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L’eretico eccitato da Dio

Vita e opere
 Filippo Bruno nasce a Nola, vicino a Napoli, nel 1548. A Quindici
anni entra nell’ordine domenicano e cambia nome assumendo
quello di Giordano. Egli si distingue subito nel convento come un
ragazzo prodigio per la sua eccezionale memoria e per le sue
qualità intellettuali. Tuttavia fin dal diciottesimo anno di età il suo
carattere impetuoso e ribelle si manifesta anche nel pensiero che
esce dal seminato della tradizionale dottrina cattolica e genera il
sospetto di eresia. Infatti della sua cultura entrano a far parte
l’ermetismo magico, diffuso nel Rinascimento, l’atomismo
epicureo, assunto attraverso la lettura di Lucrezio del quale era
appena (1417) stato scoperto il capolavoro (Il De rerum natura) e la
nuova astronomia copernicana. Tutti elementi, questi, che lo
conducono sempre più lontano dalla scolastica tommasiana, che
si afferma nel contempo come filosofia ufficiale della Chiesa.
Vita e opere 2
A diciott’anni, tuttavia, si manifestano
solamente alcune tendenze eterodosse contro le
immagini dei santi, prendono piede nella sua
mente dubbi sulla Trinità e sull’Incarnazione,
cioè posizioni squisitamente teologiche e non
ancora saldate ad un complessivo sistema
filosofico, e nondimeno più che sufficienti a
suscitare la reazione ecclesiale che determina
nel 1576 l’ abbandono dell’abito domenicano e
l’inizio delle sue peregrinazioni in tutta Europa.
Vita e opere 3
Dopo essere passato dall’Italia settentrionale si reca a
Ginevra, patria del calvinismo, dove crede di trovare
un ambiente religioso più confacente al suo spirito.
Presto però rimarrà deluso dal rigido dogmatismo
calvinista. Di qui allora passa prima a Tolosa, dove
diventa magister artium e può insegnare alla locale
università, e poi a Parigi dove ottiene il favore di
Enrico III per la dedica al re di una delle sue prime
opere, il De umbris idearum (1582), cui seguono altre
opere di mnemotecnica (il Cantus circaeus, 1582) e la
commedia in italiano, il Candelaio (1582).
Vita e opere 4
L’insegnamento come lettore straordinario all’università
genera subito polemiche anche a Parigi. E’ questo il
motivo per cui Enrico III decide di inviarlo
nell’Inghilterra elisabettiana come gentiluomo addetto
all’ambasciatore di Francia. Bruno viene introdotto subito
nell’ambiente di corte e in quello universitario (Oxford). In
questo periodo compone i dialoghi italiani: La cena delle
ceneri (1584); De la causa principio e uno (1584); De l’infinito
universo e mondi (1584); De gli eroici furori (1585) e Lo
spaccio della bestia trionfante (1585). Tornato a Parigi nel
1586, è ancora coinvolto in una burrascosa polemica
universitaria, che lo convince a spostarsi in Germania.
Vita e opere 5
In Germania dalla metà del 1586, insegna a Marburgo,
Wittenberg e Francoforte, componendo gli scritti latini come
De triplici minimo et mensura; De monade numero et figura; De
immenso et innumerabilibus (tutti nel 1591). Dall’incontro con i
librai veneziani che viaggiavano a Francoforte, nasce l’invito
del patrizio della città lagunare Giovanni Mocenigo a recarsi
da lui per istruirlo nelle pratiche magiche e nella
mnemotecnica. Insoddisfatto del suo insegnamento, il
nobile lo denuncia al Sant’Uffizio nel 1592. La mitezza dei
prelati veneti non può però impedire che, dopo trattative
intense con il senato veneziano, l’organo centrale
dell’inquisizione romana ottenga la sua estradizione
nell’Urbe.
Vita e opere 6
 Dal febbraio del 1593 al 17 febbraio del 1600, data della sua morte,
Bruno è in carcere a Roma. Egli mantiene un atteggiamento
oscillante, ma alla precisa contestazione di alcune proposizioni
tratte dalle sue opere, fattagli dal cardinale Bellarmino che le
indicava come eretiche, Bruno risponde di non dover ritrattare nulla
perché le ritiene perfettamente ortodosse. A questo punto papa
Clemente VIII rompe gli indugi, lo scomunica come eretico e lo
consegna al governatore di Roma per farlo bruciare. Cosa che accade
in Campo dei Fiori, luogo dove al filosofo nolano è stato eretto un
monumento che, malgrado le speculazioni anticlericali dalle quali è
sorta l’iniziativa, ricorda un gravissimo errore di mancanza di
misericordia da parte delle autorità ecclesiastiche del tempo, di cui,
non tanto i fumosi ideali di libertà di pensiero, ma il Vangelo da esse
custodito rimarrà sempre criterio di critica radicale e ineludibile.
Bruno filosofo del Rinascimento
Vi sono due convinzioni tipicamente rinascimentali da
cui la filosofia di Bruno si può dire che scaturisca in tutta la
sua complessità e in tutto il suo fascino:
1) l’idea che il pensiero dei moderni deve abbeverarsi alle
fonti antiche, ad una sapienza originaria ed arcana che i
filosofi nella storia hanno sempre valorizzato, studiato ed
analizzato in tutte le epoche, e che si può ritrovare nel
nucleo di tutte le grandi filosofie;
2) l’idea che l’uomo deve riconciliarsi con la natura, che
per l’umanità è costante punto di riferimento. Una natura
che è concepita come essere universale e pulsante da cui
scaturisce ogni vita e ogni intelligenza.
L’ermetismo
Riguardo alle fonti antiche, l’allusione è a quegli scritti
ermetici cui molti intellettuali del Rinascimento
guardano come ad uno scrigno antichissimo di
sapienza religiosa e filosofica. In realtà sin dal sec.
XVII si scoprirà l’origine molto più tarda (II sec. d.C.)
dei libri ermetici attribuiti al misterioso Ermete
Trismegisto, a Orfeo, a Pitagora e a Mosé. Ma nel
tempo di Bruno essi svolgono, grazie all’autorità data
loro dall’antichità, un importante ruolo di stimolo per
la filosofia, che diviene fondamentale nel caso di
Bruno.
Temi ermetici
L’ermetismo fonde assieme platonismo, neoplatonismo,
stoicismo e aristotelismo in una sintesi che caratterizzerà
tutta la filosofia popolare ellenistica e tardo antica. Lo scopo
è quello di dar luogo ad una speculazione soteriologica
(salvezza) in cui il tema del divino e delle modalità della
sua conoscenza occupa un posto fondamentale. Dio è
indicato neoplatonicamente come un principio ineffabile
e trascendente, ed è conoscibile solo con una gnosi che
porti oltre le capacità della pura ragione verso una forma
di sapere simbolico, allusivo e mistico. Così, salendo i
gradi dell’universo fisico e poi metafisico, l’uomo viene
progressivamente strappato alla sua corporeità
sensibile in un’estasi che lo unisce al divino.
Sensibilità e sovrasensibile
Benché l’uomo sia un essere sensibile, egli porta
con sé una traccia del principio dal quale egli proviene
e da cui si è allontanato «cadendo» prigioniero del
mondo. Ciò fonda la possibilità del ritorno, anche
attraverso i segni, le tracce del divino presenti nel
mondo sensibile che rappresentano altrettanti gradini
approntati per la risalita. Ovviamente un simile
cammino è riservato a pochi eletti, uomini spirituali
che sanno cogliere ciò che la massa ignorante e
incolta non vede né percepisce.
Gnosticismo cristianizzato
Ciò che consente in epoca rinascimentale di rivalutare la
gnosi ermetica sono i punti di contatto con il
cristianesimo. La Chiesa infatti, già nella sua iniziale
battaglia contro lo gnosticismo, rigettando nel complesso la
dottrina gnostica, aveva dovuto discernere gli aspetti di
quest’ultima ritenuti compatibili con la Rivelazione da
quelli, di peso indiscutibilmente maggiore, che non lo erano.
Rispetto all’accoglienza «cristianizzante» dei testi ermetici nel
Rinascimento, la prospettiva di Bruno è qui però radicalizzata,
poiché è la sapienza ermetica ad essere considerata
primaria e il cristianesimo ad essere ritenuto accettabile
in quanto compatibile con l’ermetismo.
La natura
Abbagnano individua nell’amore per la natura uno dei
tratti fondamentali della personalità di Bruno, che lo
storico della filosofia afferma essere identificabile con un
«amore per la vita nella sua potenza dionisiaca, nella sua
infinita espansione». Natura è qui infatti l’immensità di
tutto l’universo considerato come un macrocosmo
vivente e animato, che infinitamente produce dal suo seno
e nel suo seno creature, forme, mondi che non smettono di
incantare l’osservatore e il pensatore con la meraviglia della
loro varietà, bellezza, armonia. Dioniso è la divinità greca
che rappresenta la fecondità della terra e di tutti i viventi,
cioè la stessa infinità e rigogliosa produttività della natura.
La causa e il principio di tutto
Ora il filosofo cerca la causa e il
principio di tutto ciò che suscita la sua
meraviglia. Causa e dell’immenso e
meraviglioso universo non può che
essere Dio. Ma come vanno pensati i
concetti di causa e di principio? E
come va pensato Dio?
Causa
La causa è ciò che produce l’effetto rimanendo
distinto dall’effetto stesso. L’effetto sembra
fuoriuscire infatti dalla causa come, per fare
un esempio non bruniano, in un parto il figlio
fuoriesce dal grembo della madre. Ma, sempre
utilizzando l’esempio del parto, la madre non è
solo causa del figlio, bensì lascia al figlio
qualcosa di sé (oggi diremmo il suo patrimonio
genetico).
Principio
In questo senso essa è anche principio. Il
principio si definisce infatti come ciò che
intrinsecamente concorre alla costituzione di
una cosa e rimane nell’effetto. A tale proposito
bisogna pensare all’arché dei presocratici, che era
l’inizio della realtà, ma anche la sua componente
essenziale, l’aspetto della realtà che era presente in
tutti gli altri, in tutte le cose, in tutti gli enti in
generale (pensiamo a titolo di esempio
rammemorante all’acqua di Talete o all’aria di
Anassimene).
Dio
Orbene, Dio è causa e principio di tutta la
realtà, quindi al tempo stesso separato e
presente in ogni fibra di essa.
Per questo al tempo stesso Bruno può dire che
Egli è una mens super ominia (mente-sopra-
tutto), attribuendogli i caratteri neoplatonici ed
ermetici di unità infinità, ineffabilità; e una mens
insita omnibus (mente-dentro-tutto) che
pervade con la sua essenza tutte le cose.
Panteismo
Via via Bruno andrà sempre più insistendo sul fatto che
Dio è interno alla natura, fino a coincidere con essa. La
natura, peraltro va pensata, essendo il prodotto di un
essere infinito, come infinita nello spazio e nel tempo.
Essa è unitaria (l’universo nel suo complesso è uno come
Uno è il suo sommo principio) ma internamente
molteplice, secondo la duplice prospettiva neoplatonica
dell’Uno e dei molti in cui i molti sensibili però non sono
che infinite manifestazioni dello stesso unico
principio divino e universale. Questa visione può con
buone ragioni essere definita panteistica.
Dove è Dio
Dio come unica causa e principio (De la causa principio
et uno, 1584) della natura è nella materia e nella forma,
perché il principio d’ordine delle cose, ciò che le plasma e
dà loro l’identità che hanno, è dentro la materia e tutta la
pervade, è una forza seminale: ogni cosa scaturisce da un
seme che è posto dentro di essa e con essa si identifica. La
forma in particolare è la neoplatonica anima del
mondo, un intelletto universale e ordinatore che
agisce dall’interno della materia e genera gli esseri
naturali con la stessa forza con cui da un seme si genera
la radice e dal tronco i rami di un albero.
causa efficiente
Tale forza è causa efficiente delle cose, ed è al
tempo stesso lo scopo in vista del quale le cose
sono. Le cose si formano a partire dalla forza
intellettiva e animatrice di Dio (intelletto e
anima sono modi di essere e di agire di Dio) per
«costruire» quel Dio che è la natura stessa nelle sue
infinite forme. Le quattro cause aristoteliche
sono dunque ridotte all’unica causalità divina al
tempo stesso materiale, formale, efficiente e
finale.
Infinità nel tempo
Il processo di augenerazione di Dio, per il quale
continuamente Dio, cioè il tutto, la natura, genera nel suo
seno e dal suo seno i suoi infiniti componenti, è tale da
sempre. Dunque Dio è causa e principio, ma non
cretaore in senso cristiano. Non vi è stato un momento
in cui l’universo non esisteva e un momento successivo
in cui è stato creato. La creazione, o autoproduzione di Dio
è continua ed eterna, è propriamente “creatività”
continua del principio-causa e non atto singolo e
irripetibile, come nel racconto biblico. Se è così, ad un
infinità nello spazio, bisogna associare nella dottrina
bruniana l’idea di un’infinità nel tempo del Dio-natura, al
tempo stesso creatore e creatura, generante e generato.
La struttura dell’universo naturale:
il minimo
Se noi nel conoscere l’universo naturale partiamo dalla
molteplicità degli enti esistenti, notiamo che ogni
cosa, per essere quello che è non può essere
concepita come divisibile infinitamente. Insomma vi
deve essere un componente essenziale delle realtà
naturali che ce ne restituisca il nucleo vivente e le
caratterizzi nella loro identità. Questo è il minimo. In
ogni elemento sotto i nostri occhi vi deve essere un
minimo al di sotto del quale l’elemento sfuma
nell’indeterminabile e in una sorta di impossibile non
essere.
l’aggregazione di minimi
Le cose si caratterizzano per l’aggregazione di
minimi, qualitativamente diversi gli uni dagli altri,
che vanno a formare realtà più complesse.
Queste ultime tendono a conservare il loro minimo,
come fa ciascuno dei loro componenti. Quindi il
reale è il risultato di un’architettura di minimi
che interagiscono fra loro aggregandosi e
disaggregandosi mentre in tutti è presente la forza
generatrice dell’intelletto divino universale.
La struttura dell’universo: la monade
Se partiamo, nella nostra conoscenza, dalla considerazione
dell’unità del tutto, possiamo apprezzare la presenza
dell’Uno-Dio in tutte le cose. E’ dalla forza generatrice del
medesimo Dio, presente ovunque che emergono i minimi
qualitativamente differenziati e le dinamiche della loro
aggregazione in enti sempre più complessi. Quindi dal minimo
viene la monade universale (la natura-Dio-Uno), che è la
totalità degli infiniti minimi che costituiscono il reale;
mentre dalla monade, diremmo «per autodiffusione», viene il
minimo in cui la monade esplica in modo «seminale» la sua
forza generativa, diffondendola in ogni minima parte della
natura stessa.
La conoscenza

La nostra facoltà conoscitiva, che pure è in


grado di sviluppare una teoria raffinata del
tutto, non ha accesso alla conoscenza
diretta e totale dell’infinito in sé, nei suoi
paradigmi ideali. Dio in questo senso si
conferma come mens super omnia. La
conoscenza dell’infinito si attua
attraverso l’ombra delle idee (De umbris
idearum - 1582).
Dall’immagine a Dio
Bruno ritiene che queste ombre delle idee siano
immagini, figure attraverso le quali Dio stesso si
esprime nell’infinita varietà della natura: un
Dio che in sé è totalità infinita, e che però si
manifesta nelle infinite immagini finite
corrispondenti ai vari aspetti della natura stessa che
noi possiamo indagare con le nostre facoltà e la
nostra intelligenza. Dunque guardando alle
ombre (in senso negativo) che però sono anche
immagini (in senso positivo), l’uomo può
ricostruire una “visione” dell’universo che
restituisce a lui, essere finito, un quadro limitato ma
apprezzabile di che cosa sia il Dio-natura infinito.
L’etica bruniana: indiarsi
Malgrado i difetti della nostra
conoscenza, ci è dato di raggiungere un
unione intima con il Dio-natura
praticamente, cioè nel nostro concreto
comportamento. Tale via porta l’uomo a
«indiarsi», ovvero ad identificarsi con Dio.
Il processo è esemplificato dal mito di
Atteone, cos’è come viene esposto nel «Gli
eroici furori».
Diana e Atteone
Atteone, mitico cacciatore, giunge a
contemplare Diana, dea della caccia, nella sua
nudità, e per questo viene dalla dea
trasformato in cervo. Così il cacciatore
diviene preda e può bene rappresentare
l’anima umana in cerca dei segreti della
natura. Una volta conosciutili, egli diviene
preda dell’oggetto (la natura) che stava
cercando e si può così pienamente identificare
con essa.
Identificarsi con la natura e con il suo
potere creativo
Ma che cosa vuol dire identificarsi con la
natura? Vuol dire diventare tutt’uno con il suo
potere creativo e produttivo per animare
dall’interno tutte le cose e continuamente
trasformarle e farle proprie. Questo è
esattamente ciò che Bruno pensa sia il dovere
ultimo dell’uomo: assumere come propria
un’etica del lavoro e dell’operosità,
attraverso la quale appunto l’uomo si assimila a
Dio (s’ «india»).
L’uomo: la sua mano
Non a caso ciò che distingue l’uomo dagli altri
esseri naturali non è il possesso di un’anima,
cosa che è propria di tutti gli enti, bensì il
possesso, nella sua conformazione corporea, della
mano. E’ la mano lo strumento tipicamente
umano con il quale egli trasforma le cose,
lavorandole, e se ne appropria. L’intelligenza è si
importante, ma è un’intelligenza nella
materia, al servizio della materia, che
trasforma la materia creando il mondo umano così
come lo conosciamo.
La magia al servizio dell’agire
Così la conoscenza delle segrete armonie del cosmo
vivente conduce l’uomo ad agire efficacemente
dentro di esso. E tale conoscenza ha un carattere
magico, cioè è essa stessa orientata ad una
conoscenza al tempo stesso rispettosa del cosmo
vivente, ma indirizzata ad evocarne le forze per
meglio dominarlo, per guadagnare a sé quella
potenza che rende il lavoro umano efficace sul
mondo. Così l’uomo, cioè una parte del cosmo, si
specchia nel cosmo conoscendolo e può riprodurre
in sé veramente la forza cosmica che agisce entro
ogni vivente, realizzando compiutamente se stesso.
Gli eroici furori
L’uomo nella sua vita ha di fronte tre strade:
Quella della sapienza contemplativa, che è consapevole
dell’unità dell’uomo con il tutto e ne trae tranquillamente
le conseguenze, rifuggendo dagli estremi dell’esaltazione
e dell’abbattimento.
Quello del furore (basso) che, difettando di conoscenza
si abbandona alle passioni.
Quella del furore eroico, in cui passione amorosa per
la verità ed esercizio dell’intelligenza si fondono e la
contemplazione della natura diventa attiva riproduzione
in sé della sua infinità creatività.
Amore bruniano
Così per Bruno «l’eroico furore è la traduzione
naturalistica del concetto platonico di amore»
(Abbagnano, La filosofia, 2a p. 71). Infatti come in
Platone l’amore è una dimensione della vita che
conduce l’uomo all’assoluto trascendente, così
in Bruno esso conduce all’assoluto immanente.
Qui, non venendo meno il libero volere, che
Bruno mai negherebbe all’uomo, quest’ultimo arriva
ad identificarsi con una suprema necessità, quella
del Tutto divino naturale in cui ogni fibra si muove
secondo la razionalità della mens insita omnibus.
Il destino dell’uomo
L’uomo è come il frammento di un grande specchio (la natura-
Dio) che si è infranto in infinite parti. Queste parti si
trasformano continuamente, nascono e muoiono e morendo
tornano al Tutto, al grande specchio da cui provengono,
rinascendo poi in altri frammenti dello stesso specchio. Ciò
significa che l’anima che si trova oggi nell’uomo, domani, morta
la creatura cui dava forma e persa la sua individualità, si potrebbe
ritrovare in un altro uomo, o in un’altra creatura animale,
vegetale o minerale, secondo quell’antica visione orientale e
misterica che, accolta da alcuni intellettuali greci come Pitagora o
Platone, è stata indicata col nome di “metempsicosi” (della quale
si riprende anche il modello “retributivo”, secondo il quale ad una
vita degna corrisponde una reincarnazione umana, mentre ad una
vita non degna una animale o peggio). L’anima è dunque
immortale, come parte del grande vivente che è la natura, ma non
nella sua individualità, bensì solo in quanto partecipe del tutto.
La cosmologia bruniana
La lettura di Copernico fu decisiva per il nostro filosofo. La
sua immagine dell’universo parte infatti da un’intuizione
squisitamente filosofica: il mondo è infinito giacché
infinita per definizione non può che essere la sua causa e
principio, cioè Dio. Questa idea viene fatta interagire con la
prospettiva copernicana secondo cui il sole è al centro
del sistema dei pianeti. Se è così, le stelle, che sarebbero
secondo l’astronomia classica, incastonate nell’ultimo cielo,
quello delle stelle fisse, potrebbero benissimo essere
nient’altro che ulteriori soli, intorno ai quali gira, in
ciascuno, un sistema di pianeti del tutto analogo al nostro.
Le idee rivoluzionarie di Bruno
L’immagine del mondo di Bruno implica che non vi
possano essere confini all’universo (di contro al
mondo chiuso e finito di Aristotele); che i mondi
abitabili siano più di uno; che in fondo non vi sia
differenza tra mondo celeste e «sub-lunare» quanto
alla loro composizione materiale. Lo spazio cosmico è
dunque il vuoto infinito in cui hanno sede i corpi
celesti. L’universo diviene quindi policentrico, molto
simile a quell’idea di mondo che già Nicola Cusano
aveva elaborato, secondo cui l’universo sarebbe una
sfera che ha il centro dappertutto e la circonferenza in
nessun luogo.
Modernità di Bruno
Come si è visto, il filosofo nolano, appare di una
stupefacente modernità. Egli, pur utilizzando
concetti del tutto a-scientifici, ha fornito alla
scienza una cornice entro cui operare
giustificando sperimentalmente e
matematicamente le idee che Bruno aveva
elaborato sul piano filosofico, anche se all’inizio
gli stessi ambienti scientifici (Tyco Brahe, Keplero)
rifiutarono le sue teorie o non le considerarono
(Galilei) proprio a motivo del fatto che anche a loro
apparivano troppo estreme e nuove.
L’eresia
Bruno ebbe un atteggiamento molto duro nei
confronti del cristianesimo, che riteneva fosse
religione utile a tener buone le masse, ma nulla
di più (in ciò egli accomunava cattolici e riformati,
gettando i suoi strali, anzi, preferibilmente contro i
secondi). La filosofia, al contrario della santa
asinità promossa da tutte le chiese, garantiva
invece l’accesso alla verità, anche su Dio e sulle
questioni teologiche. Una filosofia che, agli occhi
degli esperti cattolici del tempo apparve
decisamente eretica. Perché?
In che cosa consiste l’eresia bruniana:
una teologia del Padre, dello Spirito Santo…
Certamente a prima vista gli esiti panteistici della filosofia
bruniana non sono compatibili con il cristianesimo. Ma anche
il panteismo di Bruno lasciava comunque spazio, lo abbiamo
visto, alla trascendenza. Mens super omnia e mens insita
omnibus, a pensarci bene, sono concetti teologicamente
riconducibili a Dio padre e allo Spirito Santo. Come Dio
padre è causa del mondo, secondo l’ormai classica
dimostrazione ex causa (che Bruno, in quanto domenicano,
doveva conoscere bene), e si mantiene l’unico monarca
dell’universo, così la mens super omnia ben può mantenere
tali caratteristiche. Come lo Spirito Santo con il suo amore
penetra e vivifica il mondo, così fa la mens insita omnibus.
…ma non del Figlio
Ciò che Bruno non accettava è che il divino risiedesse in maniera
privilegiata in una persona, l’uomo Gesù Cristo. Non in tutta la
creazione, non in ogni singola produzione divina, ma in una
persona da considerarsi il mediatore tra cielo e terra: questa
idea sembrava a Bruno pura e semplice idolatria. E’ chiaro,
dunque, che se la fede cristiana ha come suo centro il Cristo morto
e risorto, che è il Verbo mediatore, che è Dio, proprio su questo
punto non poteva esserci che uno scontro netto e
un’inconciliabilità irresolubile. Le autorità ecclesiali, possiamo dire
noi a distanza di più di cinque secoli, non sbagliarono nel
giudizio teologico, ma nella prassi che vide lo zelo per
l’ortodossia sconfinare fino all’assunzione di un atteggiamento
incompatibile con ciò che Gesù aveva chiesto di fare ai suoi fedeli.

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