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Il Partito nazionale fascista: posizione costituzionale e aspetti cultuali Renato Montagnolo Indice 1. Introduzione 2. La posizione costituzionale del Pnf nell'ambito del regime 3. Il Pnf nel totalitarismo fascista 4. Bibliografia 1 1. Introduzione Lo studio del Partito Nazionale Fascista non ha avuto un grande successo nella storiografia sul fascismo. Per utilizzare le parole di P. Pombeni, lo studio del Pnf ha riscontrato pregiudizi circa la sua rilevanza all'interno del fenomeno fascista, sia per quanto riguarda la vita istituzionale che culturale del paese1. Secondo E. Gentile, un primo mutamento significativo dell'atteggiamento degli studiosi si ebbe grazie a E. Nolte, capace con la sua opera di far entrare il problema del partito fascista all'interno della storiografia vera e propria. Nonostante le riflessioni dello storico tedesco sul Pnf siano state fatte nell'ambito di una trattazione generale sul fascismo, rappresentano linee essenziali per una diversa visione del problema. Nolte, infatti, da una parte diede forte risalto al ruolo determinante e decisivo dello squadrismo come organizzazione armata e come “stile di vita”, dall'altra sottolineò l'importante ruolo assunto dal partito all'interno della società e della vita del popolo italiano2. Nonostante il contributo di Nolte, e nonostante la grande attenzione da parte della letteratura a vari aspetti particolari del fascismo, solo a partire dalla metà degli anni Ottanta la storia del partito fascista ha ricevuto più attenzione attraverso ricerche sistematiche e complessive3. Proprio per questo motivo, in questa relazione ho deciso di mettere a confronto studi che, partendo da punti di vista molto diversi, hanno messo in luce importanti aspetti del partito fascista: nel secondo paragrafo andrò ad analizzare Demagogia e tirannide. Uno studio sulla forma partito del fascismo di P. Pombeni, lavoro che ha evidenziato snodi istituzionali e posizione costituzionale del Pnf, nel terzo paragrafo svilupperò il discorso partendo da un'analisi su La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo stato nel regime fascista e su Il culto del littorio, entrambi studi di E. Gentile, storico di fama internazionale che si è concentrato sul ruolo del partito nel laboratorio fascista prestando particolare attenzione agli aspetti cultuali e rituali. 1 P. Pombeni, Il partito fascista, in A. Del Boca, M. Legnani, M. G. Rossi, a cura di, Il regime fascista. Storia e storiografia, Laterza, Roma 1995, pp. 203-219, ivi, p. 203. 2 Cfr. E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista, Carocci, Roma 2008, pp. 80-83. 3 Ivi, p. 85. 2 2. La posizione costituzionale del Pnf nell'ambito del regime Come detto nell'introduzione, Demagogia e tirannide di P. Pombeni, è uno studio che si concentra sugli snodi istituzionali e sulla posizione costituzionale del Pnf. La motivazione della scelta risulta chiara: secondo lo storico esiste una forte correlazione tra la forma-partito e la forma-stato, in quanto il partito moderno nasce come anticipazione di una struttura di democrazia generalizzata e controllata da tutti gli aventi diritto. Proprio per questo motivo lo storico, nella sua analisi sulla formazione del Partito fascista, ne sottolinea l'iniziale e sostanziale somiglianza con la classica forma-partito moderna. Riportando il primo ordine del giorno del Consiglio Nazionale del Partito fascista, lo storico mette in risalto il richiamo alla disciplina e all'unità del corpo sociale e il vincolo del gruppo parlamentare ad essere cassa di risonanza dell'ideologia fascista4: Il Consiglio Nazionale dei Fasci […] prende atto della Costituzione ufficiale del Gruppo Parlamentare Fascista e fa appello ai fascisti di tutta Italia perché rimangano disciplinati nell'organizzazione, sventando ogni manovra di scissione, e ai deputati fascisti, cui fa obbligo di seguire nello svolgimento del proprio mandato i postulati fascisti e le direttive politiche che saranno via via tracciate dal Consiglio Nazionale. Dà mandato alla Commissione esecutiva di rappresentare i Fasci al Convegno del Gruppo Parlamentare Fascista per lo scambio delle idee prima dell'inizio e durante i lavori parlamentari5. In considerazione del nesso tra forma-partito e forma-stato, Pombeni mette bene in evidenza la correlazione tra la successiva evoluzione del Pnf in “partito nuovo” e la rivoluzione costituzionale operata dal regime che portò alla trasformazione radicale della forma-stato6: per questo motivo risulta fondamentale l'analisi dell'evoluzione degli statuti del partito fascista, in quanto una loro comparazione mette in risalto il progetto costituzionale del regime7. Lo statuto-regolamento del 1921 rappresenta in quest'ottica una tappa importante nella vita del Pnf, in quanto rivela i segni di un disegno razionalizzatore e, allo stesso tempo, il mantenimento di una struttura democratica comune ai partiti di massa. 4 P. Pombeni, Demagogia e tirannide. Uno studio sulla forma-partito del fascismo, Mulino, Bologna 1984, p. 24. 5 Ibidem. 6 Ivi, p. 32. 7 Ivi, p. 33. 3 L'assetto designato non si basava su una concezione personale dell'articolazione del potere. Veniva difatti mantenuto il principio elettivo dell'origine dei poteri, il principio della collegialità nella gestione politica dei poteri fondamentali, il principio del controllo decisionale reciproco di più centri di potere così da poter evitare decisioni inappellabili e grossi accumuli di potere. Lo statuto del 1921, inoltre, aderiva alla tendenza di una rappresentatività a largo spettro, propria dei partiti di massa, dotandosi di articolazioni sociali interne quali i gruppi di competenza, i gruppi universitari, le avanguardie giovanili fasciste, i gruppi femminili8. Nonostante queste similitudini con gli altri partiti di massa del XX secolo, il Pnf aveva una sostanziale particolarità: le squadre di combattimento. P. Pombeni sottovaluta notevolmente il ruolo dello squadrismo nell'evoluzione del Pnf, sia per quanto concerne la sua vita interna sia nei rapporti con gli altri politici e con l'ordine costituito. Secondo E. Gentile questo rappresenta un limite sostanziale e un errore interpretativo del testo Demagogia e tirannide. Come vedremo nel prossimo capitolo, Gentile individua il Pnf come partito armato cui fisionomia fu dominata fin dalla nascita dal carattere di milizia. Questo carattere determinò sia le modalità di organizzazione del partito, in misura decisiva e prevalente rispetto agli altri caratteri previsti dallo statuto e che erano comuni agli altri partiti di massa, sia il tipo di rapporti gerarchici, lo stile, la mentalità e l'ideologia stessa del partito. Per questo motivo Gentile ritiene che Pombeni avrebbe dovuto dar maggiore attenzione al problema dello squadrismo come fenomeno originario e costitutivo del Pnf: in questo modo la natura e la logica della forma-partito fascista sarebbero state definite con più precisione e completezza9. Tornando a parlare dello statuto del 1921, Pombeni evidenzia come, nonostante rimase in vigore ufficialmente fino al 1926, già a partire dal 1923 l'istituzione del Gran Consiglio del Fascismo segnò una svolta radicale che portò ad abbandonare quei principi di democrazia interna. Tra il 25 aprile e il 15 ottobre 1923 il Gran Consiglio mise mano a una ristrutturazione interna del partito che cominciò a costruire una forma fortemente verticistica e nella quale per la prima volta veniva 8 Ivi, p. 36. 9 Cfr. E. Gentile, La via italiana al totalitarismo, pp. 122-123. 4 sanzionato l'istituto del Duce10. Voluto da Mussolini a cavallo tra il 1922 e il 1923 per farne il centro decisionale della vita politica, a spese degli organi statuari del partito, il Gran Consiglio veniva convocato e presieduto dal Duce stesso e vi partecipavano i ministri del governo e i sottosegretari alla Presidenza e agli Interni, i membri della Direzione del Pnf, il direttore generale della PS, il commissario straordinario alle Ferrovie, il segretario della Federazione delle Corporazioni sindacali Fasciste, il dirigente del moviento corporativo, i commissari politici del fascismo, lo stato maggiore della Milizia per la Sicurezza Nazionale, il direttore dell'ufficio stampa della Presidenza11. Il Gran Consiglio risultava così assai efficace dal punto di vista della rappresentazione politica, lasciando intravedere il volto di un regime organico che controllava ad un tempo governo e partito 12. Trasformando la forma-partito fascista secondo canoni verticistici, il Pnf veniva posto nelle mani del Gran Consiglio e perdeva la funzione di centro autonomo di elaborazione ed iniziativa: l'obiettivo era trasformarlo in una milizia di silenziosi operanti13. Come detto, il processo di trasformazione del fascismo e del partito fu definitivamente sancito da una riunione del Gran Consiglio nell'ottobre 1923 che dettò le linee programmatiche d'azione del Pnf: costruire una nuova classe dirigente della Nazione, effettuare un'opera cauta e qualitativa di proselitismo, collaborare col Governo per vie dirette senza polemiche pubbliche attraverso un'opera di propaganda14. Il verbale del Gran Consiglio del 15 ottobre suggellò questo nuovo ruolo del partito: È tempo che il Partito si persuada che il suo unico compito è quello di assecondare l'opera del Governo fascista. È tempo che il fascismo sappia che coll'avvento del Governo fascista esso ha raggiunto i suoi fini di Partito e deve ora conseguire i suoi fini di Governo15. Successivamente a questa data, inizia secondo Pombeni una normalizzazione del partito che troverà nel delitto Matteotti una forte spinta. Attraverso vari interventi di Mussolini e delibere del Gran Consiglio venne ribadito il ruolo del partito: essere il 10 11 12 13 14 15 Cfr. P. Pombeni, Demagogia e tirannide, p. 37. Ivi, pp. 45-47. Ivi, p. 48. Ivi, pp. 50-51. Ivi, pp. 56-57. Ivi, p. 60. 5 collegamento tra il Governo e le masse16. La questione del Pnf era da Mussolini sentita come centrale per il mantenimento del potere. Per quanto alla tradizionale preminenza dell'esecutivo, il Duce decise di accostare il partito come canale aperto tra le masse e i centri decisionali del potere. Quest'opera di normalizzazione sembrò subire un arresto durante la riunione del Gran Consiglio del 12 febbraio: la decisione di Mussolini di nominare Farinacci segretario generale, potrebbe, infatti, dare un'idea di rottura. Secondo Pombeni, invece, questa nomina fu strumentale al progetto di trasformazione del Pnf: la necessità di disciplinare il partito comportò epurazioni interne che, data la presenza come segretario di un intransigente della prima ora, non furono lette come manovra imposta dall'esterno contro il vero fascismo17. Oltre a rendersi artefice di molte espulsioni, Farinacci dedicò grande attenzione alle organizzazioni giovanili e alla formazione ideologica degli iscritti al partito. Durante la segreteria Farinacci, il Pnf abbandonò definitivamente compiti e caratteristiche dei partiti tradizionali. Il quarto e ultimo Congresso (21-22 giugno 1926) rappresentò il tramonto del modello classico: le poche voci di dissenso vennero marginalizzate e la discussione duranti i lavori fu nulla18. La questione del rapporto partito/governo venne chiarita ulteriormente all'indomani del Congresso da Maurizio Maraviglia, attraverso un articolo pubblicato sulla rivista di regime «Gerarchia». L'ex nazionalista evidenziò il superamento della forma di partito tradizionale: Il fascismo, come il socialismo, fonda il proprio sistema sopra un valore etico, al quale corrisponde una realtà sociale: la nazione o la classe. Epperò, diventati governo, essi non sono un partito al governo, ma sono un regime nuovo. Fascismo e socialismo sono regimi, fin quando si muovono nel sistema democratico; ma quando hanno creato il proprio regime cessano di essere partiti19. Secondo Pombeni, questo clima portò alla liquidazione di Farinacci e alla radicale riforma del partito. La nuova fase del Pnf fu contrassegnata dall'avvento alla segreteria di Augusto Turati. Né leader riconosciuto né membro del nucleo storico fascista, Turati era un uomo di apparato, completamente debitore a Mussolini, e, 16 17 18 19 Ivi, pp. 79-88. Ivi, pp. 105-107. Ivi, p. 112. Ivi, p. 114. 6 proprio per questo motivo, affidabile per svolgere un compito importante: modificare definitivamente le finalità del partito, che dovevano passare dal piano politico e concreto a quello morale e simbolico20. Tra i vari provvedimenti, Turati pose fine all'autonomia decisionale delle singole sedi, canonizzando le prese di posizione della direzione centrale in un «Foglio d'ordini» 21. Le più importanti novità, che segnarono profondamente la differenza con il Pnf del 1921, furono adottate nello statuto introdotto nel 1926. Il preambolo del nuovo ordinamento del partito segna subito evidenti differenze con i partiti tradizionali: il fascismo viene descritto come «una fede che ha avuto i suoi confessori e nelle cui organizzazioni operano, come militanti, gli italiani nuovi, espressi dallo sforzo della guerra vittoriosa e della successiva lotta fra la Nazione e l'antinazione»22. Il modello organizzativo designato dal nuovo statuto ruotava intorno al mito militaristico e verticistico. Venne, di fatti, introdotto un nuovo concetto strutturale: prima del richiamo agli “organi”, vi era quello alle “gerarchie”. A partire dal 1926, inoltre, la struttura del partito subì un processo di forte personalizzazione: il ruolo del segretario divenne centrale nelle vicende del partito, mentre l'attività di base fu relegata ai margini, con la previsione di una solo assemblea annuale come momento di discussione collettiva23. Oltre ad una forte gerarchizzazione del potere, lo statuto del 1926 garantì al Pnf ampie sfere d'ingerenza nella vita sociale: il segretario federale doveva occuparsi sia delle attività economiche, culturali e sportive della provincia, sia dei collegamenti con senatori e deputati, organizzazioni sindacali e corporative, associazioni facenti capo al partito24. Il Pnf, in pratica, divenne fondamentale veicolo per tenere vivo il consenso delle masse verso l'azione di Governo25. Questo ruolo del Pnf venne ribadito dopo le elezioni del 1929, nelle quali il regime ottenne un successo ragguardevole e il Duce un'esaltazione sempre più massiccia. Nonostante il suo successo fosse molto legato alla sua persona, Mussolini si scagliò 20 21 22 23 24 25 Ivi, p. 132. Ivi, p. 134. Ivi, p. 135. Ivi, pp. 135-139. Ivi, p. 138. Ivi, p. 161. 7 contro chi prospettava l'eliminazione del partito, in quanto, a suo avviso, avrebbe significato «togliere al regime una forza spirituale per lasciargli solo le forze materiali»: più che esercitare un'autorità, esso esercita un apostolato […] è il partito con la massa dei suoi gregari che dà all'autorità dello Stato il consenso volontario o l'apporto incalcolabile di una fede. Ogni dualismo di autorità e di gerarchia è scomparso26. Nel 1929 venne anche pubblicato il nuovo statuto, che presentava alcune novità. In primis venne previsto un ampliamento degli organismi collegiali e delle forme di partecipazione, comunque vincolati al criterio di designazione e controllo dall'alto. Questo fenomeno è interessante da sottolineare perché destinato ad incrementare nel 1932 e nel 1938. Secondo P. Pombeni la logica dominante di questi ampliamenti fu quella di creare nuove opportunità per il carrierismo politico in una situazione bloccata per quanto riguardava il reale cambio della classe dirigente 27. Lo statuto del 1929 confermò, all'interno del Pnf, la fine della politica intesa come confronto e contesa tra forze concorrenti alla gestione della cosa pubblica e la gerarchizzazione del potere. In questo contesto si generarono i contrasti tra Turati e Mussolini - il primo chiese maggiori poteri all'interno del regime – che portarono che portarono all'avvento di Giuriati alla segreteria del Pnf28. P. Pombeni presenta Giuriati come una figura di trapasso, definendo la sua segreteria un intervallo senza storia 29. Secondo E. Gentile, invece, la gestione del partito di Giuriati è tutt'altro che trascurabile nella politica del Pnf. Lo storico sottolinea la creazione dei Fasci giovanili di combattimento, l'accentuazione della militarizzazione del partito, il forte contributo alla sacralizzazione della politica fascista, che portò all'apertura di un conflitto molto grave con la Chiesa per la questione dell'educazione dei giovani, la rivendicazione con energia della posizione politica attiva del partito nella vita del regime30. La segreteria Giuriati fu comunque abbastanza breve: venne sostituito l'8 dicembre 1931 da Starace. Il nuovo segretario continuò l'opera dei predecessori e trasformò 26 27 28 29 30 Ivi, p. 209. Ivi, pp. 215-217. Ivi, pp. 221-227. Ivi, p. 227. Cfr. E. Gentile, La via italiana al totalitarismo, cit., pp. 123-124. 8 definitivamente il partito in una macchina del consenso. La burocratizzazione e lo sviluppo organizzativo furono subito evidenti. Grande impulso trasse l'attività assistenziale, considerata progressivamente sempre più tipica del regime: il suo sviluppo mirava a creare un consenso impolitico. Difatti, questa attività assunse sempre maggior importanza all'interno del Pnf: col passare degli anni si istituzionalizzò, anche grazie all'Opera Nazionale Dopolavoro e alla Gioventù Italia del Littorio che stabilizzarono il quadro delle iniziative31. Queste operazioni assistenziali ricalcavano il modello tradizionale dei gruppi caritativi cattolici: il paternalismo del sistema, imperniato sulla certezza di un rapporto diretto e personale tra chi dava e riceveva, e soprattutto sulla visibilità sociale del dono nel momento della distribuzione, rispondeva all'obiettivo di personalizzare il consenso, che doveva andare a gloria del Duce e del partito fascista e non essere visto come un intervento obbligato dello Stato32. Come ulteriore momento di consolidazione del consenso, Starace creò gruppi di propagandisti che, ogni domenica, avevano il compito di illustrare nelle piazze d'Italia le realizzazioni e i successi del regime fascista guidato da Mussolini33. Difatti, durante la segreteria Starace ebbe grosso impulso la promozione del mito del Duce, considerato uomo eccezionale e irripetibile. Il culto di Mussolini ebbe importanza anche nel nuovo statuto del 1932. Per la prima volta, l'art. 1 poneva il partito agli ordini del Duce e al servizio dello Stato fascista, non più, quindi, al servizio della nazione, come gli statuti del 1921, 1926 e 192934. Lo statuto del 1932 confermò, come già detto, l'ampliamento dei posti di comando: secondo P. Pombeni la creazione di nuove cariche, anche in questo caso, rispondeva alla volontà di aumentare la possibilità di carriere interne al partito 35. Non si tratta quindi di un processo di democratizzazione del potere, anche perché allo stesso tempo veniva previsto un alto livello di accentramento di funzioni nelle singole cariche, rispondendo a quello che può essere definito modello “ducistico”36. Al partito venne confermata la gestione dello Stato sociale, ovvero di una cospicua parte dell'assistenza sociale, dell'attività mediatoria in tema di collocamento, della 31 32 33 34 35 36 Cfr. P. Pombeni, Demagogia e tirannide, cit., pp. 238-241. Ivi, p. 242. Ibidem. Ivi, p. 247. Ivi, pp. 249-251. Ivi, p. 250. 9 regolamentazione dei canali di assegnazione dei posti prodotti dalla funzione pubblica, della gestione di alcuni problemi sociali importanti per il consenso (questione dei prezzi, controllo del mercato degli affitti abitativi, gestione dei mass media, ecc.)37. Come risulta chiaro, il Pnf continuava a mantenere un ruolo importante e peculiare all'interno del potere fascista. Come affermava Mussolini: il partito oggi è lo strumento formidabile, e, al tempo stesso estremamente capillare, che immette il popolo nella vita politica generale dello Stato38. Durante il mandato Starace raggiunse momenti altissimi il ruolo del Pnf nell'organizzazione del consenso. Basti pensare alla giornata del 18 novembre 1935, con il partito regista ufficiale delle cerimonie per l'offerta di oro alla patria39. Nel 1938 il Pnf si diede un nuovo statuto, che confermava le linee di azione che si erano sviluppate negli anni Trenta: il Duce venne elevato a capo del Pnf, tra i compiti del partito venne prevista l'educazione politica degli italiani e la difesa ed il potenziamento della Rivoluzione Fascista, vennero ulteriormente ampliate struttura del partito e quantità dei posti di comando. Gli anni successivi, fino al 1943, videro susseguirsi alla segreteria del Pnf Muti, Serena, Vidussoni e Scorza. Nonostante ciò le attività del partito rimasero confinate entro il quadro tradizionale che comprendeva attività assistenziale, controllo dei prezzi, educazione politica. In questo periodo, di forte mobilitazione generale, venne anche riagitato il mito dello squadrismo, per rafforzare la posizione del regime nei confronti di monarchia e Chiesa40. Per concludere quest'analisi del lavoro di P. Pombeni, è necessario sottolineare quale fu, a suo avviso, il ruolo fondamentale che il Pnf svolse all'interno del regime fascista: fare del popolo uno spettatore politico. Concetto contrario a quello di democrazia, per il quale il popolo dovrebbe essere attore politico, protagonista attivo e non passivo. Il popolo nel fascismo sarà uno «spettatore che, assistendo alla riproposizione simbolica di un presunto “fatto supremo” ed assentendo a questa 37 38 39 40 Ivi, p. 261. Ivi, p. 263. Ivi, pp. 285-286. Ivi, pp. 319-321. 10 rappresentazione, dà forza e sostiene la concentrazione del potere» nel Duce 41. 3. Il Pnf nel totalitarismo fascista Secondo E. Gentile, uno dei maggiori errori fatti dalla storiografia nell'analisi del Pnf riguarda l'applicazione di categorie di giudizio che si identificano con i valori del pensiero liberale. A suo avviso, infatti, se si fa riferimento ad un'idea della politica come “libera attività e libero dibattito”, è innegabile che il Pnf non abbia desiderato e promosso la partecipazione e la politicizzazione delle masse. In realtà, invece, il fascismo elaborò un proprio ideale di “politicizzazione” delle masse, perseguendone la realizzazione attraverso forme di “partecipazione” collettiva conformi alla sua concezione totalitaria della politica e alla sua visione dell'uomo e delle masse nella società moderna42. Quindi, per E. Gentile, il ruolo del partito fascista nel regime non va valutato come conseguenza di una “depoliticizzazione”, bensì come effetto e sviluppo della sua originaria formazione storica, in quanto partito-milizia, ideologia totalitaria e religione politica, che riconosceva allo Stato il valore e la funzione di un assoluto al quale gli individui dovevano incondizionata fede e dedizione totale43. L'interpretazione del rapporto tra partito, Stato e Duce data da E. Gentile ha origine dalla constatazione di due fatti importanti: il fascismo è stato il primo partito-milizia capace di conquistare il potere in una democrazia liberale con il proposito di distruggerla e di organizzare in modo totalitario la società, subordinandola al controllo del partito unico e integrandola nello Stato; il fascismo è stato il primo movimento politico del XX secolo a portare il pensiero mitico al potere, istituzionalizzandolo nel culto, nei riti e nei simboli propri di una religione politica44. Mito e organizzazione furono le componenti essenziali e complementari della politica di massa del fascismo e del suo sistema politico. Fin dalle origini, il fascismo fu consapevole dell'importanza del mito nella politica di massa: il mito venne considerato un potente fattore per la mobilitazione e la coesione delle masse – come da lezione di Sorel e Le Bon. Il 5 luglio 1922, il «Popolo d'Italia» sosteneva la 41 42 43 44 Ivi, p. 460. Cfr. E. Gentile, La via italiana al totalitarismo, cit., pp. 124-125. Ivi, p. 129. Ivi, pp. 136-137. 11 necessità per un partito di avere un mito «per cui appaia supremamente bello e necessario vivere e anche morire»45. Il fascismo nacque, quindi, come organizzazione fondata sul mito della nazione per realizzare nuovi miti di grandezza e di potenza. Sin da subito assunse il carattere di partito-milizia, organizzando i suoi aderenti nello squadrismo e introducendo la militarizzazione della politica attraverso disciplina militare e metodi e atteggiamenti da stato di guerra. La trasformazione dei Fasci di combattimento in Partito Nazionale Fascista fu voluta da Mussolini, il quale intendeva dare all'eterogenea massa di fascisti libertari la stabilità di un'organizzazione basata su ordine, gerarchia e disciplina46. Con la trasformazione, il Pnf accolse al suo interno lo squadrismo e migliorò la sua struttura politico-militare, attraverso una coordinazione unitaria della direzione centrale, del gruppo parlamentare e dello squadrismo stesso. Anche per questo motivo, si deve parlare di un partito molto diverso rispetto ai partiti di massa tradizionali, un partito che agiva apertamente in una democrazia liberale, disprezzando le sue leggi e utilizzando le sue istituzioni per distruggerla47. Da notare quindi l'opposta interpretazione di Pombeni e Gentile sul partito fascista del 1921. Come abbiamo visto, infatti, il primo ritiene il Pnf delle origini molto simile al partito moderno tradizionale. Gentile sottolinea invece le differenze e mette in risalto l'importanza che in questa fase ebbe il mito della nazione: Noi abbiamo creato il nostro mito. Il mito è una fede, è una passione. Il nostro mito è la nazione, il nostro mito è la grandezza della nazione! E a questo mito, a questa grandezza, che noi vogliamo tradurre in una realtà completa, noi subordiniamo tutto il resto48. Il mito della nazione abbracciò tutti gli aspetti del fascismo delle origini, cultura e ideologia, concezione dell'individuo e delle masse, rapporti tra Stato e società. Ciò risultò chiaro anche nei primi mesi del governo Mussolini: la liturgia fascista del periodo iniziale fu impregnata di simbolismi e riti per enfatizzare il culto della patria. Il governo fascista da subito volle dare solennità ai festeggiamenti degli eventi nazionali, prescrivendo ai comuni l'obbligo di stanziare nei propri bilanci le spese occorrenti per festeggiarli al meglio. Nel 1923 fu resa obbligatoria l'esposizione della 45 46 47 48 Ivi, pp. 137-138. Ivi, p. 163. Ivi, p. 164. Cit. in E. Gentile, La grande Italia, Laterza, Bari 2011, p. 162 12 bandiera per gli uffici pubblici in occasione di feste o di lutto, nonché l'obbligo del rito del saluto al tricolore nelle scuole accompagnato da canti corali di inni patriottici. In questi anni si assisté a molte sagre della bandiera, promosse da forze armate, associazioni di combattenti, fascisti. Piazze e monumenti diventarono spazi sacri dove una massa liturgica celebrava periodicamente i riti della patria49. Il principale mito fondativo della nazione fu il mito della Grande Guerra, che venne idealizzata come un'epopea di eroismo e martirio in nome della nazione. Nella sua prima riunione dopo il 28 ottobre, su proposta del presidente, il governo fascista deliberò di celebrare con grande solennità il 4 novembre. Il 3 novembre 1922 fu pubblicato un decreto che elevava «a dignità di monumenti nazionali le località dei nostri campi di battaglia che più sono legati alla storia per immortali fasti di eroismo e di sacrificio […] capisaldi sacri all'epica lotta», capaci di «riassumere in sé la visione genuina della guerra, di compendiarne le fattezze eroiche, di incarnarne il tormento, il sacrificio e l'apoteosi»50. L'immagine della resurrezione legata al culto della Grande Guerra acquistò un particolare significato nel mito della Grande Guerra, diventando mito di fondazione nell'universo simbolico fascista51: Le radiose giornate [della Grande Guerra] divennero l'origine e la prima affermazione di quella volontà rivoluzionaria che doveva condurre allo spodestamento del vecchio regime e all'avvento al potere della nuova generazione52. Nonostante il Pnf fosse divenuto partito di governo, i due anni successivi alla marcia su Roma furono un periodo molto difficile. Ci furono scissioni e scontri violenti tra vecchi e nuovi fascisti, tra moderati ed estremisti, tra fautori della normalizzazione e sostenitori della seconda ondata rivoluzionaria53. L'istituzione del Gran Consiglio esautorò gli organi dirigenti democraticamente eletti ed avviò il travagliato processo di subordinazione del partito al governo; allo stesso tempo, l'istituzione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, alle dirette dipendenze del capo del governo, decretò la fine dello squadrismo come forma di organizzazione inscindibile dall'organizzazione politica54. 49 50 51 52 53 54 Cfr. E. Gentile, Il culto del littorio, Laterza, Bari 2009, pp. 59-63 Ivi, p.67 Ivi, p. 68 Ivi, p. 72 Cfr. E. Gentile, La via italiana al totalitarismo, cit., p. 167. Ibidem. 13 Questo processo di riforma del partito non impedì al fascismo delle origini di essere determinante durante la crisi Matteotti: la corrente di Farinacci e lo squadrismo riuscirono a trionfare, anche se temporaneamente. Divenuto segretario unico nel febbraio 1925, Farinacci segnò una svolta importante nella vita organizzativa e politica del Pnf, costruendo l'unità del partito, riducendo i conflitti interni e riconducendo l'organizzazione ad una generale omogeneità di atteggiamenti. Oltre a queste novità organizzative, Farinacci provò a fare del Pnf un centro propulsore per la costruzione dello Stato fascista in completa autonomia rispetto al governo. Questo progetto fallì, a causa dell'ostilità di Mussolini55. E, paradossalmente, fu la premessa per la metamorfosi definitiva del Pnf: negli anni successivi il partito fu subordinato al governo e venne inquadrato all'interno dello Stato56. Con lo statuto del 1926 il Pnf venne subordinato al Duce e alle direttive del Gran Consiglio che, a partire dal 1928, divenne contemporaneamente organo costituzionale dello Stato e organo supremo del partito. Il 14 settembre 1929 il partito fascista venne definito da Mussolini come «organizzazione capillare del regime» che «più che un'autorità, esercita un apostolato»57. Per concludere, come già detto, lo statuto del 1932 sancì la sistemazione del partito nello Stato fascista58. Con la subordinazione del partito allo Stato Mussolini riuscì a sottomettere definitivamente il Pnf ai suoi ordini, privandolo di autonomia e volontà politica. Secondo E. Gentile, è errata la tesi per la quale questa fase rappresenti la fine del partito59. La subordinazione non impedì di esercitare un ruolo attivo nella vita del regime. Semplicemente il partito ebbe un nuovo ruolo all'interno dello Stato, assumendo principalmente la funzione di apostolato. Difatti il Pnf divenne il principale artefice della sacralizzazione della politica e dell'evoluzione del regime di partito verso il cesarismo totalitario imperniato sul mito di Mussolini. 55 56 57 58 59 Ivi, pp. 168-170. Ivi, p. 170. Ivi, p. 173. Ivi, p. 174. Ivi, p. 175. 14 Cercando di mantenere un filo logico, è necessario ricordare che, dopo la segreteria Farinacci, alla guida del partito si avvicendarono per periodi differenti Turati, Giuriati, Starace, Muti, Serena, Vidussoni, Scorza. Turati fu il liquidatore dell'idea farinacciana di partito come centro propulsore per la costruzione dello Stato fascista in completa autonomia rispetto al governo. Con la sua segreteria il partito assunse un compito eminentemente educativo sia verso le masse che, soprattutto, verso le nuove generazioni. Il Pnf di Turati, in linea con le direttive di Mussolini, assecondò le opere del governo concentrandosi sulla formazione della classe dirigente fascista del futuro. Con Turati il partito si ritagliò un'altra importante funzione: il controllo politico delle istituzioni economiche e sociali del regime60. Oltre a quanto già detto, Turati ha un'importanza particolare nella storia del Pnf perché fu il primo a porre le fondamenta per il culto del Duce, esaltando Mussolini in quanto capo e guida suprema del fascismo, nonché in quanto unico depositario della volontà politica. La posizione di capo indiscusso del fascismo cominciò a essere codificata dal 1926, quando Mussolini venne collocato al vertice della gerarchia del Pnf quale “guida suprema”. Successivamente, nello statuto del 1932, il duce venne innalzato al di sopra e collocato al di fuori della gerarchia, mentre in quello del 1938 fu formalmente definito “Capo del Pnf”. Nel 1938 fu pubblicato dal PNF il nuovo catechismo di dottrina fascista, nel quale il duce veniva definito «creatore del fascismo, rinnovatore della società civile, Capo del popolo italiano, fondatore dell'Impero»61. Con l'affermazione del mito, l'esaltazione del Duce divenne una delle attività preminenti della propaganda fascista, anche dopo la segreteria Turati. La glorificazione di Mussolini assurto a Dio, divenne un aspetto predominante nell'educazione delle nuove generazioni. «Il Breviario dell'Avanguardista», per esempio, recitava, in riferimento a Mussolini: «Tu non sei, Avanguardista, se non perché prima di te, con te e dopo di te, Egli e soltanto Egli è»62. Mussolini appariva come il grande capo fondatore di una nuova civiltà e plasmatore del popolo italiano. Giovanni Gentile lo considerava «un eroe, uno spirito privilegiato 60 Ivi, p. 184. 61 Cfr. E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 239-240. 62 Ivi, p. 243. 15 e provvidenziale, in cui il pensiero s'è incarnato e vibra incessantemente col ritmo potente di una vita giovanile e in pieno rigoglio»63. Per capire quanta spontaneità ci fosse in questo mito e nel suo culto, basterebbe consultare i diari di alcuni gerarchi che, nonostante controllassero e manovrassero la macchina totalitaria e fossero a conoscenza degli artefici della propaganda, risultavano ammaliati dalla figura del Duce. In merito è esemplare un passaggio delle memorie di Cianetti64 che ricorda l'entusiasmo che lo travolse allorquando, dopo cocenti delusioni, Mussolini lo promosse ministro delle Corporazioni: Sono un Ministro di Mussolini, sono al fianco di una grande figura della Storia, di un autentico creatore di Storia. Lo ho amato tanto quest'uomo affascinante, e certamente lo amo ancora. In ventuno anni non sono mancate le delusioni, ma la vita non è fatta di soli fiori e profumi. […] è pur sempre un grande uomo al quale si offre volentieri la miglior parte di sé stessi65. Secondo A. Tarquini, fra tutti i miti che alimentarono l'ideologia fascista, il mito di 63 Ivi, p. 246 64 Tullio Cianetti (Assisi, 20 luglio 1899 – Mozambico, 7 agosto 1976): partecipò alla Grande Guerra e rimase nell'esercito fino al 23 marzo 1921. Congedato, trovò impiego come istruttore presso il convitto nazionale "Principe di Napoli" di Assisi. Intanto inizio la sua attività nel movimento fascista: già iscritto al sindacato magistrale, il 10 aprile 1921 era tra i fondatori del fascio di Assisi, del quale divenne segretario politico l'anno successivo. Il 29 agosto 1922, dopo il congresso del fascismo umbro di Foligno, passò al settore sindacale, all'interno del quale ricoprì diverse cariche fino a diventare segretario regionale dei sindacati fascisti. Il 1931 segnò un salto nella sua carriera: il 18 febbraio veniva nominato commissario della Federazione nazionale dei sindacati dell'industria del vetro e della ceramica. Il 22 aprile 1933, un giorno dopo la firma di un secondo accordo nel settore marmifero per una nuova riduzione salariale del 12%, il C. passò a dirigere i sindacati industriali di Torino: fu questa l'esperienza che gli aprì la strada alla carica di presidente della Confederazione nazionale sindacati fascisti italiani, il 15 gennaio 1934. In tale veste, mentre intraprendeva un'opera di riorganizzazione di alcune corporazioni, il pericolo di burocratizzazione e il carrierismo dei giovani firmò il 26 aprile 1934 un accordo con la Confindustria che prevedeva una ulteriore riduzione del 7% dei salari. Questa sua sostanziale fedeltà alle direttive emanate dalle alte gerarchie del regime gli permise di continuare l'ascesa: già vicepresidente dell'Istituto di previdenza sociale, e dell'Istituto nazionale fascista per l'assistenza e per gli infortuni sul lavoro, membro del Consiglio di amministrazione del Banco di Roma, dopo essere entrato grazie al "plebiscito" del marzo 1934 nel Parlamento, il C. venne nominato il 7 novembre dello stesso anno membro del Gran Consiglio dei fascismo, carica che ricoprì fino al processo di Verona. Nel 1935, ancora presidente della C.N.S.F.I., rappresentò i sindacati fascisti alla Conferenza internazionale dei lavoro di Ginevra. Poi, dopo una serie di viaggi all'estero (Inghilterra, incontro con gli. emigrati., 1937; Iugoslavia, Romania, Germania, visite di Stato, 1939) il 21 luglio 1939 venne nominato sottosegretario di Stato al ministero delle Corporazioni, fino al 19 aprile 1943, quando assunse l'incarico ministeriale. Giunto ormai al culmine della carriera, negli anni '35-'43, il C. abbandonò quasi dei tutto ogni contestazione sul terreno specificatamente sindacale, per collocarsi sul piano politico generale lungo due direttrici principali: un maggiore intervento statale nell'economia, sulla base di quello che egli definiva, in polemica con gli "utopismi" liberale e comunista, "realismo corporativo"; una politica estera di carattere oltranzista e bellicista, intesa come strumento di "emancipazione" della "grande proletaria”. Scoppiata la Seconda guerra mondiale, il C. si mostrò interventista: il conflitto mondiale era per lui "una guerra di popolo", "essenzialmente rivoluzionaria, e la più importante manifestazione di lotta per la giustizia sociale sul piano internazionale". Il 25 luglio 1943, coinvolto nelle manovre di Grandi, il C. ne votò il 25 luglio la mozione. Finita la seduta, scrisse una lettera a Mussolini, nella quale dichiarava il suo pentimento e il ritiro del suo voto. Grazie a questo suo gesto, arrestato nell'ottobre del '43 dai repubblichini, riuscì ad evitare al processo di Verona la fucilazione, e venne condannato, unico degli imputati, a trenta anni di galera. Fonte: Dizionario biografico degli italiani. 65 Cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 248. 16 Mussolini fu in assoluto il più importante perché, a differenza degli altri, fu un mito vivente66. Sicuramente fu il mito più popolare, quello più diffuso tra le masse. Nonostante ciò, come detto, il mito del Duce non fu contemporaneo alla nascita del fascismo, ma iniziò a prendere forma grazie a Turati. Inizialmente, infatti, la sua autorità all'interno dei Fasci di combattimento non era pienamente riconosciuta e la base fascista riconosceva D'Annunzio quale duce e guida suprema. Con la trasformazione del movimento in Partito Nazionale Fascista, Mussolini venne riconosciuto come capo, soprattutto perché considerato dai vari gerarchi provinciali come il dirigente più prestigioso nonché l'unico capace di tenere unito il fascismo delle origini, formato da vari potentati locali. Nonostante ciò Mussolini non poteva esercitare un'autorità indiscussa: basti pensare all'articolo scritto da Curzio Malaparte il 28 dicembre 1924 in «La conquista dello Stato», intitolato Tutti devono obbedire, anche Mussolini, al monito del fascismo integrale. L'affermazione della posizione e del mito di Mussolini furono favorite dallo scontro tra le varie fazioni del fascismo: in questo scenario il romagnolo rappresentava l'unica fonte di potere riconosciuta e capace di mediazione tra le varie parti. Il mito del Duce ebbe due sfumature diverse, da una parte vi fu quello della gente comune, dall'altra quello degli uomini del partito. In entrambi i casi, comunque, vi fu un sentimento di fondo essenzialmente religioso. Alla gente comune Mussolini appariva come un capo di governo nuovo, energico, giovane e sincero. Da una parte era colui che aveva salvato l'Italia dal bolscevismo, dall'altra era il figlio del popolo diventando capo del governo senza rinnegare, anzi ostentando, le sue origini. Era circondato da una fiducia illimitata, perché in lui il popolo vedeva l'uomo in grado di mettere fine alle ingiustizie, perché veniva visto come l'interprete della volontà del popolo, come la massima espressione del popolo: il popolo italiano sente -sentimento oscuro ma infallibile, come tutte le grandi emozioni collettive- che Mussolini è la sua più pura espressione. In Lui si assommano quelle che sono le caratteristiche virtù della nostra razza mirabile. Egli è l'anima, la voce, la coscienza del nostro popolo. La folla ascoltandolo comprende confusamente questo, e il suo applauso è grido di gioia per aver trovato un tale interprete del suo sentimento profondo67. Il mito di Mussolini tra la gente comune risulta evidente se si pensa che il Duce non 66 A. Tarquini, Storia della cultura fascista, Il Mulino, Bologna 2011, p. 109. 67 Cit. in R. De Felice - L. Goglia, Mussolini. Il mito, Laterza, Bari 1983, p. 223. 17 veniva mai coinvolto nelle critiche al regime o ai gerarchi. In un popolo dai forti sentimenti religiosi, un avvenimento come la Conciliazione ebbe sicuramente un grosso rilievo per far identificare veramente il Duce quale uomo della Provvidenza. Secondo E. Gentile, la gente comune vedeva in Mussolini una specie di semidio o di un mortale dotato di poteri straordinari, quasi divini, ma fisicamente vicino alle masse, continuamente in contatto con esse, prossimo alla loro anima e interprete delle loro aspirazioni; un grande uomo di Stato che meditava sulle sorti del mondo e vegliava sul destino d'Italia, che voleva grande e potente, ma nello stesso tempo curava come un padre amorevole la sorte di tutti i suoi figli. Ciò risultò possibile solo grazie alla macchina del consenso messa in funzione dal Pnf. Anche all'interno dello stesso partito fascista, dopo essere emerso, il mito del duce divenne una componente fondamentale dell'ideologia. Mussolini iniziò ad apparire come una persona dalla personalità smisurata e dotato di genialità, come un creatore di storia, come l'unico capace di garantire grandezza e successi all'Italia. I gerarchi della prima generazione di fascisti nutrivano sentimento di riconoscenza per essere riusciti a emergere dalla prospettiva di una vita anonima, le nuove generazioni venivano travolte dal fascino del Duce. Come già accennato, Turati fu succeduto da Giuriati. Nonostante il breve periodo della sua segreteria, Gentile ritiene il suo mandato tutt'altro che irrilevante. Giuriati proseguì sulle linee guida del mandato del suo predecessore, cercando di preservare la presenza attiva del partito all'interno del regime. Egli diede un contributo fondamentale per l'opera di fascistizzazione delle nuove generazioni, attraverso la creazione dei Fasci giovanili di combattimento, organizzazione per i giovani dai 18 ai 20 anni. Durante la sua segreteria vennero accentuati la militarizzazione della vita interna al partito e, soprattutto, il carattere di istituzione laico-religiosa. Per Giuriati, il fascismo doveva essere la religione civile della patria: il partito avrebbe dovuto dedicarsi alla formazione di una coscienza fascista contrastando l'influenza della Chiesa cattolica. Non solo, come scrisse nel 1931 Scorza, allora segretario dei Fasci giovanili, il Pnf di Giuriati doveva trarre insegnamento dalla «più grande e saggia maestra che la storia rammenti: la Chiesa Cattolica»: non quella dei poveri e umili santi, ma «quella degli imperituri pilastri, dei grandi Santi, dei grandi Pontefici, dei 18 grandi Vescovi, dei grandi Missionari: politici e guerrieri che impugnavano la spada come la croce e usavano indifferentemente il rogo e la scomunica, la tortura e il veleno […] in funzione della potenza e della gloria della Chiesa»68. Il fascismo infatti incorporò al suo interno tradizioni, miti, riti e liturgie della religione cattolica, trasformati e adattati al proprio universo mitico e simbolico: come afferma il tedesco Mosse, il fascismo si fondò su una solida base di religiosità popolare preesistente69. Nella elaborazione della sua liturgia e della sua mitologia il fascismo assimilò i materiali che riteneva utili per sviluppare il proprio bagaglio di simboli e di riti, incorporando disinvoltamente tradizioni rituali cattoliche. Per esempio, dalla liturgia cattolica venne ripreso il rito della leva fascista istituita nel 1927, vero e proprio rito di passaggio, simile alla cresima della Chiesa, con cui i giovani che provenivano dall'organizzazione delle Avanguardie venivano consacrati fascisti, entrando a far parte del PNF70. Ancor di più, le sedi locali del PNF, le case del Fascio, venivano considerate «le chiese della nostra fede, gli altari della religione della Patria, dove coltiveremo il religioso ricordo dei nostri morti e opereremo a purificare l'anima»71; esse, inoltre, proprio come le chiese cattoliche, dovevano essere dotate di una torre littoria munita di campane, da suonare in occasione dei riti fascisti72. Secondo G. L. Mosse, i miti e simboli dei fascismi venivano sovrapposti a quelli della religione cristiana, sia per quanto riguarda la scansione dei riti e delle cerimonie pubbliche sia per il richiamo alla dottrina apocalittica e millenaristica, richiamo proprio anche del fascismo73. Se, come detto, con Turati e Giuriati, le manifestazioni del Pnf assunsero formalmente il carattere di riti civili che dovevano manifestare e perpetuare nella coscienza degli italiani la fede fascista, Starace continuò e perfezionò l'opera avviata dai suoi predecessori. Con una vera e propria mania per quello che doveva essere lo “stile fascista”, essenziale per il carattere del Pnf e per la nuova politicità dello Stato 68 69 70 71 72 73 Cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 109. G. L. Mosse, Il fascismo. Verso una teoria generale, Laterza, Bari 1996, p. 21. Cfr. E. Gentile, Fascismo. Storia e interpretazioni, p. 221. Ivi, p. 222. Ibidem. G. L. Mosse, Il fascismo, p. 21. 19 fascista in costruzione, Starace moltiplicò le forme della liturgia fascista: istituì il sabato fascista, che doveva servire a formare i nuovi italiani dal punto di vista fisico, militare e ideologico, attraverso manifestazioni sportive, esercitazioni militari, conferenze politiche; precisò meticolosamente i modi di comportamento del fascista nella vita quotidiana e l'uso delle uniformi nella vita di partito; diede grandissima importanza alle parate e alle manifestazioni sportive di massa74. Durante le segreterie Turati, Giuriati e Starace il Pnf ebbe anche un ulteriore ruolo importante all'interno del regime, come già sottolineato: controllare in modo diretto tutte le organizzazioni di massa del fascismo, in primis sindacati e corporazioni 75. Nell'Italia degli anni Trenta i rappresentanti del partito si trovavano ovunque, dagli organi centrali dello Stato agli organi provinciali, dal Consiglio Superiore della Scuola al Consiglio Superiore della Sanità, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche alle commissioni per i premi letterari, dalle commissioni per la vigilanza sul mercato all'ingrosso dei pesci e del grano ai comitati per il turismo e per le ferie76. Il partito portò avanti anche una politica di espansione, con annessione a danno di altri potentati del regime. Tra il 1926 e il 1927 l'Opera Nazionale Dopolavoro fu incorporata nel Pnf, per volere di Turati: fu una conquista molto importante perché l'OND rappresentava il più potente strumento di penetrazione fra le masse lavoratrici77. L'altra annessione di grande rilievo fu quella dell'Opera Nazionale Balilla, sottratta al ministero dell'Educazione nazionale per volontà di Starace. Incorporata nel 1937, l'ONB garantiva al partito il monopolio dell'educazione delle nuove generazioni, ruolo ambito e considerato fondamentale per il Pnf78. L'obiettivo del partito fascista, quindi, era quello di occupare tutti gli spazi possibili nella società. Sotto questo punto di vista, le riforme della fine degli anni Trenta sancirono un enorme successo: nel 1938 il Pnf venne designato partito unico del Regime con il doppio compito di difendere e potenziare la rivoluzione fascista e di educare politicamente gli italiani; nel 1939 venne istituita la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, in sostituzione della Camera dei deputati, formata dal Consiglio 74 75 76 77 78 Cfr. E. Gentile, La via italiana al totalitarismo, cit., pp. 185-186. Ivi, p. 188. Ivi, p. 191. Ivi, p. 189. Ivi, pp. 189-190. 20 nazionale del Pnf e dal Consiglio nazionale delle Corporazioni79. Nel novembre 1939, Starace venne sostituito da Muti alla segreteria del Pnf. Dopo anni di staracismo, al nuovo segretario spettava il compito di rinnovare il partito, rendendolo meno burocratico e meno invadente. L'azione di Muti partì all'insegna del principio del decentramento e dello snellimento del Pnf: vennero staccate dal diretto controllo del partito l'Ond, il Coni e le associazioni d'arma80. La gestione Muti fu comunque breve. Secondo Mussolini e le più alte gerarchie del regime la sua politica non poteva essere adatta durante la fase bellica. Allo stesso tempo, dopo l'entrata dell'Italia in guerra Muti chiese di essere richiamato nei quadri dell'aviazione81. Per sostituire Muti, nell'ottobre 1940 si scelse Serena, ex collaboratore di Starace nella conduzione generale del partito. Il peso che ricadeva sulle spalle del nuovo segretario era particolarmente gravoso: Serena assumeva la guida di un partito decimato dalla guerra, con tantissimi quadri richiamati alle armi. La carenza di quadri validi e la presenza di inetti in posizioni di comando indeboliva il potere del Pnf nelle province. E questo indebolimento si rifletteva sull'insofferenza delle masse verso le iniziative del partito82. E. Gentile considera la segreteria Serena molto importante nella storia del Pnf, per alcune sue importanti iniziative che rafforzarono la posizione del partito nei confronti dello Stato83. Consapevole del cattivo stato di salute del partito, infatti, Serena si dedicò ad un'opera di riordinamento e riorganizzazione. Se decentramento e snellimento erano stati l'insegna politica della segreteria Muti, coordinamento e potenziamento furono l'insegna politica della segreteria Serena. L'obiettivo era riaffermare sia il ruolo preminente del Pnf nel regime sia la stretta collaborazione tra partito e istituzioni di governo84. Il 6 giugno 1941 Serena istituì il Servizio organizzazione capillare con lo scopo di intensificare l'attività in ogni settore e di realizzare contatti sempre più profondi e continui con le masse popolari. Serena contava molto sull'organizzazione capillare da 79 80 81 82 83 84 Ivi, p. 193. Ivi, p. 230. Ivi, p. 231. Ivi, pp. 234-237. Ivi, p. 229. Ivi, pp. 246-247. 21 una parte per rianimare l'attività del partito e per scuotere l'apatia della gente verso la politica e la vita del Pnf, dall'altra per formare e selezionare gli elementi validi da impiegare nell'organizzazione del partito85. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, Serena, a differenza di Starace, si mostrò molto sensibile alla funzione culturale del partito e al problema della mobilitazione politica della cultura86. Altra novità del mandato Serena fu l'applicazione del principio del coordinamento funzionale: fissare collegamenti stabili tra organizzazioni del partito e istituzioni del governo. Questo principio venne applicato principalmente nelle organizzazioni giovanili, con collegamenti con settori dell'educazione, della sanità e dell'istruzione premilitare87. Nel 1941 la segreteria Serena adottò 31 provvedimenti, considerati molto importanti da E. Gentile in quanto concepiti e realizzati secondo un organico disegno politico che mirava esplicitamente a rafforzare la posizione del partito nello Stato88. Per tutte queste ragioni, molti giovani fascisti videro con Serena il rilancio dell'attività totalitaria e rivoluzionaria del partito89. Per concludere il discorso sull'interpretazione che Gentile dà al Pnf e al suo ruolo all'interno del regime, è necessario sottolineare le molteplici funzioni assunte durante il ventennio fascista: funzione di controllo, di inquadramento, di educazione politica, di selezione della classe dirigente, di fascistizzazione delle masse. Per questi motivi, E. Gentile ritiene che, nonostante fosse stato svuotato di autonomia e potere, il Pnf ebbe una funzione essenziale e decisiva nella logica del totalitarismo fascista 90. 85 86 87 88 89 90 Ivi, pp. 247-249. Ivi, p. 253. Ivi, p. 250. Ivi, pp. 264-267. Ivi, pp. 280-281. Ivi, pp. 193-194. 22 4. Bibliografia R. De Felice - L. Goglia, Mussolini. Il mito, Laterza, Bari 1983. E. Gentile, Il culto del littorio, Laterza, Bari 2009. E. Gentile, La grande Italia, Laterza, Bari 2011. E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista, Carocci, Roma 2008. G. L. Mosse, Il fascismo. Verso una teoria generale, Laterza, Bari 1996. P. Pombeni, Demagogia e tirannide. Uno studio sulla forma-partito del fascismo, Mulino, Bologna 1984. P. Pombeni, Il partito fascista, in A. Del Boca, M. Legnani, M. G. Rossi, a cura di, Il regime fascista. Storia e storiografia, Laterza, Roma 1995, pp. 203-219. A. Tarquini, Storia della cultura fascista, Il Mulino, Bologna 2011. 23