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Ricerche sull’arte a Napoli in età moderna saggi e documenti 2020-2021 annali della fondazione de vito FONDAZIONE GIUSEPPE E MARGARET DE VITO PER LA STORIA DELL’ARTE MODERNA A NAPOLI Ricerche sull’arte a Napoli in età moderna saggi e documenti 2020-2021 Ricerche sull’arte a Napoli in età moderna redazione paola rivazio art director enrica d’aguanno Comitato di redazione Nadia Bastogi Riccardo Naldi Giuseppe Porzio Renato Ruotolo grafica franco grieco Fondazione Giuseppe e Margaret De Vito per la Storia dell’Arte moderna a Napoli via della Casa al Vento, 1774 50036 Vaglia (Firenze) www.fondazionedevito.it fondazione@fondazionedevito.it in copertina Simon Vouet San Giacomo maggiore Collezione Intesa Sanpaolo | Napoli, Gallerie d’Italia certificazione qualità ISO 9001: 2015 www.artem.org stampato in italia © copyright 2021 by fondazione de vito artem srl tutti i diritti riservati Comitato scientifico Gabriele Finaldi Mina Gregori Renato Ruotolo Erich Schleier Sebastian Schütze Referenze fotografiche Archivi Alinari, Firenze, pp. 155, 219 Archivio della famiglia Caimo, Lauria, p. 37 Archivio dell’arte | Pedicini fotografi, Napoli, pp. 22-23, 25, 26 a destra, 27 a destra, 28, 32, 34 a destra, 35 a sinistra, 39, 72, 74, 80, 82-84, 86, 170, 187, 193, 214 Archivio della Soprintendenza ABAP per il Comune di Napoli, pp. 85, 217-218 Archivi fotografici dei Musei, Biblioteche e Archivi del Castello Sforzesco, Milano, p. 98 Archivio fotografico della chiesa matrice di Castellana, pp. 188-191 Archivio patrimonio artistico Intesa Sanpaolo | Pedicini fotografi, Napoli, p. 6 Archivio patrimonio artistico Intesa Sanpaolo | Fabio Speranza, Napoli, copertina, p. 68 Balclis, Barcelona, p. 139 a destra Bayerische Staatsgemäldesammlungen, pp. 117, 121 Biblioteca Nacional de España, Madrid, p. 38 in alto Cambi Aste, Genova, p. 111 Christie’s Image Limited, pp. 106, 109 Arrigo Coppitz, Firenze, pp. 20 in alto a sinistra e in basso, 21, 24, 26, 27 a sinistra, 29-30, 33, 34 a sinistra, 35 a destra Giacomo D’Aguanno, Palermo, pp. 119-120 DVArt di Davide Frangione, Palazzo San Gervasio, p. 144 Fondazione Cavallini-Sgarbi, p. 116 Fotógrafos Oronoz, Madrid, p. 154 Fototeca della Direzione regionale Musei Campania, pp. 50, 54-62, 70 Fototeca della Direzione regionale Musei Toscana, p. 40 Fototeca della Fondazione De Vito, Vaglia, pp. 156, 157, 160, 165, 167-169 Fototeca della Fondazione Federico Zeri-Università di Bologna, p. 164 a destra Fototeca del Kunsthistorisches Institut in Florenz, p. 20 in alto a destra © Gabinetto fotografico delle Gallerie degli Uffizi, Firenze, pp. 41, 94, 97 Galleria Carlo Virgilio & C. | Arte fotografica, Roma, p. 18 Claudio Giusti, Lastra a Signa, p. 118 © Liechtenstein. The Princely Collections, Vaduz-Vienna, p. 233 Antonio Lombardo, Napoli, pp. 76-77 Musée des Beaux-Arts, Bordeaux | F. Deval, p. 150 National Gallery of Art, Washington, DC, under Creative Commons Zero (CC0), p. 108 ÖNB (Austrian National Library), pp. 222, 224 Opificio delle Pietre Dure, Firenze | su concessione del MiC, p. 96 Ph. Naos, su concessione della Direzione regionale Musei Calabria | Galleria nazionale di Cosenza, p. 166 Rijksmuseum, Amsterdam, p. 232 RMN-Grand Palais (Château de Fontainebleau) | Daniel Arnaudet, p. 240 Sotheby’s, New York, p. 145 © Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali | Museo Napoleonico, Roma, p. 246 State Pushkin Museum of Fine Arts, Moscow, pp. 139 a sinistra, 228-229, 231 © The Metropolitan Museum of Art | Art Resource | Scala, Firenze, p. 110 © The Metropolitan Museum of Art, New York, p. 43 The Morgan Library & Museum, New York, p. 216 The National Gallery, London, p. 100 Universitätsbibliothek Heidelberg, p. 225 Wadsworth Atheneum Museum of Art, Hartford, p. 101 Wienbibliothek im Rathaus, Druckschriftensammlung, pp. 226-227 © per le immagini Ministero della Cultura; musei ed enti proprietari delle opere Sommario 7 Renato Ruotolo Ricordo di Antonio Delfino 9 Lucia Giorgi Ambrogio Attendolo architetto: gli interventi nelle fortificazioni di Capua e Castel Volturno e il progetto del castello di Calvi 19 51 69 73 95 Riccardo Naldi, Lorenzo Principi Da Michelangelo a Giovanni da Nola. Una proposta per gli Angeli del sepolcro di Pedro de Toledo Lothar Sickel Tommaso Laureti nella sagrestia della certosa di San Martino a Napoli. Un progetto ambizioso ‘rubato’ da Giuseppe Cesari d’Arpino 137 Mauro Vincenzo Fontana Tasselli stanzioneschi. Giuseppe Marullo a Montecassino e Giuseppe Piscopo a Palazzo San Gervasio 151 Antonia Liberto Sulla tela e sulla scena. L’iconografia della zingara fra arte e teatro nella Napoli di età moderna 177 Clara Gelao Qualche precisazione su Andrea e Giuseppe Magliar e un ciclo di dipinti di Gaetano Magliar e Innocenzo Roppoli a Castellana Grotte 200 Christian De Letteriis Marmi napoletani in Martina Franca: le opere di Aniello e Gaspare Cimafonte, Giuseppe Astarita, Antonio Di Lucca 215 Ugo Di Furia Un disegno di Fedele Fischetti e i pennacchi perduti della Santissima Annunziata di Napoli 223 Katharina Leithner Carlo Mechetti: A Viennese Merchant and Collector of Neapolitan Art 241 Silvestra Bietoletti Ritratti di famiglia nel salotto fiorentino dell’ex regina di Napoli Carolina Murat Bonaparte 250 Indice dei nomi a cura di Luigi Abetti Giuseppe Porzio Un nuovo Vouet per Napoli Bianca Stranieri La cappella Manso in San Lorenzo Maggiore. Le storie della Passione, l’altare e il crocifisso ritrovati Nadia Bastogi Novità su un gruppo di dipinti di Artemisia Gentileschi per Cosimo II de’ Medici 107 Giuseppe Porzio Artemisia a Napoli. Nuovi dipinti, vecchie questioni 125 Miriam Di Penta Per Pietro Pesce, pittore e sodale di Micco Spadaro 94 NADIA BASTOGI Nadia Bastogi Novità su un gruppo di dipinti di Artemisia Gentileschi per Cosimo II de’ Medici Il soggiorno fiorentino di Artemisia Gentileschi, iniziato nel 1613 grazie alla protezione di Cristina di Lorena, vedova del granduca Ferdinando I e madre di Cosimo II, si protrasse fino ai primi mesi del 1620. Esso rappresentò, com’è noto, una tappa di primaria importanza, non solo per la sua maturazione e il prolifico rapporto di dare e avere con gli artisti della città medicea, per molti versi ancora da precisare, ma altresì per gli scambi fra Roma, Firenze e Napoli, città nelle quali si svolse per la maggior parte l’attività artistica della “pittora”1. Durante questo periodo Artemisia intrattenne stretti rapporti con la corte medicea del granduca Cosimo II, caratterizzata da un’apertura cosmopolita e da interessi rivolti all’arte, alla musica, al teatro e alle scienze, e non mancò di stringere relazioni con personaggi di spicco del milieu intellettuale mediceo, quali Michelangelo Buonarroti il Giovane e Galileo Galilei2. La committenza di Cosimo II rivolta agli artisti non fiorentini e il suo apprezzamento per il naturalismo caravaggesco, che avrebbero visto la presenza a Firenze di pittori come Filippo Napoletano e Battistello Caracciolo3, nonché l’acquisto di opere sul mercato romano quali i quattro dipinti di Gerrit von Honthorst e di Bartolomeo Manfredi con concerti e scene a lume di notte4 e numerose tele di natura morta5, trovò un momento particolarmente significativo nel lungo soggiorno in città di Artemisia. Cosimo si rivelò oltre che un indubbio estimatore della pittrice, favorendone anche l’iscrizione all’Accademia del Disegno, un attento e pronto committente. Grazie ad alcuni nuovi documenti della Guardaroba Medicea, si può infatti assegnare definitivamente al soggiorno fiorentino ed alla committenza di Cosimo un importante gruppo di dipinti di Artemisia e se ne può precisare la datazione al periodo immediatamente seguente il suo arrivo a Firenze e l’originaria collocazione nella Villa Medicea di Artimino. Sappiamo che l’interesse del Granduca, oltre che verso l’arredo di Palazzo Pitti, di cui aveva iniziato l’ampliamento con la costruzione dell’ala nord e nel quale avrebbe costituito una Galleria di dipinti, si rivolse a villa La Ferdinanda di Artimino, creatura del padre Ferdinando I, che l’aveva fatta edificare da Bernardo Buontalenti arredandola riccamente con ogni cura6. Frequentata spesso dalla corte per le battute di caccia sul Montalbano, luogo di amene villeggiature e di ricevimento di ospiti importanti, il nuovo Granduca vi fece trasferire diversi quadri consoni al suo gusto. Un libro di entrate e uscite della Guardaroba generale di Cosimo II documenta l’8 di luglio 1615 l’invio al guardarobiere della villa di Artimino Dionigi Marmi “per servitio di quel Palazzo” di alcuni dipinti e oggetti, fra i quali figurano: “un quadro in tela alto braccia 1½ largo braccia 1¼ dipintovi dentro una Santa Caterina martire con adornamento nero filettato d’oro”, “un quadro simile con adornamento simile dipintovi dentro una giovane che suona il liuto alquanto piu largo”, “un quadro simile dipintovi dentro una Bradamante alto braccia 1¾ largho braccia 1½”, “un quadro simile dipintovi dentro una Santa Maria Maddalena alto braccia 2¾ largo braccia 2¼”7. Pur non essendo menzionato l’autore delle quattro opere, i soggetti, l’indicazione delle misure e la descrizione delle cornici permettono di individuarle senza dubbio con il gruppo di dipinti di Artemisia Gentileschi, tre dei quali identificabili con opere note, che, come ho documentato in altra occasione sulla base dei riscontri inventariali, sono registrati ad Artimino a partire dall’inventario redatto nel 1620, il primo che ci dà conto degli accrescimenti rispetto all’allestimento di Ferdinando ‘fotografato’ dall’inventario redatto alla sua morte nel 1609; si tratta della Conversione della Maddalena, oggi conservata nella Galleria Palatina, NOVITÀ SU UN GRUPPO DI DIPINTI DI ARTEMISIA GENTILESCHI 95 a pagina 94 1. Artemisia Gentileschi Conversione della Maddalena Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria Palatina 2. Radiografia della Santa Caterina d’Alessandria di Artemisia Gentileschi alla Galleria degli Uffizi Firenze, Archivio Opificio delle Pietre Dure 96 della Santa Caterina delle Gallerie degli Uffizi, della Suonatrice di liuto ora allo Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford e di un perduto dipinto raffigurante Bradamante8. Il documento permette, dunque, di stabilire l’appartenenza di queste opere al periodo fiorentino di Artemisia e le riconduce alla committenza di Cosimo II con una nuova datazione, consentendoci di porne l’esecuzione tra il suo arrivo a Firenze nel 1613 e il luglio del 1615 (termine ante quem). Questa dovette probabilmente scalarsi fra il 1614 e la prima metà del 1615. È molto probabile, infatti, che proprio alcune di esse fossero le tele citate in altri due documenti della Guardaroba, tra quei “tre quadri” che Artemisia Lomi “fa di sua mano per servizio di Sua Altezza Serenissima” e per i quali il 29 ottobre 1614 le veniva corrisposta un’oncia di azzurrite9. Cosimo, inoltre, acquisì la villa di Artimino proprio dopo la morte, NADIA BASTOGI avvenuta nell’aprile del 1614, del fratello, il principe don Francesco, a cui essa era passata in eredità alla morte di Ferdinando. È quindi presumibile che solo a partire da quel momento abbia pensato di caratterizzare la dimora con dipinti e oggetti più vicini al suo gusto, come i quadri di Artemisia. Tale nuova acquisizione sulla cronologia delle opere, che anticipa quella finora proposta dalla critica, rende anche ragione della vicinanza stilistica di questi dipinti generalmente messa in luce dagli studi. Nel loro insieme c’è da notare che si tratta di quattro opere dalle caratteristiche iconografiche peculiari, raffiguranti singoli personaggi femminili di ambito sacro e profano, esempi di virtù e di valore, testimonianze di una femminilità attiva, che presentano i tratti fisionomici di Artemisia. Quest’ultimo aspetto, più volte concordemente supposto dalla critica per i quadri noti, è stato confermato, come si è scritto, da alcuni inventari seicenteschi che specificano trattarsi di rappresentazioni della pittrice fatte “di sua mano”, quindi autoritratti o, più correttamente, ‘autorappresentazioni’ in vesti diverse10. La bellissima tela della Palatina con la Conversione della Maddalena (fig.1) firmata “Artimisia Lomi”11 è infatti registrata ad Artimino fin dal 1620 come “un quadro in tela di Santa Maria Maddalena con adornamento simile [nero filettato d’oro] alto braccia 2¾ largo braccia 2 ” e descritta più dettagliatamente nell’inventario del 1683 che specifica “dipintovi Artemisia Lomi da Santa Maria Maddalena in abito giallo, con testa di morte e specchio avanti”12 e in quello ancor più analitico del 1775; ciò testimonia che Artemisia si era ritratta nelle vesti della santa e ne conferma l’identificazione con il dipinto di Pitti. Qui la Maddalena, ancora al colmo della sua florida bellezza e lussuosamente abbigliata come una cortigiana, è raffigurata nel travagliato momento della meditazione da cui scaturisce la scelta virtuosa di rinuncia a una vita di peccato, mentre allontana lo specchio alludente alla vanità dei piaceri terreni e apre il suo cuore con un’espressione e un gesto di turbata contrizione. Considerata senz’altro una delle opere più raffinate e pittoricamente ricche eseguite da Artemisia a Firenze13, connotata dal frusciante panneggio giallo costruito con liquide sciabolate di luce, la tela è stata datata dalla maggior parte della critica tra il 1616 e il 1620. Essa era infatti ritenuta successiva all’esecuzione dell’Allegoria dell’Inclinazione di Casa Buonarroti (documentata tra l’agosto del 1615 e lo stesso mese del 1616)14, con la quale mostra una stretta vicinanza, e riflesso della maturazione di Artemisia a contatto con l’ambiente fiorentino15. La datazione al 1614-1615 rovescia i termini della questione ponendo la Maddalena quale precedente per la più contemplativa fanciulla dell’allegoria e mostrando la ricchezza del linguaggio di Artemisia già a queste date. Essa documenta, inoltre, la precedenza della committenza granducale rispetto a quella del Buonarroti. L’appartenenza della tela al gruppo delle opere eseguite nel primo periodo fiorentino ne accentua l’importanza per i precoci scambi con i pittori della città medicea, fra i quali Cristofano Allori, legato ad Artemisia anche da un rapporto di amicizia, e, soprattutto, per la ricezione nell’ambiente cittadino di elementi caravaggeschi e romani. La straordinaria teatralità del taglio e dell’ambientazione, il sontuoso pittoricismo delle vesti e la floridezza delle carni, nonché la marcata espressività del tipo femminile, caratterizzeranno tante eroine della pittura del Seicento fiorentino e non solo, come conferma anche l’influenza avuta successivamente da Artemisia sugli artisti napoletani grazie alla sua presenza nella città partenopea dal quarto decennio16. Il fatto che il volto della Maddalena sia da considerarsi un autoritratto e che la committenza spetti a Cosimo non esclude che potesse trattarsi, come è stato supposto, di un omaggio alla consorte del granduca Maria Maddalena d’Austria17, a cui tale soggetto era particolarmente caro; allo stesso modo la straordinaria ricchezza dell’opera ben si presterebbe a testimoniare la volontà di Artemisia dopo l’arrivo a Firenze di dimostrare alla corte le proprie capacità e le novità della sua pittura18. La stessa Maria Maddalena conserverà nella sua Villa di Poggio Imperiale un’altra opera perduta della Gentileschi, documentata dagli inventari a partire dal 1625: un ovale in rame di poco meno di un braccio con la figura a mezzo busto di “Sant’Apollonia con tanaglie in mano” e “panno avvolto in testa”, “dell’Artemisia Lomi pittora”19 (un altro autoritratto?), il cui prezioso supporto riconduce al gusto affermatosi con Cosimo II e dunque agli anni del suo soggiorno nella città medicea. Il nostro documento della Guardaroba ci aiuta anche a meglio individuare in Bradamante il soggetto del dipinto più originale della serie, oggi perduto, già definito dalla critica come un Autoritratto in veste di amazzone sulla base delle descrizioni degli inventari della villa: quello del 1620, che lo registra come “un quadro in tela con adornamento nero filettato d’oro alto braccia 1¾ largo braccia 1 entrovi una donna con il morione che caccia mano alla spada”, restituendoci il gesto quasi minaccioso della figura, ben coerente con lo spirito della Gentileschi, e quello del 1638, già segnalato da Papi, dove lo si descrive come un quadro “entrovi dipinto l’Artemisia Pittrice in abito d’amazzone con spada, rotella e morione”, confermando, anche in questo caso e a una data precoce, che si trattava di un autoritratto20. NOVITÀ SU UN GRUPPO DI DIPINTI DI ARTEMISIA GENTILESCHI 3. Artemisia Gentileschi Santa Caterina d’Alessandria Firenze, Gallerie degli Uffizi 97 4. Antonio Tempesta Bradamante valorosa acquaforte Milano, Castello Sforzesco, Civica raccolta delle stampe Achille Bertarelli 98 Ancora più dettagliata è la inedita descrizione dell’ultimo inventario del 1775 che dice “dipintovi fino sotto alla cintola il Ritratto della Artemisia Lomi pittrice vestita da ammazzone con spada nella destra, nudo il braccio sinistro, cimiero con penne in testa, manto giallo al braccio destro”. Bradamante è uno dei personaggi femminili più importanti del poema Orlando furioso di Ariosto, già presente anche nell’Orlando innamorato del Boiardo. Si tratta di una donna guerriera, paladina dell’esercito cristiano di Carlo Magno e innamorata di Ruggiero, per raggiungere il quale è partecipe di infinite avventure e che alfine sposerà spingendolo alla conversione cristiana. Ella anticipa per molti caratteri la Clorinda della Gerusalemme liberata del Tasso ed è una donna celebrata per il suo valore militare e per la nobiltà NADIA BASTOGI d’animo, che si riflettono nella bellezza fisica, ancorché fuori dai canoni di genere. Nelle poco frequenti raffigurazioni che la vedono protagonista è rappresentata in abbigliamento guerriero, come nell’incisione di Antonio Tempesta titolata “Bradamante valorosa”, del 1597 circa (fig. 4), in cui la fanciulla cavalca il suo destriero. Il dipinto di Artemisia la raffigurava invece a mezzo busto indossante il morione, lo scudo e la corazza e con la mano poggiata sull’elsa della spada, secondo un’iconografia genericamente interpretata come quella di un’amazzone dal redattore dell’inventario di Artimino. I temi e i personaggi del poema ariostesco e dell’epica cavalleresca erano, come sappiamo, assai cari alla corte medicea e popolarono diversi dipinti fiorentini degli anni di Cosimo II e le successive commissioni del Cardinal Carlo e di Maria Maddalena21. Allo stesso modo li ritroviamo nelle rappresentazioni musicali e teatrali messe in scena a corte, quali lo Sposalizio di Medoro et Angelica, andato in scena nel 1619 nel salone di Palazzo Pitti, o la famosa Liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina di Francesca Caccini, su libretto di Ferdinando Saracinelli, che fu rappresentata ormai nel 1625 al Poggio Imperiale per Maria Maddalena d’Austria, incentrata sulle figure dell’universo femminile ariostesco22. Artemisia stessa doveva conoscere il poema di Ariosto, o perlomeno le sue derivazioni liriche e musicali, se cita alcuni versi dell’Orlando furioso (X, 7, vv. 1-4) in una lettera del 9 maggio 1620 all’amante fiorentino Francesco Maria Maringhi23. Nell’inventario di Artimino del 1620 il dipinto con Bradamante è posto insieme ad un’altra tela di uguali misure e cornice raffigurante una Santa Caterina d’Alessandria. Le due opere sono registrate sotto un’unica voce, secondo un uso riservato a dipinti di una stessa serie o eseguiti in pendant: “dua quadri in tela con adornamenti neri filettati d’oro alti braccia 1¾ larghi braccia 1 che in uno entrovi Santa Caterina delle Ruote e nel altro una donna con il morione che mette mano alla spada”24. Citata anche nei successivi inventari seicenteschi di Artimino come una “Santa Caterina Vergine e Martire”, essa è sicuramente identificabile con la Santa Caterina d’Alessandria di Artemisia ora agli Uffizi (fig. 3), grazie all’analitica descrizione del 1738 in cui la santa risulta “con palma in mano, ed un pezzo di ruota, sopra la quale posa la sinistra”25 e all’inedita menzione dell’inventario del 1775 che riporta “dipintovi fino alla cintola il Ritratto di Artemisia Lomi, rappresentante Santa Caterina delle Ruote”, confermando anche in questo caso una tradizione che vi identificava l’effigie della pittrice. Segnalato nella Galleria dell’Accademia solo alla fine dell’Ottocento come opera di un seguace di Artemisia e restituito alla Gentileschi da Luciano Berti e da Evelina Borea, che lo espose alla mostra del 197026, il dipinto era stato ritenuto generalmente dalla critica un probabile autoritratto e posto nel periodo fiorentino con una ipotetica committenza granducale27. La mancanza di documentazione aveva portato, tuttavia, ad una oscillazione cronologica tra la precocità assegnatagli da Garrand e da Bissell28, che lo ritenevano del 1614-1615, e altri studiosi che più recentemente, sottolineandone la vicinanza con la Maddalena, finora considerata più tarda, ne posticipavano l’esecuzione tra il 1616 e il 162029. I documenti attestano, dunque, che anche in questo caso si tratta di una delle prime opere eseguite da Artemisia a Firenze e rendono ragione della notata vicinanza con la Maddalena e la Suonatrice di liuto. Sia la Bradamante che la Santa Caterina erano poste al primo piano della villa, nell’appartamento granducale, e c’è da pensare che il carattere deciso con cui è raffigurata la santa, già definita dalla Borea “una lottatrice scarmigliata e focosa”30, con lo sguardo intenso e quasi corrucciato, ben si accordasse con l’interpretazione che Artemisia doveva aver dato della guerriera Bradamante. In occasione del recente restauro della tela condotto dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, le indagini diagnostiche hanno rivelato l’esistenza di una prima versione dipinta, dove la santa al posto della preziosa corona regale indossa un copricapo orientale di panno ed ha lo sguardo rivolto all’osservatore31 (fig. 2). È lo stesso abbigliamento e la medesima posa che vediamo nel dipinto di Artemisia con Santa Caterina d’Alessandria alla National Gallery di Londra (fig. 5), di analoghe misure, datato dalla critica al periodo fiorentino, tra il 1615 e il 1617, ed anch’esso oggetto di un restauro da parte del museo britannico. Le indagini hanno rivelato anche per questa tela l’uso di un medesimo cartone e un’analoga tecnica esecutiva, portando a ipotizzare verosimilmente una realizzazione nello stesso periodo del quadro degli Uffizi32. Ciò posto, è dunque da arretrare ad una data prossima al 1614-1615 anche la tela londinese. Un simile copricapo a turbante appare anche in un altro dipinto di Artemisia in collezione privata, un Autoritratto come santa martire33, anch’esso forse da identificare come una Santa Caterina e da considerarsi eseguito verosimilmente nello stesso giro d’anni. In queste opere la presenza del turbante mostra, infatti, a mio parere, la volontà della pittrice di interpretare con maggior aderenza realistica la provenienza orientale della santa da Alessandria d’Egitto, mettendone al tempo stesso in luce l’aspetto della sapienza con l’allusione all’iconografia della Sibilla. Le radiografie del dipinto non indicano con certezza se nella prima versione della Santa Caterina degli Uffizi dal turbante fossero visibili anche le punte di una corona, come nella tela di Londra, e se al posto della ruota la santa appoggiasse la mano su un libro, come è stato ipotizzato, lasciando aperta la possibilità che potesse trattarsi in origine di una Sibilla34. Credo tuttavia che, essendo anche il libro attributo di Santa Caterina e ricorrendo tale copricapo nell’iconografia gentileschiana della santa, più facilmente si possa pensare anche per la prima versione a una raffigurazione della martire egizia, poi trasformata nell’abbigliamento e nella più esplicita presenza della ruota. Certo è che la preziosa corona, giustamente associata a quella granducale raffigurata nel ritratto di Cristina di Lorena di Scipione Pulzone del 1590 (ora agli Uffizi) e ricca di riferimenti all’araldica medicea35, acquista nel dipinto grandissima importanza. Si è supposto che tale modifica fosse in relazione con Maria Maddalena moglie di Cosimo36 o che fosse un omaggio a Caterina, sorella di Cosimo II, di cui al tempo si progettava un illustre matrimonio37. Credo tuttavia più probabile un’allusione a Caterina de’ Medici Regina di Francia anche in ragione della destinazione della tela in una delle camere dell’appartamento del Granduca dove si trovava nell’inventario topografico di Artimino del 162038. È nota infatti la forte devozione per la santa coltivata dal Cosimo e da Cristina di Lorena in quanto NOVITÀ SU UN GRUPPO DI DIPINTI DI ARTEMISIA GENTILESCHI 99 5. Artemisia Gentileschi Santa Caterina d’Alessandria Londra, The National Gallery 100 NADIA BASTOGI 6. Artemisia Gentileschi Autoritratto come suonatrice di liuto Hartford, Wadsworth Atheneum Museum of Art NOVITÀ SU UN GRUPPO DI DIPINTI DI ARTEMISIA GENTILESCHI 101 omonima di Caterina de’ Medici, zia della Granduchessa e sua precettrice e protettrice. Il riferimento al turbante orientale poté apparire poco adeguato mentre più consone dovettero sembrare l’esaltazione della regalità allusiva all’illustre regina Medici e la chiarezza iconografica data dalla rappresentazione dello strumento del martirio. Il secondo dipinto citato nel documento del 1615 come “una giovane che suona il liuto”, di proporzioni un po’ più larghe della Santa Caterina, corrisponde alle menzioni inventariali che ricordano nella villa di Artimino nel 1638 “un quadro in tela alto braccia 1½ largo braccia 1¼ con adornamento nero filettato d’oro, entrovi dipinto il ritratto dell’Artimisia di sua mano che suona il liuto”39, già identificato da Gianni Papi con il bellissimo quadro ora al Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford40 (fig. 6). Esso è presente anche successivamente nell’inventario del 1683, che conferma trattarsi di un autoritratto, descritto come un quadro “dipintovi Artemisia Lomi che sona il leuto fatto di sua mano”, mentre alla fine del Settecento, in seguito all’alienazione della villa di Artimino nel 1781, lo ritroviamo al Poggio Imperiale registrato come una “donna con panno in testa, seno scoperto, sonante corpo di liuto”41. Sulla base di questi documenti Gianni Papi metteva giustamente in evidenza l’importanza del ritratto come sicuro appiglio per il riconoscimento dei tratti somatici di Artemisia ravvisabili in altri dipinti e ne ancorava l’esecuzione al periodo fiorentino, collegandolo alla committenza granducale42. Tutta la critica successiva si era orientata in questo senso, con una datazione oscillante tra il 1615 e il 1618, ritenendola generalmente, come la Maddalena, successiva all’Inclinazione di Casa Buonarroti43. Unanime è stato il riconoscimento della qualità della pittura nella sottigliezza dei passaggi di luce, nell’incisività naturalistica degli oggetti e dei particolari, nei raffinati accostamenti cromatici e nella resa delle seriche stoffe con un vibrante pittoricismo. Tali raggiungimenti di Artemisia, che per la critica mostravano la maturità acquisita dall’artista dopo i primi anni del soggiorno fiorentino, devono essere, anche in questo caso, anticipati in relazione alla nuova datazione. Le recenti indagini in occasione del restauro delle due versioni della Santa Caterina d’Alessandria 102 NADIA BASTOGI agli Uffizi e alla National Gallery di Londra ci rivelano che anche per la figura dell’Autoritratto come suonatrice di liuto Artemisia sia avvalse dello stesso cartone usato per la prima versione della martire egizia con il turbante nel quadro fiorentino e per la santa di Londra, confermando una cronologia ravvicinata di tali opere44. Il periodo 1614-1615 si rivela dunque cruciale per l’evoluzione del linguaggio della “pittora” a Firenze e per i suoi rapporti con la corte medicea e con Cosimo II in particolare. Interessante ci appare anche l’inconsueto soggetto della raffigurazione, che certo, come è stato notato, prende a riferimento i dipinti con giovani musici di Caravaggio45, mettendo tuttavia in scena una figura femminile e, in particolare, la pittrice stessa. Si può inoltre notare come non vi compaiano né lo spartito che la fanciulla starebbe suonando né altri oggetti di tipo simbolico, quasi a voler suggerire la raffigurazione di un’improvvisazione musicale in un contesto di intimità, che crea un diretto rapporto con il riguardante, reso complice dallo sguardo della donna. Della suonatrice di liuto colpisce, inoltre, l’esattezza della rappresentazione dello strumento, indicativa di una conoscenza non generica da parte dell’artista e, soprattutto, il suo copricapo a turbante in seta rigata di tipo orientale, che sembra alludere a una sorta di travestimento teatrale. Esso richiama l’iconografia della zingara, della quale il turbante è attributo, e anche l’allegoria della Commedia, che, secondo il Ripa, è da raffigurare “in habito da zingara”46. L’aver attestato la datazione dell’opera tra il 1614 e la metà del 1615 la pone in stretto rapporto cronologico con le rappresentazioni teatrali del febbraio 1614 (1615 s.c.), quando per il carnevale andarono in scena a Palazzo Pitti il Ballo delle Zingare, con le musiche di Francesca Caccini – altra grande cantante e musicista donna protetta da Cosimo – e il testo di Ferdinando Saracinelli, e poi il Ballo di donne turche, con musiche di Marco da Gagliano, libretto di Alessandro Ginori e, per entrambe, le scene di Giulio Parigi47. Questo potrebbe confortare la suggestiva ipotesi della Garrand, che ha proposto l’identificazione della pittrice con la “Sig.ra Artimisia” citata nel diario di corte di Cesare Tinghi fra le cantatrici del Ballo delle Zingare48. Nel libretto dell’opera queste ultime sono descritte con qualità positive, come le egizie portatrici di antica sapienza nella lettura del futuro, esperte nell’arte di amare e nei filtri e rimedi magici, che si rivolgono a tutti gli “accesi amanti” e a “voi se vi sentite ardere il seno/donne gentil di vivo foco interno” invitando a godere delle loro arti e dei piaceri amorosi49. La procacità con cui la fanciulla del liuto si mostra e la voluta ambiguità dello sguardo, che coinvolgono lo spettatore con chiari richiami erotici, insieme al significato legato ai piaceri dei sensi, all’amore e all’armonia universale sotteso fin dagli esempi di Caravaggio alle raffigurazioni di giovani suonatori, sembrano qui veicolati dall’autoritratto di Artemisia e paiono alludere a un preciso messaggio. Ella sembra, inoltre, affermare il proprio status di artista all’interno della corte, condividendo il particolare legame tra la pittura e le altre arti come la musica, la poesia, il teatro e l’azione scenica, caro al milieu artistico e intellettuale di Cosimo II. Se questi dipinti eseguiti per il granduca non possono considerarsi una serie per la differenza di misure, di impianto e per i luoghi diversi negli appartamenti nobili della villa in cui furono posti (tranne probabilmente le due tele che stavano insieme) e neppure ci è dato sapere se furono commissionati per un preciso scopo, certo il loro invio tutti insieme ad Artimino e la loro contiguità cronologica dovettero avere un significato. Si intuisce, comunque, una sintonia tra l’artista e il committente, quasi un gioco di specchi in cui l’autoaffermazione al femminile della complessa personalità di Artemisia, attraverso la ‘messa in scena’ di personaggi differenti e la sua volontà di affermarsi sul mercato incrementando la propria reputazione anche con l’utilizzo di questo genere50, sembra riflettersi da parte di Cosimo nell’apprezzamento delle qualità della pittrice e nell’interesse per l’originalità e la declinazione polisemica delle sue opere. In ogni caso, a queste date i rapporti di Artemisia con la corte dovettero essere piuttosto stretti e la sua auto rappresentazione in diverse guise dovette affermarsi nella sua produzione successiva anche grazie al favore lì incontratovi, di cui questo gruppo è testimonianza. La sontuosa e turbata Maria Maddalena nel momento della conversione, Caterina la colta e giovane vergine cristiana atrocemente martirizzata, Bradamante, la valorosa eroina guerriera dei poemi cavallereschi e infine la suonatrice di liuto, allusione alla zingara, al travestimento scenico e ai piaceri della musica e dell’amore: tutto questo e molto altro tra il 1614 e il 1615 dovette essere l’immagine di sé che Artemisia consegnava alla pittura con il suo teatrale autoritrarsi e che Cosimo II dovette comprendere e apprezzare con la sua protezione e la sua committenza. NOVITÀ SU UN GRUPPO DI DIPINTI DI ARTEMISIA GENTILESCHI 103 Sul soggiorno fiorentino di Artemisia cfr. in particolare M.D. Garrand, Artemisia Gentileschi: The Image of Female Hero in Italian Baroque Art, Princeton 1989, pp. 34-53; R. Ward Bissell, Artemisia Gentileschi and the authority of Art, Pennsylvania 1999, pp. 1934; G. Papi, Artemisia Gentileschi (1593-1626): gli anni romani, il soggiorno fiorentino, in Artemisia, catalogo della mostra (Firenze, Casa Buonarroti, 18 giugno-4 novembre 1991), a cura di R. Contini, G. Papi, Roma 1991, pp. 31-62; R. Contini, Una mappa dell’influsso di Artemisia Gentileschi a Firenze, in ivi, pp. 181-196; J.W. Mann, in Orazio e Artemisia Gentileschi, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale di Palazzo Venezia, 20 ottobre 2021-20 gennaio 2002), a cura di K. Christiansen e J.W. Mann, Ginevra-Milano 2001, pp. 320-333, nn. 56-60; R. Contini, L’indotto fiorentino di Artemisia Gentileschi, in ivi, pp. 313-319; G. Papi, Caravaggio, Artemisia e gli altri. Introduzione ai contenuti della mostra, in Caravaggio e caravaggeschi a Firenze, catalogo della mostra (Firenze, Galleria Palatina e Galleria degli Uffizi, 22 maggio-17 ottobre 2010), a cura di G. Papi, Livorno 2010, pp. 29-33; N. Bastogi, Novità e riflessioni su Caravaggio e sui caravaggeschi negli archivi di Firenze, in ivi, pp. 339-340; F. Solinas, in Artemisia Gentileschi. Storia di una passione, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 22 settembre 2011-29 gennaio 2012), a cura di R. Contini, F. Solinas, Milano 2011, pp. 156-168, nn. 11-17; R. Maffeis, “Di un tuono e di una evidenza che spira terrore”. Artemisia Gentileschi a Firenze: 1612-1620, in ivi, pp. 62-77; F. Baldassari, Artemisia nel milieu del Seicento fiorentino, in Artemisia Gentileschi e il suo tempo, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Braschi, 30 novembre 2016-7 maggio 2017), a cura di F. Baldassari, Ginevra-Milano 2016, pp. 23-33; Ead., in ivi, pp. 128-138, nn. 2428; S. Barker, Artemisia’s Money: The Entrepreneurship of a Woman Artist in Seventeenth-Century Florence, in Artemisia Gentileschi in a 1 104 changing light, a cura di S. Barker, London, Turnhout 2017, pp. 5988; L. Cropper, Artemisia Gentileschi: la pittora, in L. Treves et alii, Artemisia, catalogo della mostra (Londra, National Gallery, 3 ottobre 2020-24 gennaio 2021), Hanover-London 2020, pp. 13-21; L. Treves, Artemisia portraying her self, in ivi, pp. 64-74 e schede delle opere pp. 134-145, nn. 9-12. 2 Sulle relazioni di Artemisia con personaggi fiorentini cfr. Lettere di Artemisia: edizione critica e annotata con quarantatre documenti inediti, a cura di F. Solinas con la collaborazione di Michele Nicolaci e Yuri Primarosa, Roma 2011, pp. 64-65, nota 15; F. Baldassari, Artemisia nel milieu, cit. 3 Su Filippo Napoletano a Firenze cfr. M. Chiarini, Teodoro di Filippo di Liagno detto Filippo Napoletano. 1589-1629. Vita e opere, Firenze 2007, pp. 53-139. Su Battistello a Firenze cfr. E. Fumagalli, Napoli e Firenze nel Seicento, in “Filosofico umore” e “maravigliosa speditezza”. Pittura napoletana del Seicento nelle collezioni medicee, catalogo della mostra (Firenze, Galleria degli Uffizi, 19 giugno 2007-6 gennaio 2008), a cura di E. Fumagalli, Milano 2007, pp. 28-32; N. Bastogi, Novità e riflessioni, cit., pp. 339340 e Regesto, a cura di N. Bastogi, in Caravaggio e caravaggeschi, cit., pp. 351-352. 4 Sull’appartenenza di questi dipinti, ora alle Gallerie degli Uffizi, a Cosimo II cfr. N. Bastogi, Novità e riflessioni, cit., p. 338 e Regesto, cit., pp. 354-355. 5 Sull’arrivo di dipinti di natura morta cfr. E. Fumagalli, Cosimo II (1590-1621), in Il giardino del Granduca. Natura morta nelle collezioni medicee, a cura di M. Chiarini, Torino 1997, pp. 43-57. 6 Sulla Galleria di Cosimo II in Palazzo Pitti cfr. M. Chiarini, Cosimo II e l’inizio della quadreria, in Palazzo Pitti. L’arte e la storia, a cura di M. Chiarini, Firenze 2000, pp. 66-70. Sulla villa di Artimino cfr. E. Cassarino, La villa Medicea di Artimino, Firenze 1990; N. Bastogi, La Villa Ferdinanda di Artimino, in Fasto di corte. La decorazione murale nelle residenze dei Medici e dei Lorena, NADIA BASTOGI I, Da Ferdinando I alle Reggenti (1587-1628), a cura di M. Gregori, pp. 45-65 (con bibliografia precedente). Il presente contributo è un’anticipazione del più vasto studio della scrivente sull’arredo pittorico della Villa medicea di Artimino per il volume Villa Medicea “La Ferdinanda” di Artimino, a cura di N. Bastogi e G.C. Romby, in corso di pubblicazione (Claudio Martini Editore, Prato). 7 Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi ASFi), Guardaroba Medicea (d’ora in poi GM) 320, Debitori e creditori ad oggetti della Guardaroba, 1610-1615, c. 96. Il documento inedito è stato già indicato, ma senza l’identificazione dei dipinti, da Sara Grassi nella sua tesi di laurea [S. Grassi, L’arredamento della Villa Medicea di Artimino (16091683), tesi di laurea presso l’Università degli Studi di Firenze, a.a. 2005-2006, pp. 664-665]. 8 La documentazione inventariale completa su questi dipinti presenti nella villa di Artimino è pubblicata in N. Bastogi, Novità e riflessioni, cit., p. 339 e Regesto, cit., pp. 353-354. Tale acquisizione sulla provenienza delle opere è stata recepita nello stesso catalogo anche nel saggio e nelle schede di G. Papi (in Caravaggio e caravaggeschi, cit., pp. 30-31, 160, n. 25) e nelle schede di S. Casciu (in ivi, pp. 154, n. 24, 162-164, n. 26). A queste schede si rimanda per i dati tecnici e la bibliografia precedente di ciascuna opera. 9 ASFi, GM 261, c. 63s. Il documento mi è stato segnalato da Lisa Goldenberg Stoppato, che ringrazio. Cfr. anche ASFi, GM 332, c. 71r, in cui vi è la richiesta per l’azzurrite del 24 ottobre, pubblicato su segnalazione della stessa studiosa da S. Barker, Artemisia’s Money, cit., pp. 77, n. 22, 84, nota 71. 10 Cfr. G. Papi, Artemisia senza dimora conosciuta, in “Paragone”, 529-531-533, 1994, p. 199 per l’identificazione dell’Autoritratto come suonatrice di liuto di Hartford e la segnalazione dell’Autoritratto in veste di Amazzone; per tutte le opere cfr. la documentazione degli inventari seicenteschi prodotta dalla scrivente in N. Bastogi, Novità e riflessioni, cit., p. 339 e Regesto, cit., pp. 353-354. Sul tema dell’autoritrarsi o dell’autorappresentarsi di Artemisia e sui suoi significati cfr. il recente L. Treves, cit., pp. 64-74, con particolare riferimento al periodo fiorentino. 11 Olio su tela, cm 146,5 × 108. Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti, Galleria Palatina, inv. 1912, n. 142. 12 ASFi, GM 361, c. 102r (1620); GM 1463, c. 14r (1620); GM 889bis, c. 36r (1683); GM Appendice 13, c. 141r (1738); Imperiale e Reale Corte 4968, cc. 68r e v (1775, inedito). In quest’ultimo si dice “dipintovi figura intera sedente il Ritratto fatto di sua mano di Artemisia Lomi, rappresentante Santa Maria Maddalena scollacciata, veste gialla, destra al petto, e sinistra sul tavolino, su cui teschio di morto”. Cfr. Regesto, cit., pp. 353-354, n. 20. 13 S. Casciu, in Caravaggio e caravaggeschi, cit., p. 26, che ne supponeva già una committenza cosimiana. 14 A.W. Vliegenthart, La Galleria Buonarroti. Michelangelo e Michelangelo il Giovane, Firenze 1976, pp. 170-173. 15 Per le diverse datazioni dell’opera cfr. in particolare R.W. Bissell, Artemisia Gentileschi, cit., pp. 209-210, che la data al 1617-1620; R. Contini, in Artemisia, cit., pp. 129-132, dopo il 1616; S. Casciu, in Caravaggio e Caravaggeschi, cit., pp. 162-164, al 1617-1620; F. Solinas, in Artemisia Gentileschi, cit., p. 156, n. 11, al 1617-1618; F. Baldassari, in Artemisia e il suo tempo, cit. p. 132, al 1616-1617. Solo J.W. Mann la datava inizialmente al 1613-1616 in Caravaggio and Artemisia: testing the limits of caravaggism, in “Studies in Iconography”, 18, 1997, p. 175, per poi posticiparla al 1615-1616 (Ead., in Orazio e Artemisia, cit., pp. 325-328). 16 Solo a titolo di esempio si segnala qui l’interesse del confronto fra la veste gialla della Maddalena e l’abito della Samaritana al pozzo di Antonio De Bellis nella collezione della Fondazione De Vito o l’influenza dei tipi di Artemisia sulle due figure del Matrimonio mistico di Santa Caterina di Paolo Finoglio sempre nella stessa collezione. Su queste opere cfr. N. Bastogi, in Dopo Caravaggio. Il Seicento napoletano nelle collezioni di Palazzo Pretorio e della Fondazione De Vito, catalogo della mostra (Prato, Palazzo Pretorio, 14 dicembre 2019-13 aprile 2020), a cura di N. Bastogi, R. Iacopino, Prato 2019, pp. 130, n. 9, 138, n. 13. Su Artemisia a Napoli cfr. anche il contributo di G. Porzio in questo volume, dove è riprodotta anche l’opera di De Bellis. 17 L’ipotesi è stata formulata da diversi studiosi, in particolare R. W. Bissell, Artemisia Gentileschi, cit., p. 210. 18 J.W. Mann, in Orazio e Artemisia, cit., pp. 175-176. 19 ASFi, GM 479, c. 19 (1625) e GM 991 c. 19v (1691). Per le menzioni inventariali dell’opera dal 1625 al 1691 cfr. N. Bastogi, Novità e riflessioni, cit., pp. 339, 345, nota 102, con bibliografia. 20 L’opera è citata in ASFi, GM 1463, c. 27 (1620); GM 361, c. 105d (1620); GM 532 ter, (1638) c. 14 (citato in G. Papi, Artemisia, senza dimora, cit., p. 199, che per primo segnalava l’opera perduta); GM 889 bis, c. 23v (1683); Imperiale e Reale Corte 4968, cc. 91v, 92r (1775, inedito); GM Appendice 13, c. 146 (1738). Sull’opera e sulle sue menzioni inventariali cfr. N. Bastogi, Novità e riflessioni, cit., pp. 339, 344, nota 88. 21 Per gli anni di Cosimo si segnala in particolare il dipinto di Filippo Napoletano con Ruggero libera Angelica, eseguito su pietra paesina per il granduca nel 1619, ora a Firenze all’Istituto di Studi Etruschi (cfr. M. Chiarini, Filippo Napoletano, cit., p. 280, n. 54). Sulla fortuna dei temi ariosteschi nella pittura fiorentina del Seicento cfr. in particolare E. Fumagalli, Ariosto e Tasso nelle quadrerie medicee del Seicento, in L’Arme e gli amori. La poesia di Ariosto, Tasso e Guarini nell’arte fiorentina del Seicento, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Pitti, 21 giugno-20 ottobre 2001), a cura di E. Fumagalli, M. Rossi, R. Spinelli, Firenze 2001, pp. 72-84. 22 Cfr. A. Solerti, Musica, ballo e drammatica alla corte medicea dal 1600 al 1637, Firenze 1905, p. 179. 23 Cfr. Lettere di Artemisia, cit., pp. 64-65, nota 15. Sulla forma- zione letteraria di Artemisia cfr. anche J. Locker, Artemisia Gentileschi: the literary formation of an unlearned artist, in Artemisia Gentileschi in a changing, cit., pp. 89-101. Il passo citato da Artemisia è in riferimento alla storia di Olimpia abbandonata da Bireno. 24 ASFi, GM 361, c. 105d (1620); cfr. anche GM 1463, c. 27r (1620). Cfr. N. Bastogi, Novità e riflessioni, cit., p. 339; Regesto, cit., p. 353, n. 18. 25 ASFi GM 532 ter, c. 26r (1638); GM 889bis, c. 52r (1683); GM Appendice 13, cc. 103-104 (1738); Imperiale e Reale Corte 4968, c. 125v (1775, inedito). Cfr. Ibidem. 26 Olio su tela, cm 77,5 × 61,6. Firenze, Gallerie degli Uffizi, inv. 1890, n. 8032. Cfr. E. Borea, Caravaggio e caravaggeschi nelle gallerie fiorentine, catalogo della mostra, Firenze 1970, pp. 72-73, n. 44. 27 G. Papi, Artemisia Gentileschi, cit., p. 45. 28 M.D. Garrand, Artemisia Gentileschi, cit., p. 48; R.W. Bissell, Artemisia Gentileschi, cit., pp. 203-204. 29 Cfr. R. Contini, in Artemisia, cit., pp. 147-149, n. 18 (dopo il 1616); J.W. Mann in Orazio e Artemisia, cit., pp. 328-330, n. 59 (1618-1619); S. Casciu, in Caravaggio e caravaggeschi, cit., p. 158, n. 24 (1615-1620); F. Solinas, in Artemisia Gentileschi, cit., p. 166, n. 16 (1618-1620). L. Treves, in Ead. et alii, cit., pp. 144-145, n. 12 (1615-1617). 30 E. Borea, Caravaggio e caravaggeschi, cit., p. 172. 31 C. Frosinini, M.L. Reginella, Artemisia Gentileschi, la “Santa Caterina d’Alessandria” delle Gallerie degli Uffizi. Nuove acquisizioni dalle indagini diagnostiche, in “OPD restauro”, 31, 2020, pp. 109-121. Ringrazio Cecilia Frosinini per gli utili scambi di idee. 32 Olio su tela, cm 71,4 × 69, Londra, National Gallery. Per le indagini comparative dei due dipinti cfr. L. Keith, L. Treves, M. Di Crescenzo, J. Russell, Artemisia Gentileschi’s self portrait as Saint Catherine of Alexandria, in “National Gallery Technical Bulletin”, 40, 2019, pp. 4-17 e C. Frosinini, M.L. Reginella, Arte- misia Gentileschi, cit., pp. 116-117, 119-120. Sul dipinto cfr. la recente scheda di L. Treves, in Ead. et alii, cit., p. 136 e p. 140, n. 11, che la data al 1615-1617. 33 Olio su tavola, cm 31,75 × 24,76, collezione privata, già presso le Newhouse Galleries di New York, cfr. R. Contini, in Artemisia, 1991, pp. 141-142, fig. 84; J.W. Mann, in Orazio e Artemisia, cit., p. 320, n. 56, che lo data al 1615 circa notandone anche la vicinanza stilistica con la Santa Caterina e la Maddalena. 34 C. Frosinini, M.L. Reginella, Artemisia Gentileschi, cit., p. 117. 35 Ivi, p. 119. 36 F. Solinas, in Artemisia Gentileschi, cit., p. 166. 37 M.D. Garrand, Artemisia Gentileschi, cit., p. 500; C. Frosinini, M.L. Reginella, Artemisia Gentileschi, cit., p. 119. 38 ASFi, GM 361, c. 105d. 39 Ivi, GM 532ter, c. 16v. 40 Il dipinto è un olio su tela, cm 77,5 × 71,8. Cfr. G. Papi, Artemisia senza dimora, cit., p. 199; N. Bastogi, in Caravaggio e caravaggeschi, cit., p. 339; Regesto, cit., p. 353, n. 19. 41 ASFi, GM 889bis, c. 28r (1683); Imperiale e Reale Corte 4856, c. 191r (1784). Cfr. N. Bastogi, in Caravaggio e caravaggeschi, cit., p. 339; Regesto, cit., p. 353. G. Papi, Caravaggio, Artemisia, cit., p. 160, n. 25. 42 Ibidem. 43 J.W. Mann datava l’opera tra il 1615 e il 1617 (in Orazio e Artemisia, cit., pp. 322-325, n. 57). G. Papi al 1615-1618 (in Caravaggio e caravaggeschi, cit., p. 160); F. Solinas al 1617-1618 (in Artemisia Gentileschi, cit., p. 164, n. 15); F. Baldassari al 1617-1618 (in Artemisia Gentileschi, cit., p. 130). L. Treves, al 1615-1617 (in Ead. et alii, cit., pp. 136-139, n. 10. 44 C. Frosinini, M.L. Reginella, Artemisia Gentileschi, cit., p. 117. Cfr. anche L. Treves, in Eadem et alii, cit., p. 136. 45 F. Baldassari, in Artemisia Gentileschi, cit., p. 130. 46 C. Ripa, Iconologia, Roma 1603, ed. Hildescheim-New York 1970, p. 170. Sull’iconografia della zingara cfr. anche il contributo di A. Liberto in questo volume. 47 F. Saracinelli, Ballo delle Zingare, rapresentato in Firenze nel teatro dell’Altezza Serenissima di Toscana nel carnouale dell’anno 1614, in Firenze, Zanobi Pignoni, 1614. Cfr. A. Solerti 1905, pp. 89-92. Sul Ballo di donne turche insieme con i loro consorti di schiavi fatti liberi cfr. ivi, pp. 93-96. 48 Cfr. M.D. Garrand, Artemisia Gentileschi, cit., p. 37, nota 51. L’ipotesi ha riscontrato largo favore nella critica. Per il passo del Tinghi cfr. A. Solerti, 1905, p. 92. 49 Cfr. F. Saracinelli, Ballo delle Zingare, cit., pp. 3, 7. 50 Cfr. su questi aspetti L. Treves, cit. NOVITÀ SU UN GRUPPO DI DIPINTI DI ARTEMISIA GENTILESCHI 105 Renato Ruotolo, Ricordo di Antonio Delfino Lucia Giorgi, Ambrogio Attendolo architetto: gli interventi nelle fortificazioni di Capua e Castel Volturno e il progetto del castello di Calvi Riccardo Naldi, Lorenzo Principi, Da Michelangelo a Giovanni da Nola. Una proposta per gli Angeli del sepolcro di Pedro de Toledo Lothar Sickel, Tommaso Laureti nella sagrestia della certosa di San Martino a Napoli. Un progetto ambizioso ‘rubato’ da Giuseppe Cesari d’Arpino Mauro Vincenzo Fontana, Tasselli stanzioneschi. Giuseppe Marullo a Montecassino e Giuseppe Piscopo a Palazzo San Gervasio Antonia Liberto, Sulla tela e sulla scena. L’iconografia della zingara fra arte e teatro nella Napoli di età moderna Clara Gelao, Qualche precisazione su Andrea e Giuseppe Magliar e un ciclo di dipinti di Gaetano Magliar e Innocenzo Roppoli a Castellana Grotte Bianca Stranieri, La cappella Manso in San Lorenzo Maggiore. Le storie della Passione, l’altare e il crocifisso ritrovati Ugo Di Furia, Un disegno di Fedele Fischetti e i pennacchi perduti della Santissima Annunziata di Napoli Nadia Bastogi, Novità su un gruppo di dipinti di Artemisia Gentileschi per Cosimo II de’ Medici Katharina Leithner, Carlo Mechetti: A Viennese Merchant and Collector of Neapolitan Art Giuseppe Porzio, Artemisia a Napoli. Nuovi dipinti, vecchie questioni Silvestra Bietoletti, Ritratti di famiglia nel salotto fiorentino dell’ex regina di Napoli Carolina Murat Bonaparte Miriam Di Penta, Per Pietro Pesce, pittore e sodale di Micco Spadaro € 35,00 Giuseppe Porzio, Un nuovo Vouet per Napoli Christian De Letteriis, Marmi napoletani in Martina Franca: le opere di Aniello e Gaspare Cimafonte, Giuseppe Astarita, Antonio Di Lucca