A.A. 2014/2015
Letteratura Italiana Contemporanea E
L'ombra luminosa di Davide Segre
Il racconto della malattia e delle sue caratteristiche, all'interno de La Storia Romanzo
Francesco Pattacini
N° Matricola: 806504
Corso di laurea magistrale in Culture Moderne Comparate
«Il suo segno
è l'OMBRA LUMINOSA
Si può incontrare chi porta questo segno
che raggia dal suo corpo ma insieme lo reclude
e perciò si dice LUMINOSA
ma anche OMBRA.»
E. Morante, La storia, p. 526.
Indice:
Introduzione
p. 2
1. La storia delle cadute che non fanno rumore
p. 3
1.1 La duplicità come fuga da sé
p. 4
1.2 L'antico male o dell'impulso
p. 6
verso la morte
1.3 Ombre luminose e il destino della storia
p. 8
1.4 Davide Segre e i pericoli della
p. 9
deriva intellettualistica
1.5 La mortuarietà della Storia
p. 10
Conclusioni
p. 12
Bibliografia
p. 13
1
Introduzione
[…] Negli apogei della vita e dell'azione, in cui la vita si oppone alla storia in quanto vita –
meraviglioso fenomeno da viversi etremisticamente, come fanno appunto gli eroi della Morante, che per
questo li ama - tale opposizione è surrettizia. La mortuarietà della vita non può opporsi che nominalmente
a una Storia vista per definizione come mortuaria.1
Con parole forti e sincere, tipiche del suo stile, Pasolini inseriva nuove indicazioni fondamentali al
discorso critico che circondava l'uscita de La Storia Romanzo, pubblicato nel 1974 per Einaudi, da
Elsa Morante. Seppur non sia possibile considerare come positiva la sua recensione, al suo interno
compaiono punti fondamentali per procedere nel nostro intento interpretativo. Il confronto tra
individuo e storia, la condizione mortale di ogni uomo e il suo rapporto con la vita, sono solo alcune
delle caratteristiche che fondano il terzo romanzo morantiano. Diventano determinanti per cercare
di comprendere Davide Segre, il personaggio in cui, più di tutti, agisce un movimento di incontroscontro fra queste forze differenti e in cui quella condizione umana di mortuarietà pasoliniana, o di
coscienza estrema della propria finitudine, assume una centralità dai toni esasperati.
Simbolo di un'interiorità scissa e dolorosa, Davide Segre, come vedremo, oscilla continuamente
fra poli opposti, sia il fascino degli ideali anarchici che crolla nel disincanto della realtà o
l'opposizione fra la possibile redenzione e quell'inconscia attrazione per il male presente in ogni
uomo e che lo porterà a una lenta autodistruzione. Nella complessa rete di rapporti che si
intrecciano all'interno de La storia, sarà fondamentale l'apporto di questo personaggio, contro altare
determinante per consentire la descrizione dell'adesione totale al mondo di Useppe, o del ruolo di
ogni uomo all'interno del farsi della storia.
Davide Segre è, soprattutto, il personaggio che contiene più simboli al suo interno. Per questo,
una volta discussa la sua particolarità estetica e morale, sarà necessario contestualizzarlo all'interno
del periodo storico in cui vede la luce. Il movimento sessantottino italiano, seguendo
l'interpretazione che ne dà Giovanna Rosa nel suo studio sulla scrittrice *, appare alla Morante come
una delle ultime possibilità di cambiamento di una società che sta crollando sotto le sue macerie. In
questo senso si può pensare che, nella sua duplicità, questo personaggio rappresenti il rischio di
cadere nell'intellettualismo da cui, evidentemente, il movimento si deve guardare, acquistando una
proprietà quasi profetica su come finiranno le cose.
Inevitabile, quindi, giungere al tentativo di delineare ciò che, per la Morante, sta dentro al
concetto di Storia dell'umanità.
1 P. P. Pasolini, La gioia della vita, la violenza della morte, in Il Tempo, a. XXX, 26 luglio 1974, p. 78.
* In G. Rosa, Elsa Morante, Il Mulino, Bologna, 2013.
2
1. La storia delle cadute che non fanno rumore.
È fondamentale descrivere tutto quello che ruota attorno alla figura di Davide Segre per
comprendere quanto sia importante nell'economia del romanzo, dal suo arrivo a Pietralata, dove Ida
e Useppe si erano rifugiati in seguito al bombardamento che aveva distrutto la loro casa, sino alla
stanza in cui trova la morte. Un'evoluzione di fatto mentale che, però, sembra seguire, ed essere
influenzata, dai luoghi in cui viene presentato, comprovato dalla diverse identità, e comportamenti,
che assume a seconda dei casi. La sua, però, non è una capacità di adattamento camaleontico.
Questo perché ogni nuova configurazione, piuttosto che preservarlo, lo spinge sempre di più verso
la fine e, quello a cui assistiamo, più che una storia di formazione, è un racconto di un declino
inesorabile, ricordando le parole pasoliniane da cui siamo partiti.
Le parole che la Morante usa per presentarlo, al suo arrivo nello stanzone di Pietralata, quando
ancora impersona lo studente bolognese Carlo Vivaldi, non lasciano spazio a una prima impressione
positiva: «[…] La sua fisionomia era segnata da qualcosa di corrotto, che ne pervertiva i lineamenti
dall'interno. […] Altri tipi dispersi e malandati erano già capitati in quell'ambiente; ma in lui si
avvertiva una diversità, che quasi ne scansava la compassione comune» 2. Schivo e silenzioso, vive
riparato e non partecipa alla vita comune dello stanzone, rifugiandosi in sé stesso. Le sue notti sono
infestate di incubi, la cui provenienza verrà spiegata soltanto in seguito, durante la cena di
ricongiungimento con Ninnuzzo, con cui in un secondo momento abbraccerà la lotta partigiana.
Iniziano a definirsi i termini di quel qualcosa di corrotto che condiziona e ci rende famigliare il suo
possessore e che, come vedremo, sarà uno dei termini ricorrenti a lui associati. Ad esemplificare il
suo comportamento sarà il suo modo di reagire davanti alla necessità di nascondersi dalle incursioni
nemiche nel quartiere: «[...] Si levava dietro alla tenda per unirsi a loro, ma senza correre [...] Non
era una smorfia di spavento, né di avversione comune. Era una contrazione fobica [...]» 3. Una
tranquillità che invece di esprimere coraggio evidenzia come il germe della dissoluzione stesse già
fiorendo in lui.
È sui monti, insieme ai partigiani, che ci viene raccontato di una nuova trasformazione di Carlo
Vivaldi, divenuto ora Piotr, a conferma di quanto il cambio di identità e di ambiente influisca sul
personaggio. Alla perplessità iniziale nell'unirsi alla lotta partigiana, in nome di una vocazione nonviolenta, ci viene raccontato della sua rabbia nei confronti del nemico ormai disarmato sino al
ritorno, di nuovo, dentro al proprio antico male che tutto corrompe: «A dispetto del maltempo e del
freddo, che facevano assai più dura la vita alla macchia, tutti stavano di buonumore e in ottima
2 E. Morante, La Storia, Einauidi, Torino 1974, p. 199.
3 Ivi, p. 208.
3
forma, con l'unica eccezione di Piotr, il quale, dopo i primi giorni di partecipazione ardente, era
caduto in una specie di abulia, non faceva nulla, e passava il tempo a ubriacarsi»4.
La fine della conflitto lo riporta a Mantova, una volta che vengono rivelati il vero nome e la
provenienza, oltre alle sue origini ebraiche. Perduta tutta la famiglia nei campi di concentramento
veniamo a conoscenza, solo tramite i racconti di Ninnuzzo, della giovinezza agiata e dell'esperienza
in fabbrica, affrontata come rivolta alla propria condizione borghese. Il ritorno a Roma sarà, come
prevedibile, l'ultimo viaggio di un Davide Segre ormai sconfitto, che vediamo coinvolto nell'amore
poco casto con Santina, una prostituta che verrà brutalmente uccisa, e l'evidenza di non poter
soddisfare il proprio dover essere. Dopo la morte di Ninnuzzo, ormai sfiancato dalla propria vita si
butta nel vino e, poi, nelle droghe, alla ricerca di un abisso in cui poter dimenticarsi e smettere di
pensare. Il rapporto con Useppe amplifica, in qualche modo, la percezione della sua caduta ormai
inesorabile. Alla totale adesione col mondo, che inizia a essere minato dall'ombra oscura della
malattia, si oppone il totale disinteresse per il rapporto fra i due di un Segre ormai azzerato dalle
droghe. All'ultimo slancio di forza, in cui appare quasi profetico, in una vecchia osteria,
corrisponde, anche, la resa definitiva e l'arrivo della morte per una dose fatale che non sapremo mai
se volontaria o meno. Cala, così, il sipario su uno dei protagonisti, seguito poco dopo da Useppe e
Ida, e della sua tragica storia, finita silenziosamente in una profonda solitudine.
1.1 La duplicità come fuga da sé.
Ripercorrendo velocemente la storia di Davide Segre appare chiaro quanto, la duplicità, sia
elemento fondativo del personaggio stesso. Una caratteristica che ha connotati fisici, nei tre cambi
di identità quanto nei vari trasferimenti, oltre che interiori. Non deve essere un caso, quindi, che la
paura e gli incubi di Carlo Vivaldi non lascino traccia nello spietato e vendicativo Piotr, così come il
forte idealismo giovanile condiziona soltanto la vita intellettuale, e non più quella pratica,
dell'amante che si concede a Santina. Nel rapporto sessuale che intavola con la ragazza della
borgata questo sdoppiamento si evidenzia nel modo in cui si approccia al corpo dell'altra che,
inizialmente violento, si conclude nella dolcezza del saluto: «Stettero insieme circa un'ora, e in
quell'ora Davide si sfrenò in una aggressività animalesca, avida e quasi frenetica. Però, al momento
dei saluti, riguardò Santina timidamente, con una sorta di gratitudine intenerita» 5, segno di
un'intimità complessa e dolorosa. Anche sul campo morale e degli ideali, però, si evidenziano i
sintomi di questa duplicità che, come vedremo, sarà senza soluzione. Questo perché al tentativo di
4 Ivi, p. 284.
5 Ivi, p. 352.
4
ribellarsi ai simboli borghesi, di cui il denaro è, ovviamente, il principale, non corrisponde mai un
rifiuto radicale e decisivo ma, anzi, sarà proprio il denaro uno dei modi preferiti da Segre per
punirsi e degradarsi. Non è un caso che tanto Santina, quanto gli spacciatori, vengano pagati molto
di più di quanto richiesto, seguendo l'idea che privandosi del denaro necessario ai beni primari
possa essere una punizione sufficiente. È chiaro, però, che un nemico non può essere sconfitto con
le sue stesse armi e questo tentativo risulti totalmente inefficace: «Lui si sentiva schifoso come
quelli là, indegno di mostrare gli occhi! Allora sfogava il suo bisogno con la fretta rabbiosa di chi
commette uno sfregio; e strapagava la propria avventura, come fosse un americano sfondato […]
Per il nutrimento, quando se ne ricordava, mangiava in piedi, senza piatto né posate, alla pizzeria. E
queste, oltre all'affitto del terraneo, erano le massime sue spese abituali, alle quali si aggiungeva,
adesso, il solo lusso delle nuove medicine»6.
Tutte queste sono tante piccole particolarità che, com'è naturale, trovano la propria sintesi
all'interno del Davide Segre post-conflitto. Invece di godere delle potenzialità della ricostruzione
come tutti, lui sembra vedere, in questa nuova libertà, una condanna più dolorosa della dominazione
fascista. L'impossibilità di gioire della liberazione avvenuta, e quella necessità di sdoppiarsi per
esprimere alcuni stati della psiche, sono il segno definitivo della multiforme interiorità di Davide
Segre, che assume sempre più i connotati della schizofrenia. Questo si chiarisce nei suoi costanti
tentativi di fuggire dal confronto con se stesso, inizialmente tentando una svolta positiva che
preveda un'applicazione pratica (l'adesione giovanile all'anarchia e le possibilità di fratellanza che si
arenano nell'alienazione della fabbrica), al cui fallimento subentra una principalmente passiva:
l'odio verso il nemico fascista e la lotta partigiana. Una volta crollato anche questo nemico le strade
che si configurano sono due, il confronto con i propri fantasmi o una nuova, e più subdola,
alienazione individuale. Così Segre decide di scappare ancora una volta e dedicarsi alle droghe, non
a caso dei narcotici, così da rendere questo suo avvicinamento alla morte, se non altro, più dolce,
così come quel sentimento di auto-mutilazione davanti all'impossibilità di riuscire a compiere la
missione che si era posto:
Fino alla fanciullezza, Davide aveva concepito schifo e disprezzo per i narcotici e le droghe in generale
[…] E la droga, da lui sempre identificata, per tradizione, nella zia Tildina gli pareva un vizio della
borghesia degradata e repressa, che cerca un'evasione dalla colpa e dalla noia. […] La vergogna, che già
lo aveva avvilito alla sua esperienza iniziale e quasi involontaria a Napoli, tonava a umiliarlo, più
disastrosa, in seguito, a ogni ricaduta volontaria. […] C'erano, però, dei giorni in cui lo strano eccesso di
energia che lo lacerava, tutta deviata verso un dolore senza soluzione lo portava a un punto di angoscia e
orrore insopportabile. Era il punto di rottura della sua resistenza. Da questo punto estremo, la promessa
della sua medicina gli si apriva come, dal fondo di una galleria rovinosa, un grande spacco arioso da cui si
6 Ivi, p. 516.
5
piglia il volo!7
La droga, però, non è che la chiave di ingresso verso l'ultimo approdo prima della morte. Davide
Segre, infatti, per quanto burbero e antipatico possa apparire, è sempre stato mosso da un
sentimento empatico nei confronti dell'uomo, a cui voleva dare un destino migliore. La definitiva
sconfitta si manifesta non più, quindi, con l'accesso alla droga, ma con l'odio indiscriminato verso
chi l'ha lasciato, colpevolmente, solo: «Finalmente in se stesso, Davide odia tutti, e questo è un
male nuovo, da lui mai provato prima. Il suo sentimento più fondo verso gli altri è stata sempre la
pietà (era essa invero a renderlo, per pudore, così scontroso), ma oggi, d'un tratto gli cresce
un'avversione vendicativa contro tutti quanti».8
Compresa la struttura profondamente scissa del personaggio Davide Segre diventa necessario,
ora, risalire ai motivi di questa situazione e, soprattutto, a ciò che provocano. È evidente come la
Morante voglia focalizzarsi su questo aspetto, parte di un discorso molto più ampio, in cui il
disinteresse che la Storia prova nei confronti degli individui è fra le principali cause della nascita di
queste nuove interiorità scisse, vittime collaterali non di ogni conflitto ma di quella vita che si
trovano costretti ad affrontare ogni giorno.
1.2 L'antico male o dell'impulso verso la morte.
Ricorre spesso, nel romanzo, l'espressione di una malattia, senza che ne vengano illustrati sintomi o
cause. Se, da un lato, sappiamo di cosa si tratta quando viene associata a Ida e Useppe,quando si
riferisce al nome di Davide Segre, i contorni si fanno più labili. Si può, tramite alcuni indizi lasciati
dalla Morante qua e là nella sua epopea, provare a descrivere questo male e la sua costituzione, in
cui l'impulso verso la morte e l'annientamento della coscienza ne sono prerogative fondamentali.
All'inizio di tutto fu la solitudine. Il giovane Segre, come già accennato in precedenza, riempito
di anarchismo e giovinezza fugge dalla famiglia per provare un'esperienza proletaria in fabbrica. Il
primo contatto con l'alienazione o, semplicemente, col mondo, non lo lascia impassibile ma lo butta
in una dimensione che ne caratterizzerà, e non poco, la crescita: «E così, là fissato al proprio
automa-demiurgo, fino dal primo giorno Davide si trovò piombato in una solitudine totale, che lo
isolava non solo da tutti i viventi dell'esterno ma anche dai suoi compagni del capannone» 9. A
esperienza ormai conclusa le parole utilizzate per commentare l'accaduto non lasciano presagire
niente di buono per quello che sarà: «Davide, come già s'è accennato, era un fedele della felicità,
7 Ivi, p. 515.
8 Ivi, p. 616.
9 Ivi, p. 414.
6
nella quale, secondo lui, risiedeva il destino stesso degli uomini. E anche se il suo destino personale
gli si annunciava, a lui, di quei tempi, contrario e minaccioso, si è visto che su di lui certe minacce
non pesavano. La felicità di Davide Segre, invero, nonostante tutto, si poteva cantare in tre parole:
AVEVA DIOCIOTT'ANNI»10. Lo scoppio della guerra costringe quei giovani a crescere più in fretta
del normale, e per chi trova nuove vocazioni (Ninnuzzo che dalla camicia nera passa alla lotta
partigiana) c'è chi fugge dai propri incubi, lasciando scoperti dei nervi impossibili, ormai, da
coprire. Nonostante i segni della sconfitta e di quel male stiano contaminando ogni sfera della sua
vita, sia all'interno che nella sua proiezione esterna, Davide Segre ancora oppone una debole
resistenza. Come detto in precedenza, la fine della guerra, col suo benessere generalizzato ma
tremendamente superficiale, quello che la Morante stessa condannava nei suoi appunti *, sono
attacchi mortiferi a quella speranza che l'uomo possa accogliere il suo destino felice. In questi
termini il fallimento della strada anarchica, che dall'amore degli anni giovanili lo porterà a provare
odio, per la prima volta, verso chi voleva liberare. Prima di arrivare a questa conclusione il male che
stiamo analizzando si muove sempre più in quella direzione mortifera e inallontanabile, di cui la
scissione interiore è la conseguenza primaria.
L'impulso verso la morte, qui, ricopre un ruolo fondamentale, ma non si tratta di una spinta verso
il suicidio quanto di un'evidenza che nasce dalla presa di coscienza della propria esistenza. Per
questo Davide Segre cerca modi per non pensare, per non lasciarsi sommergere da quel dolore che
lo porterà presto nell'abisso, come descritto nell'episodio del primo contatto con la droga:
Più tardi, ebbe a ricordare [l'amico dottore di Segre che gli darà la prima dose, NdR] che la sua
impressione istantanea, solo a guardarlo in faccia, era stata di ricevere la visita di un suicida. Nei suoi
occhi a mandorla, infossati, c'era un buio senza nome, straziato ma pure timido; e i muscoli gli
sussultavano, non solo in faccia ma per tutto il corpo, sotto una carica di energia selvaggia che non
riusciva a consumarsi altro che in forma di dolore. […] Non ce la faceva più, da vari giorni non dormiva,
vedeva dovunque delle fiamme, cercava una medicina fredda, fredda che gli impedisse di pensare...
Voleva che i pensieri si staccassero da lui... Che la vita si staccasse da lui! 11
Questa evidenza viene, così, confermata dalle volte in cui Segre ci ripete di non voler pensare ma
di voler fuggire dai pensieri che lo avvolgono. Questo rapporto con la propria esistenza travagliata,
che tutto blocca e distrugge, raggiunge il suo culmine, non a caso, nei suoi racconti e nelle sue
poesie, in cui un rapporto mediato con la propria interiorità è impossibile.
10 Ivi, p. 419.
* Si vedano gli articoli presenti nella raccolta E.Morante, Pro o contro la bomba atomica e altri scritti, Adelphi,
Milano, 2013.
11 E. Morante, La storia, Einauidi, Torino, 1974, pp. 513-14
7
1.3 Ombre luminose e il destino della storia.
Il fallimento della vocazione scrittorica, al pari di quella anarchica, devono pesare a Segre, e sono
l'ennesimo fallimento che aggiunge alla sua vita. In questi termini possiamo finalmente analizzare
la poesia Ombre luminose in maniera differente e legata al nostro ragionamento. La costituzione
ossimorica non coinvolge soltanto l'opposizione fra il luminoso mondo di Useppe e quello oscuro di
Segre, seguendo l'analisi della Puggioni**. La struttura riprenderà, quindi, di nuovo, quella duplicità
del personaggio: da un lato la presenza ossessionante della morte (ombra) a cui si oppone una luce
vitale che spinge a non arrendersi: «Il suo segno / è l'OMBRA LUMINOSA / Si può incontrare chi
porta questo segno / che raggia dal suo corpo ma insieme lo reclude / e perciò si dice LUMINOSA /
ma anche OMBRA»12. Ricompare, in queste parole, l'influenza reciproca fra interno ed esterno.
Questa poesia diventa fondamentale per comprendere definitivamente la malattia che sta uccidendo
il suo possessore, che non può essere trasmessa o condivisa, sintomo di un'impossibilità vera di
uscire da quella solitudine: «A percepirlo non basta il senso comune / Ma come spiegare un senso?
Non esiste un codice. / Si potrebbe paragonare al desiderio / che chiama gli innamorati intorno a
una ragazza / scontrosa, bruttina, sciatta ma rivestita / delle proprie ignare visioni erotiche» 13.
Evidente che questa ragazza rivestita da visioni erotiche non sia altro che l'umana concezione della
vita, riempita di sogni e speranze di successo e felicità, e che quasi mai si concede. Per questo
motivo non si tratta di un male esclusivo che colpisce soltanto alcuni menti, o persone,
particolarmente predisposte, come poteva essere il genio romantico o la maledizione baudelairiana.
È, infatti, una situazione generalizzata, i cui possessori nella maggior parte dei casi non si rendono
nemmeno conto di possederla: «Forse lo si vede forse lo si ode forse lo si indovina / quel segno. /
C'è chi lo aspetta chi lo precede chi lo rifiuta / qualcuno crede di scorgerlo sul punto di morire» 14.
Sono delle indicazioni fondamentali per comprendere quanto quel giungere all'odio finale sia, per
Davide Segre, una sconfitta totale. Il più grande dolore, infatti, non sarà più il fallimento dell'ideale
anarchico, ma non essere riuscito a condividere il proprio male salvando, così, per davvero, gli altri
essere umani. La morte, ormai, non è che l'ultima soluzione a cui arriva, inconscia o volontaria che
sia, trasformando il suo personaggio in una vittima, al pari di Ninnuzzo, dei partigiani Quattropunte
e Mosca, della Storia, la cui unica colpa è stata, probabilmente, sopravvivergli:
E se la sua famiglia era morta, la colpa era sua, che non aveva conosciuto carità per loro, in fondo
** In E.Puggioni, Davide Segre, un eroe al confine della modernità, Edizioni dell'Orso, Alessandria, 2006.
Specialmente il capitolo II, da pagina 59.
12 E. Morante, La storia, Einauidi, Torino, 1974, p. 526.
13 Ibidem.
14 Ibidem.
8
semplici fanciulli inesperti e illusi. E se la sua ragazza era finita in quel modo, la colpa era sua, che per
correre dietro alle sue fantapolitiche aveva trascurato il suo solo amore. E se il suo caro amico era morto,
la colpa pure qua era sua […] E la colpa di tutti i morti era sua. 15
1.4 Davide Segre e i pericoli della deriva intellettualistica.
Davide Segre, fra tutti i personaggi de La Storia Romanzo, oltre a essere il più complesso è, di
certo, il più istruito. La sua provenienza borghese gli ha dato la possibilità di coltivare la propria
cultura, tramite saggi e libri con cui potersi creare una propria opinione che, nel conformismo della
borgata, si distingue dagli altri. È questo, non a caso, uno dei motivi per cui principalmente viene
rispettato: «Ninnuzzu parlava sempre con supremo rispetto del suo compagno Davide: giacché fino
dai primi tempi della loro vita comune ai Castelli, lo considerava non solo un prode di natura; ma
un pensatore»16. Davide Segre è il simbolo di una borghesia ipocrita e intellettualistica, che la
Morante critica aspramente, ma è soprattutto, il simbolo del distacco dalla realtà in nome di un
ideale, lo stesso motivo che spinge i suoi seguaci a rinchiudersi dentro torri d'avorio, lasciando gli
altri fuori a marcire. È evidentemente una rappresentazione di ciò che il movimento studentesco che
avrebbe dovuto cambiare la società nel 1968 stava diventando ed è, effettivamente, diventato. La
Morante, però, vuole mettere in guardia da questa deriva intellettualistica fine a se stessa,
rappresentata dall'ultimo comizio che Davide Segre fa in un'osteria della borgata. Nel suo lungo e
sconnesso proclama, che fluisce nell'indifferenza generale, si evidenziano tutti i limiti delle sue
teorie, filosoficamente coerenti, ma che, per l'uomo qualunque, non sono altro che parole
incomprensibili. Il tutto testimoniato dai giovani in sottofondo, che ascoltano alla radio i risultati di
calcio, o dagli anziani che continuano indisturbati la loro partita a carte. Sarà, allora, il solo Useppe
a prestargli attenzione, senza però poter davvero comprendere il senso del discorso. Le parole
pronunciate da Segre, quanto mai feroci e dure nei confronti della Storia e dei suoi complici, hanno
portato alcuni critici* a vederne la raffigurazione di un Anticristo, giustificata dalle invettive
espresse nei confronti di Dio. Per noi risulta più importante contestualizzarlo alla contemporaneità,
schivando le fascinazioni teoretiche di un personaggio che è fondamentale, soprattutto, per il
rapporto che allaccia con il suo tempo, così centrale da assumere un carattere quasi divinatorio e
così lucido da lasciarci una delle possibili chiavi di lettura di tutto il romanzo:
«Questi ultimi anni», ragionò con voce opaca, ridacchiando, «sono stati la peggiore oscenità di tutta la
Storia. La Storia, si capisce, è tutta un'oscenità fino dal principio, però anni osceni come questi non
c'erano mai stati. Lo scandalo – così dice il proclama – è necessario, però infelice chi ne è la causa! Già
15 Ivi, pp. 593-94.
16 Ivi, p. 422.
*A. Cinquegrani, Davide Segre e l’Anticristo, in La Storia di Elsa Morante, a cura di S. Sgavicchia, ETS, Pisa, 2012.
9
difatti: è solo all'evidenza della colpa, che si accusa il colpevole. ….E dunque il proclama significa: che di
fronte a questa oscenità decisiva della Storia, ai testimoni si aprivano due scelte: o la malattia definitiva,
ossia farsi complici definitivi dello scandalo, oppure la salute definitiva – perché proprio dallo spettacolo
dell'estrema oscenità si poteva ancora imparare l'amore puro... E la scelta è stata: la complicità!». 17
Sono queste ultime riflessioni sulla Storia a riproporre, ancora una volta, quella duplicità senza
soluzione. In questo attimo di lucidità, Davide Segre, delinea il fallimento dell'uomo, di cui lui
stesso fa parte, in uscita dai conflitti mondiale. La scelta che gli viene posta davanti è la stessa che
la Morante vuole fare presente al movimento rivoluzionario in cui ha creduto: scegliere di cambiare
o rimanere complici dello scandalo storico. Davide Segre non sarà più, allora, solo una deriva
intellettualistica da cui fuggire ma anche un punto da cui ripartire per ottenere davvero quella
trasformazione tanto auspicata. Per riuscirci però, sarà necessario, seguendo le ultime strofe di
Partito di Vladimir Majakovskij, uscire dalle proprie stanze e tornare amici dei ragazzi di strada, e
delle persone comuni, le prime ad essere abbandonate dal Potere e dalla Storia.
1.5 La mortuarietà della Storia.
Queste ultime conclusioni ci costringono al difficile tentativo di definire ciò che, per la Morante, è il
grande scandalo della Storia, riconducendoci alla definizione pasoliniana da cui siamo partiti. Uno
degli aspetti più chiari che escono dal romanzo è, senza dubbio, l'impotenza dell'individuo davanti
agli eventi e al loro tempo. È un romanzo fatto di sconfitti, in cui nessun personaggio viene
risparmiato come, dopotutto, è naturale nella vita di ogni uomo. La Morante delinea le due correnti
più significative del rapporto dell'uomo con la propria vita: accettare e non combattere la propria
finitudine o rifiutarla e venirne corrotti totalmente, consci in entrambi i casi che nessuna delle due
possibilità possa davvero salvarci. Non ci viene data una via di fuga ma, soltanto, un avvertimento
su come non finire nella paralisi dell'infelicità di Davide Segre. Proprio tramite questo personaggio
controverso, la cui molteplicità sembra essere preferita di gran lunga alla semplicità di Ida e
Useppe, ci mette a conoscenza del meccanismo spietato della Storia, che avanza disinteressandosi
dell'uomo, generando un'alienazione che non permette all'uomo di possedere il proprio tempo. Se la
fabbrica, infatti, con i suoi metodi automatici e i ritmi serrati di produzione nega all'uomo la
fratellanza, così la storia nei suoi movimenti mostra l'impossibilità di decidere del proprio destino.
Non è un caso che in tutte le storie che Segre racconterà a Useppe ricorrano termini di straniamento
e accettazione di ciò che ognuno si trova a dover vivere:
17 E. Morante, La storia, Einauidi, Torino, 1974, p. 584.
10
«Non so dove ho letto di uno che visitando un lager scorse qualcosa di vivo muoversi in una catasta di
morti. E ne vide uscire una bambina: “Perché stai qua in mezzo ai morti?” E lei gli ha risposto: “Coi vivi
non posso starci più”».18
È questa certezza, fra tutte le altre, a non permettere a Segre di gioire di un'ultima felicità. Il
momento viene assorbito dalla ripetizione storica, in cui ogni sentimento deve essere per forza
ricollegato al generale. Lo scoppio atomico è quel vento tossico che fa attaccare a ogni cosa una
patina di decadenza e orrore. Nessuno si può salvare, nessuno ne è risparmiato. Questa oggettività
esasperata della propria condizione sarà uno degli aspetti che più ricorreranno nel romanzo
successivo, Aracoeli, il cui protagonista, Manuele, non troverà nessun riparo dal Nulla che invade
ogni gesto:
L'oggettività non si spezza tout court, ma si allontana, sfumando sempre più dallo sguardo
straniato del soggetto, che di conseguenza si sente spaesato. Ciò che l'angoscia rivela è il nulla, di
fronte al quale Davide indietreggia inorridito, mentre Manuele, il protagonista di Aracoeli, riesce
a guardarlo. Davide infatti si limita a sentire la sua coscienza insidiata dal Nulla a differenza di
Manuele che è la consapevolezza, quasi sartriana, di questa presenza.19
Il deserto di Manuele non è lo stesso di Davide Segre, che prova a sfuggirgli finché è possibile,
nemmeno la solitudine di cui godono è la stessa. Entrambi sono figli di quella Storia che,
leopardianamente, tutto ricopre e tutto distrugge naturalmente. Ma se Segre, prova con un ultimo
tentativo a opporgli la propria individualità fino a perirne, fuggendo nei paradisi artificiali, a
Manuele questa possibilità è negata dai suoi stessi simili.
La lotta con la Storia, quella dell'uomo e quella personale, non ha mai, per davvero, un vincitore.
18 Ivi, p. 594.
19 E.Puggioni, Davide Segre, un eroe al confine della modernità, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2006, pp. 13-14.
11
Conclusioni.
Il nostro ragionamento non può, ovviamente, concludersi qui. Questo perché Davide Segre, seppur
sconfitto, non è mai davvero morto. Studiarne le caratteristiche principali, definirne ambienti e
situazioni, ci ha portato a una nuova considerazione del personaggio che trascende, ormai, il
giudizio qualitativo. Non si tratta più entrare in empatia con il male che lo sconvolge né, tanto
meno, di confinarlo in uno cassetto polveroso della nostra memoria a fare compagnia alle già tante
figure del nostro immaginario. Si tratta, invece, di calarlo nel nostro quotidiano e di analizzarne le
affinità con le malattie che ancora imperversano nel nostro secolo. È questa capacità di
immedesimazione, e di trasversalità temporale, a rendere i personaggi, e la scrittura, di Elsa
Morante una pietra preziosa. Davide Segre è uno dei personaggi che la letteratura italiana, quasi
inconsciamente, ha abbandonato, proprio come lui ha fatto con se stesso, cercando di superare le
conclusioni a cui lui stesso, come abbiamo visto, è arrivato.
Per comprendere La Storia Romanzo è fondamentale raccogliere i tanti indizi che la Morante fa
spargere dal suo personaggio, il più maledetto probabilmente della sua intera produzione e a cui, per
usare le parole di Pasolini, è affezionata. Se Useppe, per la sua semplicità da cucciolo di animale,
coinvolge una sfera più sentimentale che razionale e risulta immediatamente simpatico, Davide
Segre ha un processo di avvicinamento completamente opposto ma, alla fine, è quello che rimane
più attaccato al lettore. Ed è, ancora, per la sua capacità di anticipare ed esprimere alcuni sentimenti
che non sono scomparsi dal nostro mondo. Ognuno di noi è un'ombra luminosa, e oscilla nello
stesso modo fra l'abisso della resa e l'apice delle piccole conquiste.
Nei suoi profondi limiti Davide Segre, rispetto a tutti i personaggi della Morante, è anche quello
più umano, proprio perché fugge e si vergogna del proprio fallimento. Ma è un immaginario che
assume toni quasi romantici questa suo, non a caso, sentimento di caduta. Davanti allo scandalo
della Storia, come abbiamo visto, è l'uomo a scegliere cosa fare della propria vita senza, però, che
questo ne impedisca l'indifferente svolgimento secondo i propri comodi.
Le parole con cui Elsa Morante dà l'addio al suo personaggio, del resto, sono la migliore
conclusione alla sua breve epopea nel grande libro della storia, che ci lasciano il dubbio anche sulla
volontarietà del gesto, a conferma di come, l'interiorità degli altri sia un mistero più grande delle
forze con cui tutto procede:
Ma il risveglio, in questi casi, uno lo lascia allo sbaraglio e alla ventura: un punto ipotetico-stellare,
che intanto nella prospettiva si allontana dalla terra per una distanza di secoli-luce..
La mia opinione sarebbe che Davide Segre, di sua natura, amava troppo la vita per disfarsene da un
giorno all'altro.20
20 E. Morante, La storia, Einauidi, Torino, 1974, p.621.
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Bibliografia
Fonti primarie
MORANTE E., La storia, Einauidi, Torino, 1974.
MORANTE E., Pro o contro la bomba atomica e altri scritti, Adelphi, Milano, 2013.
Fonti critiche
CINQUEGRANI A., Davide Segre e l’Anticristo, in La Storia di Elsa Morante, a cura di S.
Sgavicchia, ETS, Pisa, 2012.
GARBOLI C., Il gioco segreto, nove immagini di Elsa Morante, Adelphi, Milano, 1995.
PUGGIONI E., Davide Segre, un eroe al confine della modernità, Edizioni dell'Orso,
Alessandria, 2006.
ROSA G., Elsa Morante, Il Mulino, Bologna, 2013.
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