ISSN 2421-0730
NUMERO 2 – DICEMBRE 2017
FRANCESCO ROTIROTI
Il nuovo tardoantico e la storia del diritto
medievale. A proposito di un manuale recente
L. Loschiavo, L’età del passaggio. All’alba del diritto
comune europeo (secoli III-VII), Giappichelli, Torino
2016, pp. XXVI, 262
n. 2/2017
FRANCESCO ROTIROTI
Il nuovo tardoantico e la storia del diritto medievale.
A proposito di un manuale recente
Luca Loschiavo, L’età del passaggio. All’alba del diritto comune europeo
(secoli III-VII), Giappichelli, Torino 2016, pp. XXVI, 262
I.
Un interesse diffuso per la cosiddetta tarda antichità – cioè per quel lungo
periodo che va dal III al IX secolo e che il consenso scientifico prevalente
tende adesso a descrivere come l’età della “trasformazione del mondo
romano”1 – caratterizza ormai da diversi decenni il panorama degli studi
antichistici e di quelli medievistici; impegnati nel rilievo di quegli elementi
culturali e istituzionali comuni sul cui fondamento è stata edificata
l’Europa, i più recenti indirizzi del suddetto interesse storiografico
parrebbero
meritevoli
della
precipua
attenzione
del
giurista
e,
segnatamente, dello studioso di quella disciplina che oggi va sotto il nome
di “Storia del diritto medievale e moderno”. Sennonché, mentre fiorenti
scuole di pensiero – in Italia e all’estero – provvedevano a rivoluzionare la
comprensione dell’alto medioevo europeo, la storiografia giuridica italiana
era ormai pervenuta a un complessivo atteggiamento di disinteresse nei
confronti del medesimo periodo2, privando in questo modo il dibattito
Dottorando in “Teoria del diritto ed ordine giuridico ed economico europeo” presso
l’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro.
1
Sull’estensione temporale della tarda antichità manca un orientamento unanime. Sulla
nuova interpretazione del periodo, sui suoi caratteri e sui suoi presupposti cfr. F.
ROTIROTI, Ierocrazia. Religione e istituzioni dalla Roma arcaica al regno longobardo,
Giuffrè, Milano, 2016, 12-19 e 231-239.
2
Si leggano le riflessioni espresse al proposito dallo stesso L. LOSCHIAVO, Insediamenti
barbarici e modelli di coesistenza nell’Italia altomedievale. Il regno degli Ostrogoti, in F.
288
FRANCESCO ROTIROTI
internazionale della propria distintiva prospettiva teorica e, per di più,
isolando la scienza giuridica italiana dalla possibilità di un’adeguata
comprensione di quei secoli assiali e del loro rilievo. Assai maggiore
interesse per la tarda antichità – preme rimarcare – mostrano invece gli
studiosi del diritto romano: ne soffre dunque la conoscenza di quei secoli,
successivi alla cosiddetta caduta dell’impero di Roma, che la tradizione
scientifica e le partizioni disciplinari assegnano appunto alla competenza
dello storico medievista. Più che benvenuta è pertanto l’apparizione di un
piccolo manuale universitario come quello qui recensito, proveniente dalla
penna di un professore ordinario di Storia del diritto medievale e moderno
e implicitamente destinato alla potenziale inclusione nei programmi dei
corsi di laurea in Giurisprudenza (nonché rivolto a qualunque lettore
interessato), con iniziativa che appare in controtendenza rispetto
all’anzidetta marginalizzazione dell’alto medioevo nel quadro degl’interessi
attualmente coltivati dalla storiografia giuridica italiana.
Il manuale di Luca Loschiavo è essenzialmente suddiviso in quattro
capitoli tematici che corrono per duecentotrentuno pagine, coi primi due
capitoli affiancati da altrettanti excursus che ne completano il tema; il
volume include inoltre un indice dei contenuti, una breve prefazione, una
cronologia, quattro cartine geografiche e una bibliografia ragionata.
La prefazione (pp. XI-XIV) presenta i cenni essenziali circa la questione
del complessivo disinteresse che gli storici del diritto – a differenza dei
colleghi “romanisti” – hanno maturato nei confronti dello studio del
tardoantico, vis-à-vis con una condivisibile rivendicazione della sua
importanza per la formazione del giurista, nella sua qualità di momento
costitutivo di una pluralità di realtà istituzionali e giuridiche destinate a
plurisecolare fortuna, oltreché in quanto contenitore di esperienze e di
soluzioni alternative la cui conoscenza non può che arricchire la sensibilità
e la cultura del giurista. Loschiavo dichiara che il libro «è rivolto
RIMOLI (a cura di), Immigrazione e integrazione. Dalla prospettiva globale alle realtà
locali, vol. 1, Editoriale Scientifica, Napoli, 2014, 317-321.
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principalmente agli studenti» (p. XIII), con tutte le conseguenze che ne
derivano in relazione all’impostazione dell’opera. L’autore dichiara inoltre
di non aver voluto ridurre al minimo «i riferimenti ai nudi fatti storici»,
cercando piuttosto d’isolare e quindi di raccontare quelle vicende che più
di altre potessero assistere l’esposizione dell’elemento giuridico (a questo
scopo
è
anche
predisposta
la
cronologia,
alle
pp.
XV-XXVI);
nell’impossibilità di abbracciare tutti gli aspetti del fenomeno giuridico,
l’autore dichiara infine di aver privilegiato «come ‘filo rosso’ quello della
giustizia» (pp. XIII-XIV).
Trattando rispettivamente dell’impero, del cristianesimo e dei barbari, i
primi tre capitoli del manuale – «L’impero tra riforme e rivoluzioni»;
«Costruire la societas christianorum»; «L’Europa romana e barbarica» –
sono essenzialmente dedicati, con qualche approssimazione, a quelli che
l’intendimento tradizionale riteneva essere i tre fattori dal cui incontro
sarebbe scaturito il medioevo, implicitamente riconoscendo la permanente
utilità della tripartizione per lo meno nella sua veste di strumento
didattico: la trattazione svolta nei tre capitoli, naturalmente, è assai
lontana dallo schematismo originariamente alla base della partizione,
essendo peraltro ormai venuta a cadere la consistenza scientifica della
nozione di “germanesimo” e, con essa, la possibilità d’identificare una
distintiva cultura barbarica. Ma procediamo con ordine.
II.
Il primo capitolo – «L’impero tra riforme e rivoluzioni» (pp. 1-49) – tratta
del periodo ricompreso fra l’impero di Diocleziano (284-305) e il concilio
di Nicea (325). La scelta di principiare con Diocleziano sembra richiamare
l’impostazione adottata non molti anni or sono dal manuale di Ennio
Cortese, che non solo dedicava all’imperatore dalmata qualche pagina del
primo capitolo, ma che anche argomentava nella premessa la specifica
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FRANCESCO ROTIROTI
opportunità di tale scelta3. La scelta è senz’altro la più opportuna: infatti,
come la critica storica ha da qualche tempo messo in luce, l’azione politica
e le iniziative istituzionali di Costantino seguono quelle del suo
predecessore secondo linee di fondamentale continuità4, donde la
necessità – adeguatamente enfatizzata dallo stesso Loschiavo (pp. 1-3) – di
una considerazione unitaria.
Il capitolo, per il resto, procede con l’esame dei prodotti tipici del diritto
romano cosiddetto volgare: le riforme costituzionali e amministrative di
Diocleziano, la riforma fiscale e il nuovo regime della terra, la riforma
monetaria, l’istituzionalizzazione della distinzione sociale fra honestiores e
humiliores, le pratiche del colonato e del patrocinio, la diffusione delle
milizie private (pp. 3-26); gl’istituti giuridici sono trattati nell’opportuno
raccordo
coi
grandi
un’impostazione
storiografica
che
movimenti
pare
d’impronta
della
soprattutto
mazzariniana
storia
sociale,
attraverso
della
tradizione
debitrice
(Mazzarino,
in
effetti,
è
diffusamente richiamato nelle note).
Dopo un paragrafo dedicato alla cosiddetta grande persecuzione (pp. 2631), il capitolo passa quindi all’esame della monarchia costantiniana (pp.
31-49). La trattazione delle questioni giuridiche – con gli essenziali
ragguagli sulle riforme dell’amministrazione, dell’esercito, dell’economia e
3
Vd. E. CORTESE, Le grandi linee della storia giuridica medievale, Il Cigno, Roma 2000,
15, 22-24 e IV (la trattazione riprende E. CORTESE, Il diritto nella storia medievale, vol. 1.,
L’alto medioevo, Il Cigno, Roma, 1995, 6-7 e 19-22, mentre la premessa è
precedentemente inedita).
4
Per i profili di continuità giuridica cfr. in particolare S. CORCORAN, The Empire of the
Tetrarchs. Imperial Pronouncements and Government. AD 284-324, Oxford University
Press, Oxford, 20002, 3 ss. Simon Corcoran è anche l’affidatario del capitolo su
Diocleziano nel Companion recentemente curato da Noel Lenski: S. CORCORAN, Before
Constantine, in N. LENSKI (a cura di), The Cambridge Companion to the Age of
Constantine, Cambridge University Press, Cambridge etc., 20122, 35-58; il capitolo, nelle
parole del curatore, «examines the way that the comprehensive reforms undertaken by
Diocletian and his fellow Tetrarchs set the stage for much of what Constantine would
accomplish» (N. LENSKI, Introduction, nello stesso volume, 10).
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della moneta nonché, soprattutto, con la considerazione dei rapporti
dell’impero col cristianesimo – procede in questo caso nell’inevitabile
connessione col resoconto delle principali vicende politiche. La materia è
affrontata con un dettaglio sufficiente al contesto manualistico, dando
anche spazio a qualche parola sulla questione del cristianesimo personale
di Costantino. La delicata questione del ruolo assunto dall’imperatore nella
chiesa è trattata con equilibrio e con serenità di giudizio: il coinvolgimento
di Costantino nelle vicende ecclesiastiche – osserva Loschiavo – può forse
turbare la coscienza giuridica moderna, abituata al principio della
separazione fra stato e chiesa, ma questa era per l’epoca una distinzione
assai difficilmente concepibile; il ruolo assunto da Costantino era peraltro
coerente col tradizionale intendimento dei rapporti fra l’imperatore –
sommo sacerdote – e la sfera del culto (pp. 48-49).
Il capitolo è quindi seguito da un breve excursus intitolato «Le fonti
giuridiche nell’età del dominato» (pp. 50-58), il quale permette di
completare il macrotema del tardo impero con la trattazione delle fonti del
diritto, considerate tanto nei loro caratteri generali – con la partizione
tipologica fra leges e iura – quanto nelle loro individuali manifestazioni,
attraverso una rassegna sintetica ma efficace dei codices Gregorianus,
Hermogenianus e Theodosianus, delle Constitutiones Sirmondianae, delle
Pauli receptae Sententiae, dell’Epitome Ulpiani, dei Fragmenta Vaticana,
della Collatio legum, della Consultatio veteris cuiusdam iurisconsulti e del
Liber Gai.
Il secondo capitolo – «Costruire la societas christianorum» (pp. 59-110) –
è dedicato al cristianesimo, con una trattazione che di necessità trascende
il limite cronologico del termine a quo stabilito nella prefazione. Pur
finalizzando la discussione alla spiegazione delle motivazioni del
«matrimonio» fra la chiesa e l’impero avvenuto nel IV secolo, infatti, le
prime pagine del capitolo provvedono a tratteggiare un quadro riassuntivo
della comunità cristiana delle origini e del suo progressivo consolidamento
nel corso del II e del III secolo, con uno sguardo rivolto alla conformazione
292
FRANCESCO ROTIROTI
dei due poli costituiti dalla comunità in senso stretto e dall’autorità
prepostale (pp. 59-62). Il secondo paragrafo (pp. 62-68), trattando
dell’attività caritatevole e assistenziale praticata dalle chiese, costituisce un
buon esempio del procedimento espositivo generalmente seguito da
Loschiavo: esposizione dei grandi temi della storia sociale e culturale e loro
raccordo coi conseguenti corollari giuridici, che in questo caso spaziano
dall’istituzione delle matriculae dei poveri nell’ambito delle chiese locali
alle disposizioni costantiniane tendenti a privilegiare le comunità cristiane
in ragione della loro funzione assistenziale.
Il
terzo
paragrafo
apre
la
trattazione
di
un
macrotema
che,
sostanzialmente, occupa la gran parte del secondo capitolo (pp. 68-88 e
93-97)5: è il tema della giustizia e del procedimento giudiziario, cioè quel
«‘filo rosso’» che la prefazione dichiarava di voler privilegiare
nell’articolazione del manuale (p. XIV). La scelta – nello specifico contesto
di un capitolo sul cristianesimo – rivela tutta la propria utilità,
contribuendo a colmare – nella formazione dello studente – il vuoto
altrimenti percepibile fra la stagione del diritto romano col suo processo e
la più tarda stagione del diritto comune, che proprio nella dimensione
processuale realizza alcune delle sue più importanti costruzioni giuridiche.
Il primo profilo affrontato è quello relativo all’origine evangelica di un
nuovo modello di giustizia soprattutto centrato intorno alle nozioni del
pentimento e dunque del reintegro del peccatore all’interno della
comunità. Assodata l’esigenza di una più precisa istituzionalizzazione delle
procedure – con la conseguente emergenza dell’istituto dell’episcopalis
audientia – e della loro uniformazione di contro al caratteristico localismo
5
Come segnalato dallo stesso autore nelle note bibliografiche, le pp. 69-84 risultano
riprendere – con qualche modifica – alcune pagine di un lavoro precedente, vale a dire L.
LOSCHIAVO, Non est inter vos sapiens quisquam, qui possit iudicare inter fratrem suum?
Processo e giustizia nel primo cristianesimo dalle origini al vescovo Ambrogio, in G.
BASSANELLI SOMMARIVA, S. TAROZZI, P. BIAVASCHI (a cura di), Ravenna Capitale. Giudizi,
giudici e norme processuali in Occidente nei secoli IV-VIII, vol. 1, Maggioli,
Santarcangelo di Romagna, 2015, 67-92.
293
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del cristianesimo precostantiniano, Loschiavo prende quindi in dettagliata
considerazione la disciplina processuale definita dalla Didascalia
apostolorum (pp. 76-84), nella quale sono individuati i caratteri essenziali
del processo cristiano dell’epoca: l’esame della Didascalia permette così di
trattare della pubblicità del giudizio del vescovo, della preferenza
accordata alle soluzioni conciliative, delle apparenti celerità ed economia
dei giudizi, del rifiuto dell’eccessivo formalismo che prelude alla
concezione dell’aequitas canonica, dell’apertura all’apprezzamento della
stessa
lex
Romana,
dell’eccezionale
valore
accordato
alla
prova
testimoniale e alla figura del testimone-accusatore. È dunque una
trattazione nella quale non è difficile scorgere molti dei motivi che, nella
stagione del diritto comune, saranno anche al centro del modello del
processo cosiddetto romano-canonico: nel favorire la formazione di una
prospettiva diacronica è una parte dell’utilità didattica che discende dal
soffermarsi sullo studio di quest’epoca e di questi temi negletti. Due
paragrafi ulteriori sono infine dedicati alla recezione della giurisdizione
vescovile nell’ordinamento imperiale e al caso giudiziario della vergine
Indicia, raccontato da Ambrogio, il cui resoconto consente a Loschiavo di
formulare ulteriori rilievi sul funzionamento della prassi giudiziaria
cristiana. Questa utile trattazione del modello cristiano della giustizia
avrebbe tuttavia potuto beneficiare di una più attenta considerazione dei
suoi aspetti più tetri, quali sono per esempio quelli che si manifestano in
relazione alla persecuzione dell’eterodossia religiosa (è un tema,
quest’ultimo, al quale è invece riservato solamente qualche cenno, alle pp.
104-105).
I rimanenti paragrafi del secondo capitolo sono dedicati alle principali
conseguenze istituzionali dell’incontro fra l’impero e il cristianesimo, nel
quadro di una finestra cronologica che, per il momento, rimane per lo più
vincolata al IV secolo. Dopo un ottavo paragrafo di argomento miscellaneo
(pp. 88-93) e il già menzionato ritorno al tema della giustizia vescovile col
caso della vergine Indicia, Loschiavo conclude con tre paragrafi dedicati
294
FRANCESCO ROTIROTI
alla figura e al pensiero del vescovo Ambrogio (pp. 97-110). Particolare
attenzione è posta sulle vicende del rapporto di questi con l’imperatore
Teodosio e sul loro significato istituzionale: il trattamento della questione
da parte di Loschiavo è apprezzabilmente equilibrato, rilevando come il
confronto fra “stato” e “chiesa”, all’epoca, non fosse affatto il medesimo del
medioevo maturo e come Ambrogio, sostanzialmente, richiedesse che
l’imperatore ricorresse all’autorità della chiesa e alla sua intermediazione
piuttosto che affidarsi unicamente alla diretta ispirazione divina (p. 108);
Ambrogio, in somma, si limita pur sempre ad affermare un ideale di
collaborazione e non di sovraordinazione della chiesa e dei vescovi
sull’imperatore e sull’impero6. La complessa questione dei rapporti fra la
chiesa e l’impero nella tarda antichità avrebbe forse meritato uno spazio
maggiore, ma il trattamento riservatole è coerente con la scelta –
dichiarata nella prefazione – di privilegiare il filo della giustizia; nei limiti
definiti da questa scelta, in ogni caso, la trattazione è svolta con piena
avvedutezza di giudizio.
Come il primo così anche il secondo capitolo è seguito da un breve
excursus sulle fonti, in questo caso intitolato «Le fonti del diritto canonico
delle origini» (pp. 111-117). Il primo paragrafo è dunque dedicato al
rapporto del primo cristianesimo con la Torah, alla formazione del canone
neotestamentario e, infine, a una selezione dei testi della letteratura
pseudoapostolica dal contenuto più manifestamente giuridico, passando in
rassegna la cosiddetta Prima lettera di Clemente, la Didaché, la Traditio
apostolica, la Didascalia apostolorum, la Constitutio ecclesiastica
6
Assai opportunamente, nelle note bibliografiche, LOSCHIAVO mostra di far riferimento
all’eccellente monografia di N.B. MCLYNN, Ambrose of Milan. Church and Court in a
Christian Capital, University of California Press, Berkeley etc., 1994, la cui analisi ha
mostrato come gli episodi relativi ai rapporti di Ambrogio con Teodosio non realizzassero
– per lo meno – alcuna volontà di umiliare o di sottomettere il potere secolare (291-330);
osserva LOSCHIAVO alla p. 245 del manuale: «per il contrasto fra Ambrogio e Teodosio
circa i fatti di Callinico e Tessalonica si è scritto molto e spesso con pregiudizio. Con
maggiore spirito critico lo ha fatto McLynn».
295
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apostolorum e le Constitutiones apostolorum; il secondo paragrafo tratta
invece di quelle più tipiche fonti del diritto costituite dai canones e dalle
epistolae decretales, con qualche utile cenno alla storia delle loro prime
collezioni (secoli V-VII). Quantunque sintetico, l’excursus ha il merito di
portare l’attenzione su testi non strettamente giuridici e d’inoltrare lo
sguardo fino all’epoca delle collezioni altomedievali di canones e di
decretales, in somma contribuendo – come il capitolo del quale è
appendice – a colmare lo iato fra l’antichità e la ventura età del diritto
comune.
III.
Il terzo capitolo – «L’Europa romana e barbarica» (pp. 119-191) – presenta
svariati elementi d’interesse, affrontando questioni controverse come
quelle relative alla successione dei regni cosiddetti romano-barbarici nei
territori dell’impero, alla loro affiliazione culturale e ai loro profili
giuridici. Negli ultimi vent’anni lo studio di questi temi specifici è stato
interessato da una vera e propria rivoluzione scientifica7, i cui effetti solo
parzialmente e in ritardo hanno preso a manifestarsi nel mondo del diritto.
Il manuale di Loschiavo, pertanto, assume il non facile compito di tener
conto tanto del quadro complessivo delineato dal nuovo orientamento
storiografico, quanto del dettaglio di una storia del diritto dei popoli
cosiddetti germanici e dei loro regni che la dottrina non ha ancora
provveduto a riesaminare alla luce del nuovo paradigma. Il primo
paragrafo (pp. 119-122) presenta dunque una critica di quella ch’è stata
anche
7
definita
come
l’«impostazione
nazionalistica
di
stampo
Cfr. F. ROTIROTI, op. cit., 12-19 e 231-239; una porzione significativa di questa
rivoluzione scientifica ruota attorno al cosiddetto modello dell’etnogenesi, per il quale cfr.
R. KASPERSKI, Ethnicity, Ethnogenesis, and the Vandals: Some Remarks on a Theory of
Emergence of the Barbarian gens, in Acta Pol. Hist., 112/2015, 201-242.
296
FRANCESCO ROTIROTI
ottocentesco»8, con la sua ricostruzione di un immaginario germanesimo
culturale e biologico nel cui macrocosmo erano collocate le individuali
tribù dei Goti, dei Burgundi, dei Franchi, e così via, in quello che –
sostanzialmente – non era altro che il processo di ricerca di un’identità per
la nazione tedesca; il secondo paragrafo (pp. 123-125), viceversa, rende
atto dell’avvenuto mutamento del paradigma dominante, con una sintetica
ma efficace presentazione delle teorie dell’etnogenesi e dei loro metodi,
nonché del carattere controverso dei risultati raggiunti in relazione
all’entità della “trasformazione” del mondo romano. Il terzo paragrafo (pp.
125-130) principia col rilevare come gli effetti della predetta svolta
storiografica tardino a manifestarsi nel mondo del diritto, forse troppo
abituato a considerare il blocco uniforme del diritto romano in
contrapposizione a quello che deve dunque essere l’altro blocco del diritto
germanico. Loschiavo si trova quindi nella situazione di dover esporre un
quadro storico-giuridico elaborato decenni addietro sulla base di
presupposti scientifici poi contraddetti da orientamenti storiografici
successivi (i quali sono contestualmente presentati dall’autore in una luce
di complessivo favore). L’impasse è risolta nell’unico modo possibile: il
diritto degli antichi “Germani” è presentato comunque nei suoi tratti
essenziali – richiedendolo il genere letterario del manuale – ma è
racchiuso all’interno di una parentesi marcatamente dubitativa: «è difficile
dire con sicurezza quanta parte di questa ricostruzione […] possa
effettivamente riflettere quell’antica realtà» (p. 130). È opinione di chi
scrive che tale soluzione – inevitabile nel contesto di un manuale che non
può che limitarsi a esporre le posizioni risultanti dal consenso scientifico
vigente – segnali nondimeno la sussistenza di un divario che la storiografia
giuridica dovrebbe curarsi di colmare, anche riconfermando – qualora paia
opportuno – le proprie tesi, ma solamente all’esito di un confronto a tutto
tondo coi nuovi orientamenti scientifici maturati nel seno delle altre
8
S. GASPARRI, C. LA ROCCA, Tempi barbarici. L’Europa occidentale tra antichità e
medioevo (300-900), Carocci, Roma, 2012, 17.
297
n. 2/2017
discipline storiche. Coerentemente, nel paragrafo successivo (pp. 130-133),
nel presentare la tradizionale ricostruzione di due settori ritenuti
emblematici dell’antico diritto dei Germani – il settore dei diritti
immobiliari e quello del processo – Loschiavo esibisce un approccio
correttamente
problematico,
rilevando
i
limiti
dell’intendimento
tradizionale e le sue occasionali smentite.
I paragrafi successivi (pp. 133-148), seguendo il procedimento già
sperimentato nei primi due capitoli, riprendono quindi ad affiancare il
resoconto delle vicende storiche alla considerazione dei loro corollari
giuridici, soffermando in particolare l’attenzione sulle vicende del limes fra
il III e il V secolo: intorno a questo polo geografico e concettuale è
imbastita la trattazione dei proteiformi modelli istituzionali impiegati per
la sistemazione dei barbari lungo i confini e per il loro assorbimento nelle
strutture dell’impero, fra i quali emerge la figura del foedus. La trattazione
è nel complesso assai attenta alla caratterizzazione del limes come luogo
non soltanto di opposizione e di conflitto ma anche di scambio, di simbiosi
e d’integrazione: lungo le frontiere – rimarca ottimamente Loschiavo –
nascono società multietniche e multiculturali destinate a estendersi anche
ben oltre le prossimità del limes (p. 143).
Affrontata la questione della nascita dei nuovi popoli alla luce delle teorie
dell’etnogenesi (pp. 143-144), Loschiavo rivolge quindi la propria
attenzione al loro conseguente stanziamento nei territori dell’impero,
dichiarandosi interessato a «cogliere la vera natura di queste nuove
costruzioni politiche e il loro porsi rispetto al precedente assetto
istituzionale», nonché «la maniera in cui affrontarono i problemi derivanti
dall’insediamento dei nuovi arrivati e dalla convivenza tra questi e i
residenti» (p. 147). A questo scopo, nella dichiarata impossibilità di
analizzare tutte le nuove realtà politiche, Loschiavo sceglie di considerarne
soltanto due – il regno degli Ostrogoti e quello dei Franchi – che «possono
quasi esser prese a simbolo di differenti risposte a problemi sociali e
giuridici
sostanzialmente
analoghi»
298
(p.
148).
La
decisione
è
FRANCESCO ROTIROTI
adeguatamente argomentata: con la scelta del regno ostrogoto e di quello
franco, in effetti, come emerge dalla trattazione successivamente svolta,
Loschiavo vuole giustapporre due realtà opposte: da un lato, con gli
Ostrogoti, un iniziale dualismo fra la componente ostrogota e quella
romana che il progetto politico coltivato da Teodorico cerca di avviare
verso la collaborazione e verso l’integrazione, nel contesto di una cornice
istituzionale ancora romana; dall’altro lato, coi Franchi, la formazione di
un popolo dall’identità composita pur nell’assenza di un consapevole
progetto politico volto all’integrazione, nel contesto di uno stato «leggero»
e meno legato ai modelli della romanità. La scelta è pertanto giustificata e
la trattazione è poi svolta con coerenza; colpisce, nondimeno, la mancata
considerazione dell’esperienza longobarda, la cui vicenda istituzionale
avrebbe senz’altro arricchito questo manuale dalle poche pretese ma dai
molti meriti, che allo studente e al lettore propone una visione aggiornata
della tarda antichità giuridica. Qualche cenno nel capitolo quarto è invece
dedicato al regno visigoto di Toledo.
I paragrafi successivi, pertanto, si occupano degli Ostrogoti (pp. 148-167)9,
principiando con gli essenziali ragguagli circa le vicende del loro arrivo in
Italia e circa il problematico inquadramento costituzionale del loro regno.
Particolare attenzione è dedicata alla controversa questione dei rapporti
fra Goti e Romani: alla tesi del separatismo – presentata nelle forme
elaborate dalla storiografia giuridica italiana fra gli anni Cinquanta e
Ottanta del secolo scorso10 – è anzitutto contrapposto il quadro emergente
dalle più recenti analisi del dato archeologico: un quadro senz’altro
9
Come segnalato nelle note bibliografiche, questi paragrafi – con qualche modifica e con
vari tagli – riprendono un precedente lavoro, cioè L. LOSCHIAVO, Insediamenti, cit., 324348.
10
Assenti sono i riferimenti alla letteratura angloamericana, della quale rendeva invece
conto L. LOSCHIAVO, Insediamenti, cit., 329-330 nota 37. Per il punto di vista anglofono
sulla questione dell’identità ostrogota in Italia cfr. ora B. SWAIN, Goths and Gothic
Identity in the Ostrogothic Kingdom, in J.J. ARNOLD, M.S. BJORNLIE, K. SESSA (a cura di),
A Companion to Ostrogothic Italy, Brill, Leiden – Boston, 2016, 203-233.
299
n. 2/2017
composito ma che nel suo complesso suggerisce come «il processo di
integrazione […] fosse cominciato e stesse anzi facendo significativi
progressi» (p. 156), soprattutto nel contesto delle classi sociali più elevate,
presso le quali può osservarsi la tendenza degli occupanti ad assumere
elementi dell’identità italica e la speculare tendenza degli autoctoni ad
assumere elementi dell’identità ostrogota; una rilettura delle informazioni
relative alle modalità dell’insediamento gotico e alle politiche fiscali di
Teodorico non fa che rafforzare le medesime conclusioni, confermate
anche dalla considerazione del dato giuridico in senso stretto, costituito
dalle norme dell’Edictum Theoderici e dal sistema della giustizia regia.
Gli ultimi paragrafi del capitolo terzo sono dedicati al popolo dei Franchi
(pp. 167-191), dei quali Loschiavo principia col tratteggiare le vicende
storiche, dall’epoca del loro ingresso nei territori dell’impero fino al
momento
del
consolidamento
politico
e
istituzionale
operato
dagl’iniziatori della dinastia merovingia. Particolare enfasi è posta, ancora
una volta, sulla formazione dell’identità del nuovo regno, che in questo
caso è intesa maturare per il tramite di una secolare convivenza che porta
tanto gli autoctoni quanto i popoli originariamente provenienti dall’altro
lato del limes a convergere verso modelli culturali comuni. Nell’affrontare
questioni di più stretto diritto, Loschiavo si sofferma a lungo sul Pactus
legis Salicae, sull’organizzazione statuale del regno di Clodoveo e, infine,
sul sistema della giustizia; di quest’ultimo è utilmente rimarcata la
distanza dalla nozione di un procedimento irrazionale e indifferente verso
l’accertamento del fatto quale la germanistica dei secoli scorsi soleva
attribuire al comune bagaglio di tradizioni degli antichi “Germani”.
L’operazione messa in atto con questo terzo capitolo – il più lungo dei
quattro che compongono il libro – è indubbiamente commendevole:
all’attenzione dello studente – e dello storico del diritto – sono imposti i
risultati di quella ch’è la più importante svolta storiografica verificatasi
negli studi altomedievistici dell’ultimo trentennio, la quale nondimeno
tarda a far sentire i propri effetti nel settore degli studi giuridici.
300
FRANCESCO ROTIROTI
Il quarto e ultimo capitolo – «La cultura giuridica» (pp. 193-231) – è
programmaticamente disposto alla trattazione del concreto atteggiarsi
della cultura giuridica nel contesto delle nuove realtà politiche risultate
dall’incontro dell’impero col cristianesimo e coi popoli barbari; Loschiavo
sceglie di percorrere essenzialmente due strade, occupandosi della
sopravvivenza del diritto romano nella città di Roma fino al tempo di
Gregorio Magno, da un lato (pp. 197-215), e dell’opera d’Isidoro di Siviglia,
dall’altro lato (pp. 216-231). La scelta è valida, individuando quelle che –
solitamente trascurare dai manuali – furono due delle principali cinture di
trasmissione della cultura giuridica antica attraverso “l’età del passaggio”.
Ebbene, per quel che concerne la città di Roma, l’attenzione è anzitutto
rivolta all’attivismo dei pontefici e della curia romana, che col ricorso alle
categorie del diritto pubblico romano tentavano allora di strutturare le
proprie relazioni istituzionali con le altre sedi vescovili e coi centri del
potere politico; una trattazione più estesa è invece dedicata alla
sopravvivenza dello studio del diritto nel VI secolo, con approfondimenti
sul metodo d’insegnamento e di studio dei testi giustinianei –
concentrandosi in particolare sull’Epitome Iuliani e sulle origini
dell’Authenticum – cui sono riconnesse specifiche ipotesi circa la possibile
sopravvivenza della scuola di diritto dell’Urbe; in questo quadro è infine
integrata la trattazione della figura di Gregorio Magno e della sua peculiare
sensibilità giuridica. L’attenzione è quindi rivolta all’altro grande
protagonista della cultura altomedievale, Isidoro di Siviglia, la cui
esperienza intellettuale è contestualizzata in relazione alle vicende
politiche del regno visigoto di Toledo, recentemente convertitosi al
cattolicesimo e dunque impegnato nel consolidamento della propria
identità cristiana. Ai contributi isidoriani di argomento giuridico
Loschiavo dedica uno spazio relativamente ampio (pp. 219-231),
soffermandosi sulle concezioni d’Isidoro relative ai rapporti fra chiesa e
monarchia e poi, soprattutto, sulla sua trattazione del procedimento
giudiziario.
301
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La complessiva ispirazione del quarto capitolo procede da contributi
recenti dello stesso Loschiavo, nei quali lo studioso aveva già avuto modo
di argomentare il rilievo dei due poli anzidetti – Roma e Isidoro – nel
panorama del diritto altomedievale, nonché la loro funzione di “corridoi”
per il trasbordo della cultura giuridica antica verso l’età del diritto
comune11. L’inclusione dei personali apporti scientifici di Loschiavo,
pertanto, completa la presentazione di quei temi – oggetto dei precedenti
capitoli – che hanno dominato la recente storiografia sul tardoantico e
sull’alto medioevo, contribuendo a rendere l’immagine di un’epoca –
invero – del “passaggio”, nella quale anche il diritto antico non scompare
affatto – eclissato dall’irrazionalità e dalla violenza attribuite alla pretesa
cultura dei popoli barbari – ma si conserva e si trasforma, ponendo
peraltro le necessarie fondamenta per la successiva edificazione del
sistema del diritto comune.
Chiude il volume una sezione intitolata «Note bibliografiche» (pp. 233262), la quale sopperisce – in parte – all’infrequenza delle note nel corpo
dei capitoli, permettendo di tracciare la provenienza dei diversi elementi
confluiti
nella
sintesi
di
Loschiavo.
Oltre
che
assolvere
questa
indispensabile funzione giustificativa, la bibliografia – come il resto del
manuale – pare rivolta soprattutto allo studente e al lettore interessato,
11
I paragrafi relativi alla scuola di diritto dell’Urbe e alla sopravvivenza dello studio del
diritto nel VI secolo riprendono questioni trattate da L. LOSCHIAVO, Insegnamento del
diritto e cultura giuridica a Roma da Teoderico a Carlo Magno. La scia dei manoscritti,
in G. BASSANELLI SOMMARIVA, S. TAROZZI, P. BIAVASCHI (a cura di), Ravenna Capitale.
Permanenze del mondo giuridico romano in Occidente nei secoli V-VIII, Maggioli,
Santarcangelo di Romagna, 2014, 9-50; l’importanza d’Isidoro per il diritto è invece
argomentata da L. LOSCHIAVO, L’impronta di Isidoro nella cultura giuridica medievale:
qualche esempio, in G. BASSANELLI SOMMARIVA, S. TAROZZI (a cura di), Ravenna Capitale.
Uno sguardo ad Occidente, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2012, 39-55; e da L.
LOSCHIAVO, Isidoro di Siviglia e il suo contributo all’ordo iudiciarius medievale, in Y.
MAUSEN, O. CONDORELLI, F. ROUMY, M. SCHMOECKEL (a cura di), Der Einfluss der
Kanonistik auf die europäische Rechtskultur, vol. 4, Prozessrecht, Böhlau, Köln etc. 2014,
1-19.
302
FRANCESCO ROTIROTI
accumulando numerosi suggerimenti di approfondimento e di lettura che
riflettono la varietà tematica del manuale, ma senz’alcuna pretesa di
completezza in relazione alla complessità degli argomenti affrontati.
IV.
È giunto il momento di formulare qualche considerazione conclusiva.
Inutile tornare a ribadire l’utilità del manuale qui recensito per la
comprensione della successiva stagione del diritto comune. Alla sintesi di
Luca Loschiavo – per il resto – dev’essere anzitutto riconosciuto il merito
della chiarezza espositiva, conseguita per il tramite di uno stile agile e
piano, nonché grazie all’abile organizzazione di una materia policroma
intorno a nuclei tematici nitidi e ben strutturati. Ma, soprattutto, l’autore
merita il plauso per aver portato all’attenzione dello studente – e imposto
all’attenzione dello stesso storico del diritto – un periodo che la
storiografia giuridica tende ormai a disertare, forse ritenendo che le poche
fonti altomedievali, indagate in lungo e in largo dagli studiosi dei decenni
trascorsi, non abbiano più altro da dire e che, in ogni caso, sia meglio
dedicare le proprie energie allo studio di vicende più prossime (e dunque
più utili?). Le altre discipline storiche, nel frattempo, hanno continuato a
interrogare quelle medesime fonti, avvalendosi di nuove prospettive
teoriche oltreché di un quadro archeologico assai più completo e cospicuo
di quello disponibile intorno alla metà del secolo scorso, quando la storia
del diritto altomedievale era ancora al centro dell’attenzione e delle
ricerche dei giuristi: invero, come rimarcato recentemente da Chris
Wickham, l’archeologia altomedievale è stata essenzialmente reinventata
nel corso dell’ultimo cinquantennio, cioè in concomitanza con la nascita e
con la crescita del nuovo corso degli studi sul tardoantico12. Si è dunque
12
C. WICKHAM, The Inheritance of Rome. A History of Europe from 400 to 1000, Allen
Lane, London, 2009, 7. Quasi inesistente, prima degli anni Ottanta, era in Italia il settore
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venuta a creare una considerevole frattura fra gli status quaestionum
mantenuti nel settore della storiografia giuridica italiana, da un lato, e i
risultati scientifici conseguiti dalle altre discipline storiche, in Italia e
all’estero, dall’altro lato. Il rischio, in mancanza di un aggiornamento, è
peraltro quello della perdita di rilevanza di un vasto patrimonio di
conoscenze e di metodi propri della storiografia giuridica. Luca Loschiavo
è uno dei pochi studiosi impegnati ad arginare questo fenomeno, con la
propria attività di ricerca e ora anche con questo lavoro di sintesi, nel quale
i temi classici della storiografia giuridica sono obbligati a dialogare con gli
orientamenti scientifici più recenti e coi risultati frattanto maturati nel
seno delle altre discipline storiche. Lo sforzo è lodevole e i risultati sono
eccellenti, ma anche evidenziano l’enorme distanza che ancora rimane da
percorrere: c’è bisogno, invero, di un impegno corale. È dunque speranza
di chi scrive che il libro di Loschiavo, principalmente rivolto agli studenti,
possa finire per ispirarne anche uno soltanto al punto da fargli prendere in
mano la penna e da indurlo a scrivere – un domani – nuove pagine di
storiografia del diritto altomedievale.
dell’archeologia urbana postromana: cfr. G.P. BROGIOLO, S. GELICHI, La città nell’alto
medioevo italiano. Archeologia e storia, Laterza, Roma – Bari, 1998, 9-25; se ne
lamentava, per l’appunto, uno storico del diritto attento al dato archeologico come Gian
Piero Bognetti: vd. G.P. BOGNETTI, Problemi di metodo e oggetti di studio nella storia
delle città italiane dell’alto Medioevo, 1959, in ID., L’età longobarda, vol. 4, Giuffrè,
Milano, 1968, 221-250.
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