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LE RADICI DAOISTE DEL GIARDINO TRADIZIONALE CINESE

Short paper on Chinese garden's Daoist roots

LE RADICI DAOISTE DEL GIARDINO TRADIZIONALE CINESE Maurizio Paolillo Bannissez des jardins tout cet amas confus […], ces bâtiments Romains, Grecs, Arabes, Chinois, chaos d’architecture, et sans but, et sans choix, dont la profusion stérilment féconde enferme en un jardin les quatre parts du monde. 1 Si è spesso affermato che il Daoismo ha determinato «l’amore dei cinesi per la natura»: uno dei tanti stereotipi di cui l’Occidente si è nutrito fino allo stordimento, nel suo incontro-scontro con la realtà cinese. È indubbiamente vero che il mondo naturale, con la sua fertile ciclicità ininterrotta, ha costituito una importante immagine di riferimento nella dottrina e nelle fonti daoiste, in particolare attraverso i suoi riferimenti all’«eterno femminino» come fonte di sapienza (basti pensare ai riferimenti alla «Madre» presenti in testi classici come il Laozi). Si tratta di un elemento certo non assente anche nel mondo culturale mediterraneo. Ma è necessario astenersi dalle astrazioni, per centrare l’attenzione sugli ambiti specifici in cui questa attenzione per gli elementi naturali si è storicamente espressa. Uno di questi ambiti è indubbiamente quella «riproduzione significativa» del paesaggio, le cui manifestazioni sono abitualmente definite a partire dalla fine della dinastia Tang (618-907) come «giardino del letterato» (wenren yuanlin) 2. Per avere un quadro più chiaro, dobbiamo però risalire al periodo formativo della civiltà cinese. Il giardino cinese tradizionale affonda le proprie radici nelle antiche riserve (you) dei sovrani feudali dei Regni Combattenti (V-III sec. a.C.), e dei primi imperatori: la più nota è la Suprema Foresta (Shanglin), una grande area naturale di circa 300 chilometri quadrati, creata dal primo imperatore, Qin Shi Huangdi (r. 221-209 a.C.), nel territorio circostante la capitale dell’impero, Xianyang. La topografia del sito e l’architettura 1 2 Delille 1792, 65. Paolillo 1996. 21 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Maurizio Paolillo in esso presente erano destinate a riprodurre le configurazioni celesti: un aspetto evidente anche nella tomba del sovrano, in cui «si crearono con del mercurio i cento corsi d’acqua […] e il vasto mare […]. In alto erano tutti i segni del Cielo, in basso le venature della Terra» 3. Il fiume Wei, che passava attraverso il parco, era una immagine terrestre della Via Lattea, e anche l’imponente Palazzo Abang rimandava a una simbologia celeste: Nel trentacinquesimo anno [di regno del sovrano: 212 a.C.] […], si intraprese la costruzione di un palazzo per le udienze, a sud del fiume Wei, in mezzo al Parco della Suprema Foresta. Si cominciò a costruire la sala anteriore, presso la capitale: misurava cinquecento passi da est a ovest, cinquanta zhang [un zhang misurava circa 3 metri] da sud a nord. In alto, ci si poteva far sedere diecimila uomini; in basso, era possibile erigere stendardi di cinque zhang […]. A partire dalla parte bassa del padiglione, si procedeva in linea retta sino alle montagne meridionali […]. Si costruì un passaggio coperto che, partendo dal [Palazzo] Abang, attraversava il fiume Wei e si ricongiungeva a Xianyang, simboleggiando il cammino sospeso di Tianji, che attraversa la Via Lattea giungendo alla costellazione Yingzhe. 4 Il Parco Shanglin, in cui già si trovavano i quattro elementi fondamentali del giardino cinese (vegetazione, acque, rocce e architettura), fu mantenuto dai sovrani Han, trovando nel poeta di corte Sima Xiangru il suo cantore: egli compose, verso il 137 a.C., il poema Shanglin fu (Rapsodia della Suprema Foresta), una elaborata e barocca composizione nello stile del tempo, in cui il parco è descritto come una replica dell’universo, in cui si ritrovano tutte le ricchezze della natura. Il tema del microcosmo del letterato è ancora di là da venire: Volgendo intorno lo sguardo, ovunque osservando, si scorge una tale ricca profusione, una così vasta visione, che si diventa storditi e confusi. Osservalo, ed esso non ha inizio; esaminalo, ed esso non ha fine. 5 L’imperatore Wu degli Han, durante il cui regno (141-87 a.C.) fu composto questo poema, fu un infaticabile costruttore. Sotto di lui furono create imponenti strutture architettoniche, in un periodo in cui ben due terzi dell’area della capitale Chang’an erano occupati dai palazzi di corte. Questa frenesia edificativa sembra essere stata influenzata dalle descrizio3 4 5 Sima Qian 1982, 265. Ibidem. Shanglin fu, in Knechtges 1982, 86-87. 22 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Le radici daoiste del giardino tradizionale cinese ni delle isole degli Immortali, che il sovrano volle fossero riprodotte nei suoi giardini. L’antichità cinese testimonia, sin dalle più antiche iscrizioni su bronzo dell’VIII secolo a.C., l’attenzione per uno stato di longevità, definito con termini quali busi, «non morire». Probabilmente tale condizione era già all’epoca un obiettivo di pratiche di natura macrobiotica, centrate sull’assunzione di sostanze minerali o vegetali. Non del tutto a proposito, la figura dell’Immortale (xian) fu associata esclusivamente al perseguimento di tali pratiche. Il tema degli Immortali si sviluppò indubbiamente a partire da una forte tradizione, particolarmente presente nel periodo dei Regni Combattenti (V-III sec. a.C.) nella Cina costiera, nei principati feudali di Yan e di Qi, e poi perpetuatasi durante la breve dinastia Qin (221-206 a.C.) e la dinastia degli Han anteriori (206 a.C. - 9 d.C.), soprattutto durante i regni degli imperatori Jing (157-141 a.C.) e Wu (141-87 a.C.). Un primo, famoso riferimento agli xian viene solitamente individuato in questo passo del primo capitolo dello Zhuangzi (IV sec. a.C.), che descrive un essere definito in realtà shenren, «uomo numinoso, trascendente»: Sul Monte Guye risiede [o: risiedono] un uomo numinoso, la cui pelle è come neve congelata, gentile come una vergine. Non si nutre dei cinque cereali, [ma] aspira il vento e beve la rugiada. Cavalcando nubi e brume, guida un drago volante, vagabondando oltre i Quattro Mari […]. 6 Nel secondo capitolo dello Zhuangzi, coloro che sono definiti «uomini perfetti» (zhiren) sono rappresentati come esseri che sono ormai al di là di qualsiasi influenza esteriore. Questa descrizione verrà in seguito utilizzata per rappresentare la condizione degli xian: Gli uomini perfetti sono divini! Se la grande pianura prendesse fuoco, essi non proverebbero calore; se il Fiume Giallo e il Fiume Han si congelassero, non proverebbero freddo. Se la folgore fendesse la montagna e il vento scuotesse il mare, ciò non potrebbe spaventarli. Avendo tale natura, essi montano sulle nubi, cavalcano il sole e la luna, vagabondando al di là dei Quattro Mari. Morte e vita non apportano in essi mutamenti, tanto più un qualsivoglia motivo di vantaggio o di danno! 7 La prima occorrenza del termine xian si ritrova in un’ode dello Shijing, e sembra riferirsi a un andamento saltellante, al «librarsi in aria» proprio di uno stato di ebbrezza, un attributo che può rimandare allo stato alterato 6 7 Zhuangzi 1989, 6b. Ivi, 16b-17a. 23 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Maurizio Paolillo dello sciamano 8. Forse da qui parte la tradizione iconografica di epoca Han, che mostra nell’arte plastica alcune immagini di esseri umanoidi dotati di ali e di piume. Ma presto si afferma un’altra forma del sinogramma, in cui si ritrovano associati i caratteri di «uomo» e «montagna»: l’ambiente naturale di tali esseri è ormai stabilito definitivamente. Se le metodiche per giungere alla condizione di Immortale variano di caso in caso, un motivo ricorrente nelle tradizioni che li riguardano è il loro stabilirsi sui monti. Luoghi di confine o, meglio, di passaggio tra Terra e Cielo, i monti sacri sono figura di una condizione spirituale particolare, a cui non si può aspirare senza la preparazione necessaria. Fu probabilmente nel periodo compreso tra il regno del primo imperatore Qin Shi Huangdi (221-209 a.C.) e la prima parte del regno dell’imperatore Wu che la tradizione degli Immortali fu legata a tutta una serie di metodiche aventi per obiettivo il superamento della mortalità umana. Ciò fu indubbiamente favorito dalla presenza a corte dei fangshi, i «maestri in tecniche esoteriche», che spesso ebbero notevole influenza pur dovendo far fronte all’ostilità dei letterati ru, che non casualmente ne hanno tramandato un’immagine a tinte fosche. L’ambiente montano degli Immortali è collocato in misteriose isole poste nell’Oceano orientale: È a partire da Wei, Xun e Zhao di Yan che si inviarono in mare degli uomini alla ricerca [delle isole] Penglai, Fangzhang e Yingzhou. Si dice che queste tre montagne divine si trovino nel Mare Bohai: non sono lontane dagli uomini, ma sfortunatamente quando si è sul punto di arrivarvi, allora il vascello è spinto indietro dal vento e se ne allontana […]. È là che si trovano gli uomini spirituali e la droga che non fa morire […]. Al tempo del Primo Imperatore Qin, quando questi ebbe riunito l’impero nelle sue mani, egli venne sulle rive del mare. Allora, degli esperti in tecniche esoteriche, in numero inesprimibile, parlarono di ciò. Il Primo Imperatore […] ordinò a un gruppo di giovani uomini e donne di imbarcarsi […] per andare alla loro ricerca. Il loro battello affondò in alto mare […]. 9 Nel Liezi, opera composita risalente al IV secolo, ma contenente materiale più antico, troviamo una delle più belle descrizioni di queste isole, con alcune varianti relative al loro numero e al loro nome: A est del Golfo di Zhili, nessuno sa a quante migliaia o decine di migliaia di li di distanza, c’è un profondo baratro, una valle senza fondo. Tal voragine 8 9 Lippiello 2005. Sima Qian 1982, 1369-1370. 24 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Le radici daoiste del giardino tradizionale cinese senza fondo è conosciuta con il nome di «Vuoto in cui tutto ritorna». Tutte le acque provenienti dalle otto estremità della terra e dalle nove regioni, e anche la Via Lattea, confluiscono in questa voragine; essa tuttavia non si riempie e non trabocca mai. Al suo interno ci sono cinque montagne. La prima è chiamata Daiyu, la seconda Yuanjiao, la terza Fanghu, la quarta Yingzhou, la quinta Penglai. Ciascuna di queste montagne è alta trentamila li e si estende per un raggio pari alla sua altezza. I pianori sulla sua cima coprono una superficie di novemila li […]. Sulle loro cime, torri e belvedere sono tutti d’oro e di giada, gli animali e gli uccelli sono di un bianco immacolato, alberi di perle e altre gemme vi crescono rigogliosi, con fiori che danno frutti sempre saporiti e che permettono a chi se ne ciba di non invecchiare e di non morire. Gli uomini che le abitano appartengono alla stirpe dei saggi immortali; sono talmente numerosi che non possono essere contati e volano giorno e notte da una montagna all’altra. Un tempo le basi delle cinque montagne non poggiavano su nulla ed esse, come se seguissero il flusso della marea, non cessavano di alzarsi e abbassarsi, di andare e venire. I saggi immortali erano scontenti della cosa e se ne lamentarono con l’Imperatore Celeste. Questi […] ordinò dunque a Yuqiang di inviare quindici tartarughe giganti a sorreggere le cinque montagne con le loro teste alzate, alternandosi in tre turni di sessantamila anni ciascuno. Da quel momento le montagne rimasero ben salde e smisero di muoversi. Tuttavia, un gigante che viveva nel regno di Longbo facendo pochi passi raggiunse il luogo dove sorgevano le cinque montagne. Gettando il suo amo catturò in un sol colpo sei tartarughe e se le caricò sulle spalle […]. In conseguenza di ciò due delle montagne, Daiyu e Yuanjiao, andarono alla deriva verso l’estremità settentrionale del mondo e finirono per sprofondare nel grande oceano […]. 10 C’è da notare che il primo esempio di arte plastica del paesaggio emerge in Cina proprio come rappresentazione di un monte sacro, spesso rappresentato come emergente dalle acque: è un chiaro riferimento alle montagne degli Immortali xian. Questi oggetti, detti in cinese boshan lu, sono incensieri o bruciaprofumi, prodotti in grande quantità soprattutto durante la dinastia degli Han anteriori 11. Lo stesso tema del monte sacro, Paradiso degli xian, riappare nelle alture spesso poste al centro di specchi d’acqua nei giardini tradizionali cinesi. Nel 104 a.C., dopo aver svolto un rito in onore degli Immortali sulle rive del Mare Orientale, l’imperatore Wu fece costruire, a sudovest delle mura urbane, il Palazzo Jianzhang, con le sue famose riproduzioni delle montagne-isola degli xian. Possiamo in merito rifarci alla testimonianza 10 11 Liezi, juan 5, in Cadonna 2008, 147-151. Stein 1987, 47-53. 25 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Maurizio Paolillo del grande storico Sima Qian, che collega l’edificazione del Palazzo all’incendio di una struttura architettonica costruita in precedenza: L’undicesimo mese, nel giorno yiyou, la Terrazza Poliang si incendiò. Nel giorno jia’ou […] l’imperatore […] si recò sulle rive del Pohai per svolgere un sacrificio a distanza agli abitanti di Penglai. Egli sperava di poter penetrare nella loro isola meravigliosa […]. Yang Zhi disse: «È costume del paese di Yue che, se un edificio va a fuoco, si elevi una nuova costruzione, e non si manchi di farla più grande, in modo che si vinca e si sottometta [l’influenza negativa]». Allora, l’imperatore fece costruire il Palazzo Jianzhang: le sue dimensioni erano tali che vi si trovavano mille portali esterni e diecimila porte interne […]. A nord, l’imperatore fece scavare un grande specchio d’acqua, al centro del quale si trovava la Terrazza Umida, alta più di duecento piedi. Chiamò lo specchio d’acqua Grande Fluido. Al centro di esso vi erano Penglai, Fangzhang, Yingzhou e Huliang, riproduzioni di quelle [isole] che erano nel mare […]. 12 Il simbolismo dell’immortalità era peraltro diffuso in tutta l’area del Palazzo Jianzhang; il suo ingresso meridionale era detto Porta Changhe, con un rimando diretto all’entrata mitica che sul leggendario Monte Kunlun permette il passaggio alla sfera supramondana, dove si trova ciò che le fonti chiamano il Giardino Sospeso 13. Il Kunlun è posto tradizionalmente nelle remote lande occidentali, ma è al contempo un simbolo evidente dell’axis mundi, e sede della divinità definita Regina Madre d’Occidente (Xiwang Mu), descritta nel classico taoista Zhuangzi come un essere che ha ottenuto il Dao, e di cui «non si conosce il principio né la fine» 14, e in altre fonti come dispensatrice di sapienza e di metodi atti al raggiungimento dell’immortalità 15. Un breve passo dal Mu Tianzi zhuan, fonte forse del V-IV secolo a.C., probabilmente anteriore alla pur dibattuta influenza delle tradizioni indopuraniche sulla cosmologia cinese, descrive il viaggio nelle remote lande dell’ovest del re Mu degli Zhou occidentali (X sec. a.C.), e il suo incontro con la Regina Madre d’Occidente, divinità tradizionalmente legata al Kunlun; qui si parla del Monte Primavera, sua vetta principale: Sima Qian 1982, 1402. Fracasso 1981. 14 Zhuangzi 1989, juan 6, 39b-40a. 15 Attributo particolarmente evidente nella tradizione letteraria relativa all’incontro tra la Regina Madre e l’imperatore Wu degli Han anteriori: cfr. Schipper 1965. Per la figura della Xiwang Mu in epoca Han, e l’iconografia che la rappresenta talora in un ambiente montano, cfr. Loewe 1979, 86-126. Per il periodo successivo, Cahill 1993. 12 13 26 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Le radici daoiste del giardino tradizionale cinese Si narra che quello sia il monte più alto dell’ecumene […]. Si dice che lo stagno del Monte Primavera sia di acqua limpida, e vi scaturisca una fonte, tiepida e mai turbata dal vento: è dove gli uccelli del cielo e i cento quadrupedi si riuniscono per dissetarsi. È il luogo che gli antichi sovrani chiamavano Giardino Sospeso […]. 16 Nel quarto capitolo dello Huainanzi, testo completato nel 139 a.C., troviamo un’ampia descrizione dell’area del Kunlun. Qui il Giardino Sospeso è figura dello stato edenico, obiettivo di reintegrazione nel processo di realizzazione spirituale: vi si trovano l’albero della Conoscenza, l’albero o erba della Immortalità, altri alberi che producono gemme e pietre preziose, e la fonte dell’Immortalità. Da qui sembra avere inizio il distacco definitivo dell’essere, di cui allora si perde ogni traccia; lo stato spirituale di shen sembra riferirsi a una condizione superiore a quella di xian («immortale»), in pieno accordo, peraltro, con altre fonti daoiste: Yu il Grande […] livellò il Kunlun per abbassarne la cima; al centro sta un bastione a nove strati […]. L’albero dell’Immortalità sta ad ovest […]. Il Giardino Sospeso […] è all’interno della Porta Changhe. Sono questi i suoi giardini e il laghetto che vi si trova ha le acque gialle. Queste acque gialle fanno tre giri e ritornano alla sorgente. Essa è detta Acque di Cinabro (danshui): bevendone l’acqua non si muore […]. Salendo al Giardino Sospeso, si diventa numi (ling) e si comanda alla pioggia e al vento. Sopra sta il Cielo Superiore: salendovi si diventa spiriti (shen). Esso è chiamato Dimora del Grande Sovrano. 17 Il tema delle isole degli Immortali, e dello specchio d’acqua artificiale che le ospita, resterà immutato nell’architettura dei giardini e dei parchi imperiali sino all’ultima dinastia Qing, e vedrà un’estrema, abbagliante espressione nel Palazzo d’Estate (Yihe yuan), fatto costruire a ovest di Pechino dall’imperatore Qianlong (r. 1736-1796). Già durante gli Han anteriori, sembra che il motivo del monte - isola sacra fosse presente anche in giardini più ridotti. Una fonte del VI secolo ci fornisce un esempio: Il ricco Yuan Guanghan di Maoling aveva messo da parte una considerevole somma di denaro; i suoi servitori erano otto o novecento. Sotto le colline dei sobborghi settentrionali [della capitale] costruì un giardino […], al cui interno affluiva un turbolento corso d’acqua. Fu trasportata lì una roccia a fare da montagna: alta più di dieci piedi, proveniva da diverse leghe di di16 17 Mu Tianzi zhuan 1990, juan 2, 6b-7a. Huainan zi 1989, juan 4, 40b-41a. 27 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Maurizio Paolillo stanza. Vi si allevavano bianchi pappagalli, purpuree oche mandarine, yak, scuri bovini unicorni: bizzarri animali e strani volatili erano lì raccolti. La terra accumulata formava delle isolette, l’acqua che scorreva formava onde […]. Non v’era albero strano o erba bizzarra che non vi crescesse. Le sale si congiungevano seguendo percorsi ondulati […]. In seguito Yuan Guanghan fu condannato a morte: non essendo possibile occuparsi del suo giardino, gli uccelli, gli animali terrestri, le piante e gli alberi furono tutti trasferiti e trapiantati nel Parco della Suprema Foresta. 18 Motivi daoisti possono essere ritrovati nell’architettura dei giardini di corte delle successive dinastie. Durante gli Han posteriori, nel 166, l’imperatore Huan venera la diade Huang-Lao (cioè Huangdi, l’Imperatore Giallo, figura mitica fondamentale, e Laozi, presunto autore del Daode jing, testo base del Daoismo), e anche il Buddha, nuovo nume straniero, nel Giardino del Drago Lucente (Zhelong yuan), situato presso il Palazzo Settentrionale del sovrano, nella capitale Luoyang 19. Più tardi, quando il nord del paese cade sotto il controllo di effimere dinastie di origine nomadica, il tema del giardino come microcosmo con forti accenti daoisti riaffiora talvolta in maniera evidente, a partire dal nome: è il caso dello Xiandu yuan, il Giardino della Capitale degli Immortali, parco imperiale situato presso Ye, la capitale dei Qi settentrionali (557-581). Nel parco si trovavano quattro guan, «osservatori», termine che indicava luoghi per il culto daoista. La struttura microcosmica dell’area era evidente: vi si trovavano cinque alture artificiali, che simboleggiavano i Cinque Picchi sacri, nella tradizione cosmografica daoista collegati ai quattro orienti più il centro. Quattro corsi d’acqua rappresentavano i Quattro Mari, confluendo in un grande lago detto Dahai, Oceano 20. L’unica dinastia del nord che ebbe lunga durata fu quella dei Wei settentrionali (386-534). Nel 494, i sovrani, ormai fortemente influenzati dalla cultura cinese, decisero di spostare la capitale a Luoyang, e l’antica città, un tempo capitale degli Zhou orientali (770-221 a.C.) e degli Han posteriori (25-220 d.C.), ritrovò il suo splendore. Di solito, i Wei sono ricordati come protettori del Buddhismo e finanziatori di imponenti progetti religiosi, come la creazione o l’impulso dato all’attività artistica in santuari rupestri buddhisti quali Dunhuang, Yungang e infine Longmen; ma le cronache ci mostrano come i sovrani Wei non fossero affatto refrat18 19 20 Xiang Xinyang - Liu Keren 1991, 130-132. Bilelenstein 1976, 33-46. Zhou Weiquan 1990, 49-50. 28 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Le radici daoiste del giardino tradizionale cinese tari al Daoismo, o almeno alle suggestioni dell’immortalità, riflesse nei nomi dati alle strutture dei loro giardini di Luoyang: Nel Giardino del Boschetto fiorito vi era un vasto lago […]. [L’imperatore] Shizong vi fece costruire la Montagna Penglai, sulla quale c’era un padiglione degli Immortali. A sudest c’era la Sala dello Yang Raffinato […]. A sud della Montagna dello Yang Raffinato si trovava il Giardino dei Cento Frutti […]. C’erano giuggiole degli Immortali […]. Secondo la tradizione, venivano dal Monte Kunlun, ed erano anche dette «giuggiole della Xiwang mu». Vi si trovavano anche le pesche degli Immortali […]. Venivano dal Kunlun, ed erano anche dette «pesche della Xiwang mu» […]. All’interno della Porta dei Mille Autunni […] c’era il Giardino del Vagabondaggio a Occidente. Nel giardino vi era la Terrazza della Nube Numinosa, [… su cui] vi era il Pozzo Ottagonale […]. A est […] si trovava la Terrazza della Pesca del Fungo Numinoso […], che scaturiva dal centro dell’acqua, elevandosi per venti zhang. La brezza nasceva dalle sue porte e dalle sue finestre, le nuvole salivano dalle sue travi e dai suoi archi; le colonne rosse e le travi scolpite mostravano raffigurazioni degli Immortali […]. 21 Quando il paese fu nuovamente unificato, l’architettura dei giardini degli imperi Sui (589-618) e Tang (618-907) mantenne i riferimenti daoisti. Il Parco dell’Ovest (Xiyuan) dei Sui, costruito sempre a Luoyang, comprendeva un enorme lago artificiale, detto Beihai, Mare del Nord (nome che ritroviamo ancora oggi, in un noto parco urbano di Pechino), in cui si trovavano tre isole degli Immortali, alte più di trenta metri 22. Quanto ai parchi Tang, creazioni di sovrani che sostenevano una comune origine con Laozi, basterà ricordare il Palazzo della Chiarezza Fiorita (Huaqing gong), posto a una quarantina di chilometri dalla capitale Chang’an, presso le cui acque termali l’imperatore Xuanzong era solito trascorrere le giornate invernali assieme alla sua famosa concubina Yang Guifei. Qui, al centro di una delle pozze minerali, il sovrano aveva fatto erigere una piccola montagna - isola degli Immortali, composta di lapislazzuli, intorno alla quale era solito navigare con il suo seguito 23. In epoca Tang comincia ad affermarsi quell’ideale del ritiro in un mondo naturale privato, che troverà poi espressione completa con il vero e proprio «giardino del letterato», di dimensioni più ridotte, a partire dai 21 Luoyang qielan ji, cit. ivi, 51-52. Il termine «fungo numinoso» (lingzhi) si riferisce a una serie di sostanze naturali (non sempre identificabili come funghi), la cui assunzione avrebbe favorito il raggiungimento dell’immortalità o di una longevità indefinita. 22 Ivi, 66. 23 Schafer 1963, 233. 29 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Maurizio Paolillo Song settentrionali (960-1127). Nella galleria di personaggi legati a tale ideale, un posto d’onore è riservato a Wang Wei (701-761), poeta, calligrafo e pittore. Wang Wei rappresentò la figura paradigmatica dell’erudito in perenne e precario equilibrio fra l’impegno sociale e l’agognato ritiro dal mondo, che aspira al distacco e alla trascendenza, ideali espressi nelle sue poesie attraverso visioni di una natura priva e, per così dire, «vuota» della presenza umana. Egli fu in stretto rapporto con esponenti della dottrina buddhista Chan (le cui formulazioni devono peraltro molto al vocabolario daoista), ma è stato rilevato che non disdegnò nelle sue poesie la presenza di temi tratti dalle scritture daoiste 24. La tradizionale «pittura di paesaggio dei letterati» (wenren shanshui hua), che si espresse attraverso il monocromo, ha sempre fatto riferimento a Wang Wei come al suo capostipite. Wang Wei fu ritenuto, a partire dai Song, l’incarnazione del pittore erudito, esponente di una aristocrazia intellettuale che si differenziava nettamente dagli artisti professionisti, al punto da attribuirgli alcuni brevi trattati di pittura, come lo Shanshui jue. Wang Wei trovò rifugio nella sua residenza campestre, posta nella contea di Lantian, non lontano da Chang’an, negli ultimi anni della sua vita, dopo la disastrosa rivolta di An Lushan (755-763). Il suo dipinto Wangchuan bieye (Dimora rurale sul Fiume Wang), non esistente più in originale, fu oggetto di un incredibile numero di riproduzioni a partire dalla successiva dinastia Song. Gli ideali di ritiro presenti nell’opera di Wang Wei divennero un punto fermo nella produzione letteraria e artistica di numerosi eruditi dei Song settentrionali (960-1127): basti ricordare Su Shi (1037-1101) e il fratello Su Che (1039-1112), il grande calligrafo Huang Tingjian (1045-1105) e il famoso letterato Shen Kuo (1031-1095), tutti proprietari e visitatori appassionati di giardini. Nei loro scritti, si manifesta chiaramente quel distacco da ogni intento di mera riproduzione «naturalistica» del paesaggio, e la convinzione che «l’idea è anteriore al pennello», per citare un famoso detto attribuito proprio a Wang Wei. Dunque, il modello Wang Wei si diffonde proprio quando gradualmente svaniscono gli esempi concreti della sua arte. Sarà Su Shi, massimo rappresentante dell’élite intellettuale Song, a esprimere per primo nei suoi scritti il giudizio sul valore spirituale sommo della sua pittura. Certo, Wang Wei forse sarebbe stato perplesso di fronte al ruolo che le generazioni successive gli avrebbero riservato; ma con la sua residenza campestre, cominciava a realizzarsi quella compenetrazione fra il paesag24 Kroll 1986, 107-108. 30 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Le radici daoiste del giardino tradizionale cinese gio del giardino e la sua rappresentazione, espressa dalle «tre perfezioni» (sanjue): poesia, calligrafia, pittura. Questo processo trovò continuazione nella seconda parte della dinastia Tang, dopo la rivolta di An Lushan, e fu espresso nella creazione dei giardini dei funzionari di corte, tra i quali spicca la Villa della Sorgente Tranquilla (Pingquan zhuang) del letterato e statista Li Deyu (787-849), situata alla periferia di Luoyang. La raffinatezza e la ricchezza del sito erano universalmente note, e si riflettevano nella miriade di esemplari di rocce ivi presenti e nell’enorme numero di specie vegetali del suo arboretum: [La residenza della Sorgente Tranquilla] è a 30 li da Luoyang. Vi sono piante ed alberi, terrazze e chioschi. È stata costruita come una dimora degli Immortali. Si è asportato del terreno per riprodurre le gole del Sichuan, le SaleGrotta, i Dodici Picchi, i Nove Fiumi, sino a raggiungere le Porte del Mare. Maestoso è il paesaggio di fiumi e alture […]. 25 Forse il primo vero e proprio «giardino del letterato» è quello fatto costruire a Luoyang nell’829 dal grande poeta Bai Juyi (772-846), che lo descrive in una breve composizione in prosa 26. In essa, il giardino risalta come un piccolo mondo appartato, realizzazione concreta di una norma morale del ritiro, che è già ricerca di equilibrio tra impegno confuciano di regolamentazione del mondo, e coltivazione interiore daoista (e buddhista: Bai Juyi fu particolarmente vicino a esponenti del Chan). Citiamo la parte finale del brano in prosa e il seguente componimento poetico, nei quali è davvero arduo isolare cosa è Chan da ciò che appartiene al «fondo» daoista: […] Ebbro di vino e stanco del liuto, ordino ai musici di salire sul padiglione dell’isoletta centrale, e suonare il «Preludio alla Veste Arcobaleno». La musica si diffonde sulle ali del vento, concentrandosi o disperdendosi, giungendo lontano sino ai bambù, alla bruma, alle onde e alla Luna. La melodia non si è ancora spenta che Letian [«Che gioisce del Cielo»: soprannome di Bai Juyi], felice e già ebbro, si è addormentato su una roccia. Risvegliatosi, intona un canto casuale, che non è poesia né prosodia: A Gui [uno dei figli di Bai Juyi] porta un pennello, e io scrivo sulla roccia. Osservando la sua rozzezza, l’ho trasformato in veste di prosa poetica, chiamandolo «Sullo stagno»: Nella dimora di dieci mu, il giardino ne occupa cinque; vi sono uno stagno e mille steli di bambù. Non dite che la terra è scarsa, il luogo angusto: 25 26 Jutan lu, cit. in Zhou Weiquan 1990, 83. Paolillo 1996, 87-89. 31 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Maurizio Paolillo bastano per ginocchia e spalle. Vi sono sale e cortili, ponti e battelli, libri e vino, canti e strumenti a corda. Un vegliardo è al suo centro, la bianca barba aggraziata: misurato e contento, non cerca nulla all’esterno. Come un uccello, si sceglie l’albero, cercando un nido tranquillo; come una tartaruga, si rifugia nel guscio, senza conoscere le vastità marine. Vi sono sacri cigni e bizzarre rocce, purpuree ninfee e candidi loti: tutto ciò che amo è a me vicino. A volte sollevo la coppa, o intono un’aria; ho moglie e una marea di figli, galline e cani a piacimento. Libero e senza freni, sarò qui fino alla decrepitezza. 27 L’uso delle rocce nei giardini, che come si è visto risale almeno all’inizio del periodo imperiale ed è un riflesso del complesso mitico e dottrinale centrato sugli Immortali daoisti, fece nascere la definizione di «montagna artificiale» o «imitata» (jiashan), creazione che inizialmente non disdegnava l’uso di materiali estranei al mondo minerale 28. Le rocce del Lago Tai, che sarebbero state oggetto di massimo apprezzamento durante i Song, si trovavano già nel giardino urbano di Bai Juyi, il quale dedicò loro anche una poesia, volta a giustificare la «petromania» del suo amico Niu Sengru (778-847), alto funzionario e proprietario di un giardino presso Luoyang. Nei suoi versi, a un’accurata, quasi scientifica descrizione di una maestosa roccia del Lago Tai si accompagna un’allusione al suo carattere sacro: da questa montagna, modellata dagli agenti naturali, si sprigiona un’energia che domina i padiglioni del giardino, mentre la brezza sembra scaturire dal suo ventre 29. Sembra quasi che l’inserimento di maestosi esemplari di roccia nei giardini dell’epoca anticipi la tradizione pittorica delle Cinque Dinastie (907-960) e dei Song settentrionali, in cui spesso la parte centrale del dipinto è occupata da un picco torreggiante. D’altra parte, se con i Song settentrionali il paesaggio era diventato per Su Shi espressione del «Principio costante» (changli) 30, non deve stupire se la montagna, ossatura del paesaggio, fu intesa come un’entità contenente in potenza tutte le montagne possibili, tutti gli aspetti determinati dai mutamenti spaziali e temporali, come in questo passo del trattato pittorico Linquan gaozhi (1070): 27 28 29 30 Bai Juyi 1983, 6. Stein 1987, 47. Hay 1985, 19. Murck 1976, 267. 32 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Le radici daoiste del giardino tradizionale cinese La montagna principale è imponente. È il signore di tutte le altre montagne, ciò attraverso cui si distribuisce la composizione […]. È l’antenato principale che presiede alle proporzioni e alla prospettiva. La sua immagine è simile a quella di un grande signore, rivolto a sud maestosamente assiso […]. La montagna ha un proprio aspetto quando è osservata da vicino; ne ha un altro quando è osservata ad alcuni li di distanza; e un altro ancora quando è vista da alcune decine di li. Ogni distanza ha proprie peculiarità: è ciò che vien detto «la forma di una montagna si trasforma a ogni passo». Vista di fronte la montagna ha un aspetto, di lato ne ha un altro, e osservata da dietro ha un altro aspetto ancora. Ogni vista possiede proprie specificità, è ciò che vien detto «la forma di una montagna va osservata da ogni lato». Perché è così? Benché si tratti di una sola montagna, in realtà raccoglie in sé forma ed aspetto di innumerevoli altre montagne […]. In primavera o in estate, la montagna avrà una certa vista; in autunno o in inverno, ne avrà un’altra; è ciò che vien detto «lo scenario delle quattro stagioni non è lo stesso». Guardandola all’aurora, la montagna appare in un certo modo, osservandola al crepuscolo appare in un altro modo. Con il tempo nuvoloso e col sereno, ne avrà ancora un altro. È ciò che vien detto «da mattino a sera le sue trasformazioni possono differenziarsi». Perché è così? Perché è una montagna sola, eppure raccoglie idea e aspetto di centinaia di montagne: si può ottenere ciò senza una indagine approfondita? 31 E questo concetto valeva per i maestosi picchi rappresentati nei dipinti, come per le rocce di ridotte dimensioni presenti nel giardino o nello studio del letterato. Entrambe le realtà erano riflesso di una maggiore accessibilità a una condizione trascendente (la vetta degli Immortali) da parte dell’uomo «coltivato» a riconoscere le analogie. Durante i Song, la categorizzazione estetica delle rocce, già introdotta da Bai Juyi, fu ulteriormente ampliata. Le rocce del giardino, o quelle di piccole dimensioni presenti nelle composizioni formate con specie vegetali (dette poi in Giappone bonsai: un altro esempio del valore sacro della riduzione), dovevano presentare quattro qualità principali: shou («sottigliezza»), tou («penetrazione, allusione a un interno traforato»), lou («sgocciolìo interno delle acque») e zhou («trama superficiale corrugata») 32. Al di là della indubbia estetizzazione presente nelle descrizioni, queste caratteristiche rimandano ai temi arcaici, ripresi dal Daoismo. Basti pensare a una descrizione illustrata di un calamaio di epoca Song, a forma di montagna con vari picchi, appartenuto al famoso letterato Mi Fu (105131 Guo Xi, Linquan gaozhi; abbiamo modificato la traduzione a cura di G. Maggio (in Guo Xi 2005, 42-44), rifacendoci al testo cinese ivi, 116-117. 32 Paolillo 1996, 143-147. 33 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Maurizio Paolillo 1107), nella quale si afferma: «La grotta inferiore comunica con quella superiore con una triplice contorsione. Vi ho fatto un giorno un vagabondaggio spirituale (shenyou)» 33. Un altro esempio è la «roccia straordinaria», acquistata da Su Shi per ben cento monete d’oro, che presentava nove sporgenze, ricordando il Monte Jiuhua, celebre picco sacro. Egli le consacrò un poema, il cui simbolismo è evidente: I puri ruscelli girano come lampi, e si perdono nei picchi nuvolosi; è come un brusco risveglio nel mezzo del sogno; il cielo spazzato è d’un blu di martin pescatore; […] adesso, il Monte Jiuhua sta in un solo vaso hu; le acque del Lago Celeste cadono di piano in piano; dappertutto si comunica per le finestre vuote delle fanciulle di giada […]; ho acquistato questo verde [pezzo] tagliato a giorno per cento pezzi d’oro. 34 Con i Song, il motivo della riduzione in uno spazio mitico, nato con le riproduzioni delle montagne-isola degli Immortali espresse dai bruciaprofumi Han, ha ormai investito il giardino cinese. Spazio ridotto, il giardino del letterato, spesso situato nella caotica realtà urbana, da cui è diviso per mezzo di un muro di cinta, è una nuova, erudita versione – certo filtrata da una cultura che ha imparato a convivere con i Tre Insegnamenti, Daoismo, Confucianesimo e Buddhismo – del mondo in piccolo racchiuso in una zucca (microcosmo in cui si rifugiano i maestri daoisti), luogo privilegiato per l’attività di meditazione dei letterati-funzionari, detta jingzuo («star seduti nella quiete»), che molto deve all’influenza delle pratiche di meditazione daoiste e buddhiste. La suggestione dei motivi arcaici resterà intatta, seppur sempre più oggetto di estetizzazione, sino alla fine dell’impero: essa sopravvive nella montagna artificiale, di epoca Qing, situata nel giardino imperiale che si trova nella parte nord della Città Proibita, ultima e barocca riproduzione dei monti degli Immortali, con le sue grotte e i suoi cunicoli. La tradizione del giardino vide anche la pubblicazione, in un’era ormai crepuscolare sotto molti aspetti per il mondo cinese, dell’unico trattato monografico su quest’arte: lo Yuanye (La Forgia del giardino, 1634), opera del pittore e «mastro» di giardini Ji Cheng (1582-?), vissuto nell’ultima parte della dinastia Ming (1368-1644). Ci siamo dilungati altrove sulle caratteristiche di quest’opera, che, accanto a temi peculiari dell’epoca in cui è 33 34 Zhuogeng lu; abbiamo leggermente modificato la traduzione in Stein 1987, 42. Ivi, 79. 34 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Le radici daoiste del giardino tradizionale cinese stata composta, ripresenta motivi antichi, comuni alla tradizione pittorica, come il concetto della nascita di un giardino come creazione intellettuale 35. Tra i princìpi chiave che un «mastro» di giardini deve impiegare, Ji Cheng cita il concetto di yin, il «conformarsi», che in questo campo indica l’agire in accordo con le configurazioni del sito, e il qi vitale che lo anima, in piena consonanza sia con la teoria pittorica, sia con la tradizione del fengshui. Ma yin è ben presente nelle fonti daoiste e in testi che costituiscono un compendio del pensiero correlativo, come il Lüshi chunqiu (240 a.C.): qui, in un capitolo intitolato Guiyin (Dar valore al conformarsi), yin è reso come il «non esercitare alcuna resistenza», e tra i numerosi esempi di tale condotta, appare quello di Yu il Grande, eroe mitico che, nel riportare all’ordine il mondo devastato dall’alluvione cosmica, «si conformò alla forza delle acque» 36. Nel già citato Huainan zi, yin è espressamente legato alla «attività non agente» (wei wuwei) del saggio daoista, che si conforma alla condotta (che è specchio della loro natura xing) degli esseri 37. L’artefice di un giardino, il «mastro» che «ha in petto colline e valli», nel conformarsi alle configurazioni di acque e territorio, cioè nel «seguire il tortuoso [gli elementi naturali] accordandovi ciò che è squadrato [l’architettura]» 38, riproduce ancora (certo a un livello estetizzante) il rapporto tra il saggio che ha ritrovato l’Unità e la molteplicità degli esseri: un rapporto che, come per altri aspetti, annulla qualsiasi dualismo natura-cultura. Nella parte finale dell’opera, Ji Cheng si sofferma sul problema fondamentale dell’arte, la natura stessa dell’atto rappresentativo: Essendoci il Vero, si costituisce l’imitazione (youzhen weijia). Si completi il Vero creando l’imitazione; smosso in qualche misura il Culmine del Cielo, l’interezza [dell’opera] attende il lavoro dell’uomo. 39 Qui il termine jia, persa ogni connotazione negativa di «falso» o «artificiale», diventa sinonimo di rappresentazione, segno che «completa» il Vero: concezione derivante dalla teoria pittorica, che porta infine Ji Cheng a definire il giardino come un mondo al contempo simile a un «dipinto spontaneo» e a Yinghu, isola degli Immortali: Bizzarri chioschi e ingegnosi gazebo dovrebbero essere sparsi tra il porpora [dei fiori]; padiglioni ed edifici a più piani dovrebbero affacciarsi ondeg35 36 37 38 39 Paolillo, 2011 e 2003. Cit. ivi, 224. Ivi, 225. Yuanye, cit. ivi, 227. Yuanye, cit. ivi, 230. 35 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Maurizio Paolillo giando sulle nuvole […]. L’area somiglierà a Yinghu, a un dipinto spontaneo (tianran tuhua), e l’idea soddisferà pienamente l’ossessione per boschetti e sorgenti […]. 40 Come si sa, l’arte del giardino cinese ebbe grande influenza sulla percezione europea dei giardini e del paesaggio a cavallo tra Seicento e Settecento, ma fu del tutto incompresa nei suoi principi fondanti, che molto dovevano al Daoismo: il giardino cinese fu così o esaltato come massimo esempio di libertà naturale (in Inghilterra), o criticato come espressione di un artificio lontano dal «naturale» (in Francia, da Rousseau e altri) 41. Entrambe le posizioni erano errate, del tutto ignare del fatto che il giardino cinese tradizionale, al pari delle «arti del pennello», è una imitazione rappresentativa che partecipa del Vero (concetto simile alla μέτεξις platonica) attraverso una figurazione intellettuale 42. L’Occidente (in questo come per altri aspetti della cultura tradizionale cinese) tesseva letture e visioni della Cina, alle quali però mancava l’«ordito daoista». Riferimenti bibliografici Bilelenstein 1976 Cadonna 2008 Cahill 1993 Delille 1792 Fracasso 1981 Guo Xi 2005 H. Bilelenstein, «Lo-yang in Later Han Times», Bulletin of the Museum of Far Eastern Antiquities 48 (1976), 1-142. A. Cadonna, Liezi. La scrittura reale del vuoto abissale e della potenza suprema, Torino, Einaudi, 2008. S.E. Cahill, Trascendence and Divine Passion. The Queen Mother of the West in Chinese Medieval Literature, Stanford, Stanford University Press, 1993. J. Delille, «Les jardins ou l’art d’embellir les paysages», in Id., Œuvres complètes, Avignon, Jean Albert Joli, 1792. R. Fracasso, «Manifestazioni del simbolismo assiale nelle tradizioni cinesi antiche», Numen 28 (1981), 194-215. Guo Xi, Elogio del paesaggio / Linquan gaozhi, trad. it. di G. Maggio, Rapallo, Il Ramo, 2005. Yuanye, cit. ibidem. Per una breve rassegna delle differenti posizioni assunte dagli intellettuali europei, a partire da William Temple e dal suo concetto di sharawadgi, cfr. Paolillo 2011. 42 Si veda Paolillo 2003, 234. 40 41 36 Riscritture dell’Eden. Il ruolo del giardino nei discorsi dell’immaginario. Vol. VIII - A cura di A. Mariani - Milano, LED, 2015 http://www.ledonline.it/Il-Segno-le-Lettere/ Le radici daoiste del giardino tradizionale cinese Hay 1985 Huainan zi 1989 Knechtges 1982 Kroll 1986 Lippiello 2005 Loewe 1979 Murck 1976 Mu Tianzi zhuan 1990 Paolillo 1996 Paolillo 2003 Paolillo 2011 Schafer 1963 Schipper 1965 Sima Qian 1982 Stein 1987 J. Hay, «The Rock and Chinese Art», Orientations 16, 2 (1985), 16-32. Huainan zi, Shanghai, Shanghai guji chubanshe, 1989. D. Knechtges (ed.), Wen Xuan, or Selections of Refined Literature, I, Princeton, Princeton University Press, 1982. P.W. Kroll, «Li Po’s Transcendent Diction», Journal of the American Oriental Society 106, 1 (1986), 99-117. T. 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