Di sogni e di avventure
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Anteprima del libro
Di sogni e di avventure - Niccolò Gangi de Thierry
L'Autore
Introduzione
Vi prometto che questa introduzione sarà breve e concisa. So che non sono molti quelli che si soffermano a leggere le noiose introduzioni degli autori, per questo sarò grato a coloro che si spingeranno oltre nella lettura di queste righe.
In quanto autore ci tenevo a dare al lettore un paio di informazioni su quello che sta per andare a leggere, e che, spero, risulterà di suo gradimento. Innanzitutto una parola sulla genesi di quest’opera: qui sono racchiuse le prime fatiche di un aspirante scrittore, che ha eletto a suo genere di debutto principalmente la fiaba.
La fiaba è stato il primo genere letterario a cui mi sono approcciato per quanto riguarda la scrittura, i motivi sono molteplici, dal fatto che in apparenza, e sottolineo in apparenza, mi sembrava un genere più semplice con cui cominciare, al fatto che avevo trovato delle possibilità interessanti che riguardavano appunto questo genere.
Mi sono documentato leggendo alcuni degli autori di fiabe più significativi: da Collodi, a Perrault, a Basile, a Oscar Wilde (su cui però ci sarebbe da dibattere); e sono arrivato a farmi una mia idea del genere, da cui sono partito per cimentarmi in questi lavori.
In tutta la raccolta sono frequenti i debiti sia letterari sia stilistici (prendendo quest’ultima parola proprio con le pinze, anzi solo sfiorandola da lontano), con autori che appartengono sia alla classicità sia a fasi più moderne della letteratura, da cui a volte ho attinto.
Per concludere volevo mettere anche una buona parola in difesa dei miei personaggi
, che qualcuno potrebbe considerare sciocchi o semplicistici, e non a torto. In loro difesa vorrei dire che si tratta di rappresentazioni di quelli che una volta si definivano tipi fissi
, come i personaggi che rappresentavano le antiche maschere del teatro. Si tratta di protagonisti con una specifica funzione letteraria all’interno del breve racconto che animano, e che si trovano spesso più a impersonare un’idea ben precisa o un sentimento che un vero e proprio carattere senziente autonomo in tutte le sue contraddizioni e complessità.
Se avete avuto cuore di leggere sino alla fine, ecco che rinnovo il mio ringraziamento, e vi auguro buona lettura e buon divertimento.
Niccolò Gangi de Thierry
L’ortolano
In un paese molto lontano viveva un re tanto saggio quanto potente, che amava molto il suo popolo e altrettanto amava sua moglie, la regina, morta purtroppo tanti anni prima, quando era ancora giovane e nel fiore della bellezza.
Il re, da vero uomo di Dio qual era, aveva deciso di non risposarsi mai più. Però ormai il sovrano stava invecchiando, e di giorno in giorno la sua chioma, un tempo dorata, biancheggiava sempre più. L’unica cosa che teneva in vita il gran sovrano, che altro non bramava se non rivedere finalmente l’adorata moglie, era il bene che voleva al suo popolo, e proprio questo lo costringeva ad aspettare di trovare un degno erede, non avendo mai avuto un figlio dalla regina.
Non riusciva a trovare nessuno abbastanza degno, nessuno che fosse furbo ma non ambizioso, coraggioso ma non avido, abile ma non vanitoso; finché un giorno ebbe un’illuminazione.
Radunato tutto il popolo nella grande piazza del mercato proclamò: Fedeli sudditi, chi di voi riuscirà nella sfida che ora propongo sarà il vostro nuovo re, e io potrò morire in pace. Un tulipano, tutto ciò che vi chiedo è un tulipano, come uno dei tanti che abbelliscono i giardini del palazzo. La vostra regina li amava più di ogni altro fiore, e io vorrò bene come a un figlio all’uomo che ne troverà uno. Ma questo tulipano non dovrà essere uno qualsiasi, bensì dovrà avere i petali rossi come il fuoco, poiché come il fuoco erano i capelli di mia moglie, e azzurri come il cielo, poiché come il cielo erano i suoi occhi
.
Pensava compiaciuto il re che solo qualcuno disposto a fare di tutto per il suo regno avrebbe potuto trovare un fiore del genere, che mai si era visto in natura.
Accadde che il figlio del mugnaio, un ragazzo forte e onesto, e di una profondità di cui mai diresti capace un ragazzo di simili origini, udisse una conversazione tra due rampolli di corte: il figlio del generale dell’esercito e il primogenito del più fido consigliere del re. L’uno era tozzo e robusto, tanto che sembrava un ovetto dotato di gambe, l’altro lungo e affusolato, fragilino ma esperto in ogni tipo di scherzo e di inganno.
Questi due parlottavano tra loro in maniera decisamente rumorosa di un tale vecchio ortolano, che viveva poco fuori città, e di cui si diceva che coltivasse in un bellissimo giardino piante che parevano avere in sé il soffio della vita.
Bisogna sapere che anche il ragazzo udì questa conversazione mentre era in giro a lavorare al posto del padre terribilmente malato, cui però la famiglia, poiché troppo povera, non poteva provvedere nel modo giusto.
I due ragazzotti si ritrovavano sempre a confabulare nello stesso posto, dove il figlio del mugnaio vendeva i suoi prodotti freschi, evidentemente convinti dal loro grande acume che in un posto del genere la gente non aveva nemmeno orecchi per sentirli, e se ce li aveva allora non avrebbe capito il loro linguaggio raffinato.
Un giorno decisero di andare di nascosto a vedere se per caso quell’ortolano avesse mai coltivato un fiore di siffatta natura, e il figlio del mugnaio non poté che decidere di seguirli, concludendo gli affari per quel giorno. Dopotutto un fiore che avrebbe potuto salvare suo padre e la sua famiglia valeva più della vendita di qualche forma di formaggio, si disse il ragazzo.
Poco dopo arrivarono a una casetta senza nulla di speciale, riparata nella parte posteriore da un’altissima siepe che sembrava racchiudere un enorme giardino.
I due ragazzi, seguiti a distanza dal figlio del mugnaio, bussarono e venne ad aprire loro un omino piccolo piccolo e tozzo come un barile, con la faccia tutta rossa e con una gran barba, uno di quegli uomini che vedendoli mai diresti dotato di grandi capacità.
Ma quando i due nobili e il popolano, che procedeva sempre senza farsi notare dagli altri ragazzi, dote che gli derivava dal fatto stesso di essere un popolano, videro il giardino, capirono che si trattava di un uomo dalle doti straordinarie. Era un orto di quattro iugeri, verde e lussureggiante come non se ne erano mai visti, tutti i tipi di piante vi crescevano e regnava una gran quiete. C’erano meli, peri, floridi ulivi e viti feconde. Ovunque aleggiava un lieve tepore e mentre i fiori profumavano così dolcemente da calmare i sensi, i frutti dorati parevano essere cibo degno di re.
Parlò per primo il figlio del generale, e diceva: Sono qui per avere un tulipano coi petali rossi come il fuoco e azzurri come il cielo, con quello diventerò re e ti farò mio consigliere
.
L’ortolano rispose: Possiedo questo fiore, ma non posso darti ciò che chiedi, mai permetterò che sia re un ragazzo così avido di potere da essere disposto a vendere cariche immeritate pur di ottenerlo
.
Il giovane parve per un attimo soppesare l’idea di aggredire l’ortolano, ma vedendo che