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DIACRONÌA Rivista di storia della filosofia del diritto 1 | 2021 Diacronìa : rivista di storia della filosofia del diritto. - (2019)- . - Pisa : IUS-Pisa university press, 2019- . - Semestrale 340.1 (22.) 1. Filosofia del diritto - Periodici CIP a cura del Sistema bibliotecario dell’Università di Pisa La pubblicazione di questo numero di Diacronìa è stata resa possibile da un finanziamento del Vicerrectorado de Política Científica de la Universidad Carlos III de Madrid (Convocatoria 2020 de ayudas para la organización de congresos y reuniones científicas y workshops). © Copyright 2021 IUS - Pisa University Press srl Società con socio unico Università di Pisa Capitale Sociale € 20.000,00 i.v. - Partita IVA 02047370503 Sede legale: Lungarno Pacinotti 43/44 - 56126 Pisa Tel. + 39 050 2212056 - Fax + 39 050 2212945 press@unipi.it www.pisauniversitypress.it ISSN 2704-7334 ISBN 978-88-3318-103-5 layout grafico: 360grafica.it L’Editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare, per le eventuali omissioni o richieste di soggetti o enti che possano vantare dimostrati diritti sulle immagini riprodotte. 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Labriola, Marina Lalatta Costerbosa, Francesco Mancuso, Carlo Nitsch, Andrea Porciello, Aldo Schiavello, Vito Velluzzi Consiglio scientifico Mauro Barberis, Franco Bonsignori, Pietro Costa, Rafael de Asís, Francesco De Sanctis, Carla Faralli, Paolo Grossi, Mario Jori, Jean-François Kervégan, Massimo La Torre, Mario G. Losano, Giovanni Marino, Bruno Montanari, Vincenzo Omaggio, Claudio Palazzolo, Baldassare Pastore, Enrico Pattaro, Antonio Enrique Perez Luño, Anna Pintore, Geminello Preterossi, Pierre-Yves Quiviger, Francesco Riccobono, Eugenio Ripepe, Alberto Scerbo, Michel Troper, Vittorio Villa, Francesco Viola, Maurizio Viroli, Giuseppe Zaccaria, Gianfrancesco Zanetti Comitato dei referees Ilario Belloni, Giovanni Bisogni, Giovanni Bombelli, Daniele Cananzi, Gaetano Carlizzi, Thomas Casadei, Corrado Del Bò, Filippo Del Lucchese, Francesco Ferraro, Tommaso Gazzolo, Valeria Giordano, Marco Goldoni, Gianmarco Gometz, Dario Ippolito, Fernando Llano Alonso, Alessio Lo Giudice, Fabio Macioce, Valeria Marzocco, Ferdinando Menga, Lorenzo Milazzo, Stefano Pietropaoli, Attilio Pisanò, Federico Puppo, Filippo Ruschi, Carlo Sabbatini, Aaron Thomas, Persio Tincani, Daniele Velo Dal Brenta, Massimo Vogliotti, Maria Zanichelli Redazione Paola Calonico, Chiara Magneschi, Federica Martiny, Giorgio Ridolfi (coordinatore), Mariella Robertazzi Sede Dipartimento di Giurisprudenza, Piazza dei Cavalieri, 2, 56126 PISA Condizioni di acquisto Fascicolo singolo: € 25,00 Abbonamento annuale Italia: € 40,00 Abbonamento annuale estero: € 50,00 Per ordini e sottoscrizioni abbonamento Pisa University Press Lungarno Pacinotti 44 56126 PISA Tel. 050.2212056 Fax 050.2212945 press@unipi.it www.pisauniversitypress.it Indice Filosofía del derecho e historia: cuestiones metodológicas a cura di Francisco Javier Ansuátegui Roig Non solo i classici? La questione dell’invisibilità nella storia della filosofia del diritto Thomas Casadei................................................................................................13 Appunti per una riflessione ‘discronica’ su potere e obbedienza: da Arendt a Epicuro Lorenzo Milazzo ................................................................................................45 βία: storie (filosofiche) del diritto Francesco Mancuso ...........................................................................................81 Un classico dei classici della filosofia giuridica. Schmitt e Olivecrona lettori di Locke Ilario Belloni ...................................................................................................117 Il diritto come fatto. Prime notazioni su Vico e la filosofia giuridica tra Otto e Novecento Valeria Marzocco .............................................................................................141 Las teorías críticas en la historia de los derechos humanos María del Carmen Barranco Avilés ....................................................................163 Historia, memoria y justicia transicional Cristina García Pascual ....................................................................................189 Gli inizi di una visione storica del mondo nella filosofia del Novecento Adriano Ballarini .............................................................................................217 Saggi Legge e giusto mezzo: la filosofia del diritto di Mosè Maimonide Lucia Corso, Cosimo Nicolini Coen .................................................................235 5 DIACRONÌA 1 | 2021 Tra antiquari e orologiai. Filosofia del diritto e dimensione storica Andrea Porciello ..............................................................................................267 Note La teologia politica moderna Vincenzo Omaggio ..........................................................................................295 Per un’eredità del pluralismo classico. Politica e diritto in Romano, Schmitt e Mortati Pier Giuseppe Puggioni ...................................................................................311 Questo fascicolo di Diacronìa è dedicato a Franco Bonsignori in occasione del suo ottantesimo compleanno 6 DIACRONÌA 1 | 2021 DOI: 10.12871/978883318103510 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE Lucia Corso, Cosimo Nicolini Coen Abstract In this essay we discuss the philosophy of law of Moses Ben Maimon, dedicating special attention to two issues: the function of the law and the golden middle way of the classic ethical tradition. We argue that the intersection among these two issues lies in the concept of the law as an instrument to temper human excess in order to achieve an ordered society, an ethical life, and a sufficient knowledge of God. Drawing on the philosophical, ethical, and medical writings of the Jewish thinker, we argue that the achievements of good habits and an educated inclination do not make laws irrelevant and superfluous. On the contrary, human beings are required to comply with both intelligible and less intelligible rules, to the extent these rules come directly or indirectly (via interpretation) from God. The revealed law (Torah) as paradigm of limit and moderation emerges as well in Maimonides conception of legal hermeneutics. In this way, we argue that the high moral value represented by the action’s attributes of God in Jewish thought is matched by the awareness of the limits of human intellect: it is according to these limits that the Jewish law (Halakha) outlines its rules. Keywords Maimonides; Golden middle way; Law, Torah & medicine; Talmud and karaitism; Limit. Questa Torah assomiglia a due sentieri: uno di fuoco e uno di neve. Deviando da una parte, si perisce nel fuoco, deviando dall’altra si perisce nella neve. Che cosa, dunque, si deve fare? Si proceda nel mezzo, non deviando né da una parte, né dall’altra. Talmud ger., Chagigà 235 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN 1. Introduzione Questo saggio intende affrontare la filosofia del diritto del Maestro filosofo ebreo Mosè Maimonide dedicando attenzione a due temi in qualche misura connessi, il tema della moderazione o del giusto mezzo e il tema della funzione della legge. L’originale intreccio fra i due temi fa sì che sebbene il pensatore sostenga una concezione altissima della legge, al tempo stesso religiosa, morale e perfino giuridica, emerge comunque dai suoi scritti una profonda diffidenza non solo nei confronti del vizio e della trasgressione, come è facile aspettarsi, ma anche, ed è qui l’aspetto più interessante, nei confronti dell’eccesso di virtù. Mosè Maimonide (letteralmente, Mosè figlio di Maimon, in ebraico Moshè ben Maimon), noto più comunemente con l’acronimo di RaMBaM, è il più grande pensatore ebreo medioevale e tutt’ora gode di un’enorme fama, riassunta nel detto: da Mosè [figlio di Amran] a Mosè [figlio di Maimon], nessuno fu grande come Mosè1, cosa che dimostra che all’interno della tradizione ebraica il paragone fra Maimonide e Mosè non viene ritenuto fuor di luogo. Il Perush HaMishnah (Commento alla Mishnah, 1160-1170), scritto in dieci anni, è uno dei primi tentativi di restituire autorità al testo della Mishnah redatto nel II sec. e.v., mettendo ordine anche fra le innumerevoli interpretazioni a cui il testo era stato soggetto nel corso dei secoli2; mentre il Mishne-h To-ra-h (Seconda Legge o Ripetizione della Legge, 1170-1180), un compendio di 14 volumi della Halakhà (il corpus normativo ebraico), offre una sistematizzazione di tutto il materiale giuridico sparso nei volumi del Talmud. Ma Maimonide fu anche un fine giurista, un medico dalla solida reputazione e un filosofo. La sua principale opera filosofica, il Mo-re-h nĕbu-ki-m (Guida dei perplessi 1180-1190ca.) persegue l’obiettivo di conferire una veste di maggiore intellegibilità ai fondamenti dell’ebraismo attraverso la sapienza greca e, M. Kellner, From Moses to Moses, in «Rambam Maimonides Medical Journal», I (2010), 2, pp. 1-5. 2 Per la spiegazione del termine Mishnah si rinvia al § 6. 1 236 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE soprattutto, la filosofia di Aristotele. Come spiega l’autore nell’introduzione, l’opera non si rivolge alle masse o ai principianti nella speculazione, ma a quei pochi che avvertono un senso di smarrimento, i perplessi appunto, per essere, da un lato, saldi nella fede e nell’osservanza e, dall’altro, profondi conoscitori della filosofia e della dialettica3. Si sbaglierebbe tuttavia a ritenere la Guida un’opera filosofica orientata a dimostrare la compatibilità di ragione e fede. Maimonide fu innanzitutto un Maestro ebreo il quale, se da un lato si serve delle speculazioni dello Stagirita (e dei suoi traduttori arabi) per le proprie discussioni metafisiche ed etiche, non esita a smarcarsi da certe affermazioni del filosofo greco qualora contraddicano i fondamenti dell’ebraismo4: ad esempio, all’opinione dell’eternità del mondo, Maimonide contrappone il principio alla base del monoteismo della creazione del mondo ex nihilo ad opera di Dio. Della sua sterminata produzione, prevalentemente in arabo (ma anche in giudeo arabo e in ebraico), e che attraversa vari campi del sapere, dalla logica ai commenti e alla sistematizzazione della legge ebraica, ad opere di medicina, ai pareri giuridico religiosi, la dottrina etica rimane forse la parte più originale, valida e duratura5. Ed è proprio su questo aspetto, e cioè sui fondamenti dell’etica maimonidea, che il saggio intende concentrare la propria attenzione. L’obiettivo degli autori è di riflettere sulla singolarità della proposta etico giuridica di Maimonide nella parte in cui questi innesta la convinzione, tipicamente ebraica, della Torah come fonte prevalente se non esclusiva della normatività, sulla concezione classica dell’etica del giusto mezzo, che ha trovato in Aristotele il suo massimo esponente. Maimonide non si allontana radicalmente dal solco tracciato dai Maestri dell’ebraismo che, in linea con l’insegnamento del libro dei Proverbi e di numerosi Salmi, e di una buona parte della tradizione ebraico ellenistica, nonché M. Maimonide, La guida dei perplessi, a cura di M. Zonta, UTET, Torino 2003, (d’ora in avanti la “Guida”), Introduzione, pp. 69-70. 4 G. Laras, Prefazione, in Mosè Maimonide, Gli Otto Capitoli. La dottrina dell’etica, Giuntina, Firenze 2001, p. 10 (d’ora in avanti, “Otto Capitoli”). 5 Ivi, p. 11. 3 237 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN di quella del periodo mishnico e di quello talmudico, si caratterizzavano per respingere ogni forma di eccesso, sia verso il male che verso il bene6. Il saggio intende affrontare due temi distinti ma connessi. Il primo riguarda il concetto di via mediana o di moderazione, che trova in Maimonide una declinazione peculiare anche rispetto alla trattazione aristotelica a cui l’autore attinge. La Torah, insiste Maimonide, non richiede all’uomo nulla più di quanto non sia conforme alla sua natura e scoraggia pratiche eccessive, come l’ascetismo, la castità, l’eremitaggio, la rinuncia radicale ai beni materiali. Sotto questo profilo, la via mediana di cui parla il Rambam non può essere fatta coincidere con la virtù della temperanza della tradizione paolina7. Proprio perché le norme morali non possono prescindere dai tratti caratteriali di chi le deve osservare, importantissime diventano le prescrizioni finalizzate ad orientare la psicologia individuale, ad esempio il controllo degli appetiti, ma anche i tratti squisitamente fisici, come la costanza degli umori corporei, il funzionamento dell’intestino, il battito cardiaco. Ne segue un’originale sovrapposizione fra comandamenti religiosi, norme mirate a modificare i temperamenti ma anche prescrizioni di carattere medico. Il secondo tema è quello della funzione della Legge. Maimonide presuppone una sostanziale identificazione fra legge morale e legge divina, fra diritto e religione. Ci si potrebbe aspettare che una morale della legge mal si adatti alla morale delle inclinazioni o del carattere. E invece il pensatore ebreo offre un’originale riflessione che fa intrecciare l’interpretazione filosofica e religiosa della Halakhà con considerazioni di tipo antropologico e psicologico sui tratti caratteriali dell’essere umano. La concezione della legge non può essere quindi declinata se non a partire da questo connubio8. Vale la pena in chiusura di questa introduzione anticipare cosa esuli dai nostri propositi. Innanzitutto, intendiamo tenerci a distanza dalle dispute interpretative che riguardano la teologia di Maimonide, con la conseguenza Ivi, p. 7. San Paolo, scrivendo a Tito, dà questo consiglio: «Insegna ai vegliardi ad essere sobrii, onesti, moderati, e a conservarsi puri nella fede, nella carità e nella pazienza» (Tt 2,2). 8 A. Luzzatto, Il rinnovamento della halakhah in Israele, in «Studi fatti ricerche», 50 (1990), p. 3. 6 7 238 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE che, ove vengano trattate, le questioni squisitamente teologiche (ad esempio, sugli attributi di Dio) verranno affrontate attingendo e spesso facendo riferimento ad altri studiosi. Rinunciamo poi a pretese rigorosamente filologiche, anche perché lettori delle opere del pensatore, prevalentemente (seppur non esclusivamente) attraverso le traduzioni italiane ed inglesi. Da ultimo, sebbene Maimonide sia un autore sul quale la letteratura ebraica sia di gran lunga dominante, il nostro obiettivo non è quello di rivolgerci al pubblico dei dotti del giudaismo. Piuttosto, forse in questo tradendo lo spirito del pensatore ebreo, pensiamo che le sue riflessioni sui comportamenti corretti dell’essere umano, che coinvolgono anche indicazioni di psicologia e di medicina, possano interessare un pubblico più vasto, magari laico, fatto, come noi che scriviamo, da persone che cercano di comprendere il valore della moderazione e del suo rapporto con le norme morali e con il diritto, ma che di certo non si arrogano la pretesa di collocarsi fra coloro che stanno ‘saldi nella fede e nell’osservanza’, né fra i ‘profondi conoscitori della filosofia e della dialettica’. 2. Moshe ben Maimon: un uomo in esilio Restituire i principali tratti della vita e delle opere di Maimonide non rileva solo per una preoccupazione di ordine storiografico. A delinearsi, nello sguardo retrospettivo al grande filosofo, codificatore e medico – nato a Cordova nel 1138 e morto a Fustat (Cairo) nel 12049 – è piuttosto un costante rimando tra destino personale, a sua volta inscindibile da quello del popolo ebraico, e produzione teoretica ed etico-giuridica. Rapporto tra realtà materiale e speculazione che trova la propria definizione nella M-R Hayoun, Maïmonide ou l’autre Moïse Edition 2017, Pocket Agora, Paris 2013-2017, p. 69. Dell’opera si trova una traduzione in italiano della prima edizione; tr. it. di S. Salpietro, Maimonide l’altro Mosè, con un testo di Giuseppe Laras, JacaBook, Milano 2003. Circa la data della nascita, mentre Hayoun riporta il 1138, lo storico Abitbol nel suo lavoro del 2013 ancora riporta la data del 1135; M. Abitbol, Histoire des juifs. De la genèse à nos jours, Perrin, Paris 2013, p. 118; tr. it. di V. Zini, Storia degli ebrei. Dalle origini ai nostri giorni, Einaudi, Torino 2015. 9 239 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN condizione dell’esilio: da qui la ricerca di un equilibrio, ove prescrizioni e insegnamenti della Torah divengono percorso di vita e dove, per parafrasare il salmista, «bontà e verità si incontrano»10. Per cogliere tali aspetti pare anzitutto necessario mettere in luce quelle diverse matrici culturali che fecero di Maimonide un «prodotto della socio-cultura giudeo-araba»11. Matrici che si possono riassumere nel nome al-Andalus, la Spagna di dominazione araba o, secondo l’etimo ebraico, Sefarad. Qui, come noto, la simbiosi arabo-ebraica raggiunse uno dei suoi vertici12. Proprio nella Spagna degli Omayyadi (929-1031) era fiorita nel tempo una rigorosa tradizione di scuole talmudiche, che crebbe in prestigio tanto da ledere l’egemonia delle accademie del Vicino Oriente. A questa tradizione si affiancava la rinascita, avviata dalle prime traduzioni dal greco al siriaco dei cristiani d’Oriente13, della filosofia greca, in particolare di quella neo-aristotelica, filtrata da Al Farabi (il «secondo Maestro», dopo Aristotele) ed Avicenna14. Due matrici – gli studi tradizionali e la filosofia – distinte che tuttavia, sulla scorta di quanto avvenuto in ambito mussulmano, non mancheranno anche in quello ebraico di interagire portando a maturazione, nello studio della grammatica e della logica, fino alla metafisica e alla teologia, nuovi orientamenti di pensiero. Alcuni (più rari) volti a mettere in luce l’asimmetria tra ragione e rivelazione; altri a ricercarne momenti di Salmi, 85-11, Bibbia ebraica. Hayoun, Maïmonide, cit., p. 64. 12 M. Abitbol, Histoire des juifs, cit., pp. 111-138. 13 C. Martini Bonadeo, La filosofia dell’Islam, in U. Eco (a cura di), La filosofia e le sue storia, Laterza, Bari 2014, p. 424. 14 Cfr., Hayoun, Maïmonide, cit., p. 58. Per una ricostruzione sintetica, C. Martini Bonadeo, La filosofia dell’Islam, e R. Fedriga, la filosofia degli ebrei, in U. Eco (a cura di), La filosofia e le sue storie, cit., pp. 424-444. La letteratura sulle influenze della filosofia islamica sull’opera di Maimonide è ampia: cfr. S. Harvey, Alghazali and Maimonides and their Books of Knowledge, in J.M. Harris (a cura di), Be’erot Yitzhak: Studies in Memory of Isadore Twersky, Harvard University Press, Cambridge 2005, pp. 99-117; S. Stroumsa, Maimonides in His World: Portrait of a Mediterranean Thinker, Princeton University Press, Princeton-Oxford 2009; cfr. anche S. Pines (tr.), Moses Maimonides, The Guide of the Perplexed, University of Chicago Press, Chicago 1963, Introduction, lvii-cxxxiv. 10 11 240 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE sintesi – come tentato da Sa’adia Gaon (882-946), a capo dell’Accademia talmudica di Sura (attuale Iraq) ed esponente del razionalismo ebraico. Il fertile confronto tra ragione e rivelazione, inizialmente sorto nel Vicino Oriente dell’Impero abbaside, divenne, così, caratteristica della Spagna araba. Tuttavia, con l’arrivo al potere degli Almohadi (1147), fautori di un Islam integrale, quella che era stata la grande tradizione sefardita di studi talmudici e filosofici, venne irreversibilmente meno. Fu proprio a questa tradizione, o alla sua eredità, cui Maimonide sempre guardò, in quella «nostalgie de la sagesse»15, che lo accompagnerà lungo il corso delle sue peregrinazioni. Gli almohadi, infatti, posero le locali popolazioni ebraiche e cristiane di fronte alla scelta della conversione o della morte. La famiglia dei Maimon si diede dunque alla fuga, dapprima all’interno dell’Andalusia (1147-1160 circa), quindi in Marocco, a Fez. Fu a Fez, tra i1160-1165, che Maimonide approfondirà i suoi studi in teologia islamica, medicina e Talmud16. Il giovane Maimonide aveva già messo a punto un sunto di lessico logico-aristotelico (1151), un lavoro sul calendario (Mamar HaIbbur, 1158), e aveva iniziato a mettere mano a quello che diventerà il suo Commento alla Mishnà. Pochi anni dopo aver composto la Iggeret HaShmad (Lettera sull’apostasia, 1162), Maimonide dovette assistere al martirio del suo maestro di Talmud, che rifiutò la conversione all’Islam, nel 1165. A seguito del nuovo inasprirsi delle persecuzioni, la famiglia Maimom si imbarcò verso la terra di Israele. Sbarcarono ad Acco, nel 116517 ma decisero presto di recarsi in Egitto – ad Alessandria. Sarà poi a Fustat, nei pressi del Cairo, che Maimonide si dedicherà alle opere che lo resero celebre, nel mondo ebraico e non solo: il suo grande codice, il Mishné Torah (ultimato nel 1180 e preceduto dal Sefer HaMizwot, nel 1170), e la Guida dei perplessi (1190). In Egitto, pur essendosi pienamente integrato, quale punto di riferimento della comunità ebraica, e come stimato me- 15 16 17 G. Roux, Maïmonide ou la nostalgie de la sagesse, Editions Points, Paris 2017. Hayoun, Maïmonide, cit., pp. 83-84. Ivi, pp. 85-86. 241 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN dico di corte, Maimonide continuò a firmarsi «lo spagnolo»18. A percepirsi, dunque, come un uomo in esilio. Maimonide sapeva bene, avendo vissuto le persecuzioni islamiche in al-Andalus e in Marocco, che senza una condizione politica stabile, ma al contempo vivibile per la minoranza ebraica, non vi può essere osservanza dei precetti, della legge (cfr., Lettera allo Yemen, 1772)19. Si può dunque aderire all’ipotesi che sia stata proprio la condizione dell’esilio a spingere Maimonide all’opera di codificazione, iniziata con il Commento alla Mishnah e culminata con il Mishné Torah20. E si può forse anche formulare la congettura che la dimensione dell’esilio, condizione che richiede spesso sopportazione, umiltà e specialmente capacità di mediazione e compromesso, abbia potuto altresì influire sulla centralità assegnata nel suo corpus di scritti alla moderazione e dunque alla rivisitazione, alla luce della tradizione mishnica e talmudica, del principio regolatore cardine dell’etica aristotelica, il giusto mezzo. 3. La via giusta è la via mediana Le riflessioni di Maimonide sui comportamenti che il giusto deve seguire sono sparse all’interno del suo vasto corpus di scritti21. Di particolare rilievo sono le seguenti opere: i cosiddetti Otto Capitoli (Shemoneh Perakim), una trattazione suddivisa in otto capitoli che fa da introduzione al commento sul Pirkè Avot all’interno del Commento alla Mishnah; le Norme di vita morale (Hilchoth De’oth, 1170-1180), Ivi, pp. 172-173; cfr anche, p.e. H. Le Porrier, Le médecin de Cordoue, Editions du Seuil, Paris 1974, p. 284. 19 M. Maimonides, The Epistle to Yemen, in D. Hartman (a cura di), Epistles of Maimonides. Crisis and Leadership, The Jewish Publication Society of America, 2009, pp. 93-131 (d’ora in avanti “Epistle to Yemen”). 20 M. Halbertal, Maimonides. Life and Thoughts, Princeton University Press, 2015, p. 23; G. Roux, Maimonide ou de la nostalgie de la sagesse, cit. 21 Per una raccolta degli scritti morali, cfr. Moses Ben Maimon, The Ethical Writings of Maimonides, Raymond L. Weiss with Charles L. Butterworth (Eds.), Dover Publications, Inc., New York 1975. 18 242 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE contenute nel terzo capitolo del Primo Libro del Mishneh Torah; il Libro dei Precetti (Sefer ha-Mitzwot), scritto poco prima della redazione del Mishneh Torah e contenente i 613 comandamenti prescritti dalla Torah; la Guida alla Salute (Hanhagath Ha-Beriuth, 1198)22, alcune lettere indirizzate ai capi delle comunità ebraiche sparse per il mondo23 e alcuni brani contenuti prevalentemente nella parte III della Guida per il perplessi. Nelle Norme di vita morale (Hilkhot de’oth)24, dopo avere elencato undici comandamenti25 del giudaismo a cui gli ideali etici sono ispirati, il pensatore di Cordova passa in rassegna i temperamenti e i caratteri degli uomini e afferma che «[l]a via giusta è la via mediana, che passa fra i due estremi opposti, propri di ciascuna disposizione dell’anima»26. Se dunque, c’è chi è irascibile e chi insensibile, chi si rallegra e chi si affligge, chi è taccagno e chi è prodigo, chi è crudele e chi è misericordioso, chi è pavido e chi è coraggioso, e così via27, la via mediana è la scelta fra gli estremi. Maimonide segue Aristotele anche nei suggerimenti per correggere un temperamento che tenda verso un estremo e che consistono innanzitutto nell’introspezione e, poi, nell’esercizio. Il primo atto è quello, dunque, di scoprire la propria indole che può essere naturale ovvero acquisita28: «l’uomo sapiente deve control- G. Laras, M. Tedeschi, Maimonide un percorso verso il benessere, Muzzio Editore, Monte San Pietro 2010. 23 D. Hartman (Eds.), Epistles of Maimonides. Crisis and leadership, The Jewish Publication Society, Philadelphia and Jerusalem 1993. 24 M. Maimonide, Norme di vita morale, a cura di M. Giuliani, Giuntina, Firenze 2018 (d’ora in poi “Norme di vita morale”). 25 Eccoli: 1. Imitare le vie di Dio; 2. Associarsi a coloro che Lo conoscono; 3. Amare il prossimo; 4. Amare gli stranieri; 5 Non provare sentimenti di odio verso i fratelli; 6. Correggerli [quando sbagliano]; 7. Non svergognare nessuno in pubblico; 8. Non affliggere quanti sono [già] infelici; 9. Non spargere maldicenze; 10. Non perseguire vendetta; 11. Non serbare rancore, Ibidem, Introduzione, p. 43. 26 Norme di vita morale, I, 4.7. 27 Ivi, I, 1. 28 Otto capitoli, IV, p. 65. 22 243 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN lare sempre i suoi atteggiamenti, soppesare le sue azioni ed esaminare quotidianamente le inclinazioni della sua anima»29. Questo implica che il sapiente riconosca i propri limiti perché, come aveva già affermato Aristotele, «è impossibile trovare un uomo, naturalmente dotato di tutte le virtù etiche e intellettive»30. Maimonide cita anche Salomone: «non esiste uomo giusto sulla terra che faccia sempre il bene, senza mai peccare»31. Vi è una curiosa similitudine fra medicina e norme di vita morale32, sia per quel che concerne la diagnosi che per quel che riguarda la cura: «Gli ammalati del corpo sentono l’amaro dolce e il dolce amaro. […] Tutto in ragione della gravità della malattia. Allo stesso modo ci sono uomini malati nell’anima che desiderano e amano i cattivi comportamenti e detestano la vita buona, non attivandosi verso essa, in quanto questa appare loro troppo pesante. E tutto in ragione della loro malattia»33. Tenersi in buona salute diventa dunque un principio morale perché «non si può comprendere e conoscere alcunché se si è malati»34. Quanto all’esercizio, l’uomo che abbia preso atto del proprio temperamento, deve porre in essere azioni proprie del temperamento opposto. Ad esempio, l’uomo irascibile deve esercitarsi ad esporsi alle offese Otto capitoli, IV. Aristotele, Etica Nicomachea, VII, I; Saadia Gaòn, Sèfer ha – Emunoth ve – ha – de’oth V, 2-3. 31 Re, 8,46 e Qo 7,20, Otto capitoli, IV: «Di conseguenza i maestri più antichi hanno raccomandato che l’essere umano valuti sempre le proprie attitudini e qualità, ne calcoli la rettitudine e le orienti verso il giusto mezzo, al fine di godere di piena salute. […] Inoltre, non dovrebbe occuparsi di affari se non di quelli che gli sono necessari per i bisogni della vita quotidiana, come dice il salmista: ‘Il poco di cui il giusto ha bisogno è cosa buona’ (Salmi 37, 16). Non dovrebbe stringere la sua mano [nell’avarizia] né sperperare il suo denaro. […] E non sia eccessivamente gaio e ridente né eccessivamente triste o appesantito, ma piuttosto stia sobriamente sobriamente contento ogni giorno facendo a tutti buona accoglienza». 32 I. Englard, The Example of Medicine in Law and Equity - On a Methodological Analogy in Classical and Jewish Thought, in «Oxford Journal of Legal Studies» 5 (1985), 2, pp. 238-247. 33 Norme di vita morale, cap. II, alef, 53. 34 Ivi, cap. IV, alef, 65. 29 30 244 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE e al disprezzo altrui senza reagire; allo stesso modo l’uomo troppo parsimonioso deve sforzarsi di fare prestito e fare beneficienza più di quanto non sia necessario35. Colui che eccede nel cibo deve mangiare molto poco e chi indugia eccessivamente nei piaceri della carne deve praticare forme di astinenza temporanea36. Tali pratiche compensative, tuttavia, hanno una durata limitata e sono orientate a stabilire un equilibrio. Maimonide mette perciò in guardia dalla tentazione di tendere verso il polo opposto a quello chiaramente negativo, ritenendolo il fine della propria azione morale. Ecco cosa scrive, verosimilmente in polemica con i cristiani: «Qualcuno potrebbe dire: ‘Dal momento che l’invidia, la lussuria e tutti i vizi ad essi analoghi costituiscono comportamenti sbagliati e rovinano la vita umana, me ne terrò a molta distanza e mi rifugerò al polo che è loro opposto’. [Ciò significa vivere] senza mangiare carne e senza bere vino, senza sposarsi e senza abitare in una casa confortevole, e non vestirsi in modo elegante ma solo con tela di sacco e ruvida lana, o cose simili, come usano i monaci di Edom [ossia della cristianità]. Anche tale scelta è un comportamento sbagliato ed è proibito inoltrarsi in questa strada. Colui che la pratica è considerato un peccatore. […] Pertanto, i sapienti hanno raccomandato che l’uomo non si astenga se non da quelle cose che la Torà ci ha proibito: nessuno deve vietare a sé stesso, attraverso voti e giuramenti, quelle cose che la Torà ci ha permesso. […] In questa regola generale sono inclusi quanti praticano frequenti digiuni: costoro non seguono la via retta e buona. I maestri hanno vietato di mortificare sé stessi attraverso la pratica del digiuno. Su tutta questa materia e su casi analoghi, Salomone dice: ‘Non essere giusto all’eccesso né troppo saggio: perché vuoi rendere miserabile la tua esistenza?’» (Qohelet 7,16)37. Ivi, I, 3. L’attenzione all’alimentazione è ribadita nella Guida alla Salute, in Laras e Tedeschi, Maimonide, Un percorso verso il benessere, cit., (d’ora in avanti, Guida alla Salute), capp. 1, 6, p. 100. Sul tema cfr. anche: M. Zonta, Un interprete ebreo della filosofia di Galeno, Zamorani, Torino, 1995. 37 Ivi, III, 1. 35 36 245 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN Stesse considerazioni erano state espresse negli Otto Capitoli qualche decennio prima. Di fronte alle regole eccessive che l’uomo virtuoso si autoimpone, Maimonide aveva citato il Talmud, nono capitolo di Nedarim: «Rav Idi, a nome di Rabbi Izchak, diceva: non ti basta quello che già la Torah ti ha proibito, che vai proibendoti altre cose?»38. Solo per ragioni terapeutiche o per controbilanciare l’estremo opposto è legittimo abbandonare la via mediana. Ma si tratta di discostamenti temporanei e finalizzati a ritornare al giusto mezzo. Commentando il Salmo che recita «a chi prende la via diritta farò brillare la salvezza di Dio»39, Maimonide offre la seguente spiegazione: «Non leggere ‘chi prende’ ma ‘chi pondera’, e ponderazione significa misura e senso critico»40. La strada retta consiste dunque nella qualità intermedia che sta in mezzo ai comportamenti estremi che l’uomo può adottare. Si tratta di una qualità che si trova appunto equamente lontana dai due poli che si contrappongono, o almeno che non è vicina a nessuno dei due41. L’equilibrio presuppone anche regolarità: «Le abitudini e la regolarità rappresentano un principio fondamentale per il mantenimento della salute e la cura delle malattie»42. Maimonide sembra concedere la possibilità di eccesso di umiltà, predicata dagli zadikim, coloro che nella tradizione ebraica sono considerati particolarmente pii i santi. L’umiltà, tuttavia, è la sola virtù di cui è consentita la sovrabbondanza, che però non va generalizzata ma limitata soltanto ad una ristretta categoria di individui43. Otto Capitoli, IV. Sal, 50,23. 40 Otto Capitoli, IV. 41 Norme di vita morale, I, 4. 42 Guida alla Salute, cap. IV, 15,149. 43 Maimonide distingue fra il sapiente e il devoto. Si guardi al seguente passo delle Norme di Vita Morale: «Lo stesso criterio si applichi a tutte le altre disposizioni. Questa è la via dei maestri: chiunque coltivi queste disposizioni intermedie – che stanno nel giusto mezzo tra gli estremi – merita il nome di sapiente. 6 HE [5] Colui che è più esigente con sé stesso e si allontana un poco dall’atteggiamento intermedio, da un lato o dall’altro, merita il nome di chassid, di uomo devoto» (Devarim/Dt 28,9). 38 39 246 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE Il Maestro sembra infine risolvere la contraddizione fra l’etica delle inclinazioni, propria del mondo classico, e l’etica del dovere che invece è stata spesso al centro della tradizione ebraica44 aderendo alla tesi aristotelica che colloca la virtù nell’indole e nel carattere. Si fa, tuttavia, carico anche dell’opinione contraria presente nella tradizione rabbinica, secondo cui colui che è tentato dal male ma vi resiste è più grande di colui che non combatte alcuna battaglia. Con l’abilità propria del fine interprete della legge e dell’astuto giurista, Maimonide prova a conciliare le due distinte tradizioni spiegando che qualora la trasgressione riguardi le azioni ritenute malvagie dalla generalità degli uomini e le cui fonti normative risiedono nei cosiddetti mishpatim, quali ad esempio l’omicidio, il furto, il ricambiare il male verso i benefattori, allora sono le inclinazioni che contano. Sarebbe infatti contrario ad ogni logica ritenere virtuoso colui che riesce a frenare il proprio impulso omicida. Al contrario, quando il comportamento è richiesto non da precetti noti alla generalità degli uomini, ma attiene ai cosiddetti precetti «uditivi» o chukkim, e dunque riguarda azioni che se non fossero proibite dalla Torah non sarebbero malvagie, come ad esempio il divieto di mischiare latte e carne o di indossare vesti costituite da materiali diversi, allora vale esattamente il contrario. Più virtuoso è non colui che per indole (magari per gusto) aderisce al precetto, ma colui che pur essendo spinto dal desiderio di trasgredire, esercita un controllo su sé stesso. Risuona l’eco dell’insegnamento rabbinico secondo cui un uomo è tanto più grande di un altro, quanto più forte è in lui l’istinto45. È proprio per questo, spiega Maimonide, che l’uomo deve permettere a sé stesso di desiderare tali azioni e che non deve considerare altro motivo di impedimento, che non sia la Torah46. Questa spiegazione, distante anni luce dai tentativi J. Jacobs, Law, Reasons, and Morality in Medieval Jewish Philosophy, Saadia Gaon, Baya ibn Pakuds, and Moses Maimonides, Oxford University Press, Oxford and New York, 2011, pp. 155 e ss, pp. 186 e ss. 45 M. Halbertal, Maimonides. Life and Thoughts, cit., pp. 152-153; Otto Capitoli, cit., pp. 83-84. 46 Otto Capitoli, cit., p. 85. 44 247 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN di giustificazione della legge divina dei teologici cristiani medioevali, ci porta dunque a riflettere sul significato e la funzione della legge che in alcuni casi va obbedita solo perché così richiesto dalle Scritture. 4. Legge, ragione e limite Maimonide è un Maestro della tradizione prima ancora che un filosofo e le sue discussioni sulla legge non possono prescindere da questo dato. Non gli occorre spiegare la necessità della legge poiché gli basta partire dalla sua esistenza47. La legge è innanzitutto legge divina, data e rivelata agli uomini per volere di Dio, complessivamente chiara nel contenuto (a meno che Dio stesso non abbia utilizzato un linguaggio difficilmente accessibile ai più); e il ruolo degli uomini nel definirne i contorni ha al più natura interpretativa. A differenza della tradizione giusnaturalista medioevale che troverà la massima espressione in Tommaso d’Aquino, non esiste una reale distinzione fra la legge come concetto e la legge come atto di comando e come contenuto di tale atto. Se in Tommaso «la legge è una regola o una misura dell’agire in quanto uno viene spinto all’azione o viene stornato da essa» (I-II, 90,1), per Maimonide la legge non è un meccanismo per testare, e magari mettere alla prova, la ragione umana, né una norma generalissima (evita il male, e fai il bene), le cui espressioni concrete sono formulate dalla ragione umana e che comunque finirà con l’essere interiorizzata, ma il vincolo esterno che segna il limite stesso dell’uomo e allo stesso tempo ne definisce l’essenza. Se Tommaso parlerà di legge avendo in mente in prevalenza la legge uma- Scrive Leo Strauss: «a differenza della scolastica Cristiana, la filosofia giudaica medievale si sviluppò nel contesto di una rivelazione divina che assunse la forma della legge piuttosto che quella del dogma o della fede. Tale legge, come ogni lettore del Pentateuco può osservare, mira alla prescrizione e alla regolamentazione, fin nei minimi dettagli, della condotta e delle credenze di un’intera comunità», cfr. L. Strauss & J. Cropsey: Storia della filosofia politica, ll Melangolo, Milano 1993, p. 362; cfr. anche L. Strauss, Philosophy and Law. Contributions to the Understanding of Maimonides and His Precedessors, SUNY Press, Albany 1995. 47 248 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE na, per Maimonide la legge, spesso identificata con la parola Torah o Sharia, è innanzitutto di Dio ed è dunque tendenzialmente immutabile e inequivocabilmente dettata all’uomo dall’alto48. Sarebbe però scorretto ritenere Maimonide scettico sul ruolo della ragione umana. Nota è la polemica nei confronti del contemporaneo Yehuda HaLevì, il quale aveva sostenuto nell’HaKuzari la superiorità della fede rispetto alla ragione e aveva di conseguenza negato ogni possibilità di lettura allegorica della Torah. Ma Maimonide si spinge più in là. Ad esempio, si premura di riconoscere la razionalità alle prescrizioni divine perché altrimenti si dovrebbe presumere un Dio irrazionale e frivolo49. Nel tracciare una distinzione fra mishpatim, regole note all’universalità degli uomini, e chukkim, imposizioni vincolanti solo perché contenute nella Torah, Maimonide sembra concedere che alcune prescrizioni – i mishpatim appunto – esistono a prescindere dal comando divino cosicché, come dicevano i saggi, anche se non fossero state scritte, avrebbero comunque meritato di essere scritte50. Hermann Cohen, il quale individua in Maimonide l’iniziatore del razionalismo ebraico culminato nell’Haskalà (l’Illuminismo ebraico)51, ha proprio in mente il Maestro medioevale quando descrive l’ebraismo come la veritiera «religione della ragione»52. E in effetti la diffidenza di Maimonide nei confronti del misticismo e di quello che l’autore definiva l’eccesso della facoltà immaginativa è desumibile non solo dalle interpretazioni allegoriche che offre della creazione e della visione del carro di Ezechiele contenute nella Guida53, ma anche dai toni asciutti e vigili con cui descrive l’essenza del profetismo e l’avvento del Mes- F. Viola, Aquinas (Natural Law), in M. Sellers, S. Kirste (eds.), Encyclopedia of the Philosophy of Law and Social Philosophy, Springer, 2019. 49 Guida, III Parte, cap. XXVI, p. 610. 50 M. Maimonide, Otto Capitoli. La dottrina etica, a cura di G. Laras, Giuntina, Firenze 2001 (d’ora in avanti, “Gli Otto Capitoli”), cap. VI, p. 85; cfr. anche Talmud bab, Yomà 67b. 51 Abitbol, Histoire des juifs, cit., pp. 423 e ss. 52 H. Cohen, The Ethics of Maimonides, University of Wisconsin Press, 2019, p. 36. 53 Guida, Parte III, capp. 1-7, pp. 509-525. 48 249 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN sia54. Anche con riferimento ad Abramo, Maimonide segnala l’importanza dello studio e dell’insegnamento nel progresso spirituale del patriarca, ridimensionando al contrario il ruolo del miracolo e financo della rivelazione55. Come ricorda Laras, però, Maimonide è razionalista «solo in apparenza»56. Più volte nel corso dei suoi scritti prende le distanze dall’insegnamento dei Mutakallimum, e cioè dei filosofi/teologi che aderiscono alla scuola del Kalam islamico, secondo cui la legge può essere conosciuta indipendentemente dalla rivelazione57 e piuttosto segnala la limitatezza dell’intelletto umano a cui, con riferimento ad alcuni enti e cose, la percezione è preclusa58. E questo vale per la metafisica molto più che per la fisica e la matematica59. Maimonide attribuisce ad alcuni difetti caratteriali – morali, perfino – dell’uomo l’incapacità intellettiva. Ed ecco che ritorna il Maestro della legge e della moderazione a prevalere sul filosofo. L’errore nella speculazione è spesso il frutto dell’ambizione di primeggiare sugli altri60, ovvero è il risultato di una sorta di pigrizia mentale che ci induce a non mettere in discussione ciò a cui siamo abituati61; ma è il più delle volte la conseguenza di un eccesso di tracotanza che spinge a dimenticare i propri limiti. Facendo propria la metafora contenuta nei Proverbi62 che assimila il cibo alla conoscenza, Maimonide mette in guardia dall’ingordigia in entrambi campi: come l’eccesso di miele porta alla saturazione e perfino al vomito, così l’eccesso di studio e conoscenza produce l’effetto opposto a quello desiderato. Si deve dunque procedere verso la casa Ivi, II, cap. XXXII, p. 444. Laws concerning idolatry, 1:3; Halbertal, cit., p. 213. 56 G. Laras, Il pensiero filosofico di Mosè Maimonide, Carucci editore, Roma 1985, p. 24. 57 Guida, I, cap. LXXI, p. 251. 58 Ivi, Parte I, cap. XXXI, 44, 1, p. 136. 59 Ivi, 44,25, p. 138. 60 Ivi, 44,30, p. 138. 61 Ivi, 45,10, p. 138. 62 25,16: «Hai trovato miele? Mangiane quanto ne basta, altrimenti te ne ingozzerai e lo vomiterai». 54 55 250 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE di Dio guardando il proprio piede63, e dunque con atteggiamento di umiltà e moderazione. Ovvero, riprendendo l’insegnamento dei sapienti: «Non [si deve] cercare ciò che è troppo meraviglioso per te, e non studiare ciò che ti è coperto; studia ciò che ti è permesso e non occuparti di cose meravigliose»64. Naturalmente, avvisa Maimonide, la cautela nei confronti dell’eccesso di sapienza non può essere utilizzata come alibi per ostruire la porta alla speculazione, come spesso fanno gli ignoranti65, ma serve solo per ricordare il limite entro il quale l’intelletto umano deve fermarsi66. Si comprende dunque come il tema dell’obbedienza alla legge si intrecci al principio morale della moderazione. La legge, del cui contenuto talvolta si può speculare con la ragione, rimane tuttavia fondamentalmente lo strumento che ricorda all’uomo la sua natura limitata. Non è un principio di coordinazione delle azioni umane e si può speculare che se anche ci fosse un solo uomo sulla terra la legge rimarrebbe necessaria. Si spiega così l’importanza assegnata ai chukkim e alle regole la cui osservanza scandiscono la giornata dell’uomo morale: norme che quando rivolte solo al popolo ebraico stanno ad indicare che la scelta di Dio per il suo popolo, e dunque l’elezione, risulta in un aggravio di responsabilità per il beneficiario. Questo vale anche per l’utilizzo dell’intelletto. Come ci racconta Maimonide, fra i quattro saggi che discettavano dell’importanza della conoscenza, fu Rabbi Akiva il solo a entrare «in pace» nel Pardes, e a uscire «in pace», mentre gli altri Maestri sarebbero caduti nell’abiura o nella pazzia. E ciò è dovuto alla capacità di Rabbi Akiva a saper riconoscere i propri limiti. Non è un caso che Maimonide, anche dopo aver illustrato la differenza fra mishpatim e chukkim, insiste nel negare una gerarchia fra principi e norme a seconda della loro importanza. Anzi, l’idea fondamentale della 63 64 65 66 Ecclesiaste 4,17. Guida, Parte I, cap. XXXII, 47,1, p. 141. Guida, Parte I, cap. XXXII, 47,15, p. 141. Ibidem. 251 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN pari validità e status di ogni prescrizione della Torah e di ogni passaggio delle Scritture67 sembra indiscutibile. Parimenti, dopo aver riconosciuto l’universalità delle leggi noachidi, Maimonide si precipita ad aggiungere che i non ebrei che osservano le sette mitzwot che Dio ha comandato a Noè e ai suoi discendenti devono essere considerati me-chasidè umot ‘olam, e dunque ‘giusti fra le nazioni’, solo ad una condizione: e cioè solo e soltanto nella misura in cui accettino queste leggi perché sono state dettate da Dio e non perché conclusioni dell’intelletto (mipnè ha-kara‘ ha-de‘ot)68. Si comprende dunque l’invito alla moderazione e alla cautela rivolto anche a chi voglia comunque avventurarsi negli abissi della metafisica: «all’uomo è inaccessibile la mente di Dio, il modo in cui Dio conosce», perché «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le Mie vie, Is. 45,8»69. 5. La legge umana vale poco: caratteristiche della Legge e sue funzioni Nel capitolo 14 del Trattato sulla Logica (Millot ha-higgayon), Maimonide colloca all’interno della scienza della politica l’arte del governo sulle genti e sulle nazioni. Tuttavia, dopo aver menzionato i testi di filosofia politica del passato che illustravano le caratteristiche dei nomoi e la finalità del governo, conclude che questi insegnamenti sono inutili per gli ebrei, perché per costoro sono le leggi divine che guidano la condotta umana. Non ne deriva tuttavia la sostanziale inutilità della scienza po- Mishneh Torah, Hilkhoth Teshuvah 9: 1, consultabile online (in ebraico e in inglese): https://www.sefaria.org/Mishneh_Torah%2C_Repentance.9.1?lang=en&with=all&lang2=en. Per ed. it., cfr, M. Maimonide, Ritorno a Dio Norme sulla Teshuvà, a cura di R. Levi, Giuntina, Firenze 2004. 68 Hilkhot melakhim 8, 10-11, consultabile online (in ebraico e in inglese): https:// www.sefaria.org/Mishneh_Torah%2C_Repentance.9.1?lang=en&with=all&lang2=en. Per ed. it., cfr, M. Maimonide, Ritorno a Dio Norme sulla Teshuvà, a cura di R. Levi, Giuntina, Firenze 2004. 69 Omniscenza e libertà – Mishnè – Torà, Trattati sulla Penitenza, V, 5. 67 252 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE litica per il popolo di Israele, quanto piuttosto l’imperativo a leggere la Torah come il testo fondamentale sulla politica e sul diritto70. La Guida non è parca di indicazioni sulla funzione della legge. Ancora una volta riteniamo che l’interpretazione a cogliere nella legge un meccanismo di moderazione rimanga confermata anche nei passi contenuti nella Guida. La legge è preordinata a fare raggiungere sia il benessere dell’anima che il benessere del corpo71. Il benessere dell’anima presuppone la correttezza delle opinioni riguardo a Dio. Maimonide precisa che standard di conoscenza diversi sono richiesti al volgo e ai sapienti, perché l’acquisizione delle opinioni corrette è calibrata sulle capacità e possibilità di ciascuno72. Il benessere del corpo attiene invece a ciò che noi propriamente chiamiamo diritto. Spiega Maimonide che esso può essere raggiunto solo attraverso la correzione delle condizioni in cui gli uomini vivono gli uni con gli altri e più precisamente in due modi: con l’eliminazione dei torti reciproci, «ossia il fatto che ad ogni individuo non sia permesso di compiere la propria volontà o ciò a cui arriva la sua capacità, ma egli sia costretto a fare ciò che è utile per la comunità» e con «l’acquisizione da parte degli individui di costumi utili alla comunità, così che la città sia ordinata»73. Se però per Aristotele la partecipazione alla vita politica della comunità costituisce già una gratificazione in sé stessa, Maimonide spiega che il benessere del corpo precede solo cronologicamente ma non assiologicamente il benessere dell’anima74. Tutto è funzionale a questo secondo scopo perché «l’uomo non può concepire un intellegibile […], quando ha un dolore, o è molto affamato, o assetato, o accaldato o ha molto freddo»75. L. Strauss, Maimonides’ Statement On Political Science, in «Proceedings of the American Academy for Jewish Research», XXII (1953), pp. 115-130. 71 Guida, Parte III, cap. XXVII, p. 614. 72 Ivi, p. 614. 73 Ibidem. 74 Ivi, p. 615. 75 Ibidem. 70 253 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN Poiché Dio è il vero legislatore rimane poco spazio per la legge umana. La ragione fondamentale della legge umana discende «dalla complessità della specie dell’uomo, dove grandi sono le diversità fra i suoi individui, al punto che non trovi due […] che concordino per carattere, benché concordino nelle forme esteriori»76. Infatti, spiega Maimonide, data la diversità dei temperamenti umani, così che esistono persone violente e persone miti, persone pigre e persone attivissime, occorre un governante che controlli le azioni degli uomini, ne perfezioni le manchevolezze e ne riduca gli eccessi, e stabilisca azioni e costumi cui tutti gli uomini si attengano sempre secondo lo stesso uso, così che la loro naturale diversità resti celata dietro l’ampia concordia fissata dalla convenzione e la società risulti ben ordinata77. Perciò la legge umana, «anche se non è naturale, viene fatta rientrare fra le cose naturali». Essa è il frutto della sapienza divina, giacché Dio che ne ha voluto l’esistenza, «al fine della sopravvivenza di questa specie, ha dotato alcuni individui della capacità di governo»78. Basta leggere qualche rigo sotto quelli appena citati per rendersi conto, però, che il vero compito del legislatore è di recepire, attraverso la rivelazione e cioè «in visione o in sogno»79, la legge di Dio, perché «se non ci fosse un profeta, non ci sarebbe una Legge»80. Viene presentata infatti una distinzione fra tre tipi di legislatori. I primi si professano autori della legge ma si limitano a regolare i rapporti civili senza alcuna pretesa di imporre le giuste credenze. Su costoro Maimonide non spende che poche parole, ritenendoli probabilmente già incapaci di rivendi- Ivi, II, cap. XL, 468. Ivi, 468. Sul rapporto fra la filosofia di Maimonide ed il giusnaturalismo medioevale, cfr. J.E. David, Maimonides, Nature and Natural Law, in «Journal of Law, Philosophy and Culture», 1 voll., 1 (2010), pp. 67-82; cfr. anche M. Levine, The Role of Reason in the Ethics of Maimonides: Or, Why Maimonides Could Have Had a Doctrine of Natural Law Even if He Did Not, in «The Journal of Religious Ethics», 14(2) (1986), pp. 279-295. Sul tema cfr. anche: D. Novack, Natural Law in Judaism, Cambridge University Press, Cambridge 1998. 78 Guida, Parte II, cap. XL, p. 469. 79 Ivi, Parte II, cap. XLIV, p. 482. 80 Ivi, Parte III, cap. XLV, p. 690. 76 77 254 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE care autorità legittima proprio in virtù dell’origine esclusivamente umana della legge81. Gli altri invece si professano interpreti della parola di Dio, e dunque dettano leggi che ambiscono a regolare anche le credenze e non soltanto i rapporti esteriori. Per riconoscerne la legittimità occorre però verificarne l’autenticità e distinguere dunque falsi profeti dai profeti che lo sono davvero. Maimonide offre qualche indicazione per smascherare gli impostori. Costoro di solito si comportano da sbruffoni e non si sottraggono all’eccesso di piaceri della carne. Data la loro capacità manipolativa e dunque l’abilità ad ingannare la gente, la pena per i falsi profeti è la morte e la condanna va impartita con inflessibilità82. I veri profeti invece si distinguono per coraggio, divinazione e conoscenza immediata delle verità speculative senza necessità di conoscerne le premesse83 e soprattutto per capacità immaginativa. Si tratta di doti naturali che prescindono dal comportamento di chi le possiede e che non possono essere perfezionate ad esempio per mezzo di un regime medico84. Maimonide però precisa che esiste una profonda differenza fra Mosè e tutti gli altri profeti e che in effetti la sola ed unica legge, la Legge, è riconducibile a costui: infatti, «non c’è mai stata nessuna Legge e non ce ne sarà mai, eccezion fatta per una sola, ossia la Legge di ‘Mosè nostro maestro’»85. La profezia di coloro che hanno seguito Mosè è per così dire attenuata. Esistono vari gradi di profezia e non tutti i profeti riescono a raggiungere il grado più alto86. Tre sono le caratteristiche essenziali della legge rivelata dai profeti. La prima è la giustizia che però viene definita nei termini dell’equilibrio87, e cioè l’equidistanza dal difetto e dall’eccesso di virtù, poiché anche l’eccesso di rinunce è una trasgressione della legge, perché è scritto Ivi, Parte III, cap. XL, p. 470. Ivi, 471. 83 Ivi, Parte II, cap. XXXVIII, p. 462-463. 84 Ivi, Parte II, cap. XXXVI, p. 455. 85 Ivi, Parte II, cap. XXXIX, p. 465. Maimonide nega che i patriarchi possano essere assimilati ai profeti (ivi, p. 466). 86 Ivi, Parte II, cap. LXV, pp. 484-493. 87 Ivi, Parte II, cap. XXXIX, p. 467. 81 82 255 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN la Torah non è in cielo (Deut, 30,12). «Sta scritto infatti: ‘Prescrizioni e giudizi giusti’ (Deut. 4,8) – e tu sai che ‘giusti’ significa equilibrati»88. Non, dunque, atti di culto cerimoniosi ed eccessivi, come la vita da monaco, da anacoreta, e simili, né si tratta di lassismo che comporti il vizio e la rilassatezza, al punto da far venir meno la perfezione umana a livello etico e dianoetico, ma leggi di cui appare evidente «il loro equilibrio e la loro sapienza»89. Non si tratta di una legge che per il virtuoso è difficile da seguire, mentre il vizioso e prepotente sarà sempre recalcitrante. Ma la legge, che ha fra le sue finalità anche quella di regolare gli appetiti90 e di far sì che gli uomini acquisiscano gentilezza e docilità e riducano gli aspetti grossolani91, non è ritagliata sulle capacità dell’uomo malvagio ma sull’indole equilibrata dei temperanti, a cui non può essere chiesto troppo, perché il Signore non chiede a nessuno di diventare deserto per Israele (Ger. 2,31)92. L’intreccio di prescrizioni etiche, giuridiche ma anche igieniche e alimentari conferma il legame fra legge ed equilibrio. La seconda caratteristica della legge è la generalità. La legge infatti «non si occupa dei casi anormali, e non c’è legislazione che riguardi ciò che accade di rado»93, ma avendo come fine un’opinione, un costume o un’azione utile, la legge presta attenzione a ciò che avviene nella maggioranza dei casi, non alle cose che accadono di rado o al danno che un uomo solo può avere94. Da queste premesse discendono due conseguenze. La prima è che il fine della legge non è raggiunto perfettamente per ogni singolo individuo e anzi vi sono individui che «quel governo stabilito dalla Legge non porta a perfezione»95. La seconda è quella della sostanziale immutabilità della legge al variare delle condizioni e dei tempi. Se infatti 88 89 90 91 92 93 94 95 Ibidem. Ibidem. Ivi, Parte III, cap. XXXIII, p. 639. Ivi, 640. Ivi, Parte II, cap. XXXIX, p. 468. Ivi, Parte III, cap. XXXIV, p. 641. Ibidem. Ivi, p. 642. 256 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE si consentisse la modifica della legge la si esporrebbe al rischio di corruzione96 perché spetterebbe agli uomini questa opera di riadattamento97. La terza caratteristica stride in parte con le due precedenti ed è legata alla complessità della profezia. Poiché l’unica legge – e dunque l’unico sistema normativo – discende dai profeti, e poiché vi è una differenza sostanziale fra Mosè e i profeti che lo hanno seguito, la rivelazione della legge successiva a Mosè è priva di quella chiarezza che contraddistingue i 613 precetti contenuti nella Torah. I profeti, infatti, si esprimono attraverso allegorie e metafore e «la Legge parla una lingua di esagerazione (Talmud bavli, Hullin, 90a; Tamid 2a)»98. Questa situazione implica uno sforzo ricostruttivo nell’interprete che tuttavia deve tenersi alla larga da due rischi egualmente pericolosi: da un lato la tentazione di moltiplicare le interpretazioni dei testi, portando ad esasperazione un aspetto altrimenti proprio della tradizione talmudica, ed esporre dunque i fedeli all’incertezza, dall’altro la parimenti deprecabile tracotanza di sbarazzarsi di tutto il corpus interpretativo pregresso per ritornare semplicemente al testo, come avevano proposto i Caraiti. 6. Moderazione e interpretazione Il tema dell’interpretazione della legge sembra esulare dall’argomento che si è in prevalenza scelto di trattare in queste pagine, e cioè quello della relazione fra legge e moderazione. E tuttavia riteniamo che l’equidistanza tenuta da Maimonide dai due fondamentali eccessi dell’interprete, quello cioè di avvicinarsi al testo senza filtri e quello al contrario di attribuirsi un’ampia libertà interpretativa possa essere letta proprio attraverso la chiave qui proposta e cioè la diffidenza (se non lo sdegno) di Maimonide per l’eccesso. Per comprendere però la proposta maimonidea su come interpretare la legge è necessaria una breve digressione. 96 Ibidem. Sulla relazione fra l’equità di Aristotele e la generalità della Legge di Maimonide, cfr. H. Ben Menachem. 98 Guida, Parte II, cap. XLVII, p. 497. 97 257 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN Uno degli assunti fondamentali del pensiero rabbinico consiste nell’opinione che Dio abbia trasmesso al popolo di Israele sul Monte Sinai la Torah in una duplice forma99, scritta (Torah She Bi-ktav) e orale (Torah She’ Ba’al Peh). La Torah scritta coincide con i primi cinque libri della Bibbia, il Pentateuco. Per Torah orale si intende l’insieme di interpretazioni, decisioni halakiche e commenti omiletici, che furono tramandati per molte generazioni, fino a quando a causa dell’ellenizzazione forzata da parte di Adriano, non si decise di metterne per iscritto la parte normativa nella Mishnà. Questa opera di codificazione, redatta sotto la guida di Rabbi Yehuda HaNasi intorno al 217 e.v., non cessò tuttavia il travaglio interpretativo che seguitò nella Ghemarà. Si formò così il Talmud. Va precisato che nella cultura rabbinica la Torah orale non è una forzatura del testo, quanto il suo approfondimento100. L’intento di Maimonide che recepisce la distinzione fra Torah scritta e orale101 non è di certo quello di sbarazzarsi della tradizione rabbinica, quanto piuttosto di recuperare l’originaria sistematicità del corpus normativo ebraico seppure integrandovi le interpretazioni successive: da qui l’ambizione di redigere una seconda Mishnah, il Mishneh Torah102. J. Neusner, What, Exactly, Did the Rabbinic Sages Mean by “The Oral Law”, University of South Florida, Atlanta: Scholars press, 1998, p. 1. 100 Cfr. D. Banon, La lecture infinie les voies de l’interprétation midrachique, Seuil, Paris 1987; ed. it., La lettura infinita. Il midrash e le vie dell’interpretazione nella tradizione ebraica, Jaca Book, Milano 2009. 101 M. Maimonides, Introduction to the Mishneh Torah: «Le mitzvot che furono date a Mosè sul Monte Sinai furono tutte accompagnate da spiegazioni, così come implicito in Esodo 24, 12: «‘E io vi darò le tavole di pietra, la Torah e la mitzvah’. La Torah si riferisce alla Legge Scritta; la mitzvah alla sua spiegazione. […] La mitvah è la Legge Orale», (traduzione dall’inglese), consultabile online (in ebraico e in inglese): https://www.sefaria.org/Mishneh_Torah,_Transmission_of_the_Oral_Law (d’ora in avanti: «Introduction to the Mishneh Torah»). 102 Ecco come Maimonide spiega la finalità della sua opera: «Per ricapitolare: [l’intento di questo testo] è di non rendere necessario il ricorso ad altri con riguardo ad alcuna delle leggi ebraiche. Piuttosto, questo testo sarà una compilazione dell’intera Legge Orale», in Introduction to the Mishneh Torah, supra, nota 103. 99 258 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE Questa esigenza di sistematizzazione, che ha portato alcuni commentatori contemporanei ad accostare Maimonide a Napoleone, per l’avvio dell’opera di codificazione da quest’ultimo promossa103, è alla base della caratterizzazione del pensatore di Cordova come un interprete formalista, restio all’opera di adattamento equitativo delle prescrizioni di legge alle circostanze concrete, talvolta addirittura ottuso nelle conclusioni. A sostegno di una simile conclusione vengono citate non solo le osservazioni contenute nella Guida sulla generalità della legge, che per essenza mal si adatta al caso concreto, ma anche alcuni Responsa dove, ad esempio, si ribadisce il divieto di canzoni e musica, indipendentemente dalla natura di chi vi presta ascolto, che si tratti cioè di soggetti inclini a forti passioni ovvero uomini saggi capaci di autocontrollo104. Il commentatore E.S. Rosenthal parla al riguardo del prezzo della legge per il caso isolato e cioè del costo da sostenere per preservarne la generalità105; e sottolinea come l’inflessibilità interpretativa sia in fondo un riconoscimento che la legge non necessita di alcuna correzione106. Una volta giunto in Egitto Maimonide dovette far fronte alla forte eterogeneità che caratterizzava la comunità ebraica locale, e specialmente all’eterodossia caraita. Il movimento caraita misconosceva il carattere autoritativo della Torah orale107 e proponeva una lettura diretta del testo biblico. Nello scagliarsi contro l’eccesso di letteralismo, da una J. Taieb, From Maimonides to Napoleon: the True and the Normative, in «Global Jurist», 7 (2007), 1. 104 J. Blau et al. (a cura di), The Responsa of Maimonides, Machon Yerushalaym nd (2 ed.), Jerusalem 1986, pp. 186-188. 105 E.S. Rosenthal, For the Most Part (“Al Derekh haRov”), 1 (1968) «P’raqim» 183-224, Jerusalem; cfr. anche S. Rosenberg, And again about ‘For the Most Part’, in «Spiritual Leadership in Israel», E. Belfer, E. (Ed.), Tel Aviv 1982, (in Hebrew), pp. 103-187, pp. 300-303. 106 E.S. Rosenthal, “Gleanings of P’raqim I” (1969-74) 2 «P’raqim» 381-383; contra H. Ben Manhem, The Second Canonization of the Talmud, in «Cardozo Law Review», 28, 1 (2006), pp. 37-51; cfr. anche S. Ettinger, Halacha and Law, in ebraico, Modan, Moshav Ben-Shemen 2014, p. 123. 107 M-R Hayoun, Maïmonide, cit., pp. 98-100. 103 259 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN parte, e contro un eccesso o una erronea comprensione dell’ermeneutica, dall’altra, Maimonide sembra sollecitare anche nell’ambito ermeneutico-halakico l’individuazione di una sorta di via mediana o punto di equilibrio108. Su queste basi siamo in grado di cogliere alcuni tratti della posizione di Maimonide in ambito meta-halakico. Come ricorda Halbertal l’interpretazione viene anzitutto intesa dal Rambam in guisa di deduzione109. Maimonide si rifà alla distinzione, propria alla Tradizione tra i precetti (mizvot) de’oraità, provenienti dalla Torah, e quelli de’rabbanan, la cui origine è da individuare nelle deliberazioni rabbiniche110. Il primo gruppo si costituisce a partire da un nucleo auto-evidente, non soggetto a disputa o divergenza di opinione111. A partire dal secondo, viceversa, si potranno insinuare divergenze di opinioni (mahlokhot). Maimonide mette così capo a una delle pagine più intense della riflessione ebraica medievale in tema di ermeneutica e filosofia dell’Halakhà, sebbene gli argomenti addotti e le conclusioni cui giunse il Rambam furono lungi dall’essere accolte in modo trasversale all’interno del mondo ebraico. Maimonide, dunque, traccia una linea di demarcazione tra la componente dell’Halakhà proveniente o direttamente o per deduzione dalla rivelazione sinaitica rispetto a quel materiale halakico che consiste nelle deliberazioni rabbiniche prese a maggioranza e che inserisce un certo livello di frattura rispetto alla diretta provenienza profetica112. L’opera di codificazione di Maimonide, restituita nel Mishné Torah, lungi dall’essere una negazione della Torah Orale è una conferma del suo Sul tema del limite ermeneutico: U. Volli, Reasonable, Ruled, Responsible, in «Int J Semiot Law», 33 (2020), pp. 951-968; anche R. Scialom, Anthologie de droit hébraïque – sources et codification, Edition la mémorie du droit, Paris 2017. 109 Cfr, M., Halbertal, Maimonides. Life and Thought, cit., p. 122. Cfr. anche F. Manns, Leggere la Mishnà, Paideia, Brescia 1987, pp. 105-108. 110 Halbertal, Maimonides. Life and Thought, cit., pp. 116-117. 111 Ivi, p. 126. 112 Cfr. Halbertal, cit., p. 106; cfr. anche N.S. Hecht e S. Wosner, Controversy and Dialogue in the Jewish Tradition, Routledge, London 2005. 108 260 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE valore. Se Yehuda HaNassi sentì l’esigenza di porre per iscritto la tradizione orale di fronte alla dispersione spirituale (e quindi normativa) del popolo ebraico sotto i colpi dell’oppressione romana, Maimonide esperisce la medesima esigenza di fronte al rischio del letteralismo propugnato dai caraiti, da una parte, e al rischio, rappresentato dal potere halakico detenuto dai Gheonim, ultima generazione degli esponenti delle accademie talmudiche orientali, di uno scollamento eccessivo tra sapere giurisprudenziale e condizioni materiali di vita delle masse ebraiche, dall’altra. 7. Maimonide, filosofo della legge Maimonide è un filosofo della legge. Il suo tentativo di comprendere i gradi della normatività parte dalla spiegazione delle singole norme (dall’omicidio, alle regole sulla custodia della cosa altrui, alle norme sul levirato, alle prescrizioni rituali, e così via)113, procede attraverso la sistematizzazione del corpus halakhico proveniente dalla tradizione114, si addentra nella distinzione fra prescrizioni (halakhot) e racconti (aggadoth)115 e man mano si eleva sulle vette della speculazione teorica. Da uomo religioso del medioevo, Maimonide concepisce il sistema normativo all’interno di un ordine metafisico, la cui comprensione intellettiva è il fine ultimo dell’uomo devoto. Nella metafora del castello in cui l’umanità viene descritta in relazione alla posizione che tiene rispetto al palazzo del re (alcuni stanno proprio fuori le mura, altri, benché all’interno, vi voltano le spalle, altri si aggirano nei corridoi, ma solo pochissimi possono avvicinarsi al cospetto del re), Maimonide colloca i giuristi, coloro che «credono in opinioni corrette per tradizione e studiano il diritto relativo alle pratiche di culto»116 ma che non hanno familiarità con la speculazione intorno ai principi re- Scrive Maimonide: «Ho diviso i precetti, a seconda del loro scopo, in quattordici gruppi», Guida, Parte III, cap. XXXV, p. 642. Poi Maimonide passa a commentare i precetti di ogni singolo gruppo, Guida, Parte III, capp. XXXV-XL, pp. 642-732. 114 Questo è l’obiettivo principale del Mishneh Torah, cfr. nota 103. 115 Guida, Parte III, cap. L, p. 732. 116 Ivi, Parte III, cap. LI, p. 739. 113 261 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN ligiosi, fra coloro che hanno raggiunto la casa e ci girano intorno117. Solo «chi ha raggiunto la dimostrazione di tutto ciò che si può dimostrare, e ha accertato le questioni metafisiche»118, nella misura del possibile, è riuscito a stare con il re; perché perfino i sapienti, coloro che si sono immersi nello studio ma non hanno percepito Dio con l’intelletto, sono rimasti nelle anticamere. Pochissimi hanno accesso alla stanza del re. Maimonide menziona Mosè, i patriarchi e qualche profeta. Rimanendo fedeli a quanto anticipato in premessa ci asterremo dal tentativo di trovare una conciliazione fra il Maimonide teologo e il Maestro della legge così come non prenderemo parte alla disputa fra coloro che ritengono che il Ramban riconosca preminenza alle virtù dianoetiche119 e coloro che al contrario vi leggono un esclusivo tributo alle virtù etiche120. Non possiamo però esimerci, nelle conclusioni, dal segnalare che i due temi che si è deciso di trattare, la legge e la moderazione, temi naturalmente intrecciati, non hanno un rilievo puramente morale. Come i comanda- 117 Ibidem. Ibidem. 119 Soprattutto nella parte finale della Guida (Guida, Parte III, cap. LIV, pp. 754761) Maimonide sembra lasciare la titubanza con cui ha in precedenza trattato il tema della conoscenza di Dio attraverso l’intelletto (Omniscenza e libertà – Mishnè – Torà, Trattati sulla Penitenza, V, 5) e afferma che la vera perfezione umana consiste «nel conseguimento delle virtù dianoetiche, ossia il fatto di concepire degli intelligibili che insegnano opinioni corrette in materia di metafisica» (Guida, Parte III, cap. LIV, p. 758). Se prima lo avevamo sentito invocare Isaia che ammoniva a non provare neanche a seguire le vie del Signore, perché «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le Mie vie, Is. 45, 8» (Omniscenza e libertà – Mishnè – Torà, Trattati sulla Penitenza, V, 5.), nella parte finale della Guida lo vediamo riportare il verso di Geremia ed il suo monito a conoscere Dio perché «chi si vanta, può vantarsi solo di questo: comprendrMi e conoscerMi (Ger. 9, 22-23)» (Guida, Parte III, cap. LIV, p. 7). 120 Leo Strauss, ad esempio, suggerisce che della Guida vanno date due letture: una essoterica, prevalentemente etica, destinata ai più, una esoterica, che culmina con l’insegnamento dell’amore di Dio che risulta dalla conoscenza intellettiva. L. Strauss, The Philosophic Foundation of Law: Maimonides’ Doctrine of Prophecy and Its Sources, in K.H. Green, Leo Strauss on Maimonides: The Complete Writings, The University of Chicago Press, Chicago and London 2013, pp. 223-274. 118 262 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE menti dati sul Sinai hanno natura costitutiva del popolo di Israele, così i precetti, da quello apparentemente più insignificante che regola l’innesto fra piante diverse ai doveri nei confronti di Dio, stanno ad indicare che la natura più profonda dell’essere umano, quella che distingue l’uomo dal resto della natura, è la responsabilità per le azioni compiute o omesse. La filosofia del diritto ebraica, almeno quella riconducibile a Maimonide, ma di cui si avvertono echi anche oggi, non ammette un’umanità senza legge, magari perché resa superflua dalla grazia, dalla ragione o dall’avvento del Messia. Maimonide è categorico sul punto: la venuta del Messia non sovvertirà l’ordine naturale, e la legge non sarà superata da una seconda legge, né la legge si dissolverà perché interiorizzata dall’uomo nuovo, né le inclinazioni dell’uomo diventeranno mai così stabili da rendere la legge ultronea. Diventa chiaro dunque il rapporto fra legge, moderazione e inclinazioni. La legge, strumento di regolazione dell’animo umano e di controllo degli appetiti prima ancora che dei rapporti fra uomini121, destinata a durare in eterno, è ciò che tiene in vita l’uomo. L’attenzione agli aspetti più spigolosi del proprio carattere, il tenersi a distanza dall’eccesso, l’esercizio nella moderazione e nell’umiltà non vanno affatto intesi come pratiche prodromiche a fare a meno della legge. Siamo distanti anni luce sia dall’aretè aristotelica, che dal giusnaturalismo moderno che opererà un’inversione fra diritti e legge. «Quando un uomo arriva al Giudizio (universale), gli si dice anzitutto: ‘Hai compiuto con regolarità lo studio della Legge? Hai studiato con cura la sapienza? Hai dedotto una cosa dall’altra?’ (bShabbat, 31a)»122. La virtù dianoetica non può essere concepita se non con riferimento all’etica. Gli attributi di Dio che l’intelletto umano può arrivare a conoscere sono infatti attributi d’azione: «‘grazia’ (chesed), ‘giudizio’ (mishpat) e ‘giustizia’ (zedaqah)»123. Guida, Parte III, cap. XXXIII, p. 639. Ivi, Parte III, cap. LIV, 756. 123 Ivi, Parte III, cap. LIII, p. 752. 121 122 263 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN Leggendo la descrizione che Maimonide fa dei tre attributi diventa chiaro che la differenza fra virtù etiche e virtù dianoetiche non coincide con la distinzione fra moralità e conoscenza, ma che piuttosto richiama l’antica distinzione fra due forme di giustizia, una che potrebbe essere definita particolare in ossequio alla tradizione aristotelica e dunque sostanzialmente riferita al rapporto fra sé e gli altri individui (dare a ciascuno ciò che gli spetta, dice Maimonide), e l’altra che invece riguarda la giustizia assoluta, quella che riguarda il perfezionamento dell’anima e che sembra in parte evocare la giustizia di Platone. Maimonide è ancora più esplicito sul punto: «Abbiamo già spiegato a proposito della negazione degli attributi, che ogni attributo è un attributo d’azione»124. E poi poco più avanti: «La Torah si serve espressamente di questi tre termini: ‘Il Giudice di tutta la terra (Gen. 18,25); Giusto e retto Egli è’ (Deut. 32,4); ‘È ricco di grazia’ (Es. 34,6)»125. Così il Rambam, dopo un lungo percorso speculativo che sembrava privilegiare l’intellettualismo scisso dal mondo reale, sembra ritornare alle qualità etiche fatte proprie dalla Torah126. Si coglie, con Levinas, come l’etica non sia il «corollaire de la vision de Dieu, elle est cette vision meme»127. Etica e sommo Bene, non difformemente dal passaggio in Lévinas dall’ordinazione etica a quella giuridica128, chiedono nello stesso tempo di emancipare l’uomo dalla mera contingenza e di farsi legge, misura e limi- Ivi, Parte III, cap. LIII, p. 754; i passi a cui il pensatore fa riferimento sono contenuti nella Parte Im capp. 53 e 54, pp. 197 e 199. 125 Ivi, Parte III, cap. LIII, p. 754. 126 M-R Hayoun, Maïmonide, cit., p. 11. 127 E. Levinas, Une religion d’adultes, in Difficile liberté, Ablin Michel, Paris 19631976, p. 37. 128 A cui, nel lessico di Levinas, corrispondono rispettivamente le nozioni di metafisica e ontologia. Cfr. Autrement qu’être ou au-delà de l’essence, Nijhoff, La Haye 1974. In quest’opera, rispetto all’associazione di «etica» e «giustizia» che era propria a Totalité et infini (essai sur l’extériorité), M. Nijhoff, The Hague 1961, la prima rimanda all’ordinazione infinita, che eleva l’uomo ma al contempo quasi lo minaccia, la seconda – che della prima è al contempo “traduzione” e “tradimento” – rimanda al momento giuridico, dove avviene la «comparazione degli incomparabili», dove l’obbligazione trova una misura e, in un certo senso, un limite. 124 264 LEGGE E GIUSTO MEZZO: LA FILOSOFIA DEL DIRITTO DI MOSÈ MAIMONIDE te, così ricongiungendosi all’aristotelica via media. D’altronde è proprio Levinas, nella sua Lecon talmudique129, a individuare nel diritto ebraico la doppia cifra del limite: limite alle pulsioni attraverso le prescrizioni, da una parte130, e limite – attraverso le prescrizioni e le correlate sanzioni – a un giudizio morale che, di per sé, sarebbe altrimenti insostenibile131. La conoscenza di Dio è dunque la conoscenza delle Sue vie: «‘Fammi conoscere le Tue vie’ (Es. 33,13)». Ritorna dunque il filosofo della legge che, pur riconoscendo il ruolo della ragione umana nell’avvicinarsi a Dio, sa tuttavia che esiste un abisso fra ciò che si potrebbe conoscere e l’intelletto. La Torah è infatti ‘sulla Terra’ (Ger. 2,23)132 e la perfezione umana è calibrata sulle capacità di ciascuno133. «Tu conosci il divieto posto dai sapienti di ‘camminare con un portamento eretto perché “tutta la terra è piena della Sua gloria (Ger. 23,24)” (bNedarim 20a-b)’: tutto questo serve a ribadire ciò che ti ho detto, ossia che noi siamo sempre alla presenza di Dio e camminiamo di fronte alla Sua presenza»134. Poiché Dio è in cielo e tu sei sulla terra; «per questo le tue parole siano poche (Eccl. 5,11)»135. La conoscenza, dunque, lungi dall’essere motivo di orgoglio o ragione di tracotanza ricorda ancora di più all’uomo la sua condizione di soggezione e di dipendenza da un ordine superiore: un ordine intessuto di leggi di varia natura, da quelle che regolano i rituali, alle norme igienico alimentari, alle norme di diritto civile e penale fino ai comandamenti relativi all’esistenza di Dio e ai suoi attributi. Si tratta di un ordine eterno, sostanzialmente immutabile, destinato a persistere anche dopo E. Levinas, Lecon talmudique. Sur la justice, in «Cahier de l’herne», Edition de l’Herne, Paris 1991, pp. 120-133. 130 In riferimento ai comandamenti negativi (divieti) Levinas individua una “limitation” alle pulsioni («de la sauvage vitalité de la vie»), simbolizzata dalla circoncisione («quelque chose que la ciconcision symboliserait»); un limite che non è offesa alla vita ma «limitation par laquelle la vie s’eveille», si ridesta; Levinas, Lecon talmudique, cit. 131 Levinas, Lecon talmudique, cit. 132 Ivi, p. 760. 133 Ivi, p. 761. 134 Guida, Parte III, LV, p. 751. 135 Ibidem. 129 265 LUCIA CORSO, COSIMO NICOLINI COEN l’avvento del Messia, perché non ci si deve aspettare che si verificheranno miracoli, meraviglie e che l’ordine naturale verrà sovvertito, i morti resuscitati e altri simili eventi136. Il punto centrale è questo: «La Torah, le sue norme e le sue leggi, sono destinate a durare per sempre»137. La sapienza progredisce solo a condizione che si rimanga fedeli al monito sulla moderazione, perché «le vere parole di Torah non si trovano negli arroganti e nel cuore dei superbi bensì negli umili e nei modesti, nell’uomo che si impolvera con la terra sollevata dai piedi dei sapienti, che allontana dal cuore ingordigia e piaceri futili, che svolge ogni giorno un lavoro bastante a guadagnare quel poco che serve per soddisfare le proprie necessità […] e passa il resto del giorno e della notte ad occuparsi di Torah»138. L’ideale classico del giusto mezzo, dunque, che di certo non escludeva la legittimità di passioni accese come l’indignazione, la curiosità e il coraggio, viene reinterpretato in chiave ebraica attraverso una dimensione molto più sobria: in quanto «La saggezza è presso coloro che sono discreti (Proverbi 11,2)»139. Sia ben lontani dall’idea che la virtù possa essere acquisita una volta e per tutte, perché la natura morale dell’ebreo, ma dell’essere umano in genere, si manifesta nello sforzo e nella sottomissione. Allo stesso modo va rimarcata la differenza con la filosofia cristiana medioevale. Se la Scolastica cristiana, ammettendo la possibilità che la legge possa essere interiorizzata, aprirà gradualmente le porte al giusnaturalismo moderno e alla centralità dei diritti, nella tradizione ebraica, almeno quella che fa capo a Maimonide, rimarrà più o meno inalterata, salvo rare eccezioni, l’opinione del primato del dovere sui diritti, e della moderazione/modestia sull’eccellenza. Mishneh Torah, The Laws Concerning Kings and Wars Melachim uMilchamot (trad. By E. Touger), § 11, 3, consultabile online (in ebraico e in inglese) su: https:// www.sefaria.org/Mishneh_Torah%2C_Kings_and_Wars.11.3?lang=en. 137 Ibidem. 138 M. Maimonide, Norme sullo studio [Hilkhot talmud Torà], Rav. R. Colombo (a cura di), Giuntina, Firenze 2020, §§ 3, 9, p. 34. 139 Ivi, §§ 3, 12, p. 36. 136 266