History of Geopolitics

Il termine “geopolitica” è oggi molto inflazionato, spesso svuotato del suo contenuto e reso alla stregua di attualità della politica internazionale. Ciò non solo pone la geopolitica su un piano non scientifico e più giornalistico che accademico; ma soprattutto tradisce ciò che storicamente è stata, e attualmente può essere, la vera Geopolitica intesa come approccio scientifico a sé stante, ancorché necessariamente interdisciplinare. Un buon modo per recuperare l'originario afflato della Geopolitica, e ribadirlo, è quello di osservare come essa si estrinsecò nei suoi autori più rappresentativi, quelli che potremmo chiamare “i classici”.
In tale logica si inserisce il presente lavoro riassuntivo del pensiero di Halford John Mackinder (1861-1947), tra le figure chiave della geopolitica di inizio Novecento. Basata sulle opere edite di Mackinder e su alcuni documenti d'archivio con una costante attenzione per il coevo panorama scientifico e culturale in cui agiva il geografo britannico, questa ricerca eminentemente storiografica vuol essere di stimolo alla riflessione sulle potenzialità di una scienza geopolitica, sui suoi contenuti, metodi e finalità.

In 1925, the German geographer Albrecht Penck published the map of the “deutscher Volks- und Kulturboden” (“German national and cultural soil”). In the aftermath of the First World War, Penck wanted to justify a revisionist and even further expansionist notion of German cultural superiority in East Central and Eastern Europe, which was intented to prove in particular the dominance of "Germanness" in the cultural landscape. However, the idea of a “cultural boundary”, the basic element of Penck’s concept, had already been developed before World War I in Vienna by his doctoral student Erwin Hanslik, who distanced himself from his early ideas in later years. This article aims to historicize the formation and radicalization of this geopolitical construct as a result of practices of observation, circulation and adaptation against the socio-political backdrop of the late Habsburg Monarchy and the First World War.

Il XIX secolo segna la frattura tra scienze dello spirito e della natura. La rivoluzione darwiniana, tuttavia, cambia il contesto scientifico dal punto di vista antropologico più che metodologico. Mentre sotto quest’ultimo punto di vista Darwin non introduce nulla di nuovo, dall’altra parte si afferma la figura dello scienziato moderno, che studia i meccanismi della natura e si disinteressa dei suoi principi organizzativi, ossia delle sue finalità. La disputa scientifica in ambito geografico su Darwin e Lamarck mostra esiti inaspettati. Il trionfo di Darwin è tutt’altro che scontato per tutto il secolo, e anche quando viene decretato ormai i geografi hanno perso quella familiarità con le scienze della natura che gli possano far apprezzare il proprio distacco, di fatto, dal metodo darwiniano e la vicinanza con Lamarck. Ipotesi questa, se confermata, che spingerebbe a chiedersi le ragioni di una preferenza, quando anche non espressa. Il tentativo di Lamarck si contrappone a Darwin perché per l’ultima volta cerca di porre consapevolmente il finalismo all’interno della scienza moderna, cosa che il secondo respinge. La ricerca del finalismo fa riflettere allora sull’identità della geografia come scienza appropriata all’unità del sapere, quindi per sua natura contraria alla frammentazione degli studi. Da qui si apre il problema del rapporto con il positivismo e il determinismo, in una diatriba intellettuale che ha come elemento centrale la consapevolezza o meno del proprio finalismo metodologico.