guida, Parte III, cap. XXXV, p. 642. Poi Maimonide passa a commentare i precetti di ogni singolo gruppo, Guida, Parte III, capp. XXXV-XL, pp. 642-732.
114
Questo è l’obiettivo principale del Mishneh Torah, cfr. nota 103.
115
Guida, Parte III, cap. L, p. 732.
116
Ivi, Parte III, cap. LI, p. 739.
113
261
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
ligiosi, fra coloro che hanno raggiunto la casa e ci girano intorno117. Solo
«chi ha raggiunto la dimostrazione di tutto ciò che si può dimostrare, e ha
accertato le questioni metafisiche»118, nella misura del possibile, è riuscito a stare con il re; perché perfino i sapienti, coloro che si sono immersi
nello studio ma non hanno percepito Dio con l’intelletto, sono rimasti
nelle anticamere. Pochissimi hanno accesso alla stanza del re. Maimonide
menziona Mosè, i patriarchi e qualche profeta.
Rimanendo fedeli a quanto anticipato in premessa ci asterremo dal tentativo di trovare una conciliazione fra il Maimonide teologo e il Maestro
della legge così come non prenderemo parte alla disputa fra coloro che
ritengono che il Ramban riconosca preminenza alle virtù dianoetiche119 e
coloro che al contrario vi leggono un esclusivo tributo alle virtù etiche120.
Non possiamo però esimerci, nelle conclusioni, dal segnalare che i due
temi che si è deciso di trattare, la legge e la moderazione, temi naturalmente intrecciati, non hanno un rilievo puramente morale. Come i comanda-
117
Ibidem.
Ibidem.
119
Soprattutto nella parte finale della Guida (Guida, Parte III, cap. LIV, pp. 754761) Maimonide sembra lasciare la titubanza con cui ha in precedenza trattato il tema
della conoscenza di Dio attraverso l’intelletto (Omniscenza e libertà – Mishnè – Torà,
Trattati sulla Penitenza, V, 5) e afferma che la vera perfezione umana consiste «nel
conseguimento delle virtù dianoetiche, ossia il fatto di concepire degli intelligibili che
insegnano opinioni corrette in materia di metafisica» (Guida, Parte III, cap. LIV, p.
758). Se prima lo avevamo sentito invocare Isaia che ammoniva a non provare neanche
a seguire le vie del Signore, perché «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre
vie non sono le Mie vie, Is. 45, 8» (Omniscenza e libertà – Mishnè – Torà, Trattati sulla
Penitenza, V, 5.), nella parte finale della Guida lo vediamo riportare il verso di Geremia
ed il suo monito a conoscere Dio perché «chi si vanta, può vantarsi solo di questo:
comprendrMi e conoscerMi (Ger. 9, 22-23)» (Guida, Parte III, cap. LIV, p. 7).
120
Leo Strauss, ad esempio, suggerisce che della Guida vanno date due letture:
una essoterica, prevalentemente etica, destinata ai più, una esoterica, che culmina
con l’insegnamento dell’amore di Dio che risulta dalla conoscenza intellettiva. L.
Strauss, The Philosophic Foundation of Law: Maimonides’ Doctrine of Prophecy and
Its Sources, in K.H. Green, Leo Strauss on Maimonides: The Complete Writings, The
University of Chicago Press, Chicago and London 2013, pp. 223-274.
118
262
LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE
menti dati sul Sinai hanno natura costitutiva del popolo di Israele, così i
precetti, da quello apparentemente più insignificante che regola l’innesto
fra piante diverse ai doveri nei confronti di Dio, stanno ad indicare che la
natura più profonda dell’essere umano, quella che distingue l’uomo dal
resto della natura, è la responsabilità per le azioni compiute o omesse.
La filosofia del diritto ebraica, almeno quella riconducibile a Maimonide, ma di cui si avvertono echi anche oggi, non ammette un’umanità
senza legge, magari perché resa superflua dalla grazia, dalla ragione o
dall’avvento del Messia. Maimonide è categorico sul punto: la venuta
del Messia non sovvertirà l’ordine naturale, e la legge non sarà superata da una seconda legge, né la legge si dissolverà perché interiorizzata
dall’uomo nuovo, né le inclinazioni dell’uomo diventeranno mai così
stabili da rendere la legge ultronea.
Diventa chiaro dunque il rapporto fra legge, moderazione e inclinazioni. La legge, strumento di regolazione dell’animo umano e di controllo degli appetiti prima ancora che dei rapporti fra uomini121, destinata a
durare in eterno, è ciò che tiene in vita l’uomo. L’attenzione agli aspetti
più spigolosi del proprio carattere, il tenersi a distanza dall’eccesso, l’esercizio nella moderazione e nell’umiltà non vanno affatto intesi come
pratiche prodromiche a fare a meno della legge. Siamo distanti anni luce
sia dall’aretè aristotelica, che dal giusnaturalismo moderno che opererà
un’inversione fra diritti e legge.
«Quando un uomo arriva al Giudizio (universale), gli si dice anzitutto: ‘Hai compiuto con regolarità lo studio della Legge? Hai studiato con
cura la sapienza? Hai dedotto una cosa dall’altra?’ (bShabbat, 31a)»122.
La virtù dianoetica non può essere concepita se non con riferimento
all’etica. Gli attributi di Dio che l’intelletto umano può arrivare a conoscere sono infatti attributi d’azione: «‘grazia’ (chesed), ‘giudizio’ (mishpat) e ‘giustizia’ (zedaqah)»123.
Guida, Parte III, cap. XXXIII, p. 639.
Ivi, Parte III, cap. LIV, 756.
123
Ivi, Parte III, cap. LIII, p. 752.
121
122
263
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
Leggendo la descrizione che Maimonide fa dei tre attributi diventa chiaro che la differenza fra virtù etiche e virtù dianoetiche non coincide con la
distinzione fra moralità e conoscenza, ma che piuttosto richiama l’antica
distinzione fra due forme di giustizia, una che potrebbe essere definita particolare in ossequio alla tradizione aristotelica e dunque sostanzialmente
riferita al rapporto fra sé e gli altri individui (dare a ciascuno ciò che gli
spetta, dice Maimonide), e l’altra che invece riguarda la giustizia assoluta,
quella che riguarda il perfezionamento dell’anima e che sembra in parte
evocare la giustizia di Platone. Maimonide è ancora più esplicito sul punto:
«Abbiamo già spiegato a proposito della negazione degli attributi, che ogni
attributo è un attributo d’azione»124. E poi poco più avanti: «La Torah si
serve espressamente di questi tre termini: ‘Il Giudice di tutta la terra (Gen.
18,25); Giusto e retto Egli è’ (Deut. 32,4); ‘È ricco di grazia’ (Es. 34,6)»125.
Così il Rambam, dopo un lungo percorso speculativo che sembrava
privilegiare l’intellettualismo scisso dal mondo reale, sembra ritornare alle
qualità etiche fatte proprie dalla Torah126. Si coglie, con Levinas, come
l’etica non sia il «corollaire de la vision de Dieu, elle est cette vision meme»127. Etica e sommo Bene, non difformemente dal passaggio in Lévinas
dall’ordinazione etica a quella giuridica128, chiedono nello stesso tempo di
emancipare l’uomo dalla mera contingenza e di farsi legge, misura e limi-
Ivi, Parte III, cap. LIII, p. 754; i passi a cui il pensatore fa riferimento sono
contenuti nella Parte Im capp. 53 e 54, pp. 197 e 199.
125
Ivi, Parte III, cap. LIII, p. 754.
126
M-R Hayoun, Maïmonide, cit., p. 11.
127
E. Levinas, Une religion d’adultes, in Difficile liberté, Ablin Michel, Paris 19631976, p. 37.
128
A cui, nel lessico di Levinas, corrispondono rispettivamente le nozioni di metafisica e ontologia. Cfr. Autrement qu’être ou au-delà de l’essence, Nijhoff, La Haye
1974. In quest’opera, rispetto all’associazione di «etica» e «giustizia» che era propria
a Totalité et infini (essai sur l’extériorité), M. Nijhoff, The Hague 1961, la prima rimanda all’ordinazione infinita, che eleva l’uomo ma al contempo quasi lo minaccia, la
seconda – che della prima è al contempo “traduzione” e “tradimento” – rimanda al
momento giuridico, dove avviene la «comparazione degli incomparabili», dove l’obbligazione trova una misura e, in un certo senso, un limite.
124
264
LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE
te, così ricongiungendosi all’aristotelica via media. D’altronde è proprio
Levinas, nella sua Lecon talmudique129, a individuare nel diritto ebraico
la doppia cifra del limite: limite alle pulsioni attraverso le prescrizioni, da
una parte130, e limite – attraverso le prescrizioni e le correlate sanzioni – a
un giudizio morale che, di per sé, sarebbe altrimenti insostenibile131.
La conoscenza di Dio è dunque la conoscenza delle Sue vie: «‘Fammi
conoscere le Tue vie’ (Es. 33,13)». Ritorna dunque il filosofo della legge
che, pur riconoscendo il ruolo della ragione umana nell’avvicinarsi a Dio,
sa tuttavia che esiste un abisso fra ciò che si potrebbe conoscere e l’intelletto. La Torah è infatti ‘sulla Terra’ (Ger. 2,23)132 e la perfezione umana
è calibrata sulle capacità di ciascuno133. «Tu conosci il divieto posto dai
sapienti di ‘camminare con un portamento eretto perché “tutta la terra è
piena della Sua gloria (Ger. 23,24)” (bNedarim 20a-b)’: tutto questo serve
a ribadire ciò che ti ho detto, ossia che noi siamo sempre alla presenza di
Dio e camminiamo di fronte alla Sua presenza»134. Poiché Dio è in cielo
e tu sei sulla terra; «per questo le tue parole siano poche (Eccl. 5,11)»135.
La conoscenza, dunque, lungi dall’essere motivo di orgoglio o ragione di tracotanza ricorda ancora di più all’uomo la sua condizione di
soggezione e di dipendenza da un ordine superiore: un ordine intessuto
di leggi di varia natura, da quelle che regolano i rituali, alle norme igienico alimentari, alle norme di diritto civile e penale fino ai comandamenti relativi all’esistenza di Dio e ai suoi attributi. Si tratta di un ordine
eterno, sostanzialmente immutabile, destinato a persistere anche dopo
E. Levinas, Lecon talmudique. Sur la justice, in «Cahier de l’herne», Edition de
l’Herne, Paris 1991, pp. 120-133.
130
In riferimento ai comandamenti negativi (divieti) Levinas individua una “limitation” alle pulsioni («de la sauvage vitalité de la vie»), simbolizzata dalla circoncisione
(«quelque chose que la ciconcision symboliserait»); un limite che non è offesa alla vita
ma «limitation par laquelle la vie s’eveille», si ridesta; Levinas, Lecon talmudique, cit.
131
Levinas, Lecon talmudique, cit.
132
Ivi, p. 760.
133
Ivi, p. 761.
134
Guida, Parte III, LV, p. 751.
135
Ibidem.
129
265
LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN
l’avvento del Messia, perché non ci si deve aspettare che si verificheranno miracoli, meraviglie e che l’ordine naturale verrà sovvertito, i morti
resuscitati e altri simili eventi136. Il punto centrale è questo: «La Torah,
le sue norme e le sue leggi, sono destinate a durare per sempre»137.
La sapienza progredisce solo a condizione che si rimanga fedeli
al monito sulla moderazione, perché «le vere parole di Torah non si
trovano negli arroganti e nel cuore dei superbi bensì negli umili e nei
modesti, nell’uomo che si impolvera con la terra sollevata dai piedi dei
sapienti, che allontana dal cuore ingordigia e piaceri futili, che svolge
ogni giorno un lavoro bastante a guadagnare quel poco che serve per
soddisfare le proprie necessità […] e passa il resto del giorno e della
notte ad occuparsi di Torah»138. L’ideale classico del giusto mezzo, dunque, che di certo non escludeva la legittimità di passioni accese come
l’indignazione, la curiosità e il coraggio, viene reinterpretato in chiave ebraica attraverso una dimensione molto più sobria: in quanto «La
saggezza è presso coloro che sono discreti (Proverbi 11,2)»139. Sia ben
lontani dall’idea che la virtù possa essere acquisita una volta e per tutte,
perché la natura morale dell’ebreo, ma dell’essere umano in genere, si
manifesta nello sforzo e nella sottomissione.
Allo stesso modo va rimarcata la differenza con la filosofia cristiana
medioevale. Se la Scolastica cristiana, ammettendo la possibilità che la
legge possa essere interiorizzata, aprirà gradualmente le porte al giusnaturalismo moderno e alla centralità dei diritti, nella tradizione ebraica,
almeno quella che fa capo a Maimonide, rimarrà più o meno inalterata,
salvo rare eccezioni, l’opinione del primato del dovere sui diritti, e della
moderazione/modestia sull’eccellenza.
Mishneh Torah, The Laws Concerning Kings and Wars Melachim uMilchamot
(trad. By E. Touger), § 11, 3, consultabile online (in ebraico e in inglese) su: https://
www.sefaria.org/Mishneh_Torah%2C_Kings_and_Wars.11.3?lang=en.
137
Ibidem.
138
M. Maimonide, Norme sullo studio [Hilkhot talmud Torà], Rav. R. Colombo (a
cura di), Giuntina, Firenze 2020, §§ 3, 9, p. 34.
139
Ivi, §§ 3, 12, p. 36.
136
266