James Burnham

This piece, published in the French and English academic blog Tocqueville21, evaluates James Burnham's recent "mini Renaissance" and critically analyzes the apocalyptic rhetoric that underlies his theory of "the managerial revolution."  I argue that those seeking to revive Burnham's works today cannot uncritically embrace his supposed "realistic" analysis of modern politics developed through his readings of "the Machiavellians." In fact, Burnham's supposedly "realist" theories about geopolitical developments in the 1940s are saturated with what George Orwell called "apocalyptic wish" and display a strong attraction to metanarratives on the philosophy of history that define much of American political thought. 

A review essay on two books dealing with the White Australia Policy: the first was Keith Windschuttle's The White Australia Policy (Sydney: Macleay Press, 2005); and the second was Gwenda Tavan, The Long, Slow Death of White Australia (Melbourne: Scribe, 2005).
Both books are criticized for their adherence to racial orthodoxy. Paradoxically, Windschuttle seeks to defend the White Australia Policy against charges that it was grounded in "racism". He maintains that it grew out of a long-established progressive program to extend both the freedom and the dignity of labour.
Tavan deals mainly with the demise of the White Australia Policy. She disagrees with Windschuttle on the origins of the policy, holding that it was based on a racist and xenophobic campaign to restrict immigration. But, like Windschuttle, she was struck by the ease with which the policy was dismantled.
The reviewer maintains that both authors refuse to recognize that the WAP was a soundly-based attempt to preserve the identity of the white, predominantly British, character of the Australian nation. They represent the "treason of the intellectuals" marching under the banner of managerial multiculturalism.

Sono ormai almeno due decenni che si assiste ad un forte ritorno di interesse per il "realismo politico", ovvero per una tradizione di pensiero caratterizzata da uno sguardo lucido, penetrante, disincantato sulle cose della politica (interna e internazionale). Uno sguardo di cui si è avvertita sempre più la necessità dopo il declino delle grandi ideologie che hanno scandito la parabola storica del "secolo breve", generando grandi passioni, ma anche immani tragedie e profonde delusioni. Ciò nonostante, il realismo politico rimane a tutt'oggi una tradizione assai controversa, sulla quale gravano non pochi equivoci e pregiudizi: se per alcuni esso è un salutare antidoto ad ogni forma di furore ideologico o di falsa coscienza, per altri non è che un'ideologia mascherata, che in nome del richiamo alla realtà rischia di privare la politica di ogni spessore normativo. In questo volume, che nasce da un'iniziativa dell'Istituto di Politica e della «Rivista di Politica», il lettore troverà 53 saggi scritti da studiosi di chiara fama e da giovani ricercatori su autori, temi, concetti riconducibili al realismo politico, nonché su vicende politiche dei nostri giorni lette alla luce dei suoi strumenti analitici. Si tratta di un atlante di straordinaria ampiezza, che chiunque sia interessato al realismo politico potrà leggere in modo sistematico oppure consultare a seconda dei 'viaggi intellettuali' che sta compiendo o che vorrebbe intraprendere. Alessandro Campi insegna Storia delle dottrine politiche, Scienza politica e Relazioni internazionali nell'Università di Perugia. Ha curato saggi, volumi e antologie

The early work of Jürgen Habermas stressed the corrosive of the state and the market on the socio-cultural life-world. There could be no administrative creation of meaning. Later, he contended that the system can redeem itself without sacrificing the emancipatory interests of humanity. This rhetorical shift did not, however, represent an abandonment of the revolutionary project of critical theory. On the contrary, his communicative model of of proceduralist law-making is designed to promote the revolutionary transformation of Western civilization under the auspices of managerial and administrative elites.
The radical ideal of cosmopolitan democracy was to be an essential ingredient in the effective management of what would become an Empire of Reason operating on a global scale. The demos in Habermas' vision of radical democracy is not the people of any particular nation but humanity at large. As a consequence, the proceduralist model of law-making provides the philosophical justification for a bizarre social experiment aiming to dissociate Western nation-states from their core ethno-cultural identities.

‘Teoria della Distruzione del Valore’: teoria elaborata da Massimo Morigi afferente al ‘Repubblicanesimo Geopolitico’, al ‘Repubblicanesimo’, al ‘Neo-repubblicanesimo’, al ‘Marxismo’ e al ‘Neo-marxismo’. Pur condividendo la critica di Karl Marx all’individualismo metodologico dell’economia classica (in specie la critica ad Adam Smith e David Ricardo, individualismo metodologico che poi sarà in seguito trasmesso anche all’economia neoclassica o marginalismo), la ‘Teoria della Distruzione del Valore’ rovescia la teoria del plusvalore di Karl Marx, affermando che il rapporto sociale che va sotto il nome di ‘capitalismo’ non opera una sottrazione del valore del lavoro erogato dal lavoratore a vantaggio del capitale ma, invece, una distruzione del valore di questo lavoro, distruzione del valore che si evidenzia sul “libero mercato” dove s’incontrano – entrambi formalmente liberi – gli operai (decisori omega-strategici), che apportano su questo mercato un lavoro svalutato (distrutto quindi nel suo valore) originatosi proprio dalla libertà di questo mercato (ossia dalla sua mancanza di regole) e i datori di lavoro capitalisti (decisori alfa-strategici) che così possono avvalersi di questo valore-lavoro effettivamente svalutato (o, meglio, distrutto).