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Le tesi 125 126 Empatia e consonanza intenzionale Irene Giannì Riassunto Concetto di origine estetica, nel corso del Novecento l’empatia conosce uno sviluppo filosofico e psicologico, sulla base degli studi del filosofo tedesco Edmund Husserl, per il quale empatia – Einfühlung definisce una forma di comprensione intenzionale degli stati d’animo altrui, sulla base di un processo di riconoscimento che affonda la sue radici nel corpo vivo proprio del soggetto senziente. Lungi dall’essere una mera forma di imitazione o immedesimazione, l’empatia è una comprehensio con la quale, secondo Husserl, si può spiegare la possibilità del passaggio dall’immanenza dell’ego alla trascendenza dell’altro, pervenendo alla costituzione dell’intersoggettività quale vero e proprio a priori del consorzio umano. Centrale è nella definizione della natura empatica dell’intersoggettività, il concetto stesso di intenzionalità che pone la possibilità logica di concepire l’alterità del mondo e dei soggetti in maniera costitutiva e attuale. Nelle analisi della filosofia contemporanea (dalla teoria della mente, alla neurofenomenologia, alle neuroscienze in generale) il concetto di empatia rivive sottoforma del “problema dell’altro”, ovvero della possibilità della conoscenza dell’esperienza psichica altrui. In particolar modo, il confronto tra la fenomenologia husserliana, da un lato, e le neuroscienze, dall’altro lato, avviene nell’ambito di quel meccanismo di “risonanza o consonanza intenzionale” messo in evidenza da Vittorio Gallese, in base alla definizione della funzione dei neuroni con proprietà specchio, ovvero neuroni che sembrano rispondere selettivamente ad atti motori e non a singoli movimenti, sicché l’azione non appare come il frutto di un movimento spontaneo ed isolato, ma il risultato di una serie coerente di movimenti che si completano e realizzano in un atto finalizzato, in un atto, con espressione husserliana, allo stesso tempo intenzionale ed intenzionato. Parole chiave: Husserl, empatia, neuroni specchio PSYCHOFENIA - ANNO XIV - N. 24/2011 LE TESI I. Giannì Abstract The empathy is an idea that has an aesthetical origin and it has a philosophical and psychological development in the twentieth-century, beginning from studies of german philosopher Edmund Husserl. Husserl defines empathy – Einfühlung as a form of intentional understandig about states of mind of the Others, that starts from process of acknowledgement and this acknowledgement starts from the own human living body of a sentient subject. This idea is not very far from being a simple form to imitate someone or to identify oneself with someone’s state of mind, empathy is a form of comprehension that, according to Husserl, may explain the way from immanence of the ego to transcendence of the alter, so that it succeedes in forming of intersubjectivity such as a priori of human society. In the definition of empathic’s nature of intersubjectivity, the concept of intentionality plays the leading role, because the intentionality gives the logical possibility to understand the world and the subjects and their being someone else’s constitutively and actually. In the analyses of the contemporary philosophy (from theory of mind, to neurophenomenology, to generally neurosciences) the idea of empathy is reproposed disguised as “Others’ question”, that is understanding mental experiences of the Others. In particular, the comparison between the phenomenology of Husserl, on the one hand, and the neurosciences, on the other hand, takes place in the sphere of the “intentional resonance or consonance”, that Vittorio Gallese has showed from functional definition point of view of neuron-mirrors. Neuron-mirrors seem to respond so selectively to motor acts and not to single movements, so that action doesn’t seem an effect of spontaneous and isolated movement, but it seems the result of a coherent series of movements, those complete themselves and are realized in an act aimed, in an act, with Husserl’s expression, at the same time intentional and “intentionated”. Key words: Husserl, empahy, mirror neurons Résumé Au XXème siècle, l’empathie – concept d’origine esthétique – a connu un incontestable développement philosophique et psychologique à partir des études du philosophe allemand Edmund Husserl, selon lequel l’empathie-Einfülung décrit une forme de compréhension intentionnelle des états d’âme d’autrui, sur la base d’un processus d’identification qui repère ses racines dans le corps vivant du sujet sentant. Ce concept n’est point une simple forme d’imitation ou d’identification; l’empathie est, en effet, une comprehensio, grâce à laquelle, selon Husserl, on peut 128 Empatia e consonanza intenzionale expliquer le passage de l’immanence de l’ego à la transcendance de l’autrui, en obtenant la constitution de l’intersubjectivité, en tant que véritable a priori de la société humaine. Dans la définition de la nature empathique de l’intersubjectivité est centrale le concept d’intentionnalité qui donne la possibilité logique de concevoir l’altérité du monde et des sujets comme constitutive et actuelle. Dans les analyses de la philosophie contemporaine (de la théorie de l’esprit à la neurophénoménologie aux neurosciences en général) le concept d’empathie devient le «problème de l’autrui», c’est-à-dire la possibilité de la connaissance de l’expérience psychique d’autrui. En particulier, la comparaison entre la phénoménologie husserlienne et les neurosciences se constitue dans le domaine du mécanisme de «résonance ou consonance intentionnelle» qui a été soulignée par Vittorio Gallese, à partir de la définition de la fonction des neurones miroir, c’est-à-dire des neurones qui semblent répondre sélectivement aux actes moteurs et pas aux mouvements particuliers; c’est ainsi, donc, que l’action ne se présente pas comme le résultat d’un mouvement spontané et isolé, mais comme le résultat d’une série cohérente de mouvements qui se complètent et se réalisent dans un acte finalisé, dans un acte – selon Husserl – qui est, au même temps, intentionnel et intentionné. Mots-clés: empathie, Husserl, neurons-mirror • Empatia come intersoggettività: dall’intenzionalità ai neuroni specchio Termine oggi molto in uso, riproposto quasi in ogni contesto a significare uno specifico legame propriamente umano che dovrebbe unire soggetti diversi, colti nella loro interazione, il termine empatia viene definito nel dizionario della lingua italiana, tanto da un punto di vista psicologico, quanto da un punto di vista artistico. Nella prima accezione esso indicherebbe «il fenomeno per cui un individuo comprende in modo immediato i pensieri e gli stati d’animo di un’altra persona, ma senza particolare partecipazione emotiva» (Sabatino, & Coletti, 1992, p. 845), differenziandosi, in questo senso, dal coinvolgimento simpatico. Nella seconda accezione il termine empatia significherebbe il «coinvolgimento emotivo del fruitore nell’opera». 129 LE TESI I. Giannì Composto a partire dal calco del tedesco Einfühlung, sulla base del modello linguistico greco en-patia (en pavo~), il termine entra ufficialmente nel vocabolario italiano a partire dal 1968. Al 1965 risale, infatti, la pubblicazione in Italia dell’opera sulle Ideen di Edmund Husserl, tradotta in italiano e curata in questa edizione da Giulio Alliney ed Enrico Filippini. Nelle sue Ideen il filosofo tedesco affronta il problema della definizione di quella forma di comprensione emotiva che, nel testo italiano, viene resa con il termine entropatia, poi in curatele ed edizioni successive, modificato un po’ dovunque in empatia, per correggere la possibile interpretazione “introspettiva” del termine. Il termine entropatia, però, traduce più esattamente non solo il significato del termine tedesco da un punto di vista letterario, ma anche il senso da un punto di vista più complessivamente filosofico e psicologico, dando ragione di un lungo processo semantico che dalle mere analisi herderiane degli inizi dell’Ottocento giunge sino al dibattito fenomenologico del Novecento. Ma se nell’interpretazione herderiana di un sensorio comune soggiace il dibattito sulla via sensoriale alla conoscenza del Settecento e la considerazione di «uno sfondo multisensoriale» (Mazzeo, 2005, p. 56) di interconnessione organismo-ambiente ancora fortemente legato alla visone romantica della natura come organismo vivente (Nicoletti, 1986, pp. 21-50), nel dibattito fenomenologico del Novecento il concetto dell’empatia si sgancia dal terreno estetico sul quale l’aveva confinata, come ben sottolinea Nicoletti, l’interpretazione hegeliana della natura come mero luogo di esercizio dell’azione dello Spirito Assoluto. Non potendo in questa sede approfondire le diverse analisi dei singoli autori, appare sufficiente, nel dare un’idea significativa della questione, sottolineare come il dibattito essenzialmente verta sulla considerazione se l’empatia debba essere considerata come una forma di immedesimazione o come una diversa forma di condivisione e/o comprensione degli stati d’animo altrui. L’esito è di fondamentale importanza, poiché ciò su cui si è chiamati a dibattere è la difesa della soggettività, nella sua ori130 Empatia e consonanza intenzionale ginarietà, schiacciata nel primo caso su quella altrui (là dove il soggetto prende il posto dell’altro), salvaguardata nel secondo caso dal riferimento ad una dimensione comunitaria, ovvero intersoggettiva. A favore della seconda interpretazione, del resto, interviene in maniera significativa l’analisi linguistica. Il termine tedesco Einfühlung, infatti, rimanda al verbo ein-fühlen che significa propriamente sentir-dentro. Ma come poter definire questo ein, questo dentro, senza incorrere nella traslitterazione dell’immedesimarsi? In realtà è l’origine e la storia stessa del termine che dovrebbe fugare questo esito. Il verbo tedesco, infatti, nella sua radice medievale vüelen, o tardo medievale fuolen, così come in quella tardo inglese f lan, o tardo nordica falma deriverebbe dal greco pse-laphao- (Seebold, 2002, p. 320) (yhlajfavw), ovvero tastare, palpare1. In questo caso, originariamente l’ogget- 1 Occorre precisare che il verbo assume un significato metaforico quando è in costruzione nelle espressioni cersi; yhlafovwn, ovvero andando a tentoni/ brancolando con le mani, e yhlafovwn ejn skovtei, ovvero brancolando nel buio. In questo senso, rispetto al mero significato letterario, l’interpretazione proposta da Michele Bracco, in base alla quale l’empatia sarebbe «un tipo di conoscenza per la quale l’individuo che empatizza è come se si muovesse alla cieca verso l’enigma della coscienza altrui» (cfr. M. Bracco, Empatia e neuroni specchio. Una riflessione fenomenologica ed etica, «Comprende» 15, 2005, pp. 33-52, la cit. è a p. 40) si allontana prospetticamente dal “qui ed ora” dell’atto empatico, sottolineando, al contrario, la distanza abissale tra l’io e l’altro. Dubbioso circa le conseguenze etiche del riduzionismo biologico che si celerebbe dietro la spiegazione neuronale (neuroni-mirrors) della possibilità della comprensione empatica dell’altro, Bracco si chiede fin dove ci si possa spingere nel decidere «se la presenza dei neuroni specchio all’interno di un cervello possa o meno influenzare la capacità di riconoscere e di entrare in sintonia con i vissuti altrui, e se ciò costituisca moralmente o giuridicamente un’aggravante o un’attenuante innanzi alla scelta tra un’azione buona ed un’azione malvagia, [se ciò in definitiva] è qualcosa che finisce per legare la responsabilità alla instabilità del sentimento e addirittura alla conformazione fisiologica di un sistema nervoso» (Id., cit., p. 48). Nel porsi questo interrogativo, Bracco non può non sottolineare l’aspetto abissale, oscuro ed ignoto della possibilità della comprensione della coscienza altrui, facendo esplicito riferimento al significato metaforico del verbo greco. In realtà, è possibile risolvere il problema partendo dal significato letterario del verbo greco, se- 131 LE TESI I. Giannì to d’azione è esterno al soggetto, ed esternamente influisce su quest’ultimo: ovvero, il significato non appare rimandare all’esito di una mera riflessione interna. Specificare il significato dei termini appare in questa sede funzionale al senso di un percorso, che nella sua formulazione fenomenologica, si propone di analizzare il passaggio dalla percezione esterna all’appercezione empatica, distinta ad ogni modo da una mera percezione interna. Da questo punto di vista non apparirà privo di una ragione d’essere il fatto che nell’analisi husserliana un ruolo di primo piano spetti al tatto quale senso, che nella sua caratteristica reversibilità, abita l’intero corpo. Qual è, dunque, la relazione tra l’originario significato del verbo greco yhlajfajw ed il significato dell’Einfühlung husserliana? Edmond Husserl riprende il concetto di empatia nell’ambito delle sue ricerche fenomenologiche sul processo di costituzione della natura materiale, della natura animale e del mondo spirituale, raccolte nell’opera sulle Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica. Molti appunti su questo tema, la maggior parte non ancora tradotti in italiano, sono inoltre contenuti nei volumi della collana husserliana. Il concetto dell’empatia è poi al centro dello scritto dell’allieva Edith Stein. Ma colui che diede fortuna al termine fu il filosofo e psicologo Theodor Lipps (1851-1914). Fu da Lipps, infatti, che Edmund Husserl mutuò il termine, ma non il concetto, che relegava l’empatia nella mera analisi della coscienza interna, cioè quale semplice forma di introiezione. In Lipps, infatti, empatia indicava la natura dell’esperienza estetica e valutava la sua possibile correlazione alla comprensione fra persone unicamente come imitazione o proiezione guendone le tracce “percettive” nel percorso proposto da Husserl, per giungere poi a quello proposto dalla recente lezione della neurofenomenologia, orientata a mettere in relazione il muoversi intenzionale della coscienza (Husserl) con il meccanismo neuronale che nella riproposizione degli atti altrui come atti dell’io stesso (neuroni mirrors), interviene non come semplice imitazione, ma come riproduzione di atti motori intenzionali, ovvero finalizzati. 132 Empatia e consonanza intenzionale delle diverse manifestazioni corporee. Lo stesso Lipps aveva avuto, però, un antecedente in Robert Vischer (1847-1933) il quale alla fine dell’Ottocento ebbe il merito di trattare, nell’ambito della sua riflessione sulle arti figurative, il problema della capacità umana di avvertire all’interno del proprio corpo, e solo tramite esso, la vita ed il respiro della natura che l’uomo è capace di rivivere al suo interno simbolicamente: così, un paesaggio naturale può commuovere l’uomo che l’osserva, non per il bello che è in sé, ma per il valore che l’uomo può riconoscervi (Vischer R, & Vischer F.T., 2003). Cognizione di un valore che apparirà tanto più significativa se si tenga fin d’ora presente la distinzione husserliana tra Wertnehmung e Wahrnehmung, ovvero tra percezione originaria del sentire (nella sfera del sentimento) e percezione originaria dell’oggetto (nella sfera teoretica-conoscitiva), nella quale distinzione la Wertnehmung ha una priorità d’atto, dalla quale l’io muove verso l’oggetto che gli si propone come tale: l’e-mozione rivelandosi, in questo senso, come momento realmente attivo, al pari di un’azione propriamente detta, rappresentando, nell’ottica di questo lavoro, l’effettivo trait d’uinion con la scoperta della natura motorioassociativa del comportamento dei neuroni mirrors. Lo stesso Robert Vischer parlò, dunque, di empatia, di Einfühlung, sulla scorta, inoltre, di ciò che suo padre Friedrich Theodor Vischer (1807-1887) aveva già definito come Hin-ein-fühlung, propriamente sentir-dentro (ciò che efficacemente è stato reso in italiano con entropatia). Robert Vischer definirà, quindi, come empatia quel particolare «coglimento della vita della natura esterna, come fosse vita della natura interna, cioè del proprio corpo» (Nicoletti, 1986, p. 30). Merito della riflessione husserliana è stato, però, senz’altro quello di spostare l’ambito del problema dall’estetica alla filosofia: il concetto di empatia rivive, infatti, nelle analisi della filosofia contemporanea (dalla teoria della mente, alla neurofenomenologia, alle neuroscienze in generale) sottoforma del “problema dell’altro”, ovvero della possibilità della conoscenza dell’espe133 LE TESI I. Giannì rienza psichica altrui, tanto dal punto di vista dell’analisi dell’essenza del fenomeno, quanto dal punto di vista della sua genesi. Il nodo fondamentale della questione, del resto, è ben evidenziato dal riferimento non tanto alla possibilità della conoscenza dell’esperienza psichica in generale, quanto, invece, proprio alla possibilità di conoscere i pensieri e gli stati d’animo di altre persone (qualcosa, cioè, che trascende, che supera, la mera forma dell’introiezione, proprio in quanto non riferita a se stessi, ma ad altri). Il privilegio accordato al singolo soggetto nella conoscenza di sé e dei propri stati interiori evidenzia il problema della possibilità o impossibilità di poter riferire anche in minima parte l’esperienza del singolo soggetto, del singolo io, all’esperienza di altri io, di altri soggetti: si configura, cioè, il problema di come valutare (e se, del resto, innanzitutto, sia possibile) l’esistenza degli altri io, nonché l’esistenza del mondo. Di qui il valore fondante dell’intersoggettività, quale elemento e momento d’obbiettivazione che inerisce a tutte le molteplici esistenze singole e soggettive, colte, con ciò, nell’unità delle loro manifestazioni. In quest’ottica sembra comprensibile, da un lato, che Husserl abbandoni l’accezione unicamente introspettiva dell’Einfühlung e, contestualmente, dall’altro, proceda verso una sua naturalizzazione, ovvero verso quella naturalizzazione della coscienza in direzione della quale si sono orientate tanto la filosofia, nella sua origine analitica, quanto le scienze, nella loro indagine biologica a livello neuronale. L’empatia richiama oggi, dunque, il problema della vita pensata, dell’esperienza umana vissuta, nella sua possibile valenza sperimentale e coscienziale. L’esperienza cosciente è il nodo di Gordia intorno al quale s’incrociano e si correlano le principali correnti filosofiche, fenomenologiche e analitiche, delle descrizioni in prima e terza persona, ovvero di quelle descrizioni che hanno necessariamente il proprio fulcro nella natura dell’esperienza vissuta propriamente detta, nell’esperienza vissuta innanzitutto da un soggetto, da un io in prima persona, e di quelle descrizioni che rimandano all’analisi di un terzo osservatore nello 134 Empatia e consonanza intenzionale studio del comportamento altrui (descrizione, quest’ultima, che sostanzialmente rimanderebbe al concetto dell’impossibilità di una comprensione immediata fra gli esseri umani, cioè di una comprensione afferrabile per via intuitiva). Le differenti posizioni rispetto al ruolo che viene riconosciuto all’esperienza cosciente, da quelle più marcatamente riduzionistiche a quelle funzionaliste, illustrano un quadro complesso di approcci differenti, all’interno dei quali sembra prendere “corpo” l’ipotesi, o più ambiziosamente, se non addirittura kuhnianamente, un “programma di ricerca” neurofenomenologico, che punta a superare il divario tra “mente biologica” e “mente esperienziale” attraverso il recupero della centralità dell’esperienza personale, nella sua qualità di vissuto embodied (incarnato/incorporato), aprendo contemporaneamente alle novità scientifiche. Per poter però aprire a nuovi paradigmi scientifici, occorre aver comunque chiari i punti di partenza. Così appare fondamentale partire dalla riflessione di Husserl sull’empatia, nella sua dimensione soggettiva ed intersoggettiva, per poi procedere in direzione delle più recenti posizioni che organicamente si ispirano al senso ed al metodo fenomenologico, seguendo un itinerario, che dal concetto dell’intenzionalità muove verso la regione dei neuroni mirrors, trovando proprio nell’intersoggettività husserliana un trait d’union costitutivo. • Fondamenti husserliani Con la pubblicazione dei due volumi delle Ricerche logiche di Edmund Husserl, apparsi rispettivamente nel 1900 e nel 1901, si suole datare la nascita della fenomenologia. Il clima culturale all’interno del quale viene formandosi e diffondendosi la fenomenologia è quello della cosiddetta “reazione al positivismo”, reazione che si sviluppò all’interno stesso della cultura scientifica, i cui progressi misero variamente in crisi i fondamenti classici del sapere scientifico. Ad uscirne ancora una volta rivoluzionato, come 135 LE TESI I. Giannì al tempo della svolta moderna, è il ruolo del soggetto, dell’osservatore, che ora non viene più considerato al di fuori dell’osservazione stessa, ma, al contrario, tale da interagire con essa: la problematica discussa riguarda così il fondamento ed il significato della natura degli oggetti e dei concetti della scienza stessa sulla base di “esperienza pura”, come base reale né soggettiva né oggettiva, né materiale né spirituale alla quale ricondurre ogni ulteriore distinzione ed elaborazione intellettuale dell’esperienza stessa. Superata, infatti, l’idea di un sistema nervoso centrale quale mero coordinatore della percezione sensoriale, negli studi di Franz Brentano2 si afferma quella dell’originalità del fatto psichico nella sua in-esistenza intenzionale rispetto ad un oggetto, ovve- 2 Il concetto della in-esistenza intenzionale proveniva a Brentano dallo studio della logica scolastica, studio da lui affrontato negli anni del suo seminariato cattolico. In particolare gli autori scolastici ai quali occorre fare riferimento sono Guglielmo da Ockham e Pietro Aureolo. Se il primo riferiva l’intentio a quella caratteristica del concetto per la quale il concetto in quanto tale si riferisce a qualcos’altro da sé e sta in luogo di esso, il secondo sottolineava proprio la necessità di distinguere tra oggetto conosciuto ed atto del conoscere. Ne derivava una concezione del conoscere non come un fare, ma come un «essere, cioè l’avere in sé una qualità che è l’atto conoscitivo» [Sofia Vanni-Rovighi, Una fonte remota della teoria husserliana dell’intenzionalità, in Omaggio a Husserl, a cura di Enzo Paci, Il Saggiatore, Milano 1960, pp. 49-65, la cit. è a p. 60]. Questa qualità è tale che implica una relazione, poiché l’apparire di qualche cosa, il divenire qualche cosa un possibile oggetto di conoscenza non può esistere o accadere indipendentemente dall’azione di un intelletto che la faccia apparire (donde il concetto di presenza intenzionale). Questo apparire (esse apparens o esse intenzionale), però, non implica una appartenenza dell’oggetto al soggetto, poiché l’oggetto resta esterno al soggetto. Ciò che è interno al soggetto è l’atto conoscitivo, che è proprio del soggetto in questione come modo reale di essere di colui che conosce (allo stesso modo in cui, sostiene VanniRovighi, l’atto della visione appartiene al soggetto che vede, ma non può essere confuso con l’oggetto veduto). L’esser conosciuto di una cosa, il manifestarsi di una cosa come oggetto di conoscenza, non si identifica con l’essere reale della cosa, ma con il suo significato, significato che proprio in quanto non è la cosa stessa assume una valenza ideale. L’essere conosciuto della cosa è, dunque, un aspetto nel quale la cosa viene colta, ma un aspetto particolare per il quale la cosa viene colta dal soggetto conoscente nell’unità delle proposizioni che si riferiscono all’oggetto stesso senza però confondersi con esso. 136 Empatia e consonanza intenzionale ro nel suo riferimento a un contenuto possibile, ad un’oggettualità costituente l’attività del soggetto conoscente. Quel che, in definitiva, sembra emergere da una tale impostazione è la dimensione coscienziale del soggetto conoscente: nella misura in cui essere coscienti implica sempre essere coscienti-di-qualcosa, occorre poter giungere alla individuazione del modo in cui a livello soggettivo di una tale coscienza si muovono quelle strutture conoscitive elementari, definite come leggi logiche, nonché il modo in cui esse possono presentarsi in connessione con i singoli processi conoscitivi. Nel passaggio da una concezione della coscienza come luogo della mera rappresentazione psichica (soggettiva e contingente) all’idea della coscienza come luogo di formazione del concetto (oggettivo ed universale), Husserl distingue nettamente tra il mero fatto empirico del vissuto ed il suo significato: quest’ultimo travalica la sua espressione empirica e si apre all’universale, ad una forma essenziale che permane nella misura in cui è costitutiva innanzitutto dell’atto percettivo, come pur sempre percezione-di-qualcosa. L’universale, husserlianamente inteso, è intuito ed intuibile, segnando una tappa fondamentale nel percorso speculativo del filosofo verso una nozione naturale dell’universale3. Il soggetto di una tale intuizione trova la sua ragion d’essere ed il suo statuto d’esistenza nelle indagini egologiche husserliane. Se, infatti, nel vissuto come stato di coscienza si realizza una correla- 3 Gli elementi dell’oggettualità naturale, infatti, vengono intesi come contenuto intenzionale della coscienza, i quali si (auto)danno in specifici vissuti. Il mondo naturale, dunque, esiste proprio in quanto è conosciuto come correlato della coscienza della quale è oggetto intenzionale e dalla quale viene ad essere costituito. Si delinea così una coscienza pura o un Io puro, una soggettività trascendentale costitutiva del mondo naturale e questa soggettività trascendentale fornisce al mondo naturale una struttura d’essere e d’esistenza, nel mentre lo pone come suo oggetto intenzionale e mette in luce le modalità della trascendenza nei confronti del soggetto conoscente attraverso vere e proprie «catene di ricezioni» [cfr. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. II, n.e. a cura di V. Costa, tr. it. Enrico Filippini, Einaudi, Torino 2002, p. 28]. 137 LE TESI I. Giannì zione intenzionale tra soggetto ed oggetto, tra la dimensione soggettiva e quella oggettiva della conoscenza, gli elementi dell’oggettualità naturale (intesa come l’ambito complessivo dell’esperienza possibile) possono essere intesi come contenuto intenzionale della coscienza, contenuto che si dà in specifici vissuti. Come contenuto intenzionale tali elementi non possono essere intesi nella loro natura cosale e positiva, ma nella loro essenza di fenomeni puri della conoscenza, oggetti di «possibili predicazioni vere». Tra la coscienza ed il mondo esiste, dunque, un nesso correlativo intenzionale, la cui dimensione di realtà viene colta nel complessivo universo spazio-temporale-materiale dell’esperienza originaria, la cui stessa possibilità è legata ad una forma d’esperibilità. Tale forma d’esperibilità è il corpo vivo quale latore fenomenico non solo di una psiche, ma anche di un io, un io puro, soggetto dell’atto intenzionale, ovvero soggetto di ciò che, scrive Husserl, «nella percezione è diretto verso il percepito, nel conoscere verso il contenuto, nel fantasticare verso il fantasticato, nel pensiero logico verso il pensato, nel valutare verso il valutato, nel volere verso il voluto» (Husserl, 2002, p. 102). Un io la cui attualità o inattualità inerisce una diversa struttura essenziale dei vissuti intenzionali, ma non della sua struttura egologica: l’identità dell’io nel flusso dei vissuti dà ragione dell’unità della psiche, unità del flusso dell’essere somatico, il quale è a sua volta un elemento della natura4. Il corpo vivo, dunque, è «egolo- 4 Per Husserl, infatti, la stessa possibilità che per la psiche si possa parlare d’esistenza obbiettiva, data, localizzata, è legata, dunque, alla possibilità di una sua forma d’esperibilità. Indubbiamente la natura di una “esistenza obiettiva” è tale da avere un carattere d’esperibilità, ma onde evitare di confondere l’esistenza obbiettiva della psiche o con il concetto di una psiche-ente, o con il concetto di una psiche mero correlato somatico, Husserl ha precisato che è solo nell’assunzione di un atteggiamento teoretico, fenomenologicamente orientato, un oggettualità può essere colta come esistente, dunque, come oggetto vero e proprio, poiché solo gli atti teoretici, in quanto innanzitutto atti soggettivi, «sono gli atti propriamente obiettivanti; [poichè] per il vero e proprio avere-un-oggetto è richiesto l’atteggiamento posizionale, propriamente afferrante, del soggetto teoretico» [ivi, p. 20], nella mi- 138 Empatia e consonanza intenzionale gico», ovvero luogo di posizione e espressione dell’io, ed in tal senso assume un significato psichico. La specificità dell’uomo è, infatti, quella di essere una animale-animato (animal, con termine husserliano), potendosi cogliere contemporaneamente come oggetto tra gli oggetti del mondo per la natura materiale del corpo proprio dato nella percezione e come soggetto di questa stessa percezione, in grado di pensare il corpo vivo come proprio. Nell’apprensione dell’io, della psiche come connessi al corpo vivo si realizza, si attualizza un atto stesso di comprensione dell’io per il quale il medesimo io è colto contemporaneamente al corpo vivo, la cui multiforme espressione rappresenta nella somaticità l’esistenza psichica. Nel costante dirigersi dell’io, dall’osservazione dell’esperienza altrui alla vita psichica appresa insieme al corpo vivo proprio, si realizza, per Husserl, l’atto empatico, atto che assume la forma di una comprehensio: non solo in esso viene preso, percepito concretamente un corpo vivo, ma nello stesso momento viene cum-prehesa la vita psichica di quel corpo vivo, cioè, viene «compreso quell’essere psichico che per lo spettatore è dato nella compresenza insieme con i movimenti del corpo vivo, e ciò, regolarmente, movimenti che dal canto loro diventano spesso nuovi segni, indici dei vissuti precedentemente indiziati o indovinati […] e in definitiva esiste realmente un’analogia tra questo sistema di segni “espressivi” degli eventi psichici attivi e passivi, e il sistema di segni del linguaggio che serve all’espressione del pensiero», per la quale cosa, appare importante sottolineare come «questa multiforme espressione rappresenta nella somaticità l’esistenza psichica» (Husserl, 2002, p. 168). sura in cui «l’oggettualità diventa oggetto teoretico, cioè oggetto di una posizione d’essere attualmente realizzata, in cui l’io vive e coglie elementi oggettuali e li coglie e li pone come essenti»[ivi, p. 16]. 139 LE TESI I. Giannì Gli uomini, cioè, possono essere colti nella loro esistenza come obbiettività intersoggettiva nel momento in cui i diversi io possono appresentarsi la vita psichica altrui, prendendo parte ciascuno alla posizione dell’altro, ovvero prendendone coscienza come di qualcosa che è dato al soggetto nel suo stesso orizzonte d’esistenza. Non sembra, dunque, inutile sottolineare che il concetto stesso di intenzionalità pone logicamente la possibilità stessa di concepire l’alterità del mondo e dei soggetti in maniera costitutiva e attuale: se, infatti, il conoscere è l’apparire di qualcosa che si rende manifesta ad un soggetto, ciò, si è gia detto, non implica che l’essere conosciuto di una cosa possa essere ridotto alla cosa stessa, all’appartenenza fisica o reale della cosa al conoscente (una cosa è l’atto, altro è il suo contenuto ed il suo significato): il conosciuto ha, dunque, un grado di alterità rispetto al soggetto conoscente. L’io puro che coglie e pensa l’io empirico come altro da sé, come alter-ego (nella misura in cui quest’ultimo è il contenuto dell’atto intenzionale dell’io puro stesso che guarda, appunto, all’io empirico come suo correlato necessario d’esistenza reale), questo io puro, dunque, è il fondamento della «teoria trascendentale dell’esperienza dell’estraneo»: con essa Husserl intende dare ragione della possibilità del passaggio dall’immanenza dell’ego alla trascendenza dell’altro, pervenendo alla costituzione dell’intersoggettività quale vero e proprio a priori del consorzio umano, all’interno del quale la correlazione intenzionale soggetto-oggetto, io-mondo, io-altri non può essere spezzata poiché appercepito ed appresentato sono dati sempre in un accoppiamento (Paarung) originario: «è la comunanza della natura insieme alla comunanza del corpo organico estraneo e dell’io psicofisico estraneo che fa coppia con il mio io psicofisico proprio» a costituire il «fondamento di tutte le altre formazioni intersoggettive di comunità» (Husserl, 1998, p. 140). Tale accoppiamento si realizza, per l’appunto, quando l’altro entra nel campo di percezione dell’io, anche quando l’ altro, rispetto all’io puro, è l’io empirico, ovvero quell’io localizzato nel corpo vivo proprio, campo delle sensazioni e luogo delle percezioni. 140 Empatia e consonanza intenzionale Mentre, però, l’appercezione di sé è intuizione autoevidente ed immediata, l’appresentazione dell’altro è cum-prehensio mediata empaticamente: l’altro mantiene, infatti, il suo grado di originarietà, dal momento che l’altro, per Husserl, non è creazione dell’io, il quale esperisce l’altro rispecchiandovisi appresentativamente, cioè, l’io non crea l’altro, bensì lo riconosce, nella sua essenza ed esistenza, sulla base dell’analisi del processo di costituzione di sé e del mondo a partire dalla propria attività coscienziale5. È possibile, infatti, cogliere l’altro nella sua originalità, secondo Husserl, solo attraverso una forma di intenzionalità indiretta, che egli definisce come «appresentazione», ovvero «una specie d’atto di rendere-com-presente» (Husserl, 1998, p. 129) attraverso il corpo vivo fisico altrui, che può essere colto direttamente, anche il soggetto psichico altrui, che non può essere colto direttamente, non può, cioè, essere verificato in se stesso. Il corpo vivo media, quindi, l’appresentazione della soggettività altrui: quando ho davanti un altro, l’ho davanti innanzitutto come corpo fisico (oggetto), del quale posso avere una diretta percezione, quindi anche come corpo vivo, nella misura in cui posso riconoscergli una psiche, sebbene ciò solo in maniera indiretta, poiché di questa psiche, dei suoi vissuti, non posso fare diretta esperienza. L’altro come soggetto spirituale non può essere appercepito, ma solo appresentato. Dal punto di vista intenzionale, dunque, il corpo vivo altrui rappresenta il primo momento di un polo oggettuale che viene costituendosi innanzi all’io, a partire dal quale per il soggetto è possibile riconoscere una natura oggettiva in comune con l’altro. Ma conoscere e riconoscere un altro corpo che si presenta come vivo, come animato, implica necessariamente la coscienza, da parte dell’io, dell’esistenza attuale in quel corpo vivo di un de- 5 Esisterebbe, dunque, un progressivo sviluppo nell’acquisizione della coscienza, prima di sé, e della conoscenza, del mondo e degli altri poi, che si realizza in un primo livello, quello dell’originaria relazione intenzionale fra soggetto e oggetto, per poi elaborarsi gradualmente nella forma piú specificamente cognitivo-linguistica. 141 LE TESI I. Giannì corso continuo di diverse apprensioni, che si manifestano sinteticamente fuse nell’unità di espressione ed espresso, ovvero in quell’unità di senso in cui la molteplicità delle manifestazioni altrui assume un’unica unità obbiettiva che si dirige verso il primo polo, quello soggettivo, della correlazione intenzionale. E, necessariamente, il polo dal quale muove un qualunque processo conoscitivo è l’io, poiché l’io è il primo ad oggettivarsi ed a porre sé come esistente in maniera assolutamente apodittica (tanto semanticamente quanto anche sintatticamente l’io individua la prima persona, mentre il tu individua la seconda, l’altro la terza, e così via). Ciò che, quindi, innanzitutto appartiene all’io nel mondo è la dimensione carnale della sua estensione fisico-materiale, del suo essere qui in carne ed ossa6, rispetto alla quale il 6 La problematica dell’originalità dell’essere ego e dell’essere alter-ego rinvia, in realtà, alla tematica analogica in una maniera che, nell’impostazione di Jean-François Courtine, ripresa anche da Giovanni Ferretti (cfr., Id., Soggettività e intersoggettività, cit., p. 81n.), appare indubbiamente interessante. Courtine, infatti, tenendo presente l’origine scolastica del concetto di intenzionalità brentaniano-husserliana (nonché la formazione stessa di Brentano), si chiede quanto della questione aristotelica dell’unità delle diverse accezioni dell’essere non appaia sostanziare il problema della identità originaria di ego ed alter-ego, pur all’interno di una reciproca differenza ontologica. Nell’analisi dell’intellettuale francese l’identità delle diverse accezioni dell’essere viene garantita, nel discorso aristotelico, da un rapporto che regola l’unità delle diverse accezioni secondo «un transfert diretto di senso a partire da un primo termine in direzione di altri termini suscettibili di formare una serie, una sequenza ordinata» (J-F. Cortine, L’essere e l’altro, in Studi di filosofia trascendentale, a cura di Virgilio Melchiorre,Vita e Pensiero, Milano 1993, pp. 189-213, la cit. è a p. 193).Tale rapporto non verrebbe dunque classificato come semplicemente analogico, poiché nel testo aristotelico l’analogia rimanda ad un rapporto proporzionale di tipo matematico e non discorsivo-linguistico. Nella problematica dei diversi modi di predicare l’essere ciò che è importante è, infatti, la coerenza del discorso teologico, sì che non si cada nella contraddizione di predicare, ad un tempo, la stessa cosa di Dio e delle sue creature (non a caso i neoplatonici parlavano della necessità di una teologica negativa). Come nota Courtine, il contesto husserliano non è piú teologico, bensì egologico, per cui la questione che si pone «è di sapere come, a partire dall’auto-esplicitazione dell’ego […] sia ancora possibile e legittimo ritrovare la trascendenza del mondo e della natura oggettiva, e prima di tutto quella degli altri uomini come alter ego» (Id., pp. 193-4), ovvero, «come com- 142 Empatia e consonanza intenzionale corpo vivo altrui si presenta come un analogo e come ciò a cui è possibile attributivamente riconoscere un altro io, un’altra psiche, un flusso di vissuti che si manifesta, che si presenta innanzi all’io e che quest’ultimo può comprendere nella misura in cui lo può riprodurre o lo ha già prodotto primordinalmente in sé, cioè originariamente costituito ed esperito. prendere allora la possibilità e la legittimità del transfert di senso da un primo ego (ego come principio, come sostanza, come istanza privilegiata ed unica dell’essere – quello in cui si intende propriamente il sum dell’ego ego sum) all’altro rispetto a me, all’estraneo, all’altro io?» (Id., p. 195). Nel contesto husserliano è l’ego, colto nella sua evidenza apodittica, che funge da primo termine verso il quale tendono, sono orientati gli altri ego, nella misura in cui, sul modello aristotelico, l’ego rappresenta l’essere nella sua assolutezza inderivabile da altro (in sé e per sé), e, dunque, rappresenta il termine primo di riferimento (prima produzione, si potrebbe dire!) ed il cui punto di partenza è la riduzione fenomenologica applicata alla sfera appartentiva dell’io ed il cui radicamento spazio-temporale è il corpo vivo come centro di orientazione ed ordinamento secondo il “qui” ed “ora”. Infatti, nel cercare di comprendere come dall’assoluta monadicità dell’ego si possa passare ad una autentica intersoggettività monadica plurale, Courtine avanza l’interrogativo per il quale «l’allargamento del privilegio egologico, l’estensione dell’assolutezza dell’ego ad una vita estranea alla mia, non dipende dallo stesso tipo di analogia che gli scolastici si sono sforzati di distinguere dall’analogia di proporzionalità ?» (Id., p. 201), considerando proprio il fatto che Husserl, quando parla di analogia, non intende riferirsi ad una forma di ragionamento. In questo senso, appare possibile a Courtine sostenere che «lo statuto d’altri come alter ego non è assegnabile se non attraverso una filiazione di senso o una derivazione che rimane sempre quella del senso» (Id., pp. 207-8), ovvero ideale e come tale ben lontana da una qualsiasi forma di creazione o calcolo proporzionale e ben vicina, al contrario, all’immediatezza di una trasposizione da un senso «primario o proprio» ad un senso «secondo e derivato» (Id., p. 211), all’interno della quale non il piano dell’essere in generale importa, ma quello del sum in particolare, ovvero quello proprio dell’ego sum, dell’io come corpo vivente qui ed ora, dell’io incarnato. Non dunque di analogia entis si tratta, afferma Courtine, ma di analogia carnis. Pare opportuna, ad ogni modo, un’ ulteriore considerazione: l’ipotesi di Courtine dell’analogia carnis, sulla base di una filiazione di senso, appare coerente all’impostazione (della quale si discute piú avanti nel testo qui elaborato) pre-categoriale del rapporto tra Wertnehmung (percezione del valore) e Wahrnehmung (percezione dell’oggetto), all’interno del quale viene fatta salva la «primordinalità» della Wertnehmung sulla base della distinzione tra atti teoretici obbiettivanti ed atti non teoretici obbiettivanti, nonché tra sintesi categoriale e sintesi estetica. 143 LE TESI I. Giannì L’altro non è costitutivo dell’io come sua copia, dal momento che possiede una dimensione di originalità che vive all’interno di un corpo che progressivamente la manifesta. Nel momento in cui, del resto, viene riconosciuto che l’altro non è una creazione dell’io, che l’altro, per ciò stesso possiede e mantiene una sua originarietà, nella continua reversibilità e reciprocità della direzione del processo intenzionale, non si può non ammettere che l’alter venga analogamente riconosciuto come simile all’io proprio in quanto non perde la sua dimensione soggettiva: ciascun io è per l’altro, ciò che ciascun altro è per l’io, sottolinea Husserl7. Il riconoscimento non solo dell’altro, ma dell’attualità stessa, nonché della primordinalità di un rapporto di natura intersoggettiva conduce ad un duplice esito: in primo luogo, la conoscenza del mondo appare possibile solo attraverso una soggettività trascendentale che costituisce questo mondo intenzionandolo, mediante cioè un’in-tensione continua propria dell’ego in quanto esperienza originaria, prescientifica e preteoretica, prima ancora di costituirsi in giudizio logico-gnoseologico (un’intenzione di cui possono partecipare tutti gli uomini in quanto possibili soggetti conoscenti, nell’universalità strutturale della reciproca implicazione ego/alter-ego, quale fondamentale a priori capace di rivelare il mondo come senso costituito); in secondo luogo, l’io puro, l’io penso che emerge dall’io empirico, da ciascun singolo uomo diviene un fatto di natura, nella misura in cui risulta fondato nel corpo vivo e negli eventi corporei (indubbiamente non riconducibili alla mera natura fisica nel momento stesso in cui sono manifestazioni di un vissuto). 7 L’alter-ego viene analogamente riconosciuto come «simile» al primo proprio in quanto non perde la sua dimensione soggettiva, la sua originarietà costituita ed in quanto, inoltre, può contare su una reversibilità della relazione (la stessa radice del termine analogo, sulla base dell’originario greco rimanda ad un’idea di un movimento proporzionato tra parti) per cui l’io può trasporre il suo senso dal suo proprio ed originario “qui” all’esser-“là” dell’altro in «virtù delle sue cinestesi» [E. Husserl, Meditazioni cartesiane, op. cit., p. 136]. 144 Empatia e consonanza intenzionale Da questo punto di vista la coscienza stessa localizzata nell’unità corpo vivo-psiche viene ad avere uno spazio ed un tempo, un “qui” ed un’“ora”: se l’uomo è unità di corpo vivo e psiche e questa unità ha necessariamente la forma di una connessione funzionale, in base alla quale il corpo vivo è organo del soggetto e tutte le possibili modificazioni degli stati psichici del soggetto sono correlate a corrispondenti manifestazioni corporee (attraverso il legame nessi sensoriali-corporeità), allora, non solo sarà possibile parlare del corpo come finestra sensoriale sul mondo e punto di con-tatto con gli altri uomini, ma anche parlare della possibilità stessa di una «naturalizzazione della coscienza». Ora, nell’analisi husserliana, l’empatia è l’atto mediante il quale entriamo in rapporto diretto con gli altri, realizziamo la relazione intersoggettiva come attuale. Nella sua attualità essa è ancora lontana dall’assumere la forma categoriale del giudizio ed è appresentazione della datità originaria dell’altro come unità inscindibile di corpo vivo e psiche, capacità di sentire l’altro io, nell’unità del flusso dei suoi vissuti. L’empatia chiama in causa, dunque, l’esperienza vissuta nell’insieme delle sue emozioni, come insieme di reazioni corporee ed atti mentali, ed in quanto fondante la relazione io-mondo, iotu, l’empatia offre l’idea non di qualcosa di statico, ma di continuamente moventesi tra i due poli della relazione, allo stesso modo in cui nella medesima relazione soggetto ed oggetto s’incontrano non perché il soggetto crei l’oggetto come sua rappresentazione, né perché l’oggetto si ponga innanzi al soggetto nella sua assoluta obbiettività, ma perché il soggetto è intenzionato dall’oggetto, come altrove già precisato. La stessa analisi dell’intenzionalità pone capo ad un movimento di reciprocità dell’azione che non risolve l’azione stessa, il movimento compiuto, come dovuto ad una mera necessità meccanica, bensì all’interno di una teleologia del movimento stesso finalizzato a qualcosa, ovvero all’apprensione dell’altro da parte del soggetto. In questa prospettiva il rapporto soggetto-oggetto perde la dimensione fisico-causale per acquisirne una motivazionale, poiché le 145 LE TESI I. Giannì cose del mondo, e tra esse gli uomini, non sono apprese in sé, ma come contenuto intenzionale della coscienza: il mondo è un mondo per l’io, per l’uomo. Non si tratta, dunque, come è stato detto, di essere oggetti per soggetti differenti, di essere meri stimoli cosali gli uni per gli altri, ma di essere «contro-soggetti» per altri soggetti, di esercitare gli uni sugli altri una «forza motivante». La singola personale azione non viene semplicemente recepita da un altro al pari di uno stimolo esterno, ma come azione che richiede comprensione: «le persone si dirigono l’una verso l’altra (l’io verso l’altro e viceversa), compiono certi atti col proposito di venir compresi da colui che sta di fronte» (Husserl, 2002, p. 197). L’ambito fisico e fisiologico non risulta soddisfatto dalla combinazione causa-effetto, stimolo-risposta, ma compreso all’interno di un modello che pone il movimento come espressione di un’azione orientata ad uno scopo, intenzionata da un oggetto che si pone come contenuto stesso d’azione, ovvero come contenuto che riempie di senso il pensiero nella sua attualità e che, dunque, traducendo il pensiero in azione (si potrebbe anche dire), pone l’oggetto nella condizione d’essere afferrato dal soggetto. D’altro canto, proprio l’ambito fisico e fisiologico viene soddisfatto dall’assunto, ormai noto nella sua validità, in base al quale esistono determinati processi neurofisiologici che accompagnano i vissuti e che danno ragione di un determinato tipo di regolazione o compensazione omeostatica rispetto a nuovi stimoli esterni che richiedano un riequilibrio interno. • Rielaborazioni neuro-scientifiche e neuro-fenomenologiche Rispetto al tema qui trattato, dunque, la domanda sulla quale verte il presente elaborato è: si può parlare, sulla scorta della scoperta italiana dei cosiddetti neuroni mirrors, avvenuta negli ultimi quindici-venti anni, di basi neurofisiologiche dell’empatia? 146 Empatia e consonanza intenzionale Tenendo presente l’idea per la quale empatia è essenzialmente un atto attraverso il quale gli uomini colgono, e si scambiano, emozioni e significati, il terreno di confronto tra la fenomenologia husserliana, da un lato, e le neuroscienze, dall’altro lato, avviene nell’ambito di quel meccanismo di “risonanza o consonanza intenzionale” messo in evidenza da Vittorio Gallese, in base alla definizione della funzione dei neuroni con proprietà specchio, ovvero neuroni che si attivano quando, ad esempio, afferriamo una tazzina da caffé per bere ed anche quando semplicemente vediamo altri compiere la stessa azione. Questi neuroni sembra che rispondano, dunque, selettivamente ad atti motori e non a singoli movimenti, sicché l’azione non appare come il frutto di un movimento spontaneo ed isolato, ma il risultato di una serie coerente di movimenti che si completano e realizzano nell’atto di afferrare, prendere, fare qualcosa, in un atto, cioè, finalizzato, in un atto, con espressione husserliana, allo stesso tempo intenzionale ed intenzionato. Afferma, infatti, Gallese, che un neurone è una macchina che genera tensioni, che scarica energia, ma «questo neurone non è contenuto in una scatola magica, è contenuto in un organo – il cervello- che è legato, vincolato, cresce e si sviluppa in parallelo ad un corpo, attraverso il quale ha accesso al mondo esterno» (Gallese, 2007, p. 199). Nel processo di rispecchiamento che fa capo ai neuroni mirrors, infatti, è possibile distinguere due aspetti: in primo luogo, il coinvolgimento dell’area motorio-associativa e non più solo associativa del cervello; in secondo luogo, la non riducibilità e non riconducibilità dell’evidente finalizzazione degli atti eseguiti ad una mera forma di imitazione. Come specifica il neuroscienziato, infatti, nel primo caso, l’attività dei neuroni specchio permette al cervello di correlare i movimenti altrui osservati con quelli propri, riconoscendone attributivamente il significato: si tratta, quindi, di una forma di comprensione pragmatica e non teoretica che chiama in causa le competenze motorie del sistema cerebrale ai fini del compimen147 LE TESI I. Giannì to di un determinato processo sensori-motorio8. In tale processo, quindi, (e, nel secondo caso) percezione ed azione sono coinvolte nella realizzazione di un processo avente carattere intenzionale, nella misura in cui le oggettualità che si offrono al soggetto sono «ipotesi d’azione», ovvero, rispetto al corpo proprio di un soggetto, l’orizzonte variabile delle sue intenzioni e dei suoi gesti. Sostiene, infatti, Rizzolati che «al di là dell’organizzazione dei nostri comportamenti motori, anche certi processi di solito considerati di ordine superiore e attribuiti a sistemi di tipo cognitivo, quali per esempio la percezione e il riconoscimento degli atti altrui, l’imitazione e le stesse forme di comunicazione gestuali o vocali, possano rimandare al sistema motorio e trovare in esso il proprio substrato neurale primario (Rizzolati, & Senigallia, 2006, p. 22). Ciò che, in altre parole, Gallese e Rizzolati definiscono come «risonanza intenzionale», quale risultato dell’attività dei neuroni mirrors, Husserl definisce come «apprensione d’esperienza»: in entrambi i casi si tratta, infatti, della rilevazione di una congruenza tra l’atto motorio codificato dal neurone (ovvero, l’atto primordinale vissuto dall’io, che ricade nella Wertnehmung) e l’atto motorio altrui osservato efficace nell’attivarlo (ovvero, l’espressione altrui di un atto che l’io può attributivamente riconoscere anche come proprio). In 8 Nel suo studio pionieristico sui neuroni mirrors, Rizzolati afferma che «questi neuroni appaiono in grado di discriminare l’informazione sensoriale, selezionandola in base alle possibilità d’atto che essa offre, indipendentemente dal fatto che tali possibilità vengano concretamente realizzate o meno». Correttamente il neuroscienziato fa riferimento a possibilità di atti veri e propri e non a singoli e semplici movimenti, dal momento che è nei primi che viene compiendosi l’esperienza dell’ambiente nel quale si è immersi, ovvero è nella completezza della serie dei movimenti in un insieme compiuto che l’azione può assumere un significato in quanto tale. In particolare, l’attività dei neuroni specchio permette «al cervello di correlare i movimenti osservati a quelli propri e di riconoscerne così il significato» (G. Rizzolati, & C. Senigallia, 2006, p. 2, 3). 148 Empatia e consonanza intenzionale tal senso, l’attività, nonché l’attivazione stessa, dei neuroni mirrors rivelano nelle azioni umane uno specifico senso intenzionale che presuppone uno spazio d’azione condiviso all’interno del quale poter iscrivere e comprendere gli atti nostri o altrui. Al sistema motorio spetterebbe, dunque, l’organizzazione e la rappresentazione dello spazio intorno al soggetto che ne fa esperienza, nella misura in cui la costituzione dello spazio dipende dall’attività di circuiti neuronali che funzionalmente organizzano l’insieme dei movimenti che consentono al soggetto di agire nell’ambiente. Piú specificamente, ciò che è emerso dagli studi è che i neuroni motori dalla proprietà specchio non solo risultano selettivi rispetto a certe tipologie di atti (quali l’afferrare, il prendere, lo strappare, cioè atti finalizzati), ma anche, all’interno di questi stessi atti, «per particolari modalità d’esecuzione e per determinati tempi d’attivazione»9 (Rizzolati, & Senigallia, 2006, p. 45). Non si tratta, però, di semplice meccanismo imitativo, come pure alcuni suggeriscono, bensì di «un’ampia gamma di fenomeni di “risonanza”» (Rizzolati, & Senigallia, 2006, p. 95) che hanno la loro ragion d’essere nell’attività di codifica degli atti finalizzati caratteristica dei neuroni con proprietà specchio ed in base alla quale l’atto ripetuto anche solo a livello potenziale non è un atto imitato, nella misura in cui è compreso come finalizzato al raggiungimento di uno scopo, scopo che dall’atto codificato e precedentemente selezionato viene riconosciuto nella sua validità: si possono imitare movimenti isolati, non atti finalizzati. Sottolinea, infatti Rizzolati, che i neuroni specchio sono alla base «prima ancora che dell’imitazione, del riconoscimento e della com9 «Da qui l’idea che l’area F5 contenga una sorta di vocabolario di atti motori, le cui parole sarebbero rappresentate da popolazioni di neuroni. Alcune di esse indicano lo scopo generale dell’atto (tenere, afferrare, rompere, ecc.,); altre la maniera in cui un atto motorio specifico può essere eseguito (presa di precisione, presa con le dita, ecc.); altre, infine, la segmentazione temporale dell’atto nei movimento elementari che lo compongono (apertura della mano, chiusura della mano)». 149 LE TESI I. Giannì prensione del significato degli “eventi motori”, ossia degli atti, degli altri»10 (Rizzolati, & Senigallia, 2006, p. 96). L’azione dei neuroni specchio, la loro attivazione, riflette, dunque, in ultima analisi il significato dell’azione, in virtù della quale i movimenti di un altro corpo assumono, per chi li osserva, il senso specifico di azioni intenzionali11. Un importante risultato, nello studio dei neuroni specchio nell’uomo, appare essere allora quello che Rizzolati efficacemente sintetizza in questo modo: «Il possesso del sistema dei neuroni specchio e la selettività delle loro risposte determinano così uno spazio d’azione condiviso, all’interno del quale ogni atto e ogni catena d’atti, nostri o altrui, appaiono immediatamente iscritti e compresi, senza che ciò richieda alcuna esplicita o deliberata “operazione conoscitiva”» (Rizzolati, & Senigallia, 2006, p. 127). All’interno di uno spazio di azione condiviso, sia nel senso estesiologico che in quello cognitivistico, la funzione primaria 10 «Si noti che col termine “comprensione” non intendiamo necessariamente la consapevolezza esplicita (o addirittura riflessiva) da parte dell’osservatore (nel nostro caso della scimmia) dell’identità o della somiglianza tra l’azione vista e quella eseguita. Piú semplicemente, alludiamo ad un’immediata capacità di riconoscere negli “eventi motori” osservati un determinato tipo d’atto, caratterizzato da una specifica modalità di interazione con gli oggetti, di differenziare tale tipo da altri ed eventualmente di utilizzare una simile informazione per rispondere nel modo piú appropriato. […] nel caso dei neuroni specchio lo stimolo visivo non è costituito da un oggetto o dai suoi movimenti, bensì dai movimenti compiuti da un altro individuo e oggettualmente correlati nel modo dell’afferrare, del tenere o del manipolare. Ma come gli oggetti, così tali movimenti assumono significato per chi li osserva in virtù del vocabolario d’atti di cui egli dispone e che ne regola le possibilità di agire». 11 Nel caso specifico dell’uomo, inoltre, Rizzolati sottolinea come «l’attivazione della corteccia motoria riproduca fedelmente il decorso temporale dei vari movimenti osservati – e ciò sembra suggerire che i neuroni specchio dell’uomo siano in grado di codificare tanto lo scopo dell’atto motorio, quanto gli aspetti temporali dei singoli movimenti che lo compongono», Rizzolati, & Senigallia, 2006, p. 115. 150 Empatia e consonanza intenzionale dei neuroni specchio sembra dunque essere legata ad una forma di riconoscimento nell’ambito della produzione di una azione12. Tale analisi, in definitiva, non appare molto distante dal concetto husserliano di una intersoggettività costitutiva rivelata dall’atto empatico, quale atto non immediatamente riconducibile ad un processo teoretico-cognitivo (e dunque non isolabile nella mera area associativa del cervello), ma alla strutturazione di questo stesso processo in termini intenzionali, ovvero al livello universale in una noesi che attende di essere riempita, ad un livello particolare, da determinati contenuti o noemi. Secondo questa impostazione sarebbe, dunque, possibile codificare l’esperienza sensoriale in termini emotivi (non ridotti a sentimentalismo), nel senso di un’attuale correlazione tra percezione ed azione. In quest’ottica, il riferimento allo specifico contributo prodotto dagli studi di neurofenomenologia ha la sua ragion d’essere nel fatto che in essi il rapporto tra la fenomenologia e le neuro- 12 Neuroni motori con proprietà specchio sono stati osservati anche nelle aree cerebrali tradizionalmente considerate i luoghi delle emozioni, ovvero l’insula (area corticale primaria sia per «l’esterocezione chimica (olfatto e gusto), ma anche per l’enterocezione, ovvero la ricezione dei segnali relativi agli stati interni del corpo» [Id., p. 171] e l’amigdala. Dati clinici osservati e studiati con la tecnica di brain imaging mettono in evidenza come, ad esempio, «il provare disgusto e il percepire quello altrui abbiano un substrato comune, e che il coinvolgimento dell’insula sia in entrambi i casi fondamentale», e che questo disgusto non sembra inferito per deduzione o associazione. Ciò fa affermare che anche la comprensione degli stati emotivi altri dipenda in buona sostanza da un meccanismo specchio «in grado di codificare l’esperienza sensoriale direttamente in termini emotivi», nel mentre l’impossibilità o, per meglio dire, l’incapacità di comprendere le emozioni altrui sia strettamente connessa con l’incapacità di provarle in prima persona. Inoltre, non solo la percezione o vista diretta della sofferenza altrui, ma anche la sua semplice evocazione appare mediata da un meccanismo specchio. Nello specifico, ad esempio, il caso del provare disgusto sembrerebbe emblematico del funzionamento di questo meccanismo, dal momento che le informazioni visive che esprimono un’emozione giungono all’insula, gli input sensoriali da esse dipendenti vengono trasformati in reazioni viscerali, per cui «quanto vediamo, sentiamo o immaginiamo fare da altri, poiché innesca le stesse strutture neurali (rispettivamente motorie e viscero-motorie) responsabili delle nostre azioni o delle nostre emozioni» [Id., p. 181]. 151 LE TESI I. Giannì scienze non si delinea come un rigido rapporto tra una analisi teorica, per una conoscenza giustificata e valida a priori, ed un mero approccio di natura sperimentale. La fenomenologia viene, infatti, studiata ed intesa nelle sue implicazioni pratico-operative, quale metodo rigoroso per l’auto-osservazione in prima persona dell’esperienza cosciente, complementare all’approccio scientifico della descrizione in terza persona per ciò che concerne quella dinamica neuronale sottesa alla stessa esperienza cosciente. Grossomodo negli ultimi vent’anni si è, infatti, assistitito ad una rinascita degli studi anti-riduzionistici o eliminativistici a favore di un modello capace di superare il dualismo mente-corpo ed i connessi modelli comportamentistici di base e cognitivistici di risultanza. Nell’intento di conciliare la moderna scienza cognitiva con un approccio rigoroso all’esperienza cosciente umana, con particolare attenzione per il problema della naturalizzazione della coscienza, della proposizione di un modello teorico del sistema propriocettivo a livello matematico, del problema metodologico e pratico insito nell’indagine sulla costitutività della dimensione intersoggettiva del vissuto (con particolare riferimento proprio al concetto dell’empatia), nonché della ricerca della dimensione ontologica della persona e del mondo sociale, il programma neurofenomenologico, che ha nella figura di Francisco Varela il suo punto di riferimento, è dichiaratamente lontano da quella forma di neurofilosofia che intende ridurre l’ambito speculativo alla sola filosofia della mente13. La metafora del calcolatore non appare piú in grado di soddisfare il sistema uomo- 13 La sfida futura per le neuroscienze sarà rappresentata anche secondo Gallese dal tentativo di «passare dalla “medietà normativa” delle caratteristiche di attivazione di un supposto cervello medio appartenente ad un altrettanto ipotetico uomo medio, ad un approfondito studio di come le caratteristiche individuali dell’esperienza di vita si traducano in caratteristici ed – almeno in parte – idiosincratici profili d’attivazione corticali, e come questi meccanismi siano alla base del peculiare modo di esperire il mondo degli altri proprio di ognuno di noi. Dovremmo passare dallo studio della mente umana allo studio delle menti umane». 152 Empatia e consonanza intenzionale mondo, che richiede, invece, il riferimento ad un’epistemologia della complessità (Bocchi & Ceruti, 1985) nella quale trovino spazio la complementarietà e la correlazione scienza-filosofia, sperimentazione scientifica-esperienza vissuta, descrizione in terzaprima persona. Occorre, in quest’ottica, ritornare all’esperienza, non quella meramente empirica, ma quella vissuta, l’esperienza umana quale legame fra mente e coscienza, tra scienze naturali e fenomenologia, quale appunto scienza dei vissuti di coscienza. Dati neuronali ed ulteriori aspetti dell’esperienza vengono colti e correlati dinamicamente, sì che la fenomenologia viene riconosciuta nel suo valore di «scienza descrittiva della coscienza in quanto pratica trascendentale», secondo l’impostazione datale da Husserl e la definizione assegnatale da Depraz14. 14 Appare importante sottolineare una particolare convergenza (che richiederebbe di essere dettagliatamente sviluppata in altra sede) tra l’idea di Laura Boella, in base alla quale la capacità del soggetto di empatizzare dipenderebbe in larga parte dalla capacità di sentire il proprio corpo, dal «sentirsi corporeo» a livello omeostatico, in tema di rappresentazione degli stati interni, e «dallo sviluppo del sé come entità affettiva» (Boella, 2006, p. 337) e il concetto dell’alterità a se stesso del soggetto fenomenologico di Natalie Depraz. Quest’ultima, infatti, argomenta un’interpretazione della struttura della soggettività intesa come «relazione aperta rispetto a noi stessi» (Boella, 2006, p. 40). Ma questa apertura non è intesa dalla studiosa come la semplice modalità dell’ essere-almondo del soggetto, è, invece, propriamente il suo modo di esser cosciente, per cui «l’alterità a sé si definisce come un processo, una dinamica o una genesi di sé che fa del sé cosciente un divenir-cosciente». In questo senso, l’autoevidenza originaria husserliana dell’io come appercezione di sé, non viene riferita in maniera esclusiva alla struttura intenzionale della coscienza, ma ad un’essenza propria di questa medesima coscienza che si caratterizza per una proprietà non riflessiva, ma progressivamente emergente (nel senso, per l’appunto, di quell’emergentismo enattivo che, riferendosi alla teoria della complessità ed all’osservazione dei fenomeni di auto-organizzazione del vivente, guarda alla possibilità ed alla maniera in cui «regole locali possono dare origine a proprietà o oggetti globali in una causalità reciproca» (cfr. Varela, 1992, pp. 114-115). L’Altro, nel senso di Lèvinas, non assale la coscienza e non la sorprende in virtù di sé, poiché l’alterità sarebbe, nell’ottica di Depraz, già costituita, strutturata all’interno stesso di questa coscienza. Né, d’altraparte, la dimensione etica della coscienza indagata da Ricoeur e costruita intorno alla dialettica ipseità/medesimezza (l’alterità come struttura 153 LE TESI I. Giannì In altre parole, emerge la necessità di integrare la metodologia della riduzione fenomenologica con lo sperimentalismo naturalistico proprio delle scienze cognitive, sulla base dei concetti di autopoiesi, quale tratto caratteristico dell’organizzazione autonoma del vivente («l’individuo esprime somaticamente le dinamiche processuali dell’ambiente che abita e per il quale è evolutivamente predisposto; allo stesso modo, l’ambiente si costituisce in quanto orizzonte di manifestazione dei fenomeni organici individuali»15 (Cappuccio, 2006, p. 21); e di enazione come produzione di un mondo16 (Varela, Thomposon & Rosch, 1992, p. 206). interna al rapporto tra il soggetto interprete delle proprie obbiettivazioni nella continuità della sua identità/idem nel tempo ed il soggetto stesso/ipse nel “qui” ed “ora”dell’istante), darebbe conto, sostiene Depraz, della necessità di una descrizione «della struttura dinamica della coscienza a sé, senza che essa sia in alcuna maniera una coscienza riflessiva su di sé» (Varela, 1992, p. 41). Nel dover rispondere primieramente all’Altro teorizzato da Lèvinas e da Ricoeur il soggetto coscienziale sembra costretto a mettere tra parentesi se stesso piuttosto che il mondo e doversi quindi sussumere all’interno di una relazione che non è piú tale in senso inter-soggettivo poiché perde uno dei due soggetti. Uno dei due soggetti perde il suo carattere nominativo (chi?) per acquisirne uno dativo (a chi?). Si perde, in altre parole, uno dei due soggetti, cade, quindi, la relazione e con ciò il suo stesso senso. Occorre, comunque, aggiungere che Boella e Depraz se convergono nell’interpretazione omeostatica della dimensione anche affettiva del “sentirsi corporeo”, tuttavia non convergono nell’interpretazione del carattere e del ruolo della coscienza che si presenta non riflessiva per Depraz, riflessiva per Boella. 15 Ciò che a tal proposito viene considerato è che l’ambiente non è qualcosa che esista fuori o al di là del corpo vivente, «ma la soglia che dà a questo corpo vivente unità, forma, continuità processuale e dinamica», Id., p. 22. Humberto R. Maturana, maestro e coautore del volume Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente (Marsilio,Venezia 1992), spiega così l’origine della parola: insoddisfatti dell’espressione “organizzazione circolare” «[…] volevamo una parola che da se stessa trasmettesse il tratto caratteristico centrale dell’organizzazione del vivente, che è l’autonomia. Fu in queste circostanze che un girono, mentre parlavo con un amico (José Bulnes) di un suo saggio su Don Chisciotte nel quale egli analizzava il dilemma di Don Chisciotte se seguire il sentiero delle armi (praxis, azione)oppure il sentiero delle lettere (poiesis, creazione, produzione), e la sua scelta del sentiero della praxis abbandonando ogni tentativo in quello della poiesis, capii per la prima volta la forza della parola “poiesis” ed inventai la parola che ci occorreva: autopoiesi», Id., p. 30. 16 «In breve, l’approccio inattivo implica due concetti: 1) la percezione consiste in un’azione a sua volta guidata dalla percezione e 2) le strutture cognitive emergo- 154 Empatia e consonanza intenzionale Un tale concetto esprime la forte correlazione tra percezione e movimento nell’esplicitarsi dell’atto cognitivo, nella misura in cui la forma stessa della conoscenza non è riducibile né ad un modello computazionale di input-output, né ad uno connesionistico su base fisico-neuronale, bensì ad un modello relazionale io-mondo «con-costitutivo» ed orientato all’azione quale evento congiunto di mondo e mente, di corpo vivo, psiche e mondo: «il mondo», husserlianamente parlando, «non è qualcosa che ci è “dato”, ma è qualcosa a cui prendiamo parte tramite il modo in cui ci muoviamo, respiriamo e mangiamo» (Cappuccio, 2006, p. 24). Non è un mondo concepito entro uno spazio oggettivo, formale e qualitativamente neutro, quanto piuttosto un mondo concepito come uno «spazio carnale» proprio dell’esistenza di un soggetto situato, un mondo esperito e manipolato “in prima persona”, perché attraversato da una rete di «vettori intenzionali» che hanno nella soggettività cosciente, vivente e corporea il proprio centro di orientazione. Un mondo così inteso non può essere ridotto a mere coordinate spaziali oggettive, ma è lo «scenario corporeo d’infiniti atti possibili», caratterizzati da un preciso significato pragmatico riferito al contesto di cui si è parte integrante. Il mondo come scenario corporeo è il luogo di «azioni incarnate», embodied (nell’originale formulazione inglese), espressione linguistica che indica un concetto di azione legata al corpo come medium e come centro di manifestazione del mondo. Spiega, infatti, Varela che «usando il termine incarnata intendiamo mettere in risalto due idee: in primo luogo, il fatto che la cognizione dipende no dagli schemi sensomotori ricorrenti che consentono all’azione di essere guidata percettivamente». Segue questo indirizzo di ricerche anche l’opera di Alva Noë, Action in Perception, Cambridge, Mass., Mit Press, Hardcover ed., 2004, nella quale viene ribadita la validità dell’approccio inattivo alla percezione, in base senza il continuo richiamo all’azione gli stimoli percettivi perderebbero il contenuto elaborato riducendosi a mera sensazione. 155 LE TESI I. Giannì dal tipo di esperienza derivante dal possedere un corpo con diverse capacità sensomotorie, e in secondo luogo, il fatto che tali capacità sensomotorie individuali sono esse stesse incluse in un contesto biologico, psicologico e culturale più ampio. Usando il termine azione intendiamo porre l’accento ancora una volta sul fatto che, nella cognizione vissuta, i processi sensori e motori, la percezione e l’azione, sono fondamentalmente inscindibili»17 (Varela, Thomposon & Rosch, 1992, p. 206). 17 Prendendo spunto da una tale concezione, Vittorio Gallese ha legato il concetto di azione incarnata – embodiment all’azione di rispecchiamento dei neuroni mirrors, teorizzando il modello di una «simulazione incarnata» per «connotare un meccanismo implicito di modellizzazione degli oggetti e degli eventi che il sistema organismo controlla o cerca di controllare nel corso della costante iterazione con essi». In questo senso, precisa ancora Gallese, «la simulazione può essere considerata come espressione di un meccanismo funzionale di controllo, la cui funzione è di modellare gli “oggetti” del processo di controllo» (V. Gallese, Corpo vivo, simulazione incarnata e intersoggettività, in Neurofenomenologia, cit., pp. 293-326, la cit è a pp. 315-316). La “simulazione incarnata”, inoltre, sarebbe un ingrediente essenziale della capacità di ogni sistema cervello/corpo di modellare le interazioni con il mondo, da cui dipenderebbe, in definitiva, la possibilità di instaurare relazioni sociali sulla base di un mutuo riconoscimento ed una mutua intelligibilità tra l’io ed il mondo. Scrive, infatti, Gallese (Id., La molteplice natura delle relazioni interpersonali. La ricerca di un comune meccanismo neurofisiologica, in «Chora», num. 12, anno 5, Alboversorio, Milano 2006, pp- 43-58, la cit. è a p. 44): «l’identità sociale è importante perché garantisce agli individui la capacità di meglio predire le conseguenze del comportamento altrui. L’attribuzione di uno status di identità agli altri individui consente infatti di contestualizzare automaticamente il loro comportamento. Ciò, a sua volta, riduce le variabili che devono essere computate, ottimizzando l’impiego di risorse cognitive attraverso la riduzione dello “spazio del significato” che deve essere computato». In questo senso la “simulazione incarnata” non rimanda all’approccio simulazionista nell’ambito del mentalismo, poiché in questo ultimo caso l’atto «di comprendere il comportamento altrui è il risultato di un suo deliberato atto di volontà», mentre, al contrario, per Gallese, il processo della simulazione incarnata «è invece automatico in quanto obbligato, non conscio, e pre-dichiarato» (Id., Corpo vivo, simulazione incarnata e intersoggettività, p. 316). E ciò accade proprio perché, mediante il corpo, «nella sua duplice valenza di soggetto senziente ed oggetto di percezione», sostiene Gallese, siamo «in grado di derivare dai comportamenti ostensivi altrui il senso interno delle esperienze e delle motivazioni che ne stanno alla base, grazie al fatto che questi comportamenti ostensivi percepiti attivano lo stesso meccanismo funzionale in base al quale noi stessi ci esperiamo come persone», Id., p. 309. Si 156 Empatia e consonanza intenzionale In questo senso, la riduzione fenomenologica opera nel senso di una sospensione dei pregiudizi obbiettivi sottesi ad ogni esperienza individuale e la successiva descrizione depurata della singola esperienza coscienziale. La conversione dello sguardo che rapporta il soggetto non piú verso l’oggetto in sé, ma verso quell’atto di coscienza che individua quello stesso oggetto, è il primo momento della riflessione. Ed è un vero e proprio momento, punto-ora, poiché in ogni istante si è tentati dalla presenza dell’oggetto, cioè dall’osservare non piú l’atto nel suo accadere, ma l’oggetto nel suo esserci. Da discorso fondazionale sull’apriori e la validità del sapere, quindi, la fenomenologia si traduce (conduce se stessa) nell’indagine neurofenomenologica a metodologia applicativa di un modello teorico di riferimento, che nel suo sperimentarsi incontra, sul terreno della praxis, la sperimentazione delle neuroscienze. Ma, da un altro punto di vista, quello, appunto, in prima persona. Tra i due poli della prima e della terza persona il medium, il mezzo della correlazione è proprio ciò che esse hanno in comune, l’esistenza, la vita, o, per meglio dire, la Lebenswelt ed il suo contenuto. simula, quindi, ciò che viene riconosciuto come similis, prima che ad un livello simbolico-proposizionale, a un livello originario pre-riflessivo: «la simulazione è verosimilmente – questa almeno è l’ipotesi che intendo proporre – la principale strategia epistemica disponibile per organismi viventi come noi che derivano la propria conoscenza del mondo in virtù delle inter-azioni con esso intraprese. Ciò che definiamo la rappresentazione della realtà non è una copia dell’oggettivamente dato, ma un modello inter-attivo di ciò che non può essere conosciuto in se stesso» (Id., La molteplice natura delle relazioni interpersonali, cit., p. 49). Lo stesso processo dell’imitazione precoce studiata nel neonato indicherebbe effettivamente l’esistenza di un meccanismo di interazione con il mondo e con gli altri già presente e attivo agli esordi della vita, quando, cioè, «non è ancora disponibile alcuna rappresentazione soggettiva del mondo» in termini logico-proposizionali, ovvero altamente cognitivi. La simulazione incarnata deve poter essere intesa, quindi, come un processo di modellizzazione del comportamento altrui, all’interno di un «Sistema Multiplo di Condivisone» (in riferimento alla costituzione di uno spazio intersoggettivo di senso condiviso) (Id., p. 53-54), il cui risultato finale consente «di comprendere e predire le conseguenze dell’agire altrui, così come ci consente di comprendere e predire il nostro comportamento» (Id., p. 48). 157 LE TESI I. Giannì In quest’ultimo senso, l’ambiente esterno progressivamente esperito dal corpo è il risultato degli atti esplorativi compiuti da un corpo vivo, che viene altrettanto progressivamente determinandosi attorno ad essi. Il corpo può ben essere in tal caso inteso come correlato fisiologico delle funzioni psichiche, ma a patto di non operare una riduzione psico-fisica18: 18 Convinto di dover sottrarre il rapporto anima-corpo all’unica determinazione causale propria di un approccio scientifico in generale e psicologico-sperimentale in particolare, lo stesso Merleau-Ponty discute sulla necessità di non poter concepire la percezione come un fatto isolato o isolabile, ma un fatto che rinvia sempre al mondo nel quale si inserisce il corpo vivo. Questo corpo, sostiene Merleau-Ponty, è la condizione stessa della percezione. Ma questo corpo non è una mera res exstensa, bensì è la condizione stessa dell’inserzione della coscienza nel mondo [«io non sono il risultato o la convergenza delle molteplici causalità che determinano il mio corpo o il mio “psichismo”», sostiene il filosofo nella Fenomenologia della percezione (tr. it. A. Bonomi, Bompiani, Milano 2005, pp. 16-17), «non posso pensarmi come una parte del mondo, come il semplice oggetto della biologia, della psicologia e della sociologia, né chiudere su di me l’universo della scienza. Tutto ciò che so del mondo, anche tramite la scienza, io lo so a partire da una veduta mia o da una esperienza del mondo senza la quale i simboli della scienza non significherebbero nulla». Senonché, secondo quanto Husserl ha insegnato a riconoscere, il primo oggetto dato all’io è il suo proprio corpo e la percezione «è lo sfondo sul quale si staccano tutti gli atti ed è a questi presupposta» (Id., p. 19). Tuttavia, secondo il filosofo francese, il mondo non è un oggetto del quale si possegga la legge di costituzione, ma è l’ambiente naturale, l’orizzonte permanente di tutti i miei pensieri e di tutte le mie percezioni esplicite. Ciò conduce MerleauPonty a sostenere la necessità di eliminare «ogni sorta di idealismo scoprendomi come “essere al mondo “» (Id., p. 22). Lo stesso uomo che Husserl, aveva situato in un mondo da esso stesso intenzionato, diventa «un soggetto votato al mondo» (Id., p. 19). In questo esser votato dell’uomo al mondo, in questa vocazione mondana dell’uomo è la svolta in chiave esistenzialistica della fenomenologia di MerleauPonty ed il suo distacco dalla fenomenologia trascendentale costitutiva di Husserl. «Finora il Cogito svalutava la percezione dell’altro», scrive Merleau-Ponty, «mi insegnava che l’Io è accessibile solo a se stesso, giacché mi definiva per il pensiero che io ho di me stesso e che sono evidentemente il solo ad avere, almeno in questo senso ultimo. Perché l’altro non sia una parola vana, occorre che la mia esistenza non si riduca mai alla coscienza che io ho di esistere, ma che involga anche la coscienza che si può avere e dunque la mia incarnazione in una natura e la possibilità almeno di una situazione storica. Il Cogito deve scoprirmi in situazione, e solo a questa condizione la soggettività trascendentale potrà, come dice Husserl, es- 158 Empatia e consonanza intenzionale sere una intersoggettività» (Id., p. 21). In questo senso, per Merleau-Ponty, non occorre chiedersi se percepiamo veramente un mondo, bensì affermare che il mondo è ciò che noi percepiamo. Ma il mondo viene percepito partendo da quell’ unico punto di vista privilegiato che è il corpo proprio. La teoria analogica non aiuterebbe a comprendere ed ammettere l’altro, poiché essa presupporrebbe ciò che deve spiegare. Le varie e possibili correlazioni osservate, infatti, tra la mimica personale e quella altrui, «fra le mie intenzioni e le mie mimiche», possono fornire un filo conduttore nella conoscenza dell’altro, ma quando la percezione diretta fallisce, essa non è in grado di insegnarmi nulla: «fra la mia coscienza e il mio corpo quale lo vivo, fra questo corpo fenomenico e quello altrui come lo vedo dall’esterno, esiste una relazione interna che fa apparire l’altro come il coronamento del sistema. L’evidenza dell’altro è possibile perché io non sono trasparente per me stesso e perché la mia soggettività si trascina dietro il suo corpo» (Id., p. 457). Se l’io, infatti, si autopercepisce unicamente come tale e dunque come soggetto universale, allora la percezione dell’altro non sarebbe possibile perché essa negherebbe l’universalità dell’Io. Ma ciò che fonda la soggettività dell’Io è anche ciò che in un certo senso anche la limita: il fatto, sostiene Merleau-Ponty, che l’“io sia dato”, cioè che si autopercepisca, implica il suo esser situato in un mondo innanzitutto fisico e quindi anche sociale; inoltre, che “l’io sia dato a se stesso” implica che l’io non è prigioniero di questo mondo nel quale si scopre situato, sicché «la mia libertà, il potere fondamentale che ho di essere il soggetto di tutte le mie esperienze, non è distinta dal mio inserimento nel mondo» (Id., p. 466). L’esperienza dell’altro è dunque connaturata all’esperienza personale ed entrambe sono raccolte in un unico mondo al quale partecipano come «soggetti anonimi della percezione», intendendo, per l’appunto, con percezione quell’atto precognitivo che caratterizza l’essere-nel-mondo dell’uomo: «una volta posto l’altro, una volta che lo sguardo dell’altro su di me, inserendomi nel suo campo, mi ha spogliato di una parte del mio essere, è facile comprendere come io non possa ricuperarla se non stringendo delle relazioni con l’altro, facendomi riconoscere liberamente da lui, e come la mia libertà esiga per gli altri la medesima libertà. Ma in un primo luogo si dovrebbe sapere in che modo ho potuto porre l’altro. In quanto sono nato, in quanto ho un corpo e un mondo naturale, io posso trovare in questo mondo altri comportamenti con i quali il mio si intreccia, come abbiamo spiegato prima. Ma parimenti, in quanto sono nato, in quanto la mia esistenza si trova già all’opera, si sa data a se stessa, tale esistenza rimane sempre al di qua degli atti in cui vuole impegnarsi, che non sono per sempre se non modalità sue, casi particolari della sua insuperabile generalità» (Id., p. 463). Indubbiamente la svolta esistenzialistica messa in atto dal filosofo francese è uno sviluppo insito alla stessa filosofia husserliana che, considerando l’intersoggettività nella sua strutturalità, presuppone un mondo di cose e di relazioni che nella loro realtà possono apparire anche preesistenti il soggetto, che si appercepisce solo entrando in rapporto con esse. Se, quin- 159 LE TESI I. Giannì percezione ed azione sono incorporate in processi sensoriomotori e le strutture cognitive emergono19 da schemi ricorrenti di questa attività. di, Merleau-Ponty considera esclusivamente il mondo e la sua realtà come l’unico orizzonte di ogni possibile senso per l’uomo, escludendo altri tipi di analisi, tuttavia in un rischio simile incorrono anche Lévinas e Ricoeur, i quali si soffermano ad analizzare in questo mondo non il medium dell’attività intenzionale del soggetto, ma il termine, non l’ambito del che cosa, ma l’ambito dell’ a chi. In quest’ottica il carattere fondante che viene assegnato all’altro, al tu della relazione originaria, satura lo spazio della relazione: infatti «è in me», scrive Paul Ricoeur (Sé come un altro, a cura di Daniela Iannotta, Jaca Book, 1993, p. 452), «che il movimento partito dall’altro compie la sua traiettoria: l’altro mi costituisce responsabile, cioè capace di rispondere. Così la parola dell’altro viene a porsi all’origine della parola attraverso cui io imputo a me stesso l’origine dei miei atti». Eppure, viene da chiedersi insieme a Laura Boella (op. cit., p. XXV), «se l’esperienza dell’altro è già da sempre avvenuta, se è l’esperienza in generale a essere costituita da e in una relazione, qual è la consistenza reale dell’incontro sempre diverso e sempre avventuroso con l’altro?». 19 Il riferimento è a quella corrente monistica definita come emergentismo per la quale, sulla scorta del principio di complessità, il mentale emerge ad un certo livello di organizzazione neurale. Nel dibattito neuroscientifico e neuropsicologica vengono interpretate essenzialmente come posizioni moniste quelle proprie del materialismo eliminitavistico o riduzionistico, del fisicalismo (a seconda della specifica declinazione che un autore sceglie per chiarire il proprio punto di vista), dell’emergentismo (quale sviluppo contemporaneo delle teorie connesionistiche), dell’epifenomenismo, del comportamentismo, della cosiddetta teoria dell’identità, del funzionalismo. Vengono interpretate come posizioni dualiste quelle proprie del dualismo interazionista, del parallelismo psico-fisico, del misterianesimo. Lo stesso neuroscienziato Francisco Varela sostiene l’importanza della teoria emergentista ed il contributo da essa dato nell’ambito delle teorie connesionistiche novecentesche sulla base dei fenomeni di autorganizzazione fisica e matematica. Lungi dall’essere considerato come una mera unità centrale di elaborazione logica o un sistema di archiviazione dell’informazione, il cervello viene considerato come sede di un’elaborazione che opera «sulla base di imponenti interconnessioni in forma distributiva, tali che le effettive connessioni fra i gruppi di neuroni siano modificate dall’esperienza» (F. J.Varela, E. Thomposon, E. Rosch, La via di mezzo della conoscenza, cit., p. 114). Nella teoria dell’emergenza non vengono utilizzati simboli o regole logiche nella costruzione di un sistema operativo di previsione, bensì componenti semplici che interagiscono connettendosi dinamicamente gli uni con gli costituendo una rete sempre piú complessa man mano che le interconnessioni daranno vita a nuove forme di proprietà: il passaggio da reti locali ad una coerenza del sistema a livello globale è il cuore, secondo Varela, «di ciò che, negli anni della cibernetica, si usava chiamare autorganizzazione» (Id., p. 115). 160 Empatia e consonanza intenzionale • I neuroni specchio sono davvero le basi neurofisiologiche dell’empatia? Il neuroscienziato Rizzolati, in realtà, precisa che «come per i singoli atti così per le intenzioni la risonanza motoria via sistema dei neuroni specchio non rappresenta l’unico modo possibile di comprendere l’agire altrui» (Rizzolati & Senigallia, 2006, p. 126). Pur tuttavia, neuroni motori con proprietà specchio sono stati osservati anche nelle aree cerebrali tradizionalmente considerate i luoghi delle emozioni, ovvero l’insula (area corticale primaria sia per «l’esterocezione chimica (olfatto e gusto), ma anche per l’enterocezione, ovvero la ricezione dei segnali relativi agli stati interni del corpo» (Rizzolati & Senigallia, 2006, p. 171) e l’amigdala. Dati clinici osservati e studiati con la tecnica di brain imaging mettono in evidenza come, ad esempio, «il provare disgusto e il percepire quello altrui abbiano un substrato comune, e che il coinvolgimento dell’insula sia in entrambi i casi fondamentale», e che questo disgusto non sembra inferito per deduzione o associazione. Ciò sembra per l’appunto sostenere che la comprensione degli stati emotivi altrui dipenda in buona sostanza da un meccanismo specchio «in grado di codificare l’esperienza sensoriale direttamente in termini emotivi» (Rizzolati & Senigallia, 2006, p. 177), nel mentre l’impossibilità o, per meglio dire, l’incapacità di comprendere le emozioni altrui sia strettamente connessa con l’incapacità di provarle in prima persona. Inoltre, non solo la percezione o vista diretta della sofferenza altrui, ma anche la sua semplice evocazione appare mediata da un meccanismo specchio. Ma è sufficiente condividere reazioni viscero-motorie con un altro per instaurarvi un rapporto empatico vero e proprio? Od ancora, si interroga Laura Boella, «capire che cosa pensa e che cosa sente un altro è forse una predisposizione organica, ampiamente studiata in ambito neuroscientifico, essenziale per il vivere insieme e tragicamente compromessa in malattie come l’autismo o la schizofrenia?» (Boella, 2006, p. 108). In realtà, supporre un medesimo meccanismo che sottostà 161 LE TESI I. Giannì tanto alla percezione delle azioni quanto alla percezione delle emozioni solleva la questione epistemologica della validità di questa «matrice funzionale comune» (Rizzolati & Senigallia, 2006, p. 183). Esistono casi, infatti, in cui l’empatia sembra fallire, ed in cui, di conseguenza sembra fallire anche la risonanza emotiva del rispecchiamento, del riconoscimento. Sono i casi che Boella, sulla scorta della lezione di Edith Stein, ha classificato come illusioni di empatia ed empatia negativa (sebbene in quest’ultimo caso l’interpretazione della filosofa italiana differisca in parte da quella di Stein: per Boella l’empatia negativa è un caso particolare di empatia; mentre per Stein non si tratterebbe di vera empatia). Nel primo caso, si tratta non di errore nella comprensione dello stato emotivo dell’altro (questo significherebbe parlare di empatia in termini cognitivi, il che non è possibile), ma di «una mancata o difettosa accettazione di ciò che è reale»(Boella, 2006, p. 112), ovvero del modo in cui la realtà può entrare nel contesto della nostra esperienza. Sicché sbagliarsi nel movimento empatico è, per la studiosa, «interrompere il sentire nel suo cammino orientato verso l’incontro con l’altro» (Boella, 2006, p. 112), ovvero «la direzione del sentire resta rivolta verso di sé», ostacolando l’accettazione della situazione o delle intenzioni dell’altro. Nel secondo caso, quello dell’empatia negativa, ovvero di un atto empatico che non richiede di essere vincolato a giudizi di valore positivi o negativi che riguardino l’altro, l’empatia può scontrarsi con la non accettazione radicale dei valori di una persona, sicché dalla distinzione positiva tra l’io e l’altro, dalla quale si genera il riconoscimento, si può passare alla distanza che oppone negativamente l’io e l’altro. Se l’illusione dell’empatia può essere risolta con l’esercizio dell’empatia stessa, l’empatia negativa può essere risolta con lo sviluppo in senso etico della relazione, per cui sentire l’altro, comprendere l’altro, proprio perché non deve implicare atti cognitivi, non significa perdonare: «la volontà di comprendere», scrive Boella, «ben lungi dal perseguire assoluzioni o dal ricercare giustificazioni del male commesso, di un 162 Empatia e consonanza intenzionale evento accaduto, è animata dal desiderio, che prende anche la forma di un’assunzione di responsabilità, di rilanciare il legame con il mondo in cui viviamo, chiedendosi – e chiedendo- il perché di determinati comportamenti» (Boella, 2006, p. 118). In questi casi i neuroni specchio si attivano a livello sensorimotorio? Giocano un ruolo come base neurofisiologica dell’empatia? Indubbiamente gli studi di brain-imaging20 hanno evidenziato l’importanza della considerazione di un terreno esperienziale condiviso dai soggetti, ovvero dell’importanza e del valore delle emozioni e dell’affettività durante esperimenti che avevano come obbiettivo l’osservazione del comportamento dei neuroni nelle aree che pongono capo al sistema propriocettivo, ovvero al sistema coinvolto nella formazione «della consapevolezza del sé fisico come entità senziente» (Ibidem), della consapevolezza del sé come unità di corpo vivo e psiche. Ma queste aree sono proprio «quelle dell’esperienza soggettiva affettiva (anticipazione, ansietà) 20 Il movimento astratto dalla complessità del vivente, fissato nella sequenza di mere oggettivazione di istanti, come nel caso delle neuro-imaging, ha in sé, infatti, il rischio di essere ridotto dall’ambito del vissuto all’ambito matematico delle cosiddette “traslazioni misurabili”. Sostiene in questo senso Federico Leoni [Il gesto fotografico. Note per un’archeologia della neurologia, in Neurofenomenologia, cit., pp. 211232] che «la decontestualizzazione semplicemente “ottica” ha, infatti, il caratteristico effetto d’isolare il movimento dall’oggetto cui è rivolto, dal mondo che gli fa da sfondo, dal corpo che lo compie: quindi, complessivamente, da ciò che la fenomenologia definirebbe come il suo carattere intenzionale» (Id., p. 224). Al paradosso nel quale si può incorrere spazializzando ciò che appartiene all’ambito della durata, continua lo studioso, si può porre rimedio considerando sempre gestalticamente l’Umwelt nella cui attualità il soggetto e l’oggetto s’incontrano. E ciò è infine possibile considerando il corpo (l’oggetto) non solo una struttura biologica, ma soprattutto una struttura significante o semantica (in base alla definizione di Alberto G. Biuso, Il corpo come macchina semantica. Una prospettiva fenomenologica sull’intelligenza artificiale, in Neurofenomenologia, cit., pp. 233-247), costruttiva e non solo rappresentativa, rispetto alla quale il suo limite estremo e coinvolgente, la pelle, «rappresenta la sensibilissima antenna dell’accadere intorno a noi» (Id., p. 235). Il che non è distante dal concetto varelano di enazione, nella misura in cui con tale concetto s’intende la «produzione e creazione del senso del mondo da parte dell’osservatore, per mezzo di un’attiva partecipazione senso-motoria» (Id., p. 238). 163 LE TESI I. Giannì risultante da ri-rappresentazioni corticali della rappresentazione dello stato fisiologico interno corporeo, anatomicamente situata in aree del cervello come l’insula e la corteccia senso-motoria» (Ibidem): il neurone è pur sempre anche embodied. Tuttavia, aggiunge ancora Gallese, «ciò che ci rende chi siamo», come del resto aveva osservato Husserl, «non è solo il possesso di meccanismi nervosi condivisi, ma anche un percorso storico individuale fatto di esperienze soggettive uniche e particolari» (Gallese, 2007, p. 205), per cui, con Boella, si può affermare che «l’evidenza […] neurobiologica di cui si dice che fornirebbe la “base” dell’empatia può essere considerata una componente (non l’unica) di una capacità di base consistente in quel rispondersi dei corpi a partire da una comune inerenza a un sistema di reciprocità e reversibilità tra il sé e il mondo»21 (Boella, 2006, p. 338). Bibliografia Anzieu D. (1987). L’io-pelle. Roma: Borla. Bertossa F., & Ferrari R. (2006). Meditazione di presenza mentale per le scienze cognitive. Pratica del corpo e metodo in prima persona. In M. Cappucci (Ed.). Neurofenomenologia. Le scienze della mente e l’esperienza cosciente (pp. 271-291). Milano: Bruno Mondadori. Bear M. 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