Ciò che è massimamente evidente è al centro della nostra esistenza ma, per quante volte gli si passi accanto, rimane invisibile. E così anche il filosofo, che pure intuisce la sua importanza, assume spesso la postura interrogativa: come...
moreCiò che è massimamente evidente è al centro della nostra esistenza ma, per quante volte gli si passi accanto, rimane invisibile. E così anche il filosofo, che pure intuisce la sua importanza, assume spesso la postura interrogativa: come i due discepoli nella Cena di Emmaus di Tintoretto, la cerca nella direzione sbagliata e, non trovandola, non arriva alla meraviglia «vertiginosa», ma alla Grundfrage con cui Heidegger chiude la celebre prolusione Che cos’è Metafisica? «Perché c’è in generale l’essente e non piuttosto il Nulla?». Ma se domando, e sono alla ricerca di una risposta, è perché ancora non vedo. E non vedo in quanto, esattamente come i due discepoli nella Cena di Emmaus di Tintoretto, sono ancora girato dalla parte sbagliata: la mia postura, mancando di periagoge, è ancora autoreferenziale. La domanda «Perché c’è in generale l’essente e non piuttosto il Nulla?» si trasforma così nel vicolo cieco della filosofia novecentesca, in quanto l’atteggiamento interrogante che la sorregge cerca dalla parte sbagliata, avendo già in mente quello che pensa di trovare, e non trovandolo non vede che il nulla. Se invece compio il movimento della periagoge e mi vivo come una sorpresa, allora sento la scossa della meraviglia. Ma sentendo la scossa della meraviglia di certo non interrogo, ma piuttosto, colto da vertigini, esclamo: «esisto!». E sperimentando questo «esisto!» al di fuori della prospettiva autoreferenziale dell’ego, lo colgo come una positività gratuita che s’impone da sé senza bisogno di essere dedotta cartesianamente dal mio «cogito»: si presenta come una sorpresa assolutamente gratuita che trascende ogni principio di giustificazione e ogni fondamento della ragione.