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eSamizdat - (VIII)  dicembre  eSamizdat, Rivista di culture dei paesi slavi registrata presso la Sezione per la Stampa e l’Informazione del Tribunale civile di Roma. No 286/2003 del 18/06/2003, ISSN 1723-4042 Copyright eSamizdat - Alessandro Catalano e Simone Guagnelli D IRETTORE RESPONSABILE Simona Ragusa C URATORI Alessandro Catalano e Simone Guagnelli C OMITATO SCIENTIFICO Giuseppe Dell’Agata, Nicoletta Marcialis, Paolo Nori, Jiřı́ Pelán, Gian Piero Piretto, Stanislav Savickij C OPERTINA , IMPAGINAZIONE E PROGETTO GRAFICO Simone Guagnelli Indirizzo elettronico della rivista: http://www.esamizdat.it e-mail: esamizdat@esamizdat.it Sede: Via Principe Umberto, 18 – 00185 Roma Sono autorizzate la stampa e la copia purché riproducano fedelmente e in modo chiaro la fonte citata. Libri e materiale cartaceo possono essere inviati a Alessandro Catalano, Via Principe Umberto, 18 – 00185 Roma o a Simone Guagnelli, Via Carlo Denina, 22 – 00179 Roma. Articoli e altri contributi elettronici vanno inviati in formato word o LATEX all’indirizzo redazione@esamizdat.it I criteri redazionali sono scaricabili all’indirizzo: www.esamizdat.it/criteri redazionali.htm www.esamizdat.it Indice di eSamizdat 2010-2011 (VIII) IL S IA U TO P T IC A RI A E OLO O S O V IE M E XX SEC IO N E M N A A U IN R E À DEL ST T T IA E E H D T M C N A A LA VA C OND O R IA C C OS LO AMIZD A SEC L’ E D IT IN CE NELL A cura di Alessandro Catalano e Simone Guagnelli Paolo Nori, Un intervento variopinto i-vii I NTRODUZIONE Alessandro Catalano, Simone Guagnelli, “La luce dell’est: il samizdat come costruzione di una comunità parallela” - A RCHEOLOGIA DEL SAMIZDAT Valentina Parisi, “Samizdat: problemi di definizione” - Tomáš Glanc, “Il samizdat come medium”, traduzione dal ceco di Francesca Lazzarin - Annalisa Cosentino, “Forme del samizdat” - Andrej Ju. Ar´ev, “Le preferenze estetiche del samizdat”, traduzione dal russo di Maria Isola - Jiřina Šiklová, “Il samizdat come mezzo di stratificazione sociale e possibilità di sopravvivenza della cultura di una nazione. L’esempio della Cecoslovacchia negli anni 1969-1989”, traduzione dal ceco di Alessandro Catalano - Stanislav A. Savickij, “Andergraund e andegraund: forme alternative al sistema nella cultura non ufficiale di Mosca e Leningrado”, traduzione dal russo di Francesca Lazzarin - I L SAMIZDAT CULTURALE RUSSO Massimo Maurizio, “Poesia non ufficiale del periodo stalinano: le premesse del samizdat letterario in Unione sovietica” - Michail N. Ajzenberg, “Il samizdat dagli anni Sessanta agli anni Settanta (commento a due manufatti)”, traduzione dal russo di Claudia Criveller - Alessandro Niero, “Né in samizdat né in tamizdat né altrove: il ‘caso’ Zimnjaja počta di Iosif Brodskij” - Vladislav G. Kulakov, “Aleksandr Soprovskij e il suo ruolo nella poesia samizdat degli anni Settanta e Ottanta”, traduzione dal russo di di Massimo Maurizio - Claudia Criveller, “‘Io sono il padrone del mio sogno’. Evgenij Charitonov e la letteratura del sottosuolo come costruzione dell’io” - Stefano Garzonio, “Arkadij Severnyj – il bardo del magnitizdat” - Indice di eSamizdat 2010-2011 (VIII) I L SAMIZDAT CULTURALE CECO Jiří Gruntorád, “La letteratura samizdat in Cecoslovacchia negli anni Settanta e Ottanta”, traduzione dal ceco di Alessandro Catalano - Sylvie Richterová, “Etica ed estetica del samizdat nel periodo della ‘normalizzazione’ in Cecoslovacchia” - Stefania Mella, “Le polemiche dei senza potere: la revisione del ruolo del dissidente all’interno di Charta 77” - Martin Machovec, “Ideological Orientation and Political Views and Standpoints of Representatives of Czech Underground Culture, 1969-1989 (Underground and Dissidence – Allies or Enemies?)” - C ASE EDITRICI , ALMANACCHI E RIVISTE Vjačeslav E. Dolinin, “Riviste di Leningrado non sottoposte a censura dalla metà degli anni Cinquanta agli anni Ottanta”, traduzione dal russo di Simone Guagnelli - Marco Sabbatini, “Il caso Ostrova (1982)” - Francesca Lazzarin, “Samizdat e traduzione letteraria a Leningrado. Il caso di Predlog (1984-1989)” - Zbyněk Fišer, “Samizdat journals published in Brno in the 1980s”, translated from Czech by Pavla Kopečná - Alena Přibáňová, Michal Přibáň, “I rapporti di Sixty-Eight Publishers con il samizdat cecoslovacco e la concorrenza con le altre case editrici dell’emigrazione”, traduzione dal ceco di Alessandro Catalano - I L SAMIZDAT E LA REPRESSIONE Andrea Gullotta, “Il samizdat e il tema della repressione sovietica: una ricostruzione storica tra criticità e punti di domanda” - Petra Čáslavová, “Czechoslovak Prisoner Samizdat 1948–1989”, translated from Czech by Daniel Dolenský in - Alessandro Catalano, “Il samizdat tra dialogo e monologo. Le attività editoriali di Zdeněk Mlynář e la scelta degli interlocutori” - Francesco Caccamo, “Listy. Tra emigrazione, contestazione interna e opinione pubblica internazionale” - Valentine Lomellini, “Uno sguardo nuovo sul dissenso sovietico? La politica culturale del Pci tra gli anni Settanta e Ottanta” - I L SAMIZDAT E L’I TALIA Indice di eSamizdat 2010-2011 (VIII) Antonín J. Liehm, “La biennale del dissenso culturale” - Simone Guagnelli, “Rane, elefanti e cavalli. Vittorio Strada e la Biennale del 1977” - I N PRESA DIRETTA Václav Havel, “Una puntualizzazione sul samizdat. Qualche commento al telefono (1987)”, traduzione dal ceco di Alessandro Catalano www.esamizdat.it - Uno sguardo nuovo sul dissenso sovietico? La politica culturale del Pci tra gli anni Settanta e Ottanta Valentine Lomellini ♦ eSamizdat - (VIII), pp. - ♦ I TERMINI DEL PROBLEMA RIMA di delineare i rapporti tra il fenomeno del dissenso ed il Pci e le sue istituzioni culturali, è bene chiarire quali sono le ragioni per le quali il rapporto tra questi due attori politici ha un significato, sia nell’ambito dello studio della storia contemporanea sia in quello delle relazioni internazionali1 . Utilizzando una suggestione, si può affermare che il dissenso dei paesi dell’est e il Partito comunista italiano vissero in una situazione non troppo dissimile. Il primo, latore di un’esperienza drammatica, era indotto da una tensione costante oltre il Muro alla ricerca di un dialogo che in patria gli era negato. Il secondo, portatore di un messaggio socialista nell’emisfero dominato dalla logica capitalista, viveva sul crinale tra i due mondi in un equilibrio che talvolta pareva instabile. L’appartenenza politico-ideologica e il proprio posizionamento in politica interna portava questi due attori politici a vivere sul confine tra i due blocchi, collocandosi in uno di essi ma sviluppando intense relazioni con l’altro. L’invasione di Praga da parte dei paesi del Patto di Varsavia impresse una forte accelerazione a un avvicinamento a questi due attori politici. Con l’agosto del 1968, secondo la calzante definizione di Ulam, l’Unione sovietica iniziò ad apparire ai “partiti fratelli” dell’Europa occidentale come un vecchio e discreditato P 1 Un ringraziamento particolarmente sentito va alla Dott.ssa Cristiana Pipitone, che mi ha fornito un sostegno essenziale per la ricerca nell’ambito delle carte dell’Istituto Gramsci, presso l’omonima Fondazione a Roma. parente, seppur ancora influente2 . La condanna dell’intervento del Patto di Varsavia da parte del Partito comunista italiano creava un vulnus irreparabile in seno al movimento comunista internazionale. Per la prima volta, il più forte e meglio organizzato partito comunista dell’Europa occidentale condannava un atto di politica internazionale del Cremlino3 . Il fatto che l’atto sovietico non scuotesse quelle che ormai erano le solide fondamenta della distensione in Europa – l’indignazione degli Stati uniti parve un’eco lontana e poco distinguibile – rese l’atto del partito di Longo e Berlinguer ancora più denso di significato. A partire da quel momento, una parte del dissenso dei paesi dell’est – in particolare quello di orientamento socialista e marxista – fece riferimento a Botteghe oscure come al fronte occidentale del dissenso in seno al movimento comunista internazionale. Il dialogo con i dissidenti oltre Cortina parve allora non solo possibile, ma anche auspicabile, a riprova della volontà del Pci di affrancarsi dall’esperienza del comunismo sovietico, proponendo un tipo di socialismo differente, caratterizzato dalla stretta correlazione tra socialismo e democrazia. In realtà, tuttavia, il rapporto tra Pci e il monA.B. Ulam, The Communists. The Story of Power and Lost Illusions, 1948-1991, New York 1992, p. 334. 3 “Il comunicato della Direzione del PCI”, l’Unità, 24 agosto 1968, p. 1. Per una riflessione sulla posizione del Partito comunista italiano in comparazione con quella dei comunisti francesi si veda: M. di Maggio, “PCI, PCF et la notion de ‘centre’. Enjeux stratégiques et questions identitaires des PC de l’Europe occidentale”, Cahiers d’Histoire. Histoire croisées du Communisme italien et français, 2010, 112-113, pp. 33-38. 2  eSamizdat 2010-2011 (VIII) ♦ Il samizdat come simbolo della cultura europea ♦ do del dissenso non fu affatto semplice e lineare. Le relazioni con il dissenso del blocco sovietico furono lo specchio della strada dell’autonomia intrapresa da Berlinguer nei confronti di Mosca, un percorso lento e contradditorio, costellato da prudenze e ambiguità. Il rapporto con il dissenso dei paesi dell’est fu infatti il più manifesto simbolo di tale difficoltosa e – per certi versi – reticente presa di distanza dal socialismo reale. Partendo dal rapporto tra il Pci e il dissenso nel corso degli anni Settanta, lo studio propone alcuni casi che mostrano l’evoluzione della politica culturale di Botteghe oscure nei confronti della realtà del socialismo reale, con particolare attenzione al ruolo giocato dal dissenso in tale ambito. La ricerca qui presentata affonda le proprie radici in uno studio più ampio condotto sulle relazioni tra la sinistra italiana ed il dissenso nei regimi comunisti, su un’analisi della documentazione reperibile presso la Fondazione Istituto Gramsci di Roma (Fondo del Partito comunista italiano e Fondo dell’Istituto Gramsci) e di documenti solo di recente resi disponibili presso la Biblioteca Roberto Ruffilli di Forlì, con particolare riferimento ai fondi di Luciano Antonetti e di padre Ricci. I L P CI E LA QUESTIONE DEL DISSENSO ANNI S ETTANTA NEGLI Pur avendo fatto propria la bandiera del binomio socialismo e democrazia, nel corso degli anni Settanta, il Pci si mostrò sempre cauto nello stabilire rapporti organici con il dissenso. Un vincolo identitario – prima ancora che finanziario – con Mosca rendeva difficile il dialogo con gli esponenti del dissenso del blocco sovietico4 . 4 In generale, sui rapporti tra il Pci e Mosca tra la fine degli anni Sessanta e il decennio successivo, si vedano le diverse interpretazioni offerte da V. Zaslavsky, “Resistenza e resa dei comunisti italiani”, Ventunesimo Secolo, 2008, 16, pp. 123-141; F. Barbagallo, Enrico Berlinguer, Roma 2006, pp. 229-247. Riguardo al vincolo di carattere economico, in termini generali per il periodo in esame si veda: V. Riva, Oro da Mosca. I finanziamenti sovietici al PCI dalla Rivoluzione d’ottobre al crollo dell’URSS, Milano 1999; G. Cervetti, L’oro di Mosca, Milano 1999. Ciò è solamente in apparente contraddizione con la strategia dei comunisti italiani. Gli anni Settanta furono infatti gli anni in cui il Pci promuoveva, sul piano interno, la strategia del “compromesso storico” e, nello scenario internazionale, il movimento dell’eurocomunismo. Come ha messo giustamente in rilievo Silvio Pons, i due elementi erano strettamente correlati e costituivano l’asse portante della strategia berlingueriana5. Essa era saldamente correlata alla necessità di affermare la diversità del comunismo occidentale da quello orientale, ancorandola al mantenimento del legame tra socialismo e democrazia. In una logica conseguente, ciò avrebbe portato Botteghe oscure a sostenere apertamente le ragioni del dissenso nei regimi comunisti. In realtà, il sostegno del Pci al dissenso non fu palesato, se non attraverso la formula – più generale – della difesa del binomio tra socialismo e democrazia. Ciò che Botteghe oscure rifiutò al dissenso fu l’apertura di un canale privilegiato, che consentisse ai dissidenti di divenire interlocutori politici credibili per il principale partito comunista d’occidente. Mancò, in definitiva, la volontà di elaborare una strategia che si spingesse al di là della generale difesa del binomio socialismo e democrazia, e che riconoscesse al dissenso dell’est lo status di interlocutore politico6 . Le ragioni di tale scelta – o dell’assenza di una scelta precisa – sono varie e difficilmente riassumibili. In termini molto sintetici, possiamo enunciare tre ordini di ragioni. Innanzitutto, il legame con l’Urss che era, appunto, forse più rilevante per gli aspetti identitari che non finanziari: permaneva forte, tra le mura di Botteghe oscure, la convinzione che il socialismo reale fosse riformabile. 5 6 S. Pons, Berlinguer e la fine del comunismo, Torino 2006, p.35. Rispetto alla difficoltà di Botteghe oscure di riconoscere nel dissenso una “forza reale”, in grado di incidere nelle dinamiche della società si veda: A. Guerra, Comunismo e comunisti. Dalle ‘svolte’ di Togliatti e Stalin del 1944 al crollo del comunismo democratico, Bari 2005, pp. 282-283. V. Lomellini, Uno sguardo nuovo sul dissenso sovietico?  In secondo luogo, come corollario all’affermazione precedente, la volontà di affermazione dell’eurocomunismo, non tanto come possibile generatore di scismi in seno al movimento comunista internazionale, quanto come movimento riformatore del movimento comunista internazionale stesso e, indirettamente, dei regimi dell’est. Infine, terzo elemento, il legame con l’Urss si nutriva del ruolo internazionale dell’Unione sovietica: la necessità della distensione per le realizzazioni di politica interna e internazionale del Pci rendevano il principale promotore del dialogo tra le due super potenze – il Cremlino, appunto – un punto di riferimento irrinunciabile per i comunisti italiani. Il dialogo con i dissidenti dei paesi dell’est fu dunque sacrificato sull’altare della necessità della realizzazione della distensione internazionale e di un progetto di comunismo che, secondo il Pci, avrebbe indirettamente generato un’evoluzione in seno al blocco comunista7 . Nel corso degli anni Settanta, vi furono alcune occasioni in cui la scelta di non creare un collegamento diretto con il dissenso o il fallimento di un dialogo recentemente instaurato furono evidenti. In modo molto sintetico, possiamo certamente individuarne almeno un paio di opportunità mancate. La prima si concretizzò nel settembre del 1973, quando Joseph Smrkovský, ex Presidente dell’Assemblea nazionale durante la Primavera di Praga, chiese a Berlinguer di farsi portavoce delle proprie richieste di reale normalizzazione della situazione cecoslovacca con il Segretario generale del Partito comunista dell’Unione sovietica Brežnev. Smrkovský, riconoscendo il ruolo primario svolto dal Pci nel movimento comunista internazionale, aggiungeva anche la richiesta dell’istituzione di un “colle- gamento sicuro ed operativo” tra Roma e Praga8 . Berlinguer non rifiutò certo di farsi portavoce delle istanze di Smrkovský presso Brežnev, facendole anche proprie, ma la richiesta di un collegamento privilegiato con la ex classe dirigente della Primavera di Praga venne respinta in toto in quanto ritenuta “non opportuna”9 . Tale decisione fu inoltre confermata dal membro della Direzione Elio Quercioli che, in occasione dei colloqui con la classe dirigente cecoslovacca normalizzata, così li rassicurò: “Non abbiamo e non intendiamo avere rapporti con gruppi esterni al Pccs sia dell’emigrazione che del paese”10 . Il secondo episodio è contestualizzabile proprio nel pieno del periodo eurocomunista. In tale periodo, l’attenzione nei confronti del movimento del dissenso divenne più visibile e uscì dalle mura di Botteghe oscure. Nel 1976-‘77, le porte della sede del Pci si aprirono ad alcuni dei più conosciuti esponenti del dissenso dell’est. Non sempre, tuttavia, il dialogo era semplice né, tantomeno, proficuo. La comprensione del fenomeno così come l’orientamento politico dei dissidenti erano fattori chiave. Così, quando Antonio Rubbi, vice responsabile della Sezione esteri del Pci, incontrò Adam Michnik, esponente di spicco e fondatore del Kor – il comitato polacco per la difesa degli operai – l’impressione che ne ricavò il dirigente italiano non fu certo positiva. Rubbi non gradì affatto il tono di presunzione del dissidente polacco, che si era espresso in modo critico su elementi chiave della strategia del Pci anche in politica interna. Michnik non parve a Rubbi un interlocutore credibile: il dissidente – commentò Rubbi – sembrava “uno di Lotta continua”. Alla luce di questa lettura, Rubbi respingeva la possibilità Tale interpretazione è sviluppata in modo più articolato in V. Lomellini, L’appuntamento mancato. La Sinistra italiana e il Dissenso nei regimi comunisti, 1968-1989, Firenze 2010, pp. 236-240. Una diversa interpretazione sui rapporti del Pci con la leadership cecoslovacca è reperibile in A. Hobel, Il PCI di Luigi Longo (1964-1969), Napoli 2010, pp. 517-550. Lettera di Smrkovský a Berlinguer, settembre 1973, Fondazione Istituto Gramsci (Ifg), Archivio del Partito comunista italiano (Apci), MF 048, pp. 203-256. 9 Lettera del Pci, settembre 1973, Ifg, Apci, MF 048, p. 252. 10 Nota riservata di Quercioli, 15-20 febbraio 1974, Ifg, Apci, MF 074, pp. 51-64. 7 8  eSamizdat 2010-2011 (VIII) ♦ Il samizdat come simbolo della cultura europea ♦ di instaurare un canale di dialogo permanente segni della differente valutazione che il Pci dava con il Kor: “La cosa – concludeva il vice respon- del dissenso. A influenzare in modo determinante la politisabile – oltre che imbarazzante, può prestarsi a 11 ca culturale dei comunisti italiani in questo amcattive e nocive strumentalizzazioni” . bito fu la convergenza creatasi tra gli ambienI. P CI E C ESPI NEI PRIMI ANNI OTTANTA , TRA ti intellettuali vicini ai centri studi sopra menPOLITICA E CULTURA zionati e alcuni “quadri” di partito che si erano Questi due episodi – brevemente riportati – occupati, sin dalla fine degli anni Sessanta, di sono testimonianza delle difficoltà nel dialogo mantenere vivo il dialogo con il dissenso dei retra il mondo del dissenso e Botteghe oscure. Un gimi comunisti, talvolta anche contravvenendo giudizio risolutamente negativo sul dialogo tra a esplicite richieste di rompere tali relazioni da 13 il Pci e il dissenso nei paesi dell’est appare tut- parte di illustri dirigenti di partito . Il dialogo con il dissenso – ritenuto in contratavia fuorviante. Ciò che era ritenuto impossibile sul piano del riconoscimento del ruolo po- sto con la strategia del partito da alcuni dirigenlitico del dissenso da parte del Pci, era invece ti – divenne così possibile sul piano culturale. Non casualmente, fu proprio in questi amconcretizzabile a livello culturale. Fu così che, a partire dalla seconda metà de- bienti che maturò una lettura più critica delle gli anni Settanta e in modo ancor più marcato realtà dei paesi dell’est: più liberi dalla logica nei primi mesi del decennio successivo, l’atti- della responsabilità dei piani alti, gli analisti dei vità culturale di Botteghe oscure apparve come centri di studi potevano far circolare all’interla più foriera di cambiamenti sul piano della va- no del partito analisi scevre dalla fiducia nella lutazione del socialismo reale e del dialogo con politica perseguita dalle classi dirigenti dell’eil dissenso del blocco sovietico. Tale evoluzio- st. Non solo le analisi politico-sociali, ma anne fu probabilmente influenzata da un clima di che le valutazioni economiche elaborate dagli particolare attenzione che si era creato in Ita- analisti del Cespi, mettevano in rilievo la nelia intorno al fenomeno del dissenso: le inizia- cessità di una risposta dinamica da parte delle tive promosse dal Partito socialista italiano – si classi dirigenti dell’est alla crisi di un “modello pensi a eventi come la Biennale del dissenso – e politico sociale” che – si riteneva – aveva funla diffusione della cultura del dissenso a opera zionato dal periodo successivo al XX Congresso del Centro studi Europa orientale di padre Ricci sino alla metà degli anni Settanta. Il confronto portarono la questione del dissenso alla ribalta tra l’Urss e gli altri paesi del blocco comunista metteva in chiaro rilievo tale necessità: dell’opinione pubblica della penisola12 . Di fronte alle sollecitazioni esterne poste dalla crisi monIn merito alla politica del Pci, furono in pardiale hanno dimostrato di poter più positivamente reagire ticolare due organismi, il Centro studi di poliquelle realtà che pur restando all’interno dell’ortodossia, tica internazionale e il Centro di studi e di dosono state in grado di elaborare una propria formulazione autonoma del modello (Ungheria e, dietro ad una facciata cumentazione sui paesi socialisti, assieme alla di rigidità ideologica, la RDT). stampa di riflessione di partito (in particolare: Rinascita), a mostrare in modo più evidente i 13 Nota di Rubbi per Berlinguer, Pajetta e la Segreteria, 16 novembre 1976, Ifg, Apci, MF 281, pp. 0303-0307. 12 Si pensi al mensile, edito dal Cseo dal 1967 al 1984, Cseo documentazione: materiali per la conoscenza di chiesa e società all’Est. Il Cseo produsse anche una serie di saggi su questi temi, fra i quali ricordiamo: La chiesa nella transizione socialista, Milano 1973; Un anno di Solidarność: la “rivoluzione” polacca nelle testimonianze dei protagonisti, Bologna 1981. 11 È questo, ad esempio, il caso del giornalista ed esperto di affari cecoslovacchi Luciano Antonetti. Si vedano F. Caccamo, “Una vita all’ombra della Cecoslovacchia”, Una vita per la Cecoslovacchia. Il fondo Luciano Antonetti, a cura di S. Bianchini, G. Gambetta, S. Mirabella, Bologna 2011, pp. 14-29; C. Natoli, “Luciano Antonetti, la storia e gli storici della Primavera di Praga”, Ivi, pp. 37-69. Da non dimenticare è poi l’attività del Ceses – Centro studi e ricerche sui problemi economici e sociali, che – sotto la direzione di Renato Mieli, prima, e di Dario Staffa, poi, diede alle stampe numerosi interventi degli esponenti del dissenso nei paesi comunisti. V. Lomellini, Uno sguardo nuovo sul dissenso sovietico? Oggi come oggi la gravità della crisi in atto richiede da tutti i Paesi, la capacità di rinnovare profondamente il modello di sviluppo politico-sociale ed economico qui seguito14 . Se forti perplessità sorgevano sul modello politico-sociale ed economico rappresentato dai paesi dell’est, l’ambito in cui la distanza tra la politica del Pci e le strategie dei paesi dell’est era più evidente era certamente quella del rapporto tra socialismo e democrazia. Tale divario emerse in modo netto nella definizione della cooperazione culturale con i partiti fratelli nei primi anni Ottanta. La vicenda sviluppatasi intorno alla partecipazione del Pci alla rivista Problemi della pace e del socialismo, che da Praga operava sin dal 1958 sotto l’impulso di una redazione internazionale, ne fu il più chiaro esempio. Come emerge dalla documentazione di Luciano Antonetti, inviato italiano nella redazione, nei primi anni Ottanta, i motivi di disaccordo tra i comunisti italiani e i rappresentanti degli altri paesi emergevano ormai quotidianamente e rispetto ai temi più disparati: dalle ovvie discussioni sulle posizioni italiane sulla crisi polacca del dicembre 1981, al modo in cui venivano presentati i rapporti e i risultati dei partiti socialisti europei, sino a questioni più pratiche, come lo spazio limitato che la versione italiana della rivista concedeva agli articoli provenienti dalla versione internazionale15 . Il biasimo di Antonetti – uno degli esponenti del Pci che più si era occupato di mantenere vivi i rapporti con il dissenso cecoslovacco, con Dubček in particolare, spesso costretto a condurre solo campagne a favore del dissenso – veniva questa volta condiviso da Pajetta, che dipingeva l’organizzazione come un “centro di organizzazione e di orientamento Nota di Luigi Marcolungo per il Cespi, 23 aprile 1982, Ifg, Apci, Sezione lavoro – Esteri, MF 0509, pp. 3444-3451. 15 Nota di Antonetti sui rapporti finanziari con la rivista di Praga, 6 novembre 1981; nota sulla Conferenza di Problemi della pace e del socialismo, Praga, novembre 1981; entrambi contenuti in Biblioteca Roberto Ruffilli (BRR), Fondo Luciano Antonetti (FLA), faldone 6, fascicolo 3. 14  politico a senso unico”, spesso “in polemica” proprio con i compagni italiani. I casi di discriminazione nei confronti degli italiani erano sempre più numerosi16 . L’unica soluzione, a detta dei comunisti italiani, era il ritiro della rappresentanza italiana dalla rivista17 . La questione, prettamente culturale, rimandava a una questione di natura squisitamente politica. Era in gioco la possibilità di conferire un nuovo significato all’enunciazione berlingueriana della fine della spinta propulsiva della rivoluzione d’ottobre, pronunciata in occasione della crisi polacca18 . Compiendo un atto denso di significato come il ritiro della propria rappresentanza presso la rivista internazionale, il Pci rivendicava la primogenitura della propria riflessione sul socialismo reale. La decisione, oltre che significativa sul piano delle relazioni internazionali, aveva anche ricadute in politica interna: essa era ritenuta la risposta alle accuse di ambiguità mosse da alcuni attori politici italiani, primo fra i quali il Psi, ai comunisti italiani19 . Contestualmente alla presa di distanza nei confronti della politica culturale dei paesi dell’est, si ebbe un avvicinamento sempre più significativo alla proposizione di alcuni esponenti del dissenso come validi analisti delle società del blocco sovietico. Tale svolta affondava le proprie radici in alcune selettive collaborazioni già instaurate nel corso degli anni Settanta. Sebbene la decennale collaborazione con Roy Medvedev non abbia lasciato traccia nelle carte d’archivio, è sufficiente osservare la mole di volumi dello stuBozza di lettera per il Consiglio di redazione della rivista Problemi della Pace e del Socialismo, 1982; nota di Antonetti per Minucci, 13 agosto 1981; entrambe contenute in BRR, FLA, faldone 6, fascicolo 3. 17 Riunione, 9 settembre 1980, Apci, Direzione, MF 0487, fasc. 8106, pp. 1-37. 18 Tra gli altri, il giovane membro della direzione, Massimo D’Alema, fu tra i più puntuali a mettere in rilievo la necessità di ridefinire l’immagine del comunismo sovietico sulla stampa di partito. Intervento di D’Alema, riunione, 9 settembre 1980, Apci, Direzione, MF 0487, fasc. 8106, pp. 1-37. 19 A. Occhetto, “Il ritardo è vostro”, Rinascita, 2 febbraio 1983, pp. 1 e 42. 16  eSamizdat 2010-2011 (VIII) dioso sovietico pubblicati dagli Editori riuniti nel corso degli anni Settanta e Ottanta per avere una testimonianza del rapporto privilegiato che univa la casa editrice comunista e il dissidente20 . A partire dagli anni Ottanta, tale collaborazione passò dall’attività della casa editrice agli ambienti della stampa di partito21 . Questo passaggio fu particolarmente importante almeno per due ragioni. Innanzitutto, perché accoglieva le richieste che alcuni dirigenti – Ingrao, Napolitano – avanzavano da tempo, in merito alla necessità di rendere la “base” più consapevole dell’evoluzione delle analisi dei dirigenti in merito al socialismo reale22 . In secondo luogo, perché legittimava definitivamente i dissidenti quali interpreti credibili delle realtà dell’est. L’esempio più evidente di tale politica fu la citata serie di editoriali firmati da Mlynář intorno allo stalinismo e alle sue conseguenze sulla società sovietica. Al coinvolgimento dei principali esponenti del dissenso di orientamento socialista si affiancò una politica culturale di riflessione sui temi del socialismo reale. La questione a lungo elusa dagli stessi comunisti italiani – i regimi socialisti erano riformabili – emerse per la priR. Medvedev, Dopo la rivoluzione: primavera 1918, Roma 1978; Idem, Stalin sconosciuto, Roma 1980; Idem, Tutti gli uomini di Stalin, Roma 1985; G. Chiesa – R. Medvedev, La rivoluzione di Gorbačev. Cronaca della perestrojka, Milano 1989. Intervista dell’autrice ad Adriano Guerra, Roma, 19 giugno 2007. 21 A titolo di esempio: Z. Mlynář, “L’ottobre e lo stalinismo”, Rinascita, 14 ottobre 1983, pp. 27-29; Idem, “Il crocevia della riforma politica”, Rinascita, 8 novembre 1986, pp. 3-5; R. Medvedev, “Il secondo, contrastato, disgelo”, Rinascita, 8 novembre 1986, p. 43; Z. Mlynář, “Emerge il mosaico sociale sovietico”, Rinascita, 15 novembre 1986, pp. 30-31. Mlynář scrisse per la rivista di riflessione del Pci cinque saggi focalizzati sulla storia sovietica degli anni Ottanta; il suo contributo aprì un dibattito sulle pagine del settimanale, con interventi anche da parte di intellettuali sovietici dell’establishment. A titolo di esempio, si cita il saggio di Otto Lazis, della redazione del Kommunist – la rivista teorica del Pcus: O. Lazis, “Mosca ci scrive”, Rinascita, 13 dicembre 1986, pp. 3-5. 22 Il fatto che l’analisi della situazione in Urss fosse al centro degli interessi politici e culturali del partito trova conferma nelle carte della Sezione esteri. Si veda, a titolo di esempio, l’ordine del giorno della riunione del Cespi, del 19 febbraio 1982: Ifg, Apci, Sezione lavoro – Esteri, MF 509, pp. 3436-3437. 20 ♦ Il samizdat come simbolo della cultura europea ♦ ma volta in modo chiaro, squarciando il velo di formule contorte dietro al quale era stata celata sino a quel momento. Adriano Guerra, inviato a Mosca nel corso degli anni Settanta e direttore del Centro di studi e di documentazione sui paesi socialisti, affrontò in modo diretto questo tema in un volume pubblicato nel 1983 da Editori riuniti23 . La crisi del socialismo reale non era più ricondotta solamente all’inettitudine della classe dirigente, ma a ragioni sistemiche che rappresentavano fattori di continuità tra periodo staliniano e quello brežneviana24 . La presunta stabilità in politica del regime sovietico negli anni Settanta veniva criticata come segnale di un processo involutivo che si accompagnava, sul piano internazionale, a un graduale deterioramento della distensione, la cui responsabilità andava ricercata a Mosca. Questa ultima affermazione era di una particolare importanza, se si considera che il Pci vedeva e, sino a quel momento, aveva celebrato il Cremlino come l’elemento propulsore della distensione internazionale25 . All’alba dell’ascesa di Michail Gorbačev alla segreteria del Pcus e alla testa dell’Unione sovietica, la politica culturale del Pci pareva dunque aver influenzato in modo determinato la percezione che i comunisti italiani avevano del socialismo reale e del fenomeno del dissenso. Un’eredità che ebbe, tuttavia, una vita breve. A. Guerra, Dopo Brežnev. È riformabile l’Unione Sovietica?, Roma 1983. 24 Un’analisi particolarmente interessante del periodo staliniano venne offerta da Giuseppe Boffa durante un ciclo di lezioni tenute presso l’Istituto Gramsci, nei giorni 14-21-28 gennaio 1980, dal titolo: “L’esperienza sovietica del socialismo in un solo Paese”, Ifg, Apci, Convegni, busta 82, pp. 1-30. Le opinioni di Boffa in merito vennero raccolte da Bruno Gravagnuolo in “Si può riformare il modello sovietico?”, Rinascita, 4 novembre 1983, pp. 30-31. Il volume di Paolo Spriano, I comunisti europei e Stalin, Torino 1983, fu presentato come un ulteriore esempio della necessità di riflettere sullo stalinismo da Aldo Tortorella, “L’ardua e lunga strada per uscire dal ‘legame di ferro’”, Rinascita, 25 marzo 1983, pp. 23-24. 25 A. Guerra, “Eppur si muove”, Rinascita, 23 marzo 1985, pp. 10-11. Questa riflessione era probabilmente ispirata alle riflessioni dell’ultimo Berlinguer, si veda la relazione di Berlinguer, XVI Congresso del PCI. Atti, risoluzioni, documenti, Roma 1983, pp. 21-68. 23 V. Lomellini, Uno sguardo nuovo sul dissenso sovietico? C ONCLUSIONI . U NO SGUARDO NUOVO D ISSENSO SOVIETICO ? SUL Nel corso degli anni Settanta, uno dei limiti principali della politica del Pci nei confronti del dissenso fu quello di non avere una compiuta strategia di dialogo con gli oppositori nei paesi socialisti; l’evoluzione della politica dei comunisti italiani fu chiara nel corso del decennio successivo, quando tale ostacolo venne meno. I dissidenti di orientamento socialista divennero interlocutori e analisti per la stampa del Pci: venne loro riconosciuto un ruolo attivo non solo nel proprio paese d’origine, ma anche nella ridefinizione dell’immagine internazionale del socialismo reale. Una lettura preparata dunque a livello culturale nel corso degli anni Settanta emerse in modo chiaro nel corso del decennio successivo, divenendo parte fondante della politica del partito. Nel dialogo con il dissenso dell’est rimase tuttavia invariato il limite fondante. Il rapporto fu sempre a tre: la relazione tra Pci e oppositori rimase condizionata dal legame del Pci con le classi dirigenti dei regimi a socialismo reale. Il mito della riformabilità del socialismo reale condizionò infatti la scelta degli interlocutori tra il variegato movimento del dissenso. Le valutazioni critiche e l’eredità della politica culturale dei primi anni Ottanta furono sostanzialmente cancellate dall’avvento della leadership gorbačeviana. La fede nella riformabilità del socialismo reale, che pareva scomparsa nei primi mesi del nuovo decennio, venne riaccesa dalla politica di glasnost´ e perestrojka. E la fiducia nelle possibilità di Gorbačev compromise in modo irreversibile la percezione che il Pci ebbe delle forze di rinnovamento dei paesi dell’est. www.esamizdat.it 