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RARITÀ VESSILLOLOGICHE MEDIEVALI 2. La Carta Lucchese

2020, «Vexilla italica»

NUOVO ACQUISTO nel settore portolani, la Carta Lucchese (un frammento di cm 60x30, rintracciato nel 2000 nella legatura di un volume del '600) è conservata all'Archivio di Stato di Lucca (Fragmenta Codicum, Sala 40, Cornice 194/1). Un piccolo «terremoto» nel suo genere, è stato detto: e se si guarda al suo stile, che a mio parere non trova riscontri immediati, probabilmente è vero. Maggiore è lo scompiglio provocato dal problema della datazione, che Philipp Billion, colloca tra la fine del '200, addirittura, e il primo '300; sarebbe dunque tra le carte più antiche in assoluto 1. È un'ipotesi assai ardita, contestata-non senza buone ragioni, su basi toponomastiche e linguistiche-da un cartografo molto noto ed esperto, Ramon J. Pujades i Bataller, che la data ad un secolo dopo, cioè agli inizi del '400: lo fa anzi proponendo di rivedere contestualmente la datazione anche della Carta Pisana e della Carta di Cortona, tradizionalmente attribuite alla fine del '200 2. Il che dimostra che i cartografi sono ancora avvolti da dubbi e incertezze a riguardo di questo nuovo, intrigante esemplare. Lo stile della Carta Lucchese è indubbiamente singolarissimo, ma questo non è sufficiente a datarla ai primordi della produzione dei portolani. La sua principale caratteristica è costituita dalle grandi sagome delle città, complicate e multicolori muraglie turrite che non hanno riscontro in altri esemplari, e che riempiono con le bandiere, anch'esse di inusuale grande

RARITÀ VESSILLOLOGICHE MEDIEVALI 2. La Carta Lucchese ALESSANDRO SAVORELLI N nel settore portolani, la Carta Lucchese (un frammento di cm 60x30, rintracciato nel 2000 nella legatura di un volume del ‘600) è conservata all’Archivio di Stato di Lucca (Fragmenta Codicum, Sala 40, Cornice 194/1). Un piccolo «terremoto» nel suo genere, è stato detto: e se si guarda al suo stile, che a mio parere non trova riscontri immediati, probabilmente è vero. Maggiore è lo scompiglio provocato dal problema della datazione, che Philipp Billion, colloca tra la fine del ‘200, addirittura, e il primo ‘300; sarebbe dunque tra le carte più antiche in assoluto1. È un’ipotesi assai ardita, contestata – non senza buone ragioni, su basi toponomastiche e linguistiche – da un cartografo molto noto ed esperto, Ramon J. Pujades i Bataller, che la data ad un secolo dopo, cioè agli inizi del ‘400: lo fa anzi proponendo di rivedere contestualmente la datazione anche della Carta Pisana e della Carta di Cortona, tradizionalmente attribuite alla fine del ‘2002. Il che dimostra che i cartografi sono ancora avvolti da dubbi e incertezze a riguardo di questo nuovo, intrigante esemplare. Lo stile della Carta Lucchese è indubbiamente singolarissimo, ma questo non è sufficiente a datarla ai primordi della produzione dei portolani. La sua principale caratteristica è costituita dalle grandi sagome delle città, complicate e multicolori muraglie turrite che non hanno riscontro in altri esemplari, e che riempiono con le bandiere, anch’esse di inusuale grande 1 UOVO ACQUISTO PH. BILLION, A Newly Discovered Chart Fragment from the Lucca Archives, Italy, «Imago mundi», 63, 2011, p. 1-21. Per indizi insussistenti Billion attribuisce la carta ad un disegnatore attivo a Pisa o a Gaeta. 2 R.J. PUJADES I BATALLER, The Pisana chart. Really a primitive portolan chart made in the 13th Century?, Comité Français de Cartographie [París], núm. 216, p. 17-32 (http://www.lecfc.fr/new/articles/216-article-3.pdf). formato, tutto lo spazio disponibile dietro le coste. Anche dalla forma a gonfalone (molto ricco di dettagli: i lacci all’asta, le frange, la punta di lancia) Billion deduce, per l’indubbia somiglianza coi portolani Vesconte, una datazione molto antica: ma, pur se è vero che la produzione genovese-catalana usa banderuole quadrate molto elementari e se è possibile che il disegnatore abbia qualche affinità colle carte Vesconte, non sembra un argomento troppo stringente. Ma vediamo più da vicino l’aspetto che ci riguarda, ossia l’apparato araldico-vessillare: la lista fornita da Billion3 è un puro elenco, con uno scarno e impreciso commento, che non tenta di interpretare la strategia visiva della carta, oggettivamente difficile, né in se stessa, né in relazione ai portolani del secolo XIV. Ecco dunque alla pagina seguente la tabella con l’elenco delle bandiere4. Le bandiere sono 24, tenendo conto di un doppio (quelle identiche su Alessandria d’Egitto e il Cairo/Babilonia), ma forse occorre calcolarne 23, perché l’inedita e strana immagine su un centro del Marocco atlantico (che Billion trascrive come Safi) potrebbe non essere affatto una bandiera, ma il disegno abbozzato di qualcosa che ci sfugge (e che fra l’altro non trova nessuna corrispondenza in altri portolani). In che rapporto sta l’elenco dei vessilli con quello dei portolani più antichi, come Perrino Vesconte (Bibl. Laurenziana, Firenze, 1327), Dalorto e Dulcert?5 Diciamolo subito: in un rapporto tutt’altro che chiaro. 3 PH. BILLION, art. cit., pp. 10-12. Si sono usati i nomi correnti dei colori, non i termini araldici, e lo stesso per le figure (salvo quelle araldiche in senso stretto, come pezze e partizioni). Nelle immagini riprodotte a corredo l'identificazione della bandiere è abbastanza agevole sulla base delle descrizioni contenute nella col. 2 della tabella. 5 Per le indicazioni relative a questi portolani rinvio per brevità ai miei lavori precedenti su «Vexilla italica»: Atlanti simbolici dello spazio politico: le bandiere dei portolani trecenteschi, «Vexilla italica», 2015, 1, pp. 17-33; Rarità vessillologiche medievali. 1. I portolani dei Vesconte (1320-1331), «Vexilla italica» 90, 2020, pp. 1-10. 4 Penisola iberica Castiglia Santiago de Compostela Aragona Italia-Dalmazia Francia Bisanzio - Mar Nero - Anatolia Siria, Egitto Maghreb Almeria Genova Pisa Gaeta Messina Durazzo Marsiglia Montpellier Costantinopoli Salonicco Armenia Minor (su Laiazzo) Adalia (Satalia, Antalya) Cairo e Alessandria (Sultano) Tolmeta (Tolometa) Tripoli Gabes Tunisi Bugia Orano Ceuta Safi (Marocco) ? inquarto di Castiglia (rosso, castello giallo) e León (bianco, leone nero) (su Siviglia) rosso, (?) conchiglie azzurre (?) giallo, 4 pali rossi (su Barcellona) giallo, balestra rossa bianco, croce rossa rosso pieno inquartato rosso-bianco rosso, croce gialla rosso testa umana ? elmo? bianco, croce azzurra bianco, tondo rosso Aragona all’asta (4 pali) bandiera dei Paleologi (rosso, croce gialla, accantonata da 4 figure poco leggibili gialle)* bandato bianco-rosso giallo, leone rosso increspato bianco-nero; all’asta: nero, stella di David gialla giallo, tondo rosso con leone bianco sciarpe bianche decorate con strisce nere bianco, leone passante nero bianco, albero di palma verde rosso, luna gialla giallo, luna rossa rosso, 2 chiavi gialle rosso, luna e chiave gialle sagoma azzurra e bianca: potrebbe non essere una bandiera * Si tratta naturalmente, pur se poco leggibili, dei quattro Beta o pietre focaie del notissimo stemma costantinopolitano. La bandiera è tagliata per metà dal bordo della carta. Da un lato infatti sono evidenti alcune affinità, dall’altro differenze notevoli. Pujades i Bataller conclude che la Carta Lucchese è una sorta di ibrido, tardo, tra il Vesconte e le carte trecentesche catalano-genovesi6: e la lista delle bandiere sembra confermare questa lettura. Se confrontiamo la lista della Carta Lucchese con quella del portolano Vesconte/1327 – limitatamente s’intende alle aree coperte dalla prima, mutila soprattutto del Mar Nero orientale e della Terrasanta – e non consideriamo lo strano caso marocchino sopra accennato, si scorge facilmente che delle 23 bandiere, ben 21 si trovano sul Vesconte. È un dato significativo, anche perché ce ne sono almeno due (Santiago di Compostela e Almería), che si trovano solo nel Vesconte/1327 e non altrove (anche se Vesconte/1327 attribuisce la bandiera al Portogallo e non a Santiago). Tutte le altre sono sostanzialmente simili, con minime varianti, salvo il caso di Durazzo, la cui bandiera appare completamente diversa: un bandato in Vesconte/1327, una figura scarsamente leggibile, una testa umana apparentemente, nella Carta Lucchese7. L’apparente identità col Vesconte/1327 è però limitata da due circostanze: 1) In Vesconte/1327, oltre le 21 bandiere in comune colla Carta Lucchese, ne compaiono almeno altre 10 o 11, che la Carta 6 PUJADES I BATALLER, art. cit., p. 25. Per PUJADES, art. cit, p. 22 questo sarebbe un elemento probante per la datazione: «the Lucca Chart no longer displays the banded flag of the Angevin Duchy of Durazzo (extinguished in 1336) over Durrës, which, logically, does appear on the Sanudian atlases and the Perrino chart of 1327. Nor does it bear the flag immediately succeeding it, the flag with an eagle Gules on a field Or corresponding to the Serbian tsar Stefan Dušan (who conquered the city in 1336), and which we invariably find – due to an uncritical tradition – on Catalan charts of the second half of the 14th and the 15th centuries. The Lucca Chart bears a flag over Durazzo that, despite the very poor state of conservation of its coat of arms, indisputably displays a field Gules (i.e. a plain red field). To my vexillological knowledge, such a flag can only correspond to the political changes after the city’s conquest by Karl Topia in 1368, and more probably, to its condition as a Venetian colony as of 1392». 7 Lucchese non riporta, ed esattamente: 2 in Francia (regno di Francia e Narbona); 4 o 5 in Italia/Dalmazia (Venezia?8, Firenze, Chiesa9, Zara e Ragusa); 3 sul Mar Nero occidentale (Varna, Sinope, Semiso); 1 nel Maghreb (Melilla). Sorprende particolarmente l’assenza di bandiere sulle città dalmate, regolarmente presenti su tutti i portolani pur se con varianti complete nelle figure tra i Vesconte e quelli catalani-genovesi. 2) Viceversa, a fronte delle assenze in area italiana, nella Carta Lucchese compaiono due aggiunte, che in Vesconte/1327 non ci sono (Gaeta e Messina), e che si trovano invece – attenzione – solo nel portolano Dalorto (che però in più ha anche Napoli). Cosa si può concludere da tutto ciò? Con cautela, diremmo una dipendenza da Vesconte/1327 e da Dalorto (escluderei beninteso che la Carta Lucchese sia l’archetipo degli altri due): dipendenza invece molto più labile, e forse nulla, da Dulcert e dalle carte catalane tra ‘300 e primo ‘400, che mostrano altre vistose differenze e aggiunte, sulle quali non ci soffermeremo in dettaglio. Lo stesso Dalorto, del resto, presenta varie bandiere in più rispetto alla Carta Lucchese, e perciò se ne può concludere che, ammessa la dipendenza da Vesconte/1327 e da Dalorto, la Carta Lucchese sembra aver operato una selezione molto personale sui dati vessillologici da essi offerti. Il che tuttavia ci dice poco sulla sua datazione, per la quale è necessario rifarsi ad altri elementi. Chi ha a che fare coi portolani si rende subito conto che siamo di fronte spesso a doppi, cloni, imitazioni, rifacimenti. I 8 Una sagoma di città priva di bandiera (ma solo perché tagliata via nel frammento) compare a Est di Venezia, nei Balcani settentrionali: è possibile che si tratti di Venezia (anche perché la sua assenza apparirebbe sorprendente), per via delle dimensioni delle sagome urbane che nella Carta Lucchese che necessitano per le loro dimensioni di essere collocate in uno spazio disponibile, anche lontano dal toponimo sulla costa. 9 Firenze e Chiesa peraltro non compaiono nelle carte Vesconte del 132021, ma solo in quella del 1327: il che complica ulteriormente i rapporti tra Carta Lucchese e gruppo Vesconte. disegnatori, forse anche in relazione alla committenza, prendevano qualcosa da altre mappe, della stessa bottega o di altre botteghe. L’autore della Carta Lucchese, dove l’apparato delle bandiere non sembra essere il riflesso di una particolare e studiata strategia visiva o di un particolare input della committenza, ma piuttosto di una scelta di carattere eminentemente estetico-decorativo (come mostrano anche le vistose sagome delle città), ha probabilmente copiato qua e là in base a ciò che aveva a portata di mano. Soprattutto carte di area italiana, si direbbe, il che però non dà informazioni precise né sul luogo né sul periodo in cui lavorava. Se si tiene conto che il disegnatore veneziano Francesco Cesanis clona, per stile e contenuto – nel 1421, dunque un secolo dopo esatto – il Vesconte del 1320, si può dedurne che la materia è così fluida che sfugge a conclusioni troppo stringenti. Segnalo infine alcuni errori o imprecisioni in Billion, abbastanza frequenti, come ho spiegato nei miei precedenti lavori, in questo autore. In primo luogo la dizione «Siviglia» o «Barcellona» per definire le bandiere piantate su queste città, che tuttavia non sono quelle civiche, come accade invece (quanto a Barcellona) nei portolani del ‘300 di produzione catalana, ma semplicemente quelle dei regni di Castiglia e di Aragona. Ancora: nella bandiera col leone rosso in campo giallo posta su «Ayas» (Turchia), Billion non riconosce il vessillo dell’Armenia Minore e nemmeno mette in relazione il toponimo turco con quello latino con cui il luogo era noto in Occidente (Laiazzo, il più importante scalo portuale del regno). Né meno imprecisa è l’annotazione «the motifs on the flag on the Lucca chart are not dissimilar to those on the charts in Pietro Vesconte’s atlases», che vale per Genova, Marsiglia etc., ma non per Messina, che nel Vesconte non compare (e la cui bandiera è descritta impropriamente come «a bright red cross on a dark red background»! ovviamente il bright red è giallo); ma anche altrove Billion pasticcia con colori e figure, descrivendo bandiere «orange» (che in realtà è giallo), o un «dark lion» (che ovviamente è nero), o «a red band sinister» (per dire ‘barra’). La bandiera di Pisa è descritta, ancora una volta con un linguaggio inappropriato, come «most likely to have been solid red»: ma, si precisa, «the pigments on the central part of the flag have flaked off, so we cannot be absolutely certain there were no other motifs»10. Nella nota relativa (p. 20) l’A. si dilunga sulla bandiera rossa di Pisa in relazione agli altri portolani: ovviamente non ne sa nulla e non spiega perché mai la bandiera pisana – una delle ricorrenze invariabili nei portolani – avrebbe potuto portare «other motifs»: è chiaro che può aver pensato alla croce pisana11, il che dimostra la sua totale superficialità nel trattare i dati araldici. Nelle bandiere egiziane mamelucche Billion vede solo un leone, senza dar conto della sua origine: altrove ha messo in piedi una cervellotica tesi su questa figura, che altro non è che l’emblema del sultano Baibars, ripetuto in varie fonti islamiche e sistematicamente ripreso in Occidente. Come ho avuto modo di dire altrove, l’araldica e la vessillologia sono un abisso senza fondo per questo cartografo, che non si prende mai la briga di leggere qualcosa di specifico in merito e inventa di sana pianta. Il mio amigo Miguel Metelo de Seixas mi diceva di un motto brasiliano che si attaglia bene alla comune percezione dell’araldica, come scienza ritenuta ‘esoterica’: l’araldica per i non esperti, diceva, «não tem segredos, tem misterios». Cioè a dire, segreti non ne ha, basta leggere qualche buon manuale, ma contiene «misteri», come il Graal, i Templari e tutti gli oggetti della letteratura fantastica. Billion è un gradino indietro: l’araldica per lui ha proprio semplicemente dei segreti (chiusi con molti sigilli). Errata. A pag. 8 del n. 90, nell’articolo di A. Savorelli sui portolani Vesconte, la numerazione delle figure 6 e 7, deve essere invertita. Ci scusiamo con i lettori e con l’Autore. 10 PH. BILLION, art. cit., p. 11. Rinvio in proposito al mio recente Tra arte e storia. L'araldica di Pisa maltrattata, «Nuova rivista storica», 2019, pp. 1203-1215 e a V. CAMELLITI, Artisti e committenti a Pisa nel Trecento. Storie di stemmi, immagini e potere, Pisa 2020, pp. 122 sgg. 11