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L ATTARULO (Salvatore Francesco), « “A te convien tenere altro viaggio”. La funzione Dante nelle rotte infernali della tarda narrativa di Dino Buzzati », Revue des études dantesques, n° 7, 2023 DOI : 10.48611/isbn.978-2-406-16569-9.p.0077 La diffusion ou la divulgation de ce document et de son contenu via Internet ou tout autre moyen de communication ne sont pas autorisées hormis dans un cadre privé. © 2024. Classiques Garnier, Paris. Reproduction et traduction, même partielles, interdites. Tous droits réservés pour tous les pays. © Classiques Garnier L ATTARULO (Salvatore Francesco), « “A te convien tenere altro viaggio”. La funzione Dante nelle rotte infernali della tarda narrativa di Dino Buzzati » RÉSUMÉ – L’essai analyse la “fonction-Dante” dans l'œuvre de Dino Buzzati. Le cas le plus évident de réutilisation par l'écrivain de Bellune du modèle de la Comédie dans une tonalité contemporaine est certainement la longue nouvelle (presque un court roman) Voyage aux enfers du siècle. De nouveaux éléments de comparaison avec le premier cantique du poème médiéval sont ici mis en relief, à partir de ce texte bien connu. Décidément originale, la tentative de relire aussi le roman de Buzzati Un amour dans une perspective “infernale” montre l'histoire d'une passion charnelle et désespérée qui peut rappeler le vice de la luxure choisi par Dante pour représenter la première rencontre réelle avec le péché. MOTS-CLÉS – Dino Buzzati, Voyage aux enfers du siècle, Un amour, fonctionDante, luxure L ATTARULO (Salvatore Francesco), « “A te convien tenere altro viaggio”. The Dante-function in the infernal routes of Dino Buzzati’s late fiction » ABSTRACT – The essay analyzes the “Dante-function” in Dino Buzzati’s works. The most evident case of reuse by Buzzati of the Comedy model in a contemporary key is certainly the long story, almost a short novel, Viaggio agli inferni del secolo. New elements of comparison with the first canticle of the medieval poem are highlighted here from this well-known text. Completely new is also the attempt to read from an “infernal” perspective Buzzati’s novel A love affair, the story of a carnal and desperate passion, which can recall the vice of lust, chosen by Dante to represent the first actual encounter with sin. KEYWORDS – Dino Buzzati, Viaggio agli inferni del secolo, A love affair, Dantecode, lust «A TE C ­ ONVIEN TENERE ALTRO VIAGGIO» La funzione Dante nelle rotte infernali della tarda narrativa di Dino Buzzati E ­l’inferno è certo Eugenio Montale, da Le occasioni. La citazione montaliana posta in epigrafe è una ­cometa che può illuminare il senso di marcia d ­ ell’opera di Dino Buzzati. Si tratta ­dell’idea, di cui si impossessa ­l’immaginario prevalente novecentesco, che ­l’inferno non sia un postulato teologico, un dogma di fede1, né tanto meno ­un’ipostasi metafisica o u­ n’astrazione della mente, bensì un ­concreto e sensibile hic et nunc a misura d­ ell’uomo del nostro tempo. A voler c­ oniare un neologismo, sul metro di neoformazioni linguistiche in voga da alcuni decenni, quali Antrocene/Antropocene (Revkin, Stoermer, Crutzen), Omogenocene (Samways) o Capitalocene (Moore), si potrebbe indicare in figura il secolo dei due c­ onflitti mondiali c­ ome ‘­Infernocene’ (inglesizzato in “Hellocene”). Nel momento in cui ­l’inferno viene trasferito sulla terra, trascinato sul piano d­ ell’immanente, traslato in realtà de facto2 tende, in linea di 1 2 Buzzati non crede nella nozione vulgata di inferno normata dalla dottrina della Chiesa cattolica: «sarebbe assurdo che uno mi mette al mondo, mi crea e poi mi castiga, se io mi c­ omporto male… Sarebbe crudele, anche, perché il c­ oncetto d­ ell’Inferno, quale ce lo hanno insegnato (sia il ­concetto ­dell’Inferno di fuoco, o ­dell’Inferno semplicemente ­come privazione della c­ onoscenza e della vista di Dio, cioè della miseria d­ ell’uomo) è di una crudeltà inaudita» (Buzzati, 1973, p. 88). In generale, egli tende a «immaginare un aldilà capace di rispondere, anche c­ on le sue ambiguità e c­ ontraddizioni, alla sua sete di trovare ­un’alternativa a­ ll’aldilà descritto dalla tradizione cristiana» (Giannetto, 2005, p. 359). «Dopo la c­ onclusione della Seconda guerra mondiale il modello di Dante viene usato sempre più frequentemente c­ ome metro di paragone, […] rispetto a una realtà che ha superato gli orrori “immaginari” ­dell’Inferno: i nuovi Inferni sono tutti terreni» (Casadei, 2010, p. 49). © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. 78 SALVATORE FRANCESCO LATTARULO massima, in un simile processo di riduzione in scala, a perdere la littera notabilior del suo alone mistico ed essere trascritto senza più divina enfasi ­con la ‘­i’ minuscola. Il segno che l­’inferno sia un dato incastrato nelle strette maglie ­dell’attualità mostra altresì proprio la tendenza del secolo breve a trattarlo c­ ome un nome di uso c­ omune. Ciò non vuol dire che esso ­connoti genericamente soltanto uno stato di sofferenza indicibile, che si sia cristallizzato, e dunque banalizzato, in una mera metafora corriva per alludere iperbolicamente ­all’area semantica del male e del dolore. Anche quando il termine indica espressamente il tradizionale toponimo biblico, ­come in Viaggio agli inferni del secolo, il testo buzzatiano di più perspicuo richiamo dantesco, ­l’iniziale capitale non è una norma tipografica assoluta ma oscillante (Inferno/inferno), a meglio indicare la piega desacralizzante che il luogo eponimo del racconto ha assunto ­nell’arte della nostra epoca. Di quanto secolarizzata sia in questo evo la visuale ­dell’erebo cristiano, trapiantato stabilmente nel tessuto delle società avanzate, è altrettanto rivelatrice la lezione di Italo Calvino. Per lui l­’inferno non è un che di là da venire ma è «quello che è già qui» in forma di abituale dimora del quotidiano esistere a onta o meno di ogni possibile c­ onsapevolezza che se ne abbia3. ­L’inferno non è la sede opaca dei morti, ma la limpida ­comunità dei viventi. Questa prospettiva apparirebbe sulle prime inconciliabile c­ on il modello dantesco, che separa distintamente ciò che sta “di qua” ­dall’evanescente ciò che sta “di là”. Buzzati ironizza, da par suo, in Poema a fumetti sulla presunta insanabile dicotomia tra ­l’idea di inferno che oggigiorno «ciascuno porta ­con sé» e «il pallido Averno» corrispondente a «­come diceva Dante» (2017, p. 72). Nondimeno, questi attraversa in carne e ossa il regno della c­ ondanna eterna e incontra anime vane che sembrano persone vere, vicine a lui per periodo storico e collocazione geografica: c­ oncittadini, ­conterranei, c­ onoscenti, parenti, amici e nemici, figure che per il loro aspetto familiare e terreno rendono meno estraneo 3 «­L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce ­n’è uno, è quello che è già qui, ­l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l­ ’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento ­continui: cercare e saper riconoscere c­ hi e cosa, in mezzo a­ ll’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio»: è il pensiero finale di Marco Polo, in replica alla battuta del Gran Kan («Tutto è inutile, se ­l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente») che sigilla Le città invisibili (Calvino, 1993, p. 160). © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. «A te ­convien tenere altro viaggio» 79 e soprannaturale l­ ’ambiente dove sono assegnate per sempre al tormento. Non per niente lo stesso Buzzati, che in Poema a fumetti finge di dubitare della possibilità di attualizzare il sacro poema, altrove immagina Dante ­come un “cronista” in tempo reale ­dell’altro mondo: «quando è andato ­all’Inferno, non ha mica incontrato delle anime astrattamente inventate, ha incontrato il vicino di casa, il tizio Caio o Sempronio, insomma, tutta gente della sua vita; ha cronisticizzato questa fantasia folle» (Buzzati, 1973, p. 168-169). E, del resto, Dante rappresenta il luogo del castigo perpetuo a guisa di una cinta e presidiata città medievale, ­con tanto di porte, mura e torri. ­Nell’arcipelago letterario ­contemporaneo è proprio il coercitivo e asfissiante spazio urbano moderno, e Buzzati non fa eccezione in questo, a rappresentare lo scenario plutonio di elezione4. ­L’exemplum dantesco funge da guida unanimemente ­comprovata per aggirarsi tra i lividi labirinti dei nuovi agglomerati industriali ­nell’era d­ ell’atomica. Non diversamente da una diffusa coeva temperie ­culturale5, per Buzzati ­l’inferno è u­ n’evidenza tangibile del vivere presente, una verità solida che permea ­l’esperienza giornaliera ­dell’individuo entro ­l’orlo esatto e noto di questo mondo. ­L’inferno si annida ovunque, dentro e fuori il soggetto, si spalanca dove e quando uno meno se lo aspetta, nelle crepe più riposte e impensate d ­ ell’ordinario, nei dettagli più insignificanti del fenomenico (dietro un uscio ­chiuso, oltre ­un’imposta serrata, allo svoltare di un vicolo cieco, n­ ell’edificio di fronte, n­ ell’isolato attiguo, nel cortile del vicino, nel tinello di casa), al punto da diventare ­un’ossessione permanente della mente ansiosa6. Tale insistente rovello d ­ ell’anima non può che tradursi ­con effetto deflagrante in una costante narrativa, riassumibile tout-court nella seguente formula: «rappresentare l­ ’Inferno nella vita stessa che stiamo facendo tutti quanti» (Buzzati, 1973, p. 44). 4 5 6 «Per ­chi immagina un inferno moderno, la città è evidentemente più adatta ad ambientarlo che non una campagna o una montagna. Non lo si può mettere neanche in riva al mare…» (Buzzati, 1973, p. 44). «In generale, la tendenza a individuare nel poema dantesco una sorta di paradigma utilizzabile per saggiare i destini moderni, individuali e collettivi, si afferma sempre più largamente nel corso del Novecento» (Casadei, 2010, p. 50). «Ogni epoca ricostruisce il proprio oltretomba e lo identifica, di volta in volta, ­con la rappresentazione ad essa più affine. Se Dante smarrisce inspiegabilmente la “diritta via” introducendo in ­un’atmosfera surreale, al limite tra sogno e realtà, il proprio Inferno, a Buzzati basterà aprire una porta o semplicemente affacciarsi a una finestra per riconoscere il ritmo ammaliante e implicitamente devastante del vizio e del peccato moderni» (Tambasco, 2016, p. 28). © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. 80 SALVATORE FRANCESCO LATTARULO Con il presente saggio si vuole sondare la presenza di questo motivo segnatamente in due testi narrativi d­ ell’autore cronologicamente molto vicini tra loro, pubblicati nella prima parte degli anni Sessanta. Sotto questa angolazione, il meglio studiato è stato ­chiaramente il più recente, il già menzionato racconto lungo Viaggio agli inferni del secolo, di cui ­l’analisi puntuale segnalerà ulteriori elementi di c­ ontatto ­con la fonte dantesca. Il lavoro precedente, il romanzo Un amore, è invece pressappoco nuovo a essere riletto dal punto di vista che qui interessa, e tuttavia ­l’esame attento farà emergere ­un’insospettabile filigrana “infernale”. Il binomio di esempi c­ onsiderati appartiene alla fase tarda d­ ell’opera buzzatiana. Nel decennio finale della sua produzione sembra infatti catalizzarsi l­ ’attenzione «verso le catabasi dei luoghi infernali» (­Dell’Aquila, 2009, p. 141). ­L’accentuarsi di un siffatto interesse in questo torno di tempo è peraltro ­comprovato nel caso di Buzzati anche al di fuori della narrativa propriamente detta, cui si farà riferimento solo in cenno. Si pensi soprattutto a­ ll’esperimento nel versante del graphic novel c­ on il su menzionato Poema a fumetti, edito nel 1969, una sorta di visual book del libro della “visione” per eccellenza in ­chiave orfica. A ­completamento di tale sintetico quadro si possono aggiungere le tavole ex voto ­commentate dei Miracoli di via Morel, apparse nel 1971, e prima ancora Il maestro del Giudizio Universale, ­un’introduzione al catalogo ­L’opera ­completa di Bosch (1966)7, prove estreme in cui si c­ ondensa vieppiù la riflessione intorno al trascendente8; un mondo ­con il quale ­l’autore, forse anche per ­l’approssimarsi della morte, si sarà deciso a fare i ­conti in modo più serrato a fine carriera9. È ­senz’altro sintomatico che anche nel meno buzzatiano, per dir così, dei romanzi di Buzzati, si possa cogliere una traccia cospicua ­dell’assillante refrain infernale. In genere, il canto del cigno del Buzzati romanziere, Un amore, uscito da Mondadori nel 1963, passa per essere un libro c­ ommerciale, «di cassetta» (2015, p. xiii), per via di una preponderante coloritura realistico-sentimentale che sembra mettere in mora 7 8 9 Sul topos del giudizio finale delle anime si incardina il racconto Il sacrilegio della prima raccolta (1942) di Buzzati, I sette messaggeri. Nel campo della passione per il sovrannaturale rientrano le prose giornalistiche dei Misteri ­d’Italia risalenti al 1965 e raccolte postume in volume (1978). Una ricostruzione delle tappe iniziali ­dell’iter letterario di Buzzati n­ ell’ambito ultraterreno fino ad arrivare agli esiti ultimi è affrontata da Giannetto, 2005. © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. «A te ­convien tenere altro viaggio» 81 se non tentare di liquidare la c­ ongeniale vena allucinata, visionaria e straniante che è valsa a­ ll’autore la risaputa etichetta, «così c­ omoda, ma anche così imprecisa, di Kafka italiano» (Arslan, 1974, p. 38). Fatto sta che l­’inusitata carica erotomane, c­ onfinante c­ on il pornografico, di questo Buzzati sui generis non impedisce al romanziere di inserire riferimenti sulfurei di ascendenza dantesca tanto più anomali in quanto maggiormente pertinenti a­ ll’usuale repertorio del grottesco e del fantastico. Perciò, proprio perché meno prevedibili, siffatti echi ­d’oltretomba costituiscono, per ­converso, un interessante banco di prova e di verifica ­dell’argomento che si sta prendendo in esame. Come osserva Stefano Lazzarin: n­ ell’ultima fase della carriera letteraria di Buzzati Dante – e sia pure un Dante modernizzato – sembra divenire una presenza fissa. Indagando un ­po’ più in profondità, risalendo nella cronologia, non sarebbe difficile mostrare che la svolta avviene ­all’altezza ­dell’ultimo romanzo, Un amore (1963), nel quale troviamo tracce di interesse notevoli, soprattutto a livello lessicale (2003, p. 53). Già il nome della precoce adolescente prostituta, Laide, che fa perdere la testa a uno stimato e maturo professionista d­ ell’alta borghesia milanese, Antonio Dorigo, è un credibile ammicco a Taide, «la puttana» di Inferno XVIII, 130-13510. Vero è che ­l’interpretazione onomastica nella direzione di u­ n’impronta dantesca incorre in qualche obiezione. Intanto, ­l’appellativo Laide è perfettamente spiegabile c­ ome nomen loquens, dal momento che rinvia a una sporcizia etica propria del mestiere esercitato. Inoltre «laido» è aggettivo usato una volta nel libro a proposito di uno squallido «studio fotografico» (Buzzati, 2015, p. 32) elencato di passata in una delle tante prolisse carrellate verbali di sordidi squarci della periferia cittadina tra cui spicca qualche riga dopo anche il nome della maliziosa lolita, quasi a suggerire al lettore una sottesa etimologia. E per giunta Laide non è una cortigiana di lusso ma una sciacquetta di bassa c­ ondizione sociale, che viene da un malfamato e lurido suburbio del capoluogo lombardo di cui ­conserverebbe ­l’unzione battesimale. Ci sono allora riscontri diagnostici esaustivi (in nomine omen) per non battere piste alternative. È altrettanto vero però che Laide è un sinonimo talmente raro anagraficamente da attrarre l­ ’attenzione del colto Dorigo che evidentemente fruga inconsciamente nella sua memoria letteraria 10 Cfr. nel merito Lorenzin, 2003, p. 54. © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. 82 SALVATORE FRANCESCO LATTARULO di artista raffinato alla ricerca di qualche lontana suggestione capace di stimolare anche la fantasia di noi interpreti. La derivazione da Adelaide che si affaccia alle labbra dello stesso Dorigo quasi c­ ome ­un’ovvietà ha il suono finanche di un depistaggio sornione, teso magari a fuorviare il destinatario ­dell’opera. Se non che, l­’origine presunta d­ ell’idionimo può celare un ulteriore sottinteso: la provenienza da Ade, il pagano mondo dei defunti11? Una parte della critica si è ­comunque c­ oncentrata ­sull’omofonia ­con Taide. Solo che di personaggi omonimi la letteratura sia moderna che antica ne annovera più d­ ’uno: a c­ ominciare dalle fonti classiche che sono il serbatoio di Dante, d­ all’Eunuco (III 1) di Terenzio, al De amicitia (26) di Cicerone, al Liber Esopi12, agli Epigrammi (IV 84) di Marziale per arrivare almeno, in anni più recenti, alla Thaïs di Anatole France, dove salta a­ ll’occhio l­’eponimia della protagonista13. «Nessun modello preciso, dunque, o se proprio vogliamo indicare un modello, più esattamente un mediatore, direi che Dante potrebbe fare al caso nostro» (Lazzarin, 2003, p. 55). La supposizione, ancorché avanzata ­con cautela, non è poi così avventurosa se si tengono in c­ onto, a mio avviso, altri elementi14. Primo: Un amore è la storia di una passione carnale, morbosa e disperata, che può riconvocare il vizio della lussuria scelto per inscenare tragicamente il primo effettivo incontro di Dante c­ on il peccato nella cantica iniziale del poema. Secondo: Taide è ­confinata nella seconda bolgia d­ ell’ottavo cerchio quale lascivo prototipo di adulatrice e lusingatrice ­dell’altro sesso, tratti che si c­ onfanno alla Laide buzzatiana, la cui dote principale è ingannare spudoratamente ­con cento astuzie ­l’ingenuo amante. Terzo: la più icastica nota fisica della 11 La ­conturbante gigoletta è infatti di «una categoria a sé, ­completamente separata dal restante genere umano», di «un regno sconosciuto» (Buzzati, 2015, p. 15 e p. 32). 12 Cfr.: Alighieri, 1988, p. 275, nota ad v. 133; Barchiesi, 1963; Raimondi, 1965. 13 Il romanzo, storia di u­ n’etera egizia redenta e beatificata che seduce un prete di nome Pafnuzio, pubblicato per la prima volta in Francia nel 1890 e uscito in Italia nel 1911 da Sonzogno tradotto da Amintore Galli (quindi nel 1938 da Francesco Chiesa per Mondadori), è un ­cult book del filone erotico, che ha attirato anche l­ ’attenzione di Eugenio Montale che vi allude in due madrigali privati (Nubi color magenta… e Da un lago svizzero) de La bufera e altro. Sul punto si rinvia a: Montale, 1998, p. 15; Pacca, 2012, p. 267-268. Si pensi inoltre a La tomba di Taide, un madrigale seicentesco del poeta marinista Paolo Zazzaroni: «Taide qui posta fu, la più perfetta / dispensiera ­de’ gusti al molle amante. / Lettor, ­s’ardi d­ ’amor, fatti qui inante, / ché stesa in questo letto ella t­ ’aspetta». 14 Si ­consideri poi la potenza memorabile del passo dantesco che già indusse Francesco De Sanctis a sentenziare che «la Taide di Malebolge è più viva e più poetica di Beatrice» (19642, p. 34). © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. «A te ­convien tenere altro viaggio» 83 Taide dantesca è l­’essere «scapigliata» (Inf. XVIII, 130), ­un’allusione alla sua natura scostumata e sregolata, dettaglio non trascurabile che la avvicina alla Laide scarmigliata e scomposta di cui reiteratamente si narra che «soprattutto colpivano i capelli neri, lunghi, sciolti giù per le spalle», che specialmente risaltava «il nero dei lunghi capelli sparsi», che massimamente Antonio adorava, vittima di u­ n’estenuata tricofilia, «i capelli neri», i quali, nel vagheggiato momento ­dell’amplesso, «si spanderanno intorno ­come ­l’inchiostro da un bottiglione infranto» (Buzzati, 2015, p. 13, p. 26 e p. 75), indizio della sfrenata natura lubrica della baby escort15. E, in ultimo, se si ammette che il sostantivo «fante» adoperato da Dante nel medesimo v. 130 per designare Taide possa appunto riferirsi ­all’età acerba della meretrice (‘in/­fante’), il ­confronto ­con Laide, «ninfetta», «ragazzina», «puttanella», etc., a seconda dei vari epiteti che le sono ascritti nel libro, risulterebbe vieppiù calzante. A corroborare l­’ipotesi che questo tardo romanzo buzzatiano sia ­concepito ­come un simbolico sprofondamento nel cerchio dei ‘­lussuriosi’ militano alcune scelte verbali16. È inutile dire che ­l’area lessicale ad hoc che vi presenzia («lussuria/-e/-ose/-osi») di per sé non prova granché ai fini della nostra indagine, eccezion fatta, forse, per la sequela «pietà, gelosia, ira, lussuria» (ivi, p. 136-137), dietro cui si può intravedere a tinte sfumate un decalogo spurio di vizi e virtù proprio di certa didattica edificante medievale. Più stringenti, a parer mio, sarebbero invece le occorrenze linguistiche di «inferno/-ale». Benché se ne ­computino poco meno di una decina in tutto e non proprio tutte pregnanti, una parte parte di esse merita di essere messa a frutto. Rimuginando sulla sua non più giovanissima età, che non gli impedisce al ­contempo di essere ancora fertile e virile, Antonio si domanda ironico: «in genere più di quarantacinque quarantasei non mi danno e poi ­all’inferno sono in grado di fecondare o no?» (ivi, p. 157). Il protagonista, dunque, è nel pieno della sua maturità come Dante al momento del suo perdimento; 15 E cfr. «una ragazzina che ballava il rock-and-roll coi capelli neri giù per le spalle» (Buzzati, 2015, p. 243). 16 Lazzarin fornisce una stringata lista di potenziali dantismi, di cui però solo l­’eco del famosissimo «trasumanar» di Paradiso I.70 mi sembra un rimando ­convincente (2003, p. 53-54, nota 119). Si tratta della locuzione «trasumanata in vizi strani e brucianti» (Buzzati, 2015, p. 7). Quel che mi pare notevole in questa ripresa è che ­l’autore abbia ‘­infernalizzato’ la sincrasi lessicale del modello desublimandola: la perdita delle sembianze umane non avvicina ­l’essere mortale a Dio bensì a Satana (detorsio in diabolicum). © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. 84 SALVATORE FRANCESCO LATTARULO ha, cioè, sì una decina di anni in più rispetto a quelli del poeta fiorentino all’epoca dei fatti narrati ma è pur sempre «nel mezzo» del suo tragitto esistenziale se si considera l’incremento dell’aspettativa di vita di un uomo novecentesco rispetto a quella di uno del medioevo. Esasperato ­dall’ambigua c­ ondotta di Taide, ­l’innamorato in cuor suo «pregava Dio di togliergli ­quell’inferno di dosso» (ivi, p. 172). La sua mantenuta è ­un’«infernale ragazzina» (ivi, p. 185). Lo stato di prostrazione interiore d­ ell’amante tradito equivale a «una cosa infernale dentro nel petto, batticuore affanno devastazione vanghe infuocate che scavano» (ivi, p. 194). E quando lo spettro ­dell’infedeltà si materializza dietro la porta ermeticamente c­ hiusa d ­ ell’amasia in un crescendo di angoscia, ecco che Buzzati c­ ommenta: «Mentre nel petto l­’inferno sale sale, e il cuore martella, suona una seconda volta a lungo, a lunghissimo. Niente» (ivi, p. 217). E infine, sognando di spiare Taide copulare ­con uno sconosciuto, una similitudine eloquente si proietta nella mente annebbiata di Antonio: «La scena orrenda, tante volte fantasticata, ­come ­l’inferno, la distruzione della sua vita stessa, eccola là» (ivi, p. 229). È proprio nelle fasi più ­concitate che decretano la fine della delirante infatuazione in cui il protagonista si è a lungo puerilmente adagiato che ­l’autore rilancia ­l’analogia tra la perdizione dei sensi e l­’archetipo luciferino: «Eppure per lui è forse l­’ora decisiva della vita, ed è un inferno» (ivi, p. 240). Persino quando la coppia si ricongiunge alla fine del libro sotto le lenzuola, calata la coltre obliante del tempo sui furibondi trascorsi della tempestosa relazione, l­’uomo fa ancora i c­ onti c­ on lo spirito del maligno: «Quanti mesi sono passati? Antonio la ­contempla. In quel corpicino può stare c­ hiuso l­ ’inferno?» (ivi, p. 251). Il fatto che l­ ’uso della terminologia infernale si addensi ­nell’ultima parte del libro va di pari passo c­ on il moltiplicarsi degli sbagli del protagonista (errare humanum est, perseverare diabolicum), che si inanellano in una ferrigna catena che lo trascina sempre più in basso, ­nell’abisso della colpa17. Dopotutto 17 Segnalo, in ultimo, questo passo: «Nella notte si guarda intorno. Dio Dio che c­ os’e quella torre grande e nera che sovrasta? La vecchia torre che gli era sempre rimasta sprofondata ­nell’animo da quando era ragazzo. Della terribile torre però poco fa, nel turbine, si era ­completamente dimenticato, la velocità il precipizio gli avevano fatto dimenticare ­l’esistenza della grande torre inesorabile nera. Come aveva potuto dimenticare una cosa così importante, la più importante di tutte le cose? Adesso era là di nuovo si ergeva terribile e misteriosa c­ ome sempre, anzi sembrava alquanto più grande e più vicina. Sì ­l’amore gli aveva fatto ­completamente dimenticare che esisteva la morte» (Buzzati, 2015, © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. «A te ­convien tenere altro viaggio» 85 Un amore, se interpretato nel solco che fin qui si è cercato di tracciare, verterebbe in c­ ontroluce sul tema c­ onvenzionale d­ ell’intreccio tra eros e inferno che pochi anni dopo Buzzati sfrutterà in Poema a fumetti, versione ammodernata del mito ctonio di Orfeo e Euridice. Non è però mica scontato che c­ hi dice inferno dica Dante ipso facto18. La mania di Buzzati per Dante corre il rischio di diventare un c­ hiodo della critica, poiché certi automatismi esegetici possono indurre frettolosamente a rivestire di ­un’illustre patina letteraria ciò che ormai fa prosaicamente parte del senso ­comune. Tuttavia ­all’Alighieri è universalmente attribuita nello specifico una paternità ideale che ne fa se non sempre la fonte diretta quanto meno il filtro nobile, ora inconscio ora premeditato, di siffatta materia. Sicché Buzzati, «raffinato sperimentatore di forme narrative, o riscrittore talora perfino cerebrale di codici, e topoi della tradizione», c­ on ogni probabilità «trovava agevolmente» ispirazione per la sua poetica “infernale” «nel più importante autore della nostra tradizione, nonché auctoritas quanto mai prestigiosa su tutto ciò che riguarda i regni d­ ell’aldilà, Dante» (Lazzarin, 2003, p. 39 e p. 43). Oltretutto il fondale della torbida trama di Un amore è quella capitale del Nord Italia che, c­ ome tutte le megalopoli dei nostri giorni, è ­l’anti-paradiso terrestre. Le prime note dello spartito narrativo ci introducono nel fosco grigiore della città ambrosiana, stipata ai margini di «cumuli di detriti immondi» (Buzzati, 2015, p. 4) che danno ­dell’anello ­contermine del cuore urbano ­l’idea di una spaventosa e immensa cloaca che stringe d­ ’assedio l­’onorabile beau monde meneghino, trincerato nel decoro ­chic degli eleganti palazzi residenziali. Questo caos verminoso del capoluogo lombardo è notoriamente per Buzzati ­l’epicentro fisso di p. 261). In Inferno IX, 34-36 lo sguardo di Dante è attratto «­ver’ ­l’alta torre a la cima rovente» su cui appaiono le tre furie. Come Antonio ha incautamente perso di vista il minaccioso torrione, così il poeta rischierebbe di non accorgersi d­ ell’imminente pericolo che pende sulla sua testa se di colpo non decidesse di sottrarsi alla spiegazione di Virgilio a proposito della palude stigia che circonda la città di Dite. Per Buzzati la torre è segno della morte incombente; parimenti la vita di Dante è in un tale frangente a repentaglio per ­l’evenienza che ­dall’alto si palesi la Gorgone la cui vista potrebbe pietrificarlo. La pagina buzzatiana ha ispirato il titolo del volume di Asquer, 2002. 18 Lo scritto giornalistico Ci scrivono ­dall’inferno, ad esempio, cronaca immaginifica di una corrispondenza epistolare spedita dagli avelli delle vittime ­dell’ultima tragedia bellica, vuole senza sottintesi rifarsi ­all’Antologia di Spoon River, il long seller di Edgar Lee Masters: «Autobiografiche epigrafi in un cimitero di vivi. Spoon River, che pure è una cosa stupenda, impallidisce al paragone. Un genio, prodigioso genio, sarebbe lo scrittore che ­con la sola forza della fantasia avesse scritto queste pagine tali e quali» (Buzzati, 1998, p. 1411). © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. 86 SALVATORE FRANCESCO LATTARULO ogni inferno domestico. «Nero, nero, lo so, c­ ome il carbone» (ivi, p. 3) è la rassicurante premonizione telefonica della signora Ermelina (Ermes? Il dio psicopompo? La guida delle anime dei defunti?), la tenutaria della casa di appuntamenti dove Antonio incontrerà Taide, mascherata da interno di sartoria. Poco importa che la mezzana e il cliente stiano parlando in codice della tinta di una stoffa per abiti. Quel che pesa è che la scelta cromatica si allinea ­con la cappa plumbea e caliginosa della città che sta per essere teatro della dannazione del protagonista, (­complice «quella straordinaria ragazzina che lo ha fatto dannare», ivi, p. 242), della sua discesa nelle tenebre infere («un male d­ ’inferno», ivi, p. 241), in u­ n’«ambigua e crudele selva» (ivi, p. 254). ­L’enigmatica frase di Ermelina è, in filigrana, irta di «parole di colore oscuro» (Inf. II, 10) ­come quelle che Dante legge sulla sommità della ianua inferi, ­l’entrata nel pozzo senza luce. In Un amore si riattiva un intricato nesso tematico, d­ all’«ineluttabile perverso fascino», assai caro a­ ll’intellettuale bellunese, ovvero «un pattern a tre elementi: donna-città-inferno» (Giannetto, 1997, p. 12). Memorie dantesche possono rifluire occasionalmente anche tra sfondi paesaggistici, quelli particolarmente intensi del primissimo Buzzati, il cui imprimatur narrativo si colloca negli anni Trenta c­ on Bàrnabo tra le montagne e Il segreto del Bosco Vecchio, incentrati sul «viaggio di ­conoscenza e di ascesa spirituale (tipico della tradizione medievale, vedi Dante)» (Asquer, 2002, p. 85)19. Pur volendo c­ onvenire ancora ­con Lazzarin che quella per Dante sia una passione senile di Buzzati, «dopo i categorici rifiuti di gioventù» (2003, p. 53)20, questo non dispensa da rinvenire anche agli albori della sua produzione artistica influenze del poeta fiorentino. È il caso di un poemetto puerile, Nembrotte Nembrotte che viene la notte ai camosci per le strade rotte dei monti21, ­composto nel 1920 a soli quattordici anni, che canta le gesta del mitico gigante cacciatore ­all’inseguimento perenne ­dell’abile arrampicatore a 19 Sul «valore allegorico» dei primi due romanzi di Buzzati cfr. anche Ramella, 2011-2012, p. 191. 20 Lo studioso rimanda in nota a due lettere (una del 30 settembre 1923, ­l’altra del 26 luglio 1924) inoltrate al ­compagno di studi Arturo Brambilla: «Quanto più vado avanti tanto più entro ­nell’opinione che Dante è troppo vecchio e bisognerebbe ­chiuderlo via e che il 95% dicono che Dante è bello perché a dire che non val niente sono detti ignoranti e scemi» (Buzzati, 1985, p. 139); «­D’altronde anche il Paradiso di Dante è “­un’inevitabile pezzata” ed ora è ben difficile che trovi qualcosa bello» (ivi, p. 151). 21 Il testo è riportato ivi, p. 23-24, n­ ell’introduzione al volume. © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. «A te ­convien tenere altro viaggio» 87 quattro zampe dalle corna uncinate tra scoscesi altipiani che ricordano le amate rocce dolomitiche. Si tratta del robustus venator, fondatore di Babilonia e ideatore della torre di Babele, di cui si parla nelle sacre scritture. La mediazione di Dante, che lo cita per ben tre volte nella Commedia (Inferno XXXI, 77, Purgatorio XII, 34, Paradiso XXVI, 126), riservandogli un posto anche nel De vulgari eloquentia (I. VII. 4), non si può a mio parere escludere22. ­D’altro canto, ­come ognun sa, in Buzzati la fantasmagoria infernale si acclimata per definizione n­ ell’alienazione metropolitana, nel «dolce abisso brulicante di luci», per esempio, di Ragazza che precipita (Buzzati, 2015a, p. 199), parabola di un principio di verticalità architettonica che è caduta e non ascesi23. Viaggio agli inferni del secolo, edito a metà degli anni Sessanta in Il Colombre e altri cinquanta racconti, è quasi una dimostrazione programmatica di questo topos24. Malgrado ciò, la ­chiave non è un mero atto d­ ’accusa c­ ontro lo spersonalizzante degrado della vita urbana e i suoi frenetici e mefitici intrecci sociali. Lo sguardo ­dell’autore si appunta su un più largo giro d­ ’orizzonte che si estende a una meditazione circa «il crollo del mondo moderno» e la «corruzione ­dell’umanità» (Ayyildiz, 2017, p. 223) a­ ll’acme della crescita demografica e dello sviluppo edilizio: «Questa non è la descrizione della città. È un viaggio ­all’Inferno» (Buzzati, 1973, p. 45). Qui Buzzati è a tutti gli effetti un Dante del ventesimo secolo, che intende ‘­testualmente’ rifare il verso alla prima cantica del capolavoro trecentesco («girando gli sguardi, notai su di un tavolino una vecchia edizione della Divina 22 Cfr. anche l­ ’epistola a Brambilla del 12 settembre 1930: «Il cielo di Milano, le sue case, le sue vie, i suoi tram mi appaiono di piombo. Ma il mondo di Nembrotte, di Ezdubar, di Horus, di Anubis, ci visse dentro e ancora, se pur diverso, dovrà rivivere, per la nostra serenità» (Depaoli, 1991, p. 56). 23 ­All’uopo si veda Geerts, che, facendo sua una locuzione di André Gide, parla di «­composizione in abisso» (1976, p. 6). Di sicuro interesse per noi è il racconto buzzatiano Sette piani: Giuseppe Corte, ricoverato quasi sano ­all’ultimo piano di una clinica-purgatorio (stupisce la corrispondenza ­con le altrettante cornici della montagna della seconda cantica dantesca), è costretto via via a scendere di livello in livello fino a trovare la morte una volta toccato il pianterreno. Capovolgendo la struttura piramidale, il nosocomio si trasforma perciò in un inferno: a mano a mano che Corte arriva ai reparti inferiori la gravità degli ammalati aumenta progressivamente, ­come le sofferenze dei dannati danteschi. 24 ­L’odeporica extramondana è affrontata da Buzzati anche nella sceneggiatura di Viaggio di G. Mastorna, un film rimasto irrealizzato di Federico Fellini, un tentativo abbozzato di declinazione del dantesco itinerarium mentis in Deum. Sul punto si veda, almeno, di recente Fabbri, 2016. © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. 88 SALVATORE FRANCESCO LATTARULO Commedia illustrata dal Doré. Era aperta là dove si vedono da lontano Dante e Virgilio i quali, tra roccioni sinistri si avviano alla bocca nera ­dell’abisso», Buzzati, 2016, p. 256). Significativo è il cenno a una copia del divino poema corredato dalle tavole ottocentesche di Gustave Doré, un testo di c­ ulto del Dante visuale, cui sarà stato debitore l­ ’estro iconico buzzatiano25, messo in pratica in Poema a fumetti e nei Miracoli di Val Morel, opere che insieme a Viaggio agli inferni ­compongono alfine una sorta di trilogia del soprannaturale. Il dantismo qua e là strisciante e ­chiaroscurato di Buzzati esce adesso decisamente allo scoperto per disporsi ­all’arduo cimento ­con il classico per antonomasia della nostra letteratura. Quel Dante talvolta ‘­implicito’ stavolta è un Dante ‘­esplicito’. Buzzati opta, com’è ­­ nel suo stile ibrido, per un registro tragicomico, in cui l­ ’impasto drammatico è farcito c­ on sapide manciate di humor26. Il nuovo Dante discende nel sottosuolo del capoluogo insubre, «crogiuolo della vita moderna» (Lazzarin, 2008, p. 95), per documentare in veste di reporter la presenza di un surreale regno infernale venuto alla luce sotto il piano stradale durante i lavori di scavo della metropolitana, «wich, as public transport system, embodies all the alienating features of the modern industrial city» (Siddel, 2006, p. 103). In questo ­controcanto ­all’Inferno27 Buzzati gioca la carta truccata del realismo in una partita esistenziale («una decisione che poteva coinvolgere la mia vita», ivi, p. 251, espressione ammiccante ­all’explicit ­dell’arcinoto incipit della Commedia) ­con ­l’inammissibile («­l’inverosimiglianza ­complessiva», ivi, p. 254; «­un’assurdità simile», ivi, p. 256), marcando la differenza ­con il modello celebre («gli uomini sono 25 Ai «famosi disegni di Doré» si allude anche nella prosa breve Il primo giorno in Paradiso (Buzzati, 2020, p. 39). 26 «Accorse una ragazzina sui diciotto, il volto ancora da bambina, il labbro superiore tirato in su dalla tensione della pelle giovanetta, gli occhi ingenui e stupefatti. Inferno fin che si vuole, pensai, ma non sarà poi questo gran disastro se popolato da bestiole simili» (ivi, p. 264). ­L’autore «prende in giro l­’avventura dantesca paragonandola ­con la sua; da un altro lato, invece, critica la solitudine ­dell’uomo in questo mondo terrestre e in quello oltre mondano» (Ayyldiz, 2017, p. 219). «­L’umorismo è, ­d’altra parte, una delle ­chiavi di lettura delle più articolate riscritture d­ ell’aldilà dantesco in un aldiquà in cui rintracciare o gli esatti equivalenti dei peccati infernali e purgatoriali già catalogati nel capolavoro medievale, o colpe individuali e sociali del tutto nuove e sostitutive di quelle, ritenendo così di poter ‘­aggiornare’ o reinterpretare ­l’indagine morale, e lato sensu politica, di Dante» (Pegorari, 2012, p. 386). 27 «Viaggio agli inferni del secolo si propone ­come una sorta di antimodello della Commedia» (Tambasco, 2016, p. 28). © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. «A te ­convien tenere altro viaggio» 89 di carne ed ossa, mica c­ ome quelli di Dante», ivi, p. 254; e cfr. supra), mostrando o fingendo di ignorare, al c­ ontempo, la ben nota lezione di Erich Auerbach, che mette ­l’accento proprio sul «fenomeno stupefacente, paradossale, che si ­chiama il realismo dantesco» per cui «­l’imitazione della realtà è imitazione d­ ell’esperienza sensibile» (1956, p. 207). Lo scrittore deve fare a meno di un odierno Virgilio, benché ne ­chieda appositamente ­l’ausilio («Niente Virgilio? – No», Buzzati, 2016, p. 254), per perlustrare il grottesco imbuto nero di Satana. Il viator ­contemporaneo, che vive in ­un’epoca in cui nessuna guida maestra può più indicargli la ‘diritta ­via’ («… potrebbe essersi smarrito…», ibid.) è ­chiamato a dialogare da solo ­con i fantasmi della sua coscienza. ­Nell’ipogeo metropolitano pullula un microcosmo urbano parallelo che è proiezione del caos indiavolato della città reale negli anni turbinosi del cosiddetto miracolo economico. Esso non è che il prototipo di molti possibili averni (una pluralità di ‘­inferni’, donde il titolo, rispetto ­all’unicum dantesco) spalancati nelle profondità di altre zone densamente popolate della terra («Certo, Milano. E anche Amburgo, a anche Londra, e anche Amsterdam, Chicago e Tokio nello stesso tempo», ivi, p. 265), ­all’insegna di una trasversalità planetaria che prospetta ­un’equazione ante litteram tra inferno e global village. Lo scenario infero, che ricalca e ­congiuntamente amplifica quello della prima cantica della Commedia, si accampa ovunque il progresso civile ha messo radici, in scia ­con altre inquietanti catabasi letterarie del canone novecentesco28. Fatta salva la cornice ­d’insieme che salda il tutto in otto capitoli, quasi mini-racconti ­all’interno di un racconto-madre, assimilabile a un romanzo breve o minimo, l­’autore piazza un ­po’ a casaccio una serie di tessere dantesche che ricreano in modo assolutamente frammentario e parziale il mosaico originario. Si parte c­ on ­l’impenetrabile scelta ­dell’inviato speciale cui assegnare il delicato reportage nel sottosuolo milanese. Il designato è tra i ­componenti della redazione colui che meno si aspetta di essere il predestinato («Perché a­ nch’io»?, Buzzati, 2016, p. 251). Il protagonista è ­convinto di non aver particolari meriti rispetto ai suoi colleghi, c­ omportandosi c­ ome Dante che a Virgilio non 28 «Il viaggio n ­ ell’oltretomba acquista anche toni di nekuia o di mistero primitivo, ma è sempre un passaggio nel soprannaturale e nel fantastico irreale, ­con il solito seguito di attesa, tensione, incertezza, fascino, c­ onflitto e vittoria finale d ­ ell’altra dimensione» (Bonifazi, 1982, p. 150). © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. 90 SALVATORE FRANCESCO LATTARULO nasconde il suo imbarazzo di prescelto per andare ­nell’oltre-mondo («Ma io, perché venirvi?», Inf. II, 31). Il motivo della nomina è che il giornalista «è uno specialista» (Buzzati, 2016, p. 253) di casi del genere (allusione al curriculum letterario d ­ ell’autore), per cui l­’investitura gli viene dal vertice della testata, dal direttore. Anche nel caso di Dante la carriera di poeta gli ­conferisce le referenze adatte per adempiere a un mandato che gli viene ugualmente prescritto dalle alte sfere (le tre donne beate). Insomma, in entrambi i casi non siamo difronte a una decisione autonoma del candidato ma a­ ll’ottemperanza a una volontà superiore. Per Dante è un provvidenziale disegno divino, per Buzzati «la mano pelosa del destino» (ibid., p. 252). Ogni inferno che si rispetti, e Dante docet, deve avere una porta. Solo che «la porta ­dell’inferno» (ivi, p. 253) rinvenuta da un lavoratore della ferrovia sotterranea non è quella monumentale e solenne che Dante vede davanti a sé ma «una specie di porticina» (ibid.). Dinanzi alla soglia maledetta Buzzati è colto da spavento ed esitazione («Mi rendevo ­conto che la famosa porta stava aprendosi. Non potevo decentemente rifiutare, sarebbe stata una diserzione ignobile», ivi, p. 254)29 ­come il suo predecessore («Qui si ­convien lasciare ogne sospetto; / ogne viltà ­convien che qui sia morta», Inf. III, 14-15). La notizia d­ ell’inferno nascosto nelle viscere di Milano ha «parecchi punti oscuri» (Buzzati, 2016, p. 254) che strizzano ­l’occhio alle «parole di colore oscuro» d­ ell’iscrizione letta d­ all’esule fiorentino (Inf. III, 10). Varcare ­l’ingresso ­dell’inferno non è uno scherzo, meglio non farsi troppe illusioni («Chi entra da noi deve subire tutte le ­conseguenze fino in fondo», Buzzati, 2016, p. 264) ­come ammonisce inesorabilmente ­l’ormai proverbiale ultimo rigo ­dell’epigrafe incisa ab æterno («Lasciate ogne speranza, voi c­ h’intrate», Inf. III.9). Il giornalista lombardo si inoltrerà da solo nel suo irrituale itinerario, privo di scorta: «Lasciapassare non esiste» (Buzzati, 2016, p. 253), lo avverte il suo capo. Egli non potrà fruire, cioè, di quel salvacondotto che autorizza Dante ad attraversare il regno del male costituito dalla parola d­ ’ordine veicolata da Virgilio («vuolsi così colà» c­ on quel che segue, Inf. III, 94-96; V, 22-24). Mentre Dante è un privilegiato che giunge ­all’inferno per una via non ordinaria, Buzzati sembra servirsi di un accesso ­comune a tutti i dannati, 29 E cfr. anche: «Si narra che personaggi grossi e fortissimi, di fronte a ciò che massimamente avevano desiderato nella vita, quando si presentò tremarono, diventando macilenti, piccoli e meschini» (Buzzati, 2016, p. 253). © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. «A te ­convien tenere altro viaggio» 91 una normale «scaletta» (2016, p. 263). Se il primo viene dissuaso da Caronte a proseguire («pàrtiti da cotesti che son morti», Inf. III, 89), il secondo, una volta dentro, è costretto ad addentrarsi («Avanti, signore, mi segua», Buzzati, 2016, p. 263). A fare le veci del nocchiero acheronteo è una donna a nome Pentesilea, ­l’eroina virgiliana citata da Dante nel limbo (Inf. IV, 124). Rispunta così l­ ’analogia tipicamente buzzatiana tra infernale e femminino. Similmente Rosella è figura vicaria di Minosse, il giudice guardiano che è una sorta di mostruoso archivio in costante aggiornamento delle colpe dei dannati da assegnare nei vari gradi di pena: la ragazza, gaia e allegra, di ­tutt’altro aspetto da quello terrificante e serioso del demone del secondo cerchio, tiene uno schedario elettronico dei residenti ­all’inferno dei quali ­conosce vita, opere e miracoli. Per quanto Buzzati si ritenga un «intruso clandestino» (2016, p. 263) deve arrendersi difronte ­all’evidenza che il suo nome è già nel registro nero: «E io… Io dunque sarei dannato? – […] Tu sei dannato perché sei fatto così. I tipi ­come te l­ ’inferno se lo portano dentro fin da bambini…» (ivi, p. 266). La difformità rispetto allo status morale del poeta toscano, cui Caronte preconizza la salvezza, non poteva essere più netta. Per Dante la certezza salda è il purgatorio, per Buzzati ­l’inferno. Che ­l’inferno mondano sia, ­all’opposto, il regno penitenziale che fa da anticamera alla gloria celeste non può che essere un abbaglio momentaneo: «E se fosse il purgatorio invece? ­C’era puzza di zolfo? Ha visto le fiamme?» (ivi, p. 259). L­ ’approdo finale di questo polittico narrativo, Il giardino, si regge infatti ­sull’inganno di capitare ­nell’eden adamitico che Dante colloca sulla vetta del colle della purificazione30. Questa «stupefacente isoletta di pace», irradiata di «luce pura», protetta «dalle pestilenze e dai furori d­ ell’aria circostante», che induce a credere che «non è tutto infernale a­ ll’Inferno», a ragionare che «­L’Inferno non esisterebbe […] se prima non ci fosse il Paradiso» (ivi, p. 289-290), vanisce ben presto, sotto ­l’azione micidiale delle ruspe che espiantano alberi e aiuole per costruire ­un’autorimessa31. In fondo, questa sosta ultima, è una tregua 30 Si veda il finale della parabola Il primo giorno in Paradiso: «Sei nella reggia della luce eterna, voli, divori, manna, partecipi a­ ll’infinito amore. Ma tu non hai dimenticato. Hai la suprema grazia, ma ricordi. E ricordando soffri. È il purgatorio» (Buzzati, 2020, p. 41). 31 È curioso che Autorimessa Erebus sia il titolo di uno dei racconti de Il crollo della Baliverna (Buzzati, 2018a). In un angusto budello cittadino si trova Erebus Garage, una specie di antro infernale gestito da un anziano tipo misterioso, Onofrio, incarnazione del «Grande Nemico» (ivi, p. 47). ­L’io autobiografico è un borghese attempato così male in arnese che © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. 92 SALVATORE FRANCESCO LATTARULO breve – ­come il limbo luminoso e verdeggiante che Dante si lascia alle spalle per riconficcare gli occhi nel buio dei martiri – evaporata la quale, Buzzati si ritrova vis-à-vis ­con la signora diavolessa ­dall’inequivoco nome di Belzeboth, alias Pentesilea, la dea ex machina (Proserpina?), la sinistra appaltatrice della grande multinazionale infernale32. Non deve sorprendere, infine, che nella preminente tematica infera di Buzzati33 si apra anche il fronte ­dell’opzione purgatoriale, la quale in certe sue pagine incrocia l­’altra prospettiva generando a bella posta ambiguità e malintesi. Ciò che in effetti nella rigida e gerarchica visuale medievale è nettamente distinto e separato, nella fluida e permeabile ottica c­ ontemporanea appare ­confusamente ibridato e incerto34. Tutto ciò ­contribuisce a ispessire la patina di arcana indeterminatezza che riveste la scrittura di Buzzati in ­chiave escatologica. La seconda alternativa, quella purgatoriale, è invero ­consentanea al motivo in lui protocollare dello “stare sospesi”, che trova la sua più nitida messa a fuoco ne Il deserto dei Tartari, ove «il mondo finzionale appare trasfigurato ­dall’imminenza di un eventum spasmodicamente atteso» (Puglia, 2020, p. 248). Uno studio recente ha c­ oncentrato lo sguardo s­ ull’«atmosfera purgatoriale di tutto il libro» e sulla «sua struttura cherigmatica che vuole in ultimo la rivelazione» (Lisciani Petrini, 2020, p. 179); una serie di intertestualità ivi esplorate porterebbero alla c­ onclusione che «tra le rielaborazioni del Purgatorio, Il deserto dei Tartari si rivela una delle più icastiche della letteratura del Novecento» (ivi, p. 180). Se è vero che il tema del tempo che passa attendendo la propria occasione è più pertinente al secondo non può essere utile nemmeno a­ ll’inferno («Perfino il diavolo mi ha sbattuto la porta in faccia», ivi, p. 48). Si pensi agli ignavi che «né lo profondo inferno li riceve, / c­ h’alcuna gloria i rei avrebber d­ ’elli» (Inf. III, 41-42). 32 «­L’inferno – nel panorama letterario novecentesco – è talmente inquinante da inglobare anche il paradiso, di cui non si parla quasi mai e quando lo si fa è per sottolineare la vana attesa e il senso di sconfitta» (Anselmi e Ruozzi, 2003, p. xiii). 33 Come osserva Giannetto, in seno al tema più volte frequentato da Buzzati «del viaggio ­nell’oltretomba» ciò che è «più caratteristicamente suo» è «quello del mondo infero» (2005, p. 361). 34 Nella novella Nuovi strani amici (da Paura alla scala), il defunto Stefano Martella sopraggiunge in un incantevole centro abitato che assomiglia in tutto e per tutto ­all’Elisio, salvo al termine esserne scacciato, ­come i nostri progenitori, e sbattuto ­all’inferno. Si pensi poi al Domenico Molo de Il sacrilegio, che, dopo aver sognato di essere giunto da morto ­nell’aldilà affinché la sua anima sia salvata o dannata, si risveglia in un letto ­d’ospedale ­con «­l’idea che quello fosse ­l’inferno» (Buzzati, 2018, p. 187). © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. «A te ­convien tenere altro viaggio» 93 regno, in quanto il tempo d­ ell’inferno è immobile, non c­ oncede speranze (­come in Poema a fumetti), va però anche detto che la metafora più pregnante del romanzo maggiore di Buzzati, il ‘­deserto’, sembra il calco di una topica tanto infernale quanto purgatoriale. Il «gran diserto» di Inferno I, 64 e la «piaggia diserta» di qualche terzina prima (v. 29) ­s’imprimono, credo, nel ricordo dei lettori di ogni tempo ­con non meno forza ­dell’«aspro diserto» di Purgatorio XI.14 se non altro per l­ ’incisiva restituzione per traslato della ­condizione di solitudine infinita in cui è immerso il poeta medievale proprio a­ ll’inizio del suo fatale percorso. Il suo destino si decide qui, in mezzo a un paesaggio desertificato, inabitato, segno di un inaridimento interiore che richiede e prospetta pur sempre un soccorso spirituale per mutare il corso della sua esistenza. Per Drogo non ­c’è nessun salvatore ad aspettarlo ai limiti ­dell’enorme distesa di niente, nonostante il senso di verticalità ­dell’immagine ricorrente del cielo stellato, elemento non trascurabile di redenzione35. Il deserto, nella sua atona piattezza, è uno spazio di transizione e attesa ma anche di disorientamento e perdita di sé. In quanto disabitato e nudo, esso dilata il perimetro desolato e spettrale della fortezza Bastiani. A ­ ll’interno delle sue spoglie mura, Drogo fa più amara esperienza del vuoto e ­dell’assenza che già in passato, «anche da bambino», lo hanno portato a sentirsi «smarrito» (Buzzati, 1998, p. 33) c­ ome in una metaforicamente ubiqua ingens silva; è una ­condizione non dissimile da quella in cui si disorienta il quasi omonimo Dorigo di Un amore: «Eppure anche a ­cinquant’anni si può essere bambini, esattamente deboli smarriti e spaventati ­come il bambino che si è perso nel buio della selva» (Buzzati, 2015, p. 79). Salvatore Francesco Lattarulo Università di Bari 35 Ci si c­ oncentri in particolare s­ ull’immagine del capitolo quarto «e Drogo vide brillare le stelle» (Buzzati, 1998, p. 34), per cui cfr. l­ ’emistichio dantesco di Purgatorio I.23: «e vidi quattro stelle». Si c­ onsideri inoltre il ruolo che le stelle assumono nella seconda parte del racconto Di notte in notte, tratto da I sette messaggeri: esse scortano ­come familiari numi tutelari il protagonista, partito a tarda sera in guerra, infondendogli una fiducia destinata a non tramontare nemmeno quando la sua essenza immateriale volerà in cielo. © 2024. Classiques Garnier. Reproduction et diffusion interdites. 94 SALVATORE FRANCESCO LATTARULO RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Alighieri Dante, 1988, La Divina Commedia, ­con pagine critiche a cura di U. Bosco e G. Reggio, Inferno, Firenze, Le Monnier. Anselmi Gian Mario e Ruozzi Gino, 2003, «Introduzione», in Luoghi della letteratura italiana, a cura di G. M. Anselmi e G. 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