ALFABETA2
CRONACA DI UN ANNO POST_FUTURO - 2016
A cura di Nanni Balestrini, Maria Teresa Carbone, Andrea Cortellessa, Nicolas Martino
Il futuro può attendere - di Cristina Morini
Chiariamo un aspetto importante: non ha mai puntato al futuro, il pensiero delle donne. Prima di qualsiasi
proiezione sul “dopo”, viene la vita presente e il modo in cui si vive. Prima di concentrarsi sulla forma da
imprimere al domani, di pensare alla sovversione di nebbiosi orizzonti nella lontananza e a tutti i passi da
fare in avanti (e oltre) per arrampicarsi fin lassù, le donne sottolineano l’importanza della trasformazione
dell’oggi, il valore del cambiamento della vita quotidiana che ricompone ciò che la divisione sociale del
lavoro scompone, del respiro che ci regaliamo nella presenza, parlando, agendo e lottando, adesso, qui.
Così, l’ansia di futuro o all’opposto il senso di vuoto che origina dalla assenza ideale dello stesso, vengono
declinati diversamente dalle donne. L’idea di muoversi pensando al “poi”, andando oltre lo spazio e il
tempo che segnano la finitudine di ciascuno e ciascuna di noi, si lega in qualche misura a un senso della
trascendenza che ha molto a che vedere con l’identità maschile e caratterizza la cultura occidentale. Anche
quando l’ispirazione è materialistica, non si schiva una tensione in avanti che si fa differimento, slittamento
irresistibile, presunzione antropocentrica, esaltazione di qualità singolari (etiche, rivoluzionarie, ascetiche,
sacrificali), ricerca di supremazie, di gruppi d’elezione. Anche la radicalizzazione della collocazione umana
nell’immanenza spesso non sfugge, suo malgrado, dall’accollare all’uomo un’essenza infinita che in qualche
modo riproduce il divino. Si pensi poi allo spirito del capitalismo evocato da Max Weber che rinvia ogni
piacere in vista del reinvestimento futuro cosicché “il capitalismo risulta essere la traduzione secolarizzata
della fede protestante nell’autocontrollo metodico dello stato d’elezione”, come ha notato Elettra Stimilli1.
Detto questo, bisogna intendersi, perché innegabilmente nella stessa idea di “riproduzione” connessa da
vicino alla corporeità delle donne, a quel soggetto incarnato che impronta il femminismo, è implicito un
senso di trasmissione e di potenza degli esseri viventi, dove non c’è inizio e non c’è fine ma continue
trasformazioni. Non ha alcun senso piangere sulla fine della storia, non ci sarà una forma di assoluto a cui
tendere, c’è, però, innegabilmente, divenire, movimento. Ci sono le voci di un divenire costituito da
traiettorie che segnano spostamenti verso le periferie, lontano dal presunto centro impersonato dall’uomo,
dal “maschile” occidentale, fuori dal concetto di rappresentazione. C’è, in questo movimento centrifugo,
anche e soprattutto, il dovere di dare un senso preciso a ogni azione umana, anche alla più banale, per
quanto piccola o minore, nello scambio materiale e a un tempo creativo che può svilupparsi. Nota è, per
altro, l’affermazione, assai forte, del Manifesto di Rivolta Femminile, “il marxismo ci ha vendute alla
rivoluzione ipotetica” e l’appello alla ricerca di “un gesto di rivolta da non sacrificarsi né all’organizzazione
né al proselitismo” con cui si chiudono quelle pagine2. Tutto ciò, credo, ci serve molto - mentre discutiamo
della fine delle istituzioni, dell’Europa, di un certo modo di intendere la politica - per pensare la
decostruzione politica del soggetto occidentale maggioritario e le forme che ha imposto alla politica e alla
società. In altre parole, bisogna insistere su un progressivo processo di dis-identificazione rispetto a un
sistema di valori che mostra tutta la sua terribile debolezza e il suo tragico fallimento, per costruire alleanze
reali, non immaginarie o simboliche tra i soggetti. A ben guardare, infatti, oggi, qui, nella precarietà
esistenziale generalizzata, noi siamo tutte e tutti quel minore che deve rigettare di autoimporsi il
1
Elettra Stimilli, “Metodica dell’esistenza e capitale umano” in Biopolitica, bioeconomia e processi di soggettivazione
Adalgiso Amendola, Laura Bazzicalupo, Federico Chicchi, Antonio Tucci (a cura di), Quodlibet, Macerata 2008, pag 193
2
“Manifesto di Rivolta femminile”, in Carla Lonzi, Spuntiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri
scritti, Scritti di rivolta femminile, Milano 1974, pag. 18
disciplinamento neoliberale fondato sull’istituzione della competizione e sulla promessa di un domani,
tracciando invece nuovi percorsi di immanenza radicale, un’idea di condivisione tra corpi che punti ad
andare oltre i confini sempre più ipertrofici dell'Io attraverso una rete di incontri-confronti con altre e altri,
dove parti di sé contaminano e influenzano altre parti di sé.
Per aggiungere qualche altra suggestione, parte del pensiero queer contemporaneo, per esempio con J.
Jack Halbertam e particolarmente con Lee Edelman, analizza criticamente l’istituzione dell’obbligo al
“futurismo riproduttivo” che inchioda alla genitorialità, alla visione di un futuro incarnato dal “figlio”3,
concezione normante e che vincola, bene o male, le soggettività nell’intersecarsi dell’idea di genere e del
discorso prescrittivo eterosessuale. Tale mondo è chiuso a pratiche tese a scompaginare fruttuosamente
ogni punto di riferimento, ci imprigiona nelle consuetudini, nel “devi desiderare questo”, “devi essere
quest’altro” del luogo comune, nelle forme cerimoniali che lo accompagnano. Per quanto estrema e
provocatoria, proprio l’idea del no future portata con sé da tale concezione contingente, caduca e nongenerativa, dal rifiuto a rappresentare un “investimento riproduttivo” per il capitalismo, apre a forme
estreme e sovversive di negazione dell’ordine economico e sociale, dunque effettivamente spinge verso
azioni sperimentali e trasformative. Nuove lande dove ricomporre frattura sociale e alienazione sessuale,
forme di vita collettive multiformi, che possono combattere dall’interno, day by day, contro il
mantenimento dello status quo, ovvero, alla fine, opporsi proprio alla cattura della ri-produzione sociale,
cioè delle nostre, diverse, forme di vita.
Il senso di smarrimento che deriva dall’idea di no future, dall’apparente impossibilità a vedere vie di fuga
praticabili che ci aiutino a superare gli steccati costruiti dall’ingiustizia e dalla violenza del potere
neoliberale diventato esplosivo in questa fase, dentro una crisi economica infinita che incarna gli scopi del
capitalismo attuale, va dunque esorcizzato e ribaltato di segno: da un lato può essere assunto in senso
rivoluzionario perché sortisce il risultato di spingerci a interrogarci sempre più profondamente,
radicalmente, criticamente sulle nostre modalità del vivere nel presente; dall’altro, mette definitivamente a
nudo la cristallizzazione del pensiero “maschile”, la lingua maggiore, cioè la contrapposizione tra soggetto e
oggetto, spirito e materia che ha ormai dilaniato l’uomo contemporaneo, “facendolo entrare nella sua fase
nevrotica”, per rubare le parole a Mario Mieli4. Inoltre, l’estroflessione egoica che preme per raggiungere la
promessa, nella finzione dell’“economia politica” della promessa, secondo la felice definizione di Marco
Bascetta, va sostituita da un rapporto più intenso con la società, con il mondo naturale e con la vita
presente. “La promessa ha sempre un destinatario individuale e l’intento di convincerlo che la sua è una
«storia del tutto speciale»”5: su tale meccanismo, che diventa una drammatica forma di autocontrollo, si
basa la presa del potere sul vivente. Una gabbia della quale, tuttavia, abbiamo le chiavi: la nostra storia sarà
speciale solo se la condividiamo con quella di altri e altre.
Non è il caso di ripiegare, di sentirsi orfani e orfane, orbati da prospettive e tentati da progetti suicidari, ma
piuttosto quello di lavorare per riempire la fase nella quale siamo, recuperando a pieno il significato della
nostra precarietà (l’impermanenza della vita), senza imporci obiettivi impossibili da raggiungere, rifiutando
la retorica che ci vorrebbe sconfitti qualora non li si raggiungesse. L’esercizio creativo va articolato non
nella competizione o nella contemplazione ma dentro processi solidaristici, cambiando abitudini, modi di
pensare, lavorare, relazionarsi agli altri e all'ambiente. Il bene-essere viene allora dalla costruzione
quotidiana di una integrità etica e di vita costruita negli scambi con gli altri che può ri-produrre energie e
3
Lee Edelman, No Future, Duke University Press, Durham-London, 2004. Si vedano, su questo aspetto, le riflessioni di
Lorenzo Bernini, “Futuro. (E)scatologia del tempo della crisi” in Genealogie del presente. Lessico politico per tempi
interessanti, Lorenzo Coccoli, Marco Tabacchini, Federico Zappino (a cura di), Mimesis, Milano 2014, pagg 255-259
4
Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale, Feltrinelli, Milano 2002, pag 142
5
Marco Bascetta, L’economia politica della promessa in Economia politica della promessa, Manifestolibri, Roma 2015,
pag. 23
sicurezza, processi di autovalorizzazione, circuiti alternativi alla logica del capitale umano. Il distacco
rispetto a un sistema di valori, di utopie e di esperienze che sembrano da sempre informare il futuro, l’idea
del futuro nella quale siamo sempre stati portati e portate a pensarci, è in realtà un distacco che esprime il
rifiuto dell’illusione e valorizza, viceversa, la peculiarità del vivere, il ruolo centrale della riproduzione
sociale, la considerazione reciproca, le reti comunitarie concrete che già abbiamo. Si tratta di rifiutare,
insomma, di situarci nell’economia politica della promessa che si costruisce sui sogni, sull’inganno e sulla
speranza di un altro paradiso e si paga con l’atomizzazione e la separazione, con l’infelicità e con la nevrosi.
“Il momento attuale è propizio per tale inizio”, scrive Silvia Federici. “Di fronte a una crisi capitalista che
distrugge i mezzi più fondamentali per la riproduzione di milioni di persone in tutto il mondo, la
ricostruzione della nostra vita quotidiana è non solo possibile ma necessaria”6.
Rimane da chiarire che il mostro da abbattere resta, per me, il capitalismo con le sue sempre nuove
enclosures, che oggi privatizza la riproduzione sociale all’interno di un processo che ha raggiunto un folle
livello distruttivo. Per questa ragione le nostre forze e intelligenze comuni vanno in tutti i modi concentrate
in una lotta capace di opporsi alla costante svalutazione e frammentazione delle nostre vite attuali. Il
futuro, nel frattempo, può anche attendere.
Ottobre 2015
6
Silvia Federici, Il punto zero della rivoluzione. Lavoro domestico, riproduzione e lotta femminista, Ombre Corte,
Verona 2014, pag. 157