Università degli studi di Verona
Dipartimento Tempo, Spazio, Immagine, Società
Scuola di dottorato in Studi umanistici
Dottorato di ricerca in Scienze storiche e antropologiche
XXV
ciclo / anno 2010
Per ben adempiere al proprio dovere
La sede mantovana del Sant’Uffizio tra
XVI
e
XVIII
secolo
S.S.D. MͲSTO/02
coordinatore prof. Gian Maria Varanini
tutor dott. Federico Barbierato
dottorando Alessio Berzaghi
Introduzione
L’interesse per l’eterodossia mantovana risale alla nascita della
storiografia sul Tridentino, con le prime ricerche che il giovane Paolo Sarpi
conduceva a Mantova, durante gli anni di studio e apprendistato trascorsi
nel convento servita di San Barnaba, quasi testimone dei processi che
stavano chiudendo l’esperienza spirituale legata al cardinale Ercole
Gonzaga, ben prima che l’Istoria del Concilio prendesse forma. Come
racconta Fulgenzio Micanzio, biografo di Sarpi, un importante informatore
per l’Istoria fu Camillo Olivo, il segretario di Ercole Gonzaga che –
declinata la fortuna del padrone – “fu per via degl’inquisitori molto
travagliato, col tenerlo longamente in carcere dopo la morte del cardinale
suo signore.”1 I sospetti, alimentati dai segni di stima che Vergerio aveva
più volte ottenuto a Mantova, erano più che fondati, e il ritrovamento delle
carte di Giulia Gonzaga prima, i processi a Carnesecchi e Calandra poi,
analizzeranno la religiosità dell’entourage della corte gonzaghesca con la
determinazione e il rigore propri di Michele Ghislieri, che poteva portare a
compimento quanto iniziato da Paolo IV.
Che la missione inquisitoriale di Camillo Campeggi del 1567 sia
stato un momento traumatico per la città è chiarito senza dubbio negli
studi di Pagano,2 il quale – ritrovato il processo contro Endimio Calandra
tra gli scaffali del fu Sant’Uffizio3 – incrociò le proprie carte con quelle
relative agli spirituali e al valdesianesimo che Massimo Firpo e Dario
Marcatto già da qualche tempo andavano studiando per l’edizione del
1
MICANZIO, Vita del padre Paolo, p. 1299.
2
PAGANO 1991.
3
ACDF, St. st., E 2 e; ACDF, St. st., D 4 g; sono miscellanee frutto di uno o più riordini
operati dagli archivisti.
–1–
processo Morone4. Il lavoro di Pagano, fittissimo di note d’archivio, deve
molto del suo fascino al continuo trascorrere dal piano interno del processo
(il carteggio con Roma e con Carlo Borromeo, le carte di lavoro di
Campeggi, le testimonianze e i costituti) alla rappresentazione che del
processo veniva percepita, o consapevolmente diffusa, a corte e in città, in
uno scenario in cui le parti in causa hanno visioni differenti sulla natura e
pericolosità dell’eresia, sulla gestione dei benefici ecclesiastici, sulla
possibilità – per il principe di un piccolo stato – di negoziare soluzioni di
compromesso con il pontefice.
Sempre negli anni ’60 si esauriva l’attesa messianica sopravvissuta
alla condanna, nel 1551, di Giorgio Siculo.5 Il tema dell’eterodossia
benedettina è andato chiarendosi lentamente: dalla decifrazione del
Beneficio di Cristo6 e dell’ambiente che l’aveva prodotto7 alla rilettura e
riedizione dei testi folenghiani8 l’importanza culturale del monastero
cassinese di Polirone è stata progressivamente rivisitata, alimentando il
recupero ‘fisico’ del monastero9 e cercando una cifra unitaria che
accomodasse l’inquietudine spirituale della committenza alla maniera e alla
religiosità degli artefici.10 Il confronto tra il linguaggio figurativo e quello
FIRPO – MARCATTO 1987 e FIRPO – MARCATTO 2011; inoltre FIRPO – PAGANO
4
2004.
5
PROSPERI 2000.
6
CAPONETTO 1975; GINZBURG – PROSPERI 1975.
7
PASTORE (CUR.) 1978; FRAGNITO; 1987a, PASTORE 1981; COLLETT 1985.
FOLENGO, Opere; BONORA – CHIESA (CUR.) 1979, GOFFIS 1979, CAVARZERE A.
8
1984, FOLENGO, Macaronee minori; GATTI 1991; FOLENGO, Baldus [1997]; BERNARDI
PERINI 2000 (raccolta di studi precedenti); FOLENGO, Baldus [2004-2007]; infine l’ampio
ZAGGIA 2003.
9
Esemplificativa, benché non immediatamente legata a lavori di restauro, la mostra di cui
è catalogo PIVA (CUR.) 1981. In parallelo procedevano gli studi medievistici.
10
PIVA 1988, PIVA – DEL CANTO (CUR.) 1989.
–2–
Introduzione
teologico-devozionale non ha sempre dato i risultati auspicati, stante la
difficoltà di cogliere le molte sfumature del nicodemismo, talvolta semplice
e sfuggente assonanza.
Al paradigma ottocentesco dei ‘martiri del libero pensiero’, che
Bertolotti11 aveva sviluppato consultando ampiamente l’Archivio di Stato di
Mantova (intravedendo aperture verso la storia del diritto penale), si è
ormai sostituito uno sguardo più attento alle interazioni tra gruppi sociali e
tra apparati amministrativi o di potere12; secondo un modello reticolare
della circolazione della conoscenza che ha reso poco soddisfacente
un’espressione di impronta diffusionista come ‘infiltrazioni protestanti’.13
Gli studi specificamente dedicati alla situazione mantovana hanno in parte
eluso, o forse sottostimato, il rapporto tra il sant’Uffizio e i fermenti
religiosi dell’età del cardinal Ercole,14 mentre gli studi di argomento più
generale hanno incontrato solo sporadicamente le vicende del ducato, il cui
ruolo culturale rimase significativo almeno sino al sacco del 1630.
Le difficoltà per l’indagine storica erano e sono oggettive,
considerata la distruzione dell’archivio locale del Sant’Uffizio operata
dall’amministrazione austriaca dopo una prima cernita effettuata dagli
stessi inquisitori. L’ostacolo è stato solo in parte aggirato ricorrendo alla
corrispondenza dell’Archivio Gonzaga,15 e neppure l’apertura dell’archivio
11
BERTOLOTTI A. 1891.
12
All’intersezione dei quali si situa GRENDLER 2009, che riprende per il caso mantovano,
con indagine particolare e originale, i suoi studi sui vari livelli di trasmissione culturale.
13
14
Titolo di BERTAZZI NIZZOLA 1956, che nell’insieme rimane un utile riferimento.
MURPHY 2000 e MURPHY 2007, comprensibile nei più datati SACCANI 1953,
MAZZOCCHI 1959, ZAGNI 1977, calati in altro contesto storiografico. Maggior
attenzione invece in NAVARRINI 1982 (rielaborato in NAVARRINI 2004) e AVANZINI
1997; sulla circolazione libraria durante la reggenza di Ercole cfr. REBECCHINI 2002.
15
Per esempio CHINCA 1968 e RIZZI 1986.
–3–
della Congregazione per la Dottrina della Fede, nonostante l’efficiente
schedario informatizzato, ha colmato la lacuna, giacché le complessità
maggiori derivano dalla qualità dei documenti rimasti, più che dalla loro
quantità. La corrispondenza di corte illumina il significato ‘laico’
dell’attività degli inquisitori, ma è disorganica e dipendente dal rapporto
che i singoli avevano con la famiglia ducale16; i Decreta registrano solo
l’attività di maggior rilievo, spesso in maniera compendiaria e laconica,
tacendo del tutto la quotidiana amministrazione dei tribunali periferici, che
emerge talvolta da fascicoli riuniti a posteriori per attinenza tematica
(fascicoli che di per sé meritano spesso indagini approfondite).
Un immaginario catalogo generale di tutti gli inquisiti o sentenziati
(che difficilmente potrà emergere dallo spoglio sistematico della carte
romane, se non altro per la mole di lavoro necessaria) dovrebbe rendere
conto non solo delle indagini preliminari, dei costituti e delle sentenze, ma
anche di quanto seguiva le condanne e le assoluzioni, perlomeno la
commutazione o la remissione della pena, con il conseguente isolamento o,
talvolta, la piena reintegrazione sociale dei rei. I numeri inoltre dovrebbero
considerare anche i margini di errore legati all’incompletezza dei dati e
acquisterebbero senso solo quando confrontati con quelli della coeva
giustizia laica, in competizione, più che in conflitto, con quella
ecclesiastica.
I tentativi di stimare l’attività complessiva dell’Inquisizione,
condotti riorganizzando i documenti in schede semplificate e schematiche
(e proprio per questo confrontabili), hanno restituito un importante
dibattito metodologico, ma sono in buona parte rimasti pioneristici,17
16
Situazione che si attenua nel Settecento, quando il governo è sempre più nelle mani di
funzionari statali.
17
JACOBSON SCHUTTE 1987, DEDIEU 1991, DEL COL – PAOLIN (CUR.) 1991, MARTIN
–4–
Introduzione
ricordandoci che i numeri vanno considerati come valore indicativo di quel
che resta, indice d’accesso a un corpus di frammenti, più che misura di una
totalità ormai perduta. La costruzione di un catalogo esaustivo andrà
dunque mantenuta come utopica idea regolativa, ricordando che fu proprio
l’organizzazione di una ‘base di dati’ centralizzata a garantire nel
Cinquecento al rinnovato Sant’Uffizio i primi clamorosi successi. Da
questa prospettiva, per chi cerchi le specificità di una sede periferica18 del
tribunale, come strumento di lavoro il Dizionario Storico dell’Inquisizione è
di meno e di più di un dizionario biografico: vi figurano gli inquisitori,
oltre agli inquisiti,19 abbraccia un lungo periodo, e – soprattuto – permette
di incrociare concetti, temi e ambiti differenti degli studi, restituendo ai
brandelli raccolti in archivio un orizzonte teorico aggiornato.
Dopo il 1568 la situazione a Mantova sembra assestarsi lentamente:
il potere ducale cerca di recuperare autonomia nei confronti dell’inquisitore, senza efficaci risultati, se non limitarne l’ampliamento delle
competenze, il Sant’Uffizio invece si ritaglia una autorità quasi esclusiva su
reati che negli anni ’40 e ’50 erano stati esaminati anche dal tribunale
vescovile. Un piccolo gruppo di sentenze20 porta agli anni ’80 l’estinzione
dell’eterodossia di impronta luterana o calvinista: le successive condanne
1991, DEL COL – PAOLIN (CUR.) 2000, DEL COL 2005, DEL COL 2006; gli inventari DE
BIASIO 1976, TRENTI 2003.
18
Tematica che discute l’uniformità che l’inquisizione avrebbe imposto in Italia, prima
istituzione realmente unitaria in età moderna, e che attrae diversi studi recenti; per i casi
geograficamente vicini a Mantova cfr. DALL’OLIO 1999, AL KALAK 2008; CERIOTTI –
DALLASTA 2008.
19
Allontanando definitivamente la distinzione monolitica e manichea che conosce solo
persecutori fanatici e vittime illuminate: non tutti gli inquisiti furono quelle affascinanti
figure, inquiete e insofferenti, descritte da Cantimori.
20
Conservate in TCD.
–5–
per bestemmie ereticali raramente sentenziano il vehementemente sospetto di
eresia e le contestazioni dottrinali riguardano per lo più personaggi isolati
(religiosi regolari, militari o commercianti di passaggio). Acquistano progressivamente importanza i procedimenti per sortilegi e per ‘sollicitatio’ e,
sul chiudersi del ’500, l’espurgazione delle biblioteche già esistenti,
religiose21 e nobiliari. Dopo il sacco del 1630 la vita culturale della città non
dev’essere stata un gran problema per gli inquisitori, almeno sino a ’700
inoltrato, quando la particolare posizione politica e geografica faranno di
Mantova un punto privilegiato per osservare i rapporti tra l’amministrazione ecclesiastica e quella austriaca, simili l’una all’altra più di quanto
ci si potrebbe attendere a una prima occhiata.
Costante per circa un secolo e mezzo è invece la precaria posizione
della comunità ebraica cittadina e dei più piccoli nuclei presenti nel
ducato,22 intralciati e avviliti dall’incapacità collettiva di giustificare sul
piano religioso una convivenza che nella prassi avveniva quotidianamente,
generando un conflitto endemico a bassa intensità che solo di quando in
quando sfociava in violenze eclatanti, che d’un tratto cancellavano il
21
Al censimento dei mss. Vat. Lat. 11266-11326 di LEBRETON – FIORANI (CUR.) 1985 è
seguito lo spoglio degli indici (http://ebusiness.taiprora.it/bib/index.asp). Riferimento al
caso di Viadana in GANDA 2011. Scrive l’8 marzo 1600 l’inquisitore al duca: “Li libri di
Vostra Altezza Serenissima quali meritano d’essere revisti, et censurati conforme all’indice,
et agli ordini hauti da Roma sono assai, et la maggior parte trattano d’historie, siche à
theologi sarebbe longa fatica: fra gli altri correttori deputati da questo Santo Officio, vi era
un Padre Don Arnoldo Fiandrese Monacho di San Benedetto persona di singolarissima
pratica, et intelligenza di cose d’historie, et versatissimo in tutti li libri di tal professione
havendone già emendato molti altri, et quale in un mese farebbe quella speditione, ch’altri
non potranno far d’un anno […]” (ASMn, AG, b. 2680).
Sui permessi di lettura accordati (e negati) agli intellettuali di corte cfr. BALDINI U. 2009a
e BALDINI U. 2009b.
22
Primo riferimento è ancora SIMONSOHN 1962.
–6–
Introduzione
rispetto di cui spesso godevano, nonostante le discriminazioni, gli ebrei
professionalmente qualificati.23
I continui attriti tra autorità laiche ed ecclesiastiche non hanno
tuttavia mai messo seriamente in discussione la schizofrenica esistenza del
tribunale dell’inquisizione, per un verso corpo forestiero ed estraneo allo
Stato, e per un altro quasi presenza ovvia e imprescindibile, accidente
congiunto alla legittimità del principe, suo doppio e ipostasi della sacralità
del potere.
Nelle pagine che seguono si è quindi cercato di osservare
l’organizzazione interna del tribunale e la costante interazione tra la
congregazione del Sant’Uffizio, la sede periferica e le autorità locali, o –
indirettamente – tra la curia di Roma e il governo di Vienna. Il discorso si è
organizzato attorno a due nuclei salienti, nel tentativo di analizzare con
sufficiente precisione l’importanza dei legami individuali e sociali nella
gestione di un apparato in grado di esercitare il proprio potere solo fin
tanto che gode di consenso nel campo delle rappresentazioni simboliche:
non è un caso che nella Lombardia austriaca la polemica contro
l’inquisizione sia avvenuta sul piano storico, contestandone la genealogia
con una ricostruzione alternativa a quella proposta dalla Chiesa romana.
Le stesse fonti rimaste, del resto, ci allontanano dalle vicende del
singolo individuo24 avvicinandoci invece alla sopravvivenza dell’istituzione,
che in oltre due secoli ha visto succedersi non meno di quarantadue padri
inquisitori.
23
TOAFF 2010. Particolarmente apprezzati i medici di origine ebrea, verso i quali è
documentata la cortesia (o superstizione?) di nascondere il crocifisso quando entravano in
casa a visitare i malati (ACDF,
CC
1 b, fasc. 8, c. 668, 23 gennaio 1616, l’inquisitore
Girolamo da Camerino alla Congregazione).
24
Vicende che popolano le note al testo, almeno quando ricostruibili con sufficiente
chiarezza.
–7–
I frammenti superstiti
Rintracciare i frammenti dispersi della memoria del tribunale è,
obtorto collo, un passaggio indispensabile. Nel caso di Mantova siamo ben
lontani dall’abbondanza dei fondi reperibili negli archivi di Venezia o
Modena, e già disporre di un buon indice onomastico degli inquisiti
rappresenterebbe un progresso notevole. I tentativi sinora condotti1 hanno
mostrato che è poco ragionevole sperare di compilare un elenco esaustivo,
ma che non è impossibile, almeno su limitati periodi cronologici,
raccogliere qualche informazione utile.
Il tribunale aveva necessità di associare alla segretezza l’efficienza
burocratica: se la prima ha portato a una modestissima circolazione dei
documenti al di fuori degli uffici competenti, la seconda ha prodotto la
consueta moltiplicazione di carte e copie. Uno schema ideal-tipico, che
quasi mai troviamo perfettamente applicato, inizia dalla denuncia scritta e
dagli interrogatori verbalizzati alla presenza del notaio, prosegue con le
memorie difensive dell’imputato, le note informative inviate da altri uffici
inquisitoriali, gli ordini provenienti dalla Suprema congregazione, sino a
giungere
all’ ‘espeditione’,
che
richiedeva
un
riassunto
dei
capi
d’imputazione. La sentenza vera e propria li ripeteva quasi integralmente, e
finalmente l’abiura del reo nuovamente li passava in rassegna uno ad uno.
Una copia ‘de verbo ad verbum’ era controfirmata da un notaio e veniva
inviata alla Congregazione romana, dove ne veniva redatto un breve
riassunto, che nei casi di maggior importanza era letto alla presenza dei
reverendissimi cardinali, a mostrare che le loro istruzioni erano state
eseguite dal tribunale locale.
1
BERTOLOTTI 1888, BERTOLOTTI 1891, BERTAZZI NIZZOLA 1956, RIZZI 1986.
–8–
I frammenti superstiti
L’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede
L’archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, cui sono
confluite le carte delle congregazioni del Sant’Uffizio e dell’Indice, non
dispone delle serie complete dei processi e delle sentenze che ha custodito
sino a tutto il ’700: dopo il saccheggio del 1559, alla morte di Paolo
IV
Carafa, un’altra grave distruzione di documenti avvenne con la seconda
occupazione francese e il trasferimento a Parigi delle carte romane:
nonostante la perdita di alcuni carri rovesciatisi nel Trebbia, nel 1810
giunsero in Francia circa 7900 pezzi. In seguito alla caduta di Napoleone,
nell’impossibilità di pagare tutte le spese per la spedizione a Roma, si decise
di vendere come carta da macero quanto ritenuto di poco pregio (circa
3600 pezzi); alcuni volumi furono acquistati da banchieri e rivenduti alla
Chiesa, altri arrivarono nel 1854 alla biblioteca del Trinity College di
Dublino.2
I manoscritti presso il Trinity College di Dublino
I manoscritti numerati da 1224 a 1277 contengono circa trenta
copie autenticate di sentenze provenienti dal tribunale mantovano, in
buona parte relative al mandato di frate Giulio Doffi, negli anni ’80 del
Cinquecento, durante l’episcopato di Marco Fedeli Gonzaga.
Si tratta di una fonte che non mostra, almeno per Mantova, casi
eclatanti, ma permette di valutare lo spostamento dell’interesse dei giudici
dall’eresia – sempre meno definita ‘luterana’ – alla lotta contro la
stregoneria e verso l’ignoranza superstiziosa, non esclusivamente femminile
2
Pur con qualche lacuna la vicenda è complessivamente nota, cfr. tra gli altri TEDESCHI
2000. I relativi microfilm, editi nel 1985, sono disponibili a Venezia presso la fondazione
Cini e in parte presso l’Università degli Studi di Milano.
–9–
né confinata alle classi incolte, trattata con accenti sempre più
paternalistici. Rimane costante invece la repressione contro l’abuso dei
sacramenti e i comportamenti immorali del clero, in quella categoria di
reati detti ‘di misto foro’, e come tali difficilmente attribuibili in modo
esclusivo alle magistrature ducali3 o ai tribunali ecclesiastici, vescovile e
inquisitoriale. La sovrapposizione delle competenze dei tre tribunali, se ha
lasciato anche durante l’ordinaria amministrazione qualche conflitto
giurisdizionale, sembra mostrare soprattutto una convergenza di interessi e
di mentalità della struttura repressiva.
Archivi mantovani
Derivato dall’archivio segreto di casa Gonzaga e quindi dall’Archivio governativo austriaco, l’Archivio di Stato di Mantova conosce tra il
1760 e il 1775 un importante riordinamento, che divide i documenti del
periodo gonzaghesco per materia, scompaginando in maniera a volte
irrimediabile la successione originaria delle carte e rendendo difficile
riconoscere serie coerenti di carte quando collocate in buste diverse. I fondi
relativi ai beni demaniali e agli affari ecclesiastici sono stati quelli più
consultati, oltre ovviamente all’Archivio Gonzaga, per la corrispondenza
privata e di Stato. Di poco profitto si è invece rivelata l’indagine a
campione nell’Archivio notarile, cui avevano indirizzato le vicende di
Rodomonte Atti, per qualche tempo notaio del Sant’Ufficio:4 non sono
3
Cfr. ad esempio CANOVA – NOSARI 2008 dove vengono presentate ampie trascrizioni
dal processo del Carmelino, istruito negli anni 1570-71 dai giudici Lelio Montalero e
Alessandro Angelini per ordine del duca Guglielmo Gonzaga (verbali sono in ASMn,
Notarile, notaio Vacca, b. 9477). Considerazioni di carattere generale in LAVENIA 2001 e
VERONESE 2010.
4
A quanto pare fu un caso isolato, e i notai interni all’ordine domenicano furono la quasi
– 10 –
I frammenti superstiti
emersi significativi riferimenti al tribunale o, ad esempio, sequestri librari
in occasione di eredità e controlli doganali, come avrebbero previsto le
disposizioni pontificie.
Meno chiara è invece la formazione dell’Archivio Storico Diocesano, in cui i fondi Mensa vescovile e Curia vescovile sono i più ricchi di
informazioni per l’età moderna, mentre le 6 buste di Contenzioso e
correzionale sembrano una ricomposizione novecentesca di fogli e fascicoli
sparsi, in buona parte relativi all’amministrazione dei livelli o all’esecuzione
di disposizioni testamentarie; più raramente compaiono reprimende contro
i comportamenti immorali del clero e dei laici della diocesi5.
Occasionali rinvenimenti si hanno anche presso la Biblioteca
Comunale di Mantova, in cui sono confluiti molti volumi dalle biblioteche
degli ordini monastici soppressi.
totalità, escludendo i patentati che con la qualifica di notaio esercitavano semplici funzioni
nelle vicarie.
5
A titolo meramente esemplificativo un selezionato e incompleto regesto di AStDMn,
Cont.: 1546 - misure disciplinari contro i canonici della cattedrale, si minaccia la
sospensione a divinis. 1546 - ordini dalla curia per evitare litigi di precedenza durante le
celebrazioni dell’Epifania, indirizzata a molte parrocchie del contado. 1550 - ordine di
indagare su Elisabetta da Bergamo, arrestata: se abbia compiuto esorcismi, di che
condizione economica e familiare sia. 1563 - banno da tutta la diocesi contro Giovan
Giacomo Giambelli, chierico detenuto nel carcere comune di Mantova. 1592 - contro
Ottavio Pasino: ordine di appurare in quale modo bestemmia (per sporgere eventualmente
denuncia all’Inquisizione) e se frequenta regolarmente la messa. 1594 - Laura Arrigona,
incarcerata nell’Ospedale grande di Mantova, per cause imprecisate. 1594 - editti del
vescovo frate Francesco Gonzaga circa errori di ‘superstitioni e stregarie’, da pubblicarsi
nel celebrare le messe. 1594 - punizione contro mugnai che hanno macinato in giorno
festivo. 1595 - finto matrimonio di Girolamo de Grandi. 1595 - lite per il giuspatronato
della cappella del Santissimo Rosario in San Domenico.
– 11 –
Gli archivi di Venezia e Ginevra
Fuori da Mantova il fondo più importante, Roma a parte, è quello
presso l’Archivio di Stato di Venezia, che contiene circa 30 casi di interesse
mantovano che coprono un arco cronologico abbastanza ampio, dalla metà
del ’500 ai primi del ’700: normalmente sono di mantovani di passaggio6
per ragioni di lavoro (o per incarichi ricevuti dai superiori, se religiosi
regolari), più raramente si tratta di emigrati che risiedono per anni in
laguna7 e che sembrano aver troncato ogni contatto con la comunità di
origine, cristiana o ebrea che fosse. Alcune carte sono copie autenticate di
dichiarazioni redatte a Mantova, e valgono quindi a tutti gli effetti come
traccia dell’attività mantovana dell’Inquisizione. Vi si possono aggiungere
quattro deposizioni custodite nell’Archivio Patriarcale, una delle quali –
quella di Ortensio Muscallino da Vicenza8 – conferma le notizie pubblicate
da Galiffe9 circa la presenza di esuli mantovani a Ginevra10.
Ad esempio Massimiliano Monteverdi, figlio minore del ben più famoso Claudio.
6
Imprigionato a Mantova nel 1626 per il possesso di un libro proibito, nel 1636 a Venezia è
denunciato per magia, su insistenza del confessore, dalla moglie Annetta (che ha lasciato
da quattro anni). ASVe, Santo Uffizio, Processi, b. 92, febbraio 1636. Brevi cenni biografici
nella voce relativa al padre in MGG, Monteverdi Claudio (Leopold Silke).
7
Come Laura Casabria, vedova mantovana “quae nescit scribere” e che in corte a Murano
insegna ai bambini il sortilegio dell’anghistara. ASVe, Santo Uffizio, Processi, b. 65, anno
1589.
8
AStPVe, Criminalia Sanctae Inquisitionis, 2 (1561-1585), cc. 397-410, 11 maggio 1585.
9
GALIFFE 1881.
10
Una ulteriore ricerca oltralpe appare difficoltosa, considerato che i fondi ginevrini del
Concistoro e del Notarile, di faticosa lettura, conservano poche notizie sui rifugiati che
non abbiano raggiunto posizioni di rilievo in città. Il manoscritto di Burlamacchi (cfr.
ADORNI BRACCESI 1991), relativo alle memorie della chiesa italiana, contiene scarse
informazioni personali e la stessa letteratura confessionale calvinista ha trascurato quanti
non si sono impegnati in una produzione teologica scritta. Ringrazio per i suggerimenti la
prof. Daniela Solfaroli Camillocci dell’Institut d’Histoire de la Réformation di Ginevra.
– 12 –
I frammenti superstiti
Mancano notizie precise sui contatti di mantovani con altre città
elvetiche come Berna o Basilea, dove Francesco Stancari aveva stampato
l’Opera nuova della Riformatione11, il bergamasco Guglielmo Grataroli
curava le edizioni postume di Pomponazzi12 e dove più tardi Alfonso
Corradi pubblicherà, quasi tardiva professione di fede, un commento
all’Apocalisse13 di impronta umanistica.
Risultati del censimento
I numeri risultanti dalle indagini archivistiche e bibliografiche sono
riassunti dai grafici, che registrano le notizie su quanti furono coinvolti in
indagini dipendenti dal tribunale mantovano, anche qualora le prime
informative non siano sfociate in processi ben formati o nella ‘spedizione’
definitiva; al di là delle lacune certamente ampie, sono sistematicamente
non rilevabili tutte le spontanee comparizioni che si risolvevano in piccole
multe o penitenze, frequentemente assegnate tramite moduli prestampati e
compilati
frettolosamente,
come
capita
di
incontrare
anche
nei
procedimenti settecenteschi conservati a Venezia.
11
Opera nuova di Francesco Stancaro mantoano della Riformatione, si della dottrina
Christiana, come della vera intelligentia de i sacramenti: con matura consideratione &
fondamento della Scrittura Santa, & consiglio de Santi Padri: non solamente utile, ma necessaria
à ogni Stato & conditione di Persone, in Basilea, il primo Aprile
MDXLVII.
“Gratuitamente
controversista” (CANTIMORI 1947), Stancari è l’unico mantovano citato nella matricola
degli studenti italiani a Basilea (BUSINO 1958); le notizie biografiche relative ai suoi
trascorsi mantovani non vanno molto oltre quanto raccolto da Leopoldo Camillo Volta
(Diario per l’anno 1786) e sono del tutto sconosciuti i rapporti che potrebbe aver
mantenuto con la città d’origine durante i suoi anni di peregrinazione per l’Europa
orientale. Cfr. anche RUFFINI 1955, CACCAMO 1970, PROSPERI 1996, CARAVALE 2003.
12
Petri Pomponatii philosophi et theologi doctrina et ingenio praestantissimi, Opera, Basileae,
ex officina Henricpetrina, MDLXVII.
13
In Apocalypsim d. Ioannis apostoli commentarius Alfonsi Conradi Mantuani, Basilaeae,
apud Petrum Pernam, MDLXXIIII. Cfr. DBI, Corradi d’Austria, Alfonso (A. Biondi 1983).
– 13 –
L’importanza del tribunale mantovano rispetto alle sedi vicine può
forse essere stimata dai richiami che compaiono nei Decreta: verso fine
Seicento14 Mantova è citata poco più di 10 volte l’anno, la metà rispetto a
Milano, ma circa il doppio di Casale e Crema, lasciando intuire un’attività
paragonabile a Modena o Ferrara, di poco superiore rispetto a Pavia e
Cremona.
Assumendo “lo sguardo dell’inquisitore”, in definitiva unico vero
classificatore e ordinatore delle molte forme di eterodossia perseguite in età
moderna, è possibile aggregare i dati in forma sommaria, ricavando una
netta prevalenza di inquisiti laici e maschi, senza particolari variazioni tra
metà Cinquecento e fine Settecento; i laici rappresentano circa i 4/5 del
totale e all’interno del clero prevalono i regolari. Presumibilmente ingannevole è invece l’andamento complessivo dei casi segnalati, il cui forte
decremento nel corso del XVII secolo potrebbe essere semplicemente effetto
della maggior disponibilità di bibliografia di argomento cinquecentesco. La
crescente preoccupazione per le forme di convivenza e familiarità tra
cristiani ed ebrei è invece confermata da numerosi passaggi nella corrispondenza epistolare; le stime numeriche, basate principalmente su due
riepiloghi databili al 1684,15 mostrano la netta prevalenza dell’inquisizione
sul tribunale vescovile, che nello stesso periodo poteva esibire solo una
ventina di procedimenti simili.
Quando i capoversi dei verbali erano ordinati secondo gli argomenti di discussione, e
non più seguendo le buste della corrispondenza.
15
I dati sono spediti in congregazione dall’inquisitore, che cerca di giustificare la propria
supremazia giurisdizionale sul tribunale vescovile (essendo indubitabile quella sul tribunale
laico); cfr. ACDF, St. st., LL 4 f, Compendio e nota delle cause e spontanee comparizioni
d’Hebrei di commercio carnale con donne Christiane fatte nell’Inquisitione di Mantova
dall’Anno 1598 sino all’Anno 1635 inclusive e Sommario e nota delle Spontanee Comparizioni e
cause fatte nel Santo Officio di Mantova, di commercio carnale di Hebrei con Christiani,
dall’Anno 1636 sino all’Anno 1684. Un’analisi approfondita non è stata possibile per i lavori
di restauro cui sono stati sottoposti i fascicoli.
14
– 14 –
I frammenti superstiti
casi censiti
120
100
5
80
8
9
91
familiarità con ebrei
60
45
40
femmine
non specificato
stima dei casi riguardanti eccessiva familiarità tra cristiani ed ebrei,
comprese le comparizioni spontanee
– 15 –
9
75
-1
79
4
-1
50
anni per i quali si è provveduto allo
spoglio sistematico di ACDF, Decreta
maschi
1
77
9
17
25
-1
74
4
00
-1
72
9
16
75
-1
69
4
67
16
50
-1
64
-1
25
7
1
9
4
16
00
-1
62
9
59
15
75
-1
57
15
50
-1
54
-1
25
15
1
4
1
9
0
9
9
6
16
5
21
20
17
21
17
13
3
17
20
familiarità con ebrei
familiarità con ebrei
67
laici e religiosi
200
180
160
140
120
136
100
80
60
70
40
20
0
16
2
1500-1549
37
1550-1599
11
1600-1649
21
28
8
1650-1699
6
1700-1749
% laici e religiosi (1500-1799)
laici
religiosi
religiosi secolari e regolari
45
40
35
10
30
25
20
15
29
10
14
5
0
5
3
6
1500
1600
1700
– 16 –
secolari
regolari
35
1750-1799
Sovrapposizioni
Una completa separazione delle competenze dei tre tribunali (laico,
vescovile, inquisitoriale) non è mai pienamente avvenuta, con ripetute e
reciproche invasioni di campo.
Così nel 1571 il castellano di Medole chiede all’arciprete la lista
degli inconfessi1 e nel 1575 vescovo e duca sono unanimi nell’impedire la
venerazione dell’immagine della Madonna “che è sul muro incontro a San
Martino”, dove il volgo – che sempre “inchina a cose nuove” – andava
spontaneamente riunendosi all’ora dell’Ave Maria:2 alcuni dubbi teologici,
la vicinanza di uomini e donne (che dava occasione per compiere qualche
atto “men che onesto”) e le preoccupazioni per la salute pubblica, “durando
il sospetto di peste” spingono le autorità a spegnere la devozione sul
nascere, ottenendo senza strepito che tutti se ne tornino a pregare nelle loro
chiese.
Pochi anni più tardi troviamo i consiglieri di duca e vescovo3
nuovamente concordi nella gestione della vita pubblica, scavalcando
l’inquisitore, che a sua volta si è pesantemente intromesso nella pastorale
diocesana, come sottolinea il segretario del vescovo:
Il reverendo padre inquisitore m’ha instato più volte
monsignor reverendissimo che volesse far provisione alla
santificatione delle feste, et se bene non vorrebbe essere
nominato, egli in ciò preme assiduamente in tanto, che se
1
ASMn,
AG,
b. 2586, 26 dicembre 1571: “tutti si confessorono et comunicorono al
giubileo dell’estate passata”.
2
ASMn, AG, b. 2595, 4 e 9 agosto 1575.
3
Marco Fedeli, di famiglia vicina alla corte, gratificata col diritto di apporre ‘Gonzaga’ al
proprio cognome.
– 17 –
posso dire secretamente a Vostra Signoria Illustre, l’inchiusa
lettera Pastorale è opra sua, né io v’ho dentro parte se non di
qualche paroluzza, et perché veggo ch’ad esseguire con tanta
strettezza questa osservanza delle feste ci bisognarebbono
molte cose, et che sarebbe quasi impossibile ad effettuarle, et
maggiormente ne i mercati, et balli, ho voluto che Vostra
Signoria la legga, et come secretario et consigliere, di Sua
Altezza Serenissima et come correttore: piaccia a Vostra
Signoria di non nominare il detto Padre, perché so che lo
haverebbe a male.4
Non molto diversamente si comporta il vescovo nel 1581, quando
informa Zibramonti, segretario ducale, che non potrà esimersi dal
pubblicare la grida contro gli ebrei “almeno nella nostra chiesa”,5 non
potendo resistere alla volontà del papa Gregorio XIII e del cardinal Savelli.
Gli sconfinamenti non capitavano solo in occasione di novità
legislative, ma avvenivano anche per quei reati chiaramente disciplinati,
come la bestemmia, contemplata dagli statuti mantovani nel secondo
Cinquecento: un sondaggio condotto sulle carte della magistratura
criminale sui riepiloghi che vicari e podestà inviavano a Mantova fa
emergere che il 2% circa dei provvedimenti presi dal potere secolare
riguardava i bestemmiatori, ed entro questo 2% la bestemmia si
accompagnava quasi sempre a reati ritenuti più gravi, di solito l’aggressione
violenta o la minaccia a mano armata.6 In questo ambito però la
4
ASMn,
AG,
b. 2612, 17 gennaio 1580, Andrea Antonino, segretario del vescovo alla
Corte (a Zibramonti?).
5
ASMn, AG, b. 2615, 10 agosto 1581.
6
ASMn, AG, Criminali, b. 3456 (1553-1559); b. 3461 (1577-1582); b. 3467 (1594-1596)
con circa 1600 casi, di cui 32 comprendono la bestemmia. Su altre statistiche relative alla
– 18 –
Sovrapposizioni
riorganizzazione del Sant’Uffizio seguita alla missione di Campeggi non ha
portato a particolari collaborazioni: nel 1581 il vescovo chiede chiarimenti a
Zibramonti circa la possibilità di coordinare gli interventi, trasmettendo i
nomi dei rei da un tribunale all’altro.7 Le carceri ducali potevano essere una
buona pista per scovare tra i bestemmiatori quelli con inclinazioni ereticali,
ma il tentativo di visitarle sistematicamente sarà proibito dalla
congregazione.
La bestemmia profferita ad alta voce e in pubblico è motivo di
scandalo e – al di fuori del suo contenuto ‘informativo’ – è atto malvagio di
per sé; potremmo dire, aggiornando la terminologia, che è un atto
performativo che definisce il soggetto che la pronuncia. La cura dei giudici
di fede diventa allora escludere gli improvvisi scatti d’ira e stabilire
l’intenzionalità del bestemmiatore: se è uomo di sufficiente cultura la
bestemmia è spia di eresia, se si tratta di persona dappoco la bestemmia,
anche ereticale, è il risultato di un habitus morale di oltraggio e noncuranza
verso la Chiesa, e – implicitamente – la negazione del ruolo centrale della
gerarchia romana nella società, ma si risolve il più delle volte con un
sospetto di eresia, vehemente se accompagnato da altri indizi, come il
frequente rifiuto dei digiuni e dei precetti alimentari.
Sono ad esempio questi i casi, tutti di abiure come vehementemente
sospetti, di don Innocenzo da Mantova8, monaco montolivetano, e di
criminalità cfr. invece ROMANI M. A. 1980.
7
ASMn, AG, b. 2612, 4 agosto 1580, il vescovo a Zibramonti: “Saprà Vostra Signoria che
quel memoriale che li fu dato da parte mia, non fu dato ad altro fine, che per sapere in
generale la mente di Sua Altezza Serenissima in materia delle bestemmie hereticali, cio è
se il santo Ufficio della Inquisitione ha da haverne la cognitione ò nò, per havere inteso
quanto ho scritto in esso memoriale.”
8
Don Innocenzo da Mantova, monaco montolivetano (TCD, ms. 1225, 11 e sgg.). Di età
avanzata, risiede spesso a Bagnolo in una corte di proprietà del monastero, dove è aiutato
– 19 –
Rodomonte Thiene9, che basa la sua difesa proprio sulla occasionalità delle
sue bestemmie. Giovan Battista Sacchi10, recidivo, oltre a bestemmiare
istiga i passanti per la pubblica via a disertare la confessione sacramentale:
dopo aver giurato una prima volta de levi sarà condannato de vehementi a sei
anni di reclusione, una delle pene più pesanti. Se la caverà invece con tre
anni di sospensione a divinis don Nicolò de Zoni11, bestemmiatore
da una massara. Attento più al temporale che allo spirituale, gli si rimproverano
bestemmie ereticali, mancata osservanza dei digiuni e dei pasti di magro, mancata
celebrazione della messa. Sarà carcerato e interrogato nel suo monastero e nelle carceri del
Santo Ufficio. Nel 1580 la sentenza lo dichiara “vehementemente sospetto d’heresia”,
condannandolo a 5 anni di prigione e alla privazione per i primi 3 di voce attiva e passiva
in capitolo, cui si aggiunge la sospensione a divinis.
9
Rodomonte Thiene, detto il contino di Lodrone, del fu Giovan Domenico (TCD, ms.
1226, ff. 284 sgg.; RIZZI 1986, num. 92). Marito di Margherita Grossini (a sua volta
sponte comparens per magia dietro insistenza del confessore), Rodomonte è inquisito per
bestemmie ereticali e per violente intemperanze contro una immagine di Gesù in croce, il
tutto avvenuto in pubblico e con ‘notabil scandalo’, alla presenza di testimoni che
depongono determinandone la condanna. La sentenza (3 settembre 1581) di “vehemente
sospetto” prescrive frequenza ai sacramenti, digiuni per tre anni e anche una
elemosina/multa di 25 scudi, cui se ne aggiungono altri 2 ad ogni nuova bestemmia,
secondo la tariffa imposta a suo tempo dal cardinal Ercole.
10
Giovan Battista Sacchi figlio di Simone, cittadino mantovano (TCD, ms. 1225, ff. 188
e sgg., 15 aprile 1580). Abitante presso il convento degli Agostiniani, già condannato de
levi, persevera nelle bestemmie ereticali, non rispetta i precetti alimentari e nega la
confessione, appellandosi alla mala condotta dei frati più che a ragioni teologiche.
Arrestato e dichiarato “sospetto vehementemente”, riceve sei anni di prigione e due di
digiuni e penitenze “acciocché […] per l’avvenire sii più cauto”.
11
Don Nicolò Zoni del fu Giovanni, parroco di Santa Maria del Bosco, presso Gabbiana
(TCD, ms. 1226, ff. 51 e sgg.). Forti dissidi con la propria comunità hanno determinato la
denuncia contro il rettore della parrocchiale di Santa Maria del Bosco, frazione di
campagna a circa 15 chilometri da Mantova. La visita apostolica del suffraganeo di
Bologna Angelo Peruzzi (1585) ci informa di una rendita di cinquanta ducati aurei ‘de
camera’ a fronte di una popolazione che raggiunge le 300 anime, con 40 iscritti alla
– 20 –
Sovrapposizioni
abituale, in forte dissidio con la propria piccola comunità parrocchiale, di
cui osteggia la compagnia del Santo Rosario. A riprova dello statuto ‘misto’
della bestemmia, a cavallo di dottrina e morale, incerta tra privato e
pubblico (laico o religioso che sia), è il fatto che il processo contro don
Nicolò sia partito per iniziativa vescovile, per ‘mala condotta’, non per
incompetenza teologica.
Inversamente sarà il duca Vincenzo a pensare di avvalersi
dell’ecclesiastico per punire le colpevoli di maleficio, ottenendo l’11 marzo
1595 un secco rifiuto da Roma,12 che comunque non fermerà la
confraternita del Santissimo Sacramento (altre notizie sulla piccola comunità in PUTELLIb
1934). Don Nicolò ha fama di bestemmiatore e ha rivelato i peccati uditi in confessione,
ma contro di lui deve aver influito non poco anche lo scarso rispetto mostrato verso la
compagnia del Santo Rosario, di cui boicotta le processioni, straccia il foglio con le
indulgenze concesse e cancella i nomi degli iscritti dall’apposito registro. Incarcerato nelle
prigioni del vescovato è trasferito a quelle del Sant’Ufficio. Temendo la tortura prepara tre
bollettini di scongiuri, che insegna a un compagno di cella ma che al momento del bisogno
si rivelano poco efficaci, come annota la sentenza di “vehemente” sospetto d’eresia. La
pena è di 3 anni di sospensione a divinis, con la concessione della sola recita dell’ufficio
delle ore, il divieto di lasciare la diocesi, digiuno una volta al mese, e – nel consueto stile
pedagogico – l’obbligo di recitare ogni giorno per tutta la vita la terza parte del Rosario.
L’impressione è di trovarsi di fronte a residui di contestazioni pretridentine, ma l’Aggiuro,
in maniera insolita, evita di definire teologicamente la sospetta eresia, né sembra che vi sia
stata da parte del fiscale una ricerca di complici. Sentenza inviata a Roma il 24 febbraio
1581.
12
Segnalazione in LAVENIA 2001, nota 71, da cui si trascrive: “Se bene le cause de’
malefici, stregarie e sortilegj sono misti fori, cioè in esse si può procedere così
dall’Inquisitore, come quando sapiunt haeresim manifestam, dal vescovo et ordinario del
luogo, o che sapiant o vero non sapiant haeresim, non però la cognitione di esse cause
tocca foro secolare, poiché in esse si tratta di materia spirituale e di apostasia della santa
fede di Christo al demonio, e per tanto è cosa mera ecclesiastica, e per questo la Santità di
nostro Signore non ha giudicato necessario il breve che domandava l’Altezza del
Serenissimo Duca di Mantova sopra il concedere che li preti, i quali rivelassero simili
delitti di stregarie, non incorressero in irregolarità, poiché non possono denuntiare né
– 21 –
magistratura, tanto che pochi anni più tardi occorrerà nuovamente
precisare che la “corte secolare può procedere contro le streghe et stregoni
per l’infanticidij, malefitj et altri delitti da loro commessi; ma prima di
spedirgli gli ha da rimettere al Santo Officio per conoscere la causa
dell’apostasia”.13
La pubblica messa in scena
Lettura delle sentenze
Sono limitati all’ultimo scorcio del Cinquecento gli anni in cui
dell’inquisizione e della lotta all’eresia si dà una rappresentazione evidente e
socialmente esibita. Qualche abiura in San Domenico, condotta però con
discrezione,14 risulta già prima dei processi istruiti da Camillo Campeggi,
riservatezza che forse ha pesato sul giudizio tutto sommato positivo
riservato al suo predecessore, il “mite” Aldegatti.
Era stata invece pensata per coinvolgere gli spettatori, amplificando
l’effetto propagandistico e deterrente della condanna, la lettura delle
sentenze contro i contumaci Jacopo Strada e il figlio Paolo15, avvenuta
testificare se non avanti all’inquisitore o al vescovo, come di cose mere spirituali, e così
denuntiando o testificando sono sicuri di non incorrere in irregolarità alcuna.” (ACDF, St.
st., Q 3 d, cc. 109v-110r).
13
LAVENIA 2001, p. 57 (ACDF, St. st., LL 5 g)
14
Da CHINCA 1969: “Hoggi habbiamo fatto abiurare due heretici in San Domenico […
… …] li errori sono gravi ma per gratia d’Iddio non sono stati scandalosi perché questi
due heretici non si assicurando di parlarne con altri in città catholica, ne ragionavano
solamente fra loro, et per questo rispetto, et ancho per non dare in questi tempi qualche
nota a questa città, li abbiamo fatti abiurare in secreto abbruciando i libri che tenevano
nelle loro case” (ASMn, AG, b. 1940, 5 gennaio 1562).
15
Ampia la bibliografia su Jacopo Strada, sulla cui eterodossia cfr. PAGANO 1991 e
LOUTHAN 1997; le sentenze sono in TCD, ms. 1225, c. 131 e TCD, ms. 1226, cc.
– 22 –
Sovrapposizioni
domenica 4 giugno 1581 “in medio ecclesiae sancti Dominici Mantuae ad
oppositum pergami”16 presente “maxima populi multitudine”. La fama dei
personaggi e il loro prolungato rifugio presso la corte imperiale avevano
influenzato la decisione, e la solennità dell’atto era stata ribadita il 26 luglio
con l’abbruciamento in piazza dei “pavoni” che ne raffiguravano le
sembianze17, assieme ai libri e alla statua di don Valeriano Peverari18.
164 sgg.
Il 6 aprile 1582 il vescovo scrive ad Aurelio Zibramonti circa la cappellania lasciata vacante
da Paolo Strada: “[…] Di più priego Vostra Signoria che voglia far sapere a Sua Altezza
che la capella di messer Paolo Strada, non è mai stata conferita ad alcuno, dopo la
privatione seguita dal Santo Ufficio della Inquisitione et per quanto intendo ella è de
juspatronato dell’Altezza Sua, ma ho dubbio, che per esser stato privato dal Santo Ufficio
come heretico, se l’Altezza Sua pottesse presentarla all’ordinario, o pure se bisogni andar a
Roma per la presentatione, et speditione delle Bolle, perché havendo letto la Bolla di
Pio V De reservatione beneficiorum propter haeresim vacantium trovo che ella è generalissima
et non osserva di juspatronati; et perché non v’è nisuno che celebri a detta capella, in modo
che la chiesa nostra vien defraudata di quella messa, et non si soddisfa al legato […]”
(ASMn, AG, b. 2619).
16
TCD, ms. 1226, cc. 164r sgg.
17
Segnalato già in BERTOLOTTI A. 1891, p. 64.
18
Don Valeriano Peverari, cremonese (TCD, ms. 1225, cc. 131 e 134 e sgg.; TCD, ms.
1226, cc. 162 sgg.; anni 1576 e 1580-1581). Don Valeriano è caduto più volte sotto
l’attenzione degli inquisitori: il 17 marzo 1576 il cardinal di Pisa, su ordine di papa
Gregorio
XIII,
prega il duca Guglielmo Gonzaga di farlo accompagnare, come detenuto
dall’inquisitore di Mantova, al confine con Ferrara, verosimilmente in vista di un suo
trasferimento a Roma “per causa di condannatione et d’importanza”. Il processo sembra
essersi concluso con un sospetto de vehementi e con l’ordine di penitenze salutari e prigione
perpetua nel “suo monastero di Santo Bartholomeo di Mantova” dal quale fugge
probabilmente verso la fine del 1579. Viene quindi citato a mezzo del nunzio tribunalizio,
del banditore e dell’affissione di manifesti nei luoghi consueti della città. L’11 marzo 1580
“in aula maiore” del Santo Ufficio di Mantova, l’inquisitore fra Giulio Doffi constata la
mancata comparizione (nonostante sia trascorso un tempo congruo dalla pubblicazione
della sua citazione) dichiarandolo ribelle e contumace; il notaio frate Girolamo Capuense
– 23 –
Si trattava comunque di un rituale poco frequente, visto che negli
stessi anni per la lettura delle sentenze sono preferite l’aula capitolare del
convento, la cappella maggiore della chiesa di San Domenico o – come per
la sentenza contro Giulio Framberti19, pronunciata sempre il 4 giugno 1581
– la meno solenne aula del Sant’Uffizio.
Del resto l’accusa contro Framberti era meno grave, il reato non era
noto e manifesto a chiunque e l’imputato (comunque persona di riguardo)
non si era sottratto al procedimento, benché verosimilmente non si fosse
trascrive quindi la dichiarazione pubblica di scomunica, da affiggere alle porte della città.
Formato valido tribunale, vescovo e inquisitore procedono alla sua degradazione e
deposizione da ogni ordine sacerdotale e ne dispongono la consegna alla corte secolare per
il castigo. Il rogo dell’effigie e dei suoi libri avverrà il 26 luglio 1581, durante la stessa
cerimonia in cui si bruciano le statue degli Strada.
Difficile identificare la famiglia di origine di don Valeriano tra i numerosi Peverari o
Piperari presenti tra Cremona, Mantova e Guastalla verso la fine del Cinquecento. I
Piperari di Mantova tenevano un banco a Venezia, fallito nel 1564 (cfr. Collezioni
Gonzaga, vol. 8) mentre Guglielmo e Vincenzo Peverari (‘signori’ e non ‘messeri’) sono tra
i Rettori delle Parrocchie che giurano fedeltà durante l’incoronazione di Vincenzo
Gonzaga nel 1587 (FOLLINO 1587). Sull’arciprete di Guastalla don Lelio Peverari, attivo
negli stessi anni, sospeso dai propri incarichi pastorali e bandito per diversi anni da
Guastalla e Mantova, cfr. FOSSATI 2005 e RURALE 2008a.
19
Giulio Framberti (TCD, ms. 1226, cc. 164 e sgg.; cfr. DOM). Era senatore della città e
ambasciatore per conto del duca Guglielmo, secondo una tradizione familiare che aveva
già visto il padre Girolamo al servizio del marchese Federico
II
come uno dei due maestri
delle entrate di corte; viene accusato di aver fatto celebrare una messa notturna nella
sagrestia di San Domenico a Casale Monferrato: con la complicità del domenicano frate
Angelo si era tenuto un giuramento “pieno d’imprecationi et attioni supersticiose” in cui si
nominavano Arnaldo da Villanova e il ‘dottore illuminato’ Raimondo Lullo, autori proibiti
di cui Giulio possedeva diversi libri. Gli vengono contestate grande superstizione e
insolente temerarietà, con l’aggravante di non riconoscere l’autorità della Chiesa nel
proibire i libri. Dopo numerosi costituti dinanzi al procuratore Antonio Tassoni è definito
leggermente sospetto d’eresia, con la condanna a penitenze varie e a 18 mesi di carcere in
luogo da destinarsi.
– 24 –
Sovrapposizioni
presentato sua sponte, come fanno ritenere il carcere e la leggera tortura
impostagli.
La sentenza contro Girolamo Cavalieri20 è invece letta nell’aula
capitolare del convento, e sarà attenta ad affiancare una pena-penitenza per
l’individuo (tre anni di arresti domiciliari, confessione e comunione tre
volte l’anno) a una manifestazione visibile di pentimento (obbligo di
indossare l’abitello giallo, di pagare una messa cantata e assistervi in
ginocchio con la candela accesa tutte le feste di precetto) e a un
risarcimento pubblico, ostensibile e durevole, come il pagamento di un
“palio o stendardo depinto all’una e all’altra banda per una compagnia o
fraternita che da noi sarà dechiarata”.
Il contrappasso corrisponde ai cinque punti dell’abiura come eretico
formale:
1o […] che li suffragi fatti per l’anime de morti non gli giovano
punto.
2o […] che i santi non possono interceder per noi e non
debbono essere invocati ne nostri bisogni.
3o […] che i digiuni ch’osserva la santa Chiesa non giovano
[…] et è un pascer Domeneddio di ciancie.
20
TCD, ms. 1225, cc. 132-133, Sentenza contro Gieronimo Cavallieri cittadino mantoano.
Et Agiura del istesso, marzo 1580. Rispetto all’abiura è un poco più preciso e colorito il
testo dell’accusa. Come in altri casi coevi, il ‘rigoroso essamine’ sotto tortura non aveva
fatto emergere aggravanti o complicità. A Girolamo Cavalieri del fu Sebastiano si possono
verosimilmente accostare il “Raimond de Cavallieri” mantovano, immigrato a Ginevra nel
1572 (segnalato in GALIFFE 1881), un “Giovan Battista Cavalier of Mantua” che nel 1587
propone a Venezia un nuovo procedimento per la lavorazione della seta (MOLÀ 2000, p.
190) e il costituto di Lucrezia Cavalieri, inquisita verso la fine del 1571 e moglie del
tintore Rinaldo Brugato da Cento, morto a Mantova nel 1571 ospite del collega
Alessandro Roveda, presso cui si era rifugiato in attesa di partire per Ginevra (ROTONDÒ
2008, pp. 128-129).
– 25 –
4o […] che le compagnie e confraternite non sono [†] honor
del santo Iddio ma per ingrassar preti frati e massari.
5o […] per haver mangiato cibi prohibiti in giorni vietati dalla
santa Chiesa et haver tenuto e creduto ch’essa beatissima
Chiesa non poss’obligare i christiani à doversi guardare in
alcuni particolari giorni da grasso et altre sorte di cibi.
Gli anni ’80 del Cinquecento sono gli ultimi per i quali sia
documentata una chiara eresia materialista21 o di stampo riformato
(Camillo Evoli22, Giovan Battista Sacchi, Rodomonte Thiene), se, al pari
dell’inquisitore, vogliamo considerare come attardate e anacronistiche le
vicende di Lelio Castelvetro, colpevole di aver consumato formaggio in
tempo quaresimale e su cui indaga nel 1603 frate Giordano da Soresina,
convinto di trovarsi dinanzi a una “pessima reliquia delle heresie di
21
Giulio Rocca da Ostiglia, figlio di Bartolomeo, condannato nel 1580 (TCD, ms. 1225,
ff. 216 e sgg.), nega l’esistenza di Inferno Purgatorio e Paradiso e l’immortalità dell’anima,
sostenendo un materialismo radicale di cui è ignota l’origine. Incarcerato nelle prigioni del
Sant’Uffizio ed esaminato più volte, dopo una benevola ammonizione persevera nei propri
errori. La condanna è di sei anni di abitello e prigione; all’imposizione di assistere alle
messe “con le genochia in terra, una candela accesa in mano e l’habitello”, si aggiunge
l’obbligo di far celebrare messe in suffragio della anime del Purgatorio. Come per
numerose altre condanne di questo periodo la confisca dei beni è graziosamente rimessa
al reo.
22
Camillo Evoli da Bozzolo figlio del fu Stefano, abitante a Rivalta Mantovana (TCD,
ms. 1225, 76 e sgg.; CANTIMORI 1936 p. 37 e sgg. (che legge ‘Camillo Cuoli’); SEIDEL
MENCHI 1987, pp. 104, 148, 152). Nel 1580 nell’aula capitolare di San Domenico viene
letta la sua sentenza: dichiarato eretico formale, abiura 22 punti scopertamente luterani;
condannato a portare l’abitello a vita, agli arresti domiciliari con facoltà di uscire di casa
per recarsi a messa, che ascolterà in ginocchio e con un cero acceso ogni domenica;
confessione e comunione quattro volte l’anno. I suoi beni, formalmente sequestrati, gli
vengono rimessi.
– 26 –
Sovrapposizioni
Modona, di Vincenza et di Luca” 23, pessima certo, ma ormai ‘reliquia’.
“Ogni teologia ha necessità di usare rappresentazioni visibili, per spiegare
le cose invisibili”
L’episodio più appariscente in questa esibizione della lotta per la
Fede è certamente l’affresco del Triumphus Ecclesiae conservato in San
Francesco. Patricolo24, che scrive prima della distruzione dell’edificio
durante l’ultimo conflitto, legge chiaramente le firme, Alessandro di
Casalmaggiore e Giulio Rubone, e in parte l’anno, riconosciuto in “157?”.
Al momento non è possibile confermare la suggestiva ipotesi secondo cui il
dipinto sia l’auto da fé imposto a qualche mantovano facoltoso, né si
riscontrano riferimenti diretti alla coeva battaglia di Lepanto, altra
occasione
che
avrebbe
potuto
spiegare
la
commissione,
benché
l’impostazione didascalica del soggetto più che alla guerra contro il Turco
rimandi a una classificazione teologico-scolastica delle eresie possibili, in
cui ciò che accade in tempi diversi coesiste come in uno stato di eternità, e
le cose trascorse e future si danno con le presenti.
La collocazione nella prima cappella a destra accentuava il
contributo dell’ordine francescano alla santità della Chiesa: sulle due pareti
laterali della cappella si affrontavano appunto la nave della Chiesa
trionfante e una serie di ritratti di frati illustri25 per vita o dottrina, disposti
in un emiciclo che contaminava visivamente il tema dell’albero genealogico
con quello, ripetuto, della nave che porta alla salvezza. Lo spettacolo da
23
ACDF, St. st.
FF
1 a, fasc. 1, cc. 566v-566r, 30 luglio 1603; inoltre ACDF, Decreta,
1609, c. 146, 13 aprile 1609 e DBI, Castelvetro, Lelio (Biondi A., 1979).
24
PATRICOLO 1911, p. 57.
25
Ivi: “una serie di ritratti disposti a gradi, in basso i francescani assunti alla cattedra di
San Pietro, cardinali e vescovi, più in alto gli illustri dell’Ordine, in cima i Santi, divisi da
un tronco recante i vari stati della perfezione cristiana”.
– 27 –
ammirare era quindi la concettosa allegoria dirimpetto, della vittoria di
santa romana Chiesa sugli infedeli, gli scismatici e gli eretici grazie al
determinante contributo degli ordini religiosi.
Nonostante l’affresco mantovano abbia patito i danni dei
bombardamenti, possiamo esaminarlo nei dettagli confrontandolo con una
minuziosa illustrazione attribuita ad Elia Naurizio26: al centro della scena
una nave, al timone san Pietro che brandisce le chiavi, sormontato da uno
stendardo (“Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam
[…]”); assiso in coffa è Gesù benedicente, collegato dalla didascalia “Dei
genetrice fidissima duce” a Maria, seduta sulla vela spiegata e gonfiata dal
vento. A metà dell’albero (“Fides Christi arbor et funes religiones”) sono
disposti i “Fundatores religionum” mentre il ponte della nave e i castelli di
prora e di poppa sono occupati dagli apostoli (“Discipuli Christi fundantes
legibus orbem”) e da santi e religiosi che scagliano dardi e bombe
incendiarie contro i nemici della Chiesa. Al ponte inferiore, ai remi, i
dottori della Chiesa (“Scripturae remis doctores aequora sulcant”); ogni
remo rappresenta un libro o un gruppo di libri della dottrina cattolica (i
dodici libri dei profeti, i vangeli, i libri di Salomone, le epistole paoline, i
cinque libri di Mosè). La nave trionfante traina tre scialuppe guidate da
profeti, sulle quali vengono trascinati, come prigionieri al seguito della
Chiesa benché renitenti, i re, gli imperatori e i giudei.
Su altre barche, guidate da demòni, stanno gli eretici e gli scismatici
trafitti27. In acqua, sul punto di affogare, gli eresiarchi antichi (Sabellio,
26
Conservata a Riva del Garda (TN); cfr. BOTTERI (CUR.) 1985, pp. 20-21. Dell’affresco
completo è una fotografia in BCMn, fondo Azienda di Promozione Turistica, numero
SIRBeC:
27
IMM-2s010-0002945, nel catalogo datata con approssimazione al 1950-1965.
Nella simile incisione di Philippe Thomassin (Roma 1602) sulle barche è scritto “Hi
sunt scismatici sermonum vulnera passi” e “Heretici iaculis immania terga resolvunt”:
– 28 –
Sovrapposizioni
Donato, Fozio, Ario) e Lutero28, vestito da frate, accompagnato da una
didascalia solo parzialmente leggibile.
Completa l’insieme un primo piano dedicato a episodi tratti
dall’Antico Testamento, con un’allusione alle divinità pagane abbandonate
(il “Templum Pantheon” in rovina) e al rifiuto di adorare la statua di
Nabuccodonosor (Anania, Misaele e Azaria ricevono la palma del
martirio). Lo sfondo è partito in una metà destra, in cui dei figurini con
turbante accolgono il pontefice in città (Costantinopoli) e in una parte
sinistra con la conversione di Paolo dinanzi a Damasco (anche qui a
ornamento delle torri cittadine sono poste le mezzelune turche). Nel
registro superiore gli strumenti della passione e gli evangelisti, cui si
affiancano, nella copia di Riva del Garda, due grandi cartigli.
È evidente la parentela stretta con la Navis misticae contemplationis
incisa a Roma da Philippe Thomassin nel 160229 e riedita con poche
differenze (ma didascalie spagnole) da Remondini30 nel Settecento.
Tuttavia, oltre al diverso orientamento (la nave si dirige verso sinistra, e
prediche e giaculatorie sono le armi solo spirituali che vincono la belva eretica (“immania
terga resolvit” è in Verg., Aen., VI, 422, detto di Cerbero che cede il passo a Enea).
28
Calvino o manca o è divenuto illeggibile. Compare invece accanto a Lutero nel
Thriumpho de la Fee. Nella versione di Thomassin mancano entrambi, ma c’è la didascalia
associata a Lutero, leggermente diversa rispetto all’affresco mantovano. Sull’assimilazione
degli eretici antichi a quelli contemporanei o agli altri gruppi socialmente ostili
(tipicamente ebrei e mussulmani) qualche suggerimento in TRIVELLONE 2009.
29
Una lettura non risolutiva si trova nella scheda Federica Piccirillo in FAGIOLO –
MADONNA (CUR.) 1984, pp. 271-273.
30
Thriumpho de la Fee e de la Ley de Yglesia catholica certificada por sus quatro evangelistas y
sus apostoles y sus principlaes doctores contra toda heregias y supersticiones del paganismo, una
datazione approssimativa viene dallo stemma di Clemente
XIII
Rezzonico (pontificato
1758-1769). Per i dati descrittivi si veda la scheda di Domenica Primerano in INFELISE –
MARINI (CUR.) 1990, pp. 145 e 170-171.
– 29 –
pure a sinistra si trova Costantinopoli) e alla maggior ricchezza di
didascalie permessa dalla stampa rispetto all’affresco, altre varianti sono
significative: nell’incisione romana è presente anche l’arcangelo Michele, in
equilibrio sulla prua della nave, la spada fiammeggiante sguainata, difeso da
uno scudo che mostra l’arme di Serafino Olivier Razali.31 Superiormente
spiccano due profezie: la visione di una croce luminosa (relativa a Cirillo
d’Alessandria) e l’idra a sette teste associata a Gioacchino da Fiore; nella
riedizione di Remondini vi si affiancano una figura seduta della Fede
(secondo il modello di Cesare Ripa) e un grande ostensorio che –
rischiarando il cielo – letteralmente fulmina la barca degli eretici. Sullo
scudo dell’arcangelo Michele è ora l’emblema dei Gesuiti, la cui esistenza
in quegli anni era minacciata dagli attacchi illuministi.
L’interesse gesuita per la raffigurazione era già evidente verso il
1613, nel collegio di Billom32, in Alvernia, dove un’altra nave, stavolta a tre
alberi (timore, sapienza, intelletto), illustrava i meriti dell’educazione
impartita dall’ordine. Ancor più concettosa e didattica delle precedenti,
faceva leva non tanto su singoli individui o episodi della storia religiosa,
bensì sulle virtù e sulle pratiche che allontanano o conducono al “portus
salutis”, dove, accolti da Cristo, si è introdotti alla “comprehensio” e alla
“fruitio” del mistero divino. Tra i religiosi che remano o combattono contro
gli apostati e contro gli “haeretici insultantes” prevalgono quanti indossano
gli abiti della Compagnia, benché la scena centrale non insista sull’aspetto
31
Cui l’incisione è dedicata; nato a Lione, formatosi negli studi giuridici a Bologna, dal
1602 patriarca di Alessandria e dal 1604 cardinale di San Salvatore in Lauro.
32
Confiscato dopo la soppressione del 1762, il dipinto è ora presso l’Hôtel de Soubise
(Musée d’Histoire de France). Nel 1783 col titolo Typus religionis ne è tratta una stampa
che ha avuto circolazione autonoma (cfr. The British Museum Catalogue, registration
number 1998,1004.27, disponibile alla pagina http://www.britishmuseum.org/ collection).
– 30 –
Sovrapposizioni
bellico, ma sull’accoglienza a bordo di chi si salva provenendo dalla più
piccola “navis ingredientium religionem”.
In ambito tedesco un’eco del Triumphus ecclesiae rimane ancora nella
Navis patientiae – Schif der Gedult di Gerhard Altzenbach33, che ha però
ripreso le più modeste proporzioni della ‘navicula Petri’, ma la variante di
maggior interesse, di poco antecedente l’affresco mantovano e quasi
sicuramente derivata da un antigrafo comune, è quella di impronta
luterana, stampata a Norimberga nel 1570 da Matthias Zündt come Diss
Apostel schifflin ist ain für bildung der Christliche[n] Kyrchen34 e da cui pochi
anni dopo Hans Weigel trarrà la replica Das Christliche Schiff
. Gli
35
elementi dell’insieme, pur semplificato, sono ben riconoscibili, a partire
dalla “bekerung Sancti Paulj” (a destra) sino agli eretici che affogano (Ario,
Nestorio, Pelagio, Maometto, Sergio e “Monothelitae”36). Il nemico è
costituito da sovrani pagani (Nerone, Attila) o da personaggi delle scritture
(Caifa, Pilato) a cavallo tra i flutti, al pari di Erodiade e Babilonia, che
sembrano l’unico riferimento scopertamente polemico verso il cattolicesimo
romano, la cui distanza è resa evidente dalle trasformazioni subite dagli
elementi dell’immagine: il timone della nave è doppio, retto da Pietro e
Paolo (un terzo timone, a prora, è nelle mani di Giovanni il battista),
mancano frati e religiosi, tra i dottori compaiono Lutero e Melantone.
Il significato umano della nave ovviamente non è il primato petrino,
ma è l’apostolato, spiegato tramite il vangelo di Marco (“Geht hin in alle
welt , und prediget das Evangelium aller creaturen. Wer da glaubt und
33
Nell’inventario del Germanisches Nationalmuseum di Norimberga datata al secondo
quarto del XVII secolo.
34
The British Museum Catalogue, registration number 1871,1209.4735.
35
The British Museum Catalogue, registration number 1880,0710.597.
36
Che chiarisce il riferimento a Eraclio nella versione ‘papista’.
– 31 –
Getauft wirt, Der wirdt selig werden”), mentre il mistero divino si
manifesta sul ponte della nave, in un’atmosfera più rarefatta (“der Vorhof
in dem hayligen Thempel”): sorvegliati dai quattro arcangeli si svolgono i
sacramenti (assoluzione, battesimo e comunione sotto le due specie),
favoriti dall’acqua e dal sangue che zampillano dal costato di Cristo. Sulla
‘pietra angolare’ (Isaia 28, raffigurata come un basamento scolpito ‘a
diamanti’) il serpente viene calpestato da un Cristo passo, la cui sofferenza
è amplificata dagli strumenti in mano agli arcangeli (chiodi, lancia, spugna
per l’aceto, colonna). A sua volta Cristo è abbracciato alla croce, che
sostituisce in tutto l’albero della nave guidando lo sguardo verso la colomba
dello Spirito Santo e più in alto verso il Padreterno coronato e benedicente.
Il confronto tra le differenti variazioni sul tema meglio aiuta a
inquadrare quali fossero gli elementi caratterizzanti la figurazione, e quali i
punti salienti della polemica, che – a Mantova verso il 1570 – era più che
altro propaganda, giacché la curiosità e l’accondiscendenza del cardinale
Ercole verso i novatori e gli spirituali erano solo un ricordo, per di più
alterato dalle condanne del 1568, che a posteriori ne avevano forzata
l’interpretazione in senso deteriore.
Catafalco e barriera
L’esigenza di una visibile celebrazione della lotta all’eresia si
esaurisce progressivamente: nel 1587 non la troviamo nel catafalco allestito
in Santa Barbara per le esequie del duca Guglielmo,37 quando le virtù
37
FOLLINO 1587, da cui si cita.
Un richiamo alle guerre di religione contro gli eretici è invece nei monumenti sepolcrali di
San Martino dall’Argine: in quello di Pirro († 1592) che “sine ullo stipendio solaque in
Deum pietate ductus contra haereticos strenue militavit in Belgio et in Gallia”, e
similmente in quello per Ferdinando († 1605), che aveva combattuto a Lepanto e Gand,
“religioni tutamen” pianto dai popoli e dagli eserciti della ‘respublica Chirsti’.
– 32 –
Sovrapposizioni
rappresentate sono la Giustizia, la Fortezza, la Prudenza e la Fede, cui tra i
motti si associano “Fides animam facit quiescere” e “Fidei opus est
dilectio”. Neppure il resto della chiesa mostra particolare attenzione alla
difesa del cattolicesimo: numerose immagini della morte, distribuite tra le
cappelle e gli altari, recavano sentenze macabre tratte da “huomini
sapientissimi” con un gusto erudito e oratorio che rimandava più volentieri
alla latinità di Quintiliano, Cornelio Gallo, Orazio o Seneca piuttosto che
alla Vulgata e alla Scrittura sacra. Solo presso un pilastro troviamo “una di
queste morti, con un Rosario della Madonna per far oratione” e finalmente,
subito prima della porta d’uscita, la spada e il calice, segni di Giustizia e
Fede, secondo la quale “Mors, vitae via est”.
Di tutt’altro tenore il riferimento alla Fede che sarà inscenato il
primo maggio 159438, in occasione di una festosa barriera voluta dal duca
Vincenzo e ambientata entro una scenografia che trovava il suo centro nella
riproduzione del monte Olimpo, impresa ducale. Tra i numerosi edifici
posticci, realizzati ai margini del campo di gioco come ‘case’ delle diverse
squadre di cavalieri, una imitava un arco trionfale dedicato a Carlo Magno,
ritratto a cavallo in una statua a imitazione del bronzo, affiancata dalla
Vittoria e dalla Pace. Le tabelle in finto marmo che decoravano l’arco
rimandavano al suo destino di imperatore cristiano39, difensore del
pontefice, buon amministratore, condottiero vittorioso40 e infine il ruolo di
custode manu militari dell’ortodossia cristiana era esaltato da un “Idolatris
debellatis” cui rispondeva “Haereticis deletis”.
Nulla più che un divertimento romanzesco, come la ‘crociata’ in
38
FOLLINO 1594, pp. 64 e 93.
39
Ivi, p. 64: “Carolo Augusto a Deo coronato magno et pacifico imperatori”.
40
Ivi, p. 64: “Summo Pontifice restituto”, “Urbe a seditione liberata”, “Longobardis
fractis”, “Hunnis profligatis”.
– 33 –
Ungheria l’anno successivo o come altre improbabili iniziative volte a un
autocelebrativo recupero dell’eroismo e della pietà degli antenati.
Due esecuzioni contro gli Ebrei
Il 22 aprile 1600, con una regia non dissimile ma ben altra tragicità,
viene arsa in piazza Giuditta Franchetti41, ebrea e strega colpevole di
numerose malìe. Dai contemporanei il rogo venne descritto al pari di uno
spettacolo per la folla gratificata dalla presenza del serenissimo duca
Vincenzo e della sua nobile parentela, che assistette dai poggi di Corte
Vecchia, uno dei luoghi simbolici del potere signorile, come avrebbe potuto
fare per una festa nuziale o carnevalesca. L’ ‘abbruciamento’ di Jovadith
Ebrea e le sette impiccagioni eseguite nel 160242 furono processi voluti e
guidati dall’autorità ducale nello sforzo di assecondare il fanatismo religioso
popolare per mantenere l’ordine pubblico, senza diretta responsabilità
dell’inquisitore. Il sistema di procedure formali e di garanzie giuridiche che
il Sant’Uffizio stava perfezionando era già entrato in conflitto con gli
intolleranti presupposti che ne assicuravano l’esistenza e che, in competizione col tribunale vescovile, in quegli stessi anni stavano stringendo gli
Ebrei con prescrizioni sempre più invasive, i cui effetti destabilizzanti
sembrano concentrarsi nelle vicende occorse circa cinquant’anni più tardi,
quando la prosperità e la solidità della dinastia al potere erano già
compromesse.
41
In seguito riprese da Amadei, le principali notizie si trovano nell’Insalata, modesta
cronaca redatta da Gian Battista Vigilio; cfr. inoltre SIMONSOHN 1962 e la voce in DSI,
Franchetta, Judith (A. Prosperi).
42
Per un breve riassunto DSI, Ebrei in Italia, Ducato di Mantova (P. C. Ioly Zorattini).
– 34 –
Lo sfratto del 1666
Per ben adempiere al proprio dovere
Sembrava iniziato nel modo migliore l’incarico di padre Granara,
nominato inquisitore mantovano nel novembre del 16641 a sostituire frate
Tommaso Pusterla da Tradate, arrivato nel 1662. Un avvicendamento
dopo appena due anni non era usuale, ma non dava poi troppo nell’occhio:
le permanenze di soli cinque o sei anni erano frequenti e rientravano
pienamente in quel meccanismo di promozioni per cui i frati occupavano a
rotazione le sedi minori e i più capaci lasciavano quelle periferiche per
incarichi di maggior importanza. Così il genovese padre Granara proveniva
dalla sede di Gubbio, mentre il suo predecessore andava a occupare la sede
di Pavia2, e il suo vicario, Aurelio Torri3 da Rivalta (cioè dal convento di
Rivalta Bormida, presso Asti), sarà nominato titolare a Saluzzo, Gubbio,
Reggio Emilia, Rimini, Piacenza, per tornare a Mantova nel 1692, poco
prima della morte. Senza troppi scossoni quindi la congregazione aveva
accolto le richieste del duca Carlo
II
Gonzaga Nevers, come registrano i
Decreta:
Item retulit legisse Sanctitati Suae litteras Ducis
1
ACDF, Decreta, 1664, c. 183r, 12 novembre 1664. Padre Granara era già stato
inquisitore di Modena dal 1662, sostituito nel 1664 da Giovanni Tommaso Martinelli
(TRENTI 2003, p. 313); dopo Mantova la sua carriera proseguirà a Ferrara (ACDF,
Decreta, 1667, c. 128r, 28 giugno 1667); nel 1674 risulta a Milano (ACDF; Censurae
librorum, 1673-1675, fasc. 16).
2
ACDF, Decreta, 1664, c. 183r, 12 novembre 1664.
3
Qualche carta relativa ad Aurelio Torri è inserita nella Silva pro ministris Sancti Officii,
istruzioni manoscritte, raccolte in ordine alfabetico per una più pratica consultazione da
parte degli inquisitori, conservate in BCMn sotto la segnatura ms. 562 (E-II-27).
– 35 –
Mantuae datis 14 augusti quibus petit deputari alium
inquisitorem, qui melius adimpleat partes suas.4
smentendo almeno in parte quanto scriveva alcuni anni prima Francesco
Cavriani:
è ben gran cosa, che da Roma non possa mai Sua Altezza
Serenissima ricevere sodisfattione […] bisognerebbe procurare
di disfar questo incanto, o per il meno porsi alla difesa il piu
forte possibile.5
Meglio non sopravvalutare la convenzionale pietà e devozione del
principe: un episodio6 di alcuni anni precedente, quando il titolare del
tribunale era frate Giulio Mercori, mostra bene cosa potesse significare
‘svolgere meglio il proprio ruolo’. Nel 1654 Carlo
II
aveva invitato a corte
Francesco Verospi, religioso sfratato e cabalista, che temeva giustamente
l’inquisitore7, il quale a sua volta in maniera ‘stragiudiciale’ aveva diffidato il
4
ACDF, Decreta, 1664, c. 162v, 1 ottobre 1664.
5
The Medici Archive Project, vol. 2959, fasc. 15. Vedi nota successiva.
6
Documenti pubblicati parzialmente in The Medici Archive Project (http://
documents.medici.org/) Relazioni con Stati Italiani ed Esteri, Stati Italiani, Mantova, vol.
2959, fascc. 18 (giugno 1654), 15 (10 giugno 1654, Francesco Cavriani a Ferdinando II de’
Medici), 14 (11 giugno 1654, Carlo
II
Gonzaga di Nevers a Ferdinando
II
de’ Medici,
Disgusto tra il Duca di Mantova e l’Inquisitore).
7
Frate Giulio Mercori da Cremona “creatura del V. Cardinale Francesco Barberino”,
come scrive Francesco Cavriani (The Medici Archive Project, vol. 2959, fasc. 15). Durante
l’incarico mantovano aveva dato alle stampe la Basis / totius moralis / Theologiæ hoc est /
praxis opinionum / limitata / per f. Iulium Mercorum / Cremonensem S. T. M. Ord
Prædic. / Inquisitorem Mantuæ. / Adversus / Nimis emollientes, aut plus æquo
exasperantes / Iugum Christi. / Opus / Iudicibus interni, et externi fori apprime /
necessarium. Mantuæ, apud Osanas, Ducales Typographos, anno
MDCLVIII.
Spesso
presente nelle biblioteche dei gesuiti, il testo conobbe una buona diffusione e due
immediate ristampe: “Parisiis, apud Ioannem de Launay, in porticu Sorbonæ, 1659”
– 36 –
Lo sfratto del 1666
duca dal frequentarlo. Fallito un primo tentativo di arresto, “trasferitosi a
Revere celatamente, il vicario dell’Inquisitore procurò colle sue spie” la
cattura di Verospi, ingannando i birri ducali sul reale significato della loro
collaborazione. Seguendo una prassi attestata anche in altre occasioni,
l’inquisitore cerca quindi di organizzare una estradizione clandestina verso
il Ferrarese, Stato della Chiesa, per istruire senza intoppi il processo.
Prontamente le guardie di Carlo
II
inscenano una falsa evasione, che
permette di riportare il cabalista prigioniero a Mantova, in castello, e
riconsegnarlo all’inquisizione per un processo più facilmente controllabile,
salvando i doveri verso la Santa Sede
et per far vedere, che se ben era in sua mano il lasciar fuggire il
prigione, nondimeno come Principe alienissimo dal rendersi
oggetto nel mondo cristiano de’ biasmi di poco religioso,
haveva voluto non solo custodirlo meglio, che non haveva fatto
il vicario, ma farlo condur sicuro, e consignar cauto
all’Inquisitore. Bastandole poi per l’altra parte, che in quella
forma, che havessero voluto capir le genti, si fosse veduta la
sodisfazione che Sua Altezza ragionevolmente s’era presa, e
seguita dalla “Editio 3. ab innumeris quibus scatebat mendis expurgata, Bruxellæ, sumpt.
Balthazaris Vivien, sub signo boni Pastoris 1663”. Il formale imprimatur concesso dal
vicario generale del Sant’Ufficio di Mantova, frate Giovanni Battista Righi, lettore di
teologia, è preceduto dall’approvazione vera e propria, firmata dal gesuita Girolamo da
Piacenza, professore di teologia a Parma, dove insegnava anche Francesco Bordoni,
francescano del terz’ordine, pure impegnato nel dibattito sul probabilismo. Le 299 pagine
dell’edizione mantovana si articolano in tre parti: 1) De probabilitate secundum se: An sit
recta regula morum; 2) An sit peccatum sequi opinionem minus probabilem, relicta probabiliori
opposita e infine 3) Praxim eligendi opiniones in materia morum. Negli anni in cui scriveva
Giulio Mercori il Sant’Uffizio non si era ancora pronunciato pubblicamente sul
probabilismo, come farà di lì a poco (1665 e 1666) senza prendere tuttavia una posizione
definitiva.
– 37 –
che voleva, che fosse chiaramente conosciuta, benche non
confessata, e che qui confidentemente si esprime per
notificazione pienissima del fatto.8
L’arrivo di padre Granara
L’anno 1664 non sembra essere stato particolarmente travagliato: se
escludiamo un intervento ducale a sostenere una concessione di grazia9, gli
affari riferiti alla congregazione annoverano una ricerca d’archivio richiesta
dal nunzio in Svizzera10 circa il processo del 1656 contro il teatino Andrea
Costa,11 alcune indulgenze apocrife,12 una richiesta di lettura per la Storia di
Sarpi (concessa, purché affiancata da quella di Pallavicino)13. Le cause
veramente rilevanti – e solo indirettamente legate a Mantova – in fin dei
8
The Medici Archive Project, vol. 2959, fasc. 18.
9
“Inquisitoris Mantuae lectis litteris datis 29 decembris [1663], quibus scribit, Ducem sibi
imposuisse, ut Sacram Congregationem supplicaret pro permissione exilii impositi Comiti
Ascanio Secto; eminentissimi inclinabunt arbitrio Sanctissimi, qui […] iussit Inquisitori,
ut pro suo arbitrio dicto Comiti concedi licentiam […] commorandi Mantuae.” (ACDF,
Decreta, 1664, c. 7r, 9 gennaio 1664).
10
11
Stando alle cronologie Federico IV Borromeo.
“Inquisitoris Mantuae lectis litteris datis die 29 decembris, quibus significat quod
Nuntius apud Helvetios petiit sibi mittit ea, quae ibidem extant contra Patrem Andream
Costam Theatinum post eius constitutum factum 12 decembris 1656; quod ipse noluit
facere inconsulta Sacra Congregatione, Decretum /// scribendum Nuntio praedicto, ut
mittat processum ab ipso factum contra dictum Patrem Andream, quia quae habentur post
dictum Constitutum non videntur ad[haerire] necessarie ad Causam. (ACDF, Decreta,
1664, c. 7r, 9 gennaio 1664).
12
“Litteris inquisitoris Mantuae datis 4 huius rescribatur, quod est Apocrifa praetensa
Indulgentia dierum mille, et undecim concessa a Sixto 4.o recitantibus hanc Orationem
Ave Sanctissima Maria Mater Dei Regina Coeli, Porta Paradisi, Domina Mundi […].”
(ACDF, Decreta, 1664, c. 13r, 9 gennaio 1664).
13
A un non meglio precisato Ladislao Gozzo (una famiglia Gozzi è documentata da Carlo
D’Arco, cfr. DOM).
– 38 –
Lo sfratto del 1666
conti si riducono a due: l’esperimento magico del tamiso praticato da un
sabbionetano (quasi certamente affidato all’inquisitore di Cremona,
risoltosi con tre tratti di corda e un’abiura de levi)14 e l’omicidio a Guastalla
di un frate servita, patentato come notaio. Il fatto era grave, ma non
sembrava legato a questioni di fede. In ogni caso le indagini erano state
assegnate all’abate della collegiata.15
Frate Tommaso da Tradate aveva già sbrigato anche le incombenze
per mettere a frutto dei terreni del Sant’Uffizio: con l’approvazione della
congregazione e dopo il parere favorevole dell’inquisitore di Pavia16, già
titolare a Mantova, trenta biolche (circa 10 ettari) erano state date in affitto
agli eredi del marchese Ottavio Gonzaga; una scelta obbligata, poiché le
terre della vedova Eleonora circondavano la piccola proprietà, per di più
gravata da un pagamento a favore della sinagoga.17
Nulla sappiamo degli impegni minori di frate Tommaso, che
possiamo immaginare esaurirsi nelle spontanee comparizioni e nei controlli
di routine su stampa e predicatori. In ogni caso a novembre passa dalla
14
“Contra Jacobum Cattum a Sabloneta inquisitum de experimento Cribri et aliis
proposita Causa, Decretum, quod inspecta qualitate personae arbitrio Inquisitoris Jacobus
quassatus tribus ictibus funis, deinde praevia abiuratione de levi dimittatur cum praecepto
de abstinendo a similibus sub p[raecep]to fustigationis intimata Bulla. (ACDF, Decreta,
1664, c. 32v, 20 febbraio 1664).
15
ACDF, Decreta, 1664, c. 43r, 12 marzo 1664; ACDF, Decreta, 1664 c. 59r, 7 aprile
1664.
16
Giulio Mercori da Cremona, a Mantova dal 1652 al 1662.
17
ACDF, Decreta, 1664: c. 18v, 30 gennaio 1664; c. 39v, 4 marzo 1664; c. 105v, 2 luglio
1664. Il cenno al debito verso la comunità degli Ebrei e le date convergono su Ottavio,
figlio di Pirro della linea di Vescovato (15 maggio 1622 - 12 settembre 1664) sposato con
Eleonora di Ascanio Pio di Savoia. Fu governatore del Monferrato e generale delle
milizie. Cfr. Pompeo Litta, Famiglie celebri italiane; vol.
Milano 1835, SIMONSOHN 1974, pp. 293-294.
– 39 –
XXXIII:
I Gonzaga di Mantova,
congregazione il giro di nuove nomine:
Item retulit Reverendus Pater Dominus Assessor, quod
Sanctissimus Dominus Noster deputavit in Inquisitores
infrascriptarum Inquisitionum. / Magistrum fratrem Thomam
Pusterlam
ad
praesens
Inquisitorem
Mantuanum
in
Inquisitorem Papiensem. / Fratrem Hiacyntum Granaram
Inquisitoren Eugubinum in Inquisitorem Mantuanum. /
Fratrem Ludovicum de Colono ad praesens Inquisitorem
Ariminensem
in
Inquisitorem
Eugubinum.
/
Patrem
Commissarum in Inquisitorem Ariminensem. / Quod
deputationes mandavit per eundem Reverendum Patrem
Dominum Assessorem significari Eminentissimis in prima
proxima Congregatione.18
In marzo il duca “significat optimam suam voluntatem erga fratrem
Hiacinthum Mariam Granaram Ordinis Praedicatorum”, che possiamo
interpretare come il formale riconoscimento del nuovo inquisitore con la
contestuale concessione del braccio secolare.
Giacinto Maria Granara e Isabella Clara d’Austria
Doveva avere qualche ambizione padre Granara, giacché appena
arrivato a Mantova chiede licenza per pubblicare un proprio libro, la Scuola
di vera sapienza,19 raccolta di prediche destinate a coprire buona parte
18
ACDF, Decreta, 1664, c. 183r, 12 novembre 1664.
19
Scuola di vera sapienza. Discorsi morali del P. M. Granara inquisitore di Mantova, dalla
prima domenica dell’Avvento, sino al giorno santissimo di Ressurezzione, in Venezia presso
Gio. Pietro Brigonci, 1665 (frontespizio disegnato da Antonio Zanchi, inciso da
Elisabetta Piccini); cfr. GRIFFANTE (CUR.) 2003. Nei cataloghi vedi anche Scuola di vera
sapienza aperta da Christo S. N. sul Monte ove à suoi discepoli et alle turbe insegnò le
beatitudini evangeliche, rilette poi in varij discorsi morali dal P. Giacinto Maria Granara
– 40 –
Lo sfratto del 1666
dell’anno liturgico. Per la debita autorizzazione i cardinali l’avevano
indirizzato agli inquisitori di Ferrara e Venezia, dove in luglio si era recato
di persona al fine di curare da presso la stampa,20 da cui trarrà un estratto
nel 1677.
Prontamente segnalata, con un paragrafetto tanto encomiastico
quanto vacuo, ne Li scrittori della Liguria21 di Raffaele Soprani, sui
frontespizi esibiva un’incisione con la predicazione di Gesù sulla montagna
a ebrei e gentili, in primo piano un frate domenicano (ritratto di Granara
medesimo?) intento a completare la tabula dedicatoria all’arciduchessa
Isabella Clara d’Austria22, andata in sposa a Carlo
II
al fine di rinsaldare
genovese, in Venetia per Francesco Nicolini, 1665. L’estratto del 1677 è Parte terza delle
sacre erudizzioni per riformar l’huomo all’imagine di Giesu, estratti dal padre G. M. G. da
Genova dal suo libro, inscritto Scuola di vera sapienza, 1677. Di un secondo volume, edito
a se stante tra il 1665 e il 1677, al momento non c’è traccia, benché sia ipotizzato da alcuni
compilatori di cataloghi bibliografici.
20
“Inquisitoris Mantuae lectis litteris datis die
X
huius, quibis petit licentiam eundo
Venetias, ad effectum inprimendi Librum ab ipsum compositum super Beatitudinibus
Evangelicis, Eminentissimi licentiam petitam concesserunt, reviso libro ab Inquisitoribus
Ferrariae, et Venetiarum.” (ACDF, Decreta, 1665, c. 119r, 22 luglio 1665).
21
Li scrittori della Liguria, e particolarmente della maritima di Raffaele Soprani, in Genova
per Pietro Gio. Calenzani, in Piazza nuova, 1667. Si riporta la voce:
“GIACINTO MARIA GRANARA. Domenicano del Convento di S. Maria di Castello,
Maestro di Sacra Teologia, et Inquisitore di Mantua; se ne consideri la Vita, lo chiamerei
Religioso di vera bontà: mà se dell’opere, ov’impiega la penna, ti farai curioso Lettore,
vedrai, ch’in un t’alletta, e t’istruisce per ben caminare il sentiero del Cielo. Trà molte,
nelle quali stà di presente occupato à beneficio commune, una di già ne hà data alla Luce,
ricevuta con applauso, da chi desidera la propria salute, e s’intitola, Scuola di vera sapienza.
In Venetia, per Gio: Pietro Brigonci 1665. in 4.”
22
Figlia di Leopoldo conte del Tirolo, fratello dell’imperatore Ferdinando II. Le sue abilità
politiche sono giudicate positivamente nella voce biografica di Raffaele Tamalio in DBI,
lontana dal gusto per il pettegolezzo e priva degli intenti moralistici e celebrativi propri di
lavori meno aggiornati (DBI, Isabella Clara d’Asburgo, duchessa di Mantova e del Monferrato
– 41 –
alleanza e diritti imperiali sul malfermo ducato: la cittadella di Casale era
stata rioccupata dal duca solo vent’anni dopo la guerra, nel 1652, e nel 1655
Carlo II si era impegnato in un viaggio presso Luigi XIV, che ne minacciava
sia i possedimenti francesi che quelli padani. Quanto alla piccola capitale, la
popolazione non era la metà di quella antecedente il sacco, e i Veneziani vi
avevano tenuto un presidio militare sino al 1662. Alla morte di Carlo II, nel
1665, quando Isabella Clara assunse la reggenza in attesa della maggiore
età di Ferdinando Carlo, non erano ancora stati recuperati i feudi di
Reggiolo e Luzzara, occupati dal duca di Guastalla, filospagnolo, mentre
una lite di confine per alcune isolette sul Po, fra Brescello e Viadana, era
sul punto di degenerare in guerra aperta contro il duca di Modena23.
Nel torbido clima ‘da basso impero’ di questo periodo è difficile
decifrare la direzione degli avvenimenti e le intenzioni degli individui,
come già osservava Amadei, che suggeriva – ma non affermava
apertamente – l’avvelenamento del duca a opera della duchessa o del suo
amante Carlo Bulgarini, figlio del segretario di Stato Francesco. Attratti
dal romanzesco, contemporanei e storici, studiando questa ‘storia sbagliata’
del secondo Seicento, hanno comunque avuto modo di esercitarsi su tutte
(Tamalio 2004)). Cfr. anche DBI, Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers, duca di Mantova e del
Monferrato (Benzoni 1996).
23
Lucida l’analisi di Eleonora Gonzaga Nevers, vedova dell’imperatore Ferdinando
III,
sull’opportunità di inviare un rappresentante imperiale a chetare le acque: “Li Ministri
però per natura timidi, et irresoluti non vorrebbero impegnar l’Imperatore almeno prima
di sentire che detti Duchi habbino ubbidito con la sospensione dell’armi alla sua
intimatione, ma l’Imperatrice supponendo, che non possa mettersi in dubio l’ubbidienza di
due Prencipi Feudatarii di deboli forze, e che in ogni caso un Ministro Saggio sarà atto a
facilitarne il rispetto, incalza che sia spedito senza /// indugio; già che o non s’ubbidisca da
loro all’ordine Imperiale o non s’aderisca alle persuasioni del detto Deputato Cesareo,
l’impegno sarà inevitabile.” (ASV, Segr. Stato, Germania,182, c. 130r, 5 giugno 1666
(decifrata il 23 giugno), dal nunzio di Vienna a Roma).
– 42 –
Lo sfratto del 1666
le sfumature dell’intrigo, dall’improvviso rinchiudersi dell’arciduchessa in
Sant’Orsola (nel 1671, imitata da Bulgarini, relegato in San Domenico),
alla ricerca di figli clandestini24 o gravidanze interrotte25 spacciate per
imprecisata malattia26, passando per le manovre veneziane volte a
24
ASMn, D’Arco, b. 110, Memoires secretes de la duchesse Isabelle Claire d’Autriche femme de
Charles
II.
Duc de Mantoue. È trascrizione manoscritta firmata “Volta” (Leopoldo
Camillo?) di La Vie de Claire Isabelle Archiduchesse d’Inspruck Femme de Charles Second Duc
de Mantoue [avec l’histoire du Religieux marié], s. l. 1696, in dodicesimo. Di gusto
scandalistico, accentua il rigido umore ‘spagnolo’ di Isabella Clara nel trattare i sottoposti e
la violenza della passione amorosa per Bulgarini, in grado di superare le differenze di
rango. Per altri dettagli cfr. MALACARNE, I Gonzaga, vol. V, pp. 184-192.
25
Il “Curioso aviso. Ma non verificato” è riportato da Carlo Francesco Gorani, che si
trovava a Mantova, ospite di padre Mauro, priore di San Girolamo, per negoziare il dazio
sui transiti del sale destinato al Milanese. Apparteneva una famiglia di origine notarile che
stava raggiungendo la nobiltà grazie agli incarichi svolti per l’amministrazione spagnola. Il
tono delle sue memorie è conciliante verso la corte mantovana, di cui rileva però
l’accoglienza poco cerimoniosa e poco rispettosa della reciprocità nelle forme di cortesia. I
manoscritti si trovano a Madrid (Biblioteca Nacional, mss. 2671, 2091, 2439); la
trascrizione del Libro 2.do di memorie delle cose correnti degne d’osservazione seguita sotto il
Governo dell’Ecc.mo Signor Don Luigi de Guzman Ponze de Leon Governatore di Milano
(1666) è resa disponibile dall’Università degli Studi dell’Insubria all’indirizzo
http://archiviostorico.dicom.uninsubria.it/archivi/arese/libro_memorie/ (pdf dell’11 ottobre 2005), cui si rinvia.
Stando a Gorani: “Il padre Mauro scrisse in cifra una particolarità che poi non parve che
s’avverasse, che la signora Arciduchessa si fosse conosciuta gravida, e che per abortire
havea presi medicamenti così violenti, che nel evacuar le secondine, il sangue gl’era uscito
in gran parte. Questa notizia me la fece il signor conte Arese participare al signor don
Luigi governatore; e poi sopravennero avisi alli 22 che Sua Altezza migliorava a segno
ch’era quasi fuori di pericolo.” (GORANI, Memorie, II, p. 79). Con un pretesto il priore sarà
richiamato nel Milanese “per lo sprezzo [che] si faceva in essa [a Mantova] di sua persona
la quale come inviata da Sua Eccellenza per haversi a communicare con quei Principi
l’occorrenze del serviggio di Sua Maestà, veniva a rifletter tutto in offesa dell’Eccellenza
Sua medema.” (GORANI, Memorie, II, p. 90).
26
Da questo punto di vista sono neutre le comunicazioni del 20 novembre 1666 (“In
– 43 –
destabilizzare lo stato e impadronirsene con un colpo di mano, sino al
doppio gioco di Ercole Mattioli, incaricato da Ferdinando Carlo di vendere
la fortezza di Casale ai francesi (1678) e identificato nella maschera di ferro
rinchiusa vita natural durante alla Bastiglia.27
Padre Granara a Mantova
Il primo anno di permanenza di padre Giacinto Maria Granara a
Mantova invece non offre particolare interesse: negli indici premessi ai
Decreta del 1665 figura due sole volte, entrambe per l’edizione del proprio
libro. Per avere un’idea della tipologia dei reati che più attiravano la sua
attenzione bisogna scorrere l’elenco dei processi modenesi da lui seguiti
negli anni 1662, 1663 e 1664:28 ai 31 soggetti registrati sono attribuiti 4
procedimenti relativi a ebrei, 1 abiura compiuta da un soldato di origine
inglese e 29 altri capi d’imputazione: 11 per magia, 8 per bestemmia, 3 per
sacrilegio, 2 ciascuno per proposizioni ereticali, bigamia, offesa o intralcio
al Sant’Uffizio, 1 per illeciti connessi allo stato ecclesiastico.
Nel 1666 la corte mantovana lo descriverà come ‘sregolato’ e di
‘indiscreta ingordigia’, e – pur valutando la parte da cui provengono le
informazioni – la versione in un primo tempo sostenuta dalla Corte è del
tutto credibile: Granara deve aver tenuto un atteggiamento rigoroso verso
quei piccoli abusi o quelle concessioni che la tradizione locale considerava
come ammissibili, e che a un inquisitore proveniente dallo Stato della
Chiesa risultavano intollerabili. Il marchese Canossa, come primo ministro,
Mantova havemo che il male di quella Arciduchessa sempre più andasse crescendo con
dubbio grande di sua vita.” ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, filze, 116, anno
1666 settembre – febbraio m. v.) e del 23 dicembre 1666 (ivi) dirette dal Senato
all’ambasciatore presso il papa.
27
Ampie notizie in MALACARNE, I Gonzaga, vol. V, pp. 177-233.
28
TRENTI 2003.
– 44 –
Lo sfratto del 1666
si spiegherà con Carlo Francesco Gorani
dicendo per maggior giustificatione, che la Serenissima [scil.
arciduchessa] già molto tempo fà si trovava mal sodisfatta delle
estorsioni, che questo padre haveva fatto a diversi Hebrei
ranzonandoli chi in 25 chi in 30 doppie prima di farli
scarcerare, e che l’ardire era passato tant’oltre, che s’era messo
in dar ordini alli capitani, che assistono alle porte di trovarsi
con tanta gente in luoghi destinati per servitio della santa
Inquisitione: eccesso che non si poteva più tolerare.29
L’ipersensibilità verso le comunità separate traspare anche dalle
ultime segnalazioni dell’inquisitore, che nel 1667, al suo rientro nel
capoluogo, prenderà di mira dapprima alcuni neofiti,30 quindi un piccolo
gruppo di pochi eretici svizzeri, solo temporaneamente presenti nel
mantovano per lavorarvi come tagliapietre durante la bella stagione.31
Forse strascico del mandato di Granara, i decreta del 1668
(inquisitore Giovanni Maria Pozzobonelli) riportano tra gli altri un
procedimento contro due ebrei che cercavano di distogliere i catecumeni
dalla conversione32 e contro un certo Domenico Lucchini33. Pare invece un
29
GORANI, Memorie, II, p. 5.
30
Notizia indiretta in ACDF, Decreta, 1667, c 83r, 27 aprile 1667.
31
ACDF, Decreta, 1667, c. 59r, 23 marzo 1667; dilatoria la risposta dei cardinali.
32
“Contra Maggium Itagliam, Leonem Provenzalem haebreos Mantuae delatos quod
volens aliquis haebreus recipere Sacrum Baptismum et vivere Christiane procurant eorum
fugam a Cathecumenis et mittit notulam aliquorum, et addit quod dicti haebrei lubentes
familiaritatem cum Equitibus, et Capitaneo Justitiae male tractant Christianos, et iam per
viam Justitiae, et ob id facti sunt opulenti auri, supplicat igitur pro remedio.” (ACDF,
Decreta, 1668, c. 144v, 12 aprile 1668). L’argomento è ripreso a c. 245r, 4 luglio 1668.
33
Denunciato dalla moglie, condannato per bestemmie ereticali, evaso dalle carceri del
Sant’Uffizio e bandito dalla città. Cfr. ACDF, Decreta, 1668, c. 144v, 12 aprile 1668; c.
254r, 13 giugno 1668; c. 250v, 11 luglio 1668; c. 268v, 25 luglio 1668.
– 45 –
tentativo di ottenere un più mite giudizio la richiesta di spontanea
comparizione inoltrata dal carmelitano Emilio Bonadei34, carcerato in
castello su ordine dell’arciduchessa con l’accusa di aver fatto da mezzano tra
una penitente e il defunto Carlo II.
Nel 1667 uno dei primi editti ferraresi di Granara susciterà di
nuovo le proteste dell’Università degli Ebrei, che scriveranno a Roma
deplorandone le eccessive pretese,35 imitati da frate Felice Accorsi, priore
dei domenicani, in disaccordo sulla disciplina da tenere in convento,36 una
questione già sollevata durante la permanenza a Guastalla, quando l’abate
della Collegiata aveva ottenuto dai cardinali inquisitori che le preghiere
previste alle ore canoniche avessero la precedenza rispetto ai servizi a favore
dell’inquisitore.37 La carriera di padre Granara non pare aver risentito di
34
“Inquisitoris Mantuae lectis litteris responsivis datis
Emilium
Bon[a]deum
ordinis
Carmelitanorum
X
huius quibus significat fratrem
Cogregationis
Mantuae
olim
Consultorem illius Sancti Officii petentem audiri in Sancto Officio, fuisse carceratum
tribus ab hinc annis in Fortalitio de mandato Ducissae sub praetextu complicitatis, quod
Dux pater Ducis viventis carnaliter cognoverat quandam Dominam Poenitentem dicti
fratris Emilii, prout ab aliquibus dicitur cui ipse frater Emilius dixerit in confessione non
esse peccatum complacendi causa suo Principi. Scribatur Eminentissimo legato Ferrariensi
per secreta extrajudiciali informatione circa causam capturae dicti fratris Emilii.” (ACDF,
Decreta, 1668, c. 59r, 22 gennaio 1668). Il 18 luglio 1668 (ivi, c. 262v) si trova il “relata”
del memoriale di frate Emilio Bonadei, delle informazioni inviate dal legato di Ferrara
cardinal Donghi e di quelle fornite dall’inquisitore di Mantova, apparentemente senza
conseguenze immediate.
35
L’editto dell’ 8 settembre 1667 conterrebbe “multa contra solitum, quae executioni
demandari non possunt” (ACDF, Decreta, 1667, c. 214r, [17?] ottobre 1667).
36
“Contra fratrem Hiacintum Granaram Inquisitorem Ferrariae lectis litteris fratris Felicis
Accorsi Prioris Sancti Dominici, quibus narrat multa concernentia disciplinam regularem
etiam contra eius Vicarium, Notarium, et Conversum, fuit dictum quod Pater
Commissarius scribat iuxta mentem.” (ACDF, Decreta, 1668, c. 464v, 28 novembre
1668).
37
ACDF, Decreta, 1666, c. 101, 13 luglio 1666.
– 46 –
Lo sfratto del 1666
questi screzi, e proseguirà sino alla nomina a Milano38, uno dei tribunali
più importanti nell’Italia settentrionale.
È probabile che ancora una volta Granara conoscesse le regole, ma
ignorasse volutamente le pratiche e le precedenze consolidate in quel gioco
sociale che era l’amministrazione del tribunale, finendo con l’irritare ed
esasperare le controparti, che in linea di principio non erano certo
maldisposte.
Propaganda e rimozione
Della sua biografia e dei suoi modi non si sa molto: un cenno
strumentalmente idealizzato è offerto da Tommaso Vincenzo Pani, che
pubblica anonima e senza luogo di stampa una difesa dell’Inquisizione,
risposta tardiva al dibattito settecentesco, ironicamente stretta tra le
soppressioni austriache e le repubbliche giacobine. Nella Lettera
XXIX,
dedicata alla protezione sempre accordata ai religiosi regolari come
inquisitori, Pani accosta frate Granara a Michele Ghislieri:
Li vedo bene alloggiati dove risiedono per esercitare con
quiete la loro carica, e non che mantenuti di vitto e vestito ma
anche provveduti di religiosi vicarj, notari, conversi a spese per
lo più de’ Conventi: e se avviene talvolta che dai malevoli
perseguitati vengano costretti ad abbandonare le loro
residenze, li vedo accolti con uguale zelo e premura in altri
Conventi, come è stato praticato con Michele Gisiglieri, […]
con l’Inquisitore Granara scacciato da Mantova e rifugiato in
Ancona, ed a nostro ricordo cogl’Inquisitori Ciacca e Mabil,
che da Piacenza e da Avignone si sono trasferiti in Pesaro ed
38
Attestato nel 1674, cfr. ACDF, Cens. libr., 1673-1674, fasc. 16.
– 47 –
in Rimino, e con due Inquisitori Francescani, che nella loro
caduta hanno ritrovato ne’ loro Conventi di Toscana
sostentamento e rifugio.39
Un paragrafo compare anche negli Eretici d’Italia di Cesare Cantù,
forse influenzato dalla Storia generale pubblicata sotto il nome di Pietro
Tamburini, per le pagine in questione ristampa verbatim dell’Istoria del
fiorentino Francesco Becattini, che a sua volta rinvia agli Annali del
Sacerdozio e dell’Imperio di Battaglini.40 Nel passaggio dagli Annali alla
compilazione di Becattini (episodica e d’effetto, tanto da riscuotere un
discreto successo commerciale) la vicenda conservava immutato lo schema
narrativo – alleggerito dei giudizi su principi e ministri – ma vedeva
capovolto il ruolo dell’inquisitore, ora qualificato come “zelante
all’eccesso”41, e riscattati gli Ebrei dalla colpa e dalla “meritata schiavitù”
che li connotavano nel testo di Battaglini.
39
[Tommaso Vincenzo Pani,] Della punizione degli eretici e del Tribunale della S.
Inquisizione lettere apologetiche. In questa seconda Edizione aumentate notabilmente e corrette
dall’Autore a maggiore schiarimento di alcune verità spettanti ai diritti della Chiesa e del
Principato, [Faenza], seconda edizione ampliata 1795 [prima ed. 1789], pp. 340 sgg..
40
Cesare Cantù, Gli eretici d’Italia, discorsi storici, vol.
III,
Torino 1866, p. 439. Storia
generale dell’inquisizione corredata da rarissimi documenti, opera postuma di Pietro
Tamburini […], per Francesco Sanvito, Milano 1862, vol.
IV,
pp. 184-186. Istoria
dell’Inquisizione ossia S. Uffizio corredata di opportuni e rari documenti. Data per la terza
volta alla luce con aggiunte da Francesco Becattini accademico apatista, presso Giuseppe
Galeazzi, Milano 1797, pp. 182-185. Annali del Sacerdozio e dell’Imperio di monsignor
Marco Battaglini, vescovo di Nocera et c., tomo terzo che contiene gli Avvenimenti dal
Decimoterzo al Decimoquarto Giubileo, presso Andrea Poletti, in Venezia
MDCCIX,
pp.
377-379 e 653. Dubbi più che condivisibili sull’attribuzione a Tamburini in DEL COL
2003, pp. 103-104, dove è qualche cenno anche sulla anonima Storia dell’inquisizione in
Italia. Corredata da opportuni e rari documenti, Firenze, a spese degli editori, 1859.
41
Becattini, Istoria …, p. 182.
– 48 –
Lo sfratto del 1666
Gli Annali del Sacerdozio e dell’Imperio di monsignor Marco Battaglini e
l’ Historia d’Italia di Giacomo Brusoni
Sacerdote, laureato in utroque, Marco Battaglini aveva incontrato
padre Granara ad Ancona, dove svolgeva funzioni giudiziarie dal 1668;
nominato vescovo di Nocera Umbra nel 1690, pubblicherà gli Annali tra il
1701 e il 1711, suddividendoli secondo gli anni giubilari, manifestando
l’impostazione ortodossa e romana già nell’emblema in frontespizio, dove
un’allegorica Italia, cinta di corona turrita, in primo piano rispetto a
bandiere e cannoni, tiene in grembo una cornucopia e la tiara papale.
La sua interpretazione della vicenda si aggrappa ai concetti di
intemperanza, di schiavitù e di punizione divina: intemperante è Carlo II,
che ricerca piacere disonesto e sensuale, prepotenti sono i ministri, la cui
corruzione è alimentata dal favore smodato che ricevono dai principi,
mentre sul versante positivo è paziente il cardinal Donghi, che svolgerà
funzione di mediatore tra Roma, Mantova e Vienna, trait d’union tra le
urgenze della fede e la miscredenza dei governanti. Libero e virile è
l’inquisitore, e simmetricamente gli Ebrei ricadono sotto la giurisdizione
della Chiesa “come suoi servi”. Isabella Clara diventa allora pessimo
esempio per il principino erede quando antepone il potere secolare a quello
ecclesiastico ed è strumento della perfidia ebraica nell’impedire alla Chiesa
l’indottrinamento forzato, utile a salvare almeno le anime dei cristiani, cui
non può essere rimproverato di aver taciuto la verità agli ebrei, già
inorgogliti per la depravata parzialità con cui sono tollerati. Privi di
ragionevolezza, gli ebrei sono “gentame perfido, abjetto e schiavo”, che
ricorre alla borsa non potendo far appello all’eloquenza, come prosegue la
cronaca ormai divenuta invettiva, risvegliando nel lettore odierno le
inquietudini più cupe.
L’inquisitore non è più considerato un giudice cauto e scrupoloso,
ma il rappresentante della Santa Sede. Nella narrazione del torto che ha
– 49 –
subito, il tono del discorso passa rapidamente da grave a profetico e
visionario: “impallidirono, renduti estatici” i soldati nell’udire la scomunica,
“divina vendetta” è la discriminazione antiebraica, mentre il sacco del 1630
diventa giusta punizione e presagio per il futuro, “ira di Dio” scatenata
dalla troppa tolleranza, avverando la profezia del francescano Bartolomeo
da Saluzzo, il predicatore “celebre per santità” che nel 1602 era stato
cacciato quale sobillatore dei tumulti diretti contro gli ebrei, non ancora
rinchiusi nel ghetto.
È un poco più sobria l’altra fonte dichiarata da monsignor
Battaglini, il libro trentaquattresimo della Historia d’Italia42, scritta da
Girolamo Brusoni quando da tempo aveva svestito l’abito della Certosa e
quello più pericoloso di accademico libertino, per concentrarsi sul mestiere
di ‘novellista’ e sulla vendita di notizie confidenziali alla Serenissima
Repubblica.43 Sono comunque già presenti la santità di ‘frà Bartolomeo da
Saluthio’ e l’avverarsi della profezia nei ‘prodigiosi eventi’ che portarono
all’estinzione del ramo principale dei Gonzaga e alle guerra di Monferrato,
con quelle altre pessime conseguenze di somigliante caducità,
che diedero il moto a quasi tutte le più strane rivoluzioni
d’Europa che han funestato il nostro secolo44,
secolo che per Brusoni iniziava proprio con tali vicende, da cui la sua
Historia prende avvio. Ritrovare questo accenno in un autore che
immagineremmo disincantato, se non proprio pirronista, fa supporre che a
quarant’anni dagli eventi (o settanta, contando dal 1602) questa fosse la
42
Della Historia d’Italia di Girolamo Brusoni libri XXXVIII. Riveduta dal medesimo Autore,
Accresciuta e Continuata. Dall’Anno 1625. fino al 1670., per gli Heredi Francesco Storti, e
Gio: Maria Pancirutti, in Venetia MDCLXXI, Libro Trentesimo Quarto, pp. 857-858.
43
DBI, Brusoni, Girolamo (De Caro 1972); PRETO 1994, p. 208 e passim.
44
BRUSONI, Historia d’Italia …, p. 858.
– 50 –
Lo sfratto del 1666
versione standard, o per lo meno quella che il pubblico si aspettava di
trovare in un’opera che all’ufficialità aveva sacrificato parecchio del
divertissement estetizzante degli Incogniti e della corrosiva polemica
anticuriale di poco posteriore.
Frate Bartolomeo Cambi da Saluzzo, francescano
La maledizione lanciata da Bartolomeo Cambi risulta associata alle
disavventure dinastiche di casa Gonzaga già verso il 1627, in una lettera,
conservataci anonima e senza data, che pare inviata a Carlo
I
Gonzaga
Nevers per chiedere una più rigida segregazione degli ebrei, deplorando la
loro presenza a corte e il peso dei debiti contratti nei loro confronti:
“Dico che già 25 anni in circa mi ritrovai presente alle
due prediche, che fece il padre fra Bartolomeo de Cambi […].
Contutto ciò si ha visto [†] Serenissimo Signore che la
maleditione ha havuto luogo ne Serenissimi et anco se ben si
guarda con quelli, che di loro voluntà negotiano, e
commertiano con hebrei. […] Vostra Altezza è successo
herede di questi stati e ne pigliò il pacifico possesso, et al suo
arivo e’ duro’ molti giorni tut’il Popolo bramoso del suo bene
gridava Viva, Viva Vostra Altezza scaccia gli hebrei quasi
volesse dire Viva Viva Vostra Altezza con patto che scaccia gli
hebrei e questa voce deriva dal stracco delle maleditioni narrate
troppo pesante a questo suo fedelissimo Popolo.45
45
ASMn,
AG,
b. 3391, S Università degli Ebrei; III Varie circa gli Ebrei della Città, e Stato,
fasc. 10, 1602 [1601] – 1692, c. 585. Non manca la giustificazione del comportamento
insinuante e delatorio: “sarei già venuto a dire questo pensiero a bocca, ma temevo di
essere repulsato per causa de loro protettori e padri; se non cacciarli, almeno che stiano da
ebrei, e non al pari dei cristiani”.
– 51 –
Anche Ippolito Donesmondi nella Historia ecclesiastica (1616)46
aveva ricordato, guardandosi bene dal porre una scadenza temporale, la
maledizione lanciata da frate Bartolomeo durante una predica e ripetuta al
momento della partenza da Mantova. Tutto il suo resoconto è un difficile
equilibrismo tra le ragioni del principe e quelle del frate, a sua volta incerto
tra il dovere di cacciare gli ebrei, scelta gradita soprattutto agli uomini del
contado, e l’astenersi dalla violenza. Donesmondi scrive di essere stato tra
quanti avevano cercato di smorzare i tumulti, che porteranno a diversi
tentativi di linciaggio e all’impiccagione di sette ebrei, sottratti alle carceri
del vescovato dalle milizie ducali per imporre una punizione immediata ed
esemplare. Non loda e non biasima frate Bartolomeo, mentre ricorda la sua
austerità di vita prima di prendere le distanze – con un “e fù detto” – dalle
miracolose guarigioni avvenute durante le benedizioni. Immediatamente a
ridosso dei fatti, nel 1602, si era riunita una commissione, composta da
teologi di fiducia del duca, dal vescovo frate Francesco Gonzaga e
dall’inquisitore, al fine di sollecitare la Congregazione del Sant’Uffizio a
punire la temerarietà di frate Bartolomeo,47 sperando forse di far leva
sull’orgoglio
per
l’appartenenza
all’ordine
domenicano,
stuzzicato
dall’opposizione tra la fallacia di Tommaso d’Aquino e le ragioni del
46
47
DONESMONDI, Istoria ecclesiastica, II, pp. 372-384.
Sulla vicenda cfr. almeno BERTOLOTTI M. 2011 che segnala diverse copie di
Considerazioni sopra le prediche del Padre Bartholomeo da Soluthio Franciscano (ASMn,
AG,
b. 3391), indicate anche come Processo fatto contro Fra Bartholomeo da Salutio quando
Predicò in Mantova, et per haver sollevato quella Plebe contro gli Hebrei (titolo forse
posteriore). Cfr. inoltre la lettera del duca Vincenzo a Striggio, Mantova, 30 agosto 1602
“doverete voi instare con ogni più efficace modo, massime appresso de Cardinali della
Congregatione della Santa Inquisitione, che fra Bartolomeo venga castigato” (ASMn, AG,
b. 2255).
– 52 –
Lo sfratto del 1666
francescano Duns Scoto, ‘principe dei teologi’ e sostenitore dei battesimi forzati.48
Già diverso è il tono complessivo che emerge dalle parole del
vescovo, di cui Donesmondi era segretario: nello stesso 1616, scrivendo al
Sant’Uffizio romano, frate Francesco riversa sugli ebrei la responsabilità dei
tumulti, che pure finirono per essere di vantaggio alla religione, infatti
l’anno 1602 con l’occasione che predicò in questa città il padre
frate Bartolomeo da Salutio, minore osservante refformato, in
quei rumori mossi dal nemico, si cavarono grandissimi frutti,
et levando il resto per non esser longo, vedendo la bona
dispositione del Signor Duca Vincenzo di bona memoria sua
Santità li mandò certi ordini contro Hebrei, accio conforme a
quelli costoro fossero refformati; ai quali ordini il signor Duca
rispose a sua Santità et con quella occasione si missero in
essecutione per la maggior parte, poi fu eretto il Gheto il quale
persevera et con giovamento.49
Nel 1666, contestando al massaro degli Ebrei i privilegi loro
concessi, padre Giacinto Maria Granara aveva risvegliato spettri
48
ASMn, AG, b. 3391, c. 538r.
49
ACDF, St. st.,
CC
1 b, c. 669, 19 gennaio 1616, da Mantova a Roma. Così prosegue:
“Sapia dunque Vostra Signoria Illustrissima Per gli travaglii poi che ha patito questo stato,
per la morte de 2 Duchi, et con la guerra le cose si sono alquanto rafredate, abenché io
non ha mancato /// né manco, di fare quanto devo, acciò si osservi quanto si deve, et
ultimamente feci alcuni avvertimenti per li curati, et confessori, a quali ordinai
strettamente l’osservanza […]. La magior difficoltà ch’io provo, è non potere, et non
potere bene rimediare alli servi et serve christiane, che in esercitii transitorii et necessarii
servono alli hebrei. Hanno molte sinagoge, et alcune antiquissime, ma tutte con Brevi et
licenze particolari della Santa Sede Apostolica. […].” Immediata e circostanziata la
risposta del duca (cc. 671-676). Cfr. la miscellanea BCMn t-II-54.
– 53 –
faticosamente sopiti, dalla violenta superstizione del popolo all’insofferenza
della Corte per il tribunale, che già Carlo I, provocando continui inciampi
agli inquisitori, ventilava di ridurre “come nel Stato veneto”50.
Le cronache locali
Nel ricostruire il clima non aiutano le altre consuete cronache
mantovane, sempre attente al buon nome dei governanti, presenti o passati
che fossero. Non troviamo cenni nel Compendio51 di Volta (1833), che si
occupa solo dei feudi oltre il Po e del confine col Modenese, né nella
Cronaca universale52 di Federigo Amadei, sacerdote impiegato come
segretario presso famiglie della nobiltà e come compilatore della locale
gazzetta. Alle versioni manoscritte, inedite sino a metà ’900, hanno attinto
di frequente gli storici locali, che ne hanno inevitabilmente subito i
condizionamenti. Amadei aveva iniziata la scrittura nel 1737;53 in vista
della pubblicazione del primo volume si era rivolto all’inquisitore, che gli
aveva procurato l’autorizzazione alla stampa,54 subito concessa da Roma
50
ACDF, St. st.,
CC
1 c, c 296, 19 novembre 1638, da Mantova l’inquisitore Pietro
Martire a Roma.
51
Leopoldo Camillo Volta, Compendio cronologico-critico della storia di Mantova dalla sua
fondazione sino ai nostri tempi, tomo IV, Mantova da Francesco Agazzi stampatore della R.
Accademia 1833; cfr. libro XVII, pp. 211 sgg..
52
AMADEI, Cronaca … . Il primo volume copre dalle origini della città al ducato di
Guglielmo, il secondo arriva sino all’anno 1741; come detto nella prefazione furono i
primi a essere scritti, completati nel 1745.
53
Cfr. le Notizie su Federigo Amadei e sulla «Cronaca Universale delle città di Mantova»
premessa all’edizione a stampa.
54
ACDF, Res doctrinales, Censurae, Tituli librorum, 1729-1745, fasc. 128; Mantova, 25
dicembre 1739, L’inquisitore Pietro Martire Cassio alla Congregazione: “Eminentissimi
et Reverendissimi Signori Signori Padroni Colendissimi / Desiderando il Sacerdote Don
Federico Amadei Cittadino Mantovano stampare la Cronaca Universale della Città di
Mantova, umilio qui incluso il titolo del primo volume della sodetta Cronaca
– 54 –
Lo sfratto del 1666
“servatis servandis”55. Nulla figura nel Fioretto56 di Stefano Gionta, nel
1741 ripubblicato e ampliato proprio da Amadei, e nulla nella Cronaca
mantovana57 di Giuseppe Viani, che – come funzionario di corte – era stato
almeno indirettamente coinvolto dagli eventi.
“Il caso dello sfratto dell’Inquisitor da Mantova”
Seguendo le relazioni e i documenti delle cancellerie gli avvenimenti
possono comunque essere ricostruiti con buona approssimazione. Una delle
relazioni più dettagliate, purtroppo anonima e non datata, si trova ora a
Firenze:
Trovandosi presentati nel Tribunale dell’Inquisitione di
all’Eccellenze Vostre per ottenere, se sarà in piacimento dell’EE. VV. il benigno assenso; e
riportandomi alle supreme determinazione dell’EE. VV. umilmente le bacio al Sagra
Porpora. / Dell’EE. VV. / Mantova S. Officio 25 decembre 1739 / Umilissimo
Divotissimo Obbligatissimo Servitore / Fra Pietro Martire Cassio Inquisitore”.
55
Il 5 gennaio 1740, come annotato nel medesimo incartamento, che come d’obbligo
contiene la trascrizione del frontespizio: “Cronaca Universale della Città di Mantova /
Contiene tutte le notizie storiche Sacre, Profane, e Guerriere dalla di lei fondazione, fino a
nostri tempi. / Tutt’i Principi, che signoreggiandola, e spezialmente li Gonzaghi, colla
loro nascita, azioni, e morte. L’Albero cronologico della loro Famiglia, e dell’altre
superstiti diramate dalla Sovrana. Gli Elogi, ed Epitaffi delli più rinomati tra d’essi; e
quelli ancora d’altri Cittadini celebri, o per Santità, o per Lettere. / O finalmente le più
rimarcabili Lapidi, e monumenti si antichi, che moderni, per prova, e chiarezza della
Mantovana storia: con la emendazione degli errori, ne’ quali corsero quei, che scrissero di
Mantova. / Opera di Federigo Amadei Prete Cittadino Mantovano descritta d’anno in
anno. Volume primo. / fino a Federigo Gonzaga Marchese V, e primo Duca”.
56
Il fioretto delle croniche di Mantova raccolto già da Stefano Gionta, ed in quest’ultima
edizione ampliato colle cose piu notabili di essa città succedute fino al presente anno 1741, in
Mantova, per Giuseppe Ferrari, erede d’Alberto Pazzoni, stampatore arciducale. La copia
consultata è dell’edizione 1844, ulteriormente ampliata da Antonio Mainardi, copia
anastatica a cura dell’Istituto Carlo D’Arco (1972).
57
Pubblicata in CIRANI 2005.
– 55 –
Mantova due hebrei per ingiurie gravissime di Parole da loro
dette contro due zitelle convertite dal Ebraismo alla Santa
Fede ardì un Ebreo, che parlava a favore de rei, di dire al Padre
Inquisitore non doversi credere ad Ebrei fatti Christiani
mentre erano inimici di Dio, à cui havevano voltate le spalle,
come conteneasi in un libro de loro privilegii, o Capitoli.58
Secondo Battaglini la lite fu invece innescata dalla scarsa presenza
degli ebrei alla obbligatoria predica cristiana, cui pochi avevano partecipato,
e solo a sermone quasi finito. L’obbligo per gli ebrei di ascoltare prediche
cristiane era particolarmente sgradito e disatteso, tanto che nel 1679
Innocenzo
XI
ordinerà all’inquisitore mantovano maggior fermezza,
suscitando la reazione di Ferdinando Carlo, che l’anno seguente concederà
agli ebrei libertà di partecipare “a loro beneplacito”.59
58
BNCFi, Fondo Capponi, G, mobile cassetta 2, num. 30 [893], Relazione dell’accaduto
nell’espulsione dell’Inquisitore di Mantova nel 1666. Si tratta di due fascicoletti compresi nel
lascito (1854) del marchese Gino Capponi alla Biblioteca Magliabechiana, ora Nazionale
Centrale, dove non è stato possibile reperire notizie circa la formazione del fondo. Il
fascicolo 8, più dettagliato, potrebbe essere l’allegato del fascicolo 9, che espone una breve
relazione dei fatti, favorevole al papato, sino all’affissione dei cedoloni di scomunica.
Rinviano all’ambiente ecclesiastico alcune espressioni (ad es.“abissus abissum invocat”,
salmo 41) e l’insistenza sulla responsabilità dell’arciduchessa (di solito sminuita dalle fonti
laiche); fa pensare a istruzioni per un rappresentante o agente di Roma la conclusione:
“Comanda dunque Nostro Signore, che Vostra Signoria si vaglia di quelle notitie […]
secondo il bisogno. E stia avvertita a non lasciare che li Ministri di detta Signora
Arciduchessa facciano false impressioni in cotesta Corte per disporla a favorire i proprii
interessi in questo affare […] informarà Vostra Signoria opportunamente (ma però con
decoro, e senza dare apparenza di raccomandarsi) chiunque ella stimarà necessario,
somministrando poi quà tutte quelle notitie, che ella haverà potuto rintracciare,
avvertendo di non si lasciare uscire di mano, ne mostrare ad alcuno la presente Istruttione,
e relatione, che se l’inviano.”
59
Cfr. DBI, Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers, duca di Mantova e del Monferrato (Benzoni
– 56 –
Lo sfratto del 1666
In ogni caso, infastidito dall’insolenza, l’inquisitore recupera tramite
il massaro il libro degli statuti degli ebrei, “fatti far prigioni alcuni d’essi che
ricusarono di darlo”60. La relazione ‘fiorentina’, che tace la violenza
dell’inquisitore e camuffa il sequestro col pretesto dell’ora tarda, prosegue:
Parve ciò strano al Padre Inquisitore; che volendo vedere
la qualità del libro, ove supponeasi contenuta tal propositione;
mandò il suo Padre notaio a farselo consegnare dagl’Ebrei, indi
apertolo in vedere ne frontespicii delle pagine li nomi di
Guglielmus, Ferdinandus imaginatosi esser quello il libro de
Privilegii conceduti agl’Ebrei dai Duchi di Mantova, e
bastandole ciò per creder indubitatamente, non esser possibile
contenersi ivi la propositione asserta dagl’Ebrei, come troppo
ingiuriosa alla Santa Fede, e repugnante al zelo de quei
Principi, senza leggere più oltre lo chiuse e consegnollo al
Padre Notaio con ordine che la mattina seguente essendo
all’hora di notte, il rendesse al hebreo, da chi l’avea ricevuto.61
Su questo farà leva la difesa dell’inquisitore, che ritenendo assurde
le concessioni, trattiene presso di sé il libro, come dichiarerà poi, per
poterlo studiare con cura, cosa del tutto lecita, essendo il testo esibito in
occasione di processi e altri atti pubblici con valore di legge.62
1996).
60
GORANI, Memorie,
II,
p. 4, che dipende dalle informazioni fornitegli dal marchese
Canossa.
61
62
BNCFi, Capponi, fasc. 8, c. 1r.
“[…] immediatamente in presenza del Conte [Vialardi] chiamato il Padre Notaio
sudetto che senza haver saputo cosa alcuna del seguito tra il Padre Inquisitore; et il Conte
interrogato del ordine havuto, ratificò quanto per apunto l’aveva significato l’Inquisitore; il
quale aggiunse, mai esserle caduto in mente, che potesse l’Altezza offendersi della richiesta
di tal libro, e che tanto l’haverebbe pregato a credere, quando si fusse degnata concederle
– 57 –
È sul libro che si concentra l’attenzione dei tre soggetti inizialmente
coinvolti.
L’inquisitore ne ha bisogno per fermare abusi e storture,
sospettando una clamorosa falsificazione, o insinuando la falsificazione per
mostrare quanto le concessioni del potere secolare siano spropositate e fuori
luogo. È anche l’unico a trovarsi in posizione di forza, non avendo nulla da
perdere: la situazione difficilmente poteva peggiorare, essendo già
intollerabile (almeno dal punto di vista di un religioso che oggi diremmo
integralista) e una completa opposizione della corte al tribunale era semplicemente inimmaginabile, come in seguito dimostrarono i falliti tentativi
della diplomazia mantovana di ottenere solidarietà dalle corti italiane
contro le ingerenze pontificie.
La comunità ebraica deve difenderlo e reimpadronirsene, fisicamente: nel caso peggiore l’inquisitore avrebbe potuto distruggerlo, o
trattenerlo per un tempo eccessivamente lungo inviandolo a Roma, nel
meno sfavorevole l’avrebbe contestato, in ogni caso si sarebbe aperta una
stagione di ridefinizione e ricontrattazione dello status della comunità, che
si sarebbe certamente conclusa in perdita, perché se era vero che la corte
aveva necessità di una consistente presenza ebraica in città, quasi l’unico
gruppo sociale in grado di garantire commerci e capitali a uno stato
sottopopolato, era altrettanto vero che la pressione della Chiesa si era
intensificata rispetto agli anni cui risalivano gli statuti, quando la
segregazione era meno rigorosa, non esistevano il ghetto, la casa per i
neofiti, e le imposizioni fiscali erano meno opprimenti.
Nel 1638 ad esempio l’inquisitore Pietro Martire d’Acquanegra
udienza. E mentre credea l’Inquisitore havere a bastanza in questa forma sincerato il
Conte; questi se le fè più vicino, e disseli Sua Altezza mi ha ordinato di dire a Vostra
Reverentia, che domattina se ne vada.” (BNCFi, Capponi, fasc. 8, c. 1r).
– 58 –
Lo sfratto del 1666
segnalava alla congregazione la benevolenza concordata agli ebrei dal
segretario Striggi, sostenitore dell’autorità ducale sul controllo di quegli
ebrei che “continuamente giocano alle Carte con christiani nelle publiche
biscacce”63. Le disonestà, genericamente riconducibili alla “straordinaria
familiarità, e conversatione tra Hebrei, e Christiani”64, si articolavano in tre
tipologie principali: i rapporti carnali65 tra cristiani e donne ebree, i servizi
vili66 svolti dai cristiani in favore di ebrei e le bestemmie profferite dai
cristiani durante il gioco delle carte, questo l’unico problema che poteva
essere risolto facilmente, seppur in maniera controintuitiva, vietando agli
ebrei la frequentazione delle osterie. Le bestemmie non sarebbero
diminuite, ma sarebbe venuto meno lo scandalo che provocavano:
Questi Hebrei di Mantoa si fanno lecito giocar
continuamente con Christiani a Carte, et Dadi, nelle
pubbliche Biscacie, mantenute pure da detti Hebrei, nelle quali
son accertatissimo che si bestemia horrendissimamente il
Santo nome di Dio, della Beata Vergine, et de Santi et de
simili bestemiatori ne ho castigati diverse volte, et prohibitoli
in gioco, et ho tentato di prohibire alli Hebrei che non possino
giocar con Christiani almeno così publicamente in vigor d’un
ordine fatto, et stampato [da Clemente VIII …] et anco perché
tocco con mano che li stessi Hebrei restano amirati, per non
dir scandalizati, dall’horrende bestemie che sentono proferir da
63
ACDF, St. st.,
CC
1 c, c. 335v, novembre-dicembre 1638, l’inquisitore di Mantova
Pietro Martire Riciardi a Roma.
64
Ivi.
65
Cfr. ACDF; St. st., LL 4 f, fasc. 1.
66
Svolti, come scrive frate Girolamo da Camerino, da umilissimi montanari di Trento, e
“il Santo Offizio non ha mai proceduto contro di questi per questa causa” (ACDF, CC 1 b,
fasc. 8, c. 668, 23 gennaio 1616).
– 59 –
Christiani in simil Biscaccie, et maggiormente vengono a
confermarsi nella loro perfidia, ma non voliono astenersene. 67
Pietro Martire dispone però di pochi strumenti: ai privilegi concessi
da più pontefici e all’insolenza di Striggi (che tramite il padre vicario gli
manda a dire che “il Papa è Papa nel suo stato”) può opporre solo un editto
di Girolamo Medici da Camerino, risalente al 1620, che temperava le
proibizioni con numerosi distinguo.68
67
ACDF, St. st.,
CC
1 b, fasc. 8, c. 1013, 6 agosto 1638, l’inquisitore Pietro Martire alla
congregazione.
68
ACDF, St. st.,
LABORE
CC
1 c, c. 310, Editto / del S.to Officio di Mantova: “VIRTUTE
ET
/ Noi Frate Girolamo Medici da Camerino dell’ordine de’ Predicatori, Maestro
di Sacra Teologia, & Inquisitore Generale di Mantova, &c
Havendo la Santità di N. S. Papa Paolo Quinto ordinato, come appare per lettere
dell’illustrissimo, & Reverendiss. Signor Cardinale Millino date in Roma sotto li 15. &
23. Aprile 1616. che con ogni diligenza, & à tutto nostro potere procuriamo, che si levi la
vicendevole & stretta famigliarità de’ Christiani con Hebrei, & Hebrei con Christiani.
[… … …] Non intendiamo però impedire il trattare per occasione di vendere, ò comprare,
ma questo si faccia ne’ luoghi, & ore consuete.
Parimente non vogliamo sijno compresi in questo nostro ordine quelli Neofiti, con queli
per ragione d’uffitio, che tengono, conviene che gli Hebrei bene spesso, e longamente
trattino.
[… … …] E perche l’intentione nostra è di levare i disordini, e non d’impedire il bene
d’alcuno, perciò non intendiamo prohibire alli Hebrei, che non possino (occorrendo)
andare a trattare nelle Hostarie con Mercanti per vendere, e comprar robbe, per fare
instromenti, e scritti.
Ne di prohibirli l’andar a magazeni, o hostarie per fare (come occorre) collatione, e bevere
malvasia, ò qualche bichier di vino. Ne meno d’impedirgli, che non possino andar à
comprare vino all’Hostarie de’ Christiani, ma solo intendiamo prohibire come sopra, per
levar l’occasione de’ scandali, che sotto tali pretesti commettono i sviati, e vagabondi.
[… … …] Dato nella Cancellaria del Sant’Officio di Mantova, li n 17. Febraro 1620. /
Hyeronimus Inquisitor Mantuae qui supra, manu propria. / Frater Hyppolitus Franciscus
Bonus Vicarius, loco notarij, / In MANTOVA, Per Aurelio, & Lodovico Osanna fratelli,
Stampatori Ducali.”
– 60 –
Lo sfratto del 1666
La situazione non era molto diversa nel 1666, quando l’arciduchessa
“voleva assolutamente in Casa propria essere obedita”: Isabella Clara deve
difendere la propria autorità,69 di fatto estinta nei feudi francesi, vacillante
nel Monferrato, faticosamente mantenuta nella capitale,70 la cui
appartenenza agli Asburgo d’Austria era già stata bastantemente
minacciata. Forse per la presunzione avventata dei suoi consiglieri, forse
per il proprio carattere altero, a posteriori sembra aver sottostimato il
pericolo maggiore, la diminuzione del proprio prestigio internazionale,
unico esito di un deciso intervento pontificio, che in effetti risulterà frenato
69
70
BNCFi, Capponi, fasc. 8, c. 2r.
Scrive in cifre a Roma il nunzio di Germania il 6 marzo 1666: “Mi significò in
confidenza l’Imperatrice le prattiche mosse con molta applicatione dal Governatore di
Milano, per che l’Arciduchessa Governatrice di Mantova voglia permettere al Duca di
Guastalla il coabitare in detta Città, offerendo in tal caso d’adoperarsi, che questi
restituisca le due Terre altre volte occupate, e che si suppongono proprie della casa di
Mantova. […] Sua Maestà si è avvista che simile riguardo è stato artificiosamente
promosso dalla gelosia del Marchese Canossa, a cui non può piacere, che Guastalla, il più
prossimo successore allo Stato in mancanza del Duchino vivente, assisti in Mantova, et
osservi i suoi dispotici andamenti. Ma Sua Maestà benche sappia, che in altri tempi
Madama sua Madre similmente rimasta Governatrice mai volse consentire che alcun
Prencipe del Sangue, e massime di Guastalla, […] per tante guerre suscitate risiedesse in
Mantova, vietandogli sino la compra di una Palazzo in detta Città per togliere ogni
speranza alla riuscita de suoi disegni; e l’istessa imperatrice à gli Ambasciatori di Spagna,
che qui stavano a favor del medesimo Duca, rispose all’hora categoricamente che
desiderava di servire sì al Re di Spagna, ma non in cosa tanto contraria alla quiete della sua
Casa Paterna.” (ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 62r, 6 marzo 1666 (decifrata il 25
marzo)).
Ancora il 5 giugno sottolineerà l’irritazione imperiale e il “disgusto, che passa con detta
Arciduchessa per non haverlo voluto ammettere di Stanza in Mantova, ne meno dopo di
averne sentito il parere a lui favorevole di S. Maestà, e del Governatore di Milano” (ASV,
Segr. Stato, Germania, 182, c. 120v, 22 maggio 1666 (decifrata il 9 giugno), dal nunzio di
Vienna a Roma).
– 61 –
solo dal timore di dar pretesto a una delegittimazione completa.
Il libro degli statuti, divenuto feticcio, è al centro del contendere, e
anche quando padre Granara lo restituirà, non proprio spontaneamente, i
funzionari ducali cercheranno un’azione che tronchi il progressivo dilatarsi
dell’attività del Sant’Uffizio, lusingati dagli ebrei tramite ‘donativi’, o
corrotti, o semplicemente timorosi di perdere i capitali necessari
all’amministrazione, causa bastante per parlare di ragion di Stato.
Il modo dell’essecutione dello sfratto fu che doppo haver
un giorno avanti mandato l’Arciduchessa dal Padre il conte
Vialardi segretario di Stato per dirgli, che restituisse il detto
libro, e se ne dovesse uscir di Stato, havendo il Padre risposto
che il libro lo restituirebbe, ma che circa il comando di partir
da Mantova non conosceva, ch’altri che’l papa e li suoi
superiori glielo potessero fare, alla mattina seguente all’aperta
della porta della chiesa si trovorono da 50 soldati con una
carozza a sei ivi per entrare, come di fatto entrarono, ed
intimato al padre Inquisitore che dovesse all’instante uscire del
convento che alla porta v’era una carozza per condurlo giù
dello Stato mantoano, ricusò il padre d’obbidire; ma havendo
repplicato il capo71, che se non havesse fatto più che presto ad
ubbidire, haveano ordine di legarlo e strascinarvelo, all’ora
presa licenza d’andar almeno a prendere il mantello subito si
pose in carozza.72
Qualche variante73 nella relazione di BNCFi, che sottolinea la
71
Il conte Vialardi?
72
GORANI, Memorie, II, p. 4.
73
Per confronto: “Andorno due hore doppo due officiali di Sua Altezza dall’Inquisitore
con dirle che la medesima dopo havea intesa la risposta datale dal Conte Vialardi, havea
– 62 –
Lo sfratto del 1666
moltitudine di spettatori, tra cui gli ebrei, maligni e festanti. Dunque gli
agenti ducali
circondato l’Inquisitore lo forzarono, nonostante la protesta
delle Censure, ad uscire di Convento, avanti al quale trovavasi
allestita una Carozza di Corte, in cui convenne all’Inquisitore
salire assieme col Padre Notaio, e Converso à veduta di
numeroso Popolo con concorso, e trionfo di molti Ebrei, li
quali stavano aspettando di vedere la Vittoria della loro
malignità sopra l’Inquisitore e salitivi anche detti due Officiali
di Sua Altezza, che dissero tener ordine d’accompagnarlo sin à
i confini, se ne andò a Guastalda lasciato però a piedi in quel
territorio, ch’è pure soggetta all’istessa Inquisitione di Mantoa,
ove da quel Duca fù accolto con dimostrationi [2v] di stima
straordinaria e di suo ordine alloggiato, e spesato in quel
Convento de Servi.74
A meno di non credere all’arciduchessa, che descrive la scorta
armata come protezione e segno di deferenza verso l’ufficio75, l’esibizione di
forza pare spropositata, ma è del tutto impotente di fronte alla resistenza
loro [2r] mandato a farle sapere, che voleva assolutamente in Casa propria essere obedita,
che per ciò se n’andasse e conducesse seco ancora il Padre Notaio; altrimente haverebbe
ricevuto de disgusti. E benche l’Inquisitore replicasse loro la medesima risposta data al
Conte, punto non giovò, poiche la la mattina per tempo ritornati in Convento i medesimi
officiali le reiterorno l’ordine di partire, indi appresso giunsero due Compagnie di
Guardia, d’Alabardieri l’una, l’altra d’Archibugieri [… ]” (BNCFi, Capponi, fasc. 8, cc.
1v-2r).
74
BNCFi, Capponi, fasc. 8, cc. 2r-2v.
75
ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, filze, 115 anno 1666 marzo – agosto m. v.,
28 luglio 1666, Isabella Clara Gonzaga Nevers al doge: “la scorta armata gliela danno non
per cacciarlo, ma perché non venga offeso da malintenzionati”.
– 63 –
dell’inquisitore, che pronunciando solenne scomunica ai sensi della bolla In
coena Domini trasforma la questione da religioso-politica in giuridica e
diplomatica. Da qui innanzi il rispetto delle forme esteriori e della
procedura giudiziaria sarà fondamentale, e il ritorno dell’inquisitore in città
dovrà essere un ‘onorifico’ reintegro e avere l’aspetto del pubblico
risarcimento, perché l’apparenza è tutta sostanza.
E prima d’entrarvi disse: Horsù già che Sua Altezza ha
voluto trattar con me in questa forma, ed io per l’autorità, che
tengo dichiaro scomunicata per la bolla in Coena Domini
l’Altezza Sua con tutti quelli, che hanno havuto parte con
l’opera o col consiglio in questa violenta risolutione, e voi tali
assistenti ne sarete testimonij e voi notaro rogate. Il che fatto
la carozza partì, e condusse il P. Inquisitore sul margine de’
confini del Mantovano, ed ivi lo lasciò.76
Dal punto di vista giuridico la situazione è semplice, ma difficile da
comporre: una aperta violazione dell’immunità inquisitoriale e una
scomunica fulminata pubblicamente richiedono l’assoluzione papale, previa
ammissione di colpa e conseguente umiliazione. Eventuali indimostrati
abusi dell’inquisitore non esimevano dall’obbedienza, e si sarebbero
comunque dovuti risolvere col ricorso all’autorità superiore, cosa che –
osservano a Roma – in altre occasioni era avvenuta, ma in questa non c’era
stata neppure qualche avvisaglia.77
76
GORANI, Memorie, II, p. 4.
77
“Che se il Padre Inquisitore avesse anche in qualche parte ecceduto nel suo Ministero,
ella non dovea, ne poteva venire ad un eiettione del medesimo si scandalosa. Mà ricorrere
alla Santita di Nostro Signore, ch’è il solo legittimo Giudice degl’Inquisitori, come fecero
già altri Duchi di Mantova, et ultimamente il Duca suo Marito, quando [4r] si sono
stimati poco sodisfatti delle persone d’altri Inquisitori.” (BNCFi, Capponi, fasc. 8, cc.
– 64 –
Lo sfratto del 1666
Il 19 aprile la notizia viene discussa in congregazione,78 dove erano
arrivati i resoconti di padre Granara e della cancelleria ducale, che tramite il
proprio agente a Roma, Balliani, aveva presentato una lettera al cardinal
nipote Flavio Chigi. Si decide all’unanimità di incaricare il cardinale
Donghi di svolgere le opportune indagini, a partire dall’inquisitore e dal
suo converso, e di istruire quindi formale processo, pubblicando se
necessario i cedoloni di scomunica, e “quando non dentur debitae
satisfactiones Sancto Officio, procedetur ad Interdictum, ad quod tum non
deveniat inconsulta Sacra Congregatione”. Espletate le formalità ordinarie,
senza la particolare urgenza riservata ai casi conclamati, il papa avrebbe
scritto una lettera minatoria alla duchessa di Mantova, o – se si preferisce –
un amorevolissimo Breve in cui l’avvertiva à considerare lo
stato pericoloso della propria Coscienza, fattole presentare da
discreto e prudente Religioso79 inviato a posta per insinuarle in
voce concetti proprii di Principe Cattolico, rimoverle gl’erronei
instillatigli da suoi Ministri, e destarla dal letargo, nel quale
giaceva miseramente sopita80.
Il cardinal Donghi, dalla sua sede vescovile di Ferrara, conferma il
19 maggio all’impaziente congregazione che il breve (datato 26 aprile) era
stato recapitato dal suo confessore all’arciduchessa e ricevuto con la dovuta
riverenza, ma senza sortire particolari conseguenze e rimanendo senza una
3v-4r).
78
ACDF, Decreta, 1666, c. 54r, 19 aprile 1666: “Lectis litteris Inquisitoris Mantuae datis
8 huius, quibus certiorat de eiectione sua facta de mandato Ducissa Mantuae ab eadem
Civitate, et territorio , necnon lectis litteris eiusdem Ducissae […]”.
79
Padre Lorenzo di San Giovanni Battista, agostiniano scalzo, confessore del cardinale
Donghi (BNCFi, Capponi, fasc. 8, c. 4r).
80
BNCFi, Capponi, fasc. 9, c. 1v.
– 65 –
risposta ufficiale.81 Del resto, pur ricordando la tradizionale devozione e
pietà della famiglia Gonzaga e della casa d’Austria, Alessandro
VII
Chigi
nulla aveva concesso alla trattativa: la responsabilità dell’accaduto ricadeva
per intero su Isabella Clara, che avrebbe fatto meglio a rivolgersi ai
cardinali inquisitori generali piuttosto che esercitare violenza ‘armata
multitudine’ contro un delegato apostolico, superiore a ogni altro giudice e
non sottoposto ad alcun potere secolare. Il castigo di Dio incombeva, come
già era accaduto a quei popoli che ne avevano scacciato i profeti, e
minacciava i figli e discendenti del casato, come la storia e la memoria degli
uomini potevano facilmente confermare:82 l’allusione appartiene al registro
linguistico che ci attendiamo da un pontefice, ma nel caso specifico
suonava particolarmente sinistra. L’unico risultato della ‘paterna ammonizione’ fu l’inasprimento delle intimidazioni esercitate sul vicario del
tribunale, rimasto a Mantova in San Domenico:
al Padre Vicario del S. Officio rimasto in Mantova viene
negata l’Udienza intimorendolo di vantaggio con farle dire, che
ne meno esso stava bene in Mantova, e che li Principi hanno le
braccia lunghe, in maniera che egli non ardisce uscire di Casa
per non ricevere affronti massime dagl’Ebrei divenuti per tal
fatto baldanzosi, non potendo parimente esercitare il suo
Ministero, mentre li testimonii, et altri examinandi anche
chiamati
ricusano
comparire
senza
la
licenza
della
Arciduchessa (così fomentati da alcuni Ministri, che [6r] la
tengono in modo assediata, che non lasciano che alcuno le
81
ACDF, Decreta, 1666, c. 65v, 11 maggio 1666; c. 68r, 19 maggio 1666; c. 71r, 25
maggio 1666.
82
ASV, Epistulae ad Principes, 66, c. 108 vecchia, 129 meccanica, 21 aprile 1666, papa
Alessandro VII Chigi a Isabella Clara, duchessa vedova.
– 66 –
Lo sfratto del 1666
parli senza l’assistenza d’alcuno di essi).83
Il 9 giugno i cardinali rompono gli indugi,84 e ordinano a Donghi di
procedere; nel frattempo padre Granara potrà continuare la normale
amministrazione da Guastalla, mantenendo però un ruolo defilato che non
dia adito a mormorazioni di sorta.85
La linea d’intervento rimane quella decisa due mesi innanzi,
confermata in luglio86 e delineata nella lettera destinata al nunzio di
Vienna87 il 21 agosto 1666, quando l’imperatore aveva già sconfessato
83
BNCFi, Capponi, fasc. 8, c. 6r.
84
ACDF, Decreta, 1666, 77v, 9 giugno 1666.
85
ACDF, Decreta, 1666, c. 83, 16 giugno 1666: “Inquisitoris Mantuae lectis litteris datis
Guastallae 3. huius […], Decretum, ut mandatur ne se ingeret in causis non spectantibus
ad Sanctum Officium, et causas eiusdem non expediat mediante pecunia”. Di routine la
comunicazione del 23 giugno, che autorizza la stampa delle vite dei minori francescani
beati Pietro d’Alcantara e Giacomo Pirani (ACDF, Decreta, 1666, c. 87v, 23 giugno
1666). Per la presenza a Guastalla di Angelo Alavolini, lettore di teologia morale
originario di Fano, nel 1667 risultano stampate due opere su Pietro d’Alcantara, la cui
santificazione era imminente: L’aquila panegirico sagro in lode del B. Pietro d’Alcantara
minore osservante. Detto nella chiesa della Santiss. Nontiata di Parma l’anno 1662 dal
rever. padre Angelo Alavolini da Fano, in Guastalla per Marco Erasmi stampatore ducale,
1667 e la Vita del B. Pietro d’Alcantara dell’ordine de’ minori osservanti di S. Francesco.
Descritta dal padre Olimpio Bonaventura Aluigi, data in luce, et ornata di frase
dall’illustriss. et eccellentiss. sig. dottor Ottavio Alavolini nobile di Fano, in Guastalla
nella stamparia ducale per Marco Erasmi, 1667.
86
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 12r, 17 luglio 1666, dal Sant’Uffizio al nunzio a
Vienna: “È di parere la Sacra Congregatione del Sant’Officio che Vostra Signoria sfugga
destramente d’entrar in alcun negotiato con la Maestà dell’Imperatrice per l’affare di
Mantova, mà che ricercato de suoi sensi, risponda semplicemente non potersi dar luogo à
trattati [… … …]. Frà tanto non si è stimato conveniente il soprasedere nella prosecutione
del processo […].”
87
In questo periodo i nunzi a Vienna sono Carlo Carafa della Spina (1658–1664), Giulio
Spinola (1665–1667) e Antonio Pignatelli (1668–1671, futuro Innocenzo XII).
– 67 –
l’incauto operato della duchessa (che avrebbe fatto meglio a manifestare
pietà e devozione, anziché avventurarsi in risoluzioni troppo virili):
non doversi dar orecchio a trattato di sorte alcuna per
intavolare le sodisfationi da darsi al Santo Tribunale, se prima
non si vede con ogni honorevolezza reintegrato nel suo posto il
Padre Inquisitore richiamato decorosamente dalla Duchessa
con ordine di cui fù iscacciato, rimanendo ella incapace
d’alcuna habilità, mentre tuttavia continua contumace e
pertinace.88
La responsabilità attribuita individualmente a Isabella Clara evita il
caos istituzionale e allontana le pretese di Francia e Spagna sul ducato,
preservando i diritti del principino alla successione e mantenendo valido il
giuramento dei sudditi nei suoi confronti. Lo scioglimento del vincolo di
fedeltà preoccupava tanto l’Impero quanto l’amministrazione mantovana, e
benché il nunzio fosse autorizzato a rassicurare la corte imperiale,89 gli era
pure indicata come preferibile una posizione reticente e ambigua, più
vantaggiosa perché meno prevedibile:
[2r] E perche si tiene avviso che li Ministri della Corte
di Mantova vanno supponendo che qua si pensi d’assolvere i
88
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 13v, 21 agosto 1666.
89
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, cc. 11-12, 10 luglio 1666 e 12 luglio 1666, da Roma al
nunzio di Vienna, inoltre ACDF, Decreta, 1666, c. 119, 18 agosto 1666: “Eminentissimi
Cardinalis Donghi lectis litteris datis Bononiae
XI
huius, quibus mittit /// partem
Epistolae sibi scriptae a Nuntio Germaniae, in qua habetur, quod ob causam expulsionis
inquisitoris Mantuae subditi absolveantur a juramento, Decretum scribendum, Nuntio
Germaniae, quod numquam fuit cogitatum de absolvendo subditos a Juramento, Hic
Romae affigantur more solito edictos reaggravationis, et a Religiosis sciatur, ad edicta
fuerint affixa Mantuae ut redigantur in actis licterae eorudem Religiosum ad probandam
affixionem.”
– 68 –
Lo sfratto del 1666
sudditi dal Giuramento si giudica bene di far sapere a Vostra
Signoria mai esser ciò caduto in mente di Nostro Signore. In
ordine à questo punto però ella non dovrà farne motivo senza
necessità, ma solo in caso, che in cotesta Corte habbiano li
suddetti Ministri fatto precorrere tal voce.90
Così appunto farà nel luglio del 166691 il conte Calori, inviato
mantovano a Vienna, allo scopo di allontanare la corte dalle posizioni
favorevoli a Roma. Fallito il tentativo di far passare sotto silenzio la
vicenda, l’attenzione a rappresentare come moralmente giustificabile
l’espulsione cercando di polarizzare l’insofferenza delle corti europee verso
le ingerenze romane, rimarcate ed accentuate, è l’unica strada disponibile
prima della capitolazione davanti all’inflessibilità pontificia, sostenuta da
una non comune padronanza degli strumenti diplomatici.92
Nel frattempo il livello dello scontro si era alzato. Dapprima, per
rimarcare la linea intransigente, era caduto a proposito il viaggio di ritorno
del nunzio da Vienna verso Milano, che aveva evitato Mantova col pretesto
di preferire la via d’acqua, sottile forma di cortesia e scortesia al medesimo
tempo. Il 13 luglio vengono poi pubblicati i cedoloni di scomunica contro
Marco Vialardi e contro gli altri ministri che avevano diretto l’espulsione,93
90
91
BNCFi, Capponi, fasc. 9, c. 2r.
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 161r, 31 luglio 1666 (decifrata 18 agosto) dal
nunzio di Vienna per Roma.
92
Così ad esempio ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 11v, 10 luglio 1666, da Roma al
nunzio di Vienna: “Potrà all’istesso modo tener anco ben inclinata la Maestà
dell’Imperatore, e potendo essere che la signora Duchessa ne havesse sentito in Spagna si
trasmettesse a Monsignore Nuntio Visconti [nunzio in Spagna] una notitia del fatto, et
hora gli se ne soggiunge un’altra del seguito poi sino al presente. O ancora la settimana
seguente per conoscenza al nunzio di Spagna” (ivi, c. 12v, 17 luglio 1666, da Roma).
93
ACDF, Decreta, 1666, c. 102v, 21 luglio 1666: “Eminentissimi cardinalis Donghi lectis
– 69 –
e nel dubbio ci si prepara a comminare l’interdetto a tutto lo Stato:
In questi termini potrà Vostra Signoria contenersi ne
discorsi con la Maestà dell’Imperatrice, e con chiunque altro
bisognasse, osservando però di non impegnarsi in altro trattato
se non sarà effettivamente richiamato il Padre Inquisitore, per
non obligare la Sacra Congregatione à sospendere il corso del
processo dell’Interdetto, come forse spera ottenere la Duchessa
con l’apertura di negotiato per godere del benefitio del
tempo.94
In occasione della missione viennese del conte Calori, che si
presenterà alla corte imperiale senza aver prima reso al nunzio apostolico
l’abituale visita di cortesia, questi avrà facile occasione per mostrarne
l’inciviltà costringendolo a scuse che si sommavano alla più grave
‘mortificazione’ in cui si trovava Isabella Clara,
trattata in publico da scommunicata […] con ricusar di
ricevere certa sua lettera che la pregava a lasciarsi da essa
litteris datis Bononiae 14. huius, quibus scribit protulisse sententiam contra Marcum
Vialardum, et alios, qui Inquisitorem a Civitate Mantuana expulerunt Cedulonosque
Censurarum contra ipsos fuisse affixos; Decretum ei rescribendum, ut curet affictum sit,
per omnes Civitates, et transmittantur exemplaria Mantuae, et Episcopo Mantuano, et
Conventibus Regularium eiusdem Civitatis, et affigantur etiam Romae in locis consuetis,
et certiorentur Nuntii Germaniae et Hispaniarum, ut dictus Eminentissimus procedat ad
ulteriora in gravatoria, et aggravatoria.”
94
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 13v, 21 agosto 1666, da Roma al nunzio in Vienna;
cfr. ACDF, Decreta, c. 107r, 4. 28 luglio 1666: “Litteris eminentissimi cardinalis Donghi
datis Bononiae 18[?] huius rescribatur, quod prosequatur diligentias faciendas in causas
eiectionis Inquisitoris Mantuae.”
– 70 –
Lo sfratto del 1666
servire d’alloggio in occasione che il viaggio della legatione
l’obligasse a toccare lo Stato di Mantova.95
Eleonora Gonzaga Nevers
La debolezza diplomatica di Isabella Clara era nota a Roma almeno
dal mese di febbraio, quando veniva decifrata una lettera del nunzio
residente a Vienna, che informava come l’imperatrice fosse “pessimamente
sodisfatta dell’Arciduchessa di Mantova, perché operava dispoticamente”.96
Espressione fumosa che – sospetta il nunzio – va quasi certamente riferita
al fastidio per i tentativi di recuperare, d’intesa con l’agente di Luigi
XIV,
Obeville,97 i feudi di Nevers e Rethel quali dote per il progettato
matrimonio tra Ferdinando Carlo e una nipote della regina di Polonia
Maria Luisa Gonzaga Nevers. Appena una settimana più tardi il quadro
risulterà completato dalle preoccupazioni per l’ascendente del marchese
Canossa, in stretta corrispondenza con Obeville a Parigi e sempre attento a
conciliare à se stesso più che al Padrone gli animi, e
l’obbedienza di quei Sudditi, et a’ soggettarli al Ministero di
persone sue parenti dependenti e forastiere, trà le quali
distribuisce le cariche principali dello Stato, così politiche,
come di giustizia, e le militari.98
95
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 156v, 14 luglio 1666 (decifrata l’ 11 agosto), dal
nunzio di Vienna a Roma.
96
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 36r, 6 febbraio 1666 (decifrata il 25 febbraio), dal
nunzio di Vienna a Roma.
97
Sul quale scarse notizie. Indicato talora come ‘Obeiville’ è citato come rappresentante di
Luigi
XIV
verso il 1661 nelle Memoires du Comte de Brienne, Amsterdam, Jean Frederic
Bernard MDCCXIX e nominato alcune volte in ASVe, Senato, Secreta, Dispacci, Spagna.
98
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 48r, 13 febbraio 1666 (decifrata il 4 marzo), dal
nunzio di Vienna a Roma.
– 71 –
Il timore è un colpo di mano sul Monferrato operato dal Canossa99
sostenuto dai francesi, o addirittura che “li Venetiani habbiano qualche
disegno sopra Mantova”, confermato dai tentativi di reintrodurre un loro
presidio armato in città.100
Qualche pretestuosa richiesta della dote, “che si deve alla Maestà
Sua dalla Casa, per quanto non abbia essa animo di maggiormente
angustiarla” sarà una buona copertura per inviare a Mantova il conte
Gottlieb di Windisch-Grätz che, “se bene luterano di religione”, era
soggetto abile e fidato.101 I timori non erano solo fantasie, visto che a
Venezia sarà svaligiato il corriere della posta, probabilmente con il fine
principale di conoscere i riflessi romani circa le intenzioni austriache verso
il Turco. Mancavano comunque anche tutte le lettere spedite da Mantova
all’imperatrice e quelle da Roma per il nunzio, e nessuno s’accomodava a
credere “che l’ingordigia dei ladri, più che la curiosità de Politici, sia stata la
cagione di sì grave disordine.”102
99
Cfr. anche ASV, Segr. Stato, Germania, 182, cc. 62r sgg., 6 marzo 1666 (decifrata il 25
marzo), dal nunzio di Vienna a Roma: “E mi soggiunse l’Imperatrice d’haver havuto anche
per fine d’interrompere le machine del Marchese Canossa, il quale di già era risoluto
d’appoggiare a suo fratello il principal comando di Casale.”
100
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, cc. 125v sg., 5 giugno 1666 (decifrata il 23 giugno),
dal nunzio di Vienna a Roma: “nutrendo [Canossa] una stretta confidenza con i ministri
della Repubblica di Venetia suo Padron naturale possa esser dall’istessi corrotto come
hanno dato sospetto le di lui destre prattiche di far rimettere in Mantova [126r] il presidio
Veneto con fine per quanto si può credere, che la Repubblica se ne impadronisse in caso
della deficienza del Duchino.”
101
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 78r, 27 marzo 1666 (decifrata il 14 aprile), dal
nunzio di Vienna a Roma. Quasi a giustificarsi, Eleonora Gonzaga Nevers non manca di
rivelare al nunzio che “sperava che un atto di questa confidenza fosse per invitare detto
Cavaliere, che anche è del Consiglio Aulico, a’ ridursi nel grembo delle Santa Chiesa.”
102
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 64r, 6 marzo 1666 (decifrata il 25 marzo), dal
nunzio di Vienna a Roma.
– 72 –
Lo sfratto del 1666
Quando arriva a Vienna la notizia dell’espulsione di padre Granara,
l’isolamento politico di Isabella Clara è già deciso103 e le pressioni di parte
imperiale sono inutilmente volte a sbrigare il caso in fretta e col minimo
clamore,104 senza intralciare le richieste che l’imperatore andava avanzando
su alcune rendite abbaziali105. La responsabilità è prontamente attribuita al
103
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 119v, 22 maggio 1666 (decifrata il 9 giugno, il 26
giungo trasmessa in copia al Sant’Uffizio), dal nunzio in Vienna a Roma: “[… … …] Di
più Sua Maestà ha scritto con l’istesso sentimento all’Arciduchessa contestandogli, che i
Duchi di Mantova in veruna cosa hanno più studiato, che in mostrarsi ossequiosi alla
Santa Sede e favorevoli a’ Ministri del Santo Tribunale dell’Inquisitione. Che la Duchessa
Sua Madre quando governò vedova [120r] osservò sempre religiosamente simili
documenti, e che in ordine alla relatione fattagli da terza persona sopra la verità del fatto,
lo riconosceva pieno di circostanze così aggravanti, ch’essa Arciduchessa era in obbligo di
pensare allo Stato della propria coscienza, a rimuovere i Scandali, et a ricordarsi che
quando venisse segregata dal grembo della Chiesa, agli atti del suo Governo in ogni tempo
si darebbe l’eccettione di nullità, et in fine l’ha essortata a dar ogni sodisfatione a Nostro
Signore et a non fare fondamento su l’assistenza di questa piissima Corte che sempre
condannò i gesti reprovati dalla Santa Sede”.
104
Così ad esempio ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 121r, 5 giugno 1666 (decifrata il
23 giugno), dal nunzio di Vienna a Roma: “L’Imperatrice aspetta con impatienza la
risposta dall’Arciduchessa Governatrice di Mantova con l’avviso, che habbia data la dovuta
sodisfatione al Sant’Offitio”.
105
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 40r, 6 febbraio 1666 (decifrata il 25): scrive il
nunzio: “Avendo io penetrato essere stato anteposto a Cesare, che molto complirebbe a’
suoi Imperiali interessi una fattione di Cardinali in Roma, e suggerito di smembrar le
rendite, che avanzano al bisogno di tante ricche Abbadie di Giuspatronato per far corpi di
pensione, et applicarla a quei Eminentissimi, che volessero dichiarsi del partito Cesareo,
[… … …] ho stimato espediente […] far ponderare a qualche ministro primario, che il
pensiero era diretto a diminuire la libertà del Sacro Collegio, e che lo consideravo tanto
più improprio, quanto era il mero dispositivo in far capitale de beni Ecclesiastici, il che
non poteva seguir senza l’assenso di Nostro Signore, e mormoratione degli heretici […]”.
Altre suppliche per accelerare la nomina di cardinali filoimperiali in ASV, Segr. Stato,
Germania, 182, c. 147r, 10 luglio 1666.
– 73 –
marchese Canossa, “uomo micidiario, e di mala coscienza”, ma i colloqui
col nunzio106 non ottengono che un blando intervento per rallentare le
procedure, restando indispensabile un atto di pentimento dell’arciduchessa
prima di ogni altra concessione e aggiustamento di forme.
Se per gli imperiali il pericolo maggiore è
che l’Arciduchessa non resti discreditata appresso i suoi sudditi
da dichiarazioni, che suonino ritrattamenti di cosa fatta senza
governo, e con mal consiglio107
per l’ambasciatore veneziano, che smentisce ogni interesse della Repubblica
su Mantova, l’importante è il mantenimento dello status quo:
[…] se si aggiustasse l’affare senza la fulminatione delle
Censure, che questo signor Ambasciatore di Venetia stima
pericolose [137r] et atte a mettere in apprensione gl’altri
Principi, forse si levarebbe il soggetto all’humana politica di
publicar scritture d’empii concetti.
106
Il quale chiarisce la propria posizione scrivendo a Roma: “Disse Sua Maestà di
desiderare che io non m’aprissi ch’ella a nome dell’Arciduchessa m’habbia parlato”.
107
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 136r, 19 giugno 1666 (decifrata il 7 luglio), dal
nunzio di Vienna a Roma. Discredito che non doveva diffondersi tra i sudditi, purché
fosse ben chiaro ai ministri e ai politici italiani. Così “Il Marchese di Grana prima di partir
verso Milano mi ha confidato tener ordine preciso da questa Imperatrice Vedua di dire
liberamente al Governatore di quello Stato, che S. Maestà non si vuol ingerire a favor della
Duchessa di Mantova sopra il negotio del Padre Inquisitore, perche ha operato senza
fondamento di ragione, e perche dopo il male invece di correggerlo, solo applica a i partiti
più disperati per esacerbarlo, e deferisce a Suoi Consiglieri sempre intenti a fomentar
l’inquietudini in Italia, che un dì saranno la rovina della Casa Ducale.” (ASV, Segr. Stato,
Germania, 182, c. 199r, 4 settembre 1666 (decifrata il 22 settembre), dal nunzio di Vienna
a Roma).
– 74 –
Lo sfratto del 1666
Le scomuniche
Auspicio ampiamente deluso, giacché i cedoloni furono affissi
non solo ne luoghi de Confini, mà anche in diversi luoghi del
Mantovano, e nella Citta stessa di Mantova e suo Ducato
benche fussero subito levati da sbirri soldati.108
La rimozione a sua volta sarà occasione di nuove aggravate
censure,109 ma la determinazione e la capillare efficienza del Sant’Uffizio
erano evidenti a chiunque. Il conte Calori aveva comunque un motivo in
più per recriminare sulle cattive inclinazioni di padre Granara o
sull’invadenza della Chiesa, che – a suo dire – avrebbe presto assolto i
sudditi dal giuramento di fedeltà all’Impero.110
Spettava ormai unicamente alla Santa Sede decidere il tempo e il
modo di una vittoria schiacciante, limitata solo dal desiderio di non irritare
la corte Cesarea: Eleonora Gonzaga Nevers aveva lasciato intendere al
nunzio “che la Duchessa confusa non saprebbe a qual risolutione hoggi
appigliarsi dopo che i suoi Ministri erano stati flagellati pubblicamente
dalle Censure”111 e che era ben consapevole della necessità del reintegro di
Granara nella sua carica, ma che “che in ogni caso quel Religioso non
sarebbe stato bene in Mantova che per pochi giorni, e la Duchessa non
108
BNCFi, Capponi, fasc. 8, c. 6r.
109
ACDF, Decreta, c. 123v, 24 agosto 1666: “In causa expulsionis Inquisitori Mantuani
fuerunt relatae litterae Vicarii illius Sancti Officii datae 12 currentis, et eminentissimi
Donghi Judicis Delegati data Bononiae 18 eiusdem, [… … …] In eadem causa fuerunt
relatae litterae Episcopi Mantuae, quibus certiorat affigi fuisse publice exemplaria
Cedulonum ei transmissos contra Delinquentes in expulsione dicti Inquisitoris, […]”.
110
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 162v, 31 luglio 1666 (decifrata il 18 agosto), dal
nunzio di Vienna a Roma.
111
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 164v, 7 agosto 1666 (decifrata il 25 agosto), dal
nunzio di Vienna a Roma.
– 75 –
poteva richiamarlo senza discredito del suo Governo”.112
Verso la metà di agosto i resoconti dell’ambasciatore veneziano
presso la corte Cesarea si incrociano in Senato con una lunga lettera
indirizzata da Isabella Clara al doge, incentrata sulla necessità di mantenere
il segreto di Stato e di nascondere al cardinal Chigi “le vere ragioni della
cacciata”113, mostrando al confessore “la verità delle cagioni apparenti”
mentre si lasciava tuttavia intendere “che ve n’erano altre di più importanti
da tacere”, “mirando la quiete d’Italia, la salute e conservazione di questa
Casa”. L’appello a far causa comune per difendere la giurisdizione dei
principi laici, minacciata dal continuo ricorso all’estradizione verso lo Stato
della Chiesa, non trova però riscontro esplicito nella città che sessant’anni
prima si era opposta all’interdetto comminato da Paolo V.
Benché l’archivio dei Pregadi ci abbia conservato la soddisfazione
veneziana per la conclusione della vicenda114 e siano ripetuti gli inviti a
lasciare aperti i negoziati o ancor meglio a concluderli rapidamente115,
l’attenzione della Serenissima Repubblica è tutta diretta alla lega
112
Ivi, c. 165r. Inoltre cfr. c. 240r, 16 ottobre 1666 (decifrata il 4 novembre), dal nunzio di
Vienna a Roma.
113
ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, filze, 116, anno 1666, settembre-febbraio
1666 m. v., 28 luglio 1666.
114
Ivi, 13 novembre 1666: messaggio di rallegramenti per il nunzio a Venezia,
“bramandosi sempre da noi che siano divertite le novità, e che tutto passi con quiete”.
115
ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, registro, 70, anno 1666 m. v., 17
settembre 1666. ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, filze, 116, anno 1666, 25
settembre 1666. Ivi, 2 ottobre 1666: “Le notitie valeranno à Voi di lume, et per penetrare
quello nel medesimo affare si andasse rissolvendo, non lasciandosi dall’Ambasciatore
nostro di andar instilando concetti valevoli ad insinuar la quiete; et la convenienza di
render questo negotio per quanto più brevemente sia possibile terminato”. Ivi, 9 ottobre
1666: “godemo dalle vostre lettere intendere che si sperassero aperture di aggiustamento”.
– 76 –
Lo sfratto del 1666
antiturca.116 In ogni caso è l’ambasciatore di Venezia a spargere “semi di
soavità” col cardinal Chigi,117 ed è sempre l’ambasciatore veneziano che
parallelamente, a Vienna, mostra al nunzio Giulio Spinola la necessità e la
possibilità di sbrigare la vertenza, ormai sproporzionata rispetto ai fatti.
Riferisce a Roma il cardinale:
Con occasione, che il Signore Ambasciatore di Venetia
avanti hieri mi parlava degli affari del Mondo, nel
communicarmi alcune lettere d’avvisi scritte dal Segretario
della Repubblica firmate dal Duce sopra il particolar successo
di Mantova, m’accorsi a caso dell’iscrittione a tergo che
accludevano l’esemplare di una relatione di due fogli data
intorno ad esso a quel Senato dalla Duchessa, e l’Ambasciatore
nella prattica che in detto racconto si supponevano molte cause
per le quali si procedette all’espulsione del Padre Inquisitore,
tra le quali ch’egli havesse introdotto un scandaloso interesse
nel Tribunale del Santo Officio mentre non veniva a
speditione di cause se non sollecitato dall’Oro, che per la
[188v] medesima ingordigia tirasse al suo foro molti negotii
non spettanti con eccedente lesione della Giurisditione del
Duca; che di propria autorità havesse ultimamente radunata
una Compagnia di cernita a titolo di far accompagnare un frate
inquisito, e che si fosse intruso nell’essercitio della carica senza
116
ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, filze, 116, anno 1666, settembre-febbraio
1666 m. v., 16 ottobre 1666. Già al 28 luglio 1666 la lettera proveniente da Mantova si era
guadagnata solo una breve annotazione, e la discussione in Senato si era concentrata sulla
situazione nell’Adriatico e in Dalmazia.
117
ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, registro, 70, anno 1666 m. v., 1666, 17
settembre 1666.
– 77 –
haver mai, secondo il solito, mostrato d’esser stato deputato
per tal impiego. Supponeva anche la nullità delle censure per
più capi, e che in ogni caso il rigore fosse stato intempestivo
dopo che la Maestà dell’Imperatrice haveva promessa ogni
prontezza per parte della Duchessa in dare honeste sodisfationi
[189r] al Santo tribunale. Io dopo haver date le risposte, che
convenivano ad ogni capo dissi, che l’ultimo era falsissimo,
perché l’Imperatrice non solo non haveva meco tenuto discorso
d’impegno sopra tal negotio, ma più tosto repugnò alle
propositioni che incidentemente io gli motivai e che
consideravo adequate alla reintegratione dell’offesa fatta al
Sant’Offitio, dicendo Sua Maestà doversi haver anche riguardo
che il governo della Duchessa non ricevesse scredito appresso i
Popoli, né l’appuntamento restò tra noi in altro se non che io
attendessi a i motivi che mi fossero venuti da Roma sopra tal
discorso; che’essa voleva haver fatto meco in nome proprio, e
senza [189v] veruna partecipatione della Duchessa et io
all’incontro mi protestai d’haver corrisposto senz’ordine
privatamente e fuori del mio ministerio. In detta Relatione mi
disse l’Ambasciatore che la Duchessa premetteva d’essersi
indotta d’informar del fatto anche l’Imperatore consapevole
che io qui havevo principiato con Sua Maestà a figurarlo a mio
modo. Mi lasciò poi l’ambasciatore l’esemplare annesso d’una
scrittura fatta sopra la materia, e disse, che veramente
sentirebbe assai se si procedesse all’Interdetto, mentre
prevedeva che quei sudditi sarebbero stati compatiti;
apprendendosi per troppo violente quel rimedio che per sanare
un membro particolare [190r] si lacera indifferentemente il
corpo intiero d’un Popolo innocente, e m’addusse l’esempio
– 78 –
Lo sfratto del 1666
d’alcuni luoghi in Lombardia della Lomellina, che aggravati
per lungo tempo da un simile castigo, perderono sin dall’hora i
buoni sensi della pietà, mentre gli habitanti s’habituorno per
sempre a trascurar l’uso de Sacramenti.118
Il nunzio poteva confermare che le principali responsabilità erano
da attribuire a Canossa, Strozzi e Ricciardi, e che “il Vialardi cercò più
tosto di temprare i rigori con mettere in consideratione quanto fossero
improprii”.119 Chiedendo discrezione e riserbo per evitare possibili ritorsioni,120 Eleonora Gonzaga Nevers intercederà a suo favore, avanzando il
sospetto
che malitiosamente fosse appoggiata al Vialardi l’imcumbenza
dell’odiose ambasciate, che fece al Padre Inquisitore, per
esporre a i pericoli di mortificatione il servitore più fedele che
abbia in Mantova la Maestà Sua, e che lo fu di Madama Sua
Madre; che i tre Consiglieri Canossa, Strozzi, e Ricciardi sono
all’Imperial suo servitio pessimamente inclinati, e massime
l’ultimo, ch’essendo suo Paggio, lo cacciò dal servitio, e la
Duchessa non ebbe riguardo d’accettarlo a i negotii del
Governo per quanto sia di poca habilità.121
118
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 181r, 28 agosto 1666 (decifrata il 15 settembre),
dal nunzio di Vienna a Roma.
119
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 180r, 21 agosto 1666 (decifrata il 9 settembre), dal
nunzio di Vienna a Roma.
120
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, cc. 181r sgg., 26 agosto 1666 (decifrata il 15
settembre), dal nunzio di Vienna a Roma. Così la risposta: “Quanto al segreto bramato da
Sua Maestà non le si replica altro sapendo Vostra Signoria benissimo con quale arcano si
camini negli affari del Santo Officio” (ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 15r, 18
settembre 1666, da Roma al nunzio di Vienna).
121
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, cc. 181v sgg., 28 agosto 1666 (decifrata il 15
– 79 –
Il processo contro Vialardi si era però già concluso con dichiarazione di colpa,122 per cui l’assoluzione sarà possibile solo al ritorno dell’inquisitore a Mantova, usando riguardo per l’età avanzata di Vialardi, cui sarà
risparmiato il viaggio a Roma, indirizzandolo dapprima a Ferrara123, dal
cardinal Donghi, infine – senza incomodo e senza pubblica umiliazione – a
Mantova, presso il vescovo, cui sarà data facoltà di assolvere anche tutti gli
altri imputati minori, come egli stesso aveva richiesto.124
Già all’inizio di settembre, pur senza impegnarsi su alcun punto in
particolare, il nunzio aveva confermato che l’Imperatrice vedova avrebbe
potuto “intercedere con molta fiducia le gratie di Sua Santità a beneficio de
scommunicati”,125 purché l’autorità del tribunale fosse confermata in pieno,
stimando che da avvenimenti così lesivi per il Santo Tribunale
settembre), dal nunzio di Vienna a Roma.
122
ACDF, Decreta, 1666, c. 102v, 21 luglio 1666.
123
ACDF, Decreta, 1666, c. 169v, 7 ottobre 1666: “Eminentissimi Donghi lectis litteris
datis 16. huius concernentis reditum Mantuam Inquisitoris, et modum visitandi
Archiducissam, quatenus continuat morari in terra Goiti, habita prius certa scientia, quod
benigne recipiatur, ac etiam modum absolvendi incursos in excommunicatione etc.
rescribatur Eminentissimo Dongho, qui respondeat, quo de stilo absolutionis debet
concedi Romae, sed quod Eminentia Sua respectu comitis Vialardi attenta ipsius gravi
aetate posset obtinere, quod absolvatur per Eminentiam Suam Ferrariae, dummodo tum
coeteri accedant prius ad Urbem.”
124
Cfr. ACDF, Decreta, 1667, c. 12v, 19 gennaio 1667; c. 17r, 26 gennaio 1667; c. 42r, 2
marzo 1667: “mandarunt committi eminentissimo Dongho, ut delegat Episcopum
Mantuanum ad effectum absolvendi Mantuae in forma Eecclesiastica consueta coeteros
excommunicatos […]. Item ut scribatur etiam em.mo Dongho, ut curet habere ab
episcopo Mantuano et transmittat ad sacram Congregationem Instrumentum publicum
talis absolutionis.”
125
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 201r, 11 settembre 1666 (decifrata il 30 settembre),
dal nunzio di Vienna a Roma.
– 80 –
Lo sfratto del 1666
“n’havrebbero tratto a lor favore gli heretici della Germania”.126
Ancora una volta il possesso di migliori informazioni (nonostante le
lentezze della posta) e la conoscenza dei meccanismi procedurali della
Santa Sede sono determinanti per indirizzare la conclusione in modo
favorevole al tribunale.
Eleonora,
premeditando le lagrimevoli conseguenze, che con l’Interdetto
erano imminenti alla sua Casa di Mantova […] stava ancora
dobiosa se il ritorno del Padre Inquisitore in Mantova fosse
stato sufficiente a trattener il comminato Interdetto127
si decide a mandare un ordine imperioso a Isabella Clara, ottenendo così i
buoni uffici del nunzio, che accondiscende volentieri a
una soddisfatione, la quale in sostanza non mette in impegno,
né pone in essere cosa alcuna poiche al signor Cardinale [scil.
Donghi] consta del ritorno del Padre Inquisitore prima di
ricevere la mia lettera, e di sua natura s’arresta l’Interdetto, o
n’è già consumato l’atto, e la mia intercessione non può
ritrattarlo.128
In congregazione era frattanto arrivata ulteriore corrispondenza da
Ferrara (dove era vescovo il cardinal Donghi), dall’inquisitore di Milano e
dal conte Vitaliano Borromeo, verosimilmente tramite fra i Gonzaga e
Giberto Borromeo (all’epoca cardinale inquisitore)129, quindi altre lettere
126
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 166v, 7 agosto 1666 (decifrata il 25 agosto), dal
nunzio di Vienna a Roma.
127
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 209v, 18 settembre 1666 (decifrata il 6 ottobre), dal
nunzio di Vienna a Roma.
128
Ivi, c. 201r.
129
Cfr. ACDF, Decreta, 1666, c. 136r, 7 settembre 1666. Giberto
– 81 –
III
Borromeo (1615-
dai nunzi di Germania, Napoli e Venezia e la conferma che il 10 del mese
il vescovo di Mantova aveva fatto affiggere pubblicamente i cedoloni “in
quibus excommunicati declarantur aggravati et reaggravati”.130
Finalmente il 21 settembre il marchese Canossa, alla presenza di
notaio e testimoni, comunica al priore di San Domenico e al vicario che
Sua Altezza “si compiace che Il Padre Inquisitore Granara se ne ritorni in
Mantova alla sua Residenza”131 e il 6 ottobre, trascorsi circa 6 mesi
dall’espulsione,
Fuerunt relatae litterae Ducissae Mantuae datae 23
septembris, quibus eminentissimo Cardinali Barberino scribit
notificasse Patri Granara Inquisitori, ut ad sui libitum redeat
ad exercitium sui muneris.132
In una relazione più tarda l’inquisitore riassume il proprio rientro e
l’udienza presso l’arciduchessa “et narrat discursum inter eos secutum, ex
quo colligitur parva satisfactio habita”,133 soddisfazione così magra che “ex
epistula Archiducissae non apparet poenitentia nec dolor nec factum”.134
L’affare mantovano scivola rapidamente agli ultimi punti nei verbali
conservati nei Decreta, e – come già accennato – si trascina nella normale
1672), impegnato a più riprese in diverse congregazioni (tra le altre Sant’Uffizio,
Immunità, Vescovi e regolari, Fabbrica di San Pietro) sotto i papi Alessandro
Clemente
IX
VII,
e Clemente X, è probabile autore di un perduto Adversus errores Iansenii
redatto per l’esame di quattro vescovi francesi (1667-68) sui quali un cenno in ACDF,
Decreta, 1666, c. 119, 18 agosto 1666. Cfr. DBI, Borromeo, Giberto (Gilberto) (Lutz 1973)
e GALLI 2003.
130
ACDF, Decreta, 1666, c. 140r, 15 settembre 1666.
131
ASMn, AG, b. 2328, non numerata, 21 settembre 1666.
132
ACDF, Decreta, 1666, c. 156r, 6 ottobre 1666.
133
ACDF, Decreta, 1667, c. 128r, 28 giugno 1667.
134
ACDF, Decreta, 1666, c. 181v, 10 novembre 1666.
– 82 –
Lo sfratto del 1666
amministrazione, affidando le assoluzioni al vescovo di Mantova,135 con
particolare riguardo per il conte Vialardi, nella maniera più gradita ad
Eleonora.136
La parvenza di normalità sarà ripristinata in occasione delle feste
natalizie,137 distribuendo ringraziamenti e qualche gratifica, come nel caso
del vicario mantovano frate Aurelio Torri o del ‘benemerito’ duca di
Guastalla, che patrocinerà la promozione di frate Giovanni Battista Righi a
‘magister Provinciae Lombardiae’.138
Al procuratore fiscale non restava che recuperare e riordinare le
carte per l’archivio: la relazione del gesuita Ludovico Bompiani139 e le
istruzioni riservate – “ne ad aliorum manus perveniant, et tractu temporis
propalantur”140 – prima fra tutte la minuta per l’interdetto, che il cardinal
Donghi non aveva mai resa pubblica.
In giugno, secondo quanto richiesto da Vienna, padre Giacinto
Maria Granara sarà destinato dal nuovo papa Clemente
135
IX
alla sede
ACDF, Decreta, 1667, c. 12v, 19 gennaio 1667; c. 71r, 13 aprile 1667: “Eminentissimi
Donghi episcopi Ferrariensis fuerunt relatae litterae, quibus mittit Instrumentum
publicum absolutionis data tribus excommunicatis pro causa expulsionis Inquisitoris
Mantuae ab episcopo Mantuae”.
136
Cfr. ACDF, Decreta, 1666, c. 181v, 10 novembre 1666; c. 212r, 22 dicembre 1666,
termine ante quem.
137
ACDF, Decreta, 1667, c. 2r, 5 gennaio 1667: “Eminentissimo Cardinale Dongho
consulente an annunciare debeat festivitates Natalitias Ducissae Mantuae, vulgo Buone
Feste; fuit dictum, ut dicto Eminentissimo respondeatur per Reverendum patrem
dominum Assessorem, ut possit scribere.”
138
139
ACDF, Decreta, 1667, c. 52v, 16 marzo 1667.
ACDF, Decreta, 1667, c. 12v, 19 gennaio 1667: “relationes totius tractatus cum
Ducissa Mantuae circa negotium illius Inquisitoris.”
140
ACDF, Decreta, 1667, c. 57v, 23 marzo 1667; inoltre ivi, c. 83r, 27 aprile 1667:
“Eminentissimi Cardinalis Donghi fuerunt relatae litterae datae Ferrariae 16 huius, quibus
mittit omnes scripturas Originales in causa expulsionis Inquisitoris Mantuae.”
– 83 –
ferrarese e sostituito da Giovanni Tommaso Pozzobonelli, già titolare a
Parma.141
Gli aspetti internazionali della crisi saranno risolti sempre da
Vienna, rintuzzando ogni tentativo di intromissione spagnola, come
nell’agosto del 1666,142 quando si segnala l’inopportunità di coinvolgere il
governatore di Milano Luis Ponce de Leon. Similmente Eleonora aveva
proibito di ricevere Obeville, inviato nuovamente in Italia nell’ottobre con
il pretesto di ripianare il ‘negotio dell’Inquisitore’. La missione era stata
immediatamente disapprovata anche dal conte di Calori, secondo il quale
“tutti ci farebbero una brutta figura”,143 perché la Francia era già stata
troppo presente nei recenti dissapori mantovani verso le corti di Modena e
di Savoia, e – così attestava la corrispondenza intercettata dalle spie
imperiali – Isabella Clara era ‘troppo subordinata’ ai desideri francesi e ai
consigli del marchese Ricciardi “giovanotto di nessuna esperienza, che
prevale anche sul Canossa”144.
Al conte di Windisch-Grätz arriverà l’ordine di prolungare la
missione mantovana per estromettere drasticamente e definitivamente
Isabella Clara dal governo.
141
ACDF, Decreta, c. 128r, 28 giugno 1667, proposta approvata il giorno successivo dal
papa.
142
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 164r, 7 agosto 1666, dal nunzio a Roma; ivi, c.
232r, 2 ottobre 1666 (decifrato il 20 ottobre), dal nunzio a Roma.
143
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 253r, 23 ottobre 1666 (decifrata l’11 novembre),
dal nunzio a Roma.
144
ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 277r, 27 novembre 1666 (decifrata il 16 dicembre),
dal nunzio a Roma.
– 84 –
Nella Lombardia Austriaca
Prodromi a Mantova
I dissidi fra l’autorità secolare e l’inquisizione si rinnovano già dai
primi anni di amministrazione austriaca (subentrata nel 1707 alla signoria
gonzaghesca), per conflitti di competenza1 o per il controllo della stampa,
come era avvenuto nel 1710, quando l’inquisitore Michele Nanni e il suo
vicario denunciano al conte di Castelbarco, governatore e amministratore
imperiale della città, che lo stampatore ducale Giovanni Battista Grana
in occasione che era uscito il decreto della Canonizzazione del
Beato Pio V disse nel suo foglietto, sotto la data di Roma, che
nella Congregazione tenutasi sopra questo particolare li voti de
signori Cardinali erano stati eguali per l’affirmativa e negativa,
onde per farle passare era stato necessario che Nostro Signore
vi emetesse col suo voto, cosa che era contraria al decreto
uscito nel quale si legge che unanimemente passò.2
Non ne caveranno nulla, se non uno scortese benservito,
puntualmente riferito a Roma. In seguito, assente l’inquisitore titolare, la
Congregazione era stata informata dal vicario3 e dopo una ‘relata’ in cui ne
1
ASMn,
AG,
mat. eccl., bb. 3278-3279. In particolare al giugno 1709 risulta l’esilio
comminato dal Sant’Uffizio a Pietro Boeri e alla moglie Teresa; il Capitano di Giustizia,
ritenendo la causa di interesse solo profano, ordina ai birri di non procedere (ASMn, AG,
mat. eccl., b. 3279, cc. 130-134.
2
ACDF, St. st., GG 5 e, 24 ottobre 1710. Il foglio incriminato era il Num. 34 )( Mantova
21 Agosto 1710., che alla data Roma, 9 agosto recita: “impattando li Voti nella
Congregazione de Riti, doveva N[ostro] Sig[nore] col suo Voto stabilire il sì ò nò, come
hà fatto decretando a favore del Beato” tacendo la pretesa unanimità.
3
ACDF, St. st.,
GG
5 e, 10 settembre 1710, [409v]: “Lectis litteris Patris Vicarii Sancti
– 85 –
elogiava la prudenza (era infatti ancora pendente una controversia
giurisdizionale4) ordinerà all’inquisitore di far in modo che il Grana
stampasse sui suoi ‘foglietti’ una breve correzione della notizia.5
Il fastidio provocato dalla stampa periodica ricompare nel 1725:
padre Silvestro Martini e padre Ermes Giacinto Visconti, inquisitori di
Milano e Mantova, sono incaricati di controllare le notizie relative alla
bolla Unigenitus, “cum in Diariis impressj Mantuae, et Mediolani adessent
nonnullae non vere concernentia praefata Bullam”.6 È Martini a segnalare
che da sempre gli avvisi si pubblicano senza il preventivo controllo
ecclesiastico, e che dunque occorre accontentarsi delle informali
rassicurazioni dello stampatore7; simile risposta arriverà anche da Mantova
poco più tardi
In adempimento de’ venerati comandi dell’Em.ze V.re
in datta delli 19 prossimo scaduto, ho chiamato questo
Stampatore delli avvisi, e seriamento gli ho detto, che non
stampi cosa alcuna concernente alla Costituzione Unigenitus, e
sua accettazione, e mi ha assicurato, che in avvenire non
stamparà cosa benche menoma, in tal materia. Il male nasce,
che gl’avvisi prima di stamparsi non si rivedono dal S. Officio,
Offici Mantuae datis 29 Augusti proximi, quibus variat vexatione sibi illatas a Comite del
Castelbarco Gubernatore illius Civitatis, et hac occasione /// mittit folium impressum,
circa decretum Canonizationis Beati Pii V, Eminentissimi decreverunt, rescribendum esse
dicto Patri Vicario = relata, et quod expectet regressus Patris Inquisitoris”. È trascrizione
coeva da ACDF, Decreta, 1710.
4
È citata una corrispondenza del 13 settembre 1710.
5
ACDF, St. st., GG 5 e, 30 ottobre 1710.
6
ACDF, Censurae librorum 1724-1728, fasc. 12 (1725), c. 127r che deriva dai decreta
della “Feria 4.a die 16 Maii 1725”.
7
Ivi, lettera da Milano alla Congregazione, 30 maggio 1725.
– 86 –
Nella Lombardia Austriaca
ma solamente dal Deputato del Governo, e ciò ab
immemorabili, e se si volesse pretendere di rivederli, non si
otterrebbe
e
nascerebbono
umilmente
rappresento
mille
inconvenienti.
all’eminenze
Vostre,
alle
Tanto
quali
profondissimamente m’inchino.
Mantova primo Giugno 1725 / delle Eccellenze Vostre
/ Umilissimo, divotissimo, obbligatissimo Servitore / Frà
Ermes Giacinto Visconti Inquisitore / <Feria 4. die 13 Junii
1725 = Relata>8
Il salto di qualità del contrasto tra autorità politica e inquisitoriale
era imminente, e quasi stupisce che si sia manifestato in maniera eclatante
solamente negli anni ’60: già il successore di Nanni, frate Giacinto Pio
Tabaglio, dovette muoversi con cautela, giacché al Senato si andava
ventilando l’abolizione del privilegio del foro per i ministri del Sant’Uffizio,
ma il progetto era vago e non venne registrato a verbale, tanto che
l’operazione sembra sfumare, almeno a breve termine.
Resta invece una schermaglia risalente al 1720, quando un
mandatario del Sant’Uffizio cerca di quietare una rissa, che degenera in
colpi di pistola. Trattandosi di una causa non di fede, tutti i partecipanti
vengono arrestati dalla ‘Curia Laicale’,9 senza considerare il privilegio di
foro del mandatario. La questione rimane nei binari della tradizione:
l’inquisitore può esibire decreti a partire da Federico
8
Ivi, c. 130r.
9
ACDF, St. st., GG 5 e, 27 settembre 1720.
10
II10,
che nel 1519 “ut
Del 21 giugno 1519, confermato il 28 luglio del 1529. L’inquisitore Domenico Istriani
accenna a una patente che “non si trova nel Sant’Officio” (aggiunge con rammarico
mentre copia) e secondo la quale si comanda “a tutti li Capitani di Giustizia, Podestà,
Commissarii, Vicarii sì presenti e futuri, che in favore del Sant’Offizio diano ogni sorte di
– 87 –
autem praedictus Inquisitor [Domenico da Gargnano] suum Inquisitionis
Offitium securius et liberius exercere valeat” aveva preso sotto protezione
tutto il personale:
Inquisitorem eumdem, quisquem Vicarium, et eorum
socios, ac Notarium, atque eius familiares in offitio
Inquisitionis; et bona eourum sub nostra speciali custodia, et
protectione sub nostra Marchionali Clementia benigne
recipimus.
Protezione interpretata molto estensivamente come soggezione
diretta al sovrano, non delegabile né derogabile. Seguono i decreti del duca
Guglielmo (8 marzo 1568 e fine 1572) 11, emanati nonostante il (o proprio
a causa del) fierissimo contrasto con Campeggi:
1722 / Dal padre inquisitore / Li signori Duchi di
Mantova con loro speciali Diplomi e Decreti, li originali de
quali si conservano in questo archivio del Santo Officio di
Mantova, e massime l’Eccellentissimo Signor Marchese di
Mantova Federico Secondo, sotto li 28 luglio 1529, et il
Serenissimo Signor Duca Guglielmo Terzo sotto li 8 marzo
1568 e sotto li 21 decembre 1572 commandano a tutti i loro
Podestà, Vicarii, ed a tutti li altri loro Officiali costituiti e da
costituirsi in ogni luogo sì nella loro città di Mantova che nel
suo Territorio e Dominio, acciò ogniqualvolta gli sarà dal
Padre Inquisitore o suo Vicario ricercato il bracio secolare per
eseguire
l’officio
della
Santa
Inquisizone
li
debbano
favore e aiuto” (ACDF, St. st., GG 5 e).
11
L’inquisitore Ermes Giacinto Visconti copia e traduce approssimativamente da un
originale latino. Gli stessi decreti sono citati anche in ASMn,
trascritto.
– 88 –
AG,
b. 3279, c. 180r, qui
Nella Lombardia Austriaca
degnamente ricevere ed assistere con ogni aiuto, e con ogni
forza, imprigionando o facendo imprigionare ogni e qualunque
infamato o sospetto d’eresia. […] Nel 1568 fu preteso dal
Governo di Mantova che dal Sant’Officio si dovessero
conferire col signor Duca le catture de’ sospetti, ed indiziati,
ma in questo alla fine il Signor Duca cedette. È ben vero, che
circa lo stesso tempo fu convenuto tra il signor Duca et il
Padre Campeggi all’ora Inquisitore e fatto poi Vescovo di
Nepi, che occorrendo di venire alla cattura d’alcuna Persona si
portata, overo d’alcun servitore del Signor Duca /// in tal caso
se n’avesse a far moto con il Medemo, ma non già nel caso di
ciaschedun altro. E così si è praticato fino al presente.12
A conclusione infine le attestazioni di numerosi “Casi cavati tutti
dal Sant’Officio di Mantova dall’anno 1660 sino al 1720 che dichiarano, e
fanno conoscere essere il S. O. medesimo in possesso di procedere, e fare le
cause de’ suoi Patentati”. Calzante era la vicenda del mandatario Giuseppe
Fracassi da Ostiglia, il cui nome assieme a quello dei suoi due soci viene
taciuto “per ordine preciso di Sua Altezza” in un processo originato da uno
scontro con archibugiate (1616). Tralasciando per ora i dettagli, è
sufficiente constatare che l’esito della vicenda rimane circoscritto al
particolare, ma che c’è un tentativo da parte del Senato di riordinare tutta
la materia ridefinendo il privilegio di foro, il porto d’armi, la concessione
del braccio secolare, le modalità di concessione ed esibizione delle patenti,
tuttavia senza che la ricostruzione storica dispiegata arrivi a coinvolgere il
significato complessivo del tribunale.
12
Vedi nota precedente.
– 89 –
“Niuna forma gli si permetta del detto esercizio”
Un
più
rilevante
conflitto
giurisdizionale
tra
le
autorità
ecclesiastiche e quelle di Vienna risulta invece nel 1739, quando al
vicegovernatore Cocastelli si vieta di riconoscere il nuovo inquisitore fra
Tommaso de Angeli da Jesi, ordinando che “niuna forma gli si permetta
del detto esercizio”13 accampando irregolarità nella patente di nomina e la
mancanza del placet dalla Corte Cesarea. Nel 1740 fra Tommaso viene
comunque sostituito da fra Pietro Martire Cassio, che il 19 settembre è
ammesso al pieno possesso della carica, non senza una ammonizione a
rispettare le prerogative del governo. Così, mentre i commissari periferici
confermano al governo laico di Mantova l’avvenuta ricezione della nomina,
il tradizionale editto di insediamento dell’inquisitore (17 ottobre 1740)
incentrato sui permessi di tolleranza concessi agli Ebrei (o piuttosto sulle
forme di intolleranza loro riservate) viene contestato in alcuni punti
specifici dal Senato14 di Mantova (18 dicembre 1741)15.
13
ASMn, AG, Mat. eccl., I, n. 9 Uffizio dell’Inquisizione dal 1316 al 1769, b. 3279, c. 228,
10 giugno 1739.
14
Istituito nel 1571 al tempo del duca Guglielmo e riformato nel 1606, il Senato di
Giustizia oltre alle funzioni giudiziarie ereditate dalla Rota assunse un ruolo politicofinanziario, sovrapponendosi in parte col Magistrato Camerale. Nel 1745 fu sostituito da
una curia senatoria, in seguito all’aggregazione del Mantovano al Milanese, per essere
ripristinato nel 1750 come Supremo consiglio di giustizia. Cfr. MOZZARELLI 1978 e
MOZZARELLI 1979.
15
ASMn,
AG,
Mat. eccl. I, n. 9 Uffizio dell’Inquisizione dal 1316 al 1769, b. 3279, c. 316.
Cfr. SIMONSOHN 1977, pp. 159-163, che attinge agli archivi della comunità ebraica. Tra
le questioni che più premevano all’inquisitore vi era il lavoro di cristiani alle dipendenze di
ebrei, argomento ripreso nel 1753, quando pare che molti lavoratori del contado fossero in
tale condizione subordinata. Una serie di informazioni raccolte presso i parroci foranei
dietro richiesta della comunità ebraica fornirà valutazioni differenti da quelle
dell’inquisitore.
– 90 –
Nella Lombardia Austriaca
Pur ammettendo in linea di principio che
dagli Ebrei non debba aversi alcuna superflua, volutuaria, o in
qualsivoglia modo, viziosa conversazione, e familiarità co’
Cristiani
si pretende che restino in vigore le consuetudini
senza però che possa esser loro vietata la pratica co’ gli stessi
per li affari di società con negozianti, per ragione mercantile
[…] e per tante altre usuale occorrenze, secondo fin’oggi è
stato praticato, ed agli Ebrei permesso perché il publico
interesse non resti pregiudicato.
Mantenendo sempre una clausola che salvaguardi la ‘Sovrana
Podestà’ e la possibilità di ottenere dispense ad personam, il Senato ritiene
al di fuori delle competenze inquisitoriali otto punti su diciannove
dell’editto di padre Cassio, entrando spesso nella minuta esemplificazione e
cassando senza mezzi termini il divieto di panificare la domenica.
Il casus belli si presenta nel luglio 1743, quando l’inquisitore si sente
rifiutare il braccio secolare16, a meno che non comunichi il nome del
carcerando, se non altro ‘ore tenui’, a mezza voce, come si usava durante il
governo del conte Cocastelli. Possiamo ricavare uno sguardo d’insieme
della situazione giuridica, non così intricata in realtà, dalla lettera che il 31
marzo 1746 fra Pietro Martire Cassio invia a Roma, basandosi sulla buona
memoria dell’inquisitore di Bergamo, Andrea Bonfabio, che era stato
vicario a Mantova anni prima e che l’aveva informato delle consuetudini
16
ACDF, St. st.,
GG
5 b, fasc. 3 Mantova e Milano. Circa la controversia insorta tra la
Santa Inquisizione di Mantova, et il Governo Laico della medesima Città, rispetto al prestare il
Braccio Secolare. Da ACDF, St. st., GG 5 b risulta trattarsi dell’arresto di Giovanni Nodari,
accusato di poligamia.
– 91 –
locali17: dal tardo Cinquecento l’uso era di concedere formalmente il
braccio secolare all’inquisitore una volta per tutte, al momento
dell’insediamento; l’inquisitore avrebbe rivelato il nome e genericamente il
crimine al Duca solo nel caso in cui si procedesse contro servitori della
corte, o – per estensione – contro funzionari dell’amministrazione.
Il confronto non venne però risolto dalla interpretazione più o
meno forzata di casi precedenti o dall’esibizione di genealogie di privilegi,
ma dal coinvolgimento della Giunta milanese. Dalla corrispondenza non è
chiaro quanto questa apertura di scenario sia stata deliberatamente cercata
dal Senato mantovano per ricorrere indirettamente a Vienna, e neppure si
comprende se la difesa delle proprie prerogative – o meglio il formale
riconoscimento di un abuso probabilmente abituale ma di certo non
inveterato – nascondesse un disegno più ampio, o ancora se il richiamo alle
usanze locali fosse solo un pretesto utile a nascondere principi più astratti e
generali. Per parte sua invece, dopo aver informato la Suprema
Congregazione, l’inquisitore mantovano è sostenuto da Ermenegildo
Todeschini18, titolare del Sant’Uffizio di Milano, che sarà più volte il
17
ACDF, St. st.,
GG
5 b, fasc. 3, febbraio 1744. Le carte vicine a carta 220 sono
informazioni provenienti da inquisitori di altre città, forse in precedenza vicari a Mantova,
circa gli usi mantovani. Andrea Bonfabio appunto (cfr. 224r, del 16 febbraio 1744)
riferisce che al tempo della carcerazione del boia fu riferito il nome del reo ma non il
delitto, sostenendo che la pratica – risalente al duca Guglielmo – era stata concordata con
la Santa Sede e riguardava solo le persone di Corte, o Commissari delle Terre. Così al
tempo di Filippo d’Armstad (Filippo d’Assia-Darmstadt, governatore dal 1714 al 1735) e
presidente del senato ‘il famoso Pulicano’, “le altre persone che non erano all’attuale
servizio della Corte si catturavano senza dire parola al Governo”. Su Giovanni Francesco
Pullicani (1666-1734), giureconsulto, presidente del Magistrato Camerale e quindi del
Senato, cfr. CARRA 1974.
18
Mantovano, una lapide lo ricordava in San Domenico: “Fratri Hermenegildo
Todeschini mantuano fidei quaesitori mediolanensi quod Bibliothecam hanc anno M D
– 92 –
Nella Lombardia Austriaca
tramite di informali trattative con il governo milanese e che riuscirà a
procurarsi il supporto del conte Verri19 e quello meno scontato del conte
Pertusati.
È
però
il
cardinal
Camillo
Paolucci20,
incaricato
dalla
Congregazione romana di rappresentare a Vienna le ragioni della Chiesa,
l’unico a mostrare motivato pessimismo: nonostante il marchese di Villasor,
presidente del Consiglio d’Italia, e il marchese Cavalli si mostrassero assai
conservatori, così scriveva in cifra da Vienna:
ho però motivi di credere, che al minimo impulso […] si vorrà
sostenere la nuova pretesa. Poiché forse per i continui discorsi
intesi dal Gran Duca in pregiudizio della Giurisdizione della
S. Inquisizione Sua Maestà ha formate impressioni non punto
dissimili dalle svantaggiose, che ha il Gran Duca, ed io posso
attestarlo a V. E. per aver dovuto in più occasioni combattere,
ma senza gran frutto le idee insussistenti della Maestà Sua21.
Qualche successo fu tuttavia ottenuto, seppur provvisorio, come il
16 luglio del 1745 avvertiva frate Pietro Martire Cassio: “la libertà
dell’operare di questo Sant’Ufficio è stata di corta durata […] in virtù di
LXXX IV a fundamentis errectum liberalitate ff Alphonsi Seraphini Lucensis apud
Carolum III Hispaniar. regem pro Ranutio II parmensium duce oratoris atque Hiacintii
Mazzucchi ferrariensis Patavini metaph. profess. perpetuo censu dicator copiosa librorum
suppellectile donuerit suumque hoc coenobium omnigena beneficentia comutaverit viventi
Prior ac fratres posuerunt Kal. oct. anno M DCC L V”, ASMn, Patrii d’Arco, b. 228-229.
19
Gabriele Verri, avvocato fiscale dal 1741 e consultore del Sant’Uffizio dal 1738; pure il
fratello minore Antonio fu primicerio della cattedrale milanese, revisore dei libri e
consultore. Cfr. DSI, Verri, famiglia (C. Capra).
20
Nunzio a Vienna dal 1738 al 1745.
21
ACDF, St. st., GG 5 b, fasc. 3, cc. 201 sgg., 21 dicembre 1743.
– 93 –
uno Dispaccio diretto à questo passato Governo dalla Corte di Vienna”.22
Maria Teresa stessa congedava seccamente le nuove rimostranze del nunzio
apostolico, rispondendogli in udienza che “ben si sovveniva dell’affare […]
mà che quanto erasi da lei ordinato, non era stato risoluto senza precedente
esame”23.
Nonostante il 24 novembre Todeschini scrivesse a Roma con
sollievo, sottolineando che il podestà di Mantova, Biscossa24, era “un
signore molto dolce, affezionato al Santo Officio”25 e avrebbe sostenuto la
lotta contro gli spiriti libertini, il punto della questione era evidentemente
risolto a vantaggio del governo laicale. Del resto in una così ‘cattiva crisi’
non ci si poteva attendere nessuna soluzione troppo favorevole alla Chiesa e
“cum res […] sit magri momenti”26, la strategia migliore era differire ogni
passo che potesse sembrare definitivo.
Nel febbraio del 1746 il podestà di Mantova sarà rigido nel
pretendere nome e delitto del carcerando, avendone “ordine della Corte di
Vienna replicatamente ricevuto”27 e nulla di diverso emerge dagli atti
riguardanti gli anni successivi28, aggiungendosi anzi il divieto di estradizione29 a rafforzare la salvaguardia della giurisdizione laica, sempre più
diffidente verso il sacro tribunale.
22
ACDF, St. st., GG 5 b, fasc. 3, cc. 273.
23
ACDF, St. st., GG 5 b, fasc. 3, cc. 279 sgg., 4 settembre 1745.
24
Don Lodovico Biscossa, a Mantova dal 23 aprile 1745, giorno in cui inaugura il proprio
incarico con la soppressione del Senato (VOLTA, Compendio…, vol. 5, p. 159).
25
26
ACDF, St. st., GG 5 b, fasc. 3, c. 296r.
ACDF, St. st.,
GG
5 b, fasc. 3, c. 296v, 7 dicembre 1745, dalla congregazione
all’inquisitore di Milano.
27
ACDF, St. st., GG 5 b, fasc. 3, 24/2/1746.
28
Così ad esempio nel 1749, per punire alcuni rei di sacrilegio.
29
Cfr. ASMn, AG, Mat. eccl. I, n. 9., anno 1768.
– 94 –
Nella Lombardia Austriaca
La documentazione rimastaci mostra un nuovo periodo di ostilità
tra autorità secolari e religiose a partire dal 176230: rivendicando il
giuspatronato sulla Cattedrale il governo avanzava anche dubbi sulla
necessità di mantenere la pensione destinata all’inquisitore31, pensione che
apparirà decisamente inopportuna nel 1772, quando l’ufficio inquisitoriale
aveva perso la disponibilità di carceri e patentati (la confraternita dei
crocesignati, di valore più che altro simbolico, sopravvisse ancora per
qualche anno al Reale Dispaccio di soppressione del 22 agosto 1771). Il
vescovo, per parte sua, aveva già interrotto i pagamenti e, al termine di una
inconcludente corrispondenza con padre Mugiasca, inquisitore di Mantova
dal 1765, la Suprema Congregazione dovrà ammettere come “in queste
dolorose circostanze de’ tempi non sa suggerirle se non di aspettare qualche
più favorevole occasione per mover discorso a questo Affare.”32
Dal 14 marzo 176633 il tribunale era stato sollevato dall’incombenza
della censura sui libri, che era affidata a una delegazione periferica della
milanese “Giunta economale”, delegata agli affari ecclesiastici e misti; e per
fugare ogni dubbio un dispaccio del 1769 definiva la censura sui libri come
“un ramo della civile polizia, e una dipendenza della pubblica istruzione”,
assegnandola alla “Giunta Delegata per gli Affari Ecclesiastici”.
L’inquisitore riusciva comunque a interessarsi agli insegnamenti
30
ANNIBALETTI 1996.
31
ASMn, AG, Mat. Eccl. I, n. 9, b. 3279: il 23 ottobre 1763 da Milano si inviano i “Conti
della mensa vescovile”, che paga annualmente lire 3937.10 di pensione all’inquisizione. Le
liti sorte “sul giuspatronato di codesta chiesa fanno sì che si debba comunque provvedere al
padre inquisitore Alessandro Orrigoni”. In allegato è la ricevuta del pagamento fatto dalla
giunta di vice-governo di Mantova.
32
ACDF, St. st., GG 5 e, 13 luglio 1771.
33
ANNIBALETTI 1995, p. 198; ASMn,
AG,
Gridario, vol.
(I-VI-9).
– 95 –
XIII;
inoltre BCMn, ms. 1336
impartiti presso presso l’Università mantovana.34 Nel 1777, rivolgendosi
forse al Commissario generale, riferiva di alcuni scritti contrari alla fede
chiedendo un consiglio informale prima di iniziare un procedimento
giudiziario: la stessa segnalazione gli era del resto giunta per vie traverse, in
seguito agli scrupoli di coscienza del vicario vescovile, che esitava a
coinvolgere direttamente il vescovo Pergen. Le “attuali ristrettezze” e le
intromissioni governative nell’insegnamento teologico di Pavia motivano
l’estrema cautela raccomandata anche nell’elogio che gli proviene da Roma:
oltre a rispettare formalmente le procedure occorre identificare i “pretesi
rei” e “sarebbe nondimeno troppo necessario il ricevere documenti
autentici”.35
Non potendosi dunque azzardare allo scontro diretto con l’autorità,
l’attività del tribunale non sembra avere reale efficacia, se non quella
limitata alle spontanee comparizioni per sgravio di coscienza, cosicché
l’archivio corrente, forse perché divenuto inutile, o forse perché si teme che
34
Sino al 1779 il Regio Arciducale Ginnasio ebbe facoltà di concedere lauree in filosofia e
teologia.
35
“Reverendissimo Padre Signore Signore Colendissimo, / Mi trovo in obbligo di pregarla
per un consiglio, questo si è che monsignore vicario Generale di monsignor Nostro
Vescovo sta facendo una compilazione di certi scritti, credo teologici, che qui si dettano in
questa università e di che in essi ci sono propositioni contrarie alla nostra Santa Fede, non
so poi in quali articoli, e materie, ed esso avendone parlato al suo vescovo, non ne vuole
[trarre] imbarazzo, onde ha parlato con il padre maestro Faconi, pregandolo a darci lume,
come potrebbe fare per salvar se stesso, e darne contezza alla Sacra Congregatione per il
riparo: esso ha creduto doversi insinuare la mia persona, come che Inquisitore, e dal
Officio Obbligato, per tanto esso è venuto a darmi tale notizia, perche io gli prestassi
mano. / Non ho voluto darli alcuna precisa risposta sopra di ciò, per non imbarazzare
questo Santo Offitio […]” (ACDF, St. st., GG 5 e, 27 luglio 1777).
– 96 –
Nella Lombardia Austriaca
finisca nelle mani dell’autorità secolare, viene distrutto per ordine della
Congregazione romana36.
Di quegli anni restano a Roma due buste di corrispondenza: una è
una miscellanea di argomento mantovano che offre informazioni sullo stato
del tribunale fino a tutti gli anni ’70 del Settecento37, l’altra invece
raccoglie, per evidente affinità e contemporaneità, i carteggi delle
soppressioni dei tribunali di Reggio, Modena, Mantova, Milano,
Cremona, Como, Piacenza e Parma38. Il fascicolo riguardante Mantova è
esiguo, trattandosi di una delle ultime soppressioni lombarde: dal punto di
vista del governo lombardo nel 1782 non c’era motivo di tergiversare,
dovendo semplicemente applicare (seppur con urgenza imprevista, poiché
la soppressione avveniva senza attendere la morte dell’inquisitore titolare)
una prassi già collaudata anni prima a Pavia (23/2/1774), Cremona
(26/1/1775)39 e Milano (10/3/1779), perseguendo un disegno chiaro e
consapevole che limitava progressivamente le autonomie locali e – nel
nostro caso – subordinava ulteriormente il ducato mantovano e i più piccoli
feudi gonzagheschi al governatore milanese40.
La fase decisiva del confronto tra le autorità di Vienna e la Santa
Sede a livello politico-istituzionale era avvenuta già da qualche anno.
36
ANNIBALETTI 1995, p. 198 e AStDMn, CC, Relazioni del sub-economo, vol. III. c. 213b.
37
ACDF, St. st.,
GG
5 e, Mantova. Miscellanea ab anno 1666 usque 1779, analoga alla
vicina posizione GG 4 e, Mutinensis 1658 ad 1781.
38
ACDF, St. st.,
GG
4 a, Sop(pressi)one delle inquisizioni di Reggio, Modena, Mantova,
Milano, Cremona, Como. Soppressione restituzione delle inquisizioni di Piacenza e Parma.
39
Un lacerto di lettera datato 4 dicembre (1774?) segnala il disorientamento della
Congregazione sulla temuta soppressione: il domenicano fra Giuseppe Casati riferisce che
un miglioramento di salute dell’inquisitore di Cremona permette se non altro di
temporeggiare, in attesa di qualche improbabile soluzione non troppo sgradevole.
40
Definitivamente attuata con l’istituzione delle otto province lombarde, il 26 settembre
1786, con editto di Giuseppe II.
– 97 –
“I Principi ne sanno più di teologia in pratica, che i Padri lettori
nella Speculativa”
È con l’elaborazione di istruzioni segrete per i funzionari dello
stato41 e con il divieto della bolla In coena Domini42 che Maaß fa terminare
la fase embrionale del giuseppinismo, ritrovando in questa posizione di
principio il momento che segna il passaggio dalla riflessione teorica alla ‘via
di fatto’ tramite la rifondazione legislativa dei rapporti tra stato asburgico e
chiesa cattolica, sostenendo quel processo, riconosciuto come necessario
anche dal passato papa Benedetto
XIV,
che spogliava la chiesa degli
irragionevoli privilegi medievali. All’intraprendente sistematicità e al freddo
cinismo di Kaunitz Maaß contrappone la maggior ponderatezza e attenzione alla concretezza delle circostanze esterne propria di Maria Teresa,
accondiscendente verso il proprio ministro ma intenta ad evitare asperità
troppo sconvenienti, anche dopo la pubblicazione, il Giovedì santo del
1768, della scomunica fulminata il 30 gennaio contro il duca Ferdinando di
Borbone in seguito all’espulsione dei gesuiti dallo Stato di Parma.
In agosto Firmian scrive dunque al vescovo di Mantova43 (e agli altri
vescovi lombardi): a costo di qualche anacronismo vi si mostra il rifiuto
opposto da Carlo Borromeo alla bolla di Pio V (lo stesso san Carlo sarà poi
41
MAASS, Josephinismus I, pp. 94 sgg. La prima redazione delle Geheiminstruktionen è
datata 2 giugno 1768, (doc. num. 130a).
42
MAASS, Josephinismus I,. num. 150; la versione originaria con correzioni di Kaunitz è
senza data, ma proposte di variazioni avanzate da Sperges sono datate 26 settembre 1768
(doc. num. 151).
43
Nella copia conservata in ASMn spicca la posteriore aggiunta di mano ignota “<e trà Essi
[gloriosi Predecessori di Maria Teresa], anche il figlio di Maria Teresa, Giuseppe
II
che
fatalmente erasi arruolato alla iniqua setta Framassonica nemica del Trono e dell’Altare!>”.
Probabilmente il 13 è il giorno in cui da Mantova venne inoltrata al vescovo, considerato
che la lettera all’arcivescovo di Milano è del 9.
– 98 –
Nella Lombardia Austriaca
indicato dalla diplomazia pontificia come uno dei maggiori sostenitori
dell’inquisizione nel Milanese) e l’anomalia della sua illegittima
circolazione tramite i confessori, per passare rapidamente alla dichiarazione
di voler allontanare ogni motivo di scandalo nei confronti dei sudditi, a
difesa dello “spirito di semplicità” proprio della pietà cristiana. In definitiva
il governo concedeva un mese di tempo per rimuovere tutti gli esemplari
della bolla esposti nelle chiese, proibendo per l’avvenire che fossero segnati
sul calendario i giorni in cui era obbligatoria la sua lettura pubblica. Inoltre
Lo stesso si praticarà per l’introduzione, e ristampa de’
libri de Casisti, o moralisti; Che però sarà parte del Suo zelo
l’ordinare per /// la Sua Diocesi un nuovo direttorio de’ casi di
coscienza fondato sulle massime elementari della Morale
Evangelica, e dedotto dalle sue vere fonti primitive, che non
abbia in verun conto l’enorme difetto d’illaqueare le coscienze
colle pretensioni meramente temporali del Sacerdozio estranee
alla credenza, ed al costume Cattolico.
Nell’immediato però il vescovo De la Puebla si sottrae al messo che
deve leggergli la comunicazione, sicché viene informato solo indirettamente e informalmente degli ordini governativi44. Promette comunque una
44
ASMn,
AG,
mat. ecc.
XXVII,
b. 3279; 13 agosto 1768, lettera da Firmian per il vescovo
con la proibizione della Bolla In Coena Domini. Inoltrata tramite il barone Sperges, che ne
mantiene copia, e consegnata a mezzo del fiscale Nonio. È accompagnata dalla successiva
del 18 agosto 1768, Relazione sul colloquio col Vescovo.
“Eccellenza, / Ha presentato l’Avvocato Fiscale Nonio a questo Monsignor Vescovo la
lettera, che Vostra Eccellenza mi acchiuse con la copia della stessa per direzione di me, e
del predetto Fiscale nella venerata de’ 13 del corrente.
Per quante diligenze praticasse in tal occasione il nominato Ministro, affinché il Prelato si
disponesse a legger in sua presenza l’indicata Lettera di V. E., non gli è mai riescito di
riportarne l’intento, siccome non mancò sul momento di riferirmi. Ma però trovò, ch’era
– 99 –
risposta, sollecitata da Firmian ancora il 23 agosto. Le autorità locali nel
frattempo propongono di inoltrare gli ordini anche ai vicari delle diocesi
esterne il cui territorio si estendeva entro i confini politici del Mantovano,
operazione che sarà rinviata, preferendo dapprima conquistare la città, e
quindi, vinta la resistenza opposta dal clero più vicino al vescovo – che a
ragione si supponeva più tenace – agire senza ostacoli sulle campagne,
dovere nella presentazione, che fece, di secondare le Sovrane intenzioni di Sua Maestà, per
indi sollecitar la risposta da umiliarsi col mio mezzo a V. E., così fece in modo, che il
Prelato si pose in curiosità di ricercarlo del contenuto della lettera medesima. Non sì tosto
ebbe aperto l’adito, che coraggiosamente soggiunse, che pregava Monsignore di legger la
Lettera dell’E. V., perché trattasi in essa di rimuover tutte /// le intraprese, che
indirettamente [frappose] la Corte di Roma in questa Diocesi per ingiustamente arrestare
l’esercizio della podestà temporale, da Dio {concessa} affidata ai Soli Sovrani, specialmente
colla famosa bolla in coena Domini {indebitamente} enunciata nei calendari ecclesiastici, ed
esposta in istampa nei confessionali con altre pratiche, che tendono a illaqueare la
coscienza con principi del tutto contrari alla semplicità evangelica, e alla buona morale.
Lo che uditosi dal Vescovo dopo esser rimasto alquanto sospeso, replicò che non era di lui
il dare seguito in questa parte alle risoluzioni di S. M., quindi fu, che l’avvocato Fiscale
tostamente passò ad avvertire Monsignore, che era appunto del suo istituto l’eseguire la
rimozione degli accennati ostacoli, giacché i mezzi usati dalla Corte di Roma erano stati
con ispregio della Sovranità divulgati, e radicati dai Vescovi medesimi, che pur dovean
riconoscere d’esser anch’essi sudditi, e però tenuti a mantenere /// invulnerati i diritti
temporali, qualunque sia il carattere del sacerdozio, che cuoprono.
Con ciò fu, che pregò nuovamente il Prelato di consegnargli la risposta, e ’l Prelato senza
far più parola, promise di fargliela tenere prima della partenza della Posta; ma finora non
l’ha per anche trasmessa.
Su tale proposito credo in bene di far presente a V. E. quanto lo stesso avvocato Fiscale mi
ha detto, che dovendosi cioè ritenere le Sovrane Risoluzioni fosse convenevole di far
pervenire ai Vicari delle altre Diocesi, comprese in questa Provincia, la stessa monizione
atteso che si sa, che anche in esse vi sono i notati abusi del tutto pregiuditievoli ai Sovrani
diritti di S. M., e sono con profondissimo rispetto.
Di V. E., Mantova 18 agosto 1768”.
– 100 –
Nella Lombardia Austriaca
come avverrà negli ultimi giorni dell’anno45.
L’inquisitore padre Mugiasca riferirà alla Suprema Congregazione
che il vescovo aveva esposto la bolla nonostante la proibizione
dell’Imperatrice Regina46, ma a livello locale la vicenda si svolge
unicamente tra il vescovato e i rappresentanti del governo: diversamente da
quanto avverrà per la soppressione vera e propria del tribunale non restano
documenti o cenni riguardanti i domenicani. Per ottenere il risultato
desiderato una mediazione con l’ordine o con la congregazione del
Sant’Uffizio non era necessaria: il controllo della stampa di nuovi manifesti
(e la distruzione di quelli a magazzino) era saldamente nelle mani del
governo47, il contatto dei fedeli con la bolla avveniva principalmente nelle
parrocchie, durante la confessione o nei giorni previsti di pubblica lettura, e
l’obbligo di leggerla era comunicato ai parroci tramite il calendario
ecclesiastico annuale, stampato in città e debitamente censurato dal
Revisore delle Stampe, cioè dall’avvocato fiscale Nonio, efficiente esecutore
degli ordini di Waters48. La maggioranza dei parroci cittadini non trova
45
28 dicembre 1768, Firmian a Waters: “Ora sarà bene di procedere alla soppressione
della medesima Bolla sulla Campagna nel modo divisato, approvando io la Circolare per i
Pretori, che mi ha trasmesso coll’avere levate unicamente due parole”.
46
ACDF, St. st., GG 5 e. Della data è leggibile solo l’anno, 1768. Si potrebbe congetturare
la seconda domenica di avvento, in parallelo all’uso ambrosiano.
47
Una lettera del 25 dicembre diretta a Milano ci informa della distruzione delle 500 copie
rimaste del ristretto dei casi riservati, stampato da Giuseppe Ferrari nel 1742, “quello che
si leggeva il giovedì Santo e si teneva nei confessionali”; ASMn, AG, mat. eccl., b. 3279.
48
Giorgio Carlo Waters (la grafia del cognome nei manoscritti è incerta), nato a Vienna
da famiglia di origini scozzesi, frequenta studi giuridici. Ricopre incarichi politici in
Lombardia, arrivando a Mantova nel 1737, dove rimane pressoché ininterrottamente sino
al pensionamento avvenuto nel 1783. Cfr. MORI 1998, p. 178 n. 166. Più in generale cfr.
ancora MORI 1998, che si interessa degli aspetti fiscali e amministrativi, e MOZZARELLI
1983.
– 101 –
nulla da obiettare in questo corto circuito istituzionale, mostrando quanto
meno scarsa attenzione al problema. Pare anche evidente che la struttura
periferica dei vicari foranaei del Sant’Uffizio (il più delle volte scelti tra i
parroci o i curati) non fosse in grado di esercitare una adeguata opera di
contro-informazione.
In novembre lo svolgimento dei fatti conosce l’accelerazione
decisiva: sono distribuiti esemplari a stampa dell’editto di Maria Teresa,
viene approntato un modello prestampato da inviare ai “rettori, capi di
qualsivoglia chiesa, convento monastero etc.”, con termini ristretti e
perentori49, si decide di procedere prendendo singolarmente i nomi dei
parroci ubbidienti e contumaci, ottenendo in fine un successo quasi
completo:50 in una sola parrocchia di città, Sant’Apollonia, era stato necessario che Nonio levasse personalmente la bolla dal confessionale “con tutta
riserva”51, superando così la resistenza dall’arciprete Zani, “acerrimo
Consultore del Vescovado”, a riguardo del quale vengono ordinate indagini
di polizia.
Le risposte dei parroci e le pagine riepilogative preparate
dell’amministrazione mostrano però una certa resistenza, alimentata
soprattutto dal vescovo, che non poteva permettersi di avallare il
provvedimento
teresiano
e
neppure
voleva
accettare
un
tacito
compromesso. Il procedimento usato dall’autorità politica è comunque
49
ASMn, AG, mat. eccl., b. 3279.
50
ASMn, AG, mat. eccl., b. 3279, 28 dicembre 1768, Firmian a Waters: “Ho provato tutta
la soddisfazione nel rilevare dello stimatissimo foglio di V. E. de’ 23 cadente, e
dall’annessa Relazione dell’Avvocato Fiscale Nonio, che si dia esecuzione anche per parte
di codesto Clero Secolare di Città alla Soppressione della Bolla Coenae, essendo stato
ritrovato soltanto contumace l’Arciprete Zani, di cui avrò piacere d’essere informato da V.
E. del carattere, costume, e riputazione.”
51
Relazione di Nonio del 19 dicembre 1768.
– 102 –
Nella Lombardia Austriaca
accomodante, prevedendo un manifesto dei casi riservati che avrebbe
sostituito nei confessionali le bolle ritirate.52 L’elenco dei refrattari, spedito
a Firmian affinché abbia il quadro “della disposizione del Clero ad ubbidire
ò non ubbidire” sarà conservato sotto chiave e senza farne uso.53
Con qualche semplificazione e approssimazione, dovuta all’uso di
formule talora ambigue (forse volutamente) e senza distinguere tra bolla e
ristretto dei casi, la situazione è illustrata in tabella.
52
Conservate e riordinate assieme alle notifiche degli ordini e alle risposte autografe di
parroci e religiosi; della loro effettiva esposizione fanno fede i fori dei chiodi o le pecette
talvolta rimaste a tergo.
53
ASMn, AG, mat. eccl., b. 3279, 4 dicembre 1768, la Giunta di Vice Governo a Firmian.
– 103 –
Riepilogo delle lettere responsive relative al divieto di esposizione della
13
10
-
-
2
-
2
5
64
6
25
1
12
6
20
6
3
6
12
2
99
rifiutano
1
34
3
-
1
2
-
-
-
-
-
41
temporeggiano
-
2
-
-
-
-
-
-
-
1
-
3
19
81
4
25
17
22
6
5
6
15
7
207
TOTALI
TOTALI
parroci delle Terre delegate
parroci della diocesi di Brescia
confessori delle monache
parroci della diocesi di Cremona
regolari della diocesi (città esclusa)
-
parroci della diocesi di Reggio
regolari di città
20
parroci della diocesi di Verona
parroci della diocesi (città esclusa)
12
non hanno la
bolla
eseguono
altri secolari di città
parroci della città
bolla In coena Domini
Note:
1) I pochi regolari presenti nei territori dello Stato soggetti a diocesi diversa da Mantova
sono conteggiati assieme ai parroci.
2) Altri di città corrisponde al clero secolare urbano non direttamente soggetto al vescovo
(Abate di Santa Barbara, Primicerio di Sant’Andrea, Arciprete di San Giacomo, Arcidiacono
e penitenziere).
– 104 –
Nella Lombardia Austriaca
composizione del clero interpellato
parroci diocesi (città esclusa)
parroci città
altri città
parroci fuori diocesi
regolari città
regolari dello Stato
confessori delle monache
dettaglio in valori assoluti
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
parroci
diocesi
parroci
città
altri città
parroci
diocesi
fuori
Stato
regolari
città
rifiutano gli ordini
non hanno la bolla
temporeggiano
obbediscono
– 105 –
regolari
dello
Stato
confessori
delle
monache
Risposte al divieto di esporre la bolla "In coena Domini"
1) Riepilogo complessivo delle lettere responsive
obbediscono
temporeggiano
non hanno la bolla
rifiutano
2a) Clero secolare nella diocesi di Mantova
(città + campagna)
2b) Clero secolare nelle parrocchie
sottoposte a diocesi esterne
2c) Religiosi regolari e confessori
– 106 –
Nella Lombardia Austriaca
Cosa stia dietro ai numeri è in parte chiarito dalla corrispondenza
fra i singoli religiosi e l’autorità: le dichiarazioni di essere fedeli sudditi di
Sua Maestà non si contano, e sono quasi sempre controbilanciate dal
ritenere assai più vincolanti i sacrosanti giuramenti prestati al vescovo e al
papa, tanto che appare isolata la risposta del guardiano dei Cappuccini di
Goito, che sillogizza come l’imperatrice detenga una potestà ordinata da
Dio, e quindi resistervi sarebbe resistere al volere divino. Più insipido
l’assenso dei Domenicani di Mantova,54 che contrasta con la risposta del
Capitolo della Cattedrale, di tenore opposto e di elaborazione decisamente
barocca; sono invece assai simili fra loro e concordate fra parroci di paesi
vicini le responsive che provengono dallo Stato.
È comunque evidente che la posizione più agevole era quella di
quanti non avevano mai esposto la bolla (notizia talvolta verificata
dall’avvocato fiscale, di persona o interpellando testimoni) che potevano
dichiarare indifferentemente obbedienza di fatto o diniego di principio
senza rischiare conseguenze. Si tratta di un caso frequentissimo nelle
parrocchie esterne alla diocesi ma non raro neppure nel mantovano; una
trascuratezza che stupisce, considerato che solo due anni prima De la
Puebla aveva ristampato con poche variazioni il manifesto del 1742, emesso
54
ASMn,
AG,
mat. eccl., b. 3279, “1768 24 novembre / In riscontro del pregiatissimo
foglio di Vostra Signoria Illustrissima de’ 19 corrente, che riguarda l’osservanza del reale
editto di Sua Maestà la Clementissima Sovrana concernente la Bolla denominata in Coena
Domini, ho l’onore di assicurarla d’essersi data pronta esecuzione per parte di questo mio
Convento, e di tutte le sue dipendenze; cioè del Monastero di San Vincenzo, e del
Collegio delle Terziarie, al sucennato Editto; e che in questo, e in qualunque altro
incontro de’ Veneratissimi Comandi della Maestà Sua, e del Eccellentissimo Governo
troverà in noi un’esatta, ed illimitata ubidienza, ne’ sentimenti della quale mi rassegno col
più costante ossequio / di Vostra Signoria Illustrissima / San Domenico Mantova li 24
novembre 1768 / Umilissimo Divotissimo ed Obbligatissimo Servitore / Frate Giacomo
Maria Bonfichi Priore”.
– 107 –
dal vescovo Guidi di Bagno55, ancora tanto diffuso quanto a suo tempo
poco applicato56. È altrettanto evidente che i 32 parroci che hanno ritirato
la bolla non hanno interpellato il vescovo, o per evitare imbarazzi “in tal
bivio di cose”, o per ostentare devozione alla corona (come Petrozzani,
arciprete di Sacchetta) o forse perché tutto sommato condividevano il
provvedimento, come sembrano voler insinuare quei parroci di città che
comprendono non esser stato proibito per altro se non per la
massima che questa contenga disposizioni aliene al Ministerio
Sacerdotale, ed attentatorie alla Suprema legislativa podestà
del Principato [… ma] che sono bensì costretti ad aver
presente un semplice ristretto de’ Casi riservati alla Santa Sede
ed al Vescovo, come regola direttiva nel Foro Sacramentale.
Considerato che il vescovo non sembra intenzionato a compiere
gesti plateali57, nella loro corrispondenza di fine anno Waters e Firmian
possono discutere con una certa calma sulla modalità di pubblicazione dei
55
Concordanti per la parte di validità universale, in entrambi i casi desunta dalla
pubblicazione del 1741 ordinata da Benedetto XIV.
56
In ACDF, St. st.,
GG
5 e, in data 13 marzo 1744 è conservata la nota sui 34 conventi,
tra città e contado, che non avevano lette ad alta voce le costituzioni apostoliche,
disobbedendo all’editto dell’inquisitore. Alcuni risposero candidamente che l’unico avviso
a stampa in loro possesso era stato affisso alla porta e che non avrebbero mancato di darne
lettura in refettorio se solo ne avessero avute due copie e più precise istruzioni. Siamo
molto lontani dalla scrupolosità imposta da Roma nel 1607, quando la pubblica affissione
e lettura della Si de protegendis in doppia versione, latina e volgare, era sta stata registrata
da appositi strumenti notarili. (ACDF, St. st., LL 1, fasc. 1, 24 settembre 1607, notaio del
Sant’Uffizio mantovano Francesco Bottazzi).
57
28 novembre 1768, bozza di lettera da Waters a Firmian: “Il peggio sarebbe se questo
Monsignor Vescovo ardisse <secondo la passata abusiva pratica> di farla in questo Duomo
repubblicar nel giovedì Santo all’altare; non crederei però che volesse giugnere a tanta
temerità”.
– 108 –
Nella Lombardia Austriaca
“Casi riservati al Sommo Pontefice, senz’altra aggiunta” cioè del contenuto
propriamente ecclesiastico, e non politico, della bolla ricusata. Non era
necessario però forzare la mano: quando il vescovo si fosse esposto per
primo riprendendo l’argomento, sarebbe bastato cercare un accordo
ufficioso e amichevole, e mostrarsi preparati tramite la lettura delle
Riflessioni sopra la bolla ‘In Coena Domini’ del teatino Tommaso Antonio
Contin, appena apparse a Venezia, libro che – suggeriva Firmian – “deve
essere molto istruttivo, ed utile al nostro intento.”58
Ignorando che di lì a poco Clemente
XIV
avrebbe rinunciato a
pubblicare l’avversatissima bolla, vengono redatte delle “appostille fatte
marginalmente al ristretto stampato costì l’anno 1742”59: l’attenzione è
tutta sugli articoli dal 13 al 18. Il 17 va rifiutato perché “troppo generale”,
applicandosi agli usurpatori di qualsiasi giurisdizione ecclesiastica; il 13 e il
14 vengono rigettati perché puniscono chi avesse ostacolato l’esecuzione
delle Lettere Apostoliche; la soppressione del 15, del 16 e del 18 rimuove il
divieto di assoggettare i religiosi a tribunali secolari e rende possibile
l’imposizione di tasse anche ai patrimoni ecclesiastici.
Tra i pochi ad accennare ai risvolti locali dell’azione governativa è
Leopoldo Camillo Volta: annotando che De la Puebla fu tra i vescovi che
più fortemente si opposero al potere politico, assieme a quelli di Milano e
Pavia60, voleva forse alludere anche alla “lettera pazza e fanatica” pubblicata
sulla Gazzetta di Lugano61 nominata da Pietro Verri nella sua corri58
ASMn, AG,
59
mat. eccl., b. 3289, Firmian a Waters, 28 dicembre 1768.
Ivi.
60
Volta, Compendio …, vol. 5, p. 234.
61
Propriamente, sino al 1797, Nuove di diverse corti e paesi, pubblicato a Lugano dalla
famiglia Agnelli; l’avviso che nel giugno 1746 pubblicizzava il primo numero avvertiva che
a Mantova sarebbe stato distribuito dagli Eredi di Alberto Pazzoni, distributore anche nel
1767 e nel 1776 (CALDELARI 1999, pp. 579-580). Nel 1818 il distributore mantovano è
– 109 –
spondenza al fratello Alessandro62: pare che il vescovo abbia preteso una
comunicazione autografa da parte dell’imperatrice. Poteva trattarsi di un
espediente per allungare i tempi, o di un eccesso del vescovo, o forse di una
impostura, come prosegue
Questo è un seguito di frenesie. È scritta poi indiavolatamente.
L’ “affare importantissimo”; aggiungetevi qualche cosa di più!:
“e rilevante”. Bravo monsignore! “In contingente di minore
calibro”; si vede che monsignore vuol far sapere d’esser fratello
d’un generale d’artiglieria. È una bestia. Ma non si può dire di
certo s’egli l’abbia scritta. Fors’anco il governo spargerà voce in
contrario in ogni caso, perchè, non potendolo forse sfrattare,
non vorrà che si veda impunemente offeso. Chi sa come vada
questa faccenda? Una cabala v’è da qualche parte.
La lettera c’era per davvero, e appare alquanto meschina se
confrontata con le risposte dei vescovi di Milano e Pavia,63 incentrate
Braglia, quindi Caranenti (1819) e infine la Posta (1820 e 1821), cfr. MENA 2003, p. 176.
Sul ruolo della rivista nella vita culturale e politica della Lombardia cfr., oltre ai due testi
citati, anche CESCHI (CUR.) 2000. Sulle Nuove di diverse corti e paesi comparvero anche la
lettera di Firmian ai vescovi lombardi e la risposta dell’arcivescovo di Milano, il cardinal
Giuseppe Pozzobonelli.
62
VERRI, Carteggio, II,
XVII
(152), pp. 33 sg. Così Alessandro Verri il 17 settembre 1768
trascrive la risposta di De la Puebla: “L’affare importantissimo e rilevante intorno alla
Bolla In Coena Domini, su cui Vostra Eccellenza a nome regio mi scrisse in data del 9
scaduto, a me deve essere comunicato non già da subalterni, ma dall’Augustissima
Sovrana, quale, in contingente di minore calibro, non isdegnò indirizzarmi le sue
santissime mire, e segnarle col suo proprio pugno. In attenzione di esse, allorché costì le
invii, saprò regolarmi, e con pieno rispetto, ecc.”.
63
Una trascrizione delle tre lettere è disponibile presso la Biblioteca Ambrosiana, senza
che sia possibile risalire all’origine dei manoscritti di argomento ecclesiastico rilegati in
volume sotto la segnatura Ambr., P 268 sup., cc. 134r-138r:
– 110 –
Nella Lombardia Austriaca
“[136v] Risposta data dall’Arcivescovo di Milano a Sua Eccellenza il Signor Conte di
Firmian li 23 Agosto 1768.
Con lettera de’ 9 corrente da me ricevuta solamente nel giorno 11 nella Villa di Gropello
Vostra Eccellenza si compiace avvisarmi in nome Regio, che ne modi in essa lettera
espressi sopprima in questa mia Diocesi la Bolla denominata in Coena Domini, come
complessiva d’ingiuste pretenzioni della Corte di Roma, e mancante della necessaria
legittima pubblicazione in questo Stato.
Non appartiene al mio ufficio di esaminare se la detta Bolla contenga, o nò pretenzioni
ingiuste. Venero rispetto, e venererò sempre con quella divozione, e rispetto che deve ogni
buon Cattolico, non che un Vescovo, gli Oracoli del successore di Pietro, ne sarà mai ch’io
ardisca, di togliere, o diminuire l’attività di quelle Leggi, che dalla suprema podestà della
Chiesa sono emanate.
Quanto alla pubblicazione, che in tanto si suppone illegitima, in quanto si asserisce
mancante del necessario requisito del Regio Exequatur e perché si vole eseguito dal
Cardinale di Santa Prasede di Santa Memoria per comando di Pio V, e del Cardinale
Alessandrino con mezzi indiretti, dovrebbe costare che il Regio Exequatur fosse a tempi
della promulgazione di detta Bolla in Milano in uso, come forse sarà stato a Napoli.
Crederei poi di far torto alla Santità del glorioso mio Antecessore se convenissi
all’asserzione che essendo egli consapevole che li sarebbe stato denegato il Regio
Exequatur si astenesse dal pubblicare la predetta Bolla e fosse obbligato invece di
divolgarla con mezzi indiretti, [137r] ed illegittimi. Il costante zelo del Santo per l’onore e
gloria di Dio, non avrebbe certamente sofferto di essere obbligato a caminare per vie torte,
ed indirette.
Onde dubito che questa parte [sic] non siano state troppo fedeli i rapporti Istorici fatti a
Vostra Eccellenza perche a me costa diversamente, risultandomi anzi che S. Carlo più
volte, e nella Città, e nella Diocesi, e nella provincia la fece pubblicare solennemente, non
solo prima, ma anche dopo l’ordine ricevuto da S. Pio V. di denonciarla a Confessori, e
Religiosi, quall’ordine fu anche con intelligenza del Governo. Aggiunga V. E. che le
pratiche indirette, che si dicono usate sono piutosto atti consecutivi d’esecuzione alla
pubblicazione della Bolla che mezzi inventati per divolgarla, anzi nel numero di queste
pratiche d’integrità da Storia pare richiedesse, che non si dovesse ammettere lasso
costante, che ne hanno fatte solenemente S. Carlo, e gli altri miei Antecessori in occasione
delle note controversie Giurisdizionali, con la successiva ricognizione de Regi Ministri
nell’atto di riconciliarsi colla Chiesa.
Attribuisca V. E. questa breve mia Appologia alla venerazione che giustamente professo
– 111 –
sull’autorità del successore di Pietro e sulla correttezza anche formale
dell’operato di san Carlo Borromeo, i cui “mezzi indiretti, ed illegittimi”
appaiono una forzatura delle fonti storiche operata dai compilatori
favorevoli all’Austria. Il cardinal Carlo Francesco Durini, che aveva avviata
la propria brillante carriera proprio come inquisitore64, accenna pure alla
alla memoria di un così Santo Arcivescovo della mia Chiesa, e voglio lusingarmi che non
sarà discara anche a V. E. che so essere penetrata di non dissimile sentimento, e stima
della di lui Santità.
[137r] Risposta dell’Eminentissimo Durini
Dopo fatte serie riflessioni intorno alla Lettera Or[t]atoria, e deprecatoria, che così è
piaciuta a Vostra Eccellenza denominare indirizatami sul valore della Bolla in Coena
Domini ho ritrovato che questa sia stata prodotta nella Chiesa Cattolica da un Successore
di S. Pietro a cui disse Cristo Salvator nostro “Tu sei Pietro e, sopra questa pietra
edificherò la mia Chiesa, e qualunque cosa tu legherai su la terra sarà parimente ancora
legata in Cielo”. Certamente che il Salvatore non intese parlare de peccati così attuali de’
Cristiani contro il decalogo, perche questi sono da per se legati nel Cielo. Dunque il
Salvatore Nostro volse intendere di tutte quelle cose che sarebbono state da lui, e da suoi
Successori legate in terra per il bene della religione secondo li tempi e circostanze del
Mondo. Di più rifletto che tal Bolla fù emanata su la terra da un Santissimo Pontefice, e
pubblicata nelle nostra parti da un Santo Arcivescovo della Provincia di Milano
ducentanni fa ammendua Cannonizzati, e che si venerano col debito culto dalla Nostra
Augustissima Sovrana, da Vostra Eccellenza e da tutti li buoni Cristiani che riconoscono il
Vescovo di Roma come Capo Visibile della Chiesa Cattolica costituito dal nostro pietoso
Redentore. Quindi non è da credersi che vi sia per essere alcun Vescovo che si prenda
l’arbitrio di diminuire in tutto o in parte quelle leggi che formano il constitutivo della
Bolla senza l’intervento della Autorità del Romano Pontefice riformata, e interamente
annullata.
Sottopongo alla [138r] mente di Vostra Eccellenza tutti questi riflessi, perche sperarei che
mandati alla Corte potessero far cambiare il metodo di trattare quest’affare, quando
riconosca necessaria al ben pubblico la diminuzione di qualche articolo secondo le
Santissime mire dell’Augustissima padrona.”
64
Dal 1735 al 1739 titolare della onorifica sede di Malta, quindi nunzio a Lucerna e a
Parigi. Amico del cardinal Valenti Gonzaga (che pure ricoprirà più avanti la carica di
nunzio in Svizzera), si distinse come attento segnalatore di opere pericolose al
– 112 –
Nella Lombardia Austriaca
‘facoltà di sciogliere e di legare’ il cui valore non è esclusivamente teologico,
ma si estende anche a fondamento del diritto e ad ogni disposizione
pontificia impartita a difesa della religione.
La diffidenza di Verri era dunque mal diretta, ma non immotivata,
giacché il periodico ticinese65, proibito nel 1768 nello Stato della Chiesa
per la sua polemica antigesuita, era stato interessato pochi mesi prima da
un’altra vicenda simile: un certo Agostino Falavigna, mantovano, aveva
indirizzato alla gazzetta ticinese una lettera piena di false notizie
riguardanti i gesuiti, sperando che la sua pubblicazione sulla gazzetta
consentisse di mostrarne le falsità ottenendo l’effetto di screditare il
giornale, che infastidiva i fiancheggiatori dell’ordine. L’imbroglio era stato
ordito forse dal gesuita padre Mari66, o forse da Luigi Castellani, ‘dottor
fisico’ che frequentava con confidenza la casa del marchese Carlo Valenti.
Queste almeno le conclusioni dell’indagine condotta dal barone Waters
dietro ordine dell’onnipresente Firmian.
L’anno successivo il giornale di Lugano sarà motivo di irritazione
anche per Luigi Valenti Gonzaga, vescovo di Cesarea e dal 1764 nunzio
apostolico (di simpatie conservatrici)67 a Lucerna. Scrive a Roma, a un
anonimo cardinale forse del Sant’Uffizio, quanto sia spregevole un parroco
luganese ritenuto uno dei principali informatori dell’Agnelli, il quale “senza
Sant’Uffizio, addirittura troppo zelante secondo il giudizio della Segreteria di Stato; cfr.
DBI, Durini, Carlo Francesco (Satta 1993).
65
Per tutta la vicenda cfr. CALDELARI 1999, p. 145 sgg. doc. 6; pp. 658-661 docc. 178-
182; p. 737.
66
Probabilmente da identificare in Giuseppe Mari, originario di Canneto sull’Oglio; dal
1762 a Mantova come confessore e lettore di matematica presso il Ginnasio; cfr. DBI,
Mari, Giuseppe (Mercanti 2007) e TOMASINI 2008.
67
DSS, Valenti Gonzaga, Luigi (U. Fink, versione italiana del 18/06/2012); CALDELARI
1999.
– 113 –
riguardo parla di tutti con egual linguaggio”68. Nella stessa lettera il nunzio
accenna alla censura libraria in Svizzera ed esprime sollievo per le mancate
innovazioni circa la bolla In coena Domini, riguardo la quale si ventilavano
politiche simili a quelle degli stati vicini, cioè Lombardia Austriaca e
Repubblica di Venezia.
Il 7 settembre 1768 infatti il Senato veneziano aveva imposto che i
vescovi effettuassero visite sistematiche ai religiosi regolari, sottoponendoli
al proprio controllo e sostituendosi ai superiori interni agli ordini, in
violazione della medesima bolla In coena Domini. Disubbidì apertamente al
Senato il cardinale Giovanni Molin, vescovo di Brescia, che abbandonò il
territorio veneto (col pretesto di visitare le reliquie di san Luigi Gonzaga a
Castiglione delle Stiviere) per riparare a Mantova, ospite di De la Puebla, e
quindi a Ferrara e Roma69, ricavandone per altro poca soddisfazione. La
notizia era arrivata a Mantova rapidamente, perché da Canneto (Stato di
Mantova ma diocesi di Brescia) l’anziano arciprete, “di partito regio, e tutto
austriaco” aveva subito informato il capoluogo:
Ella [per ‘egli’, scil. il vescovo di Brescia] è provenuta
dalla intimatione del suo Principe o di dover visitare i conventi
de Regolari, o partire. Non così hanno pensato gli altri vescovi,
che fanno le visite, e riforman gli abusi dei chiostri, che non
sono pochi; pensando di sopprimere tutti gli conventi delle
Terre. Se avessi potuto avere la sorte di qui albergarlo ospite
nel suo passaggio, come sono stato onorato dagli altri suoi
Predecessori, mi sarei gittato genuflesso a di lui piedi per
trattenerlo nella sua diocesi: ma la fantasia si è riscaldata, e non
68
CALDELARI 2002, pp. 611 sgg., doc. num. 135, datato 28 ottobre 1769 e tratto da
ASV.
69
Cfr. DBI, Molin, Giovanni (Canato 2011).
– 114 –
Nella Lombardia Austriaca
si raffredderà se non col pentimento. Questo non è il tempo di
consultar i Teologi, né i Direttori Regolari. I Principi ne sanno
più di teologia in pratica, che i Padri lettori nella Speculativa.
Waters, compiaciuto, non riesce a trattenersi dal leggerla a De la Puebla,
ricavandone buon auspicio:
lessi [a] Monsignore si fatte riflessioni, senza però indicargli
l’autore. Egli si mise a sorridere, e m’accorsi ancora
d’avergliene quelle e ’l discorso tenuto seco fatta buona
impressione. Iddio gli conceda il dono della perseveranza.70
Il confronto tra Roma, Milano e Vienna
Eliminati i presupposti sanciti dal diritto (o dall’abuso) si poteva
passare allo smantellamento della struttura burocratico-amministrativa
dell’Inquisizione.
Nel maggio del 1774 infatti, alla morte di padre Antonio Bossio, il
conte di Firmian aveva rifiutato l’ingresso in Pavia al suo sostituto, il
domenicano Pietro Martire Rossi, che ne attendeva il placet a Milano.
L’autorità ecclesiastica non è sorpresa di questa ostilità, ma per salvare il
principio e per non lasciare nulla di intentato il cardinal Visconti riceve
istruzioni per inoltrare, se possibile “sotto gli occhi dell’istessa Imperatrice
Regina”, una memoria pontificia71 che risulta essere accompagnata al
cancelliere di Corte e di Stato il 22 maggio 1774.
Nello stesso periodo a Vienna si stava discutendo anche
dell’impiego degli ex-gesuiti nella cura d’anime e delle esenzioni per i
mendicanti francescani, segnatamente per i “settanta conventi e circa 2272
70
ASMn, AG,
71
mat. eccl., b. 3289, 25 dicembre 1768, bozza di lettera da Mantova a Milano.
ACDF, St. st., GG 4 a, 21/5/1774.
– 115 –
religiosi” che nella Lombardia “vivono necessariamente tutti a carico del
popolo facendo questue e non rendono gran servizio alla religione”72. La
corte austriaca si mostra duttile nell’adeguarsi alla situazione: nel caso dei
francescani attende gli esiti del capitolo generale, che sarà a Roma e che
lascia prevedere l’intervento del pontefice; nel caso degli ex-gesuiti decide
di ignorare gli ordini papali, demandando ai vescovi austriaci la scelta di
affidare loro o meno la cura d’anime, caso per caso, ma senza dare
nell’occhio per il troppo numero o per i troppi benefici collazionati; per la
Lombardia Kaunitz suggerisce sporadiche eccezioni ma ritiene più
opportuno il loro impiego lontano dallo spirituale e dal civile, confinandoli
di preferenza in qualche meritoria impresa libraria73. L’intento è di
“rimettere in vigore l’autorità de’ parrocchi”74 limitando l’influenza,
soprattutto
nelle
campagne,
della
predicazione
francescana
o
genericamente regolare. Nel caso del tribunale della fede invece la
contrapposizione sarà netta e ufficiale e lo scambio tra Roma e Vienna si
riduce a un contrasto svolto secondo i medesimi stili di pensiero e le stesse
regole di comportamento, ma condotto attraverso differenti principi,
differenti interpretazioni dei termini e differenti ricostruzioni del percorso
storico che dal medioevo ha portato all’età dei lumi.
La memoria presentata dal cardinal Visconti
Scrive dunque a Maria Teresa Clemente
XIV,
tramite il nunzio
apostolico cardinal Visconti, che la politica viennese, preparata dalla
forzosa inazione del tribunale, è scopertamente diretta ad “annichilire
72
73
Kaunitz a Maria Teresa, Vienna, 5 marzo 1774, in MAASS, Josephinismus II, num. 35.
A Mantova gli ex-gesuiti sono riuniti attorno a Saverio Bettinelli e allo spagnolo
Giovanni Andrés, autore tra l’altro del catalogo dei manoscritti della biblioteca Capilupi.
Sull’esilio italiano dei Gesuiti spagnoli cfr. GUASTI 2006.
74
Kaunitz a Firmian, Vienna, 24 novembre 1774, in MAASS, Josephinismus II, num. 42.
– 116 –
Nella Lombardia Austriaca
l’autorità del S. Offizio nello Stato di Milano”75. La giurisdizione pontificia
esercitata tramite il tribunale è conseguenza della tradizione del primato di
Pietro, ed è coerente all’universalità del compito pastorale che alterna la
severità delle pene alla dolcezza delle esortazioni – sorvegliare riconciliare e
punire – “acciocche fosse tutta la greggia da velenosi pascoli tenuta lontano,
e da rapaci lupi difesa”. Il gregge cristiano è in una perenne condizione di
pericolo, ma la nascita dell’inquisizione come istituto organizzato è
storicamente determinata dall’attività di Innocenzo III e di Gregorio IX, che
sarebbe stata rinvigorita da Federico
II
di Svevia nel 1244, con un
esemplare allineamento dell’Impero sulle posizioni pontificie, che
permise che
gl’Inquisitori dati dalla Sede Apostolica
esercitassero liberamente il loro ufficio in tutte le Città, e
luoghi soggetti all’Impero, e principalmente in partibus
Lombardiae.
Il dilatarsi del tribunale a tutta la Cristianità è segno della bontà dei
fondamenti, e dalla storia universale la memoria pontificia può scorrere al
particolare:
In Lombardia però, e nelle vicine contrade d’Italia, ove
per le serpeggianti eresie de’ Valdesi, Catareni76, Catari,
Arnaldisti, Manichei, dirette avevano Gregorio IX, e
l’Imperator Federico le prime, e le più pressanti loro
75
ACDF, St. st.,
GG
4 a, 21 maggio 1774. Più avanti si legge una lucida analisi del
recente passato: “Questo florido stato però, in cui era una volta l’Inquisizione in
Lombardia, à cominciato già da qualche anno a illanguidire. Non è più vigorosa la sua
Autorità, non operosi i Ministri, è inferma la loro voce, debole il braccio, e colle recenti
determinazioni del Governo di Milano si è quasi estinta, e soppressa l’inquisizione di
Pavia.”
76
Sic, per ‘patareni’, patarini.
– 117 –
sollecitudini, prese tanto vigore l’Inquisizione, e fu riputata
così utile, e necessaria, che Innocenzo IV commise al
Provinciale de’ Padri Predicatori di creare quattro Inquisitori
in tutto il Paese, che si stende da Bologna fino alle Alpi, ed il
B. Benedetto XI n’accrebbe il numero a dieci, e poi col decorso
del tempo, in luogo di questi Inquisitori dati promiscuamente
ad una Provincia, ne furon surrogati degl’altri fissi, e
permanenti nelle Città più cospicue, a quali fù assegnato un
territorio, ed un confine per l’esercizio della loro giuridizione,
acciocche niuno entrasse nella /// messe altrui, e tutto con
ordine si disponesse in presidio e difesa della Fede, e della
Religione.
Infine il caso all’origine della questione, Pavia, dal 1509 sede
permanente di una serie ininterrotta di 44 inquisitori tutti domenicani, le
cui rendite promosse da Pio V avevano incontrato il favore del principe e la
cui giurisdizione sulla diocesi è rimasta illesa anche con il passaggio di parte
del territorio pavese al confinante Regno di Sardegna. Dimostrata la bontà
dei principî e la fondatezza del caso particolare, cioè la sua contiguità
cronologica con una serie storica che non ammette ripensamenti, occorre
comprendere la discontinuità impressa dalle autorità austriache. Non è
causata da fattori contingenti, perché padre Pietro Martire Rossi,
cremonese di nascita e quindi suddito di Maria Teresa è di “irreprensibile
condotta” e sembrava destinato a raccogliere il favore delle autorità
lombarde, in quanto già apprezzato come inquisitore a Gubbio e ancor
prima come vicario per lunghi anni a Milano.
La Congregazione e il papa Clemente
XIV
avevano dunque ben
chiaro che non si trattava di una schermaglia di ancien régime – limitata a
una contrattazione esasperante ma pur sempre inserita nei binari della
tradizione – bensì che si mirava al sovvertimento del Sant’Uffizio, o
– 118 –
Nella Lombardia Austriaca
piuttosto all’assunzione da parte dello Stato di alcune delle funzioni di
controllo già proprie del Sant’Uffizio, operazione del resto già tentata con i
dispositivi di censura libraria. Come emerge dalla corrispondenza interna
alla Congregazione, le autorità ecclesiastiche non riuscirono a immaginare
(o non vollero) una nuova istituzione che si sostituisse alla precedente,
preferendo invece rifiutare ogni compromesso nella speranza che il corso
del tempo desse occasione di ristabilire il tribunale avversato dalla casa
d’Austria.
Se per ragioni di opportunità diplomatica escludiamo l’attacco
diretto alle opinioni e ai ragionamenti della corte, per spiegare tanto odio
nei confronti del tribunale non resta che ricorrere a false rappresentazioni, a
“quelle tetre, e bugiarde dipinture dell’Inquisizione, che ne ànno fatte
gl’Eretici e gli Atei”. Viene disposta una metafora bellica, secondo la quale
l’eretico è “Nemico assalitore” che batte “con maggior impeto la Piazza, ove
sa che è più valida la difesa”, cercando cioè di screditare l’ “antemurale
inespugnabile” che ha salvato l’Italia dall’eresia che la minacciava
d’Oltralpe. A luteranesimo e calvinismo si allude usando il tempo passato,
come ormai definitivamente sventati (cioè: esclusi dall’Italia e accettati
come inevitabili entro confini chiusi ma non troppo ristretti) e sostituiti da
pericoli “quali e l’empietà delle massime, e la corruzione del costume, e la
copia pestifera de’ libri sacrilegi”, di cui è inondata anche la Lombardia.
Dall’ortodossia del dogma e dall’osservanza dei sacramenti, tacendo le
vessazioni antiebraiche, l’attenzione si sposta sulle massime e sui costumi
che dall’esterno corrodono l’autorità della religione, scegliendo un bersaglio
culturalmente e sociologicamente diverso rispetto al Cinquecento, benché
resti il dubbio che la memoria del cardinal Visconti sia viziata dall’intento
apologetico e dall’essere destinata a un ben determinato uditorio.
La seconda parte del memoriale è dunque una perorazione
dell’opportunità e giustizia dell’Inquisizione, anzitutto sgombrando il
– 119 –
campo dall’alone di crudeltà e dai pregiudizi negativi diffusi al di là delle
Alpi, rassicurando sulla bontà delle procedure, forse talora disattese, ma
certo paragonabili a quelle dei tribunali di Stato.77 Si ammette che, benché
il Milanese sia un caso fortunato78, la stessa inquisizione non è immune da
quella malattia degenerativa che corrompe il cristianesimo a mano a mano
che ci si allontana dal vertice della gerarchia:
Non bisogna altronde prenderne la vera idea, se non di
là, ove à avuta la sua origine, ove si osservano rigidamente le
sue leggi, e dove risiedono i suoi principali Ministri. In Roma
dove à la sua principale sede, e dove tutta può ampiamente
estendere la sua autorità, si veggono forse quelle condanne
degl’innocenti
indifesi,
quella
perversione
d’ogn’ordine
giudiziale, quell’atrocità di pene, che muovono a sdegno i
nemici dell’Inquisizione?
Nella sua forma ideale la giustizia promossa dalla Congregazione
non è vendetta contro il delinquente (come accade invece ai magistrati
77
“Si tolgano gl’abusi; si riguardi l’Inquisizione nel suo vero, ed originario sembiante,
smascherato dalle imposture de’ suoi detrattori, e si penetri nel fondo, e nell’intenzione
della Chiesa, che l’à istituito e si vedrà, che ella qual buona Madre, piena di tenerezza, e di
sollecitudine per la salute eterna de’ suoi Figliuoli, à posto questo freno per arrestare
l’empietà di coloro, che ardiscono con sacrilega apostasia profanare l’Altare, ///
corrompere la Religione, ed insultare la Divinità.” Similmente anche il memoriale del
1775 (ACDF, St. st.,
GG
4 a): “Sono pur ombre, e chimere le esagerate carneficine, e i
decantati tormenti, e lo spirito sanguinario, da cui si suppone animato il Tribunale
dell’Inquisizione.”
78
Nello Stato di Milano ella è stata sempre assecondata da saggi, e valenti huomini, che
presiedettero a questo Tribunale. <Nello stato di Milano non si posson contare>
gl’eccessivi rigori d’altri Paesi, o l’abuso dell’autorità confidata agl’Inquisitori. E se vi fosse
pericolo, che un qualche disordine vi scorresse, non lascierebbe di avvedersene la vigilanza
de Regi Ministri, e vi darebbe pronto provvedimento l’autorità della Sede Apostolica.
– 120 –
Nella Lombardia Austriaca
laici), privilegia pene miti, è cauta nel valutare indizi e sospetti sfavorevoli
al reo, vaglia l’attendibilità dei testimoni e contemporaneamente li tutela
dalle ritorsioni degli avversari, evita la carcerazione preliminare al processo,
tutela la pubblica reputazione degli inquisiti, ne favorisce la difesa e
ammette le prove a discarico.
Che
più!
Il
Tribunale
dell’Inquisizione
assolve
impunemente chiunque contrito, si accusa spontaneamente del
suo delitto, ne accetta ancora per alleggerire la pena la ingenua
confessione fatta alla prima interrogazione del Giudice; e
quando pur finalmente gli si strappa dalle mani, il castigo è
sempre mite, e discreto, sempre diretto da uno spirito di
dolcezza, che brama l’emenda, non la perdita del Peccatore,
che non ne vuole la morte, né l’effusione del sangue, e se
talvolta deve consegnarlo al Braccio Secolare, si fa la Chiesa
stessa interceditrice per lui e ne implora dal Giudice Secolare
la vita. E qual’altra Legislazione /// Criminale è di questa più
mite, e più circospetta?
È assente il concetto di una evoluzione interna alle procedure e alle
pratiche inquisitoriali nei secoli predenti, e – a meno di non attribuire al
cardinal Visconti una completa malafede – è rimosso il valore ipocritamente eufemistico del ‘sine effusione sanguinis’ che accompagnava le
sentenze79. Come accade per il governo secolare, gli abusi del tribunale, che
ci vengono raccontati da ‘vecchie storie’, sono stati causati da colpe
79
Condanne a morte non mancarono nel corso del Settecento, anche se gli incerti numeri
disponibili fanno pensare fossero ben lontane dall’abbondante 5% sul 38% di processi
portati a termine, cioè circa il 2% del totale) stimato da MARTIN 1991 sulla scorta della
documentazione presente in ASVe. DEL COL 2006, p. 773 conta due uccisioni nel ’700
per la sede di Roma, avvertendo della lacunosità dei dati.
– 121 –
individuali, o dell’ ‘indole dei tempi’, e non certo dall’inadeguatezza
dell’istituzione, che nella sua essenza è strumento prezioso per la Chiesa e
per lo Stato. L’inquisizione trova la sua necessità fuori dal tempo, nel
costante pericolo della Chiesa di fronte agli attacchi di atei e miscredenti, la
sua giustificazione di diritto nel passato ecclesiastico e profano (l’atto
istitutivo di Innocenzo
III
e il sostegno concessole da Federico II), la sua
opportunità e compatibilità col tempo presente nell’esercizio di procedure
temperate dalla ragione e allineate alle migliori pratiche correnti.
Tralasciando la strumentalità dello stato rispetto alla fede, è ben
evidenziato che lo stato non possa reggersi senza la religione (cioè senza
l’unità religiosa sotto il cattolicesimo romano) e che entrambi richiedano
uniformità ai propri ‘soggetti’:
Ma se parlando col linguaggio de’ Politici, la gravità de’
delitti si misura dal danno, che essi fanno alla società, qual
maggior perdita può fare lo Stato, se perde la Religione? Non
riguardiamo le più terribili, e le più inevitabili conseguenze di
questa perdita, che c’insegna la Rivelazione, e la Fede;
essaminiamo quelle, che ci offre una Politica temporale, e
terrena. Non è egli vero, che se manca la Religione, manca
ancora il freno più potente, e più efficace per contenere i
Popoli ne’ loro doveri, e nelle soggezione a propri Sovrani? La
difformità delle opinioni in materia di Religione accende
tanto, e fermenta lo spirito de’ liberi Pensatori, che dimentichi
essi dell’ossequio, che debbono a Dio, rompono anche /// i
vincoli
delle
leggi,
e
sacrificano
a
loro
<capricciosi
ritrovamenti> tutti i riguardi della pubblica e civil Società. […
… …] In ogni Stato culto e ben governato vi è pe’ delitti di
fellonia
<contro
il
proprio
Sovrano>
una
particolar
legislazione, vi sono Tribunali, e Giudici espressamente
– 122 –
Nella Lombardia Austriaca
Delegati, <vi sono denunzie segrete;> ogn’ombra di sospetto
forma una grave accusa, si procede per via economica, e ogni
potere si mette in uso per estirpare così grave <reato>, per
punirne i colpevoli, e per incuter {un salutevol timore}
<spavento> ne’ sudditi. E se niuno riputò mai troppo severe le
leggi, e i Giudizi anche sommari ed economici contro i felloni,
e non ebbe per crudeli le Inquisizioni di Stato, i Tribunali
d’inconfidenza, e le segrete processure di alcune particolari
assemblee; perché si condannerà poi questo metodo ne’ delitti
{contro la Fede e la} <di> religione, co’ quali si offende la
Maestà Divina, ed Umana?
La simmetria stato-chiesa è divenuta completo parallelismo, ben
oltre la teoria della religione come ‘instrumentum regni’, così da porre in
consonanza questo modo di intendere l’azione secolare della chiesa e la
terminologia corrente a Vienna, che parlava di ‘corte di Roma’
indifferentemente per le questioni religiose e per quelle politicoamministrative, assimilando il papato a uno qualsiasi dei molti agenti sulla
scena internazionale, si trattasse del re di Francia o di una comunità
mercantile provvista di qualche prerogativa riconosciuta. Del resto anche
l’organizzazione burocratica interna del Sant’Uffizio appare in tutto simile
a quella del Dipartimento d’Italia, su cui ironizzavano i fratelli Verri,80 e la
80
Così la battuta per cui Firmian poteva governare la Lombardia dal proprio letto trova
ragione in un sistema di archivi periferici, corrispondenze circa settimanali a mezzo posta
con l’autorità centrale, collaboratori che scrivono a tergo delle carte riassunti o sommari
per punti prima di inoltrarle ai superiori. Sono elementi che riscontriamo identici nel
lavorio che preparava e seguiva le congregazioni tra soli cardinali o innanzi al papa; persino
il periodo di formazione per i nuovi assunti, impiegati come assistenti presso gli uffici
centrali a Milano, ha un analogo nel periodo che quasi sempre i vicari del Sant’Uffizio
trascorrevano a Roma prima di ricevere la titolarità di qualche sede periferica (‘fuit socius
– 123 –
distanza fra le istituzioni ben più ridotta di quella cui ci ha abituati la
storiografia dell’Italia liberale.
L’ultima parte del testo si concentra su due punti: inserire la storia
ecclesiastica del Milanese entro il tracciato ad un tempo sacro e profano
della storia inquisitoriale e annullare l’obiezione secondo la quale i vescovi
sarebbero menomati nel loro proprio diritto dagli inquisitori, che ne
occuperebbero indebitamente la giurisdizione senza essere loro subordinati.
Perno dell’argomentazione è la figura di san Carlo Borromeo, “uno dei più
illustri Prelati della Chiesa di Milano”, che in qualità di “capo
dell’assemblea de’ Vescovi della Provincia” sostenne le direttive di Pio
V
Ghislieri e i doveri dei vescovi di favorire e sostenere gli inquisitori. Gli
stessi vescovi lombardi, cui da Vienna si prestava grande attenzione, non
avrebbero potuto che confermare la necessità di un aiuto da parte del clero
regolare:
Ma i Vescovi carichi già del grave peso della Cura
Pastorale, {occupati nel Ministero della Divina Parola, nella
cultura del Clero, nell’amministrazione de’ Sagramenti, nella
protezione delle Vedove, degl’Orfani, e de’ Pupilli} non si
lamentano di aver altri per compagni nella custodia del
Deposito della Fede. Sanno eglino che nel Tribunale
dell’Inquisizione non solamente si onora, e si fa conto delle
Dignità Vescovile, ma neppur si procede mai a sentenziare
in Urbe’ era la sintetica dicitura). Un altro esempio dell’attenzione all’economia e
all’efficienza del sistema viene dall’uso sistematico nel ’700 di biglietti prestampati per i
casi di minor importanza; non possiamo quindi figurarci un tribunale del Sant’Uffizio
irrimediabilmente arretrato e arroccato su procedure proto-moderne (e men che meno
medievali). Cfr. CAPRA 1982a, pp. 78-79, ove si cita anche una lettera di Luigi Giusti a
Firmian del 19 agosto 1762.
– 124 –
Nella Lombardia Austriaca
alcun Reo senza la previa loro partecipazione, e senza il
concorso della loro Autorità. Sanno, che gl’Inquisitori sono
Ministri fedeli del Sommo Pontefice Pastore universale di
tutto l’Ovile Cristiano; sanno quanta utilità ne deriva alle loro
Diocesi
Le direttive provenienti da Roma lasciavano al discernimento del
cardinal Visconti di migliorare e adattare il testo: anche se non è possibile
ritenere con certezza autografe le correzioni vale la pena sottolineare che,
pur mantenendo una retorica bellicista, nella versione conservata in ACDF si
corregge “fatta guerra all’errore” in un meno aggressivo “condannato
l’errore” e che i “pertinaci pensamenti” dei liberi pensatori sono
depotenziati in “capricciosi ritrovamenti”, con un salto ontologico che dal
mondo delle idee porta dritto a sfaccendati salotti e fumosi locali da caffè,
sostituendo alla pertinacia – tratto caratterizzante l’eresia – la vaporosità
passeggera della moda. Nel difendere il valore politico della religione il
“salutevol timore” imposto ai sudditi dai tribunali speciali, posti a difesa del
sovrano, diviene semplice “spavento”, probabilmente per enfatizzare la
differenza tra stato e chiesa e per allontanare l’inopportuna assonanza con il
cristianissimo timor di Dio, che è dono dello Spirito. Anche la conclusione
mostra un fine ripensamento: l’ossessione per la purezza della fede (“oro
finissimo, che non ammette alcuna mescolanza d’impurità”), l’utilità del
controllo esercitato sul gregge cristiano e i tanti meriti attribuiti al tribunale
portano non alla richiesta che gli inquisitori siano tollerati, quasi fossero un
male necessario o un fastidio tutto sommato inconsistente,81 bensì che
<non si diminuiscano, ma si conservino e s’accrescano nella
81
La versione depennata recita “{sia permesso, se non di accrescere, di conservare almeno
gl’antichi suoi Custodi, e difensori}”.
– 125 –
Lombardia i difensori e i custodi della pietà, del culto di Dio,
della fede, della religione, in somma di quel più prezioso tesoro
che fa la dovizia e la felicità di uno Stato.>
La memoria evidentemente non sortì effetti utili; l’11 luglio 1774 la
risposta di Kaunitz a Visconti ribadisce la sconvenienza del tribunale ai
tempi presenti, non più ‘caliginosi’ (un’espressione che ricorrerà parecchie
volte): del resto la necessità dell’inquisizione nasce dall’inadeguatezza del
clero, che nella ben governata Lombardia eccelle per qualità e istruzione. In
una riga si sbriga il punto più importante, cioè l’ “essere un tribunale estero
e indipendente”, permettendo il titolo di inquisitore come meramente
onorifico per chi già ne ha esercitata la funzione.82
Progetto per ridefinire i limiti territoriali del tribunale
Di certo a Roma ancora non si disperava di poter salvare in qualche
modo l’istituzione: venne redatto un progetto per smembrare la
giurisdizione pavese tra i tribunali confinanti83, restando il dubbio che
difficilmente si sarebbe ripristinata la vicina sede di Piacenza, formalmente
soppressa dal duca Ferdinando di Borbone il 27 febbraio 176984. Troviamo
un simile tentativo di ridistribuire le giurisdizioni territoriali per limitare i
territori privi di inquisizione nel 1780, durante le trattative per il
ristabilimento del tribunale nel ducato dei Borbone: padre Vincenzo
Mozani, inquisitore di Parma, ipotizza di assegnare al proprio tribunale la
vicaria di Guastalla assieme ad alcuni paesi soggetti al vescovo di Mantova,
82
83
Kaunitz a Visconti, Vienna, 11 luglio 1775, in MAASS, Josephinismus II, n. 37.
ACDF, St. st.,
GG
4 a, senza data. Sono delineate due varianti, con e senza
l’attribuzione di territori a Piacenza, la cui sede fu poi effettivamente ristabilita nel 1780 e
sopravvisse sino al 1804.
84
Cfr. DEL COL 2006, pp. 731 sgg. e DSI, Abolizione dei tribunali, Italia (A. Borromeo)
dai quali ci si discosta ove opportuno.
– 126 –
Nella Lombardia Austriaca
pur con il fastidio delle complicazioni dovute al mancato rispetto dei
confini diocesani85.
L’improvvisa morte dell’inquisitore di Cremona è occasione del
dispaccio viennese del 9 marzo 1775 (ridatato Milano 12 maggio)
indirizzato all’arciduca Ferdinando86: l’imperatrice Maria Teresa approva
espressamente gli avvenimenti di Pavia e di Lodi, cioè il rifiuto di
riconoscere i nuovi inquisitori a mano a mano che si fossero presentati per
sostituire i precedenti87, avviando l’Inquisizione lombarda a una lenta fine
per consunzione. Il dispaccio riprende l’argomento secondo cui non è
ammissibile un potere che non sia soggetto né ai supremi magistrati civili
né all’ordinario diocesano, eredità inutile di “tempi caliginosi”, “resto de’
tempi d’ignoranza, e parte di uno zelo malinteso, e sanguinario”88. I beni e
le rendite dei tribunali saranno censite per prevenire alienazioni e
dispersioni, evitando così maneggi incongrui e recuperandoli in toto agli
istituti caritativi delle rispettive città.
85
DALLASTA 2011, pp. 392 sg.
86
Segnalato in FUMI 1910, pubblicato per esteso in MAASS, Josephinismus II, n. 43, una
trascrizione si trova in ACDF, St. st.,
GG
4 a, fasc. 3 Sop(pressi)one delle inquisizioni di
Reggio, Modena, Mantova, Milano Cremona, Como, 9 marzo 1775, allegato A. È Sperges a
sottolineare l’imprecisione della burocrazia pontificia, che l’ha inteso come editto.
87
Il che mostra incarichi attribuiti da Roma in maniera assai differente rispetto alle
frequenti sostituzioni di inquisitori tra ’500 e ’600.
88
Ritroviamo parole molto simili in una dissertazione anonima presentata all’Accademia
di Mantova per il concorso intitolato “Se questo possa dirsi il secolo filosofico” del 1776
(AAVirg, b. 42 Memorie di Filosofia, ms. 36 D II, pubblicato in BALDI 1979): l’abbandono
delle scienze e “l’intolleranza, l’affettazione di virtù piucche umana, l’abuso della voce di
Dio confusa con quella dei suoi ministri” sono le conseguenze della fase di decadenza
inaugurata dalle invasioni dei Goti e dalla dominazioni dei regni barbarici. La mala
genealogia diviene quindi: calate barbariche, abbandono delle scienze, religiosità distorta,
abuso clericale del potere, inquisizione.
– 127 –
Padre Serafino Macarinelli89 si vede costretto a ordinare agli
inquisitori di provvedere alla sicurezza delle carte90, prospettandosi una
situazione insanabile.
Il memoriale di Pio VI
Per la morte di Clemente
XIV
la Santa Sede rimane vacante dal 22
settembre 1774 sino al 15 febbraio 1775, giorno dell’elezione di
Giannangelo Braschi, sgradito a Vienna; con qualche ritardo dovuto
all’avvio del nuovo pontificato un secondo memoriale è presentato il 30
agosto91 eludendo il consueto canale ministeriale, ossia la mediazione di
Kaunitz92: contestando con stile elegante e qualche domanda retorica lo
sbrigativo disprezzo per i “tempi caliginosi ed oscuri” viene elogiata l’età dei
lumi, che certo avrebbe potuto far buon uso di un’istituzione che non ha
nulla a che fare col ‘temporale governo’ e dunque non usurpa la
giurisdizione altrui, essendo in seguito alla promessa battesimale tutti i
cristiani soggetti alla Chiesa, come figli e sudditi. Gli argomenti
ripercorrono quelli già avanzati l’anno innanzi: la tutela dell’onore
89
Padre Serafino M. Maccarinelli o. p. (1703-1779), commissario generale del
Sant’Uffizio dal 26 settembre 1765 al 1779. Inizia la propria carriera a Brescia e a
Bologna, come vicario, quindi è inquisitore di Crema, Verona, Venezia, coadiutore a
Bologna, infine commissario generale. Dal 1765 si occupa di censura libraria. Cfr. ACDF,
Sacrae Congregationis Sancti Offici schedulae nominum consultorum e PROSOPOGRAPHIE
1701-1813, ad vocem.
90
Stando a una lettera di poco posteriore all’8 maggio 1782, il 10 giugno 1775 padre
Maccarinelli avrebbe dato tale disposizione a padre Mugiasca, inquisitore di Mantova; è
lecito supporre un comportamento simile per i restanti tribunali lombardi.
91
Con accompagnatoria latina in ACDF, St. st.,
GG
4 a, fasc. 3 Sop(pressi)one delle
inquisizioni di Reggio, Modena, Mantova, Milano Cremona, Como, 30 agosto 1775,
allegato A.
92
DELL’ORTO 1995, p. 37, che segnala altra trascrizione negli archivi viennesi.
– 128 –
Nella Lombardia Austriaca
personale degli inquisiti, le pene proporzionate alle colpe, il pronunciarsi in
dubio pro reo rendono il Sant’Ufficio uno strumento di governo spirituale
culturalmente aggiornato93 e in accordo con il “Divino Comando di
predicare la dottrina di Gesù Cristo colla persuasione e col buon esempio”.
I toni però si fanno più aspri, e se ritroviamo un “capricciosi pensamenti”
che media le due varianti proposte dal cardinal Visconti, gli eretici sono ora
infernali “mostri d’iniquità”. ‘Non praevalebunt’ è l’incoraggiamento per
una battaglia a difesa del Sacerdozio e dell’Impero, termini mondani della
divinità, combattuta – merita una sottolineatura – in Italia e sui libri,
radicale e sotterranea, e per questo più pericolosa di quella già vinta in
passato proprio per merito dell’Inquisizione:
Noi non dobbiamo certamente piangere, come i nostri
Maggiori, di veder lacerata l’Italia da tante, e sì varie eresie,
come lo era nel Secolo XIII; Ma non per questo possiamo noi
vantarci di avere una Religione più soda, ed una fede più
stabile, e più efficace. Sono estinti, è vero, i Valdesi, e
Patareni, i Catari, i Manichei, gli Arnaldisti, e tanti altri
Mostri d’iniqutà, che l’Inferno aveva suscitati in quel tempo
contro la Chiesa Cattolica. Gli hà essa vinti, e debellati, e gli
hà schiacciati, ed infranti su quella Pietra, contro la quale
l’Inferno non potrà mai preva///lere. Ma il merito di questa
Vittoria non è egli tutto della S. Inquisizione, per lo di cui
ministero fù combattuta l’Eresia, ed i Lombardi hanno avuto il
93
“E sebbene fossero stati oscuri, e caliginosi i tempi, in cui fù introdotta l’Inquisizione,
coll’uso nondimeno, e coll’osservanza de’ secoli posteriori dotti, ed illuminati, e
coll’approvazione di tanti Principi /// saggi, e prudenti, e sotto il Regno pio, e felice, e
giusto di Maria Teresa avrà potuto ricevere nuovo lustro, e rischiararsi dalle pretese
tenebre di quella remota antichità.” ACDF, St. st., GG 4 a.
– 129 –
vanto di aver conservata intatta la Fede mercé il sangue
glorioso di un Martire Inquisitore? Gli odierni errori
nondimeno sono degli antichi più perniciosi, poiche non se là
prendon già contro uno, o due Capi del Cattolico Dogma, ma
tutta vanno ad abbattere la Cattolica Fede, e Rivelazione
Cristiana; e i propagatori dell’empietà, e dell’irreligione
moderna sono più formidabili de’ passati, perche oggi non
s’affaticano a persuadere la verità delle loro stravaganti
dottrine, ma contenti, che non si rigetti alcun errore, lasciano a
tutti la libertà di seguire o un indifferente Pirronismo, o anche
un Deismo più empio, e più temerario. Da ciò deriva quella
odierna licenza in materia di Religione, per cui né si presta
Fede alla Divina parola, né si rispetta l’Autorità della Chiesa, e
le Leggi anche, e l’ubbidienza dovuta al So///vrano si conculca,
e si disprezza, e l’intelletto umano trasportato dall’insania de’
suoi capricciosi pensamenti, e secondato da un cuore guasto e
corrotto, alza superbo la fronte contro Dio, contro il
Sacerdozio, contro l’Impero. Questo contagioso morbo
dell’odierna incredulità, quanto meno nell’esterno si manifesta,
tanto più fà strage delle anime; e quanto meno si propaga colla
voce, tanto più s’interna, e si addomestica frà di noi per mezzo
de’ Libri empi, che inondano tutta l’Italia.
La bozza di risposta94 si limita a constatare quanto
le massime della Signoria Vostra risguardo all’autorità
ecclesiastica e la suprema podestà temporale, [siano] molto
diverse di quelle, che crediamo noi conformi alla raggione, alla
94
MAASS, Josephinismus II, n. 47a.
– 130 –
Nella Lombardia Austriaca
dottrina dell’evangelo ed alla prattica di tutti quei secoli della
chiesa primitiva, nei quali regnava la purità la più perfetta del
dogma e della disciplina
sbrigando rapidamente sia la discussione, ormai priva di nuovi elementi, sia
la possibilità di una ulteriore contrattazione. Un anno più tardi il cardinal
Garampi scriverà a Roma come fosse esclusa ogni speranza di modificare le
decisioni prese e nel 1777: quando si apprende che in Spagna l’inquisizione
è stata reintrodotta, a Vienna si fanno pressioni sull’ambasciatore veneziano
affinché anche nella Serenissima “non se ne intenda più neppure il nome”.
L’argomento era corrente nelle conversazioni con l’agostiniano giansenista
Ignaz Müller, confessore di Maria Teresa, ma assolutamente tabù dinanzi a
Garampi stesso o all’ambasciatore di Spagna.95
Sia detto solo di passaggio, la contrapposizione nel dibattito storiografico della ‘leggenda nera’ alla ‘leggenda rosa’ dell’inquisizione non ha
portato nuovi argomenti rispetto a quelli enunciati a fine Settecento, indice
di una domanda mal formulata per l’ansia di voler giudicare secondo gli
odierni parametri un sistema basato su presupposti giuridici diversi da
quelli attualmente accettati. Migliori risultati derivano invece dalle analisi
che si sono occupate delle reali e variegate circostanze di funzionamento
dei dispositivi inquisitoriali nel loro sviluppo diacronico, o nel confronto
sincronico con istituzioni o atteggiamenti assimilabili; acquista così valore
il giudizio per cui l’Inquisizione Romana fu un sistema – col nostro metro
di giudizio – non peggiore, e spesso migliore sino a tutto il Seicento, dei
contemporanei tribunali secolari96, vale a dire sostenuta da una elaborata
consapevolezza razionale della difficile mediazione tra legge e prassi,
95
DELL’ORTO 1995, pp. 58-59.
96
Un esame del dibattito in BLACK 2009, cfr. tra gli altri anche JACOBSON SCHUTTE
1989, TEDESCHI 1997 e BRAMBILLA 2006.
– 131 –
benché affiancata da episodi di fanatismo, non sporadici e spesso eccedenti
la violenza di fondo dei paesi e delle epoche in cui si verificarono.
I crocesignati
Verso la fine del 1775 si avvia anche la soppressione delle
compagnie di Crocesignati, descritti come il braccio armato del tribunale.
L’inquisitore padre Mugiasca, preoccupato per la sorte delle tre
confraternite sotto la sua tutela (Mantova, Goito e Ostiglia)97, visto
l’ “esempio del già fatto in Cremona”98 si rivolge a Roma, da dove la
congregazione raccomanda una posizione defilata e la completa discrezione
sul patronato della famiglia Borromeo, attestato dai tempi delle missioni di
Campeggi e di san Carlo. Mentre sono scarse le notizie relative alla
97
ACDF, St. st.,
GG
5 e: un memoriale dei Crocesignati di Ostiglia (stato di Mantova,
diocesi di Verona sino al 1787) datato 1747 e composto per ottenere la restituzione di un
terreno prativo (che si dice essere stato venduto nel 1721 “senza le dovute solennità”), al
fine di edificare una Sagrestia, cita un decreto del 5 ottobre 1672 in cui la confraternita era
già detta soggetta all’inquisizione di Mantova.
98
ACDF, St. st., GG 5 e, 25 novembre 1775 lettera dal Commissario Generale in risposta
a precedente da Mantova del 2 novembre 1775 in cui si scrive che “Ella non si debba
prendere nessuna ingerenza in tale affare, né comparire per nessun modo in questa scena;
perocche sarebbe a temersi, che il nome di Inquisitore, e di Santo Officio renduto (non si
sa il perché) odioso a codesto Governo, non esasperasse maggiormente gli animi, e
sollecitasse, anziche ritardare la minacciata ruina, e rendesse la via maggiormente luttuosa.
[…] Né meno prenda ella nessun pensiero di rendere avvertita la Casa Boromea delle
ragioni, che potrebbe avere sulla ricadenza del Giuspatronato sopra la chiesa de
Crocesignati nel caso della soppressione di questi, a quali era stata la chiesa medesima, e
non ad altri ceduta dal glorioso San Carlo. E siccome dice ella di avere di ciò già avvisati
alcuni de Confratelli, procuri con ogni segretezza presso de medesimi, che non facciano
uso di tale avviso come avuto da lei, ma fingano affatto occulto il suggerimento da lei
ricevuto; e soltanto, se pur vogliono farselo valere, lo facciano come di proprio moto, e
senza rellazione a lei, o altro Offizio.”
– 132 –
Nella Lombardia Austriaca
confraternita di Ostiglia (forse da ricercare negli archivi della diocesi
veronese), è abbastanza chiara la situazione a Mantova e Goito.
Mantova
Corrisponde probabilmente a verità l’immagine tratteggiata da
Mugiasca, che parla dei crocesignati come di un ente assistenziale:
[la confraternita di Mantova] è composta dalla prima nobiltà
di questa Città ed è di esempio per la sua regolare condotta, e
molti Ofiti di pietà, ed elemosine che va facendo, e per questo
dovrebbe essere rispettata. 99
L’attenzione della nobiltà verso la confraternita è forse iniziata col
duca Vincenzo, almeno stando all’Amadei, che lo annovera tra i devoti in
processione vestito “della nera loro veste colla croce rossa in petto”.100 È
ormai lontana la facciata marziale evidenziata circa un secolo prima per
giustificare la condotta apparentemente rilassata dei confratelli della Santa
Croce:
non è confraternita di suo essentiale instituto, ma più tosto un
ordine militare, mentre fa il voto di obbedienze sino alla morte
con promessa di spender la vita, et la robba per servitio della
santa inquisitione […] dimodoche il portar il sacco, l’andar alle
processioni, l’osservar altri atti come fanno l’altre confraternite
sono accidenti.101
99
Ivi.
100
Amadei, Cronaca… III, p. 184.
101
Così in ACDF, St. st.,
LL
4 f, in un carteggio inserito per un conflitto giurisdizionale
del 1684 tra vescovo e inquisitore. In altro foglio del medesimo fascicolo si annota come
eletto all’unanimità priore della confraternita di Goito per l’anno 1655 il marchese
Annibale Ippoliti di Gazoldo, che nomina i propri consiglieri; le 16 cariche (su 36
– 133 –
Considerarsi dei regolari permette pure qualche piccolo vantaggio
economico, esentando dal pagamento al parroco della metà di quanto
ricevuto per le sepolture; l’intervento dell’inquisitore è però più interessato
al loro scarso zelo: meglio farebbero a preoccuparsi di osservare la
principale delle loro regole, “che è che nel ingresso devono i fratelli far noto
di rivelare al Sant’Officio li eretici, o sospetti di eresia, che loro negligono
di fare”.102
Nel 1777 l’abolizione della confraternita non era ancora compiuta
(bisognerà attendere sino al 1786)103: l’inquisitore e il marchese Ludovico
Aldegatti, in qualità di priore della compagnia, fanno la dovuta riverenza al
cardinal Luigi Valenti Gonzaga, fresco di porpora e di passaggio per
Mantova.104 Si direbbe che Ludovico Aldegatti non ritenesse la compagnia
di Santa Maria del Melone corresponsabile di quel fervore inquisitoriale
tanto esecrato dal governo, piuttosto ci appare intento in un’attività simile a
quella del padre Carlo, che era stato a lungo amministratore del Monte di
Pietà sostenuto a più riprese dal regio governo e intitolato a Maria
Teresa.105
L’inquisitore disponeva di una copia dell’atto formale della
confratelli circa, tra i quali anche ‘cavalieri di stima’) sono distribuite in ordine di rango
sociale.
102
ACDF, St. st.,
Q
3 d, c. 542, 20 settembre 1697, l’inquisitore di Mantova [frate
Giordano Vignali da Bologna] alla Congregazione.
103
Diario per l’anno 1805, Erede Pazzoni, Mantova 1804, p. 150. I rendiconti economici
in ASMn, CRS si arrestano al 1787.
104
ACDF, St. st.,
GG
5 e, 22 febbraio 1777, lettera di Padre Mugiasca a Roma: “Dimani
si spetta in Mantova Sua Eminenza il signore Cardinale Valenti proveniente da Spagnia,
Genova, e Parma, ed io sarò subito ad ossequiarlo, come Inquisitore, e di poi gli farò un
altro complimento con il Signore Marchese Aldegati Priore de Crocesegnati essendo esso
pure confratello di tale Compagnia, che ancora sussiste.”
105
Cfr. MONTANARI 2001.
– 134 –
Nella Lombardia Austriaca
concessione106 dell’oratorio alla confraternita della Santa Croce, che
secondo Amadei in precedenza si riuniva in San Tommaso;107 la sua
presenza era comunque ricordata già dalla visita all’ “Ecclesia simplex
Sanctae Mariae de Mellone” condotta il 31 gennaio 1576 dal visitatore
apostolico Angelo Peruzzi, suffraganeo di Bologna:
Confraternitas Sanctae Crucis.
In ecclesia ipsa † societas Sanctissimae Crucis, recta et
gubernata p[er]. r[everendos] fratres Sancti Dominici, et sunt
coadiutores officio Sanctissimae Inquisitionis […] societas ipsa
est satis numerosa, et sunt n[umer]o quadraginta. Habent
statuta h[aber]i solita per similes confraternitates sub titulo
crucis. […] ex eorum instituto singulo anno sacramentum
sumunt
in
festivitatibus
et
sollemnitatibus
Dominicae
Penthecostes corporis Christi et assumptionis Beatae Mariae
Virginis. 108
La confraternita non ha beni propri ma vive di elemosine pur
garantendo proventi bastanti a un cappellano per la celebrazione della
messa ogni domenica e nelle feste di precetto.
La funzione di “coadiutores officio Sanctissimae Inquisitionis” era
quasi del tutto svanita già negli statuti pubblicati a stampa nel 1595: pur
rimarcando che l’inquisitore era fondatore e capo stabile della confraternita
106
ACDF, St. st., GG 5 e, 25 novembre 1775: padre Mugiasca invia a Roma la traduzione
della “Concessio oratorii in favorem Confraternitatis Sanctae Crucis in Civitate Mantuae”,
una copia del 1583 a sua volta esemplata sulla trascrizione eseguita dal notaio Cesare
Merli il 17 agosto 1578 su incarico della confraternita medesima.
107
108
Amadei, Cronaca… III, p. 184.
AStDMn, Visite pastorali, Marco Fedeli Gonzaga (1574-1583), c. 432v [996] sgg.,
frammento da affiancare alle carte custodite in ASMn e nell’Archivio Generale della Curia
Arcivescovile di Bologna.
– 135 –
(non genericamente i frati domenicani), gli statuti si concentravano
sull’aspetto filantropico e sull’attività assistenziale, cui si dedicava anche la
parte femminile (e subordinata) dell’associazione, che tramite la visita ad
ammalati e moribondi o tramite altre opere di misericordia avrebbe lucrato
generose indulgenze.109 Due anni prima, la visita del 1593110 la ascriveva
alle ‘discipline’ limitandosi a elencarne gli altari e tacendo di eventuali
compiti attribuitile dal Sant’Uffizio.
Per quanto sia lecito diffidare degli argomenti e silentio, la scarsa
utilità ai fini inquisitoriali dei crocesignati sembra confermata dalla assoluta
scarsità di testimonianze sul loro impiego111, a meno di non voler ipotizzare
una attività come confidenti e informatori, rimasta deliberatamente orale e
segreta, che avrebbe sostituito l’uso delle armi in seguito alla sistematica
concessione del braccio secolare da parte delle autorità, o all’impossibilità
(politica, prima che militare) da parte dell’autorità ecclesiastica di opporsi a
eventuali dinieghi. Solo verso il 1666 abbiamo notizia del tentativo di
introdurre una guardia armata al comando dell’inquisitore, che voleva
far accompagnare un miserabile fratticello trattato come
appostata, al solo ogetto di far spiccare d’havere l’autorità di
comandare independentemente; introducendo la stessa gente
109
Cfr. BLACK 2009 e DSI, Confraternite, Italia (C. F. Black); le due copie note degli
statuti sono conservate in ACDF e in BCMn.
110
AStDMn, Visite pastorali, Frate Francesco Gonzaga, Visita pastorale 1593-1595, Urbs
1593, c. 34, il notaio è Carlo Righelli.
111
Al momento l’unica segnalazione disponibile (che neppure riguarda direttamente
l’eresia) è relativa a Goito: il parroco del paese cerca di combinare un matrimonio per
riparare un concubinato notorio, e viene per questo convocato dall’inquisitore dietro
insistenza della confraternita. Nella sua relazione al vescovo il parroco lascia intravedere
una litigiosità duratura e vischiosa: “Non studiano altro che di pregiudicare al jus di vostra
signoria illustrissima”. (AStDMn, Curia vescovile, Contenzioso e correzionale, Goito –
Malavicina, 5 giugno 1664).
– 136 –
Nella Lombardia Austriaca
armata in Città (caso singolare e mai più veduto).112
L’informazione è di parte, ma credibile.
L’oratorio113 in cui la confraternita aveva la sua sede ricevette cure
costanti nei secoli, eccettuato il periodo successivo al sacco. La visita di
Peruzzi ricorda il patronato Borromeo e la reggenza di Ercole de Pasini,
pagato per una messa a settimana; l’ornato dell’interno risulta ‘abbastanza
competente’, disponendo di tre altari, di cui due sotto patronato di famiglie
illustri: quello di Sant’Antonino (patronato Da Correggio) e quello di
Santa Maria ad Nives (patronato Borromeo). Lamenta invece la
trascuratezza dell’esterno: un pollaio e qualche camera addossati alla parete
orientale tolgono luce all’interno, mentre a ovest il nerofumo ha reso scure
le pareti.114
Un rinnovamento importante era avvenuto nel 1600, tutt’ora
celebrato da una lapide in situ115, mentre all’epoca di Cadioli gli autori dei
112
ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, filze, 115, anno 1666 marzo - agosto m.
v., da Mantova il 28 luglio 1666, l’arciduchessa reggente Isabella Clara al doge.
113
Principale e compendiaria fonte è Giovanni Cadioli, Descrizione delle pitture, sculture, ed
architetture, che si offrono nella Città di Mantova e ne’ suoi contorni …, Erede Pazzoni,
Mantova 1763, pp. 37-38. Sulle antiche denominazioni dell’oratorio e sulla sua
identificazione con la chiesa di Santa Maria Mater Domini cfr. L’OCCASO 2005, pp. 294297. Alcuni dei dipinti sono stati identificati (cfr. BERZAGHI 1981, p. 311; SORTINO
1995, pp. 133-134; MARINELLI 2011, pp. 207-208). Per quanto riguarda le pitture
riferibili al Sant’Uffizio, ha avuto minor fortuna l’ampio catalogo dei dipinti presenti nelle
collezioni di Palazzo Ducale (L’OCCASO 2011): riconosciuta qualche opera proveniente
dal soppresso convento dei domenicani, risulta poi impossibile rintracciare quelle
originariamente del tribunale.
114
“[…] ab alio latere fuisse totam fumigatam, ex eo quod inhabitantes tempore aestivo, ut
dictum fuit, ibi accendunt ignem ad coquendum carnes et alia pro victum necessaria”. Da
proibire sotto pena di scomunica. AStDMn, Visite pastorali, Marco Fedeli Gonzaga, c. 433.
115
“SVB CLEMENTE
VIII
PONT[ifice] MAX[imo]
VINC[entio] GON[zaga] DVCE
ET
REGNAN
PROT[ecto]RE /
– 137 –
/
TIB[u]S
N[ost]RO AC
SER[enissi]MO
ILL[ustrissi]MO
ET
quadri dei tre altari laterali si distribuiscono tra ’600 e ’700. Nel 1754 si era
data uniformità all’ambiente col rifacimento degli ornati, operazione che
aveva comportato anche qualche modifica alla pala principale, una
Madonna con san Giovanni Battista e santa Barbara di Viani, datata 11
gennaio 1593 e commissionata da Luigi Fantoni, che appunto era rettore
dell’altare e priore della basilica palatina di Santa Barbara. Alla Santa
Croce, ragione della confraternita, rinviavano un crocefisso ligneo, sempre
all’altar maggiore (Guglielmo Duschi o sia Wilhelm Tusch, 1650 ca.) e un
Cristo spirante in croce di Jacob Denys (ultimi anni del ’600) esposto al
secondo altare di destra. Come si vede nessun legame con l’iconografia di
matrice inquisitoriale (san Pietro Martire e san Pio
V
ad esempio).
Rimanda al patronato Borromeo il primo altare a sinistra con la Beata
Vergine, sant’Agostino e san Carlo (1625-1650 ca., attribuito a un non meglio
precisato Motta) collocato dirimpetto a una Madonna con sant’Elena e san
Giovannino (seconda meta del sec. XVI ?). Il gonfalone, opera del bolognese
Giovanni Battista Caccioli (attestato a Mantova nel 1669116), era custodito
in sagrestia.
I
documenti
raccolti
con
la
soppressione117
sono
quasi
esclusivamente di natura economica, con trascrizioni a partire dal 1600:
risultano spese per la manutenzione (spolvero delle quattro pale,
indorature, muratori e vetrai), per il culto (organista e candele) e per la dote
R[everendissi]MO
FRATRE
FRAN[cisco]
CONFRATRES SOCIET[at]IS SAN /
CTÆ
GON[zaga]
/
EPIS[copo]
CRVCIS HOC ORATIONIS TENPLO [scil.
templum] / IVRIS PATRONATV NOBI[lissi]MÆ BORROMEÆ FA /
S
COHONESTATI PROP /
DECORANTES
RESTAV /
RIO ÆRE ET
RARVNT
MANT[u]Æ
MILIÆ
PIOR[um] ELEEMOSINIS AM /
ANNO / SALVTIS /
MDC”;
(CUR.) 2010.
116
Cfr. DBI, Caccioli, Giovanni Battista (Roli Guidetti 1973).
117
ASMn, CRS; bb. 681-685.
– 138 –
GRATIOSE
PLIANTES ET
traduzione in SIGNORINI
Nella Lombardia Austriaca
da assegnare a donzelle in età da marito; tra le proprietà la più antica
sembra essere una casa a Marmirolo, donata nel 1574, a ridosso della
stagione più cruda di processi e condanne.
Goito
A Goito la confraternita di Santa Croce in Castello, “che come da
tradizione credesi introdotta dai Principi Dominanti nell’anno 1600
circa”118, si affiancava a quelle del Rosario e della Trinità. Secondo una
ricognizione d’archivio ordinata dal vescovo frate Masseo Vitali (1659)119,
la compagnia risalirebbe invece al 1498, quando aveva ottenuto la
concessione di un terreno per costruire una cappella contigua ‘muro
ecclesiae’ e sarebbe stata approvata – ‘cum sapiat pietatem’ – solo
tacitamente e ‘per aventura’ dai vescovi, non essendovi alcuna dichiarazione
antecedente al 1569.
I libri mastri (quelli conservati in ASMn riportano la contabilità dal
1604 al 1784) erano tenuti dal massaro, separati dall’archivio vero e
proprio, e furono più volte motivo di scandalo. In effetti, come risulta dalle
carte presso la Suprema Congregazione, i crocesignati emettono il voto di
obbedienza nelle mani dell’inquisitore, ma questa obbedienza non riguarda
la tenuta dei libri contabili, che anzi negli anni 1581, 1582, 1583 e 1585
erano stati consegnati in curia episcopale. La trascuratezza degli inquisitori
nel sorvegliarli è deprecabile, ma non autorizza il vescovo a intromettersi
nella loro direzione. Nel 1633 un suo precetto vieta al cappellano di
celebrare uffici funebri senza la preventiva licenza del curato parrocchiale e
proibisce l’esposizione del Santissimo Sacramento nel loro oratorio.
Sempre il vescovo Vincenzo Agnelli Suardi scrive che la compagnia conta
118
ASMn, DU II, b. 81.
119
ACDF, St. st., LL 4, fasc. 2.
– 139 –
numero grandissimo d’homini e donne, [… è …] simile a tutte
le altre che sono in questa città. Et come l’altre è sempre stata
soggetta a gli ordini del Vescovato, il quale visita loro, e la
chiesa chiamandolli alle processioni et usando con essi ogni
sorta di giurisditione.120
Tuttavia il Santissimo era esposto liberamente e senza necessità di
preventive autorizzazioni nell’oratorio del capoluogo, ben controllato
perché entro la parrocchia del Duomo. La piena integrazione dei
crocesignati nella vita devozionale cittadina è sancita dalla loro
partecipazione alla processione annuale verso il santuario della Madonna
delle Grazie, dove le compagnie si ritrovavano una volta l’anno (1659), e
dal rilievo dato alla festa del patrono cittadino. Vent’anni più tardi infatti la
lite nasce per una precedenza alla processione di sant’Anselmo, è
alimentata “da perversi ministri che mettono male impressioni nell’animo
del Principe” e si incancrenisce alla richiesta di chiarimenti sull’affitto di un
campo e sulla gestione dei conti. L’autorità inquisitoriale è scavalcata e
mortificata platealmente quando il vescovo arriva a comminare l’interdetto
alla compagnia, debitamente affisso alle porte della chiesa di Goito. Questo
almeno secondo la relazione spedita il 4 aprile 1659 alla Suprema
Congregazione, che interviene prontamente, tanto che il 28 aprile la lite
sembra essersi ridotta a termini di civiltà, dopo una visita reciproca tra
vescovo e crocesignati. Il criterio seguito a Roma alla fin fine si riduce alla
consuetudine, come mostra la raccolta di disposizioni allegata al fascicolo
mantovano, che riprende gli stessi termini della casistica precedente: nel
1588 l’inquisitore di Faenza ha ordine di informarsi e
si reperiet episcopos non consuevisse talia facere, dicat
120
ACDF, St. st., LL 4, fasc. 2, 27 marzo 1637.
– 140 –
Nella Lombardia Austriaca
episcopo
quod
cum
societas
praedicta
sit
membrum
inquisitionis ab ipsaque dependeat, in illa se ingerere non
debeat, […] si tamen ex informatione capienda apparebit
episcopos suevisse praedicta facere, tunc inquisitor talia
permittat, cum interventu tamen, et praesentia Inquisitoris,
qui postea certiorabit sacram Congregationem de gestis.121
Nel 1601 la visita dell’arcivescovo di Ravenna ai crocesignati di
Argenta è sicuramente lecita, “iuxta formam Concili Tridentini”, mentre
nel 1623 la risposta data all’inquisitore di Reggio è identica a quella data
nel 1588: informarsi “et interim nihil innovari”. Questa renitenza a
modificare lo stato delle cose e ad allontanarsi dalla tradizione sarebbe
comprensibile in un periodo di difficoltà e di scarso prestigio
dell’istituzione, come potrebbe essere l’epoca delle riforme settecentesche,
quando ogni cambiamento sarebbe stato in perdita, o comunque profondo,
stupisce invece a cavallo di ’500 e ’600, quando il Sant’Ufficio godeva di
ampio sostegno, e nessuna corte italiana era realmente in grado di opporvisi
in maniera radicale.
Alla soppressione della confraternita di Goito l’inventario del 23
ottobre 1786 descrive l’oratorio, di una sola navata, selciato, provvisto di
“un solo altare di pietre cotte con una bardella di rovere, dietro del quale il
coro pure salciato, e due usci di piella dipinti”. Lo scarno arredo è
completato da “un quadro in tela rappresentante la S.ma Croce, e vari
ritratti di Principi genuflessi”, due angeli lignei reggicandela, e il palio di
seta raffigurante degli angeli che portano la santa Croce, lacero e
appoggiato a una parete laterale. Il posto d’onore al centro del coro è
occupato da una reliquia della Croce e dalla patente che erigeva la
121
ACDF, St. st., LL 4, fasc. 2.
– 141 –
confraternita. Unica traccia di attivo esercizio della pietà è un drappo nero
“ad uso dell’ufficio de’ morti col detto «Hodie mihi, cras tibi»”, strumento
di mutua carità che garantiva un minimo di decoro alle esequie dei
confratelli. Alla soppressione l’oratorio sarà venduto, mentre la sagrestia,
l’annesso portichetto e il piccolo cortile saranno destinati a scuola
elementare.122
Il vescovo Giovanni Battista Pergen
Nonostante i molti rapporti, spesso conflittuali, intercorsi con il
Sant’Uffizio nei secoli precedenti e nei decenni da poco trascorsi, la curia
vescovile sembra del tutto assente dalle innovazioni relative al tribunale.
Vescovo di Mantova dal 1770 al 1807, anno della morte123, Giovanni
Battista Pergen non prende posizione ufficiale sulle vicende legate alla
soppressione e, per quanto ne sappiamo, non ha lasciato neppure qualche
confidenza o indiscrezione epistolare. Di famiglia viennese (il fratello
minore Johann Baptist Anton sarà ministro di polizia sotto Francesco II),
122
ASMn, DU II, b. 29, fasc. 62/b.
123
Su Johann Baptist Joseph dei conti di Pergen vedi anche BLKÖ (Bd. 22 - 1870);
LAMIONI 1976; VISMARA CHIAPPA 1978; TOSCANI 1979; BRAMBILLA 1981; TOSCANI
1982; SARGENTINI 1991; DELL’ORTO 1995; ANNIBALETTI 1997; e la postuma
letteratura encomiastica, ad esempio: Giuseppe Fiorati, Orazione in morte di monsignore
Giovanni Battista de’ conti Pergen canonico capitolare della metropolitana di Olmutz e vescovo
di Mantova …, Erede Pazzoni, Mantova 1807; Giuseppe Speranza, Orazione in morte di
monsignore Giovanni Battista de’ conti di Pergen canonico di Olmutz e vescovo di Mantova
recitata nella chiesa parrocchiale e prepositurale di Castelgoffredo …, Francesco Agazzi
nell’Accademia, Mantova 1807; Ambrogio Zecchi, Orazione in morte di monsignore
Giovanni Battista de’ conti di Pergen canonico di Olmutz e vescovo di Mantova recitata nella
Basilica Collegiata di S. Andrea …, Tipografia Virgiliana, Mantova [1807?]. Una raccolta di
sue orazioni, lettere pastorali, omelie e avvisi, tutti stampati dall’Erede Pazzoni, in BCMn,
arm 10-b-32.
– 142 –
Nella Lombardia Austriaca
dopo la cura d’anime a Olmütz e dopo l’incarico a Roma di auditore rotale
per la nazione tedesca era stato nominato vescovo di Mantova in virtù del
diritto di giuspatronato fatto valere dalla sovranità austriaca, che si era
assicurata
un
ministro
fedele
in
una
zona
strategicamente
e
ideologicamente importante124.
Definito come “vescovo di tipico stile giuseppino” da Brambilla, ma
meno intransigente del pistoiese Scipione de’ Ricci, “apertamente
favorevole a Vienna” per Dell’Orto, e tuttavia non troppo asservito agli
intenti governativi (Sargentini), è giudicato in maniera pesantemente
negativa dal contemporaneo Giuseppe Garampi, che durante il suo periodo
di nunziatura viennese ne deplora l’aperto sostegno alla politica di
Giuseppe
II
nel 1781, a proposito delle dispense matrimoniali:
“Sragionando al suo solito, e sempre più rendendosi soggetto di
compatimento”125 Pergen indica nell’imperatore l’uomo che la Provvidenza
ha mandato per ripristinare i diritti dei vescovi.
Appena insediato aveva difeso per ragioni di prestigio l’uso del
titolo di ‘Principe del Sacro Romano Impero’ spettante ai vescovi di
Mantova (Firmian puntualizzerà: non di ‘vescovo e principe’ né di
‘Fürstbischof’)126 per poi occuparsi attentamente della formazione e della
selezione del clero, operata in maniera scrupolosa e rigorosa. Il seminario e
la scuola di teologia di Mantova, pur con ripetute e poco lineari
riorganizzazioni, vennero ricompresi nell’orbita della facoltà teologica di
Pavia, operazione pienamente riuscita a giudicare dalla lunga vacanza della
sede episcopale tra il 1807 e il 1823, malevolmente interpretata come
l’espediente
usato
dalla
124
Cfr. ANNIBALETTI 1996.
125
Cfr. DELL’ORTO 1995, p. 330.
126
ANNIBALETTI 1997.
Santa
Sede
– 143 –
per
evitare
tensioni
e
contemporaneamente disapprovare sia la vicaria esercitata da don Girolamo
Trenti (arciprete della Cattedrale, nel 1811 sottoscrisse il gallicanesimo
filo-napoleonico), sia la ventilata creazione a vescovo di don Domenico
Morandi,
pure
mantovano,
rifiutata
nel
1816
con
l’accusa
di
giansenismo.127
È dedicata al sacramento della confessione una delle prime
importanti omelie al clero del vescovo Pergen, quella per l’epifania del
1771: dichiara di voler meglio controllare i confessori secolari e regolari, cui
per l’avvenire sarà concessa la patente solo previo esame128 e si concentra
sulle modalità del confronto tra penitente e confessore, al quale non spetta
il ruolo di giudice. Nell’omelia la confessione resta un mite tribunale cui i
cristiani
accedono
spontaneamente,
non
l’anticamera
di
ulteriori
imposizioni “quod ipsi portare non possunt”. Avvicinandosi, forse
inavvertitamente, alla concezione di origine gesuita129 per cui la confessione
è momento di fiducia nei confronti del penitente, non di sospettosa
indagine, Pergen cerca di rimuovere quel sentimento di ripugnanza dinanzi
127
128
GRIFFINI (CUR.) 1974, p. 80; VAINI 1992, p. 119 e PECORARI 1980.
“Confessores tum Saeculares, tum Regulares quos jam approbatos reperimus, hisce
denuo, absque novo examine, novis tam patentibus litteris provisos approbare, &
confirmare intendimus: Reliquos ab hodierna data in futurum pro Confessionibus
excipiendis concurrentes praevio examini subjectos volumus. Casus reservatus ut infra
absolvendi facultatem tribuimus omnibus Examinatoribus Prosynodalibus, Vicariis
Foraneis, Ordinum Regularium Superioribus, Confessariis extraordinariis, Monialius pro
personis in Clausura degentibus durante Ministerium tantum; omnibusque tandem
Parochis, curatis, ac Confessoribus per totum Adventum cum Festis Natalitiis, nec non a
die Cinerum, usque ad Dominicam Sanctissimae Trinitatis”; a stampa in BCMn, arm. 10b-32, p. 145.
129
PROSPERI 2009b.
– 144 –
Nella Lombardia Austriaca
a un istituto che rischia di divenire ‘odioso’ al pari del famigerato tribunale
di foro esterno130.
Che il vescovo avesse poca simpatia per le devozioni e gli esercizi di
zelo apparentemente fini a se stessi è mostrato anche dall’avviso
quaresimale del 1775131, con cui dispone ampie esenzioni all’obbligo di
digiuno:
essendo ben note le varie circostanze dell’uman Genere in ogni
classe, stato, e condizione di persone, che mutano forse
interamente l’aspetto de’ primi tempi di tale osservanza; Noi,
come depositari de’ Misteri, ed Ordini di Dio, e della sua
Santa Chiesa, Pastore del suo Gregge per parte di questa
nostra Diocesi, volendo soccorrere a tale comune vicenda que’
sentimenti
Consideriamo, primo come già dispensati, eccettuati,
130
“Sicut autem Poenitentes aliunde instructos speramus de specifica, & contrita
peccatorum suorum confessione fac[i]enda, ita quoque plene persuasi sumus, quod illi,
quos in partem sollicitudinis Nostrae eligimus, & advocamus, se tamquam fidelis
administratores exhibebunt promptos, pios, ac prudentes, non aliter Confessionale
accidentes, quam invocata Divina assistrice Sapientia, nec ulli imponentes onus, quod ipsi
portare non possunt; abstinentes se quoque a quaesitis, sive interrogatoriis, quae illis, etsi
judices sint, in hoc tam voluntario, & spontaneo poenitentium foro minime competunt,
quae grave nimis & odiosum reddunt hoc Sacrum Poenitentiae Tribunal, quod ex
Institutione Jesu Christi mite, & suave esse debet poenitentium receptaculum ad
eorumdemque servire aeternam reconciliationem”; in Edictum ad Clerum quo ad
absolutionem generalem in articulo mortis, benedictionem Sacrorum Superellectilium, Casus
reservatos, et Confessarios, nec non requisita Ordinandorum nostrae Mantuanae Dioecesis,
pp. 5-7, segnalato in SARGENTINI 1991, pp. 147-148.
131
Avviso quaresimale / Per la Città, Borghi, e Diocesi nostra, comprese le / Terre Delegate, per
l’anno 1775 …, Dato dal Palazzo nostro Vescovile di Mantova questo dì 14. Febbrajo
1775, in Mantova, per l’Erede di Alberto Pazzoni, Regio-Ducale Stampatore.
– 145 –
neppur compresi dalla legge dell’astinenza Quaresimale, e del
Digiuno, tutti i Poveri mendicanti, Famiglie, che servono, e
vivono soltanto del loro poco salario, o lavoro delle sue proprie
mani, Artisti di fatiche gravi, e meccaniche, le Donne incinte,
partorienti, o lattanti, gli ammalati, o convalescenti, e
finalmente quelli, che non sono di ventun’anno, ovvero che
sono di anni sessanta.
Formulazione poco felice, perché stabilisce una dispensa che non
deriva da una concessione individuale e circostanziata, certificata da un
apposito attestato medico, ma sembra valere universalmente sulla base della
sola determinazione discrezionale del singolo a prescindere dall’esplicito
riconoscimento dell’autorità132 (sia essa il vescovo o il confessore o qualche
vicario non importa) e indirettamente mette in dubbio la precedente
dottrina della Chiesa.
Le scene e gli attori sono quelli ormai consueti: la Suprema
congregazione redige una censura133, firmata dall’assessore Leonardo
Antonelli, Pio
VI
si rivolge all’imperatrice denunciando che il vescovo
Giovanni Battista Pergen sottomette al proprio arbitrio una legge osservata
“jam ab apostolici temporibus” dalla Chiesa (rimarcandone cioè il buon
diritto) cosicché pare “non tam laxare disciplinae severitatem, quam legem
132
Ivi: “In quanto poi all’Attestato de’ Parrochi, e Medici, essendo questa nostra
concessione, e dispensa pel cibo della Carne, soltanto appoggiata alla verità de’ bisogni,
non vero a tale Attestato, quale non serve, che per esterna giustificazione, non per
l’interna; così si potrà ben facilmente concedere tale Attestato a chi lo domanda; quelli
però , che lo domandano, si astengano a domandarlo senza reale loro indigenza: Deus enim
non irridetur.”
133
ACDF, St. st., I 3 t, Nerinii Consultationes Pars IV et Diversorum; in ACDF, St. st., UU
11 a, fasc. 28 è l’avviso quaresimale del 1775; entrambi gli avvisi del 1775 e del 1776 nella
già citata miscellanea di BCMn arm. 10-b-32.
– 146 –
Nella Lombardia Austriaca
ipsam quodammodo dissolvere ac tollere”134. C’è il pericolo che questo
modo di vivere liberamente si propaghi al clero e ancor di più ai laici, e che
il buon nome del vescovo venga sminuito.
A Vienna nessuno desidera altri motivi di attrito da sommare alla
contemporanea abolizione del tribunale e si cerca il modo di accomodare le
cose. Sperges non ha copia esatta dell’avviso, anzi, ne ha ricevuta notizia
solo indirettamente, dalla Toscana, ma concorda sul fatto che “un vescovo
da sé non può riformare, né rilasciare in massima l’antica disciplina
generale”135. Nel frattempo Pergen si reca di persona a Vienna per un
viaggio che resta inspiegato, come inspiegato sarà l’anno seguente il suo
improvviso rifiuto, dopo un primo assenso, all’elaborazione di un
catechismo unico per le diocesi lombarde, promossa da Firmian e
autorizzata controvoglia dal cardinal Pozzobonelli, arcivescovo di
Milano.136 Anche Kaunitz non sa a quali intrighi o scrupoli di coscienza
siano dovute le oscillazioni del vescovo137 ma rimane lucido nell’analisi del
breve pontificio. Occorre tenere separato l’affare dell’inquisizione da quello
dell’esenzione dal digiuno, in relazione al quale si contano due aspetti: il
rimprovero relativo ai costumi va affrontato fraternamente e per vie non
ufficiali, il maldestro avviso quaresimale può essere corretto pubblicandone
uno nuovo meglio formulato e che non lasci adito a malintesi, evitando così
di rafforzare quanti si oppongono a Pergen per il suo allontanamento dalle
dottrine, più politiche che canoniche, gradite a Roma.138
134
Pio
a Maria Teresa, da Roma il 30 agosto 1775, in MAASS, Josephinismus
II,
Sperges a Kaunitz, da Vienna il 21 settembre 1775, in MAASS, Josephinismus
II,
VI
num. 45.
135
num. 46.
136
VISMARA CHIAPPA 1978, pp. 470-472.
137
MAASS, Josephinismus II, p. 40n.
138
Kaunitz a Maria Teresa, da Vienna il 2 novembre 1775, in MAASS, Josephinismus II,
– 147 –
Senza sussulti si arriva al 12 febbraio 1776, con l’avviso rettificatore
aperto dal richiamo alla “stretta osservanza della santa Quaresima, tanto per
il digiuno quanto per l’astinenza dai Cibi esuriali, e da’ latticini”. La
“particolare dispensa” è delegata ai parroci “secondo la Disciplina universale
della Santa Madre Chiesa”. Il vescovo rinvia all’avviso dell’anno precedente,
che viene destituito di ogni valore per il desiderio giunto dalla “paterna
vigilanza” del pontefice. Una capitolazione completa, mitigata dalla
constatazione, sottolineata da Pergen, che l’uso di troppa indulgenza è
impedito dalla “proclività degli uomini al male” (vaga allusione ai suoi
detrattori) e dalla citazione paolina secondo la quale “vos Spiritus Sanctus
posuit Episcopos regere Ecclesiam Dei”139, a ribadire in clausola uno dei
temi cari alla sua visione ecclesiale.
La soppressione
A Mantova è il canonico della Cattedrale Muti, in qualità di regio
vice economo, a presentarsi la mattina del 17 aprile 1782 –
“impensatamente” riferisce l’inquisitore a Roma140 – intimando la
soppressione del tribunale, ma “fin da quando incominciò a tuonare”
141
padre Mugiasca e il suo vicario frate Giorgio Rizzini avevano spostato nel
convento di San Domenico i beni mobili più pregiati, quali tre pianete di
damasco e i dipinti reputati di valore. Prima di compilare il proprio
num. 47.
139
Avviso quaresimale / Per la Città, Borghi, e Diocesi nostra, comprese le / Terre Delegate, per
l’anno 1776 …, Dato dal Palazzo nostro Vescovile di Mantova questo dì 12. Febbrajo
1775, in Mantova, per l’Erede di Alberto Pazzoni, Regio-Ducale Stampatore. La
citazione è tratta da Atti 20, 28.
140
ACDF, St. st., GG 4 a, lettera del 27 aprile 1782.
141
ACDF, St. st., GG 4 a, lettera del 15 maggio 1783.
– 148 –
Nella Lombardia Austriaca
inventario142 il sub-economo si era mostrato conciliante, senza irrigidirsi su
queste mancanze e delegando ampiamente l’esecuzione materiale degli
ordini governativi: all’archivio e all’armadio che fungeva da biblioteca
vengono posti i sigilli, senza immediata distruzione, in attesa che a Milano
si decidesse la sorte delle carte, nell’incertezza tra cederle al vescovo di
Mantova, “primario inquisitore”143, oppure conservarle presso qualche ente
dello Stato. Ancora il 19 settembre 1782, quando venne bruciata buona
parte dell’archivio, monsignor Muti volle “riserbare alcune scanzie di
Processi indiferentemente per potere […] dar esecuzione almeno
apparentemente agli Ordini Superiori” qualora fosse giunta richiesta di
materiale da conservare a Brera144. È finalmente del maggio 1783145 il rogo
dei circa 60 sacchi di carte che restavano, e la spedizione di sole tre
“pergamene portanti gran sigilli”, appariscenti ma reputate di nessun
interesse e del tutto innocue, riguardanti i privilegi concessi agli ufficiali del
tribunale e ai crocesignati, nonché la “condanna d’un certo P. de Luca
Scopettino, per un fanatico neo Panegirico della Concezione”, in cui è da
ravvisare la singolare eresia di Pietro da Lucca, canonico lateranense, attivo
a Mantova verso il 1510.
Nel frattempo l’inquisitore titolare si congeda ritirandosi a Como,
sua città d’origine, e il vicario Rizzini, ‘figlio’ del convento mantovano e
rimasto a curare le ultime incombenze, non risparmia ai cardinali qualche
nota sulle proprie difficoltà finanziarie e sull’avidità di padre Mugiasca,
142
Copia in ACDF, St. st.,
GG
4 a e in ASMn,
DU II,
b. 52, c. 34 che da un sommario
confronto si corrispondono parola per parola, come lecito attendersi; cfr. anche
PEDRAZZINI 2007.
143
ANNIBALETTI 1995, p. 199; lettera di Muti a Pergen.
144
ACDF, St. st., GG 4 a, 25 luglio 1782.
145
ACDF, St. st., GG 4 a, 15 maggio 1783.
– 149 –
“che non è mai contento né di robba né di danaro”146: di tanto in tanto
sembra di cogliere una ‘antipatia di ceto’ nei confronti del vecchio
inquisitore, che chiudeva la corrispondenza, anche i fogli interni inviati alla
Suprema, con il proprio sigillo comitale, anziché utilizzare il bollo tondo
con croce patente propria dell’ufficio mantovano.
Vista da Roma la vicenda è un vicolo cieco senza possibilità di
manovra, soprattutto dopo il fallimento delle memorie presentate a Vienna
dai nunzi apostolici. Si sceglie pertanto la strada della sottomissione
passiva, avendo cura di non legittimare, mai e neppure implicitamente, la
soppressione: ai domenicani del convento è lasciato il disbrigo delle
pratiche per venire in possesso della sede del tribunale, vengono considerate
riservate tutte le comunicazioni tra l’ufficio locale e la Suprema, che non
deve esser nominata neppure coi padri del convento (dai quali peraltro si
richiedono ricevute solo informali dei depositi colà lasciati) e i decreta
relativi alle varie sessioni della Congregazione restano evasivi: gli assistenti
sono delegati di rispondere alle immediate esigenze materiali e operative di
inquisitore e vicario, mentre sui verbali si annota semplicemente ‘relata’,
poiché è evidente che alle usurpazioni del governo lombardo “nihil
respondendum esse”.
Lo stesso atteggiamento era stato imposto nel 1768147, per le
imminenti
nozze
di
Ferdinando
di
Borbone-Parma:
occorreva
assolutamente evitare che l’inquisitore mantovano si presentasse come
titolare di Guastalla (unita politicamente a Parma dal 1748) senza dare al
Reale Infante occasione per un umiliante diniego e senza offrire il destro a
lamentele per innovazioni intempestive e azzardate. E ancora, appare
sintomatica la già citata corrispondenza del 1775, subito dopo la
146
ACDF, St. st., GG 4 a, 25 luglio 1782.
147
ACDF, St. st., GG 5 e, 3 dicembre 1768.
– 150 –
Nella Lombardia Austriaca
soppressione della confraternita dei crocesignati a Cremona: attendendosi
qualche provvedimento simile anche per la diocesi di Mantova, è
opportuno – scrive la Congregazione a padre Mugiasca – che
Ella non si debba prendere nessuna ingerenza in tale
affare, né comparire per nessun modo in questa scena;
perocché sarebbe a temersi, che il nome di Inquisitore, e di
Santo Officio renduto (non si sa il perché) odioso a codesto
Governo, non esasperasse maggiormente gli animi, e
sollecitasse, anziché ritardare la minacciata ruina, e rendesse la
via maggiormente luttuosa.148
Prudenza e indulgenza sono raccomandate anche nel maggio del
1778, quando una conversazione sconveniente insinua in una giovane
convertita, figlia di un ufficiale tedesco e sposatasi con un benestante
mantovano, il dubbio che il cattolicesimo avesse fondamenti poco saldi,
soprattutto
se
confrontato
con
le
altre
confessioni:
principale
preoccupazione dei cardinali è che l’eventuale interrogatorio dei testimoni
non avvenga “nisi in circumstantiis, in quibus nichil timeri possit prejudicii
S. Officii”.149
Tutto questo sistematico sopire e troncare, cercando di assecondare
la corrente senza venirne trascinati, non riuscì ad evitare che nel giro di
pochi anni dai muri dell’abolito tribunale venissero cancellate “le parole
d’Inquisizione e Santo Officio”150, ottemperando a una damnatio memoriae
di burocratico riserbo, accompagnata dalla consueta compilazione di
148
ACDF, St. st.,
GG
5 e, 25 novembre 1775, risposta della Congregazione alla lettera di
padre Mugiasca del 2 novembre 1775.
149
ACDF, St. st., GG 5 e, 10 maggio 1778.
150
ANNIBALETTI 1995, p. 200 e AStDMn,
CC,
189 sgg. .
– 151 –
Relazioni del sub-economo, vol.
III,
cc.
inventari e verbali a sancire il passaggio di proprietà, edifici, rendite e carte
dal tribunale ecclesiastico all’amministrazione regio-imperiale.
La legislazione napoleonica non dovrà che recepire la situazione, ed
equipararvi il Veneto.
I resoconti economici
Nonostante nel 1632 fosse stato imposto l’ordine di spedire a Roma
la nota delle spese ogni sei mesi,151 i resoconti rimasti sono perlopiù dei
primi giorni di gennaio; pochi sono rimasti per intero, di alcuni anni
comunque possediamo almeno i riepiloghi complessivi. Pur con qualche
incertezza dovuta all’imprecisione dei conti e dei riporti, causata anche
dalle trascrizioni avvenute nel copiare a Mantova la minuta prima dell’invio
e a Roma dopo la ricezione, si ricava un bilancio di sostanziale pareggio152
tra entrate e uscite, alterato a volte dall’impossibilità di riscuotere i crediti
dagli affittuari o dai ritardi nei pagamenti da parte della Mensa vescovile, il
maggior contribuente al mantenimento del tribunale. A sua volta
l’inquisitore mantovano era gravato da una pensione da versare al suo
omologo di Casale Monferrato, come suggeriscono due lettere, nel 1650 e
nel 1666.153
151
GIUSTI G. 1987, p. 105.
152
L’esorbitante anno 1785, peraltro di incerta lettura, è da trascurare per la sua atipicità,
collocandosi a ridosso della soppressione del tribunale.
153
ACDF, Decreta, 1650, c. 181, 7 dicembre 1650: l’inquisitore di Casale prega con lettera
del 19 (novembre ?) che quello di Mantova solva la solita pensione. ACDF, Decreta, 1666,
c. 32, 3 marzo 1666 (di difficile lettura per il deperimento di carta e inchiostro): con
lettera del 19 febbraio l’inquisitore di Mantova comunica che ha pagato all’inquisizione di
Casale la pensione di dieci (?) scudi, come era in uso presso i suoi antecessori, “ob illius
paupertatem” e chiede di esserne liberato. I cardinali ordinano di scrivere a entrambi per
ottenere maggiori informazioni.
– 152 –
Nella Lombardia Austriaca
Considerando l’anno 1710, i cinque carcerati (non tutti per l’intero
anno) provvedono quando possibile al proprio mantenimento: con 60 lire al
mese dovevano ottenere un trattamento abbastanza confortevole,
paragonabile a quello riservato al secondo commesso (54 lire mensili),
anche se un trattamento minimo sembra essere garantito anche agli
insolventi. Fonte continua di spese ingenti, circa il 50 % del totale,
restavano in una situazione precaria e debitoria anche con la vendita dei
beni sequestrati dopo la condanna, tanto che nel 1713 l’inquisitore cercherà
di recuperare un’eredità “per li poveri carcerati”,154 una situazione che
doveva essere generalizzata e di cui restano tracce documentarie relative alla
vicina sede del Sant’Uffizio di Parma155. Tra le spese minori figurano la
legna per riscaldare (circa 150 lire annue), quindi per le candele (circa 70
lire annue), e per le altre spese fisse (lavatura dei panni, olio, affrancatura
della corrispondenza156) ciascuna a circa 60 lire l’anno, talvolta affiancate da
uscite discontinue per piccoli acquisti di gestione non ordinaria157. Risalta
invece l’importanza delle uscite destinate al personale (un terzo circa del
totale) per la metà sostenute a fine anno, quando con piccole somme si
gratificavano i domestici stabili o quanti avevano prestato qualche
occasionale servizio. I rimborsi annuali per il vestiario mostrano chiara la
154
ACDF, St. st., GG 5 e, 9 giugno 1713.
155
CERIOTTI – DALLASTA 2009, pp. 214-215.
156
In ACDF, Privilegia Sancti Offici, 1669-1699 alcune carte relative a una richiesta
dell’inquisitore Giovanni Battista Righi circa l’esenzione dalle spese di spedizione. Nel
1760 Clemente
XIII
rinnoverà l’esenzione, avvalorata “da antichissima osservanza”, dalle
spese di affrancatura per “tutte le lettere scritte, e dirette alli Padri Inquisitori dello Stato
Ecclesiastico, ed anche alli respettivi loro Vicari Generali, o Foranei” (ACDF, Decreta,
1760).
157
Ad esempio nel 1720 l’inquisitore Visconti chiede e ottiene da Roma denari per
rinnovare le lenzuola, o ancora nel 1763, quando si fanno accomodare due ‘stramazzi’ per
le carceri (ACDF, St. st., GG 5 e).
– 153 –
stratificazione sociale: a fronte di 156 lire per il primo commesso (ridotte a
132 per il secondo) troviamo 528 lire destinate all’inquisitore, il solo che
riceveva il vitto per i viaggi alle acque termali o per il ritorno nel proprio
paese d’origine durante i mesi estivi. Una consuetudine attestata per tutto il
Settecento, ma non necessariamente a carico dell’ufficio: nei Decreta o nella
corrispondenza troviamo le autorizzazioni relative al 1709 (l’inquisitore
Angelo Michele Nanni è a Brandola ed è insolitamente nominato anche il
vicario frate Reginaldo Rossi, a Recoaro nel mese di agosto), 1710158, 1720,
1721 (padre Visconti), 1736 (padre Belotti), 1743, 1746, 1747, 1750
(inquisitore Pietro Martire Cassio), 1767 (padre Mugiasca); le richieste
sono spesso accompagnate dalla dichiarazione di un medico attestante la
necessità di fuggire l’aria malsana delle estati mantovane.
Benché per l’anno 1710 la Mensa vescovile resti debitrice159 di 6930
lire, con 3498 lire versate garantisce il contributo maggiore, pari al 56 % del
totale (73 % scorporato il contributo dei carcerati), seguita dai versamenti
effettuati dai carcerati per il proprio mantenimento (circa 1335 lire, non
bastanti a coprire tutte le spese). Altre entrate più modeste, spesso pagate
in ritardo, provengono da censi e livelli dei poderi di proprietà del
Sant’Uffizio. Quando la politica giuseppina prenderà corpo sarà una
158
Un esempio tra i molti: “Lectis litteris inquisitoris Mantuae datis 23 Maij [?] proximi,
quibus supplicat pro licentia se conferendi ad Balnea Brandolae de Con[silio?] medicorum
ad effectum recuperandi sanitatem, […] Inquisitori licentiam petitam concesserunt,
proviso tamen officio de idoneis ministris tempore dictae suae absentiae. ACDF, Decreta,
1710, c. 267r, 29 aprile 1710.
159
Eventualità non così singolare neppure prima della dominazione austriaca. ACDF,
Decreta, 1604-1605: “Lectis litteris Inquisitoris Mantuae datis dies 12.a Novembris, in
quibus significat pensionem annuam scutorum 100 Camera, reservatam Sancto Officio,
super fructibus episcopatus Mantuae, a multis annis non fuisse solutum iuxta valorem scuti
camerae, decretum ut videatur bulla reservationis dictae pensionis.”
– 154 –
Nella Lombardia Austriaca
preoccupazione frequente degli inquisitori trovare buoni investimenti per i
capitali evitando azioni di fallimento sicuro e contemporaneamente
mettendosi al riparo da possibili pretese del governo, che cambiava in
profondità i regolamenti amministrativi relativi alle terre ecclesiastiche. 160
Stando ai dati rimasti, cinquant’anni più tardi i bilanci non erano
molto diversi: tra le annotazioni atipiche segnaliamo nel 1760 il risparmio
sul vino dei carcerati, che proviene da un podere di proprietà, o la spesa per
contribuire allo scavo di Fossa Viva (1762), un canale di bonifica nei pressi
della possessione “Margonella”di San Silvestro161. Risulta il mantenimento
di un povero, registrato separatamente rispetto ai carcerati (1762) e nel
1763 si annota il costo di due ‘stramazzi’ nuovi per migliorare le condizioni
dei prigionieri; ancora nel primo semestre del 1769 grava sul bilancio un
sacerdote carcerato. Le annotazioni per spese di viaggi e missioni (talvolta
meramente legate all’amministrazione del patrimonio) sono decisamente
rare, due o tre all’anno, come sembra eccezionale la spesa per effettuare due
arresti (1762)
, benché in questo caso occorrerebbe conoscere nel
162
dettaglio gli accordi circa l’uso del braccio secolare, perenne motivo di
attriti col governo.
160
L’inquisitore Mugiasca chiederà più volte consulenza circa l’acquisto di un terreno,
ricevendo da Roma lungimirante risposta: “essendo il compratore il S. Offizio, luogo di
mani morte, si andrebbe a pericolo di perdere e frutti e capitale, il che non può accadere
ne’ Censi”, che sono appunto l’investimento raccomandato. ACDF, St. st.,
GG
5 e, luglio
1770.
161
Sugli stabili e sulle 36 biolche di terra del podere cfr. ASMn, ASMn,
DU II,
b. 52, c.
34. Dopo la soppressione le entrate saranno destinate all’ “orfanotrofio dei maschi”, che lo
venderà nel 1788 (ASMn, Regia intendenza politica, b. 246). La toponomastica attuale
conserva una “corte Margonella” poco a sud di Levata.
162
Tra le rare notizie disponibili: nel 1617 l’arciprete di Viadana, multato dal Sant’Ufficio
di Mantova, dovrà pagare la spesa di 40 scudi “fatta in due cavalcate di sbirri” (ACDF, St.
st., CC 1 b, fasc. 8).
– 155 –
Dettaglio entrate-uscite per l’anno 1710
Nel campo della quotidiana amministrazione il desiderio di un
sistema separato e indipendente rispetto a quello diocesano e a quello laico
si scontra con l’insufficienza di mezzi e uomini, come sarà evidente anche
nella faticosa organizzazione del sistema delle vicarie. Lasciamo il dettaglio
economico dell’anno 1710, significativo della micro-economia di cui viveva
il tribunale, come organismo autonomo rispetto al convento domenicano e
come istituto che per funzionare necessitava comunque di una rete di
fornitori di beni e di servizi che non era in grado di gestire in proprio.
Nota delle spese fatte nel S. Off.o di Mantova l’Anno 1710163
[1 lira = 20 soldi] [lire:soldi]
Genaro
Speso in libre 16 di oglio per lucerne del S. Offi.o
20:4
Speso per le cibarie, e custodia del Giacomazzi carcerato
60
Per le cibarie, e custodia del Cozza carcerato
60
Per le cibarie del Toresani carcerato
55
Per le cibarie del secondo Commesso
58
Speso in otto libbre di candele di secco
10:6
Datto allo Studio per la solita festa di San Tomaso
18:10
Nelle lettere e francatura in q.to Mese
6
Speso per lavatura de panni di lino del S. Officio
4
Per le spese minute di questo mese
6
Febraro
Speso in due cassi di legna grossa per il santo Officio a raggione di lire trentaquattro il
68
casso
Speso per le cibarie, e custodia del Giacomazzi carcerato
163
60
ACDF, St. st. GG 5 e, preceduta da lettera accompagnatoria:
“Eminentissimi e reverendissimi signori Padroni Osservandissimi / In adempimento del
mio dovere humilio all’Eccellenze Vostre la notitia dell’introito, et esito di questo S.
Officio di Mantova, come pure la nota de crediti, che restano da esigersi per tutto l’anno
1710 e non essendo questa mia per altro; col baciarli humilmente il lembo della Sagra
Porpora resto / dell’Eccellenze Vostre / Humilissimo Devotissimo et Obedientissimo
Servitore / Mantova 30 gennaro 1711 / frate Angelo Michele Nanni inquisitore”.
– 156 –
Nella Lombardia Austriaca
Per le cibarie, e custodia del Cozza carcerato
60
Per le cibarie del Toresani carcerato
55
Per le cibarie del secondo Commesso
58
Per lettere e francatura in q.to Mese
6
Speso in dieci libbre di candele di secco
13
Per le spese minute di questo mese
6
Marzo
Speso in quindeci braccie di tovaglioli per il S. Off.o a soldi cinquanta il braccio
Per un soglio di vino per li carcerati a lire sessataquattro il soglio
Per le cibarie, e custodia del Giacomazzi carcerato
37:10
64
60
[Totale della pagina]
780:15
[785:10]
Per le cibarie, e custodia del Cozza carcerato
60
Per le cibarie del Toresano carcerato
58
Per le cibarie del secondo Commesso
60
Per lavatura de panni di lino del S. Officio
5:4
Per le lettere e francatura del presente Mese
7:4
Aprile
Speso in libbre sedeci di Oglio per le lucerne del S Off.o a soldi ventiuno la libbra
16:16
Per lavatura de panni di lana del P.re Inquisitore
11
Per le cibarie, e custodia del Giacomazzi carcerato
60
Per le cibarie, e custodia del Cozza carcerato
60
Per le cibarie del Toresano carcerato
52
Per le cibarie del secondo Commesso
50
Per le cibarie di Inganzio Pistoia che fu carcerato li 2 aprile
54
Speso in tre cassi di legna grossa per il S. Off.o a raggione di trenta lire il casso
90
Per le lettere e francatura di q.to Mese
4:1
Per lavatura de panni di lino de S. Officio
5:2
Per le spese minute di questo mese
5:8
Maggio
Speso in un soglio di vino per li carcerati
41
Speso in un fossino [?] di crena di cavallo coperto di bazzana rossa per servitio del S.
18
Officio
Datto agli sbirri per l’assistenza alla tortura, e Palchetto d’Ignazio Pistoia
30
Speso per le cibarie, e custodia del Giacomazzi, carcerato
60
Per le cibarie, e custodia del Cozza carcerato
60
Per le cibarie del Torresano carcerato
54
Per le cibarie del secondo Commesso
55
[totale pagina]
946:13
[916:15]
Per le cibarie di giorni otto d’Ignazio Pistoia carcerato, e condanato alla galera in vita
27
licentiato dal S. Off.o li dieci otto maggio 1710
Per la lavatura de panni di lino del S. Off.o lire
3:14
Per le lettere, e francatura di q.to mese
5:14
Per le spese minute di q.to mese
5
Giugno
Speso in due cassi di legna piciola cioè fascine a raggione di trenta due lire il casso
– 157 –
64
Speso in due oncie di balsamo di Copaide fatto venire da Venetia per servitio del P.re
19
Inquisitore
Per le cibarie, e custodia del Giacomazzi, carcerato
60
Per le cibarie, e custodia del Cozza carcerato
60
Per le cibarie del Torresano carcerato
54
Per le cibarie del secondo Comesso
56
Per lavatura de panni due volte
9
Per lettere, e francatura di q.to mese
3:11
Per le spese minute di q.to mese
3:4
Luglio
Speso per le cibarie, e custodia del Giacomazzi, carcerato
60
Per le cibarie, e custodia del Cozza carcerato
60
Per le cibarie del Torresano carcerato
53
Per le cibarie del secondo Comesso del S. Off.o
54
Per lavatura de panni di lino in q.to mese
5
Per lettere, e francatura
3:10
Agosto
Speso in un soglio di vino per li carcerati
64
Per la portatura del sudetto vino a fachin
1:10
Per le cibarie, e custodia del Giacomazzi, carcerato
60
[totale della pagina]
734:3
[731:03]
Per le cibarie e custodia del Cozza, carcerato
60
Per le cibarie del Torresani, carcerato
53
Per le cibarie e custodia del prete Gradesani carcerato dalli 19 agosto sino alli 31 detto
24
Per le cibarie del secondo commesso del S. Off.o
54
Per lettere, e francatura
5:10
Spese minute
2:4
Per far battere li Mattarazzi
4:10
Settembre
Speso in libre sedici di Oglio per il S. Off.o, a soldi ventitre la libra, lire dieci otto, soldi
18:8
otto
Speso nel viaggio, e ritorno del P.re Inquisitore dall’Acque di Brandola
140
Per le cibarie di due mesi del sudetto P.re Inquisitore
130
Per le cibarie e custodia del Giacomazzi, carcerato
60
Per le cibarie e custodia del Gradesani, carcerato
60
Per le cibarie del Cozza, carcerato
51
Per le cibarie del Toresani, carcerato
51
Per le cibarie del secondo commesso del S. Off.o
54
Per lavatura de panni di lino del S. Off.o
4
Per riffare li mattarazzi del letto del P.re Inq.re
4
Per le lettere e francatura di questo mese
5:10
Ottobre
Speso in un soglio di vino per li carcerati a lire 24 il soglio
24
Per la portadura alli brentadori
1:2
Speso in riffare quattro mattarazze delle Carceri
6:7
Speso in un peso di Candele di secco per il S. Off.o
60
– 158 –
Nella Lombardia Austriaca
Per le cibarie e custodia del Giacomazzo, carcerato
60
Per le cibarie e custodia del Gradesano, carcerato
51:16
[totale della pagina]
952:7
[984:7]
Per le cibarie del Cozza, carcerato
37
Per le cibarie del Toresani, carcerato
37
Per le cibarie del Marassi, carcerato alli 11 di questo mese
29
Per le cibarie del secondo commesso del S. Off.o
50
Per le lettere e francatura di questo mese
7:4
Per lavatura de panni di lino di q.to mese
4:8
Per le spese minute di questo mese
4
Novembre
Speso in due sogli di vino per li carcerati a lire 28 il soglio
56
Speso nella portadura di detto vino nelli fachini
2:4
Speso in due coperte di lana per il S. Off.o
52
Per le cibarie e custodia del Giacomazzo, carcerato
60
Per le cibarie e custodia del Gradesani, carcerato
46
Per le cibarie del Cozza, carcerato
35
Per le cibarie del Torresani, carcerato
35
Per le cibarie del Marassi, carcerato
35
Per le cibarie del secondo commesso del S. Off.o
50
Per lavatura de panni di lino di q.to mese
3:12
Per le lettere e francatura di questo mese
4:7
Per le spese minute di questo mese
1:9
Decembre
Datto al Padre Vicario per la sua solita recognitione
108
Al P.re Notaro per la sua solita recognitione
54
Dato per il vestiario d’un anno al primo Commesso
156
Dato per il vestiario d’un anno al secondo Commesso
132
Dato per un anno di Vestiario al P.re Inquisitore
528
Dato alli giovani della speziaria per la solita bona mano
10
[spese una tantum nell’anno]
Al Refettorario per la solita bona mano
10
[totale della pagina]
1540:4
[1547:04]
Al Ortolano per la solita bona mano
10
Dato al primo Cucinaro per la solita bona mano
10
Dato al secondo Cucinaro per la solita bona mano
4
Per lavatura de panni di lana del P.re Inquisitore
11
Dato al Barbiere del S. Off.o
19
Dato alli staffieri di mons.r Vescovo
3
Dato al notaro per un atto fatto nella lite del Vincenzi
Dato al Ferraro per varie fattue per il S. Off.o
7:15
5
Dato alli staffieri di P. Panizza
3
Speso in una sedia per condure a Gonzaga il P.re Vicario, e P.re Notaro per interesse del
36
S. Off.o
di più speso per cibarie de sudetti Padri
22
– 159 –
Dato alli staffieri del sign.r Conte di Castelbarco
3
Dato al sig.r Bresciani mandato ad Ostiglia a visitare li beni livellati al Pellicelli per la sua
35
visita, e perizia e cibarie con anche la sedia
Speso in libre venti di Oglio per servitio del S. Offo.o
23:16
Per le cibarie del Gradesani carcerato, ed anche custotia
50:16
Per le cibarie del Giacomazzi carcerato, ed anche custodia,
60
Per le cibarie del Cozza, carcerato
34
Per le cibarie del Toresani, carcerato
34
Per le cibarie del Marassi, carcerato
30
Per le cibarie del secondo commesso
54
Speso nella lavatura del panni di lino del S. Off.o
3:12
Per lettere, e francatura di q.to mese
12:4
Spese minute di questo mese
5:16
[totali per pagine]
[totale della pagina]
472:3
[476:19]
[riporti delle pagine precedenti]
780:15
946:13
734:3
952:7
1547:4
5433:5
[riepiloghi]
[5433:05]
Expositum superioris anni
5433:5
[Expositum praesens]
1187
Totum simul
6620:5
Nota del ricevuto dell’anno 1710
Ricevuto dal Giacomazzi per le sue Cibarie, e custodia di tutto l’anno a ragione di
720
sessanta lire il mese
Ricevuto dal Cozza carcerato per le sue cibarie, e cusotodia di cinque mesi doppo li quali
300
non ha pagato più niente lire
Ricevuto da Ignatio Pistoia carcerato per le sue cibarie d’un mese e mezzo e per le spese
82
fatte nella sua condanna
Ricevuto dal Prete Gradesani carcerato per le sue cibarie, e custodia di quattro mesi e
218:71
messo
Adi 13 marzo 1710 ricevuto dalli Cignacchi il frutto del censo maturato al decembre
144
prossimo scorso 1709
Adi 10 Maggio ricevuto dalla mensa episcopale a conto del debito che tiene col S. Off.o
630
Ricevuto per robbe vendute di Ignatio Pistoia
12:4
Adi nove Agosto ricevuto dalla mensa Episcopale a conto del debito che tiene col S.
600
Off.o
A di 23 agosto ricevuto dal Signor Conte Quaranta il frutto del censo che paga al S.
104
Off.o maturato al decembre scorso 1709
A di 28 Agosto ricevuto dalla Mensa Episcopale a conto che tiene al S. Off.o
– 160 –
lire 876
Nella Lombardia Austriaca
A di 16 ottobre ricevo dalli massari della Sinagoga Granda per il solito livello annuo che
600
pagano al S. Off.o
A di 18 ottobre ricevo dalla mensa Episcopale a conto che tiene col S. Off.o
600
A di 15 novembre ricevuto da Antonio Piacentini il frutto del censo maturato li 14
189
agosto pressimo passato
[totale pagina]
5075:11
[5078:15]
A di 10 decembre 1710 ricevo dalla mensa Episcopale a conto del debito che tiene col S.
792
Off.o
A di 23 decembre 1710 ricevuto dal Pelicelli, a conto del debito che tiene col S. Off.o
270
lire
[totale]
1062
[riporti]
5075:11
Receptum praesens
6137:11
Expositum praesens
5433:5
Expositum superioris anni
1187
Totum simul
6620:5
Remanet plus expositum
482:14
Nota de Crediti del S. Off.o di Mantova
[1 ducatone = 21 lire]
La Mensa Episcopale di Mantova paga al S. Off.o di Mantova in due volte al anno cento
duc.ni 330
sessanta ducatoni Romani, e ne resta debitrice al med.o S. Off.o tre cento trenta
ducatoni
Il Pelicelli d’Ostiglia paga all’anno al S.to Off.o un livello annuo di nove doppie d’Italia,
d.ni 70
e resta debitore al med.o S. Off.o ducatoni Romani settanta
La Sinagoga delli Ebrei paga al S.to Off.o di Mantova annualmente lire sei cento che ha
lire ____
interamente sodisfatto
La Casa Cignacchi paga al S. Off.o per frutti di censo lire mantovane cento quaranta
duc.ni 7
quattro che sono scudi romani sette, e resta debitrice d’un anno
La Casa Magni paga un livello di lire dieci otto, e soldi diecisette di Mantova, che sono
duc.ni 2:8
paoli otto e mezo in circa e per decorsi va debitrice di due ducatoni, e paoli otto
Il Conte Quaranta paga al S. Off.o per frutto d’un censo cento sesanta otto lire, che sono
duc.ni 16
ducattoni Romani otto, ma per essere fallito sono due anni che non si è riscosso
cosa alcuna, onde il S. Off.o và creditore di
Antonio Piacentini Mantovano paga al S. Off.o per frutti di censo lire cento ottanta
____
nove di Mantova, et ha sodisfatto
li crediti sono in tutto
Duca.ni 430:8
Praesentes notule extractae fuerunt per me infrascriptum a libro magistrali existente in archivio Sancti Officii
Mantuae, cum quo exacte concordant.
Ita est Frater Paulus Dominicus Angelini Sancti Officii Notarius
[… … …]
Mantua / Genaro 1711
[… … …] tutto l’anno 1710, e l’esito […] in lire 482:14
Restano alcuni crediti maturati, che ascendono a L. 430:8
– 161 –
<Feria 4.a die 11 februarii 1711 Eminentissimi dixerunt ad P. Camerarius iuxta mentem>
/ attesto Ego frater Angelus Mich. Vanni […] Mantuae /// [bianca] ///
Mantua / Genaro 1711
Riepiloghi annuali delle spese
anno
1710
entrate
6137:11
uscite
riporto anno
precedente
6620:5
saldo
-482:14
+ 1140 [!]
1728
[11:40?]
-41:15
1729
- 120:00
1730
1756
5329:07
5435:05
- 194:14
1760
5664:17
5642:10
+ 22:07
1761
5744:04
5753:01
+ 8:17
1762
5781:19
5887:15
- 105:16
1763
5718:07
5712:13
+ 5:14
1764
6007:17
6065:14
1769
6952:17
7033:11
- 80:14
+ 5:14
-300:12
- 52:03
1770
6262:10
6179:08
+ 83:02
1772
10632:07
10564:05
+ 68:02
178[5?]
5458:18:6
2772:10:0
+ 2686:08:06
– 162 –
Nella Lombardia Austriaca
entrate - uscite nel XVIII secolo
10000
5000
0
1700
entrate
1710
1720
1730
1740
1750
1760
1770
1780
1790
uscite
saldo delle spese nel XVIII secolo
2686
600
400
200
0
1700
1710
1720
1730
1740
-200
-400
-600
– 163 –
1750
1760
1770
1780
1790
Gli ultimi anni di attività
Dagli annuali riepiloghi, sporadicamente conservati,164 si può ricavare qualche indicazione sulla attività del tribunale nel corso del ’700: le
spese per il vitto mostrano la presenza di 3 o 4 carcerati per volta, e per
periodi abbastanza lunghi, di mesi o interi anni, mentre raramente sono
annotate uscite per gli sbirri, in ogni caso solo una piccola frazione del
bilancio, che era in gran parte costituito dalle spese per il personale e per
l’economia domestica; poche anche le missioni fuori città dell’inquisitore,
tolti i viaggi estivi per prendere le acque termali.
Per l’anno 1770 abbiamo anche la distinta delle cause:165 sono 6 in
tutto, 4 spedite e 2 ‘expectant oraculum’ (cioè risposta dal papa): risulta
coinvolto un solo laico, i restanti sono religiosi secolari o regolari (nessuna
monaca), 4 casi sono per irregolarità in confessione o sollicitationes, uno per
proposizioni ereticali (contro l’esistenza di demoni e inferno), uno per
sortilegi; 3 casi sul totale sono comparizioni spontanee.
La sinagoga Cases
Tra le sinagoghe cittadine restaurate dopo il sacco del 1630 la
sinagoga Cases, di rito italiano, era stata fondata da Mosè Cases,
autorizzato da papa Sisto V, affinché servisse “ad istanza [e] commodo della
famiglia Cases, suoi cognati, e discendenti” come recitava il diploma del
cardinal Gaetani rilasciato il 20 giugno 1590.166 Circa un secolo e mezzo
164
ACDF, St. st.,
GG
5 e; restano i sommari per gli anni 1756, 1760, 1761, 1762, 1763,
1764, 1769, 1770, 1772, 178[5?].
165
Spedita sistematicamente ogni anno, veniva però conservata separatamente nell’archivio
di Roma. Quella del 1710 è consultabile perché scritta sul verso del bilancio, e non su una
pagina apposita.
166
ACDF, St. st.,
CC
5 r, Roma: Mantova: Carpentrasso / E 24 / 1739 / Ghettarello di
– 164 –
Nella Lombardia Austriaca
più tardi, giovedì sei maggio 1756 al palazzo del Quirinale, presente papa
Benedetto XIV, si sarebbe discusso in congregazione dell’ampliamento della
sala, secondo quanto richiesto dai massari degli ebrei mantovani, agenti
portavoce delle famiglie Cases e Fano che ne esercitavano il giuspatronato,
come si esprime il procuratore civile dell’Inquisizione a Mantova Francesco
Franchi167, utilizzando un termine tolto di peso dalla amministrazione
ecclesiastica.
La questione in sé si presentava banale: i frequentatori della piccola
Roma, e Sinagoghe diverse degli Ebrei. Seguiamo principalmente il fascicolo 1 Istanza degli
Ebrei di Mantova circa l’ampliamento della Sinagoga di Cases, che è l’ordinata trascrizione
della corrispondenza, dei documenti e dei pareri legali utili alla discussione dinanzi alla
Congregazione. Disegni in pianta della Sinagoga Cases sono in ACDF, St. st., BB 1 a, cc.
415-416 e 453-454 (Piante e disegni 40– 1756 Pianta dello stato presente della Sinagoga di
Cases, Mantova). Ricco di notizie SIMONSOHN 1977, che si occupa brevemente della
sinagoga alle pp. 569-571. Venne demolita nel 1929 durante il pesante intervento edilizio
che ha risanato il ghetto; la Sinagoga Grande sopravvisse sino al 1938.
167
ACDF, St. st.,
CC
5 r, fasc. 1, allegato 4, copia di lettera da Mantova a Roma del 9
aprile 1756. “Attestato del dottor Francesco Franchi Procuratore del S. Officio di
Mantova / Inerendo alla commissione ingiuntami da questo Padre Reverendissimo
Inquisitore di Mantova, e Suo Dominio, circa le ore 22 del presente giorno 9 aprile 1756
con tutta segretezza, ed’improvviso mi sono portato nella Sinagoga di Giuspatronato
Cases, e Fano, posta in questo Ghetto di Mantova, e doppo le ore 23 [cioè un’ora prima
del tramonto], dove si trovavano uniti li ebrei, che à questa concorrono per le loro
funzioni, ed hò osservato esser munita di Banchi 38 circa capaci di sole persone tre per
cadauno, perché di più non è capace il luogo della Sinagoga stessa, dove hò osservato
dover stare in piedi molti delli medesimi con incommodo, e quantunque la staggione fosse
fredda, nulla di meno nella detta Sinagoga vi era un caldo notabile, ed’insoffribile. Il luogo
poi destinato per le donne, quantunque non ve ne fossero, non essendo solite intervenire la
sera del venerdì, pure fù osservato angusto, ed’incommodo assai per ritrovarsi basso di
tetto, e sotto li coppi, esposto al sole da ogni lato, come è tutta la Sinagoga stessa. /// In
fede di che ho fatta la presente, pronto a corroborarla col mio giuramento, occorrendo. /
Mantova questo dí 9 aprile 1756. / Dottor Francesco Franchi Procuratore Civile di detta
Santissima Inquisizione.”
– 165 –
sinagoga, ricavata in un sottotetto, erano aumentati a tal punto di numero
che i locali erano visibilmente inadatti e scomodi, resi insalubri dall’eccessivo affollamento e dalla mancanza d’aria. All’attestato del procuratore si
aggiungeva quello di padre Gianni Eustachio, frate francescano consultore
e revisore dei libri ebraici, che l’aveva accompagnato durante un’ispezione a
sorpresa: conta circa 300 ebrei, che
benché vi stessero buona parte in piedi, vi erano stivati come le
sardelle in un barile, e con un caldo, che mi si rendeva
insoffribile, avvegnache fuori l’aria fosse molto fredda.168
Veniva quindi richiesto un ampliamento che non avrebbe
modificato sensibilmente i volumi dell’edificio né la sua visibilità
dall’esterno, avvenendo tramite una modesta variazione del tetto e a
discapito della tribuna per le donne, che offriva circa 40 posti; a loro volta
le donne sarebbero state spostate in una contigua camera già esistente.169
L’iter della concessione era stato rallentato dall’apparente difformità delle
mappe depositate dagli ebrei rispetto a quelle presentate dall’inquisitore: il
fraintendimento era dovuto dall’essere la tribuna rialzata di un gradino
rispetto al piano principale e chiusa da una gelosia e poteva apparire, in
pianta, come una terza camera rialzata. Ottenuta a Roma chiarezza sui
lavori progettati, rafforzata dalla garanzia che saranno sorvegliati
attentamente e in tutta coscienza (non voglia la divina misericordia che “si
facessero adornamenti in vantaggio della loro superstizione”) i pareri
168
169
ACDF, St. st., CC 5 r, fasc. 1, allegato 4.
Alle ispezioni collaborano anche due architetti, che misurano i locali e prestano
assistenza tecnica. Dal sopralluogo risulta che “il sito degli uomini è lungo palmi numero
42, e 6, e largo 50, capace perciò, à causa de Banchi, e scrigni di sole 100 persone circa. / E
quello delle donne dietro il medesimo lungo palmi 13, e largo 58, capace di 40 donne,
come dall’ingiunta pianta segnata lettera A”.
– 166 –
Nella Lombardia Austriaca
favorevoli di monsignor Antonio Guidi di Bagno e di padre Alessandro
Orrigone sono acquisiti. A sostegno del permesso vescovo e inquisitore
avevano aggiunto
che nove fossero altre volte in questo Ghetto le Sinagoghe,
come si legge nell’altro foglio segnato Lettera T, dimostrativo
la visita, che nel 1619 li 20 maggio fece fare monsignor
Francesco Gonzaga vescovo di Mantova, ed al presente,
compresa la Cases, non ve ne siano che sei, non ostante, che si
pretenda, com’è notorio, che à proporzione delle ricchezze sia
il medesimo Ghetto cresciuto anche di Popolazione.170
L’autorizzazione
era
influenzata
anche
da
altri
fattori,
assolutamente al di fuori del controllo locale. Anzitutto la necessità di
rispettare le procedure burocratiche e la giurisprudenza canonica (sempre
pronta a sconfinare nella dogmatica), conciliando l’ ‘indubitata opinione’
che passa fra dottori e canonisti “non poter li Cristiani con coscienza sicura
vendere agli Ebrei li materiali necessarii, ò in altra maniera cooperare alla
semplice riparazione delle loro Sinagoghe” con la facoltà di grazia, assoluta
e illimitata, propria del pontefice. Su un piano di più spicciola
amministrazione erano vicini i precedenti del Ghettarello romano e della
Scuola Tedesca di Ferrara, nonché la spiacevole vicenda di Carpentras,
dove gli ebrei avevano ampliato illegalmente l’edificio senza attenersi alle
disposizioni che prescrivevano un aspetto dimesso e anonimo.171
170
ACDF, St. st.,
CC
5 r, fasc.1, allegato 2. Prima lettera del vescovo, da Mantova il 24
luglio 1755. In seguito il vescovo sarà nella residenza estiva di Quingentole, occupato dai
propri esercizi spirituali. Aveva comunque delegato il proprio vicario a curare l’affare
d’intesa con l’inquisitore.
SIMONSOHN 1977 conta otto sinagoghe prima del sacco del 1630 e cinque dopo.
171
ACDF, St. st.,
CC
5 r, fasc. 1, allegato 6. “[…] Gli Ebrei di codesta Città doppo aver
– 167 –
Recentissimo era l’editto sopra gli Ebrei (settembre 1751) emanato
dallo stesso Benedetto
XIV,
che riassumeva il diritto civile, i sacri canoni e
le costituzioni apostoliche. Mantova però non si trovava nello Stato
Pontificio, e sulla bilancia pesava anche il desiderio di rasserenare le
relazioni con la Casa d’Austria, che andavano lentamente schiarendosi
dopo la conclusione della Guerra di Successione. Da Vienna il nunzio
cardinal Crivelli continuava a suggerire cautela e dissimulazione nel
contrastare i giansenisti dei Paesi Bassi, ma la creazione dei vescovati di
Gorizia e Udine era stata accolta favorevolmente a Vienna (1751, con la
soppressione del Patriarcato di Aquileia), erano migliorati i rapporti con la
Reggenza toscana di Francesco Stefano di Lorena (massone e
filogiansenista agli occhi della curia romana) e un concordato per la
Lombardia sembrava di nuovo possibile (arriverà nel 1757).
Forse, visto da Mantova, il quadro non era così ampio, ma era certa
l’impossibilità di sostenere un confronto con il governo: nell’introdurre la
causa in congregazione l’assessore Valenti così concluderà la propria
presentazione:
qual peso poi possa avere ciò, che in esse lettere si dice,
demolito la loro antica Sinagoga, ne fabricarono un’altra assai più alta, e più ampia della
prima, con varj ornamenti, e con due fenestre dalla parte di Levante, che corrispondevano
alla chiesa de Penitenti Bianchi, essendo tutto ciò contrario a Sagri Canoni, alle
Costituzioni apostoliche, e ad una antica transazione dell’anno 1367 fù da quella Sagra
Congregazione ordinata la demolizione, e riduzione della nuova Fabrica al suo pristino
stato, e fù proibita in essa ogni sorte d’ornato, e specialmente la apertura delle divisate
fenestre. / Monsignore Vescovo, cui furono diretti gli ordini della Sagra Congreagatione,
mosso dalle suppliche degli Ebrei condescese a lasciar nella sua ampliezza la nuova fabrica,
esigendo quanto al rimanente la dovuta esecuzione de medesimi ordini, e vietando agli
Ebrei l’uso d’una vecchia Sinagoga annessa alla nuova, da essi chiamata Stanza, o Tribuna.
/// Non essendo però contenti gli Ebrei di sì giusto provvedimento, per dare l’ultimo fine à
tanti loro ricorsi, si è proposta la causa avanti Nostro Signore […]” (1746).
– 168 –
Nella Lombardia Austriaca
che la richiesta ampliazione /// sembra in qualche modo
necessaria anche per quietare quella nazione ivi assai potente,
perche non si ricorra al Principe Secolare in questi tempi
calamitosi, dipenderà come ogn’altra cosa dalla pienezza di
mente, e sapientissimo Oracolo della Santità Sua.
Vale la pena di seguire almeno sommariamente la verbosa
argomentazione nel suo svolgimento: accordare autorità che abbracciano
più secoli di storia della Chiesa e contemperare piani retorici completamente differenti è già di per sé rinuncia all’integralismo e apertura al
compromesso.
Si inizia dagli argomenti contro. Anzitutto il divieto per gli ebrei di
edificare nuove sinagoghe, o di mantenerne più di una per ogni località da
loro abitata, conformemente al volere di Paolo
IV,
Pio
V
e Clemente
VIII.
In secondo luogo il divieto di ampliare quelle esistenti, pur con la facoltà di
curarne la regolare manutenzione, anche rifacendone i solai per riportarle
allo stato precedente in caso di crollo: “de novo possunt illas reaedificare in
pristinum statum, non tamen, ut ampliores faciant”. L’assessore non
sembra esserne a conoscenza, ma un precedente si era già verificato nel
1610, quando – dopo l’incendio che accidentalmente (‘provvidenzialmente’
secondo i cronisti mantovani) aveva distrutto la sinagoga Porto – Paolo
V
Borghese si era opposto con deciso ostruzionismo alle richieste degli ebrei:
Haebreorum
nationis
Theutonicae
Mantuae
commorantium petentium licentiam reedificandi sinagogam
caso combustam in loco commodiori intra ghettum, et cum
minori impensa, lecto memoriali Sanctissimo noluit concedere,
sed illam resarciant in eodem loco.172
172
ACDF, Decreta, 1610 e 1611, c. 160r, 2 settembre 1610.
– 169 –
La risposta sarà negativa anche l’anno successivo, dopo la
presentazione di un memoriale di privilegi;173 e occorrerà attendere il 1645
per vederla ricostruita.174 Pur con una certa forzatura, la regola direttiva è
chiara: gli Ebrei sono usufruttuari più che proprietari, e non possono
mutare la forma di ciò che godono in usufrutto:
Sed neque dictas transformare, vel conjungere, easque
separare ei / permittitur, vel aditus, porticusve evergere, vel
refugia aperire, vel abitum mutare, vel viridaria ad alium
modum convertere.175
In ogni caso è proibito ai cristiani sostenere gli Ebrei e collaborare
alla sopravvivenza della loro ‘superstizione’.
Seguono gli argomenti a favore. Lo snodo indispensabile è il
principio del favor fidei, già fortemente sostenuto da Benedetto
XIV:176
ne
derivano sia il divieto di erigere e ampliare sinagoghe sia l’esclusiva
173
ACDF, Decreta, 1610 e 1611, c. 263r, 23 febbraio 1611: “Pro Josepho et Moyse
Scialerotis [?] haebreis Mantuae petentibus confirmationem facultatis concessae a felicis
memoriae Clemente 8.o erigendam Mantuae Sinagogam lecto memoriali, illustrissimi
domini mandaverunt fieri verbum in congregatione coram Sanctissimo.” Il giorno
successivo il papa chiederà copia del privilegio (ivi, c. 265v); poi chiederà ulteriori
informazioni al vescovo (24 marzo 1611, ivi c. 286v). Infine “Reverendi patris domini
episcopi Mantuae lectis litteris datis die 8.a aprilis, Sanctissimus noluit concedere
licentiam Haebreis nationis Theutonicae Mantuae commorantium edificandi novam
sinagogam loco veteris fortuito incendio consumptae, sed si volunt combustam resarciant.”
(ivi, c. 300v, 21 aprile 1611) e rifiuterà poco più tardi un’ulteriore richiesta (ivi, c. 347v, 17
maggio 1611). avanzata da Dattilo Galli, ossia Joab Gallico, rabbino proveniente da una
influente famiglia di banchieri (cfr. SIMONSOHN 1977).
174
SIMONSOHN 1977, pp. 569-570).
175
ACDF, St. st., CC 5 r, fasc. 1, sottofascicolo non numerato.
176
Particolarmente nel 1747 e nel 1751. Circa la sua teorizzazione e l’uso antiebraico a
sostegno dei battesimi forzati cfr. CAFFIERO 2004.
– 170 –
Nella Lombardia Austriaca
competenza della Santa Sede sulla questione, sottratta al controllo
episcopale. Immediato corollario è che la richiesta degli Ebrei è
ammissibile e ben indirizzata. Altrettanto immediato è che “cum tendat
haec prohibitio ad favorem, et decorem fidei Christianae”, il pontefice
possa derogare dalle interdizioni dei canonisti e dei papi precedenti qualora
ravvisasse un vantaggio per la fede:
Onde la proibizione medesima potrà ben rendere più
difficile la grazia, ma non mai operare da sé sola, che essa non
venga negata per trattarsi di cosa, qual tutta dipenda dal
Sovrano Giudizio del Sommo Pontefice.177
Chiariti i principi si tratta quindi di valutare il particolare e
l’opportunità contingente, cercando di dirigere le decisioni sulla scorta dei
precedenti, delle scelte già compiute a suo tempo da quanti hanno
affrontato situazioni simili, nei loro aspetti più generali o nella puntiforme
casistica. Viene tratteggiata una inaspettata storia di tolleranza,
inverosimile e fantasiosa per la storiografia corrente: la Santa Chiesa, a
differenza dei gentili e degli eretici, generosamente sopporta gli ebrei “in
memoriam Passionis dominicae, et in testimoniun verae fidei Christianae”.
Parole tratte dalla bolla Cum nimis absurdum (1555) di Paolo
Caeca et obdurata (1593) di Clemente
Pio
IV:
VIII,
IV
o dalla
che si accordano con quelle di
la Chiesa “multa plerumque concedit, ut christiana benignitate
allecti amorem suum recognoscant, et ad verum, quod est Christus, lumen
tandem convertantur”.
Favorevoli sono anche i più recenti decreti della Suprema: nel caso
del Ghettarello la sacra congregazione non ordinò la demolizione, benché
fosse evidente la mancanza di necessità nel mantenere cinque sinagoghe
177
ACDF, St. st., CC 5 r, fasc. 1, sottofascicolo non numerato
– 171 –
così vicine; a Carpentras fece demolire una camera, ma la sinagoga rimase
comunque più grande di quella preesistente, e nel caso di Ferrara178 – il più
simile a quello mantovano – la licenza fu concessa.
Che a Mantova l’ampliamento sia assolutamente necessario si ricava
dalle lettere del vescovo e dell’inquisitore (più affidabili del memoriale
presentato dai massari ebrei179), che sia prudente tener fuori il potere
secolare è tutt’uno con ‘questi tempi calamitosi’ e – prosegue l’assessore – è
pacificamente accettato che un modesto numero di ebrei può servire a
rafforzare la fede dei cristiani. Viene così ridimensionata la precedente
178
ACDF, St. st.,
CC
5 r, fasc. 1, sottofascicolo non numerato: “La scuola finalmente
Tedesca di Ferrara, avendo po[stul]ato che mancavano in quella Sinagoga 38 luoghi per le
donne, e 50 in circa posti per gli uomini, ottenne dalla S. Congregazione, che si dilatasse il
sito per le donne, […] ricorse indi a Sua Santità con far vedere non potersi ampliare il sito
delle donne senza restringere il sito già incapace per gli uomini, e sebbene si fù rigettata la
supplica, ciò però avvenne per qualche equivoco, come si rileva dal stesso numero 7 littere
D, et E, ond’è che à nuova supplica ottenne poi la licenza di unire alla Sinagoga una
stanza contigua, eguale nel piano, altezza e larghezza, giaché non si trattava di toccare li
muri maestri e laterali, ne fare alcuna innovazione.” Il progetto definitivo e il controllo
sull’esecuzione dei sui lavori vennero delegati all’arcivescovo e all’inquisitore (1750), i
pochi lavori necessari (la demolizione di un tramezzo) si trascinarono sino al 1754.
179
ACDF, St. st., cc 5 r, fasc. 1, Sommario num.o primo / Memoriale presentato dagli Ebrei:
“I massari della Sinagoga Cases di Mantova oratori umilissimi dell’Eccellenze Vostre
sommissamente rappresentano, che per esser cresciuto il numero degli Ebrei aggregati
nella medesima, in maniera, che rendendosi quel sito incapace à riceverli, converrebbe à
molti di essi per riparare al proprio bisogno, ricoverarsi nel sito delle donne contiguo alla
medesima. Poiché questo sarebbe un grand’inconveniente opposto al di loro Istituto,
genuflessi ricorrono all’esemplare carità dell’Eccellenze Vostre, acciò voglino degnarsi
concedere agli Oratori l’ammissione di poter unire nella Sinagoga degli Uomini la
porzione inserviente all’uso delle donne, e provvedere à queste con proporzionata altezza,
con usarsi la stessa economia, che usano quelli dell’altra Sinagoga Maggiore, e più grande,
che hanno in alto una Tribuna, ò sia Gelosia, per servigio delle donne; che dalla
grazia etc.”
– 172 –
Nella Lombardia Austriaca
valutazione secondo la quale la popolazione ebraica di Mantova è maggiore
per numero, ricchezza e influenza politica rispetto al passato; o meglio:
viene considerata come un dato di fatto non discutibile e non modificabile.
Stando così le cose, uditi i voti degli eminentissimi cardinali, fatte le
dovute riserve, Sua Santità concesse la grazia per l’ampliamento della
Sinagoga Cases.180
La censura parallela austriaca
L’importanza della comunicazione tra centro e periferia, e di canali
alternativi a quelli più ufficiali, è evidente anche nel flusso di informazioni,
irregolare e scarso per la verità, che arrivò a Roma circa l’istituzione della
commissione austriaca di censura. Le notizie fornite dall’inquisitore
mantovano sono spesso più precise e più aggiornate (certamente rese più
rapide per la minor distanza) rispetto a quelle inviate dal nunzio pontificio
e forse fu proprio padre Orrigone il primo ad avere sentore della novità, che
coinvolgeva tutte le province dell’Impero.181 Il Catalogus librorum rejectorum
per consessum censurae veniva stampato per la prima volta nel 1754
dall’officina di Johann Leopold Kaliwoda182, ma solo nel 1756 il nunzio
riuscirà a inviare la Continuatio del catalogo con qualche nota utile:
<Signor Cardinale Corsini Segretario della Sagra
Congregatione del Sant’Offizio, Roma>
Eminentissimo
e
Reverendissimo
Signor
Padron
Colendissimo,
180
ACDF, Decreta, 1756, c. 180r, 6 maggio 1756.
181
Il carteggio in ACDF, St. st., GG 5 e, è quasi esclusivamente in copia e poco ordinato.
182
Verrà aggiornato con la Continuatio prima catalogi librorum rejectorum per consessum
censurae, Viennae 1755, cui seguiranno la seconda e terza aggiunta (1756 e 1757). L’elenco
manterrà poi cadenza quasi annuale assumendo il titolo Catalogus librorum a Commissione
Aulica prohihitorum.
– 173 –
[… … …] Sodisfacendo agl’ordini di codesta Suprema
Congregazione, che mi giongono con il pregiatissimo foglio di
Vostra Eminenza delli 13 Marzo, hò l’onore di trasmetterle la
continovazione seconda del Catalogo de Libri, che sono
rigettati
dal
consesso
della
Censura.
Già
scrissi
antecedentemente, che questo consesso era composto da alcuni
consiglieri Secolari, da due Padri Gesuiti, e dal Canonico
Stoch della Metropolitana, e che a tutti questi dava
principalmente il moto il Signor Barone Van Svitten primo
medico della Corte. Questo consesso non hà alcuna
dipendenza dal Arcivescovo, essendo sol tanto politico, e
restringensosi ad esaminare li libri stampati in altri paesi per
escluder quelli, che non si vole che s’introduchino in Vienna,
ne che si vendino da Librari. Si fa mistero dello stesso ///
catalogo poiché non si dà che a quelli, che compongono il
consesso, ed una copia a ciascun libraro, acciò sappi quali sono
li libri, che non si devono vendere, ne introdurre in Città, e se
il consesso desidera il sentimento di Monsignore Arcivescovo
su qualche libro in particolare lo fa interpellare per mezzo del
detto Canonico della Metropolitana. Queste sono le notizie,
che ho potuto ricavare da uno di quelli della Comissione, che
confidentemente mi ha anche comunicato il catalogo,
assicurandomi che ciò è stato stabilito per rimediare alla
corruzzione de costumi, ed al modo libero di pensare massime
della gioventù, che cerca soltanto di leggere li libri cattivi. Se
mi riuscirà d’aver altri lumi non lascierò d’informarne Vostra
Eminenza mentre colla più profonda venerazione mi protesto /
di Vostra Eminenza / Umilissimo devotissimo obbligatissimo
Servitore vero / Vienna 8 Aprile 1756.
– 174 –
Nella Lombardia Austriaca
Quanto all’ultimo punto, il timore che la gioventù si procacciasse
libri cattivi (galanti, decisamente osceni, politicamente sgraditi), e quanto
ai risultati raggiunti è sufficiente ricordare che nel 1777 lo stesso Catalogus
venne indicizzato, poiché veniva utilizzato come vademecum alla letteratura
più interessante.183 Al pari di altri simili elenchi, con cui condivise la sorte,
era inteso come strumento di uso interno, riservato a librai e amministratori periferici dell’Impero. Questa riservatezza spiega anche il
disorientamento della congregazione, che cerca di raccogliere informazioni
confidando soprattutto nei domenicani: l’inquisitore di Mantova riesce a
recuperare184 la prima edizione del catalogo con la sua prima integrazione
(Continuatio prima, 1755) e contatta padre Costantino Hesfogh185, priore a
Vienna, mentre il cardinal Corsini (di fama antigesuita) incontra il
provinciale domenicano di Polonia. Se ne ricava qualche dettaglio sulle
procedure seguite: il tribunale risiede nella Casa del conte di
Schrottenbach, presidente, e si riunisce ogni giovedì alle quattro del
pomeriggio; letti i voti e fissate le risoluzioni l’esito è rimesso al conte di
Haugwitz, presidente del Consiglio Aulico, cui spetta l’ultima parola. La
presenza del canonico Stoch serve da tramite con l’arcivescovo, talvolta
interpellato per alcuni casi dubbi.
A Roma sembrano impreparati ad affrontare la nascita di una
183
Un cenno in
LORENZ
2009, p. 31 e KLINGENSTEIN 1993, il cui approccio al
giuseppinismo e ai rapporti stato - chiesa è assai diverso rispetto ai citati lavori di Maass.
184
Inviati a Roma con lettera del 10 settembre 1755. Inoltre ACDF, Decreta, 1756, c. 59r
“Feria IV die 10 Martij 1756 / Circa duos Cathalogos Librorum prohibitorum a Consessu
Viennensi transmissos a Patre Inquisitore Mantuae. Lecta epistula ejusdem Patris
Inquisitoris Mantuae. Eminentissimi dixerunt quod rescribatur Reverendo Patre Domino
nuntio Viennae […]”.
185
Copia di una sua lettera è inoltrata a Roma dal Sant’Ufficio di Mantova il 15 dicembre
1755.
– 175 –
censura di Stato organizzata come una congregazione laica e provvista di
un proprio indice: l’azione parallela austriaca costituiva un precedente
pericoloso, benché nell’immediato fosse diretta soprattutto contro i gesuiti,
che a Vienna controllavano la stampa in maniera rigida e lenta, godendo
tra l’altro di privilegi commerciali stigmatizzati dai librai. La nuova
commissione, sottratta al controllo gerarchico dell’arcivescovo, era animata
da Gerhard van Swieten186, figura tutta settecentesca di intellettuale
impegnato, emigrato dalla nativa Leida in quanto cattolico (iscriverà il
figlio Gottfried187 ad un collegio gesuita), medico di corte e riorganizzatore
della scuola di medicina viennese, attento e ostile studioso delle
superstizioni popolari legate al vampirismo. Benché il governo mirasse a
eliminare l’esclusivo controllo gesuita sull’istruzione, pur continuando ad
avvalersi di religiosi (riflessi vi furono anche al Ginnasio di Mantova), sino
al 1759 i gesuiti rimasero nella commissione suscitando sia il fastidio di van
Swieten188 che l’ironia dei cardinali romani, portati a diffidare più dei
gesuiti che del governo:
È da osservarsi che i due Padri della Compagnia di
Gesù approfittano molto bene in loro vantaggio del luogo, che
Sua Maestà l’imperatrice Regina ha assegnato loro nel
Magistrato della Censura, facendo proibire tutti i libri, che
186
KLINGENSTEIN 1993 smonta il mito del giansenismo di van Swieten, mito dovuto
probabilmente alla sua opposizione al centralismo pontificio. Cfr. anche KLINGESTEIN
1970.
187
A sua volta presidente della commissione di censura in quanto bibliotecario imperiale,
influente appassionato e modesto compositore di musica “rigida come lui” secondo
l’impietoso giudizio di Haydn, con cui collaborò al testo degli oratori Die Schöpfung e Die
Jahreszeiten.
188
OLECHOWSKI 2004 pp. 65 sgg.
– 176 –
Nella Lombardia Austriaca
dicono male di loro, così sono sicuri di comandare in
Vienna.189
In effetti le prime edizioni del Catalogus apparivano decisamente
goffe: pratiche da consultare per l’ordine alfabetico, ma prive di suddivisioni in classi o per generi, vi comparivano indifferentemente testi
licenziosi, magici, manuali per vincere al lotto, libri di argomento politico o
religioso. La prima edizione considera solo opere in tedesco, latino,
francese e inglese (cui è dedicata particolare attenzione). Compariranno
testi italiani nelle integrazioni degli anni successivi, tra questi
ha recato ammirazione trovarsi le rime di Pietro Michielli190,
che nessun legge e ne pure pare ricordarsi a chi scrive che siano
state più impresse, ma sarà più di 50 anni, che non l’ha
vedute.191
Una rapida e asistematica occhiata ai testi proibiti lascia intravedere
in trasparenza il modello dell’indice romano192 almeno per le opere datate:
troviamo le Novelle di Celio Malespini193, la raccolta relativamente recente
di opere burlesche di Berni, Della Casa, Varchi, Mauro, Bino, Molza e
Fiorenzuola (1726, falsa data Usecht [sic] al Reno per Roma), sempre di
Benedetto Varchi (1502-1565), la Storia fiorentina nell’edizione del 1725
189
ACDF, St. st., GG 5 e, non numerato.
190
Pietro Michiél (1608-1651). Forse le sue epistole amorose di gusto ovidiano; l’ultima
ristampa dell’Arte de gli amanti nota è Venezia 1655; per le Poesie postume (stravaganze,
elegie, risposte) Venezia 1671.
191
ACDF, St. st., GG 5 e, 5 giugno 1756.
192
Ricavo le corrispondenze da DE BUJANDA, Index, cui ovviamente si rimanda.
193
Orazio Malespina (Venezia ? 1531- ultime notizie Mantova 1608); unica stampa
completa delle duecento novelle Venezia 1609, ma frequentemente reinserite in raccolte
miscellanee.
– 177 –
recante la falsa data di Colonia e immediatamente proibita da Roma194 o
ancora il Corriero svaligiato di Ginifacio Spironcini, alias Ferrante
Pallavicino, le cui opere furono sistematicamente iscritte nell’indice romano
a partire dal 1639. A cavallo tra licenziosità e satira politico-sociale è ben
rappresentato Gregorio Leti:195 Il Vaticano languente dopo la morte di
Clemente X parti tre (1677), la Vita di donna Olimpia Maldachini che governò
la chiesa, Il puttanismo romano e il Dialogo tra Pasquino e Marforio sono tutti
nel catalogo viennese.
Bandita anche la Ricreazione de Curiosi di Diego Zunica (Napoli
1719, 1731 e 1740) ricca di superstizione popolare; su un livello più
sofisticato di elaborazione politico-filosofica troviamo il Misterium
iniquitatis seu storia papatum [sic] di tendenza ugonotta e monarcomaca,196
l’Historia Papatus di Heidegger (1633-1698)197, e i più politici Machiavelli,
Pufendorf,198 Rousseau. Quindi Bernard Mandeville con La fable des
194
Decreto del 4 dicembre 1725.
195
La congregazione dell’Indice proibisce opera omnia nel 1667 e conferma ripetutamente:
1676, 1682, 1683, 1685, 1686, 1687, 1694, 1696, 1697, 1699, 1702.
196
[Philippe de Mornay, 1549-1623], Mysterium iniquitatis, seu Historia papatus. Già
nell’Indice di Roma del 1596, altre proibizioni 1611, quindi 1613 confermate sino al 1758,
opera omnia comunque proibite.
197
Professore di filosofia morale e teologia a Zurigo, favorevole all’unione della chiesa
evangelica-riformata con quella luterana. Divieti romani negli anni 1666, 1672, 1673,
1687, 1690. Nel 1758, rimanendo in vigore la proibizione opera omnia, è ritirata la
pleonastica proibizione di questo titolo in particolare. L’edizione citata potrebbe essere
Joh. Henr. Heideggeri, Historia Papatus. Novissimo historiae Lutheranismi et Calvinismi
[…] Accedit Francisci Guicciardini Patritii Florentini Historia Papatus ex Autographo
Florentino restituta […], Amstelaedami, Henricus Westenius, anno MDCXCIIX.
198
Dominus de Monzambano [Samuel Pufendorf] illustratus et restrictus. Sive Severini de
Monzambano Veronensis. De statu imperii Germanici ad Laelium fratrem, dominum
Trezolani. Liber unus. Discursibus juridico-politicis explicatus et restrictus …, Opera et
studio Pacifici a Lapide Germano-Constantiensi [Philipp Andreas Oldenburger]. Prima
– 178 –
Nella Lombardia Austriaca
abeilles,199 il Pigmalione,200 sino al Sarpi giustificato201 ancora fresco di
stampa: a Venezia ne era stata autorizzata la pubblicazione (23 gennaio
1753, 1752 more veneto) purché sotto falsa data topica e prontamente a
Roma era stato proibito (decreto del Sant’Uffizio del 2 maggio 1753); il
divieto viennese dovrebbe precedere la riedizione del 1756.
Tra gli autori più propriamente religiosi figurano Bernardino
Ochino202, Castellione, Tommaso da Kempis (De imitando Christo),203 e il
Recueil de diverses pieces concernant le Quietisme et les quietistes ou Molinos, ses
sentimens et ses disciples (edizione del 1688 – un anno dopo l’abiura di
Miguel de Molinos alla chiesa della Minerva).
L’edizione dell’ Opus macaronicum folenghiano del 1768-71
È precedente agli editti di progressiva soppressione lo smacco
maggiore subito dal tribunale mantovano in materia di libri proibiti.
Poco prima di aprire una propria libreria, il tipografo Giuseppe
edizione Utopiae [Amsterdam!] s. d. [1667].
199
Esattamente la stessa edizione proibita a Roma il 18 agosto 1744, La fable des abeilles,
ou les fripons devenus honnetes gens. Avec le commentaire, où l’on prouve que les vices des
particuliers tendent à l’avantage du public. Traduit de l’anglois sur la sixième edition,
Londres [Amsterdam!] 1740.
200
A. F. Boureau Deslandes, Pygmalion, ou la statue animée, London 1742 e versione
tedesca Hamburg 1748.
201
[Giuseppe Giacinto Maria Bergantini], Fra Paolo Sarpi giustificato. Dissertazione
epistolare di Giusto Nave, Colonia [Venezia!] presso Piero Mortier 1752. Cfr. BRAVETTI –
GRANZOTTO (CUR.) 2008, num. 188.
202
203
“Occhini Bernardi Senensis liber de corporis Christi praesentia Basileae in 8o”.
Di cui è citata l’edizione Lipsia 1725. Negli indici romani dal 1563 è proibita la
traduzione di Sebastiano Castellione: Thomas a Kempis (Thomas Hemerken) (c. 13801471), De Christo imitando contemnendisque mundi vanitatibus libellus, interprete
Sebastiano Castellione, Basel, Pietro Perna; Decr. 5/4/1723.
– 179 –
Braglia204 impianta a Mantova la tipografia All’insegna di Virgilio presso la
chiesa di San Maurizio, nel tentativo di ampliare la propria attività già
avviata a Casalmaggiore. A Mantova operava pressoché incontrastato
l’erede di Pazzoni e la scena commerciale doveva sembrare favorevole:
un’operazione simile del resto sarà condotta, con miglior risultato, anche a
Cremona due anni più tardi da Lorenzo Manini205, che – provvisto di
maggiori risorse e più ampi contatti internazionali – saprà col tempo
intercettare una parte importante della produzione erudita del tardo
Settecento mantovano, come avverrà per esempio con Saverio Bettinelli,
Giuseppe Bozzoli e, più vistosamente, con gli studi di Giovanni Battista
Gherardo d’Arco. Lo sforzo organizzativo e finanziario era dunque
notevole, tanto che pochi anni più tardi Braglia opererà solo a
Casalmaggiore, dopo aver lasciato Mantova a causa di debiti non pagati,
per ritornarvi nel 1782, quando inaugurerà una più solida stagione
editoriale offrendo un variegato catalogo che abbracciava tanto l’erudizione
letteraria, la scienza economica e la teologia quanto la devozione e la
divulgazione popolare206.
204
Il censimento francese del 1799 ne colloca la nascita al 1754: “stampatore e possidente
[…] alle dipendenze aveva 6 operai”; risiedeva in piazza delle Erbe ed era titolare del
negozio in via Magistrato Vecchio. Il registro della parrocchiale di San Lorenzo annota la
morte avvenuta nel 1802, a 55 anni circa, portando quindi la data di nascita verso il 1757.
Pur con qualche imprecisione anagrafica si ricava che all’epoca dell’edizione folenghiana
doveva essere circa ventenne. Cfr. CIARAMELLI – GUERRA 2005, pp. 51 sgg. e D’ARCO,
Tipografia Mantovana.
205
PIZZOCARO 1993.
206
Mancano invece notizie di almanacchi o diari pubblicati dopo il 1780 e destinati a
Mantova a ideale prosecuzione de La contadinella incivilita mantovana (1769) o
L’almanacco di Parma (1778) e Il parmigiano istruito nelle notizie della sua Patria (1778); il
monopolio era detenuto dall’erede Pazzoni con la serie Diario per l’anno … . Cfr. GIUSTI
2005, pp. 106-107.
– 180 –
Nella Lombardia Austriaca
Per il proprio debutto mantovano Braglia sceglie una temeraria edizione completa207 dell’opera maccaronica del benedettino Teofilo Folengo.
207
Theophili Folengi / vulgo / Merlini Cocaii / Opus macaronicum / notis illustratum, /
cui accessit / vocabularium vernaculum, etruscum et latinum. Editio omnium
locupletissima. / [profilo di Virgilio entro medaglia all’antica] / Amstelodami /
MDCCLXVIII
/ sumptibus. Josephi Braglia / Typographi Mantuani ad signum Virgilii. Il
secondo volume reca la data 1771. Ristampa anastatica con il patrocinio della Accademia
nazionale Virgiliana, Mantova 1996, con prefazione di Giorgio Bernardi Perini. Cfr.
anche DLS, p. 19. A integrazione dei dati disponibili in Mantova. Le lettere
III,
pp. 240
sgg. e dello spolio da opac.sbn.it seguono le stampe dei primi anni di attività (1768-1772)
della tipografia ‘All’insegna di Virgilio’: Giornale e lunario sopra l’anno (anno 1765 e 1766);
Giovanni Rondoni, Esponendosi in Mantova la immagine della Vergine Maria del fuoco.
Orazione panegirica, 1767; Adunanza tenuta dagli Arcadi della Colonia Virgiliana per la
ricuperata salute della sacra cesarea maestà di Maria Teresa imperatrice regina apostolica, 1767;
Aloisio Francisco Castellani, De vita Antonii Musae Brasaroli commentarius historicomedico-criticus ex ipsius operibus …, 1767; Pacifico Sincero [Giovanni Paolo Barozzi],
Apollo in Tessaglia. Favola pastorale, 1768; Gaetano Teranza, Orazione funebre nelle esequie
di mons. Giambattista Bertoglio, 1768; La contadinella incivilita mantovana o sia Pronostico
sopra l’anno primo, dopo l’Intercalare
MDCCLXIX,
1769; Gaspare Luigi Penna, Poemetto in
lode del sacro oratore ab. Giuseppe Balto, 1769; Ettore Mazzuchelli, Manuale di massime
sentenze e pensieri sopra diverse materie opera utile per la teorica e per la pratica ad ogni
condizione di persone, 1769; Lorenzo Cadonati, Il ratto d’Eurilla. Strambentusiasmo [nella
stamperia di Marco Moroni a Verona, ma “stampato a spese di Giuseppe Braglia di
Mantova”], 1769.
Saranno stampati invece a Casalmaggiore, benché nei frontespizi Braglia si protesti
mantovano: Alberto Baccanti, Vita, e gesta della beata Paola Montaldi monaca professa nel
monastero di S. Lucia di Mantova scritta dal sacerdote Alberto Baccanti, 1772; Clemente
Sebastiano Molossi, Trattato della lingua latina diviso in tre parti, 1775; Francesco Vettori,
Per la promozione alla Sacra Porpora di sua eccellenza reverendissima monsignore Luigi Valenti
arcivescovo di Cesarea e nunzio appostolico presso sua maestà cattolica orazione recitata nella
chiesa de’ rr. m. o. di s. Francesco di Mantova il giorno 3. giugno 1776, 1776; Aprendosi il
nuouo tempio fatto erigere a gloria di san Liborio nella real corte di Colorno da sua altezza reale
don Ferdinando di Borbone, 1777; Angel Agostino Buti, Compendiosa narrazione della vita
della serua di Dio la madre suor Felicita Francesca Bartoli di Ferrara religiosa cappuccina nel
monistero di s. Giuseppe in Fabriano, 1777; Ignazio Pietroboni, La stampa. Poemetto in
– 181 –
Dal punto di vista strettamente filologico-letterario l’allestimento
dell’edizione folenghiana non era impresa facile, “opus plenum periculi et
difficultatem” per chi pretendesse “ab erroribus expurgare et ad genuinam
lectionem proferre”208: l’ultima edizione italiana non era ritenuta di qualità
adeguata (‘erroribus plena’), nonostante il giudizio parzialmente positivo di
Giovanni Agostino Gradenigo:
questa Edizione ha alcune postille in margine, che spiegano
alcuni vocaboli, Ella è bella, e corretta, e adorna di buone
figure in rame, come pure ha in rame il ritratto dell’Autore, e
vi è una di Lui non esatta vita, tratta questa e quello dal
Tommasini209.
Questa pseudo-Amsterdam (Gradenigo sospettava fosse stampata
in Italia, ma non era riuscito a ottenere altre notizie) risaliva al 1692 e fu
ottava rima diviso in tre canti all’eminentiss. e reverendiss. principe il sig. cardinale Luigi
Valenti Gonzaga, 1777; Dimostrazione comprovante le benemerenze, e servigj prestati in
diversi impieghi dalla famiglia Paganini all’augustissima Casa d’Austria ed a’ rispettivi
dominanti di Mantova. Principiati dall’anno 1497, e continuati fino al giorno d’oggi con
l’albero genealogico dimostrativo la rispettiva discendenza, e qualificazione della famiglia, 1778;
Alessandro Sanseverini, Il parmigiano istruito nelle notizie della sua patria sparse nel presente
almanacco istorico-cronologico, 1778; Alberto Baccanti, Lettere del signor abate di N. N. sopra
letterati che ci sono stati al mondo, 1779; Esercizio di divozione per la Novena precedente alla
solennità della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo proposto ad utile de’ divoti di questo
dolcissimo misterio, 1780.
Le pubblicazioni riprenderanno con regolarità a Mantova solo dal 1782 con Giovanni
Battista Gherardo D’Arco, Della forza comica, 1782 e diversi altri volumi. È post 1794 (si
desume chiaramente da p. 173) il Catalogo di libri latini, italiani, francesi ec. […] una volta
componenti la celebre Biblioteca Andreasi che si propongono in vendita […], Mantova [senza
data]. Ludovico Andreasi era morto nel 1793.
208
Teranza, Pars prima, p. 1.
209
ASMn, Patrii d’Arco, ms. 58, c. 19r.
– 182 –
Nella Lombardia Austriaca
seguita nel 1734 dalla ristampa della traduzione francese.210 Vuoi per i
rifacimenti del testo operati da Folengo medesimo, vuoi per il proliferare di
edizioni scadenti succedutesi nel Cinquecento o per gli ostacoli posti per
circa due secoli dalla censura ecclesiastica211, il curatore del testo avrebbe
dovuto destreggiarsi tra innumerevoli espunzioni e integrazioni arbitrarie
condotte a partire dall’edizione di Alessandro Paganini (1517), per la più
diffusa e ampia Toscolanense (stampata nel 1521 sempre da Paganini),
l’austera Cipadense (1535 ca) sino alla postuma Vigaso Cocaio (Venezia 1552)212.
La struttura dell’edizione Braglia è quindi determinata dalle
necessità scientifiche e da quelle di ambiziosa propaganda commerciale:
nelle intenzioni una prefazione latina di buona erudizione213 introduce a
tutto l’opus macaronicum (sette egloghe della Zanitonella, venticinque
maccheronee del Baldus, tre libri della Moscheide, gli Epigrammi) annotato
sistematicamente, ristabilito nel testo, integrato a fine volume dalla tavola
210
Opus Merlini Cocaii poetae Mantuani macaronicorum. Totum in pristinam formam per me
Magistrum Acquarium Lodolam optimè redactum, in his infra notatis titulis divisum.
Zanitonella ... Phantasiae Macaronicon ... Moscheae Facetus ... Libellus epistolarum, &
epigrammatum, Amstelodami [Napoli!], apud Abrahamum a Someren, 1692. Histoire
maccaronique de Merlin Coccaie, prototype de Rabelais: auec l’horrible bataille des mouches et des
fourmis, Parigi [?], 1734.
211
Condannato in attesa di correzioni negli indici di Roma del 1590 (“Macaronicorum
opus Merlini Coccai poetae Mantuani, nisi ex ratione superiorum regularum repurgatum
fuerit”, p. 45) e del 1596, probabilmente basandosi sull’edizione del 1521 Opus Merlini
Cocaii … Macaronicorum, totum in pristinam formam, per me Magistrum Aquarium, Lodolam
optime redactum …, Toscolano Maderno, Alessandro de’ Paganini, 1521. Vedi DE
BUJANDA, Index IX, p. 665, num. 842. Cfr. anche la voce di Ettore Bonora in DCLI, II, o.
257-261.
212
In generale si vedano i saggi e gli apparati che accompagno: Folengo, Opere; Folengo,
Macaronee minori; Folengo, Baldus [1997]; Folengo, Baldus [2004-2007].
213
De Theophili Folengi rebus gestis, et scriptis.
– 183 –
dei versi espunti e accompagnato da un dizionario mantovano-toscanolatino che avrebbe guidato il lettore colto nel particolarissimo lessico
folenghiano. Per presentarsi come ‘vero’ editore Braglia sceglie carta di alta
qualità, in quarto di 29 cm, composizione marginosa, elegante e solenne,
impreziosita da numerose illustrazioni e capilettera, ben distribuita in due
tomi. Proprio l’ampiezza dei propositi e la sontuosa veste editoriale hanno
garantito all’edizione una discreta fama, e Attilio Momigliano ne definì la
lunga prefazione “il saggio capitale della critica storica folenghiana del
secolo XVIII”214 avanzando un giudizio poi confermato da Giorgio Bernardi
Perini (“primo degno contributo scientifico allo studio del Folengo
maccheronico”215), mentre Carlo Cordié ha evidenziato i molti limiti della
ricostruzione filologica dei testi, o meglio della loro ondivaga e devastante
alterazione216.
Domenico Conti Bazzani, illustratore
Più recentemente è stato considerato l’apparato iconografico,
dovuto in buona parte a Domenico Conti Bazzani217 che delineò218 il
ritratto di Teofilo Folengo in antiporta deducendolo da “un quadro in
legno di Merlin Cocaio” di antica proprietà della famiglia Capilupi.
Sempre a Domenico Conti spettano buona parte delle scenette – di gusto
arcadico, ricche di notazioni argute e popolaresca animazione219 – che
aprono i venticinque libri del Baldus e più in generale quelle maggiormente
214
MOMIGLIANO 1921, p. 207.
215
BERNARDI PERINI 1971 [ristampa 2000, p. 99].
216
CORDIÉ 1950.
217
SIGNORINI 1995, pp. 101-109; L’OCCASO 2007, pp. 214-215; L’OCCASO 2009.
Ringrazio Stefano L’Occaso per questa e altre indicazioni su Domenico Conti Bazzani.
“Dom. Maria Conti delin. / Dom. Cagnoni sculp. Brixiae”.
218
219
MANTOVA, Le Arti, III (Perina), p. 615 e TELLINI PERINA 1984, pp. 53-59.
– 184 –
Nella Lombardia Austriaca
visibili perché in pagina dispari; probabilmente a un anonimo disegnatore
vanno attribuite tutte o quasi le restanti illustrazioni (frequenti a chiusura
dei libri; sono sistematicamente figurati i capilettera di libri e Argumenta, a
loro volta sempre introdotti da una scenetta). Forse per nobilitare
ulteriormente l’operazione con poca spesa, o forse come divertimento e
omaggio, si inseriscono pure due tavolette siglate dal veneziano Francesco
Zugno, artista affermato che già aveva collaborato all’edizione de La secchia
rapita. Braglia aveva dunque privilegiato un illustratore giovane: i primi
esercizi di Domenico Conti per l’accademia risalgono al 1765 e sempre
sotto la protezione dell’accademia si aprirà la sua carriera, indirettamente
sostenuta dagli ambienti di governo: tra le prime commissioni troviamo
l’incarico di restauratore per la Regia Ducale Scalcheria nel 1769 e pochi
anni più tardi il conte di Firmian sospetterà indebiti favoritismi ricevuti
dallo zio Giuseppe Bazzani220 (che dell’Accademia di belle arti fu direttore
dal 1767 sino alla morte avvenuta nel 1769); la sua carriera proseguirà a
Roma mantenendo comunque frequenti contatti con Mantova.
L’abate Gaetano Teranza
Per la cura del testo Braglia si rivolge all’abate Gaetano Teranza221,
220
221
L’OCCASO 2008, p. 216.
Così recita la voce redatta da Leopoldo Camillo Volta in Diario per l’anno 1786.,
Mantova 1785, eredi Pazzoni, che contiene il Compendio di notizie intorno a’ più illustri
Teologi, e Scrittori di cose sacre Mantovani, disposti per ordine alfabetico:
“TERANZA (Gaetano) nato in Mantova ai 13. di Settembre del 1716., e morto ai 28. di Maggio del
1772. si distinse fra i nostri moderni Ecclesiastici per talento non meno che per dottrina. Terminati
appena gli studj delle Scuole minori in questo Ginnasio, venne stimolato ad entrare fra i Socj della
Compagnia di Gesù, nella quale fu ricevuto ai 3. di Novembre del 1732. Dopo il Noviziato studiò la
Filosofia, e divenne Maestro di Gramatica e Rettorica, secondo il costume di quell’Istituto, per varj
anni. Quindi, avendo compiuto anche gli Studj teologici, fu ordinato Sacerdote, e fece la professione
de’ quattro voti ai 2. di Febbrajo del 1750. Alcune differenze insorte di poi fra esso, e i suoi
Confratelli, furon cagione che egli cercasse di sciorre il legame, a cui si era avvinto, ed uscisse dalla
Compagnia verso l’anno 1759. Ristabilito in Patria si pose per passatempo a tradurre, e a pubblicar
– 185 –
mensualmente un volumetto del nuovo Mercurio istorico e politico, che usciva allora in Olanda: ma
consigliato dagli amici a desistere da un lavoro troppo per lui materiale, ne intraprese un altro assai
migliore, cioè quello di comporre un Giornale politico e letterario. Ma neppur questo ebbe lunga
durata, poichè divenuto egli Rettore della Parrocchia di S. Ambrogio, stimò più opportuno di
occuparsi interamente ne’ sacri studj, e nella cura delle anime. Ad insinuazione del Clero Mantovano
raccolse, e diè forma alle Decisioni de’ Casi di Coscienza discussi in tempo di Sede vacante, e le
pubblicò in Venezia nel 1762. L’anno appresso mandò in luce sotto gli auspici del Conte Carlo di
Firmian quattro Dissertazioni prodrome alla spiegazione morale e letterale di tutti i Salmi; fatica da lui
incominciata con molto ardore, ma poi non condotta a termine, essendone comparsi soltanto due
Tometti pe’ mesi di Gennajo e Febbrajo. Oltre l’impegno, che seco porta l’esercizio di Parroco, si era
egli assunto quello di Predicatore, per cui avendo incontrato più d’un applauso gli convenne spesso
allontanarsi da Mantova. Si hanno due suoi Panegirici nel tomo
VI.
della Raccolta de’ più celebri
Oratori del nostro Secolo che uscì in Venezia nel 1762. L’ultimo de’ suoi lavori letterari fu l’edizione
delle Opere maccaroniche di Teofilo Folengo fatta nel 1768, che adornò di molte annotazioni,
aggiugnendovi in fine un Vocabolario vernacolo Mantovano per maggiore intelligenza delle Opere
suddette.”
Il riferimento dato da Volta in nota 6 (“V. il Diario del 1783 pag. 183”) non corrisponde;
forse sta per 1784 p. 182, come si desumerebbe dal Diario del 1785 sempre alla voce
“FOLENGO”, a p. 170].
La finzione della stampa ad Amsterdam è abbandonata, per trascuratezza o per l’esser
venuta meno la necessità di cautele, nella versione ridotta di questa voce, in [Leopoldo
Camillo Volta], Compendio cronologico-critico della storia di Mantova dalla sua fondazione
sino ai nostri tempi con due memorie inedite sul marchesato di Castellaro, Mantova, da
Francesco Agazzi stampatore della R. Accademia, 1827, Tomo V, pp. 246-247.
Inoltre P. Predella, Repertorio degli scrittori mantovani, ms. in Accademia Virgiliana. Il
DOM segnala: Arco, Iscrizioni V. I, p. 242; Notizie V. VII, p. 155; Coddè, Iscrizioni V. I c
44v; Diari 1786, Gionta-Mainardi, p. 274; Predella Inscriptiones
V.
I p. 237; Volta-
Arrivabene V. V, p. 246.
Alle opere di Gaetano Teranza si aggiungano: “Della vita del buon servo di Dio
Domenico Sanguigno da Belgiojoso libri due scritti da d. Gaetano Teranza rettore della
chiesa parrocchiale di S. Ambrogio in Mantova … In Venezia, appresso Antonio
Bassansese, 1766” e “Orazione funebre / nelle esequie di mons. / Giambattista Bertoglio /
ex-vicario generale della diocesi di Mantova / Dottore di Sacra Teologia, e dell’una e
dell’altra leg- / ge, Protonotario Appostolico, Consultor Canonista / della SS.
Inquisizione, Esaminatore Pro-Sino- / dale, e Priore della Parrocchial Chiesa / di San
Martino / recitata dal signor / D. Gaetano Teranza / dottore di Sacra Teologia / e rettore
della chiesa parrocchiale / di S. Ambrogio / della stessa citta’ / Il giorno 8. Luglio 1768. /
– 186 –
Nella Lombardia Austriaca
persona più esperta e di una certa notorietà. Formatosi al ginnasio dei
gesuiti ed entrato nella Compagnia nel 1732 per prendere i voti nel 1750,
mostrerà un carattere inquieto e poco perseverante, uscendo dalla Società
di Gesù pochi anni più tardi, avviando e interrompendo numerose fatiche
letterarie, tra le quali la traduzione del Mercurio di Bruxelles e un successivo
giornale, frutto di compilazione autonoma basata anche su un vasto
numero di fogli letterari. Così almeno si promette nella lettera pubblicitaria
del 1761, sottolineando che “Sarà ciascun tometto diviso in tre o quattro
capitoli. Sarà il primo degli affari politici. Il secondo degli affari Militari. Il
terzo delle Scienze, ed Arti. Il quarto delle Finanze, e del Commercio.”222
“Uomo troppo amico di se stesso”223, secondo Giovanni Agostino
Gradenigo, è apprezzato predicatore e a Mantova si occupa della propria
parrocchia e della formazione del clero.
Una scherzosa raccolta di rime224 celebra le sue prediche tenute ai
[entro un tondo come medaglia all’antica è il profilo di Virgilio e dicitura PVB VIRG MAR/]
In Mantova / Per Giuseppe Braglia all’Insegna di Virgilio, con Lic. de’ Sup.”.
222
Novelle letterarie, pubblicate in Firenze l’anno
MDCCLXI,
nella stamperia di Gaetano
Albizzini, all’insegna del Sole. A p. 606: Articolo di Lettera scrittami dal Sig. Gaetano
Teranza Paroco di S. Ambrogio in Mantova, sotto dì 28 Agosto 1761. Teranza annota come la
traduzione del Mercurio Istorico e Politico avesse raccolto scarso interesse poiché compariva
in Italia con eccessivo ritardo rispetto all’originale. La scelta di innovare il prodotto
editoriale è quindi conseguenza di una valutazione di mercato legata agli interessi dei
possibili acquirenti.
223
Lettera al marchese Valenti (Venezia, Biblioteca Correr, fondo Gradenigo-Dolfin, ms.
204, vol. VI, n. 41), trascritta in CAVARZERE A. 1984, pp. 308-309.
224
Rime piacevoli / del sig. d. Antonio Quarti, / e di Gio: Battista Biasetti, / e di Giuseppe
Manzoni, In occasione, che finisce le sue Quaresimali fatiche / Nella Chiesa Parocchiale, e
Collegiata / di Santi Appostoli / con applauso universale / il reverendiss. sig. / d. Gaetano
Teranza / preposto di Mantova: / dedicate / al reverendiss. sig. / d. Angiolo dot. Teodi /
piovano dell’antidetta chiesa. / In Venezia / appresso Gasparo Gerardi / MDCCLXII. / Con
licenza de’ superiori. L’esemplare custodito presso la biblioteca Teresiana di Mantova
– 187 –
Santi Apostoli a Venezia nel 1762 lasciandoci qualche suggestione vivace:
l’omaggio si apre con tre agili canti berneschi in cui Giuseppe Manzoni
racconta di come i diavoli dell’inferno si siano organizzati per corrompere i
fedeli e distrarli. Riferisce a Belzebù un diavolo mandato in esplorazione:
Qualche trama in rimedio ho gran temenza, / Che in
Venezia perdiam le nostre prede, / Colpa un grande uom, che
a predicarvi riede // È Prete secolare Mantovano, / Uomo, che
sempre studia la Scrittura, / I Santi Padri, / e ha nome
Gaetano. / Per le città va sermonando, e fura / l’anime nostre,
le ci strappa di mano. // [I, 24-25]
Con parodia polemica Manzoni racconta di come il consiglio
infernale pensi di insuperbirlo, spingendolo a parlare di contrasti vani di
scuole, ma di fronte al bel parlare del predicatore, “cui s’inchina Arpino”
(III, 14) i diavoli tentano di distogliere i fedeli dal valore morale
dell’orazione elogiandone la forma. In evidenza sono il lavoro di esegesi
condotto direttamente sui testi sacri e la manierata opposizione tra la
concreta sostanza del senso e la vuota forma letteraria:
I vezzosi Abatini, e i letterati / Fan plauso cogli sputi ai
bei concetti, / Escon notando li temi più ornati, / I più
brillanti, ed ingegnosi detti; / Gridando, come fossero
avvocati: / Questi son certo gli orator perfetti ! / Udistù quel
racconto così bello, / E quella descrizion dell’orticello // Questi
non copia certo Biblioteche; / Ma legge i Santi Padri, e la
Scrittura. / Chi non l’intendon son persone cieche. / Egli il
Vangel con fior non affatura, / E ha certe sferze, e guardature
proviene dalla donazione di Carlo d’Arco. Un cenno in DBI, Manzoni, Giuseppe (P.
Lucchi 2007).
– 188 –
Nella Lombardia Austriaca
bieche / Contro al peccato, che metton paura. / Soggiunse un
altro incanta ogni ascoltante / Più, che non fa la biscia il
Negromante. // Molti fermati a udir questi ciancioni / Non
stavano pensando ai loro vizi; / Dicevano tra lor, gran
Narrazioni! / Gran pensieri! / e formandone giudizi, / Non
curavan la lebra i zoticoni, / Nè si guardavan dai lor precipizi. /
Dicean, ch’egli era un fonte, una ceppaja / Di bei trovati, e
avean le colpe a staja. // Ma l’accorto Teranza un giorno aprio
/ Agli uditori del mondo gl’inganni, / per cui non frutta la voce
d’Iddio; / E col suo dir fa, che il popol si sganni / Dell’uso di
lodare il dolce, e il brio / Di chi ragiona. Avveggonsi de’ danni,
/ Che n’hanno que’ meschini Letterati, / E pajon topi
nell’acqua annegati. // [III, 19-22]
Ultimo fallito tentativo dei poveri diavoli sarà dar fuoco alla bottega
del salsicciaio, senza tuttavia riuscire a distrarre i fedeli dalla predica sul
Paradiso (III, 24).
Il secondo poemetto è un ‘dialogo alla veneziana’ tra barcaroli
composto da Giovan Battista Biasetti: sono dedotti dalla viva predicazione
il senso generale (i poveri si contentino del loro stato accettando una
società tripartita che li vede impegnati nel ruolo di ‘laboratores’) e
l’argomento didattico secondo cui si può salire al cielo in tre modi:
nuotando (la gente di bassa condizione), attraversando un ponte (il clero,
che dispone di un passaggio facile ma scivoloso) e in barca (un viaggio
confortevole per i possidenti, che eviteranno pericolose compagnie se “i sa
star quieti”). Velato di una lontana reminescenza agostiniana è il detto
‘andar al cielo in carrozza’ adattato all’ambiente lagunare e alla quotidiana
esperienza dell’uditorio, e probabilmente riutilizzato anche nelle prediche
mantovane. Beppo, che assecondando un’occasione fortuita ha assistito di
– 189 –
buon grado alla predica, la riferisce al più insofferente Nane, inizialmente
poco accondiscendente verso l’amico ‘chietino’:
No bisogna esser gnanca affatto al mondo
Nane
morto. / Anca mi son Cristian, e ho letto la moral, / El bever
qualche gotto, mi so, che no l’è mal; / Ma vu che sè chietin,
sieu mezo innanzolao, / Se ve digo bevè; disè, che l’è peccao.
[…]
El dise, che in tel mondo tutti se pol
Beppo
salvar. / Basta solo, che femo quel, che semo obbligai / […].
Tutti semo in tun fiume, ch’arriva all’altro mondo, / Ne
savemo catar coi nostri remi el fondo. / Se passa in tre
maniere, e tutte differente, / E qua se pol conoscer tre
condizion de zente; / […] Quelli, che va a nuando, xe quei de
bassa sfera, / Ch’i se sfadiga sempre dal zorno in fin a sera; /
Quelli, che va per barca, xe quei, che ga del fondo, / E co tutti
i so comodi i passa all’altro mondo; / Quelli che, va sul ponte,
xe quei del Sacro Stato, / E per lori che vol un differente pato.
[… … …] Se i terzi [i preti] fa coraggio a quei, che xe in tel
fiume, / i desmonta alla riva chiari come xe el lume.
[pp. 32-33]
Nel 1765 escono a Venezia le Decisiones Mantuanae225, dedicate al
nuovo vescovo Giovanni de la Puebla, tardivamente insediatosi dopo un
lungo confronto fra le corti di Vienna e di Roma. Regolarmente approvate
225
Decisiones / Mantuanae, / sive casus conscientiae / Ab Universo Clero Mantuano
discussi / Episcopali Sede Vacante anno
MDCCLXIII,
/ eidem venerabili clero universo / a
Cajetano Teranza / Ecclesiae Parochialis S. Ambrosii in ipsa / Civitate Mantuae Rectore /
D. D. D. / Venetiis,
MDCCLXV.
/ Typis Antonii Bassanesii. / Superiorum facultate, ac
privilegio.
– 190 –
Nella Lombardia Austriaca
dall’inquisizione della Serenissima226, raccolgono le discussioni mensili
tenute nel 1763 per l’istruzione e la formazione permanente del clero
diocesano, in ossequio ai sinodi diocesani che legittimano e incoraggiano
tale pratica (1646, 1679), sostenuta anche dalle costituzioni di Milano,
Cremona, Viterbo e meglio analizzata nel Casus
XI.
Teranza sottolinea
l’aspetto collettivo e l’utilità pratica dell’elaborazione dottrinaria227, citando
i datati antecedenti di Giovanni Chiericati e del gesuita Andrea Zuccherio,
che aveva pubblicato a più riprese le Decisiones Patavinae228. Lo schema del
226
Ivi, p.
XI:
compare la dicitura di approvazione da parte dei riformatori dello studio di
Padova, vista la revisione ed approvazione del P. F. Filippo Rosa Lanzi Inquisitor
Generale del Sant’Officio di Venezia, data il 7 marzo 1765. “Registrato in Libro a Carte
233. al Num. 1392”; l’undici marzo 1765 seguiva le registrazione presso il Magistrato
eccellentissimo degli Esecutori contro la Bestemmia.
227
Ivi, p.
VIII:
“meos in Christo Fratres, Parocos, & Sacerdotes Dioeceseos nostrae
alloquens, & Universos Moralis Theologiae, & Canonicae scientiae cultores”.
P.
VI:
“Verum non ego alios instruere, sed ab aliis in hoc opere instrui, non alios docere,
sed ab aliis me docere profiteor […] unde factum est, ut non alteri, quam universo clero
mantuano opus hoc, / qualecumque sit, inscribi deberet”.
Ivi, p.
VII:
“huiusmodi nobis discutiendi casus proponuntur, qui praxim maxime
respiciunt, & eas Moralis, vel Canonicae Disciplinae quaestiones amplectuntur, quas ab
omnibus prae manibus semper haberi necesse est; et tamen, ita vel rerum conditione, vel
humani ingenii imbecillitate ferente, ab Auctoribus non ita passim tractantur & a
quibusdam abditioris eruditionis fontibus petendae sunt, non omnibus ita facile perviis,
quia non a communioribus scientiarum tractatoribus attinguntur.”
228
Ivi, pp.
III-IV.
“Neque solum Patavina civitas in hoc nobis exemplo praefuit, sed
Bononiensis in Italia, & Petricori[c]ensis vel Versunnensis, & Luconiensis in Galliis, quae
Decisiones a Clero habitas typis ediderunt”. Périgueux (Vesuna Petrucoriorum) e Luçon
erano entrambe diocesi suffraganee di Bordeaux; cfr. Novum lexicon geographicum in quo
universi orbis oppida, urbes, regiones, provinciae, regna, emporia, academiae, metropoles,
flumina & maria […] recensentur. Illud primum in lucem edidit Philippus Ferrarius […]
nunc vero Michael Antonius Baudrand […], Patavii, Typis Iacobi de Cadorinis
MDCXCIV.
Una copia delle Decisiones di Teranza si trova ora nella biblioteca dell’università di Poitiers,
– 191 –
testo è costante e relativamente semplice: un breve antefatto tratto da reali
vicende diocesane origina un Quaeritur composto di una o più domande,
spesso concatenate, cui si dà risposta immediata nella Synopsis che riassume
i paragrafi svolti nelle pagine successive. La necessità di risposte chiare e
univoche, e lo stile a mezzo tra il responso giuridico e la quaestio tomista
non impediscono argomentazioni sofisticate e complesse, ricche di
obiezioni e contro-obiezioni.
Ai dodici casi mensili se ne aggiungono due in appendice, il
proveniente (1914) dal vescovato di Luçon, cui erano giunte in seguito al legato del
vescovo monsignor Baillès, che le aveva acquistate (1863) durante il suo esilio italiano
sotto il regno di Napoleone
III.
Presso la facoltà teologica di Poitiers, istituita a fine ’800,
si trovava un altro testo mantovano, Antonii Gobii [...] Tractatus varii; in quibus universa
aquarum materia ab authore additionibus […] et selectissimis Sacrae Rotae Romanae
decisionibus illustratum […], Mantuae ex typographia S. Benedicti, apud Albertum
Pazzoni, impress. archiduc., 1737. Entrambi i casi non aiutano a sostenere la congettura di
rapporti tra Teranza ed esperti francesi di diritto canonico. Ringrazio Anne-Sophie
Traineau-Durozoy, conservatore del fondo antico dell’università di Poitiers, per le cortesi
precisazioni fornitemi.
Le ‘decisiones patavinae’ risalgono agli anni 1687 e 1707-1710, pubblicate con breve
ritardo: Giovanni Maria Chiericato, Decisiones quaesitorum, et casuum conscientiae a rr.
parochis, & confessariis Patavinae diocesis editae anno Domini 1687. Materiam
sacramentorum in genere, ac sacramentalium continentes, […], Patavii ex typographia
Seminarii, Opera Joannis Cagnolini, 1690. Andrea Zuccheri, Decisiones patavinae anni
1707. De sacramento poenitentiae […], Patavii typis Seminarii apud Joannem Manfrè,
1708. Zuccheri Andrea, Decisiones patavinae anni 1708. De venerabili eucharistiae
sacramento […], Patavii Typis Seminarii apud Joannem Manfre, 1721. Andrea Zuccheri,
Decisiones patavinae anni 1709. De restitutione, […], Patavii ex typographia Seminarii apud
Joannem Manfre, 1712. Andrea Zuccheri, Decisiones Patavinae anni 1710. De
obligationibus patrumfamilias, […], Patavii typis Seminarii apud Joannem Manfré, 1716.
Andrea Zuccheri entrò nei Gesuiti nel 1710, dopo essere stato teologo del cardinal
Cornaro, vescovo di Padova. Vi morirà nel 1744 (cfr. Memorie degli scrittori e letterati
parmigiani raccolte dal padre Ireneo Affò e continuate da Angelo Pezzana, vol.
1833, pp. 27-28).
– 192 –
VII,
Parma
Nella Lombardia Austriaca
secondo dei quali merita di essere preso in considerazione.229 Un prete della
diocesi ha inoculato il vaiolo al nipotino, che malauguratamente è morto
proprio in seguito all’intervento: “Queritur: 1. An licita sit Variolarum
insitio, prout a Medicis praescribitur?”. Nella risoluzione vengono
considerati argomenti storici (sulla scorta di Voltaire, che ricorda come la
vaccinazione fosse praticata dalle donne circasse), etico-politici (sul diritto
dello Stato di disporre della vita dei propri cittadini al fine del bene
pubblico) e teologico-dottrinari. Le considerazioni economiciste su base
statistica (meglio pochi decessi endemici dovuti alla vaccinazione, che
moltissimi causati da probabile, seppur incerta, epidemia) sono superate dal
concetto di colpa individuale (non di ‘responsabilità’): i molti uccisi dalla
malattia muoiono per cause naturali, i pochi uccisi dalla vaccinazione
muoiono per colpa umana, per un’azione che sa di empietà contro la natura
e contro la logica indipendentemente dalla tecnica utilizzata230 (“officium
Medicorum est curare, non inferre morbos; Inoculatores autem
aegritudinem valde periculosam perfecte sanis inferunt”231). Il rifiuto da
parte dell’archiatra di Clemente
XIII
di praticare l’inoculazione perché non
ammessa dai teologi232 è il precedente autorevole che sigilla la questione. Il
dibattito233 in quegli anni stava raggiungendo anche il pubblico non
229
Ivi, pp. 173 sgg.
230
Compresa la più recente e incruenta ritrovata da Francesco Berci [!], che cita rinviando
a Francesco Berzi, Nuova scoperta a felicemente suscitare il vajuolo per artificiale contatto, in
Padova nella stamperia Conzatti, 1758.
231
Ivi, p. 180.
232
Ivi, p. 179, inserita nel testo a stampa, lettera di Cristoforo Zanettini del 16/12/1758,
Roma: “Intorno all’Inoculazione del vajuolo … le dico, di non averla io mai praticata, né
in Roma si è mai creduta ragionevole da eseguirsi con utile, e profitto, e senza scrupolo di
coscienza, perché i Teologi non l’ammettono”.
233
Cfr. FADDA 1983.
Angelo Gatti, allora ‘medico pratico’ a Pisa, scrive a Battista Gherardo d’Arco nel 1775
– 193 –
specialista: proprio del 1765 è la pariniana ode Sull’innesto del vaiuolo e
l’anno successivo un lungo articolo comparirà su Il Caffè, giunto al termine
delle pubblicazioni; la gazzetta mantovana non mancava poi, con evidente
intento propagandistico, di comunicare l’avvenuta inoculazione dei
principini della corte viennese, duramente colpita dalla malattia.
Teranza si mostra insomma culturalmente aggiornato e rappresenta
un tentativo di mediazione, o almeno un punto di contatto, tra le istanze
dei lumi e l’ambivalenza pastorale e censoria della gerarchia ecclesiastica,
che nell’indirizzare e controllare i fedeli badava tanto all’anima quanto al
corpo.
Anche nella propria introduzione al commento ai Salmi234 uscita a
Venezia nel 1763 aveva cercato una posizione che rendesse possibile
l’obbedienza all’autorità235, l’insegnamento morale, il commento al testo,
l’uso di edizioni differenti dalla Vulgata236, il dialogo – almeno a fine
circa l’impossibilità di eseguire l’inoculazione a Mantova per mancanza di vaiolo:
mancando la malattia, la “tenerezza di padre” di Battista Gherardo non ha comunque
motivo di preoccupazione. Sarà invece opportuno attendere qualche settimana e ben
documentarsi sul metodo da seguire: l’intervento è facile, alla portata di una donnicciola
come di un grande chirurgo. AArco, Arch. d’Arco – Chieppio – Ardizzoni,
XXXVII,
9,
Firenze, Aprile 1775”.
234
Dissertazioni prodrome alla spiegazione leterale, e morale di tutti i Salmi a S. E. il
signor don Carlo Conte e Signore de Firmian Cronmetz, Meggel, e Leopolds-cron […]
consecrata da don Gaetano Teranza Rettore della Parochiale di S. Ambrogio di Mantova.
In Venezia,
MDCCLXIII.
Appresso Pietro Bassaglia, In Merceria di S. Salvatore al segno
della Salamandra. Con Licenza de’ Superiori. Dei due esemplari conservati in biblioteca
Teresiana proviene dalla donazione D’Arco quello con carta più lussuosa.
235
Ivi, p.
XX:
“Noi Cattolici siam così docili, che all’autorità del Concilio di Trento
chiniam la fronte, ma non siam così ciechi, che della docilità nostra medesima non sapiam
render buon conto.”
236
Ivi, p. XXI: “Ha definito il Sinodo, la volgata edizione doversi tener per autentica. Che
vuol dir questo? Che rimangono le altre escluse? Non già. Vuol dire: che delle
– 194 –
Nella Lombardia Austriaca
confutatorio – con i riformati237, la diffusione di una più solida cultura
religiosa tra i laici, così da proporsi “ne’ tre diversi aspetti, di Predicator
Evangelico, di Pastor d’anime, e di Scrittore, ch’io rappresento al
Mondo”238. La dedica239 a Firmian, adulatoria quanto basta, sottolinea che
innumerabili latine versioni, questa è la migliore, che questa alle altre deve preferirsi, che
questa, e non le altre versioni latine deve seguirsi nelle Prediche, nelle dispute, nelle
lezioni. Ha detto altro il Concilio, o altro poteva dire? Ora io soggiungo, e provo, che di
così stabilire v’era necessità, ed è un tale decreto fondato sopra la più soda ragione.
Nella quarta Dissertazione io spiego il mio parere intorno la volgata edizione de’ Salmi,
qual ella sia: Materia oscura e controversa; ma non di gran conseguenza. Mio impegno è
qui di mostrare, che questa merta d’esser preferita; e che a ragione il Concilio ha così
stabilito, ne ciò facendo io punto non mi diparto dal mio proposito.
Doveva dunque la Chiesa lasciar libero il corso a tante versioni della Scrittura Santa,
quante eran le teste, che si accingevano a tradurre? Doveva lasciar libero l’adito, a quel
privato [XXII] spirito, che la parola di Dio espone all’interpretazione d’ognuno; ed è
ognuno in potere di darle tutti que’ sensi così svariati, e rimoti, che le danno tal volta i
Novatori? Dovendo poi sciegliere una Versione, qual altra maggior pregio aver poteva
della Vulgata?”
237
Ivi, p.
XIX
“Emmi avvenuto più volte di dover pur troppo in materie di Religione
discorrere coi Luterani, o con Calvinisti, o novellamente alla Cattolica credenza condotti,
o ancora nella lor falsa credenza pertinaci, e costanti; persone talvolta non di conto, né in
lettere punto esercitate; e non senza ammirazione io ho scorto, come dal zelo de’ lor
Predicanti trovansi si bene instrutti, che senza esitazione san dire qual luogo delle divine
lettere vaglia a comprovare i loro articoli, quale da noi adoprisi a rifiutargli, le diverse
lezioni, che da noi seguonsi, i motivi pe’ quali da essi rifiutansi, la diversa guisa, nella quale
da essi citansi cotai luoghi, le diverse interpretazioni, che di lor si danno”.
238
Ivi, p. XI.
239
“Quindi non mi suggerisce già il mio pensiere di perdermi vanamente, com’altri fanno,
in un encomio, ch’io voglio suppor giustissimo, di quel Personaggio, di cui imploro la
protezione” (ivi, pp.
IV-V).
Vorrà forse restare sottotono anche il successivo “Della
persona, e della qualità di Davide in questo volume si tratta singolarmente […] un Uomo,
che agli imbarazzi della Corte, e del Governo, unir sapeva il raccoglimento, che ricerca la
pietà, e la divozione: un Uomo che unir sapeva le parti di Sovrano, di Reggitore di popoli,
di buon Politico, della mansuetudine, dell’affabilità, ad una prudente semplicità, e
– 195 –
destinatari delle meditazioni sono anche le “persone che vivono nel secolo,
come [re] Davide”240: il rispetto delle regole della buona scrittura (che è
tutt’uno con il buon argomentare e la solida erudizione) è strumento di
indagine e di persuasione:
Per lo più non lascio di dire il parer mio; ma d’un tal
mio parere, io soglio per natura esser così poco tenace, che
all’offrirmisi ragion migliore, io non trovo pena a mutarlo, non
mi dispiace, che altri trovisi di contraria opinione. Né de’
Moderni, né degli antichi io mi professo seguace, ma or degli
uni, or degli altri, secondo che m’avvien di trovare ragion
probabile che mi appaghi. Mi avviene in molti punti, che né
dell’una opinion ne dell’altra trovandomi pago, d’una nuova da
altri non più pensata mi fo autore. Provo però quel, che dico; e
in materia, dove ha pensato ognuno a suo modo, e libero ha
lasciato la Chiesa il poterlo fare, io non credo, che alcun mi
possa riprendere.241
Nella necessità metodologica di chiarire il valore storico-critico
delle meditazioni, pur rigorosamente ortodosse, trova giustificazione il
Preambolo a un libro che è di per sé preambolo, prolissità apparentemente
assurda242 che serve invece a dar conto dei molteplici aspetti da indagare: il
ruolo e la figura dell’autore (re Davide o forse molti autori differenti), il
schiettezza, nel risvegliarsi dalle smarrite sue ceneri per ritornare nella memoria degli
Uomini, a chi altro indirizzar potevasi con più ragione, che a a chi meglio in tai suoi pregi
lo rassomiglia?” (pp.
VIII-IX)
La data è “Mantova 19. Gennajo 1763 / Umil. Devotiss.
Ossequiosiss. Serv. / D Gaetano Toranza [!]”.
240
Ivi, p. XVIII.
241
Ivi, p. XXV.
242
Ivi, p. XV, Prefazione al lettore.
– 196 –
Nella Lombardia Austriaca
rapporto fra disposizione del testo e il suo sviluppo compositivo, o ancora
più in generale il rapporto fra l’architettura del testo e la recitazione o la
musica che l’accompagnava (dal ruolo della rima nella lingua ebraica sino
alla prassi esecutiva vocale e strumentale). Sulle questioni più specialistiche
vengono consultati i testi rabbinici e le opinioni di studiosi di musica
antica. Finalmente compare una parte di raccordo con l’esegesi testuale
propriamente detta (che non figura in questo volume): Teranza promette di
tenersi lontano dai misticismi confusi e dall’oscurità speculativa di quei
volumi adatti più allo studio che alla preghiera, cercando piuttosto una
divulgazione chiara, a portata di tutti, che “senza noja, e fatica guidi
all’intelligenza de’ medesimi [salmi], che mentre pasce di notizie
l’intelletto, ecciti il cuore a divozione”,243 ricavando dal senso letterale del
testo, interpretato secondo le scienze ‘positive’ e teologico-dogmatiche,
indicazioni di quotidiana morale cristiana.
Il conte Giovan Battista Gherardo d’Arco, il marchese Carlo Valenti e
monsignor Giovanni Agostino Gradenigo
Tratteggiato il principale curatore dell’edizione folenghiana, è da
accertare il ruolo di Battista Gherardo d’Arco. Nella comunicazione
stampata dalla gazzetta mantovana del 2 dicembre 1768 gli vengono
attribuite le note relative all’antiquaria locale:
È tutta l’Opera accompagnata di eruditissime note, che
riescono necessarie nella lettura di questo libro, sì per l’antica
erudizione, spettante particolarmente gli antichi monumenti
delle cose di Mantova, di cui l’Opera è sparsa, la
comunicazione di molti de’ quali, e la spiegazione di altri si
deve alla bontà, e gentilezza del chiarissimo Sig. Conte
243
Ivi, p. 239.
– 197 –
Giambattista d’Arco […], come ancora si sono rendute
necessarie per le parole Vernacole Mantovane, che da
Forestieri, e poco pratici del Vernacolo Mantovano non si
intenderebbero244
Un ruolo fortemente ridimensionato da monsignor Gradenigo, che
scrive nel febbraio del 1769:
vi è [nella prefazione di Teranza] un elogio adulatorio al conte
d’Arco per avere copiato venti o trenta righe dall’Agnelli245 in
cui si nominano varie Famiglie Mantovane e datele al Taranza[!]. Ecco tutto il merito del stimatissimo Conte d’Arco246.
Nell’archivio d’Arco, accanto alle redazioni manoscritte delle opere
di Battista Gherardo, nulla è rimasto della collaborazione all’edizione
maccheronica, che doveva essere di poco conto, o comunque ritenuta
scarsamente significativa, nonostante le parole della prefazione.247 All’epoca
dell’edizione della Maccheronea stava studiando un’iscrizione antica incisa
su una chiave, emersa nel 1767 da uno scavo presso San Nicolò a porta
Cerese. Il tentativo di decifrare l’iscrizione, che si auspicava etrusca, è
244
Gazzetta Num. 49. )( Mantova 2. dicembre 1768, per l’Erede di Albero Pazzoni.
245
Scipione Agnelli, Gli annali di Mantova […], Tortona appresso Nicolò e fratelli Viola,
1675.
246
Lettera al marchese Valenti (Venezia, Biblioteca Correr, fondo Gradenigo-Dolfin, ms.
204, vol. VI, n. 41), trascritta in CAVARZERE 1984, pp. 308-309.
247
Lectori benevolo, p. 7: “In obscurioribus vero id dumtaxat praestitimus, quaeque
plerumque ignorantur. Qua in re maximo nobis auxilio fuere scripta aliquot ab Exc.mo
[…] et viro praestantissimo, qui severioribus studiis, quibus impense vacat, subcesivis horis
intermissis, Patriae vetera monumenta, peculiari animi sui oblectatione, ab antiquitatis
injuria diligenter vindicate conatur, ita, ut juvenili aetate uberrimos horum studiorum
assiduitate fructus maturioribus annis universae literariae Reipublicae, Patriaeque
spondeat, Joanne Baptista Arci Comite […] humanissime nobis communicata.”
– 198 –
Nella Lombardia Austriaca
occasione per qualche contatto accademico internazionale.248 Pochi anni
più tardi a lui si rivolgerà Sperges per proporre l’apertura di una biblioteca,
basata sui “vecchi libri esistenti come si supponeva nel Palazzo Ducale, e
altri depositati nel collegio de’ Gesuiti, e da rivendicarsi dal Pubblico”249. In
questi anni Battista Gherardo d’Arco non è ancora l’autore delle opere di
economia politica che gli assicureranno notorietà ben oltre i confini locali,
la prima delle quali, la dissertazione Dell’armonia politico-economica fra la
città ed il suo territorio presentata all’Accademia nel 1770, piena di
riformismo moderato ma non incerto, sarà pubblicata con gran ritardo,
solamente nel 1782, a causa di “maneggi antiaccademici”, come si
lamentava Eugenio d’Arco – suo padre –, con il barone Sperges250.
La formazione di Battista Gherardo era avvenuta tra la
giurisprudenza e la filosofia wolffiana, insegnategli dai precettori, gli
ambienti parmigiani legati a Condillac e, in seguito al suo matrimonio con
una Canossa, la cultura veronese di Girolamo Pompei e Giuseppe
Torelli251; troviamo qualche accenno al dibattito sulla magia innescato da
248
Disegno acquerellato in AArco, Arco – Chieppio – Ardizzoni,
XXXVII.
Un simile
argomento archeologico sarà svolto da Leopoldo Camillo Volta, cui toccherà anche
l’incarico di dirigere la biblioteca finalmente aperta al pubblico nel 1780. Cfr. Leopoldo
Camillo Volta, Osservazioni sopra una chiave di bronzo, Vinegia, stamp. Coleti, 1781.
249
AArco, Arco – Chieppio – Ardizzoni, VI, Sperges a Battista Gherardo d’Arco, da Vienna,
7 maggio 1770.
250
AArco, Arco – Chieppio – Ardizzoni, VI.
251
Così secondo alcune memorie biografiche del conte G. B. d’Arco, nato il 21 novembre
1739 “ed educato in propria casa sotto convenienti precettori. Nella / filosofia ebbe per
maestro il padre Carlo Baroni dell’ordine degl’infermi, e nelle leggi il fù Consigliere
Ghirardini. Terminati gli studi in patria fece diversi viaggi per sentire e trattenersi coi più
eccellenti uomini. A tal effetto recossi a Parma, ed ivi conversò molto col celebre abate di
Condillac; in Bologna con Francesco Zanotti; ma più di tutto in Verona col Torelli, col
Pompei, col di lui cognato Marchese Ottavio di Canossa, e con altri letterati.” AArco,
Arco – Chieppio – Ardizzoni, XXXVI.
– 199 –
Tartarotti e Maffei252 nella sua corrispondenza giovanile del 1757253. In
questi anni l’amministrazione cittadina è ancora nelle mani di Eugenio, che
nel 1762 ricopre il delicato incarico della raccolta di fondi presso
compagnie, confraternite e arti a favore dell’erario per finanziare la Guerra
dei Sette anni254, nel 1768 si occupa dei lavori al selciato di piazza San
Pietro, quindi organizza sfarzose processioni per il patrono sant’Anselmo,
una iniziativa promossa nel 1769 dai canonici della cattedrale e assecondata
dal vescovo e dall’autorità politica. Ancora in questa funzione di
mediazione all’interno della società civile, o tra la società civile e il potere
asburgico, si occupa della cupola di Sant’Andrea e raccoglie informazioni
sull’ordine del Redentore e sulla nuova erezione dell’ordine del
Preziosissimo Sangue. Dall’appartenenza a questa famiglia presente a
Mantova dal ’500 e così ben inserita nell’amministrazione austriaca,
Battista Gherardo, quale cugino del conte di Firmian, avrà spianata la via
della poco ambita carriera politica che lo porterà dalla direzione dei regi
teatri degli anni ’60 sino all’Intendenza politica nel 1785, cui si dedicherà
con impegno e passione riformatrice, ricevendone la contestazione della
nobiltà locale.255
Pure la collaborazione del marchese Carlo Valenti dal punto di vista
scientifico non fu diretta; ebbe però l’indubbio merito di raccogliere le
sistematiche informazioni biografiche su Folengo che confluirono
nell’introduzione, in sostanza opera di Giovanni Agostino Gradenigo,
252
Recenti interventi su Scipione Maffei in ROMAGNANI (CUR.) 1998, ROMAGNANI
1999 e VISMARA 2011.
253
AArco,
Arco – Chieppio – Ardizzoni,
IV,
14 maggio 1757, il segretario Valeriano
Vennetti da Rovereto a Battista Gherardo.
254
AArco,
Arco – Chieppio – Ardizzoni, XXVI, 1762.
255
AArco,
Memoria sull’Intendenza politica provinciale in Mantova. Cfr. VAINI 1992.
– 200 –
Nella Lombardia Austriaca
semplicemente voltata in latino da Teranza, lavoro che – scrive Gradenigo
– “non mi piacque punto, né per il modo, né per l’ordine, né per la
dicitura”256 Nella stessa lettera accenna reticente alla “scandalosa storia”
dell’edizione. I motivi di dissapore dovevano essere più d’uno, difficile a
posteriori determinare se legati allo scippo del proprio lavoro d’indagine,
alle indicazioni disattese per certe migliorie sul testo, a “cent’altre
bricconate che mi hanno fatte”, o ai disinvolti maneggi economici e
finanziari dello stampatore o ancora al coinvolgimento nella ristampa di
un’opera comunque proibita, occasione per villaneggiare l’inquisitore e i
divieti ecclesiastici con il consenso più o meno tacito di diversi religiosi.
Escluso dalla direzione dell’opera, Gradenigo preferisce il silenzio dello
stampatore Braglia sulla sua collaborazione, completamente taciuta al pari
di quella del marchese Valenti. È la Storia della letteratura italiana del
gesuita Girolamo Tiraboschi a segnalare pochi anni più tardi che la
biografia è
tessuta per lo più sulle esatte notizie che studiosamente ne ha
raccolte l’eruditissimo monsignor Giannagostino Gradenigo
vescovo di Chioggia e poi di Ceneda, e morto pochi anni
addietro, e alcune lettere su questo argomento medesimo da
esso scritte all’ornatissimo sig. marchese Carlo Valenti, il quale
cortesemente me le ha trasmesse.257
Copia delle lettere258, non troppo accurata, è finita all’Archivio di
Stato di Mantova per il tramite di Carlo d’Arco e permette di seguire
256
257
Citata lettera in CAVARZERE 1984.
Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, tomo
VIII.
parte
III,
Modena
1779, p. 271.
258
ASMn, Patrii d’Arco, ms. 58: Memorie biografiche di Teofilo Folengo trasmesse in via
epistolare al 1767 dal vescovo di Chioggia al march. Valenti di Mantova.
– 201 –
l’andamento dei lavori, basati su precedenti studi di Gradenigo, favoriti
dall’incarico durato sino al 1756 di custode della biblioteca di San
Benedetto in Polirone259 e proseguiti nell’archivio di San Giorgio Maggiore
di Venezia, cui ritornava dopo la parentesi mantovana. Animatore
dell’accademia di storia ecclesiastica dei Concordi, che si riuniva in San
Francesco della Vigna, Gradenigo dovette dedicarsi agli impegni pastorali e
amministrativi con la nomina a vescovo di Chioggia (1763).
Nell’aprile del 1767 non si lascia dunque sfuggire l’invito del
marchese Valenti a correggere le notizie raccolte con troppa negligenza
259
DBI, Gradenigo, Giovanni Agostino (al secolo Filippo) (Dal Borgo, 2002).
Deriva indirettamente dagli studi di Gradenigo (dalla premessa a Gregorii Cortesii […]
Omnia, quae huc usque colligi potuerunt, sive ab eo scripta, sive ad illum spectantia, Padova
1774, presso Giuseppe Comino) anche l’Elogio storico per il cardinale Gregorio Cortese
(Pavia 1788, nella stamperia del R. I. Monastero di S. Salvatore) del benedettino
Girolamo Prandi, professore di logica e metafisica al ginnasio mantovano. Il libriccino,
“frutto della privata Accademia letteraria, che nel Monistero di S. Benedetto di Polirone
[…] ad oggetto di mantenere, e fomentare ne’ Benedettini l’antico loro costume di
rendersi utili alla Società anche per mezzo della coltivazione degli Studi” è percorso dalla
necessità di allontanare la soppressione del monastero, che non usurpa i terreni e le rendite
di cui gode: “Siami quì lecito ricordar di passaggio, che la Religion Benedettina non
condensò giammai ne’ proprj scrigni le ricchezze animatrici dell’industria e del commercio;
che anzi ne usò in ogni tempo, in ogni luogo, anche senza altrui eccitamento, quando a
vantaggio del Pubblico, quando a ben inteso sollievo delle private indigenze, e quando a
promuovere le belle arti” (p. 58). A questa polemica tutta calata nell’attualità si affianca
l’elogio per i letterati che hanno illustrato l’ordine (“[Cortese] diè egli sopra tutti la
preferenza a quello di S. Benedetto di Polirone, sì perché in esso fiorivano i Fontana, gli
Ottoni, i Folenghi, e parecchi altri, nelle latine, e nelle greche lettere versatissimi”, p. 16),
l’ortodossia dei quali è pianamente accettata: “l’intervallo di due secoli ha fatto sparire la
nebbia delle private passioni, ed ora si rende la dovuta giustizia alla pietà, ed al candore di
que’ dotti, ch’ebbero il raro coraggio di annunziare le verità sebbene odiose” (p. 65). A
Cortese si rimprovera semmai il cumulo di benefici, perdonabile tributo agli usi distorti
del suo tempo.
– 202 –
Nella Lombardia Austriaca
dagli storici mantovani sui propri scrittori:
Amatissimo e stimatissimo signor Marchese,
Io non mi sono giammai scordato di quelle molte
gentilezze, che in tutti gli Ordini di Persone mi furono usate
per lo spazio di quei sei anni, che stavo io lettore in San
Benedetto ho frequentemente pratticato in cotesta Città, alla
quale avrei desiderato dar saggio d’amore e di riconoscenza in
quella maniera, che per me si poteva, vale a dire dedicando
qualche parte de’ miei studi ad illustrare alcuna cosa, che alla
Città medesima appartenesse; e con tale idea […] moltissime
cose ho raccolte. Per dar qualche ordine alle medesime mi
serviva di stimolo l’Accademia [mantovana] per decoro della
patria da Lei nella propria Casa adunata e raccolta, come seppi
da monsignor Caraffa già Nunzio in Venezia, ma le
obbligazioni del mio Ministero, e gli studi da me
all’illustrazione della mia Diocesi dedicati me n’hanno
impedito ogn’adito, e ne avrebbero forse fatto tacere per
sempre se gli antichi miei desideri nuovo stimolo non
aggiungesse la gentilissima sua lettera del di primo corrente.260
Lamentando l’ignoranza sulla vita del Folengo, alimentata dalle
finzioni letterarie – che in parte fraintende – di Folengo medesimo,
Gradenigo accenna agli studi del teatino Giuseppe Merati, che Valenti non
mancherà di interpellare (e che sarà ringraziato nella prefazione a pagina
6), contando certamente anche sul suo desiderio di pubblicare Gli Scrittori
d’Italia Mascherati,261 un catalogo che da anni andava preparando e la cui
260
ASMn, Patrii d’Arco, ms. 58, 2r, Gradenigo a Valenti, Chioggia, 4 aprile 1767.
261
Il cui titolo completo sarebbe stato Gli Scrittori d’Italia Mascherati, o sia Storia Critico-
letteraria de’ Libri e de’ Componimenti Anonimi e Pseudonimi degli Scrittori d’Italia, de P. D.
– 203 –
prefazione era già comparsa sulle Novelle letterarie del 1766262 di Giovanni
Lami, allo scopo di interessare qualche stampatore a quello che voleva
presentarsi come un supplemento alla Storia degli Scrittori d’Italia del conte
Gianmaria Mazzuchelli. L’anello successivo della catena è l’abate Giovanni
Battista Rodella, continuatore degli Scrittori e biografo di Mazzuchelli263,
che Valenti interpella (forse tramite Gradenigo, forse autonomamente,
come suggerisce la stessa lettera di Merati) affinché scavasse nei conventi
benedettini di Brescia, giungendo così alle notizie raccolte dai “rispettabili
e degnissimi Abati Luchi e Faita”, in San Faustino il primo, in Sant’Eufemia il secondo, e tracciando l’itinerario che sarà poi ripercorso da
Billanovich.
Tra aprile e giugno del ’67 Gradenigo invia a Valenti il risultato dei
suoi studi precedenti, senza ulteriori controlli bibliografici:
Se al desiderio ch’io ho di servirla, corrispondessero i
mezzi, e l’ozio di poterlo fare, io ben volentieri prenderei sopra
di me il carico di stendere la vita di Teofilo Folengo. Ma e
perché troppo sono io occupato, e perché qui non posso
nemmeno avere quei libri stessi, che andrò citando, converrà
ch’ella si contenti, che io le comunichi quel poco solamente
che mi trovo aver registrato né miei Avversari, e che si prenda
ancora l’incomodo di confrontare le citazioni, ch’io andrò
Giuseppe Merati Cherico Regolare Dimorante in Venezia sua patria, divisa in quattro parti.
262
Novelle letterarie per l’anno
MDCCLXVI,
tomo
XXVII,
nella stamperia di Gaetano
Albizzini, Firenze 1766, coll. 617-624 e 644-649.
263
Giovanni Battista Rodella, Vita costumi e scritti del conte Giammaria Mazzuchelli patrizio
bresciano, in Brescia per Giambatista Bossini, 1766.
– 204 –
Nella Lombardia Austriaca
facendo, giacché per la mancanza de’ libri non m’è lecito di ciò
fare.264
Più che l’oggettivo valore dei dati raccolti sulla vita di Folengo qui
interessano gli imbarazzi cui Gradenigo va incontro, che stupiscono
quando si consideri l’acribia con cui vagliava risultati solo apparentemente
concordanti dei documenti d’archivio, o il disincanto con cui sospettava
delle false date e degli elementi para- e peritestuali inseriti nelle
pubblicazioni a stampa. Certo è difficile mettere in discussione la
frequentazione “del celebre filosofo (e forse troppo celebre) Pietro
Pomponaccio Mantovano, che con grande riputazione leggeva allora
pubblicamente in Bologna [5v]”, attestata da troppe fonti, dal
“philosophastri baias sentire Peretti” o dall’ancor più esplicito
Dum Pomponazzus legit ergo Perettus et omnis
voltat Aristotelis magnos sotosopra librazzos,
carmina Merlinus secum macaronica pensat
et giurat nihil hac festivius arte trovari.265
ma a preoccupare non sono tanto la possibile contiguità con la scandalosa
eresia di Pomponazzi266, e la dubbia moralità giovanile di Folengo (negata,
264
ASMn, Patrii d’Arco, ms. 58, cc. 3 sgg., Gradenigo a Valenti, Chioggia 6 aprile 1767.
265
FOLENGO, Baldus, XXII, 123 e 129-132.
266
Anche se tecnicamente scorretta nel porre equivalenza o almeno consequenzialità tra
alessandrismo e luteranesimo (o più generici ideali erasmiani di riforma), l’idea che la
filosofia di Pomponazzi sia stata buon viatico alla ribellione contro la Chiesa è luogo
comunemente accettato. Ancora nel 1797 il giureconsulto mantovano Francesco Tonelli
(1727-1812) si sentiva in dovere di mostrarsi “persuaso che un Filosofo così dotto come
quel mio Concittadino sia stato incapace di cader in una follia cotanto inescusabile” (pp.
1-2), salvando orgoglio municipale e cattolica sottomissione nell’opuscolo Il Pomponazzi
vindicato in lettera di Francesco Tonelli giureconsulto collegiato mantovano ad un parroco di
campagna (Guastalla, nella regia stamperia di Salvatore Costa e Compagno, MDCCXCVII),
– 205 –
con la sua eterodossia, ancora in una dissertazione accademica del 1793267)
quanto piuttosto il tono grosso e buffonesco intrinsecamente connesso al
linguaggio maccheronico. La soluzione per salvare il buon nome dei
religiosi benedettini è più raffinata di quella proposta da Donesmondi268
(che voleva il Baldus composto al tempo degli studi universitari): sarebbe
stato Teofilo stesso che “conoscendo mal convenire a Persona Religiosa
quelle Poesie cercò dar ad intendere, che quando le compose era ancor
Secolare” procedendo contemporaneamente alla revisione dell’opera per la
Cipadense:
pensò di correggerla; e presala per mano, più limitata, più
gioconda, e meno rincrescevole la rese, togliendovi, o mettendo,
que’ passi, che potevano offendere, o portare scandalo a chi che
sia; e ridottala a tal segno la lasciò in mano di Francesco
Folengo, che la fece stampare colla Data di Cipada269
È lo stesso giudizio che si trova in Apostolo Zeno270 (citato a c.
12r), che ritiene la Maccaronica migliorata dall’esser meno mordace, ed è
alla fin fine il criterio seguito da Teranza nell’espungere i passi apparentemente dubbi.
che si risolve in una bibliografia ampia ma priva di impegno speculativo, neppure
dossografica, tuttavia interessante per le pubblicazioni contemporanee citate. Onesta la
conclusione, per la quale negare la (in-)dimostrabilità metafisica è altra cosa dal negare
l’esistenza.
267
GALLICO 1995.
268
DONESMONDI, Istoria ecclesiastica, II, p. 175.
269
Ivi, c. 3r, sottolineature nell’originale.
270
Biblioteca dell’eloquenza italiana di mons. Giusto Fontanini arcivescovo d’Ancira con le
annotazioni del signor Apostolo Zeno istorico e poeta cesareo cittadino veneziano, presso
Giambattista Paquali, Venezia MDCCLIII, vol. I.
– 206 –
Nella Lombardia Austriaca
Il testo
Il risultato finale e il senso complessivo della pubblicazione si
situano all’incrocio tra cura editoriale, interventi diretti sul testo, note di
commento inserite a piè di pagina, dizionario collocato al fondo del
secondo volume. Le note hanno un andamento didascalico e parafrastico
modulate sulla falsariga del commento ai Salmi del 1763, chiarire senza
troppo annoiare o affaticare il lettore: rimanendo pressoché prive di
disquisizioni teoriche sciolgono parecchie allusioni dotte di Folengo e sono
ben integrate col dizionario mantovano-toscano-latino. La presenza di
vocaboli assenti nelle maccheronee e la prefazione al vocabolario fanno
pensare che si tratti di un lavoro ideato parallelamente e adattato
all’occorrenza, incerto tra l’esigenza pratica quotidiana di tradurre dal
dialetto all’italiano/toscano271 e una più speculativa attenzione che
Teranza272 da tempo nutriva per le questioni di pronuncia e di storia della
lingua e per il folklore, ancora incline a cogliere più l’identità locale che il
pittoresco fine a se stesso. La pari dignità delle tre parlate è implicitamente
affermata nel constatarne l’imperfetta reciproca traducibilità e la mancanza
di corrispondenza tra le cose e le parole, che nelle varie lingue ‘ricoprono’
solo parzialmente le caratteristiche delle cose cui si approssimano per
difetto, senza che una lingua esaurisca più di altre gli elementi della realtà,
che è qui realtà molto concreta e rusticale di galline, vanghe, ortaggi. Non
manca l’ambizione di poter risalire al substrato propriamente autoctono del
mantovano: la lingua è in evoluzione diacronica, ma ai continui innesti
271
Esigenza che sarà dichiarata nel molto più ampio Vocabolario mantovano-italiano di
Francesco Cherubini, Milano, per Gio. Batista Bianchi & C.o, 1827. Arrivabene critica la
scarsa competenza linguistica di Bianchi, milanese immigrato a Ostiglia.
272
Che il dizionario sia lavoro di Teranza lo riferisce Cherubini nel suo Vocabolario … (p.
VII)
riportando una notizia di seconda mano.
– 207 –
(francesi quelli della moda più recente, barbari e latini i precedenti)
sopravvive un fondo originario dal quale è possibile in molti casi sottrarre i
prestiti sincronici provenienti dalle popolazioni vicine per risalire alla
parlata degli “antichi abitatori”, vestigio dell’etrusco. Era un dibattito che
alla fine degli anni ’60 andava esaurendosi, dopo i contributi di Muratori e
di Maffei, e quelli più modesti del gesuita Stanislao Bardetti, rettore del
collegio di Modena e autore di numerosi saggi, che Teranza mostra di
conoscere benché pubblicati postumi poco più tardi273.
Come già accennato, è nel ristabilimento del testo principale che
l’edizione Braglia si mostra più carente, nonostante la dichiarazione
d’intenti di Teranza
In hac itaque rerum obscuritate, et emendatius, ac
perfectius Opus per nos preferretur, omnes, quae magna cura
adhibita in manus nostras pervenerunt, Editiones, ita invicem
comparavimus, ut quae jure nobis emendatissima visa est,
potissimum sequamur, atque in ea ipsa, quae a Corruptorum
manu inferta visa sunt, ex aliis Editionibus supplendi curam
diligentissime adhibuerimus274
ma il rifiuto a-priori del grottesco, lo scempiamento delle pagine
introduttive, delle lettere editoriali, delle glosse marginali di Acquario
Lodola, la contaminazione fra Toscolana e Cipadense portano al risultato
273
De primi abitatori dell’Italia opera postuma del padre Stanislao Bardetti della
Compagnia di Gesu teologo di S. A. S. il signor Duca di Modena, in Modena nella
Stamperia di Giovanni Montanari, 1769. Della lingua de’ primi abitatori dell’Italia opera
postuma del padre Stanislao Bardetti della Compagnia di Gesù, in Modena presso la
Società Tipografica, 1772.
274
Benevolo lectori, p. 4.
– 208 –
Nella Lombardia Austriaca
stigmatizzato da Carlo Cordié275, che attribuisce alcune espunzioni a una
cautelativa autocensura per non irritare i revisori ecclesiastici.
Quest’ultima operazione non è così scontata, ed è forse il risultato
di un compromesso elaborato in corso d’opera barcamenandosi tra
pressioni che giungevano da parti opposte, quelle della rigida censura e
quelle di una stampa integrale affatto disobbediente alle prescrizioni
ecclesiastiche: ad ogni modo i versi eliminati sono raccolti in appendice a
ogni volume276 evidenzandoli più che nascondendoli, cosicché, pur
mancando i richiami nel testo principale, il lettore che volesse leggere una
raccolta di brani proibiti e censurati avrebbe poco da scartabellare. La
giustificazione che siano stati mantenuti per non vendere un ‘Merlino’
mutilo, dietro insistenza del tipografo277, è in evidente conflitto con
l’impegno di ristabilire il miglior testo e sintomo dell’impossibilità di
operare scelte non arbitrarie.
Nel Baldus è il caso ad esempio dei versi278 VI, 52-53
Et si forte fidem Christi renegare bisognat,
Nos Macometani cito deventabimus omnes
relegato in appendice, quando nel contesto279 assume valore iperbolico per
275
CORDIÉ 1950.
276
“Carmina / Ex Ollandico exemplari [cioè Napoli 1692] expuncta hic in unum collecta /
Lectorum oculis subijciuntur designatis / locis, in quibus omissa sunt”.
277
Ivi, p. 5: “quoniam Typographo visum est, ea ad calcem Libri colligere, ne causari ab
aliquo possit, mancum, et mutilum a nobis Merlinum exhiberi.”
278
Seguo la numerazione dell’ed.
UTET
1997 a cura di Mario Chiesa, da usare comunque
cum grano salis, per l’ovvia ragione che non è l’edizione su cui ha lavorato Teranza.
279
“Ne, Fracasse, nega tete summittere nostro / parero, nisi non salda ratione trovato. /
Prende duos tecum socios de gente Cipadae, / quos tu saepe trovas inimicos esse paurae, /
sumite corazzas, longumque piate viaggium, / deque zenoveso portu passate marinam, /
donec arivetis soldani ad regna Gurassi, / gens ubi guerrigeras iactat Mamalucca fadigas; /
tenta, facve provam per drittum, perque roversum, / si talem fortasse queas convertere
– 209 –
il forte contrasto suggerito tra la missione evangelizzatrice in Levante e gli
spropositi cui Cingar è disposto pur di ottenere vendetta; la battuta è
innocua e semmai allusiva all’innaturale alleanza tra Francesco I di Francia
e Solimano il Magnifico.
È tagliata anche la tirata per sostenere il rifiuto di devozioni e
reliquie, velato di iconoclastia, come pure rimossa è la polemica contro
l’eccessiva varietà delle regole religiose;280 e senza dubbio è soppresso
l’alfabeto illustrato di prete Iacopino, “quondam capelanus Arenae, in qua
doctas suas vaccas Verona governat” (VIII, 523-524), persona di rara
sconcezza e ignoranza che ha ottenuto gli ordini sacerdotali “da qualche
sciocco vescovo” pur non conoscendo il segno della croce. Temi di corrente
polemica antifratesca a inizio ’500, tollerati dalla Chiesa prima del
Tridentino e che a distanza di due secoli e mezzo sono ancora percepiti
come destabilizzanti e inopportuni al pari del criptico riferimento a Lutero
ed Erasmo della maccheronea VIII.281
Nel secondo volume sono rimossi ed indicati in appendice
sectam, / ad Christi non dico fidem sanctaeque Mariae, / sed mage convertas veniant hunc
struggere mundum, / ut neque tantini restet signale quadrelli. / At si forte velint et vos
renegare batesmum, / cur non? dum nostri fiat vendetta patroni, / nos Macometani cito
deventabimus omnes.” Baldus, VI, 38-53.
280
Cfr. al canto VIII, p. 217, v. 7. «Unde diavol», ait, «tanti venere capuzzi? / Non nisi per
mundum video portare capuzzos. / Quisque volat fieri frater, vult quisque capuzzum. /
Postquam giocarunt nummos, borsamque vodarunt, / postquam pane caret cophinus,
vinoque barillus, / in fratres properant, datur his extemplo capuzzus. / Undique sunt isti
fratres, istique capuzzi: / qui sint nescimus, discernere nemo valebit / tantas vestarum
foggias, tantos ve colores. / Sunt pars turchini, pars nigri, parsque morelli, / pars bianchi,
ruffi, pars grisi, parsque bretini. / Ipsorum tanta est passim variatio fratrum, / quod male
discerno quis Christi, quis Macometti. / Quantae stat coelo stellae, foiamina sylvis, /
tantae sunt normae fratrum, tantique capuzzi. / [… … …] / Nonne satis bastat sapientis
regula Christi?
281
Cfr. WALSER 1926. Cfr. anche il libro XXV.
– 210 –
Nella Lombardia Austriaca
l’imprecazione contro le imprese di Giove e le falsità della poesia pagana,282
di cui forse infastidisce la forma di litania, che ritroviamo anche nelle
fatiche di Ercole, parimenti espunte;283 mancano i nomi di Erasmo e
Lutero, e l’elenco di nomi fantasiosi di profeti, irriguardoso se non
dileggevole (p. 217), come mancano numerosi ‘prae’ e ‘praesbiter’ (VII), con
un procedimento che ricorda la moralizzazione di certe novelle del
Boccaccio.
Tanta disistima verso la Chiesa non può essere opera di un dotto
frate benedettino, e Teranza giustifica il libro, l’autore e se stesso
rifugiandosi dietro un ‘corruttore’ che avrebbe deturpato l’opera a fine ’500:
Imo in suspicionem inducimur, Macaronices Opus ad
finem saeculi decimi sexti in Corruptorem aliquem misere
incidisse, qui illud omnino deturpaverit. Movet ad id
judicandum plura prorsus inepta, & erudito viro indigna, quae
in posterioribus Editionibus partim inseruntur partim adnotantur. Hinc Romana censura Merlino Cocaj opus iure
confixum fuit, limitatione tamen apposita: Donec corrigatur.
Editionem itaque nostram, quae correctiones ipsas ab Auctore
saniori consilio adhibitas, oculis subiicit, illisque se conformat,
a censura immunem optimo iure censemus.284
282
Vol. II p. 341, che rinvia a XIX, p. 130, v. 26.
283
Cfr. libro XI e gli espunti “Qui sustentaret te … … … / Qui stans in cunis … … … /”
sino a “Sforzasti Alcmenam”.
284
Pars prima, p. XXIV.
Un tentativo di correzione, di cui mi sfuggono gli estremi, è attestato in ACDF, Decreta,
1610, cc. 536-537, 18 dicembre 1610 “Litteris inquisitoris Papiae datis die 20.a octobris
illustrissimi domini mandaverunt rescribi /// ut mittat unum exemplar correctionis operis
inscripti Merlini Cocai Macaronicorum”. In ACDF, Decreta, 1610-1611, c. 223v è
aggiunto “correctionis”.
– 211 –
Non poteva sfuggire al gesuita autore delle Decisiones che l’ ‘optimo
iure’ dipende anzitutto da un’autorità costituita che lo sancisce, sottraendolo al giudizio, razionale fin che si vuole ma pur sempre opinabile,
della Repubblica delle Lettere; vale a dire, Teranza sapeva benissimo che
questa autocensura preventiva non poteva sostituirsi al Sant’Uffizio. Il
quale la pensava allo stesso modo: l’informativa dell’inquisitore mantovano
arriva in congregazione a Roma il 21 gennaio 1767285, quando Braglia ha
già ricevuto una diffida inquisitoriale ma si è pure procurato autorizzazione
da Firmian. Viene classificata come ‘segreta’ e riceve immediata risposta:
gli eminentissimi hanno approvata la di lei ripugnanza alla
nuova Edizione del Poema di Merlin Coccajo, le ingiungono
pertanto di non concederne in verun modo la licenza allo
stampatore, e se dal signor conte di Firmian le venissero fatte
nuove premure replichi sempre la risposta già data, che ciò
eccederebbe i limiti del suo potere, perché il libro è
condannato, e fintanto che non sia corretto non se ne può
permetter la stampa; procuri poi di cercar mezzi di dissuadere
il medesimo signor conte di Firmian a non patrocinare
quest’opera, come indegna di portare il di lui nome, lo faccia
avvertire della oscenità, ed altro, che nel suddetto libbro
contiensi contrario al buon costume, e alla edificazione de
fedeli. Proponga finalmente, che se fosse emendato colla
legitima autorità, allora senza alcun ritardo potrebbe
nuovamente divulgarsi.
La strategia d’azione è chiara: per evitare la stampa, che resta
285
ACDF St. st., GG 5 e, fasc. I, dove un apposito fascicolo riunisce il carteggio ricorrendo
talvolta a trascrizioni e apponendo note con le decisioni prese durante le congregazioni.
– 212 –
Nella Lombardia Austriaca
sgradita, occorre allontanare i potentissimi appoggi di cui gode Braglia
facendo leva sul buon costume (argomento che a un governante poteva
interessare assai più di considerazioni teologiche e storiche, peraltro poco
percepite anche dagli ambienti ecclesiastici), in subordine accontentarsi di
una revisione del testo, purché approvata dalla censura ecclesiastica. C’era
dunque qualche margine per la trattativa, il cui esito sarebbe stato
influenzato in maniera determinante dalla scelta di revisori graditi a
entrambe le parti.
La risposta trasmessa dal barone Waters, presidente del magistrato
di Mantova, per conto di Firmian, che si era impegnato in prima persona, è
secca e stizzita: non era stata richiesta una formale autorizzazione, né si
pensava ad emendare il testo, ma semplicemente si cercava il modo di
lasciar circolare il libro senza espressi divieti, offrendo in cambio la falsa
indicazione del luogo di stampa e la rinuncia al foglio volante per
pubblicizzare la sottoscrizione d’acquisto anticipato. La situazione a padre
Mugiasca sembra comunque favorevole, “perché lo stampatore non ha
molto denaro, e chi lo assiste non è in istato di darli grande appoggio”286:
occorre quindi fare pressione al monastero di San Benedetto Po affinché il
priore padre Arcari, vicario locale del Sant’Ufficio, dissuada il padre
procuratore di Polirone dal sostenere economicamente l’impresa editoriale.
Don Anselmo Pangelini sarà messo alle strette solo due anni più tardi,
quando un atto presso il notaio Giuseppe Stuani287 scrive nero su bianco
286
ACDF, St. st., GG 5 e, 18 febbraio 1767.
287
Don Anselmo Pangelini aveva all’attivo anche una truffa a danno di prestatori ebrei,
che gli avevano anticipato denaro in cambio di una partita di grano mai consegnato
(GIUSTI 2005).
L’atto relativo a Braglia in ASMn, Notarile, b. 8861, notaio Giuseppe Stuani, 17 aprile
1769: “Andando debitore il Molto Reverendo Padre Don Anselmo Pangelini,
Procuratore, e Monaco Cassinese, di lire due mille ottocento di questa moneta verso il
– 213 –
che i debiti erano stati contratti per conto di Braglia, che ne diviene l’unico
responsabile.
L’ipotesi di una edizione approvata del ‘Merlino’ è sfumata, e la
priorità ora è non irritare ulteriormente il temutissimo Firmian, la cui
caparbietà era stata saggiata durante il lungo contrasto del 1762-64 per la
nomina del vescovo de la Puebla: “non dovrà ella scrivere altro sù ciò al
signor Conte di Firmian, ma lasciare ogni carteggio, il quale potrebbe o
apportare nuovi impedimenti, o produrre altri inconvenienti” ordinano da
Roma il 18 febbraio, dando avvio a un teatrino di finzioni e doppiezze288,
Nobile Signor Ignazio Zanardi del Sacro Romano Impero Conte di Virgiliana; di lire due
mille ottocento sessant’otto verso il Signor Giovanni Battista Storoli[?] detto Zanolini; di
lire quattro mille quattrocento verso il Signor Mattia Zanelli; di lire tre mille cinquecento
verso il Signor Paolo Pellegri; e di lire dieciotto mille settecento verso gli Ebrei Bonajuto
Vita, e Fratelli Carpi: Ed avendo egli contratto tutti li premessi debiti a puro comodo, per
interesse, e vantaggio del Signor Giuseppe Braglia, per provvedergli cioè Torchi,
Caratteri, Rami, Carta, e quant’altro è occorso a formare la Stamperia, che attualmente
tiene aperta in questa Città all’Insegna di Virgilio vicino a San Maurizio, con espressa
preambolare intelligenza però, che tutti li premessi Signori Creditori sieno al più presto,
che sia possibile, pienamente tacitati, com’è di tutto dovere, si è perciò di comune
consenso divenuto alla Celebrazione del presente Instromento.
Quivi adunque il nominato Signor Giuseppe Braglia del quondam Gaetano, mantovano,
ed abitante nella Contrada del Cigno, riconoscendo, e confessando per vero verissimo il
sopra esposto da detto Padre Procuratore Pangelini, e quindi spontaneamente, e di moto
proprio accollandosi tutti, e s singoli li premessi Debiti come suoi propri, avvegnacché fatti
con piena sua intelligenza, e consenso, e a puro suo riguardo, ed interesse, per se, e suoi
eredi hà promesso, e promette, che espressamente si obbliga a totale indennità, e sollievo
di detto Padre Pangelini di rendere sodisfatti, e tacitati tutti, e singoli li premessi Signori
Creditori né tempi, e modo seguenti [… … …] Promette finalmente, e si obbliga esso
Signor Giuseppe Braglia di tenere mai sempre indennizzato detto Padre Don Anselmo
Pangelini da ogni qualunque danno, spesa, e molestia patir potesse per causa, e motivi di
detti Debiti, e di riportare all’atto di ogni, e cadaun pagamento le opportune quietanze in
forma a rispettiva indennità, e cauzione.”
288
Un “doppio binario”, come scrive DALLASTA 2011, che anni più tardi fu utilissimo nei
– 214 –
Nella Lombardia Austriaca
per cui le autorità approvano e patrocinano la stampa, ma non pubblicamente, la congregazione è di tutto informata per via ufficiale, ma decreta
che il commissario scriva privatamente a Mantova, affinché il Sant’Uffizio
non appaia “consenziente, ma solo ignorante” qualora il sabotaggio
fallisse289, l’inquisitore locale rinuncia alle procedure formali290, ma opera
per distogliere i finanziatori (risultato che sembra acquisito verso la fine del
mese) e ottiene dal barone Waters la proibizione dell’avviso per la
sottoscrizione. “Levati tali sussidii all’impressore, il quale è assai povero,” il
libro non sarà certamente pubblicato, neppure sotto la falsa data di qualche
città protestante.
tentativi di ripristinare l’inquisizione a Parma proprio grazie all’aiuto di padre Mugiasca,
tramite della corrispondenza segreta, con falsi indirizzi e inchiostri simpatici, tra Parma e
Roma.
289
ACDF, St. st.,
GG
5 e, “Feria
IV
die 18 febbruarii 1767 / Eminentissimi Domini
rescripserunt relata, et ad mentem, mens est ut Pater Commissarius privatim scribat
Inquisitori, quod si nulla ratione prohiberi possit impressio Merlini Coccai typis
adulterinis, et typographus a comite Firmian patrocinatur, dissimulet. / L. Antonellus
Assessor.”
290
ACDF, St. st.,
GG
5 e, “Copia di lettera scritta del Santo Offizio al Padre Mugiasca
Inquisitore di Mantova in data li 22 febraro 1767”: “Ammettono gli Eminentissimi
Padroni Inquisitori Generali di rescrivere a Vostra Paternità Molto Reverenda sul
proposito della ristampa, che costà si medita dell’opera proibita di Melino Cocaj, che ella
procuri con tutti li modi possibili ed adattabili al Caso (sicche però non avvenga
impuntamento, o mal maggiore) di impedire e frastornare tale ristampa. Qualora poi non
le venga fatto di impedirla, e la ristampa si faccia colla falsa data di Amsterdam, ella
dissimuli, e mostri di non saperlo. Si spera, che la di lei prudenza saprà diriggere l’affare
per modo che o riesca l’intendimento senza che si possa di lei, e del Santo Offizio dolere il
signor Conte di Firmian, che si suppone patrocinatore della ristampa; o almeno, se la
ristampa si eseguisse, possa restare al coperto il medesimo Sant’Offizio, sicche non
comparisca consenziente, mà solo ignorante di quanto sù ciò accade. Il tutto si otterrà
quando ella sù questo fatto operi sotto mano, senza esporsi. E con desiderio di servirla, le
bacio le mani.”
– 215 –
Anche Braglia aveva lasciato intendere di aderire ai termini
dell’accordo concluso sottobanco (nessun ostacolo dichiarato da parte del
Sant’Uffizio, nessuna pubblicità da parte del tipografo), ma esce comunque
con un “Avviso agli amatori di belle lettere” in cui si annuncia l’imminente
pubblicazione ad Amsterdam (ma datato Mantova, primo febbraio 1767) e
spedito ai librai di Venezia, Milano e Parma con l’autorizzazione (così
almeno dichiara) di Waters e Firmian.
Allegando esemplare del foglio volante, padre Mugiasca scrive a
Roma che la situazione non è così nera come sembra e che a metà febbraio
erano state raccolte soltanto 40 sottoscrizioni al prezzo – elevato – di 24
paoli.291 Difficile tracciare un profilo dei sottoscrittori, sappiamo però che
copia del libro non mancava nella biblioteca di Waters né in quella,
vastissima e celebre, di Firmian,292 i quali sono ormai diventati garanti
291
Precisa la gazzetta mantovana del 2 dicembre 1768: “Il primo Tomo si vende sciolto
paoli 17., ed agli Associati si dà a paoli 12., con questo però, che alla consegna del primo
Tomo pagano anche il secondo, che loro si promette nel prossimo Aprile, cioè paoli 24.”
292
Catalogo della biblioteca del fu sig. Barone don Giorgio de Waters, Consigliere di stato di
S.M.I.R.A.
e Presidente emerito del cessato Supremo Consiglio di Giustizia in Mantova,
Mantova 1789: sono testi di “giurisprudenza civile canonica e criminale, di diritto naturale
e pubblico ec.” le voci numerate da 1583 a 2671, le precedenti invece sono “libri teologici,
politici, storici, critici, filologici, e di belle lettere” tra cui al numero “601 - 2 FOLENGI
(Tehophili) [!] vulgo Merlini Cocaii, Opus Macaronicum notis illustratum. Tomi
II.
Amstelodami (Mantuae) 1768-71. 4 fig.”.
Bibliotheca Firmiana sive thesaurus librorum quem […] Carolus a Firmian […] magnis
sumptibus collegit, Typis Imperialis Monasterii S. Ambrosii Majoris, Milano 1783, vol.
V
Litterae humaniores, auctores classici antiqui, et polygraphia, p. 90: “e 299 FOLENGUS
Theophilus, vulgo Merlinus Coccajus – Opus macaronicum notis illustratum ; cui accessit
Vocabularium vernaculum, Etruscum, & Lat. Pars I.: praecedit Tractatus de Auctoris reb.
gestis, & scriptis, cum Icone Folengi, & aliis fig. Amstelod., Mantuanus 1768. 4. Pars II.
deest.
In entrambi i casi la falsa data è sciolta senza cautele.
– 216 –
Nella Lombardia Austriaca
dell’impresa, che in caso di fallimento danneggerebbe la loro reputazione.
Resta ormai poco da fare:
È rimasta veramente
sorpresa anche questa S.
Congregazione, che dopo la parola data a V. R. che la nota
opera di Merlin Coccajo si sarebbe stampata segretissimamente, e colla finta data di Amsterdam, siasi poi divulgato
il Manifesto dello Stampatore Giuseppe Braglia, dal quale può
ben ognuno facilmente ravvisare, che l’opera si stamperà in
Mantova, e che la data di Amsterdam non è che una pura
coperta per tenere a bada il Santo Offizio. In questo stato di
cose non si può più far certamente uso della dissimulazione,
che per ordine di questa Sacra Congregazione le fu suggerita
dal Padre Commissario colla lettera dei 21 Febbraio scorso.
Dall’altra parte però vedendosi impegnati a sostenere
l’Edizione di quell’Opera il Signor Conte di Firmian, e il
Signor Barone di Valres non sarebbe cosa prudente l’opporsi
direttamente per parte dell’Inquisizione /// al loro impegno.
Continui per tanto V. R. tutte quelle Pratiche, e privati uffici,
che la sua prudenza, e le circostanze le suggeriscono per
togliere allo Stampatore i mezzi di eseguire la detta Stampa,
ma quando poi ciò non le potesse riuscire Ella chiami a se lo
Stampatore, gli rammemori il suo dovere, e le Leggi, alle quali
è soggetto prima di dare alle Stampe qualch’opera, e col
pungente stimolo dell’incorso nelle Censure, quando si faccia
trasgressore delle medesime Leggi, lo faccia ravvedere, e lo
frastorni dal mal consigliato Progetto.293
293
ACDF, St. st., GG 5 e, “P. Inquisitore {Novara} <Mantova> / 14 Marzo 1767”.
– 217 –
Gli avvertimenti rimasero inascoltati e di lì a due anni la prudente
circospezione della Suprema permetterà almeno una dignitosa ritirata:
verso la fine del 1768, quando nella Lombardia Austriaca era stata proibita
la bolla In coena Domini e la censura di Stato stava per sostituire quella del
Sant’Uffizio, esce il primo volume dell’opera maccheronica, che esibisce
sfacciatamente nel frontespizio la falsificazione dell’ ‘Amstelodami’
affiancata dal nome dello stampatore e dalla sua insegna, un riconoscibilissimo Virgilio. Il secondo volume, promesso per l’aprile del 1769,
tarderà altri due anni:
jamdudum
promissus,
tamdiu
expectatus,
et
pluribus,
diversisque rerum circumstantiis protractus. In lucem prodit;
sed qui ejusdem sponsor fuerat, non idem quod strenue
spoponderat, demum potuit efficere.294
294
Prefazione al secondo volume.
– 218 –
L’organizzazione del tribunale
Edificio e inventario
Alla soppressione del tribunale i frati del contiguo convento di San
Domenico, e il priore in particolare, non perdono l’occasione di
rimpinguare i propri beni, recuperando gli utili della possessione agricola
presso la frazione di San Silvestro e annettendosi l’intero edificio del
tribunale, facendo valere l’atto di donazione dei terreni1 risalente al tempo
di Pio V. La costruzione era ricordata da una lapide murata sulla facciata
del portico prospiciente la chiesa di San Domenico:
Gregorio XIII P. M. et Ser. Guilelmo
Duce Mantuæ et Montisferrati regnante
Ædificium hoc studio M. R. P. F. Julij Doffi
Inquisitionis Mantuæ sic expletum ac decoratum
fuit MDLXXIX. Mense Octobris.
L’edificio2 doveva essere in discrete condizioni: nel 1739 era stata
bonificata una camera utilizzata per stendere i panni, realizzata
frettolosamente e senza i telai delle finestre;3 dai riepiloghi contabili degli
1
ASMn, DU II, b. 52, c. 34: la “Memoria da unirsi all’inventario” (6 maggio 1782) ricorda
la donazione del terreno all’Inquisizione, perché edificasse il suo ufficio, secondo quanto
registrato dal notaio Federico Oppiani il 10 ottobre 1568.
2
ASMn,
DU II,
b. 52, c. 34, trascritta con qualche imprecisione anche in ASMn, Patrii
D’Arco, b. 228.
3
ACDF, St. st., GG 5 e, l’inquisitore di Mantova a Roma, 14 agosto 1739: “Per prevenire
ogni grave disordine, che in suo pregiudizio minaccia la fabrica di questo S. Ufficio
umiglio alle Reverendissime Eccellenze Vostre la notizia, che essendo sopra detta fabrica
una camera isolata di maggiore altezza, la quale è poco ben fondata, composta di mattoni
uniti con pura malta senza esserne, né di fuori né di dentro imboccata con calcina, con
– 219 –
anni ’60 e ’70 risultano piccole spese per la manutenzione alle opere
murarie, in parte riferibili anche alle abitazioni cittadine di cui il Tribunale
disponeva e che affittava a privati. Altri lavori erano stati condotti nel 1779,
dopo un incendio che aveva minacciati fienile e legnaia, rischiando di
diventare incontrollabile: grazie all’intervento di soldati muniti di moderne
“trombe di cuoio dutili” i danni erano stati limitati alla camera del vicario;
dalla descrizione pare di capire fosse una superfetazione che non “faceva
tetto” con il palazzo vero e proprio, cui era addossata.4 Anche padre
Mugiasca, al momento della soppressione, ricorda più volte le spese
effettuate di tasca propria per migliorare l’arredamento o per ripulire o
indorare le cornici dei quadri.
Le cinque camere per piano5 – a quello inferiore le prigioni e al
superiore gli uffici – erano allineate lungo un corridoio a sua volta
comunicante con il porticato prospiciente la chiesa di San Domenico. Si
definiva così lo spazio pubblico del convento, un cortile rettangolare che
vedeva la chiesa e il tribunale affrontati sui lati lunghi e l’accesso ‘civile’ al
convento o l’uscita in strada sui lati corti. Verso il retro del palazzo
affacciavano cucina e dispensa, delimitando la corte destinata alle legnaie,
al fienile e alle scuderie, cui si accedeva dalla “porta rustica” o dal grande
prato di proprietà del convento. Nella pianta prospettica di Bertazzolo
(1628) o nella mappa del catasto teresiano relativa alla parrocchia di San
Silvestro si leggono più nitidamente i rapporti dell’edificio con il complesso
molte finestre senz’alcun telaro o altro, che la difendino dall’acqua”. Sul foglio è annotata
l’autorizzazione alla spesa concessa venerdì 21 agosto 1739. La necessità di riparare i
soffitti di imprecisati “stanzini superiori” era già stata segnalata nel 1721.
4
ACDF, St. st.,
GG
5 e, 7 marzo 1779. L’inquisitore desidera giustificarsi presso la
Congregazione per aver consentito l’ingresso nel convento di estranei e soldati.
5
ASMn, riprodotte in VAINI (CUR.) 1980. La pianta del convento con la trascrizione delle
didascalie alle pp. 76-77; la pianta della parrocchia di San Silvestro a p. 192.
– 220 –
L’organizzazione del tribunale
domenicano, addossato al Rio, in uno dei primi ampliamenti della città.
Le rarissime immagini fotografiche rimasteci6 non sembrano
accordarsi con la descrizione settecentesca del palazzo che – grandioso e
“fabbricato con magnificenza” – mostrava un decoro formato dai consueti
arredi di rappresentanza, non dissimili da quelli di Milano o Modena:7
quadri di soggetto religioso, tra cui gli immancabili “San Domenico, San
Pio, San Pietro Martire”, “santi fatti in Stampa di Augusta”, affiancati da
semplici soprausci dipinti a frutta o a paesi con marine, carte geografiche
rappresentanti le parti del mondo, lo stemma dipinto di Clemente
(laddove sarebbe lecito attendersi quello di Pio
VI)
XIV
e un san Tommaso
raffigurato come fonte della sapienza, appoggiato “simbolicamente sopra
una fontana alla quale bevono Pontefici Cardinali Vescovi Religiosi”8. Non
conosciamo i soggetti raffigurati nella “Galleria, tutta dipinta a fresco”, vi
erano però anche “4 quadri in tela con dipinti degli alberi con suoi scudetti
ed ivi inscritti i nomi de’ passati fino al presente Padre Inquisitore”, le
cornici tinte in nero e filetti oro (come avevano tutte le pitture di pregio
enumerate nell’inventario).
La pala d’altare della Cappellina, sempre al piano nobile,
rappresenta la Sacra Famiglia, mentre la galleria del piano superiore
esibisce i territori e i paesi di giurisdizione del tribunale, introducendo alla
“libreria ed insieme archivio della Inquisizione”, dove sei armadi
contengono i libri e quei processi ancora esistenti. L’accortezza di
6
Gli edifici dei domenicani, durante il Regno d’Italia sede della caserma “Landucci”,
furono demoliti nel 1924. Le fotografie coeve mostrano quasi esclusivamente la chiesa, ad
eccezione della A56 del fondo “Stennio Defendi” presso l’Archivio Storico del Comune di
Mantova, che inquadra il palazzo dell’ex-tribunale dal retro, restituendone i volumi
(SIRBeC, IMM-2s010-0003013).
7
Cfr. PEDRAZZINI 2007.
8
ACDF, GG 4 a, 13 giugno 1782.
– 221 –
suggellare con una cordella gli armadi, e il gran caldo che “impedisce a far
qualunque cosa”9 ci hanno privato del catalogo10, che avrebbe forse
permesso di identificare l’origine di alcuni testi a stampa e manoscritti
presenti tutt’ora in biblioteca Teresiana. Come accennato è vaga anche
l’indicazione di quanto consegnato da padre Mugiasca ai domenicani:
Alcuni mobili di qualche pregio, che sono 3 pianete di
Damasco con guarnizione di oro fino, alcuni quadri di buon
autore, e libri che sono di qualche merito, li darò con ricevuta
al Superiore di questo Convento, perché restino alla
disposizione delle Eccellenze Loro.11
Al decoro dell’insieme stona un poco l’incongrua presenza di “due
quadri soprausci con un principessa e un principe della famiglia de Duchi
di Mantova”, mentre le “4 camerette, che servivano un tempo per Prigioni
agl’Inquisiti, ma che sono ad uso di dispensa”, segnalano quanto sia
offuscata l’autorità del tribunale. Vi corrisponde il numero esiguo dei
familiari del padre Inquisitore, tre in tutto: un fratello laico domenicano,
un cameriere, e un ‘carrocciere secolare’. L’inquisitore pranza abitualmente
con gli altri frati, e provvede con la sua rendita a non gravare sul
convento.12
9
ACDF,
GG
4 a, 25 luglio 1782. Così scrive a Roma padre Rizzini, probabilmente
disaffezionato al lavoro anche per la mancanza di prospettive di carriera, o almeno di una
buonuscita o un vitalizio come quello concesso al titolare.
10
Per un’idea di massima cfr. CERIOTTI 2006.
11
ACDF, GG 4 a, 27 aprile 1782, l’inquisitore Mugiasca a Roma; relata in congregazione
l’8 maggio.
12
ASMn,
DU II,
b. 52, c. 34, 6 maggio 1782. Situazione simile a quella di padre Belotti,
inquisitore dal 1736 al 1739, che viveva in convento e disponeva di un solo ‘famulus’
(AStDMn, Curia Vescovile, Relazioni di Enti ecclesiastici e ordini religiosi a Mantova e nel
Mantovano, b. 4).
– 222 –
L’organizzazione del tribunale
Il tribunale e il convento domenicano (la veduta è immaginata da nord est);
da: Gabriele Bertazzolo, Urbis Mantuae descriptio, Mantova 1628.
La facciata posteriore del tribunale in uno scatto del 1924;
da: SIRBeC, IMM-2s010-0003013.
– 223 –
Consultori e vicari
Oltre agli informatori occasionali, di solito parroci che hanno
scrupoli legali o di coscienza, oppure notabili di simpatie conservatrici e
introdotti nelle magistrature cittadine, la rete di collaboratori del
Sant’Ufficio è completata dai vicari foranei e dai consultori. Questi ultimi
provengono dall’ambito delle professioni liberali o dai religiosi regolari di
grado più alto, maestri di teologia o laureati in utroque, spesso residenti nel
capoluogo e provvisti anche di incarichi dipendenti dalla corte. Nel 1609
troviamo ad esempio citato come consultore Gian Giacomo del Lago1,
senatore, che ottiene un particolare permesso di lettura. Un cenno fa
pensare che almeno alcune cariche fossero attribuite d’ufficio: nel 1745, con
l’aggregazione del Ducato a quello di Milano e con la conseguente
soppressione del Senato, occorre trovare un nuovo giudice delle cause civili,
“che dal 1694 era il presidente del Senato”.2
È priore benedettino di Polirone Innocenzo Cesi, dottore teologo e
consultore dei libri (1698)3, teatino il consultore teologico padre Galanti4
1
ACDF, Decreta, 1609, c. 94, 6 marzo 1609. Il Senato era organismo giuridico.
2
ACDF, St. st.,
GG
5 e, 26 marzo 1745. La congregazione approva la scelta del senatore
Biscosa da Milano, cioè il podestà appena insediatosi inviato dal governo milanese.
3
ACDF, St. st.,
I
4 g, fasc. 20, 29 agosto 1609. Padre Innocenzo avanza una serie di
difficoltà, emendabili con un poco di lavoro, contro un libretto sulla storia del
Preziosissimo Sangue che don Giovanni Battista Melchiorri, arciprete di Castiglione
Mantovano, vorrebbe dare alle stampe.
4
ACDF, Tituli librorum, 1722-1728, fasc. 181. “Tolto via tutto ciò, che potesse mai esser
disapprovato” si esprime a favore della Vita della gran Serva di Dio la madre suor’Anna
Beatrice Manfreddi, prima Badessa dele cappuccine di Mantova, scritta dal sacerdote
Giovanbattista Pasotti. Il 29 settembre 1728 la Congregazione concede l’imprimatur,
purché non si usi il titolo ‘venerabile’. Sarà stampato a San Benedetto l’anno successivo da
Alberto Pazzoni.
– 224 –
L’organizzazione del tribunale
(1728), mentre è francescano frate Gianni Eustachio, consultore dei libri
ebraici5 (1756); un incarico non sempre facile da assegnare, visto che nel
1721 padre Visconti non era riuscito a trovare neppure un cristiano che
sapesse la loro lingua e potesse servire da revisore, lacuna questa che si
trascinava da tempo. Scrive infatti a Roma che
Per il passato li miei Antecessori hanno passato la
stampa de’ loro libri Rituali, e Sonetti con la semplice
attestazione del Rabino Leon Brielli6, uomo quasi ottuagenario
appresso questi ebrei in gran stima, e per la sua rettitudine
morale ancora appresso questa Città […]7
ricevendo l’ordine di proibire le stampe e di spedire i testi a Bologna o
Ferrara.
Esclusivamente religiosi sono i vicari: scelti in qualche convento se
disponibili, oppure – ‘per non esservi altro’ – tra i parroci, reclutati
malvolentieri e in deroga alle raccomandazioni romane; sembra una scelta
di ripiego anche l’incarico assegnato a Giovanni Battista Romagnoli, che
nel 1743 chiede con insistenza di poter rinunciare all’incarico, stanti i suoi
76 anni compiuti.8 Del resto l’alternativa era lasciare i posti vacanti, come
accadeva ancor più frequentemente per mandatari e notai: nel 1650 a
Guastalla si accetta che il notaio dell’abate esegua doppia funzione,9 nel
5
Cfr. le pagine relative all’ampliamento della sinagoga Cases.
6
Judah ben Eliezer Briel (1643 c.a - 6 ab (20 luglio) 1722). Trascorse la vita a Mantova,
dove suo padre si era stabilito nel 1639. È ricordato come autore di numerosi scritti, tra
cui testi polemici contro il cristianesimo e traduzioni verso l’italiano. Cfr. SIMONSOHN
1977 pp. 698-699 e passim.
7
ACDF, Tituli librorum 1710-1721, fasc. 140, 28 novembre 1721; risposta da Roma il 10
dicembre.
8
9
ACDF, St. st., H 2 g, fasc. 3, 5 aprile 1743.
ACDF, Decreta, 1650, c. 135r, 14 settembre 1650. “Circa Personam Josephi Boiani
– 225 –
1667 i posti vacanti sono circa 30, nel 1668 i benedettini rifiutano gli
incarichi sia a San Benedetto che a Goito (su pressione della corte?); nel
1669 i vacanti si riducono a 21, ma sono ancora 20 i vicari scelti tra gli
arcipreti, nel 1670 infine i ruoli vengono ampliati, col risultato di portare a
39 gli incarichi scoperti e a 21 i parroci.10 L’impressione complessiva è di
trovarsi di fronte a una tigre di carta, le cui ambizioni erano ben lontane
dalle reali possibilità, perlomeno quando si trattava di sostituire la
repressione verso gruppi mirati a un generale controllo della società, che –
quando è avvenuto – si è giovato del volonteroso aiuto di altri centri di
potere, che per comunanza di interessi o per abile mercanteggiamento
hanno condiviso gli obiettivi intermedi del Sant’Uffizio. Queste considerazioni non escludono cautela, a partire da un’indebita retrodatazione dei
numeri al Cinquecento, sino a ricordare che il braccio secolare era
tendenzialmente collaborativo (e sulla maggior parte degli arresti non
muoveva obiezione alcuna), o che cifre precise, analitiche e di lungo
periodo sulla repressione operata dalla giustizia inquisitoriale (confrontata
con la coeva giustizia laica) non ci sono, né ci saranno mai. Del resto, se
spostiamo la nostra attenzione sulla percezione che i contemporanei
avevano di questo controllo subito e imposto, sulla loro possibilità di vivere
un quieto compromesso fatto di nicodemismo o di autocensura o
addirittura di accettazione interiorizzata delle regole, allora sfuma la
Notarij Sancti Officij, qui etiam exercet pro Notario Abbati, dum ibidem non reperiatur
Persona quam idem Abbas uti possit pro Notario, potest exercere utrumque Officium.
Coeterum curet [l’inquisitore di Faenza] sedare controvertias, et monere ministros Sancti
Officij, ut debitum respectum exibeant dicto Abbati, qui est Ordinarius Guastallae.”
10
ACDF, St. st.,
GG
5 e. Non a fianco di ogni parroco è indicato “per non esservi altro”.
Si potrebbe supporre che la dicitura significhi un giudizio negativo sulle capacità del
parroco, tuttavia mi pare più economico pensare a una sbrigativa approssimazione
dell’inquisitore nel compilare la nota da inviare a Roma.
– 226 –
L’organizzazione del tribunale
necessità di compilare minuziosi cataloghi centralizzati di inquisiti, martiri
e criminali (forse l’arma più efficace nelle mani degli inquisitori) e la
filologia estrema dell’esattezza si stempera nel quantitativamente
indeterminato dei ‘molti’, ‘pochi’, ‘abbastanza’.
Il generale riordino progettato poco dopo la metà ’600 cerca di
ridurre il numero dei familiari ritirando numerose patenti tra lo Stato
Ecclesiastico e l’alta Italia,11 ma nessuna a Mantova, che probabilmente
soffriva non per il numero complessivo esorbitante, ma per una cattiva
distribuzione sul territorio delle cariche. Pochi anni più tardi però, nel
1666, padre Granara, appena giunto a Mantova, ancora inconsapevole della
tempestosa stagione che l’attende, scrive
nel mio ingresso levai molte patenti di Provicarii, e Pronotari
come non necessarii; et altre ancora de vicarii non residenti, et
ogni cosa ridutto al numero preciso di sua necessità. La quale
pure mi hà costretto a fare vicarii foranei molti Arcipreti come
vedranno dalla suddetta nota per non esservi altre persone
sufficienti. In molti altri luoghi non ho trovato a chi dar
l’ufficio di notaro, né di vicario.12
Il tentativo di razionalizzare l’ ‘organigramma istituzionale’ si
scontra con un contado poco popolato, religiosamente e culturalmente
insufficiente, a eccezione di San Benedetto, di Guastalla13 e di pochi altri
11
ACDF, St. st.,
Q
3 d, cc. 638-658. Cfr. BRAMBILLA 2006, pp. 109-117, che segnala
come il progetto di riforma pontificio del 1658-59 proponesse la revoca di 658 patenti di
porto d’armi; in ogni caso la rete di giudici e consultori non si sarebbe assottigliata nel
corso del ’700.
12
13
ACDF, St. st., GG 5 e, 16 ottobre 1666.
Dove nel 1650 il vicario tiene scuola di grammatica per i ragazzini, occupazione
incompatibile con il proprio incarico, a meno che non si tratti della lettura di filosofia.
ACDF, Decreta, 1650, c. 109, 27 luglio 1650 “decretum scriberi Inquisitori Mantuae, qui
– 227 –
centri; troviamo invece la tabella completamente compilata nel 1714. A
Guastalla, capitale in sedicesimo, signoria autonoma e diocesi nullius retta
dall’abate preposto alla collegiata, il Sant’Ufficio schiera anche un
consultore fiscale e un avvocato, ma nei paesi del ducato si tratta di
recuperare oltre al vicario solo un’altra persona che svolga il ruolo di notaio,
il mandatario è presente di rado. Gli incarichi restano però poco allettanti e
gli scarsi benefici che ne derivano possono essere ottenuti a miglior prezzo
Poiché non havendo altro premio che di portar l’armi, il
che si conseguisce per quanto intendo dalla Corte con pochi
soldi, quelli che non si muovono per zelo di Dio, e per servire
il suo Tribunale della fede, non se ne curano. E io ho
parimente osservato come alcuni che chiedevano quello di
Mandatario, non erano persone da servire prontamente in
tempo di necessità.14
Sembra però che il porto d’armi fosse soggetto a minori limitazioni
rispetto a quello acquisibile dai comuni cittadini:
dal foro laicale si pretende, che le pistole siano di misura, cioè
nove oncie [… ma …] la pratica antica è che non vi siano
curet, Vicarium Sancti Officii Guastallae dimitti scholam Grammaticae, vel illi tollat
litteras Patentes Vicariatus Sancti Officii”. Il caso si trascinerà per qualche settimana,
combinando l’insofferenza dell’abate di Guastalla per l’autorità dell’ufficio mantovano con
antipatie tutte locali, sino a richiedere l’intervento dell’inquisitore di Faenza, incaricato
(decreto del 9 agosto 1650) di comporre una rissa, nel frattempo avvenuta in Capitolo, tra
notaio e vicario (rispettivamente don Felice Baruffine, arciprete e don Girolamo Filippo,
arcidiacono della Collegiata). L’inquisitore di Mantova infine inoltrerà a Roma la richiesta
per togliere loro le patenti. “Tollat patentes” sarà la secca risposta.
14
ACDF, St. st., GG 5 e, 16 ottobre 1666.
– 228 –
L’organizzazione del tribunale
limitazioni di armi […] come si può vedere nel 1615 e
nel 1631.15
Perdere lo status acquisito di patentato è comunque percepito come
una diminuzione del proprio prestigio,16 come lamenta il vicario don
Ludovico Longanini, rettore della parrocchiale a Motteggiana, che scrive
direttamente a Roma “a tutela del suo onore”, (15 gennaio 1712), o come
segnala la contemporanea supplica del “popolo della terra di Medole,
vicariato di Castiglione”, che chiede siano assegnati i posti “per li consueti
ministri del Santo Offizio” (14 ottobre 1712). Similmente nel 1667
l’inquisitore aveva concesso la patente a Gaspare Biasini in segno di
gratifica per i servizi svolti, derogando dalla rigida attribuzione prevista per
gli incarichi ufficiali.
Controllare gli usurpatori che millantavano la propria appartenenza
alla famiglia dell’inquisitore o i patentati medesimi17 era già di per sé
un’impegnativa occupazione: contro di loro a Guastalla si contano una
dozzina di procedure solo negli anni ’80 del ’600, mentre una decina
riguardano Mantova tra il 1660 e il 1720.
Discontinuo l’uso effettivo del privilegio di foro: nel 1616, durante
un processo per scambio di archibugiate, la corte laica omette ‘per ordine
preciso di Sua Altezza’ i nomi di Giuseppe Fracassi di Ostiglia,
mandatario, e dei suoi due soci. Tenta di servirsi della propria qualifica di
provicario anche don Valeriano Gianorsi, che denuncia a Roma di essere
stato incarcerato come perturbatore della quiete dietro istigazione
15
ACDF, St. st., GG 5 e, 27 settembre 1720.
16
ACDF, St. st., GG 5 e.
17
ACDF, Privilegia, 1669-1699, fasc. 27, Mantova. Dubium an causa eorum qui se fingens
officiales S. Officii, cum non sint et committant aliquod delictum non spectans ad S. Officium
debeat cognosci de iure privative a S. Officio (1670).
– 229 –
dell’arciprete di Reggiolo, poiché “de mandato Inquisitoris affixit edicta
Sancti Officii super ianuam eius Parochialis”; sarà completamente smentito
dal vescovo di Reggio e affidato a una corte episcopale, restando
l’inquisitore semplice spettatore.18
Nel 1677 il mandatario di Suzzara è processato presso il
Sant’Offizio per ‘termini ingiuriosi’ (casi simili nel 1675 a Casale
Monferrato, nel 1670, nel 1713 – ‘con uso di spada’ – ), mentre a Guastalla
nel 165019 e nel 1675 le patenti erano state prontamente revocate per
permettere nel primo caso una punizione comminata dell’abate ordinario
del luogo e nel secondo caso il processo presso la magistratura del
principe.20
Il Sant’Ufficio rinuncerà alla sua giurisdizione anche in un caso
opposto, quando al patentato era toccato il ruolo di vittima: nel 1664 a
Guastalla l’abate aveva iniziato un processo
contra illos, qui lethaliter vulneraverunt quemdam fratrem
Ordinis Servorum contra quos Inquisitor Mantuae procedere
intendit, quia dicto frater est Notarius Sancti Offici. Ideo petit
declarari ad quem spectat cognitio huius causa, cum ignoretur
An dictus frater fuerit in odium Sancti officii offensus. 21
L’inquisitore di Mantova non era stato in grado di fornire dettagli
sulla procedura seguita nei casi precedenti22 e prevalse lo spirito pragmatico
di lasciar condurre le indagini a chi era più vicino al delitto, considerato
18
ACDF, Decreta, 1668, c. 210r, 13 giugno 1668; c. 258r, 11 luglio 1668 e c. 288r,
1 agosto 1668.
19
ACDF, Decreta, 1650, c. 118r, 9 agosto 1650.
20
ACDF, St. st., GG 5 e.
21
ACDF, Decreta, 1664, c. 43r, 12 marzo 1664.
22
ACDF, Decreta, 1664, c. 59r, 7 aprile 1664.
– 230 –
L’organizzazione del tribunale
anche che il processo si svolgeva in contumacia, ed era probabile si rivelasse
inconcludente.
Dalla diffusione dell’abiura di Galileo, e dal conseguente divieto di
insegnarne le teoria, si ricava che al 1633 il sistema delle vicarie era già ben
organizzato, e aveva patito il passaggio dei lanzichenecchi per il ducato
meno del Pacifico Ginnasio:
Per l’ordinario passato ricevei la lettera di Vostra
Eminenza delli 2 di luglio, con la copia della sentenza et abiura
di Galileo Galilei da Fiorenza, della quale ho dato notitia alli
miei Vicarii foranei, et notificata qui in Mantova alli professori
di filosofia et mattematica (se bene al presente sono pocchi),
acciò tutti sappino la gravità dell’errore et si guardino di non
incorrervi.23
Patentati del Sant’Ufficio, sede di Mantova
Abbiamo qualche rappresentazione dettagliata dei ruoli di vicari e
patentati a partire dal 1666: uno sguardo è di per sé eloquente. Come
termine di paragone possiamo indicare la vicina Modena, che nel 1658
contava per la città 5 ufficiali, 12 consultori, 3 ministri e 12 familiari,24
numeri molto vicini a quelli di Mantova.
Il Registro di tutti li patentati della Santa Inquisitione di Mantova
secondo il registro ritrovato l’anno 1714, trasmesso alla congregazione solo
nel 171925 mostra che non erano stati rispettati i propositi di continuo
aggiornamento degli elenchi, i quali non corrispondevano più allo stato
23
Da Mantova, 30 settembre 1633, l’inquisitore frate Ambrogio da Tabia al cardinal
Barberini senior (Da PAGANO 2009, p. 189, che rinvia a ASV, misc. arm., X, 204, ex
Sant’Uffizio 1181).
24
BIONDI G. 1987, p. 100.
25
ACDF, St. st., G 4 g, fasc. 1.
– 231 –
delle concessioni: vuoi per trascuratezza degli inquisitori, vuoi per il
passaggio della guerra di successione spagnola e per il crollo dello stato
gonzaghesco, la gestione del sistema era di nuovo in crisi.
I dati provengono principalmente da ACDF, St. st.,
GG
5 e, in
particolare dalla Nota dei patentati 16 ottobre 1666 (quando padre Granara
aveva appena riordinato le patenti) e dalle successive note reperibili nella
stessa busta che raccoglie sotto un unico titolo le Risposte di Inquisitori alla
lettera Circolare della S. Congregatione Circa il Catalogo, e Riforma de
Patentati, 1667-1668.
– 232 –
L’organizzazione del tribunale
Riepilogo dei patentati
Il segno ‘---’ indica un incarico predisposto ma vacante.
La casella vuota indica corrisponde a un posto non previsto nel riepilogo spedito a Roma.
1666
1667
[frate Giacinto Maria
Granara]
[frate Giovanni
Tommaso
Pozzobonelli]
[frate Aurelio Torri da
Rivalta]
[frate Aurelio Torri da
Rivalta]
Bartolameo Gadeschi
piazzaro pubblico
Annibale Scaravello
1669
[idem]
Annibale Scaravello
posizione
1714
[inquisitore]
[Fra Giacinto Pio Tabalio]
vicario generale
del Santo Officio
Il maestro Pio Enrico [Ennio?]
Martinengo
nottaro
Il Padre Frate N. N.
mandatario
Antonio Solci da Mantova
sottomadatario
Giuseppe Mauri da Mantova
servitore del
Sant’Offizio
Giovan Marchini
padre Lettore
Ludovico Pio Bagni
Domenicano
[idem]
[idem]
consultori teologi
[1]
padre Abbate di San Benedetto
D. S.
padre Fulgenzio
Alghisi da Casale,
Agostiniano
[idem]
---
consultori teologi
[2]
padre frate Vittale Gherli,
minore osservante
padre don. Cipriano
Mauri da Milano,
eremitano
padre Didaco di
Castelluccio, minore
osservante
padre Nicolò
Sfondrati, preposito
dei Teatini
consultori teologi
[3]
padre don Carlo Galanti,
chierico regolare
padre Smeraldo da
Bresia, fiesolano
padre Giovanni.
Battista Possani,
carmelitano
padre Bartolomeo
d’Alba, minore
osservante,
guardiano di Santo
Spirito
consultori teologi
[4]
padre maestro F. Gioseppe
Cattaneo, Carmelitano della
Congregazione di Mantova
signor don Giovanni
Romagnoli, provicario
episcopale
signor don Antonio
Mantovani, canonico
[della Cattedrale]
[idem]
consultori
canonisti [1]
maestro Francesco Foliati, dei
Servi di Maria Vergine
signor don Francesco
Simbeni, rettore di
San Gervasio
consultori
canonisti [2]
signor dottor don Giuseppe
Lancirotti,
arciprete di San Giorgio
signor don Carlo
Calori, decano della
Cattedrale
signor don Giovanni
Battista Mercori
Canonico
[idem]
[idem]
consultori
canonisti [3]
padre frate Giustino della
Visitazione,
carmelitno scalzo
signor don Giovanni
Battista Magalotto,
arciprete di Santa
Barbara
[idem]
[idem]
consultori
canonisti [4]
signor canonico Romagnolo
Romagnoli, penitenziere
– 233 –
signor senator
Giulio Berti da
Mantova
[idem]
signor marchese
Delfino Palqera,
dottore
consultori
legisti [1]
signor avvocato
Andrea Modiani
signor senator
Francesco Bertazoli
da Mantova
[idem]
---
consultori
legisti [2]
signor avvocato
Carlo Giordani
signor senator
Hercole Mattioli
bolognese
Agostino Ridolfi
signor Agostino
Ridolfo,
fiscale del criminale
consultori
legisti [3]
signor avvocato
Giuseppe Simbeni
signor senator
Carlo Zuchi
Medico da Mantova
[idem]
senatore Zacchi
consultori
legisti [4]
signor avvocato
Francesco Cremonesi
avvocato fiscale
signor dottor
Giacomo Lomini
signor dottor
Agostino Ridolfi
da Mantova
signor canonico
Pietro Francesco da
Parma, “questo è
necessariissimo”
signor Giacomo
Maffei,
notaro pubblico di
Mantova
signor dottor
Pietro Francesco
Negri
[idem]
avvocato de rei
signor avvocato
Ferdinando Beltrami
[idem]
---
interprete della
lingue
dottore
Giovanni Loria
giudice delle
cause civili
signor don Giovanni Francesco
Pulicani, presidente del Senato
notaro delle cause
civili
signor Filippo Farina,
nottario Senatorio
cancelliere
sostituto
signor
Antonio Caramatti
solecitattore delle
cause civili
dottor
Giovanni Batta Rosti
procuratore delle
cause pie
signor dottor Gioseppe Maria
T[?]eranzi
provedittore de
carcerati
signor Giovanni Zanetti
revisore delle
carceri
signor Pavolo Traversi
depositario
signor Tomaso Baroni
esattore delle
rendite
signor Girolamo Adamoli
revisore di libri di
belle lettere
signor don Lodovico Rebecca,
sacerdote secolare
[idem]?
[idem]?
cancelliere il signor
Giacomo Maffei,
notaio
---
[genericamente
“revisore de’ libri”]
padre don Camillo
Cenni, dell’ordine de’
ministri degli infermi
– 234 –
L’organizzazione del tribunale
[genericamente
“revisore de’ libri”]
padre frate Giovanni
Batta Pesce, maestro
e Priore del Carmine
Gaspare Biasini,
[“patente inusitata”
per gratificare un
“patentato antico”]
Francesco Volpi,
tenente de sbiri di
Mantova
[idem]
[idem]
– 235 –
revisore de libri di
teologia
scolastica, e
morale, e di
filosofia
padre Evasio Garone,
dei ministri degl’infermi
revisore de libri di
medicina
signor dottore fisico
Flaminio Coreghi
revisore delle
casse della
dogana
signor Giuseppe Maria
Paganelli,
soprastante alla Dogana
primo medico
signor dottor Carlo Martinelli
secondo medico
signor dottor Antonio Stolfini
primo chirurgo
signor Francesco Rinaldi
secondo chirurgo
signor Carlo Ragazzola
speciale de poveri
carcerati
signor
Giovanni Battista Schucatti
speciale secondo
signor Girolamo Zampoli
barbiere
signor Domenico Aldrighi
stampatore
signor Alberto Pazzoni
corriere
paron Seraffini
essecuttore
Antonio Piovanoni
marangone
Biaggio Cappi
conduttore del
vino per li poveri
carceratti
Giovanni Antonio Fabri
barigello
Vicarie del Sant’Ufficio di Mantova
La tabella riepiloga l’evoluzione diacronica delle strutture territoriali
del Sant’Uffizio, confrontandole con quelle del Ducato. Gli stessi dati sono
confluiti nelle mappe che seguono, ottenute con inevitabili approssimazioni
dalla georeferenziazione di Città e Diocesi di Mantova (Francesco Luigi
Filippi, 1785, manoscritta), Carta geografica del ducato di Mantoua (senza
data, ma derivata dalla carta di Magini del 1620),26 BRUNELLI 1988,
ROGGERI – VENTURA (CUR.) 2008.
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
(g)
Località sede di autorità civili periferiche, 1540 ca (da Mantova. La Storia, II, p. 385).
P = podestarie, C = commissariati, V = vicariati).27
Chiese in cui venne affissa e letta pubblicamente la bolla Si de protegendis nel
1607, segno dell’articolazione sistematica sul territorio prima delle vicarie.
Le parrochie rurali divise in vicarie secondo le Constitutiones synodales del vescovo
Francesco Gonzaga (1610).
Vicarie del Sant’Uffizio nel 1666 (ACDF). La tabella prevede 49 vicarie, ciascuna
provvista di un vicario e un notaio, raramente anche di un mandatario. La
funzione di vicario in 17 paesi è svolta dell’arciprete “per non esservi altro”,
mentre tra vicari e notai i posti vacanti sono una trentina, lasciando spesso dei
paesi completamente scoperti.
Variazioni delle Vicarie del Sant’Uffizio nel 1667 (ACDF). I posti vacanti sono 31, ma
sono previsti 3 mandatari in più rispetto al 1666.
Vicarie del Sant’Uffizio nel 1714 (ACDF).
Vicarie diocesane nel 1785. Non sono indicate tutte le parrocchie sussidiarie, ma
solo quelle di località citatate negli altri elenchi. Il il riordino della parrocchie di
confine era avvenuto alla fine del 1784, sulla base di una disposizione civile del
1770 sanzionata dall’autorità religiosa nel 1787. Ostiglia e Villimpenta erano
diocesi di Verona, mentre rientravano nella diocesi di Brescia i paesi di
Castiglione, Medole, Solferino, Guidizzolo, Canneto, Ostiano e Volongo (cfr.
PECORARI 1962). Cfr. inoltre il Catalogo di tutto il Clero, Monasteri, Luoghi Pii e
Confraternite, co’ loro rispettivi rettori della Città, Diocesi e Terre, dette delegate
al Vescovado di Mantova, 1770, AStDMn, CC, miscellanea.
26
Entrambe in AStDMn, Carte e mappe.
27
Le gride ducali erano comunque lette in chiesa, nelle parrocchiali. Cfr. AStDMn, Curia
vescovile, contenzioso e correzionale, Buscoldo, 10 dicembre 1561; lamentela del commissario
ducale di Curtatone diretta al vicario episcopale.
– 236 –
L’organizzazione del tribunale
(a) sedi di autorità
civili periferiche
(podestarie,
commissariati,
vicariati) 1540 ca.
(b) affissione
della Si de
protegendis 1607
(ACDF)
(c) Constitutiones
Synodales – 1610
San Tommaso
V
Bagnolo, Santi Vito
e Modesto
parochia,
Barbasso, San
Pietro parochia
(d) Vicarie del
Sant’Uffizio 1666
(ACDF)
(e) Variazioni
delle Vicarie del
Sant’Uffizio 1667
(ACDF)
(f) Vicarie del
Sant’Uffizio 1714
(ACDF)
(g) Vicarie
diocesane e
parrocchie 1785
(AStDMn)
Angeli e Curtatone
---
Aquanera
Aquanegra
Bagnolo
Bagnolo
convento
domenicano ?
(sino al 1652; dal
1675 passato ai
francescani)
vicaria diocesana
(terra delegata)
vicaria diocesana
Barbasso
Barbasso
vicaria diocesana
Biscoldo
Biscoldo
Borgoforte
Borgo Forte
sussidiaria di San
Silvestro
vicaria diocesana
Brusatasso
Brusatasso
Campedello
Campitello
Caneto
Canetto
Carbonara
Carbonara
Casteluccio
Castelluchio
vicaria diocesana
Castiglione e
Solferino
Castiglione delle
Stiviere
[vedi Due Castelli]
Castelgofredo
Castel Bonafisso
Castelgofredo
Cavriana
Cavriana
vicaria diocesana
(già diocesi di
Brescia)
[vedi Due Castelli]
vicaria diocesana
(terra delegata)
vicaria diocesana
Ceresara
Ceresara
Cerese
vicaria diocesana
V Bigarello
C
parrocchiale
Borgoforte, San
Giovanni Battista
parochia
Campitello, San
Celestino parochia
P
V Castellaro
[Casteldario?]
V
Castellucchio, San
Giorgio parochia
sussidiaria di
Suzzara
vicaria diocesana
vicaria diocesana
(già diocesi di
Brescia)
sussidiaria di
Sermide
C Castiglione
Mantovano
C
Capriana, la
Madonna parochia
V
Cerese, la
Madonna parochia
Castelli, San Paolo
primo eremita
parochia
V [Belforte e
Piuforte]
due Castelli
[Castelbelforte e
Castelbonafisso]
vicaria diocesana
V Curtatone
---
Felonica
Felonica
sussidiaria di
Sermide
Frassino [vedi San
Girogio]
Natività della
beatissima Vergine
e di Sant’Ippolito
martire
C
C
C
Gazoldo (nullius
sino al 1803)
Goito,San Pietro
parochia regolare
San Benedetto
Governolo,
Sant’Agostino
parochia
collegiata di San
Pietro
Goito castello
Goito
vicaria diocesana
Gonzaga
Governolo
Gonzaga
Governolo
diocesi di Reggio
vicaria diocesana
Guastalla [inoltre
un vicereggente,
diverso dal vicario,
un notaio, un
mandatario, un
consultore]
Guidizolo
Guastalla [inoltre
un primo e
secondo consultore
fiscale e avocatto]
diocesi nullius
Guidiciolo
Luzzara
Luzzara
sussidiaria di
Castiglione (già
diocesi di Brescia)
diocesi di Reggio
V Mariana
– 237 –
(a) sedi di autorità
civili periferiche
(podestarie,
commissariati,
vicariati) 1540 ca.
C
(b) affissione
della Si de
protegendis 1607
(ACDF)
San Giovanni
Battista
(c) Constitutiones
Synodales – 1610
Marcaria, San
Giovanni Battista
parochia
V
(f) Vicarie del
Sant’Uffizio 1714
(ACDF)
(g) Vicarie
diocesane e
parrocchie 1785
(AStDMn)
Marcaria
Marcaria
vicaria diocesana
---
Marmirolo
sussidiaria di
Roverbella
Ostiano
Ostiano
Ostiglia
Ostiglia
Pegognaga
Poggio
Palidano
Pegognaga
Poggio
vicaria diocesana
(già diocesi di
Brescia)
vicaria diocesana
(già diocesi di
Verona)
diocesi di Reggio
diocesi di Reggio
vicaria diocesana
Portiolo
Portiolo
(d) Vicarie del
Sant’Uffizio 1666
(ACDF)
(e) Variazioni
delle Vicarie del
Sant’Uffizio 1667
(ACDF)
V Medole
P
Santa Maria di
Castello
Il Poggio, Santa
Maria Alba
parochia
V Poletto
Mantovano
C Pontemolino
Porto
sussidiaria di
Borgoforte
vicaria diocesana
Piubega
vicaria diocesana
Quistello
Quistello
vicaria diocesana
Redoldesco
Redondesco
Reggiolo
C
Reggiolo [ha anche
un mandatario]
Revere
vicaria diocesana
(terra delegata),
già diocesi di
Brescia, ma la
pieve di San
Zenone (risulta non
officiata nel 1566)
di giurisdizione
veronese
diocesi di Reggio
Revere
V
Rodigo
Rodigo
C
Porto,San Michele
parochia
Piubega, San
Giacomo parochia
Quistello, San
Bartolomeo
parochia
V
C
C Redondesco
parrocchiale
C
---
Piubega
vicaria diocesana
(Pieve di Revere)
sussidiaria di
Castellucchio
C Roncoferraro
C
C San Giorgio
vicario foraneo,
Roverbella, La
Madonna,
parochia”
Roverbella
vicario foraneo,
San Benedetto,
parochia San
Floriano
vicario foraneo,
parochia di San
Giorgio”
---
---
vicaria diocesana
San Benedetto
San Benedetto
Sant’Antonio
vicaria diocesana
Frassino e San
Giorgio
Frassino
Saileto
Sailetto
V Sacchetta
vicario foraneo,
San Silvestro,
parochia
vicario foraneo,
Saviola, San
Michele, parochia
P
V Serravalle
V
parrocchiale
vicario foraneo,
Sostinente, San
Michele, parochia
San Silvestro
Saviola
sussidiaria di Villa
Saviola
vicaria diocesana
vicaria diocesana
(Villa Saviola)
Sermide
Sermide
vicaria diocesana
Susano
Susanno
Sustinente
Sustinente
convento dei
domenicani
vicaria diocesana
– 238 –
L’organizzazione del tribunale
(a) sedi di autorità
civili periferiche
(podestarie,
commissariati,
vicariati) 1540 ca.
V
(b) affissione
della Si de
protegendis 1607
(ACDF)
(f) Vicarie del
Sant’Uffizio 1714
(ACDF)
(g) Vicarie
diocesane e
parrocchie 1785
(AStDMn)
Suzzara
Suzzara
vicaria diocesana
P Viadana
V
Vilimpenta
Vilimpenta
V
Volongo
Volongo
C
Volta
Volta
San Giorgio
Località non identificate
san Giacomo
maggiore [San
Giacomo delle
Segnate? ; San
Giacomo Po?]
(c) Constitutiones
Synodales – 1610
vicario foraneo,
Suzara,
Sant’Ippolito,
parochia”
(d) Vicarie del
Sant’Uffizio 1666
(ACDF)
(e) Variazioni
delle Vicarie del
Sant’Uffizio 1667
(ACDF)
diocesi di Cremona
vicaria diocesana
(già diocesi di
Verona)
sussidiaria di
Ostiano (già
diocesi di Brescia)
sussidiaria di
Cavriana
la Madonna;
la Madonna
parochia;
la Pieve
Carte e mappe
(1) Carta geografica del ducato di Mantoua (cortesia AStDMn).
(2) Città e Diocesi di Mantova, 1785, manoscritta (cortesia AStDMn).
(3) Mappa di confronto tra le autorità civili periferiche (a), l’affissione della bolla Si de
protegendis (b) e le vicarie del Sant’Uffizio (f).
(4) Mappa di confronto tra le vicarie diocesane (g), l’affissione della bolla Si de
protegendis (b) e le vicarie del Sant’Uffizio (f).
Legenda
? sede della Diocesi e del Sant’Uffizio
P podestaria (a)
C commissariato (a)
V vicariato (a)
affissione della bolla Si de protegendis (b)
+ vicaria del Sant’Uffizio (f)
_
vicaria diocesana (g)
giallo
feudi dei Gonzaga cadetti
arancio
parrocchie incorporate nella diocesi a fine ’700
rosa
diocesi nullius
°
– 239 –
L’organizzazione del tribunale
Territorio e giurisdizione
Le origini
Per trovare un senso nell’irregolare territorio sottoposto alla
giurisdizione dell’inquisitore di Mantova in età moderna l’unica via
ipotizzabile è una genesi avvenuta secondo due principi contraddittori. Il
primo è il rispetto dei confini diocesani, o più semplicemente di quanto
controllato dal vescovo in età comunale (la città, gli immediati dintorni e
alcune terre presso Felonica Po); il secondo è dato dagli ingrandimenti
dello stato in età signorile. Con la riorganizzazione del tribunale tra
XVII
XVI
e
secolo vi si sono poi sovrapposte solo modifiche di dettaglio,
rifiutando la congregazione ampliamenti ai danni degli inquisitori vicini.
L’insediamento dei domenicani a Mantova, provenienti da Bologna, risale al 1233, benché già due anni prima sia documentato un
Bonaventura frate predicatore che assiste il vescovo durante un giuramento
di ortodossia;28 nel 1254 il comune recepirà gli statuti di Federico
Innocenzo
III,
II
e
dopo aver comminato il bando contro catari, patarini e
circoncisi nel 1221.29
Resta congettura30 che nel 1244 frate Reginaldo da Verona fosse
censor fidei per la Lombardia e per conseguenza di Mantova; la medesima
fonte settecentesca indica poi due inquisitori francescani della Marca
28
GARDONI 2011, p. 48.
29
VAINI 1994.
30
Lux chronologica; Quotquot ex ordine fratrum Praedicatorum in Ducatu Mantuano sibi
nomen fecerunt variis tabulis illustrans, BCMm, ms. 139 (A V 9): “1244 - P. F. Reginaldus
N. Veronensis a P. Gualfrido Priore Provinciali auctoritate Apostolica delegatus. Hoc
temporis intervallo Inquisitor Generalis Lombardiae et Mantuae Fidei Censor praefuisse
putatur”. La sottolineatura va sul ‘putatur’.
– 241 –
Trevigiana, senza precisare i limiti della loro competenza locale: Filippo
Bonacolsi, tra i protagonisti della spedizione del 1277 contro i patarini di
Sirmione (morto nel 1303 come vescovo eletto di Mantova), e frate
Buonagiunta, che al 1291 sarebbe stato inquisitore di Verona e della
Marca. Non sembra vi siano validi motivi per pensare che l’inquisizione
non fosse affidata ai domenicani, visto che un elenco nell’archivio generale
dell’ordine (AGOP) enumera altri quattro inquisitori a coprire il Duecento.
Poco più solide sono due notizie relative al ’300, trascritte durante
una ricognizione sui privilegi per i patentati: nel 1316 il notaio Zannino de
Milio registra una concessione di porto d’armi agli inquisitori della
Provincia della Lombardia Inferiore31 e nel 1328 il notaio Joannino de
Scopa Nigra registra che frate Egidio, inquisitore, “in domo officii
Inquisitionis” ha assolto Ottolino de La Savia dalla scomunica subita per
aver prestato denaro a Passerino Bonacolsi, a sua volta scomunicato quale
sostenitore di Ludovico il Bavaro.32 L’interdetto subito dalla città nel 1326
sarà revocato solo nel 1354, dopo il pagamento di 2000 fiorini al pontefice
a conclusione di una trattativa tra l’autorità cittadina e il papa, condotta con
la mediazione del vescovo.33 Di dieci inquisitori tra il 1253 e il 1414
restano i nomi tramandati nel 1754 da padre Paolo Serafino Sacconi, che
31
Tra i titoli degli inquisitori bolognesi (DALL’OLIO 1999, pp. 57-59) troviamo al 1306
“inquisitor Bononiae, Ferrariae, Mutinae, et in terris ac partibus Lombardiae inferioris” e
al 1465 – anno a partire dal quale la residenza di un inquisitore a Bologna risulta stabile –
“inquisitor in civitate Bononiae, eius diaecesi, districtu seu comitatu et singulis locis
quibus et ad quae Bononiae inquisitio se extendere solet”. Il passaggio accentua la
congruenza tra inquisizione-diocesi-città e lascia intendere il definitivo frazionamento
della Lombardia inferiore in più giurisdizioni.
32
ASMn,
AG,
Mat. eccl., I, b. 3279. Similmente un atto del 1309 “in contrata fratrum
Predicatorum in domo inquisitoris” (ASMi, Pergamene per fondi, 2 settembre 1309,
citato da GARDONI 2011, p. 52).
33
Mantova. La storia, I, pp. 401-402.
– 242 –
L’organizzazione del tribunale
scrive di averli dedotti da ‘monumenti’ che si conservano nell’archivio del
convento.34 Il “frater Thomasinus de Tonsis de Mutina” registrato al 1316
concorda con la concessione di porto d’armi sopra ricordata, e fa sperare
che l’elenco sia abbastanza affidabile.
Parentesi politica
I primi anni del potere gonzaghesco vedono il passaggio dal
vescovado alla signoria di estesi possedimenti (Sermide, Revere, il basso
corso dell’Oglio) affiancato da quei continui tentativi di espansione verso il
Bresciano e verso il Cremonese che originarono il cosiddetto ‘Mantovano
nuovo’, definizione in uso sino a metà del Settecento a designare un
territorio con peculiarità amministrative e sociali, tanto che più volte i
principi lamentano che gli abitanti dell’Oltreoglio non sembrano neppure
sudditi mantovani. L’intreccio con l’amministrazione della giustizia
ecclesiastica è affrontata lucidamente (e, vedremo, senza grandi risultati)
dai ministri ducali nel corso del ’600:
[… Essendo] gli Arcipreti di detti Castelli et terre
Vicari per l’ordinario del Sant’Ufficio e parimenti vicari foranei
di detti Vescovi, quando sentono qualche caso spettante al
Sant’Officio in loco di darne parte al Molto Reverendo Padre
Inquisitore, ne danno parte al Foro Episcopale, per mantenersi
in gratia d’essi vescovi, il che non è di puoco pregiuditio
all’Altezza Serenissima di Mantova.
[…] Et anco pare che detti suoi [del duca] Agenti
significhino a tutti gli Reverendi Arcipreti, o altri Prelati in
detti luoghi, qual sii la mente di Sua Altezza che è, che i delitti
34
AGOP,
XIV
Liber
PP
pars I, c. 4r,
VI
Inquisitores Mantuani ex monumentis Archivi
Conventus ab anno MCCLIII usque ad annum MCCCCXIV.
– 243 –
et vitii siino castigati, ma che sendovi tribunale competente nel
suo Stato, con gli interessi sudetti, non intende che si mandino
i suoi sudditi fuori, et che se faranno altrimenti l’haverà a
dispiacere, et se ne risentirà, et se anco paresse si può
specificare, che i casi, quali si possono trattar nel Santo Officio
in Mantova non intende si tirino fuori del Stato, con darne
parte ad altri tribunali.
Et questo si deve anco […], poiché la frequente
conversatione di questi populi in altri stati et città, fa che
mantenghino l’affetto a prencipi stranieri, che per ciò queste
terre si chiamano forastiere, quasi che accidentalmente stiino
sottoposte al loro Prencipe.
Queste sono le terre: Sotto Bressa: Castelgiufre,
Guidicciolo, Acquanegra, Caneto, Redoldesco, Mariana con il
loro distretto; Sotto Reggio: Luzzara, Gonzaga, Reggiolo con
il loro distretto; sotto Verona: Hostiglia, Vilimpenta, Castelli
con il loro distretto.35
Anche nel lungo elenco di autorità ecclesiastiche (cardinali, legati,
protettori, conservatori, nunzi, patriarchi, arcivescovi, vescovi, abati,
primiceri, generali delle religioni, solo gli inquisitori sono esclusi)
compilato da Donesmondi la distinzione è accettata come ovvia:
qui solo parliamo de’ Conventi, che sono su’l Mantovano
35
ASMn, AG, b. 3279, cc. 426-434, senza data. Sottolineano le particolari attenzioni rese
necessarie dalle incongrue estensioni di diocesi, stato e inquisizione anche i fogli
immediatamente precedenti (databili al 1640) che supplicano per il ripristino dello
stellario dell’Immacolata, che veniva recitato “nella piazza avanti un’immagine della
Santissima Concettione posta nelle Torre” (ASMn, AG, b. 3279, cc. 422-424; sullo
stellario cfr. ACDF, St. st. H 2 i).
– 244 –
L’organizzazione del tribunale
vecchio, e non di quelli dello stato nuovo soggetto anch’esso al
Sig. Duca, che sono assaissimi altri.36
I confini politici si erano stabilizzati verso il 1441 (pace detta ‘di
Cremona’ o ‘di Cavriana’), quando dal Veronese vengono acquisite anche
Ostiglia e Villimpenta.37 Già attorno al 1433 comunque – alla concessione
del marchesato a Gianfrancesco da parte dell’imperatore Sigismondo – il
territorio controllato si era ampliato su Asola, Casalmoro, Casaloldo,
Lonato, Castiglione delle Stiviere, Solferino, Castelgoffredo, Redondesco,
Canneto, Sabbioneta, Ostiano, Vescovato e altri territori poi perduti, al
pari di Asola e Lonato. Contemporaneamente veniva stabilita l’ereditarietà
per primogenitura a condizione che i cadetti ricevessero come
compensazione dell’eredità perduta alcuni ‘castra’ nel momento in cui
riconoscevano l’autorità del primogenito, che li infeudava. Il Mantovano è
così diviso una prima volta alla morte di Gianfrancesco (1444), riunificato
da Ludovico e nuovamente diviso fra i cinque figli alla sua morte, nel 1478:
Mantova al primogenito, e a due coppie di fratelli i paesi tra Cremonese e
Bresciano, dando origine a una serie di consignorie e formando un sistema
in equilibrio instabile, reso dinamico dalle continue liti per il dominio utile
sui feudi ma poco mutato dalla trasformazione progressiva in feudi
imperiali a ereditarietà diretta. Così sarà ad esempio per il marchesato di
Sabbioneta, nato sotto Vespasiano e a cui sarà aggregata Ostiano, o per il
principato di Bozzolo, in un’epoca in cui l’unica scelta a disposizione dei
piccoli principi è collocarsi entro o fuori la sudditanza spagnola. Ai confini
36
DONESMONDI, Istoria ecclesiastica, II, Cronologia d’alcune cose più notabili di Mantova,
p. 18.
37
Inoltre dal Bresciano Castiglione delle Stiviere, Solferino, Castel Goffredo, Redondesco
e Canneto; infine dal Cremonese Bozzolo, Ostiano, Isola Dovarese, Rivarolo, oltre a
Viadana e Sabbioneta.
– 245 –
col Mantovano, lungo il corso del Po, si trova Guastalla, acquisita per via
matrimoniale da Ferrante (figlio cadetto di Francesco II e Isabella d’Este) e
scorporata dal Milanese con l’approvazione di Carlo
V
nel 1541, dando
origine a un nuovo importante ramo Gonzaga, che andava ad aggiungersi a
quelli di Castiglione e di Novellara.38 Ad esclusione di Gazoldo, dal 1354
assegnato alla famiglia degli Ippoliti, e di Casteldario, con Susano soggetto
per il temporale al vescovo di Trento e infeudato regolarmente ai Gonzaga
di Mantova, i rapporti tra queste corti minori e il ramo principale della
famiglia oscillavano tra la piena fedeltà, se non altro per più ampie ragioni
di opportunità politica, e la aperta e ostile inimicizia. Basti ricordare gli
schieramenti opposti tra Milano e Venezia prima, o Francia e Spagna poi,
o ancora il giudizio dell’ambasciatore veneto Francesco Contarini, più volte
riferito dalla storiografia per la sua lucida asciuttezza:
Oltre il duca di Nivers, vi sono nella Casa Gonzaga 85
signori e cavalieri di molta stima, tra’ quali 24 feudatari
imperiali, e tre di loro di molta considerazione, che sono il
duca di Sabbioneda, il duca di Guastalla e il marchese di
Castiglion. E tutti e tre hanno poco buona intelligenza col
signore duca.39
A questa situazione, già di per sé complessa, occorre poi aggiungere
– su altro ordine di grandezza – l’acquisto del Monferrato (1533) e la
nascita della linea di Nevers e Rethel (1565) con Ludovico, terzogenito di
Federico II.
38
39
Cfr. particolarmente TAMALIO 2008 e BETTONI 2008.
SEGARIZZI (CUR.) 1913, vol. 1, p. 81, Relazione di Mantova del clarissimo messer
Francesco Contarini, ritornato dalla straordinaria legazione al duca Vincenzo, riferita in
Senato, 3 ottobre 1588, citato anche da MOZZARELLI 1979, p. 442-443 e LAZZARINI
2005, p. 488.
– 246 –
L’organizzazione del tribunale
“Inquisitore generale ne i stati del serenissimo signor Duca di Mantova e
Monferrato e degli illustrissimi signori Gonzaghi”
Sul Trecento il catalogo degli inquisitori di frate Cesare Agosti40 e
la anonima Lux chronologica tacciono. Restano appena accennati i frati
Tommasino e Benedetto, mantovani (1417);41 le compilazioni quindi
procedono parallelamente e con continuità solo dal 1486, con una serie
tutta domenicana, a partire dai ‘bolognesi’ Ambrogio Alemanno e
Domenico da Gargnano, di cui è sufficientemente documentata qualche
attività mantovana condotta assieme al vicario Girolamo Armellini, che è
pure indicato come inquisitore di Mantova dal 1531 al 1540.42
Al momento non è facile accordare le testimonianze riguardanti gli
inquisitori del ’300 con la suddivisione dei distretti inquisitoriali
domenicani del 1475, basati su diocesi e ‘termini’ conventuali: Mantova
risulta scorporata da Bologna, probabilmente su insistenza della signoria, e
nel 1492 viene definito il confine dell’ufficio modenese per differenza
rispetto al dominio temporale mantovano,43 il che lascia inspiegato per
quale motivo nel 1502, quando il territorio di Pavia viene smembrato
originando le giurisdizioni di Piacenza e di Cremona, non sia rettificata la
linea dell’Oglio.44
40
ACDF, St. st.,
II
2 i, Catalogo delli nomi cognomi patria di tutti l’inquisitori d’Italia che
sono stati e sono attualmente sino al presente anno 1707.
41
Lux chronologica … .
42
Lux chronologica …, ma non Cesare Agosti.
43
AGOP,
IV,
reg. 10, fol. 60, 18 maggio 1492 (da TAVUZZI 2007b, p. 25 n. 76):
“Declaratur quod officium inquisitionis Mutine extendere quantum extendere auctoritas
dominii temporalis Mantuani et Parmarum”.
44
TAVUZZI 2007b, p. 24.
– 247 –
Punto fermo sembra essere il 1485:
Frater Ambrosius de Alemannia, conventus Mantuani,
instituitur inquisitor Mantuanus.45
Gli succederà, dopo la breve reggenza del vicario Agostino Maggi
da Mantova,46 Domenico Pirri da Gargnano (1490)
Magister Dominicus de Grignano absolvitur ab
inquisitione Bononiense et fit inquisitor Mantuanus cum
terminis eiusdem.47
A entrambi il marchese Francesco
II
aveva accordato il braccio secolare
(1486 e 1492).48 Sono incerte l’attività e l’effettiva consistenza del tribunale
a Mantova negli anni dal 1490 al 1521, quando l’Armellini, come
inquisitore di Reggio,49 era impegnato a cercar streghe nel territorio di
Mirandola, poco fuori dal marchesato di Federico
II
Gonzaga. Nel 1511 si
era scontrato con il canonico lateranense Pietro da Lucca,50 responsabile di
quell’eresia che negli anni della soppressione sembrerà al canonico Muti
talmente strampalata da risultare innocua. A Mantova Armellini aveva
fatto ristampare un proprio testo ed era entrato in polemica tanto vivace da
provocare l’intervento, alcuni mesi prima della condanna, di papa
45
Monumenta ordinis Praedicatorum historica, vol. 21, p. 42 (da TAVUZZI 2007b, p. 182 n.
160).
46
AGOP, IV, reg. 9, fol. 6, 27 marzo 1490 (da TAVUZZI 2007b, p. 182 n. 161).
47
AGOP, IV, reg. 9, fol. 6, 6 agosto 1490 (da TAVUZZI 2007b, p. 182 n. 159).
48
Già in DAVARI 1879.
49
Nominato probabilmente prima del 1519, cfr. DBI, Armellini, Girolamo (T. Herzig),
sarà inquisitore di Mantova dal 1531 al 1540 (Lux chronologica …).
50
Gesù sarebbe stato concepito non dal grembo di Maria, ma da tre gocce di sangue vicine
al suo cuore. Armellini pubblicò a Pesaro e in seguito ristampò a Mantova la Egregia nove
heresis de Christi incarnatione confutatio et per sententiam apostolice sedis condemnatio,
Mantuae per Francischum Bruschum, 1511.
– 248 –
L’organizzazione del tribunale
Giulio II,51 che per smorzare i toni della polemica si era rivolto al cardinale
Sigismondo Gonzaga vietando dispute in pubblico tra don Pietro e
“quendam fratrem ordinis praedicatorum pro inquisitore pravitatis
hereticae” (probabilmente l’Armellini stesso). Non mi pare attestazione
sufficiente per ricavare con piena certezza una fissa presenza di un ufficio
permanentemente operativo e autonomo, che sembra essere una proiezione
all’indietro operata dai compilatori settecenteschi retrodatando quella che a
loro pareva la situazione ‘normale’ per gli inquisitori, negando così le
discontinuità storiche che si verificarono nei modi di concepire e
organizzare il tribunale.52
51
“<Dilecto filio nostro Sigismundo Sanctae Mariae / Nove Diacono cardinali de
Gonzaga / in Marchia et Mantua nostro et / apostolice sedis Legato> ///
IVLIVS PP.a II.s / Dilecte fili noster salutem et apostolicam beneditionem.
Intelleximus dominum Petrum Lucensem congregationis Lateranensis et quendam
fratrem ordinis predicatorum pro inquisitore pravitatis hereticae se gerentem Mantuae
verbum Dei et doctrinam evangelicam predicantes vehementer dissentire de conceptione
domini et salvatoris nostri Iesu Christi, et ad graves verborum contumelias devenisse
inquisitoremque predictum perturbar velle eundem Petrum ne predicet non absque magna
admiratione et scandalo populi Mantuani: quare considerantes quod uterque predictorum
Petri et inquisitoris de ipsa conceptione bene sentire se credit, et quod talia non sunt
coram indocto populo disputanda, volumus quod tam dominus Petrus quam ipse
inquisitor predicationem suam non tamen de huiusmodi conceptione usque ad octavam
resurrectionis Dominice possit continuare circumspectioque tua ambobus mandet ut ex
acta dicta octava ad nos venire debeant sub excommuncationis latae sententiae pena.
Datum Bononiae sub annulo piscatoris, die viii.a Aprilis
MDXI.mo,
pontificatus nostri
anno octavo. // <Sigismundus>”, AStDMn, MV, Pergamene, b. 3, n. 76.
52
Sulle prosopografie del Sei e Settecento relative agli inquisitori degli stati italiani,
moraleggianti o encomiastiche, con netta prevalenza dei domenicani, cfr. SCHWEDT
2011, che sottolinea anche la necessità di rispondere ai centuriatori enfatizzando la
linearità della traditio cattolica. Non troppo diverse le esigenze della Sacra Congregazione
nell’ordinare a Ermenegildo Todeschini la stesura della sua Storia della Santa Inquisizione
di Milano descritta l’anno 1749 (BENEDETTI 2008).
– 249 –
In ogni caso nel 1508 il copialettere Gonzaga riporta l’intestazione
“Domino inquisitori Sancti Dominici Mantuae” e un altro cenno si ricava
da una corrispondenza del 1516 di Isabella d’Este con Tommaso de Vio
(già generale dei predicatori, ma non ancora cardinale Gaetano), che così
risponde alla marchesa:
la excellentia vostra intendera mi havere ricevuto uno mazo de
lettere incluso in una de vostra Illustrissima signoria à me
gratisima. Et essendo scripture pertinente alla inquisitione io
molto referisco gratie ad quella che se dignata mandarele
fidelemente.53
Restando nel campo delle congetture, potrebbe trattarsi di un
banale gesto di cortesia nei confronti del mittente (in via ipotetica il titolare
dell’ufficio mantovano) o del destinatario, commentatore di Aristotele,
pomponazziano ante litteram e in buoni rapporti con la marchesa. Rimane
insoddisfacente a dirimere la questione anche il riferimento a Girolamo
Marcobruno (1524), che si trova “in camerino superiori pallatii episcopatus
sito in contrata Aquilae” come delegato dal vescovo, non come
inquisitore.54
È finalmente un decreto del 1529 di Federico
II
a protezione di
inquisitore, familiari, notaio che per primo sembra convenire alla dicitura
che sarà in uso nel tardo Cinquecento di ‘inquisitore in tutti gli stati dei
signori Gonzaghi’, benché alcuni casi di luteranesimo,55 nel 1543, risultino
53
ASMn, AG, b. 863 (corrispondenza con Roma), fasc. XIII, c. 352; da Roma, 1 dicembre
1516. Devo questa segnalazione, assieme a diverse altre, alla cortesia di Roberta Benedusi.
54
ASMn, AG, b. 3278, c. 37, 6 aprile 1524.
55
AStDMn, Curia vescovile, Contenzioso e correzionale, Gonzaga. A favore di Antonio e
Basilio Avanzi abitanti a Gonzaga, interrogati se nel paese vi “siano alcune persone che
habino detto che el non ge’ purgatorio et che el non si debbe obedire al papa et che’l non si
– 250 –
L’organizzazione del tribunale
gestiti da Francesco Marno (vicario del vescovo Ercole Gonzaga) assieme a
frate Ambrogio Aldegatti, priore domenicano, poi vescovo di Casale
Monferrato, ma registrato come inquisitore solo dal 1553, quale successore
di Tommaso da Saiano.56 Nell’insieme comunque i documenti non ci
lasciano molte certezze, similmente alla vicina Ferrara, con cui Mantova
condivideva la collocazione nella domenicana ‘provincia utriusque
Lombardiae’ e da cui proveniva Camillo Campeggi, inquisitore nella città
estense (per il decennio dal 1557 al 1567) ed energico protagonista nella
conduzione mantovana del processo contro Endimio Calandra e il circolo
dello Scartozzo.
Troviamo nelle sentenze, nelle patenti e negli editti di insediamento
le formule più sorvegliate circa l’estensione territoriale della giurisdizione
inquisitoriale, mentre negli anni ’40 e ’50 del ’600 i giuramenti sottoscritti
all’assunzione dell’incarico restano brevi e poco descrittivi, – come per tutte
le altre sedi del resto – considerato che erano destinati al solo uso interno:
si limitano a ‘munus Inquisitoris Mantuae’57 oltre naturalmente al
mantenimento del segreto.
Le sentenze degli anni ’80 del ’500 accentuano il ruolo episcopale,
aprendosi proprio col nome del vescovo,58 ma restano pericolosamente
debbe confessare et simil altre cose contra la fede”, l’orefice Ettore Donati garantisce per
300 ducati, come da registrazione avvenuta il 17 novembre 1543 nella canonica del
Duomo. Cfr. anche una scheda reperibile nello stesso archivio redatta da Romolo Putelli.
Sulla repressione condotta venticinque anni più tardi contro questa comunità eterodossa
cfr. il ricchissimo PAGANO 1991.
56
Verosimilmente il frate Tommaso documentato nel 1518 in val Brembana come vicario
dell’inquisitore (MEDOLAGO 2008, p. 80).
57
ACDF, Juramenta, 1 (1578-1655): c. 505, 14 ottobre 1643 (frate Nicola Buzzalo); c.
551, 14 giugno 1645 (frate Angelo Maria Ondedei); c. 667, 5 giugno 1652 (frate Giulio
Mercori).
58
Come disposto dalla costituzione Multorum querela durante il Concilio di
– 251 –
ambigue sul territorio di riferimento. Così ad esempio nel 1580 per la
sentenza e il giuramento di Girolamo Cavalieri59
Noi Marco Gonzaga per la Dio gratia, e della santa
sedia Apostolica vescovo di Mantova e fra Giulio Doffi del
ordine dei predicatori dottore nella sacra theologia e
Inquisitore generale specialmente delegato dalla suddetta santa
sedia ne i stati del serenissimo signor Duca di Mantova e
Monferrato e degli illustrissimi signori Gonzaghi.
Secondo le considerazioni già svolte, giustamente al plurale sono sia
gli “stati” che “i signori Gonzaghi”.
Casale Monferrato
Sul Monferrato basta un cenno: le prime notizie sulla sede
inquisitoriale domenicana di Casale risalgono al 1505, quando a frate
Angelo Rizzardi da Savigliano viene affidata la titolarità “in omnibus locis
marchionis Montisferratis subiectis”, scorporandoli dai distretti di Vercelli,
Asti e Savigliano in cui erano prima frammentati.60 Gli succede Sebastiano
Pastorelli da Taggia nel 1510, e le notizie disponibili si fanno via via più
consistenti a partire dal 1545 circa. 61
Nel catalogo del 1706 è indicata come sede di terza classe, e
raramente nell’archivio della congregazione viene citata assieme a Mantova,
se non quando è necessario fare riferimento al principe più che allo Stato.
Così Guglielmo Gonzaga e Margherita Paleologa nel 1663 sono
semplicemente detti ‘marchesi di Monferrato’, durante una ricognizione
Vienne (1314).
59
TCD, ms. 1225, c. 132r.
60
TAVUZZI 2007b, p. 26.
61
DEL COL 2006, p. 289.
– 252 –
L’organizzazione del tribunale
della grida emessa contro i bestemmiatori nel 1559,62 e similmente nel
1616 vengono inviate a Roma informative sulle concessioni agli ebrei dagli
inquisitori di Casale, Cremona e Mantova,63 o nel 1623 sull’ ‘intelligenza’
del duca con certi mercanti eretici di San Gallo64. Per il resto Casale ha vita
indipendente, se trascuriamo la pensione che riceve dall’inquisitore
mantovano, e rientra negli affari della capitale soprattutto nel ’500, quando
le cariche ecclesiastiche sono ricoperte da mantovani (il vescovo Aldegatti
per esempio, vescovo di Casale e inquisitore di Mantova) o quando si tratta
di combinare maneggi dai molteplici risvolti, come in una denuncia arrivata
da Casale al duca per interposta persona, ancora agli albori della
riorganizzazione del tribunale:
io ho per certa via che alcuno et forsi il primo contrario
in Casale a vostra eccellentia, è luterano perfetto, e dio volesse
chio dicesse bugia […] dio volesse che alcuno havesse la
inquisitione in Casale che forsi i dio porgeria aiuto. Io dico che
li demeriti de tal ribaldo qual non nomino faranno che i dio
lassarà la giusticia correr, tanto più che so nostra excellentia
haver buon animo verso li suoi subditi, e clementia in perdonar
alla quale mi raccomando, e i me perdonerà in longezza.65
62
ACDF, St. st., II 1 q, 9 aprile 1663, l’inquisitore di Casale alla Congregazione.
63
ACDF, St. st., CC 1 b, cc. 687-727.
64
ACDF, St. st., M 4 b, Contra diversos Haereticos degentes in Italia. Cfr. anche FOSI 2011,
pp. 155 sgg., che segue il passaggio degli Scobinger da uno stato all’altro del nord Italia.
65
ASMn,
AG,
b. 2519, fasc.
XVI,
c. 327, 24 giugno 1533, Agostino da Faenza o. p. al
duca; l’informatore è “un padre nostro da Casale che stancia da sacerdotte il cui nome è fra
Pietro da Brignano cantor e confessor, in vero persona litterata, et son certo per longa
prattica sua non dire una cosa manco vera per tucto il mondo.”
– 253 –
Verso Brescia
Non c’è dubbio che dalle competenze mantovane fossero esclusi
l’Oltreoglio, di pertinenza cremonese, e Gazoldo, comunità nullius dioecesis,
retaggio forse di un’epoca in cui la struttura del Sant’Uffizio non godeva
rispetto agli ordinari diocesani di quell’autonomia che le fu propria dopo i
papi Carafa e Ghislieri e conseguenza di un controllo del territorio
destrutturato e poco capillare. Diversi tentativi di riordinare la materia sono
dei primi anni del ’600, in seguito a una azione inquisitoriale sistematica,
non più diretta verso nuclei di notori eterodossi, ma verso il controllo delle
campagne e di quelle forme di devianza, spesso più superstiziosa o
immorale che eretica, riottosa ad omologarsi sui modelli proposti dalla
cultura e dalla gerarchia ecclesiastica.
Nel 1605 l’inquisitore di Mantova riesce a farsi spedire la lista dei
libri contenuti nella biblioteca del conte di Gazoldo,66 che in un primo
tempo aveva rifiutato di riconoscere l’autorità del vicario incaricato da
Mantova.67 Nel 1607 rifiuterà di pubblicare la bolla Si de protegendis68
(comunque letta il 14 ottobre “in ecclesia Nativitatis Beatissimae Virginis
Mariae et sancti Hippoliti Martiris”69), quindi nel 1609 scriverà
inutilmente a Roma per ottenere l’assegnazione ad altra inquisizione.70 Un
anno più tardi impedisce senza mezzi termini l’intervento dell’inquisitore
mantovano e l’uso sul suo territorio del braccio armato concesso dal duca di
66
ACDF, Decreta, 1604-1605, c. 295, 6 maggio 1605.
67
ACDF, Decreta, 1604-1605, c. 271, 10 marzo 1605.
68
Come scriveva pochi anni prima l’inquisitore mantovano alla congregazione
“Costitutione Si de protegendis, molto necessaria in Mantua” (ACDF, St. st.
FF
1 a, 7
agosto 1603).
69
ACDF, Decreta, 1607, c. 252, 16 novembre 1607 e ACDF, St. st.,
LL
nelle date si corregge probabilmente con il tempo di spedizione della posta.
70
ACDF, Decreta, 1609, c. 112, 18 marzo 1609.
– 254 –
f 1. Il difetto
L’organizzazione del tribunale
Mantova, vicenda per certi versi speculare rispetto a quanto accadrà a
Guastalla nel 1666: a Gazoldo la difesa da un potere religioso per timore di
ingerenze politiche esterne, a Guastalla il sostegno all’inquisitore nella
speranza di ottenere appoggi per la successione al ducato di Mantova. La
congregazione stabilirà di chiedere il braccio armato al conte di Gazoldo o
di ricorrere alla famiglia vescovile.71 Un anno più tardi, “Comitum terrae
Gazoldi nullius dioecesis districtus Mantuae lecto memoriali”,72 i cardinali
assegneranno il paese all’inquisitore di Cremona.
Più complicato il caso di Medole, diocesi bresciana, ceduta dal duca
Vincenzo al marchese di Castiglione delle Stiviere in cambio di
Castelgoffredo.73 Il nuovo governatore74 impedisce all’inquisitore di proseguire i ventuno processi per bestemmie già iniziati, perché
ha da loco sicuro, che Medole è sottoposta all’Inquisitione di
Brescia, et che quando l’Inquisitor di Brescia li darà un
minimo aviso, prontamente eseguirà li sudetti comandamenti.
Viene quindi invocata la soggezione politica come elemento
determinante della giurisdizione inquisitoriale. Frate Girolamo da Soncino
insinua anche che vi sia un secondo fine:
71
ACDF, Decreta, 1610 e 1611, c. 362, 17 agosto 1610. Sulla presenza a Mantova di
tribunale, carceri e famiglia vescovili testimonianze e bibliografia sono affatto carenti.
72
ACDF, Decreta, 1610 e 1611, 21 gennaio 1611. Un caso del 1651 attesta la definitiva
attribuzione (ACDF, St. st., CC 1b).
73
Diocesi di Brescia sino al 1699, attribuita ‘provvisionaliter’ all’arcivescovo di Milano,
quindi dal 1710 ‘terra delegata’ al vescovo di Mantova, cui è aggregata nel 1784.
74
ACDF, St. st.,
FF
1 a, cc. 565-577. In allegato la “<Copia della lettera del governatore
di Medole> / […] Hoggi ho ricevuta la lettera di Vostra Paternità Reverenda del
ventiquattro corrente, et ho inteso quanto in essa si scrive, et son pronto in eseguire […].
Ma la sappia che intendo da Brescia et da luogo sicuro, che la santa Inquisitione di quel
luogo, p[†] de Medole com’è Castiglione di sua giurisditione. […]. / Di Medole il 26
luglio 1603. / […] / Annibale Broglia governatore.”
– 255 –
Li sudetti huomini processati non vorriano a modo
alcuno esser sottoposti a questa Inquisitione di Mantova, ma
vorriano esser sottoposti a quella di Brescia, perché sonno
molto ben certi, che in questa Inquisitione sonno molto ben
castigati, et l’Inquisitione di Brescia non pol castigare li
bestemmiatori siano pur crudeli quanto si vogliano, come anco
nelle altre Inquisitioni di quel Stato.
Eppure non può che rilevare l’incoerenza:
nelle nostre patenti75 si contiene che io sia Inquisitore in
Civitate et in Dioecesi Mantuana ac aliis locis consuetis, et son
molti
ritornando a una formulazione che sottolinea il ruolo preminente della città
sul contado e associa il tribunale all’estensione diocesana, pur riconoscendone l’approssimazione. Unicamente politica è invece la connotazione
scelta nel 1625 da Deodato Seghizzi per un editto di proibizioni ‘in materia
de Auxiliis’
Maestro di Sacra Theologia, & Inquisitore generale nello
Stato, e Dominio del Serenissimo / Signor Duca di Mantova,
&c. e luoghi degl’Illustrissimi Signori Gonzaghi, contro /
l’heretica pravità dalla Santa Sede Apostolica specialmente
deputato76.
Trent’anni più tardi i cardinali romani, ormai avvertiti, insisteranno
75
Cfr. ASMn, AG, b. 3279, 18 febbraio 1600.
76
ACDF, St. st., GG 2 c, fasc. 1. Dato in San Domenico, il 12 Agosto 1625 per Aurelio e
Lodovico Osanna stampatori Ducali. L’anno successivo l’inquisitore riferirà che “Quà
fin’hora non sono comparsi li libri composti da monsignor Archivescovo di Trani, e del
Padre Valentino Herice della compagnia di Gesù in materia di Auxiliis, e non li lascierò
correre se saranno mandati quà”.
– 256 –
L’organizzazione del tribunale
“ad fugienda inconvenientia” affinché sugli editti non sia scritto “in Terris
Principum Ducum Marchionum et Comitum de Gente Gonzaga” ma
piuttosto “in locis Dominorum Principum Ducum Marchionum et
Comitum”, benché questo comporti una spesa aggiuntiva per ristampare i
fogli di avviso.77 A favore di frate Girolamo aveva a suo tempo giocato la
consuetudine, visto che a Medole, o contro medolesi, erano già stati tenuti
molti processi78 e che l’arciprete aveva di recente pubblicato gli editti del
Sant’Uffizio senza alcuna difficoltà. La risposta della congregazione non è
allegata (dovrebbe verosimilmente ritrovarsi nei Decreta); è comunque certo
che nel 1708 Medole era soggetta all’inquisitore di Mantova, quando frate
Giuseppe Berti segnalava un gran numero di ‘fatti heretici’ nei paesi vicini a
Guidizzolo (Birbesi, Medole, Cavriana, Volta, Castiglione delle Stiviere,
Goito, Rodigo), dove albergavano degli scarpolini valtellinesi di fede
calvinista.79
Fonti di dubbi ripetuti sono anche altri paesi: Castelgoffredo, su cui
vengono chiesti chiarimenti nel 161080 che troveranno risposta con una
rapida ricerca d’archivio
Inquisitoris Brixiae lectis litteris datis die 5.a huius, ac
litteris sacrae Congregationis datis die 7.a maii 1569, et 11.a
octobris 1603 ad inquisitorem brixiensem illius temporis,
77
ACDF, Decreta, 1650, c. 14r, 26 gennaio 1650.
78
Cita otto processi tra 1576 e 1602, uno solo dei quali riferito a Roma, quello contro don
Cristoforo del Fe, rettore della parrocchiale, abiurato de vehementi (1581, copia della
sentenza in TCD, ms. 1226, ff. 399 sgg.).
79
ACDF, St. st., GG 5 e, 18 maggio 1708.
80
ACDF, Decreta, 1610, c. 165, 21 aprile 1610: “Inquisitoris Mantuae lectis litteris datis
die 20.a Martij decretum ut scribatur inquisitori Brixiae, qui certioret an habuerit ab hac
sacra Congregatione aliquem ordinem circa exercendum officium necnon in Castro Giufre
Brixiae dioecesis, et dominii temporalis Mantuae.”
– 257 –
illustrissimi domini decreverunt, ut inquisitor Mantuae
exerceat officium inquisitionis in Castro Giufrè Brixiensis
dioecesis, et dominii temporalis Ducatus Mantuae81
o Luzzara, a sud, verso il reggiano
Lectis litteris Inquisitoris Mantuae datis die 28 augusti,
decretum ut continuet exercere officium in terra Luzarae
Regiensis dioecesis prout fecerunt eius praedecessores, et nihil
innovet.82
La mancata unione dell’Oltreoglio
Gli unici tentativi di dare regolarità a questo coacervo di terre e
castelli provengono dai duchi Vincenzo e Ferdinando. Adeguamenti
nell’estensione della diocesi erano già avvenuti83 e a Vincenzo la richiesta di
assegnare all’inquisitore di Mantova tutte le terre del ducato in diocesi di
Cremona non doveva sembrare così peregrina, assomigliando a quella di
Alfonso
II
d’Este, il quale nel 1564 aveva ottenuto che tutti i suoi stati
dipendessero dall’inquisitore di Ferrara;84 non ultimo pochi anni prima era
stata decisa l’attribuzione tra le vicine Parma e Modena dei paesi di
Sant’Ilario, Montecchio e Gualtieri.85
La posizione di Sua Santità rimane però negativa,86 e negativa sarà
81
ACDF, Decreta, 1610, c. 207, 13 maggio 1610.
82
ACDF, Decreta, 1609, c. 390, 17 settembre 1609.
83
Nel 1390, 1466-1484, 1566 (PECORARI 1962).
84
CERIOTTI – DALLASTA 2008, p. 40.
85
ACDF, Decreta, 1604-1605, c. 29, 10 febbraio 1604. Che fosse un periodo in cui la
materia veniva riordinata, pur con incertezze e contraddizioni, lo mostra nel 1616 anche la
richiesta all’inquisitore modenese di inviare un elenco dei luoghi a lui soggetti (BIONDI G.
1987, p. 101).
86
ACDF, Decreta, 1604-1605, c. 61, 1 aprile 1604.
– 258 –
L’organizzazione del tribunale
anche nel 1617, quando occorre uniformare la diffusione e l’applicazione
degli editti contro gli ebrei,87 non abbastanza efficace considerati gli
interventi che si concentrano nell’arco di pochi mesi. Già nel 1616
l’inquisitore e il vescovo frate Francesco Gonzaga avevano rimproverato il
governatore di Viadana Ferrante Soardi, che aveva permesso a due ebrei di
incontrare la figlia durante il periodo di isolamento che precedeva la
conversione
al
cristianesimo.88
Nella
giurisdizione
cremonese
la
pubblicazione non aveva conosciuto ostacoli, “eccetto che nelle terre del
serenissimo signor Duca di Mantova”89 dove l’arciprete di Viadana don
Nicolò Caleffi in un primo tempo rifiuta di pubblicare un editto90,
‘mantellandosi’ col fare l’interesse del duca (ma indirizzato e sostenuto da
famiglie ebree), poi – subíto un sequestro di beni – si presenta
all’inquisitore di Mantova, sostenendo che quello di Cremona non sarebbe
stato giudice imparziale, ma avrebbe prese le parti del suo vicario foraneo.91
Non tanto diversamente le cose andavano per gli ebrei a Sabbioneta, terra
del principe di Stigliano92
87
Entro un quadro più generale, notizie in OLEXÁK 2007, che nel particolare non
chiarisce pienamente i rapporti tra vescovo e inquisitore di Cremona.
88
ACDF, St. st., CC 1 b, fasc. 8, 19 gennaio 1616, lettera di frate Francesco Gonzaga alla
congregazione.
89
ACDF, St. st.,
CC
1 b, fasc. 8, c. 786, 13 aprile 1617, l’inquisitore di Cremona alla
CC
1 b, fasc. 8, cc. 799-802, 3 agosto 1617. L’inquisitore di Cremona
congregazione.
90
ACDF, St. st.,
alla congregazione: “si dice in Viadana, ch’egli ha fatto bene a non pubblicare quell’Editto,
et che non patirà niente, et che quando anche fusse condannato, li hebrei saranno quelli,
che pagaranno per lui, et che per non haverlo pubblicato si tiene abbia ricevuto dinari […]
se bene poi s’era mantellato con l’interesse di Sua Altezza, et è verisimile, poiche tutte
l’altre volte ha pubblicato gl’editti contro li hebrei senza darne parte ad alcuno”.
91
Ivi, c. 762.
92
Propriamente della moglie Isabella Gonzaga, che aveva ereditato quel che rimaneva dei
possedimenti di Vespasiano, divisi tra la linea di Mantova e quella di San Martino.
– 259 –
sono favoriti, più di quello è convenevole, io non manco, né
mancarò di levare l’inconvenienti grandissimi, quali ci sono per
la protettione che hanno li hebrei, et in quel stato, et in quello
del Signor Principe di Bozzolo, perché si persuadono quelli
Principi, o’ loro Governatori, che il Santo Officio non habbia
a’ procedere nelli stati loro, come si fa’ nello stato del Rè
Catholico.93
Con soddisfazione fra Girolamo da Camerino poteva riferire a
Roma che “doppo che li hebrei hanno veduto che questo negotio è
devoluto al santo offitio” hanno assunto un atteggiamento meno spavaldo,
indotto anche dalla minaccia del carcere per chi avesse fatto appello alla
giustizia ducale.94 L’intrico delle vicende può essere dipanato solo
affiancando alla corrispondenza proveniente dalla congregazione (in ultima
istanza dal pontefice) le gride ducali in materia, le dichiarazioni rese per via
diplomatica (alterate e smussate rispetto al vero) e le posizioni del vescovo,
queste più aspre (“perché da Giudei, i Christiani non possono aquistar
ben’alcuno, per l’anima, ne anco per il corpo a mio giudicio”95). Qui basti
sottolineare che il funzionamento del tribunale era reso farraginoso da
questo sommarsi di giurisdizioni che si affiancava alla sovrapposizione di
competenze sia entro le istituzioni ecclesiastiche sia fra ecclesiastico e
secolare, anche quando il principe era disposto ad assecondare le pretese
pontificie (che in questo caso parevano eccessive). Conclude bene la lettera
diretta al Papa:
Onde Beatissimo Padre si supplica dal signor Duca, che
93
ACDF, St. st.,
CC
1 b, fasc. 8, c. 805r, 18 agosto 1616, lettera dell’inquisitore di
Cremona frate Ippolito Maria d’Acquanegra alla congregazione.
94
Ivi, 8 settembre 1617.
95
Ivi, c. 728, 15 aprile 1617, Frate Francesco Gonzaga alla congregazione.
– 260 –
L’organizzazione del tribunale
per rimovere le caggioni d’ogni inconveniente, si contenti
d’ordinare a Monsignor Vescovo sudetto che nell’avvenire
faccia prima ricorso alli Ministri di Sua Altezza che se poi le
sarà negato il braccio secolare havrà in quel caso giusta ragione
di dolersi […]. E per quello che spetta al Santo Ufficio
considera l’Altezza Sua che unendosi tutto il Stato di Mantova
al Santo Ufficio di Mantova, potendosi quell’inquisitore ad
ogni ora abboccarsi con Sua Altezza e negotiare insieme, non
passeranno mai sconcerti, né alla Santa Sede Apostolica arriva
pregiuditio alcuno essendo la Giurisditione sua in ogni luogo
la medesima; anzi piuttosto può riccevere maggior aiuto, e
commodità dalla presenza di propii Principi, quali con
Christiana Pietà debbino aver sempre mira di favorire gli
interessi di così Santo Tribunale, come non si mancarà mai
dall’Altezza Sua.96
96
Ivi, c. 755, 6 luglio 1617; è incerto se sia inviata da Mantova, o se sia presentata da un
agente mantovano a Roma.
Vi si può accostare il frammento, purtroppo senza data, di ASMn,
AG,
b. 2368, c. 232:
“Illustrissimo et reverendissimo monsignore / Ancorché l’inquisitore di Mantova in virtù
delle sue lettere patenti per le quali viene deputato a detto incarico habbia l’essercitio della
sua giurisditione in tutto lo stato di Sua Altezza ancorché sottoposto ad aliena diocesi,
contuttavia [†] dubio il possesso dall’inquisitore di Cremona, indi per fuggir in ciò la
contesa giudiciale che seguirebbe si supplica <humilmente> Nostro Signore a dichiarare
overo a concedere di novo in quanto sia di bisogno {che detto inquisitore di Mantova} che
tutti gli sudditi dello stato di Mantova senza riguardo della diocesi a quale siano
sottoposti, soggiaciano immediatamente al Tribunale del Santo Officio di Mantova acciò
con tanto maggiore autorità incorrendo <uniti> l’uno et l’altro [†] si possa effettuare il
servigio di Dio et delle anime, et Sua Aletezza resti consolata ad essempio di altri Principi
in vedere rettamente sottogl’occhi suoi anchora amministrata la giustitia a’ sudditi. / Il che
spera ottenere con l’autorità di Vostra Signoria Illustrissima la quale / [frammento
– 261 –
Come detto Paolo
V
Borghese confermò il no già pronunciato otto
anni prima, forse apprezzando il reciproco controllo imposto da questa
frammentazione, o forse al fine di marcare la distanza dal governo secolare,
che di fatto nel procedere contro le streghe o a favore degli ebrei negava le
esclusive competenze della Chiesa. La corte di Mantova non si trovava
certo nella posizione adatta per insistere, già che
Tutta questa Città resta scandalizata di Monsignor
diocesano, et diversi di questa nobiltà sonno venuti dà me, per
essersi trovato come dicono ad un finto matrimonio. Basti
haverlo accennato.97
La reticenza di frate Girolamo è anche consapevolezza della propria
posizione subordinata, diversamente dall’inopportuno comportamento
adottato dall’inquisitore di Cremona nel 1620. Il sillogismo che questi
aveva concluso era chiaro: se il territorio di sua competenza si estende sui
domini di più principi (sul Milanese quanto sul Mantovano) è dunque
necessario coltivare buoni rapporti e scambiare formali cortesie con
ciascuno di loro. Coglie quindi l’occasione di alcune cause relative alla
diocesi di Cremona in terra mantovana e si reca dal duca, presso il quale si
intrattiene in ‘grata udienza’ discorrendo ‘molte questioni di Theologia’ e
cercando di carpire in quale misura Sua Altezza sostenga o subisca
l’iniziativa dei propri ministri locali circa le disposizioni antiebraiche.
mutilo]”.
97
Ivi, c. 722, 31 marzo 1617, Girolamo da Camerino alla congregazione. Matrimonio di
Camilla Faà col duca Ferdinando Gonzaga, che un anno prima aveva restituito la porpora
cardinalizia. Stando alle carte il monsignore era Gregorio Carbonelli da Paola, frate dei
minimi, già generale del proprio ordine, vescovo di Diocesarea in Palestina, abate di Santa
Barbara, teologo ducale. La vicenda nell’Ottocento ha suscitato ampio interesse, ancora
ben vivo.
– 262 –
L’organizzazione del tribunale
Incontro inusitato e prontamente censurato da Roma: l’inquisitore se ne
stia al suo posto, e non introduca novità.98 Un solo rappresentante presso la
corte è sufficiente; la comunicazione tra sedi periferiche avviene passando
per il centro del sistema. Il principio è ribadito nel 1650, quando è la
mancata corrispondenza tra inquisizione e diocesi a creare problema, cosa
ancora più strana, perché presuppone un’autonomia vescovile radicata e
difficoltosa da scavalcare anche per la Suprema congregazione, come se
fosse impossibile imporre agli ordinari quella burocratica uniformità di
comportamento (tanto ricercata nella costruzione del sistema inquisitoriale)
senza ledere la differenza gerarchica e sacramentale esistente tra vescovi e
frati. In definitiva come l’inquisitore di Cremona deve rivolgersi a Roma
ogni volta che agisce entro lo stato di Mantova, così l’inquisitore di
Mantova non può affrontare direttamente le cause di sua competenza, ma
fuori diocesi:
quando succedat facere Causas Sancti Officii in Jurisdictione
Abbatis Guastallae, et successive in aliis locis subiectis aliis
Dioecesisbus, quam Mantuae; ipse Inquisitor non deveniat ad
expositionem earum inconsulta Sacra Congregatione, quia
secundum qualitatem Casuum ordinabit quid faciendum
conveniat circa assistentiam eorundem Ordinariorum.99
Guastalla
Rispetto alle altre vicarie Guastalla godeva di un trattamento di
riguardo, considerata la corte che vi risiedeva, la presenza di un abate non
98
ACDF, St. st.,
CC
1 b, c. 872, 21 maggio 1620, dall’inquisitore di Cremona frate
Tommaso da Tabia alla congregazione. Due settimane più tardi la risposta, trascritta in
calce: “<4 junii 1620. Sanctissimus ordinavit ei rescribi, ut fungatur officio suo, nec faciat
novitates>”.
99
ACDF, Decreta, 1650, c. 105v, 20 luglio 1650.
– 263 –
soggetto alle diocesi vicine e una stamperia attiva dal ’600; per questo i
patentati (alcuni risultano scelti dal convento servita) vi erano un poco più
numerosi rispetto agli altri paesi. Come città di recente formazione la
configurazione delle sue istituzioni ecclesiastiche era atipica rispetto ai
centri vicini, quali Carpi e Novellara:100 priva di insediamenti mendicanti,
fu teatro di episodi devozionali femminili nel ’400 e della religiosità di
Ludovica Torelli e Battista da Crema, vicende significative ma isolate
rispetto alla popolazione urbana, che aveva il suo polo nella pieve di San
Pietro, dal 1471 sottratta al controllo del vescovo reggiano. Il desiderio di
elevare la pieve nullius dioecesis a cattedrale restò deluso sino al 1828, ma
Ferrante
II
Gonzaga riuscì comunque a ottenervi la dignità di collegiata
(1585)101, trasferendo contestualmente la chiesa entro le mura cittadine e
impegnandosi ad attirare del clero forestiero che fosse culturalmente
preparato.
Con più convinzione rispetto a Gazoldo, le pretese dell’abate della
collegiata di farsi valere come ordinario del luogo portarono a qualche
artificioso contrasto con l’inquisitore mantovano. È decisamente aggressivo
l’abate don Giovanni Battista Gherardini nel 1640, quando scrive alla
congregazione
Vuole ancora l’Inquisitore di Mantova spedire Sentenza
diff.a quando si dà il caso nel suo Santo Offitio li miei
Diocesani senza che v’intervenghi alcuno deputato da me, e
perché questo ancora è contro il prescritto de Sacri Canoni
supplico humilmente Vostra E[minenza] e cotesta Sacra
100
101
Il quadro complessivo è ricavato da ZARRI 1985.
Fu necessario attendere la morte dell’arciprete Lelio Peverari, instancabile nelle
contrattazioni economiche e oppositore di qualunque cambiamento che potesse
danneggiarlo venalmente; cfr. anche FOSSATI 2005 e RURALE 2008a.
– 264 –
L’organizzazione del tribunale
Congregatione à comandare all’Inquisitore quello che stimerà
necessario per buon servitio di Dio.102
Più indirettamente aveva agito pochi anni prima, pubblicando un
editto che vietava ai cristiani di servire gli ebrei il sabato:103 significava
ribadire la propria giurisdizione episcopale, come non si lascia sfuggire frate
Pietro Martire, inquisitore di Mantova, che ne contesta la validità
“massime non essendo vescovo”104. Nel dubbio il sommista impiegato a
Roma ricorda alla Congregazione la singolarità del caso poiché “<Guastalla
è Principato, da ciò è non sogetto a quell’Altezza, la diede però in nota tra i
luogi di quella Inquisitione>”105 lasciando intendere che la rappresentazione
idealizzata vede come standard la corrispondenza territorio-principeinquisitore.
Le irregolarità del sistema non avevano necessariamente effetti
dannosi, offrendo un ‘gioco’ sufficiente ad aggirare gli impuntamenti che di
tanto in tanto la più o meno oliata macchina inquisitoriale presentava. A
Guastalla trova riparo l’inquisitore Granara durante la cacciata del 1666,
senza patire la vergogna di aver abbandonato il proprio distretto grazie alla
devota e pietosa ospitalità concessagli da Ferrante
III,
che usa questo
sostegno all’inquisizione come motivo di legittimità e strumento per
rafforzare le proprie ambizioni alla successione mantovana. Lo stesso
escamotage viene del resto utilizzato anche dalla arciduchessa reggente
Isabella Clara d’Austria, che può ben affermare di aver allontanato frate
Giacinto Maria Granara per ragion di Stato, ma di non aver impedito il
Sant’Uffizio in quanto tale, né di averne contestata la giurisdizione.
102
ACDF, St. st., H 3 e, 20 gennaio 1640.
103
ACDF, St. st., CC 1 b, fasc. 8, c. 1015, 21 ottobre (1638 ?).
104
Ivi, c. 1017.
105
ACDF, St. st., H 3 e, 20 gennaio 1640.
– 265 –
La ripugnanza della gerarchia ecclesiastica alle innovazioni prima e
il rapido svolgersi degli eventi poi lasciarono sulla carta ogni ridefinizione
dei confini. La piazzaforte di Guastalla rimase soggetta all’inquisitore
mantovano anche durante gli assestamenti politici settecenteschi, che
assegnarono la città ai Borbone-Parma dal 1748 sino alla soppressione del
tribunale, quando, con la riorganizzazione della vita religiosa nei suoi
aspetti civili, economici e legali, la ben regolata modernità della Lombardia
austriaca contribuiva – senza prevedere la portata degli esiti – alla
dismissione dell’antico regime.
– 266 –
Repertorio degli inquisitori di Mantova
Il repertorio dipende da tipi di fonti differenti, non tutte egualmente affidabili, che si è cercato di comporre vicendevolmente al fine di
ricostruire la successione cronologica degli inquisitori titolari della sede di
Mantova. Questo non vuole però significare una implicita accettazione
della continuità istituzionale, come fu accentuata nel secondo Settecento
per ragioni ideologiche. Dal 1570 in poi la serie proposta ha trovato
numerosi riscontri d’archivio, ed è da considerare decisamente attendibile,
dubbi possono sussistere sui giorni esatti di insediamento o su brevi periodi
tra un mandato e l’altro, provvisoriamente affidati a vicari; una esplorazione
sistematica dei decreta in ACDF sarebbe risolutiva. Particolarmente lungo
sembra il mandato di Pio Ennio Martinengo (1723-1739), ma al momento
non sono emersi documenti in contrario. Meno chiara la situazione subito
prima e subito dopo la missione di Campeggi: benché non vi siano
ragionevoli dubbi sui nomi degli inquisitori, è meno scontata
l’organizzazione amministrativa del tribunale; le prime sentenze rimaste in
quantità consistente (TCD) risalgono all’epoca di Giulio Doffi. L’ordinamento sino al Quattrocento e altre considerazioni di carattere più
generale sono già state brevemente discusse.
Cronologie settecentesche
Le prime cronologie intenzionalmente elaborate in nostro possesso
risalgono al Settecento, quando più viva si fa l’esigenza di avere un quadro
sistematico e riassuntivo delle sedi inquisitoriali, come ad esempio la Storia
della Santa Inquisizione di Milano scritta dall’inquisitore Ermenegildo
Todeschini, mantovano di origine, aiutato dal fratello Giovanni Francesco,
baccelliere, che si occupa pure di storia municipale redigendo una piccola
cronaca domenicana – corredata di tavole cronologiche – riguardante i
– 267 –
conventi mantovani di San Domenico e San Vincenzo, gran ‘lustro’ per la
città, “nonostante gli scarsi documenti e i pochi che se ne sono occupati
sinora”; la celebrazione delle glorie domenicane è completata da una
novena per le feste della beata Osanna Andreasi.637
Circa vent’anni prima Cesare Agosti aveva sviluppato il proprio
lavoro principalmente sull’archivio inquisitoriale locale, che diversi cenni
dicono essere poco ordinato per la parte più antica, e lo aveva integrato con
ricognizioni condotte sull’archivio dell’attiguo convento di San Domenico.
Vale la pena di sottolineare che il secondo volume dell’Istoria
Ecclesiastica del francescano Ippolito Donesmondi (1616), conclusa da
un’appendice dedicata alle gerarchie e alle celebrità ecclesiastiche
mantovane, pur iniziando i propri elenchi dai religiosi domenicani ignorava
gli inquisitori e il tribunale del Sant’Uffizio, con un’omissione che pare
volutamente polemica.
(Agosti) ACDF, St. st. II 2 i, fasc. 1: Catalogus Patrum, qui fuerunt
Inquisitores Mantuae
Faldone già segnalato da Del Col, contiene notizie di argomento
mantovano ai fogli 124 e seguenti. È sufficientemente chiara la lettera
637
Lettore di filosofia e teologia presso il vescovato di Cremona, ‘controversiarum publicus
professor’, teologo consultore del vescovo di Mantova, infine ‘magister studentium’ presso
lo studium di Bologna, Giovanni Francesco Todeschini così scrive: “[608] Queste dunque
con alcune tavole cronologiche, quali facessimo col detto Padre Inquisitore sudetto, e ora
con qualche attenzione ravvedute le spedisco in questo ordinario [… 609 …] La guerra
impedì che non potessi andare l’Autunno del 1734 a Cremona per dare l’ultima mano
all’opera degli Inquisitori, questa del tutto unita da mio fratello. L’impegno del mio ufficio
me lo proibisce se anco finissi in tre mesi, io gliela darei compita.” AGOP,
XIV,
liber D,
21: Lettera accompagnatoria delle cronache manoscritte da padre Giovanni Francesco Todeschini
al Padre Generale, per il tramite del Padre commissario, da San Domenico in Bologna, 21
luglio 1736.
– 268 –
Repertorio degli inquisitori di Mantova
accompagnatoria:
[124r] Illustrissimi e Reverendissimi Signori Cardinali
Padroni Colendissimi / Mando qui accluso il catalogo di tutti i
Padri, i quali sono stati Inquisitori di Mantova dall’anno 1486
sino all’anno 1701, come l’Eccellenze Vostre mi hanno
ordinato con loro lettera data sotto li 19 febbraio 1707.
Mancano i cognomi di alcuni di detti Padri Inquisitori perché
molte scritture di questo ufficio non si trovano, con tutto che
io habbia fatto ogni diligenza per rinvenirli, havendo ritrovato,
che molti di loro non mettevano altro che i suoi nomi, e le sue
Patrie. Questo è quanto per hora posso dire alle Eccellenze
Vostre in ordine al commando supremo datomi dalla loro
suprema auttorità, onde con farli profondissima riverenza,
[…]. / Mantova, 16 Marzo 1707 / […] Frate Cesare Agosti
Inquisitore
(Facconi) AGOP, XIV Liber PP, pars I, Inquisitores Mantuani ex
monumentis Archivi Conventus ab anno MCCLIII usque ad annum
MCCCCXIV
È compilazione di padre Paolo Serafino Facconi, comprendente i
nomi degli Inquisitori Mantovani dal 1253 sino al 1414 (f. 4r) e l’elenco
dei priori del convento dal 1306 fino al 1753. Nella lettera
accompagnatoria, datata Mantova 20 giugno 1754, scrive di essersi basato
sull’archivio del convento. Cfr. «Archivum Fratrum Praedicatorum», vol.
36, 1966; vol. 39, 1969.
(Lux chronologica) Biblioteca comunale Teresiana di Mantova, ms. 139
– A . V . 9: Lux chronologica. Quotquot ex ord. ff. Praed. in Ducatu
Mantuano sibi nomen fecerunt variis tabulis illustrans.
Compilazione della prima metà del Settecento, graficamente curata,
– 269 –
elenca i domenicani illustri (priori, scrittori, inqusitori) a vario titolo legati
a Mantova, per l’origine familiare, per il convento di professione, o per
avervi ricoperto incarichi. Le tavole rilevanti sono la
X:
“complens
numerum patrum priorum conventus Sancti Dominici Mantuae ab anno
.MDCCXXIV. usque ad annum **** [1747]”;
XI:
“complectens quotquot ex
ordine fratrum Praedicatorum fidei quaesitores Mantuae, eiusdemque
ducatus inveniri potuerunt ab anno .1244. usque ad annum .1620”;
XII:
“prosequens referre inquisitores Mantuae, eiusdemque ducatus ex ordine
fratrum Praedicatorum ab anno .MDCXX. usque ad annum .MDCCXXIV”;
XIII:
“recenses quotquot a Mantua eiusque ducatu in ordine fratrum
Praedicatorum fidei tribunal rexerunt [1417-1723]”;
XIV:
“enuncians alios
fidei quaesitores alumnos, seu ut vocant filios conventus Sancti Dominici
Mantuae [1583-1705]” e l’appendice “inquisitores mantuani in ordine
Minorum”.
Vi è allegato un elenco a stampa: Series chronologica provincialium et
vicariorum generalium provinciae (ut vocant) Utriusque Lombardiae ordinis
Praedicatorum quotquot colligi potuerun, Bononiae, typis Ioseph Mariae
Fabri ex Typographia Bononiensi Sancti Thomae Aquinatis, 1732.
Proseguita con annotazioni manoscritte sino al 1745.
Per una più accurata descrizione cfr. PERINI 2012.
– 270 –
Repertorio degli inquisitori di Mantova
Carte d’archivio e testi citati in bibliografia
I principali archivi che hanno permesso di verificare le cronologie
sono stati ovviamente ACDF e ASMn,
AG
(per alcuni periodi la
corrispondenza scritta tra la corte ducale e l’inquisitore è regolare, e quasi
ogni anno si ritrova qualche foglio).
Altre notizie si trovano pubblicate in letteratura, e sono citate nella
forma consueta.
Serie
Sono indicate le date, certe o probabili, di inizio e fine mandato,
quando possibile integrate da cenni volutamente schematici sulla carriera
inquisitoriale o sulla nomina di vicari e consultori. Le diciture sono tratte
dalle fonti indicate tra parentesi.
Reginaldo da Verona
1244 P. F. Reginaldus N. Veronensis a P. Gualfrido Priore Provinciali auctoritate
Apostolica delegatus. Hoc temporis intervallo Inquisitor Generalis Lombardiae et
Mantuae Fidei Censor praefuisse putatur. (Lux chronologica).
Rizzardo da Verona
1253 F. Rizzardus Veronensis (Facconi).
Alberico da Piacenza
1262 F. Albericus de Placentia (Facconi).
Daniele da Giussano
1268 F. Daniel de Gluxano (Facconi).
Tommaso da Como
1295 F. Thomas de Como (Facconi).
Egidio Prosperi da Parma
1306 F. Egidius de Prosperii Parmensis (Facconi).
Tommasino de Tonsi da Modena
1316 F. Thomasinus de Tonsis de Mutina (Facconi).
“1316, 15 Junii / Licentia concessa per Fratrem Thomasinum de Tonsis Mutinensem,
Fratrum Ordinis Praedicatorum Inquisitorem Haereticae pravitatis in Provincia
Lombardiae inferioris. Salvagno de Maralijs Officialis Inquisitoris ferendi arma
tam in Civitate, quam in aliis Locis. / Rogato Zannino de Milio, Notario.”
– 271 –
(pergamene in ASMn, AG, Mat. Eccl. I, b. 3279).
Agostino da Padova
1338 F. Augustinus de Padua (Facconi).
Tomaso Arriani da Mantova
1390 F. Thomas de Arrianis de Mantua (Facconi).
Domenico da Bologna
1409 F. Dominicus de Bononia (Facconi).
Bernardo da Fermo
1414 F. Bernardus de Firmo (Facconi).
Benedetto da Fermo
1417 P. F. Benedictus N. Firmanus (Lux chronologica).
vicario Agostino Maggi da Mantova
il suo breve vicariato precede immediatamente la titolarità di Ambrogio Corradi
Alemanno (TAVUZZI 2007b, p. 182).
Ambrogio Corradi Alemanno
1485 14 maggio: “Frater Ambrosius de Alemannia, conventus Mantuani, instituitur
inquisitor Mantuanus” (TAVUZZI 2007b, p. 182 n. 160).
1486 Pr F. Ambrosius de Alemannia (Agosti).
1486 P. F. Ambrosius N. Alemanus Scriptor fuit magister Studiorum Bononiae (Lux
chronologica).
Domenico Pirri da Gargnano
1490 6 agosto: “Magister Dominicus de Grignano absolvitur ab inquisitione Bononiense
et fit inquisitor Mantuanus cum terminis eiusdem” (AGOP, IV, reg. 9, fol. 61v; da
TAVUZZI 2007b, p. 182 n. 159; a p. 183 scrive che rimase a Mantova tutta la vita,
sin verso il 1520).
1490 Pr Mr Dominicus de Gargnano (Agosti).
1490 P. M. F. Dominicus natus a Gargnano. Fuerat prius regens Bononiae, ibidemque
inquisitor (Lux chronologica).
Ha per vicario Girolamo Armellini da Faenza (vedi).
Anonimo
1517 Supplica del padre inquisitore al principe di un un decreto che per l’avvenire
preveda la punizione degli eretici col fuoco.
“<1517 30 Feb. Supplica del padre Inquisitore umiliata al Principe di Mantova,
implorando la spedizione di un decreto Marchionale, acciò per per l’avvenire
vengano gli Eretici puniti colla pena del fuoco>” (ASMn, AG, 3279, fasc. 9).
Girolamo Marcobruno da Faenza
1521 Pr F. Hieronimus Marcobrunus de Faventia (Agosti).
1521 P. F. Hieronymus Marcobrunus Faventinus (Lux chronologica).
– 272 –
Repertorio degli inquisitori di Mantova
Ludovico Marino da Genova
1525 Pr F. Ludovicus Marinus de Janua (Agosti).
1525 P. F. Ludovicus Marinus Ianuensis. Fuit magister studiorum (Lux chronologica).
Giovanni Battista da Milano
1529 Pr Mr F. Iohannes Baptista de Mediolano (Agosti).
1529 P. M. F. Ioannes Baptista n. Mediolanensis. Fuit duabus vicibus Regens Bononiae
et Provincialis Lombardiae (Lux chronologica).
Girolamo Armellini da Faenza
1531 P. M. F. Hieronymos Armeninus, seu Armellinus Faventinus. Scriptor fuit
magister studiorum (Lux chronologica).
sino al 1511?
è vicario di Domenico da Gargnano verso i primi del ’500; nel 1511
lascia Mantova per Bologna (lettore allo studio), dal 1518 circa sino al 1525 è a
Reggio o Parma, indi di nuovo Mantova. (DSI, Armellini, Girolamo (Herzig), che
rinvia a Leandro Alberti, De viris illustribus ordinis praedicatorum libri sex …, 1517).
Cfr. anche TAVUZZI 2007b, pp. 68-72 e p. 72 n. 107 che rinvia a AGOP, XIV, liber
D,
p. 598.
Tommaso da Saiano
1540 Pr F. Thomas de Saiano (Agosti).
1540 P. F. Thomas n. a Saiano (Lux chronologica).
Ambrogio Aldegatti da Mantova
1553 Pr F. Ambrosius Ardegatis de Mantua (Agosti).
1553 P. M. F. Ambrosius Aldegati Mantuanus, qui anno 1556 erat simul prior et
inquisitor. Fuit episcopus Casalensis (Lux chronologica).
1553 P. F. Ambrosius Aldegati Mantuanus in Patria Inquisitor usque ad annum 1567;
fuit Episcopus Casalensis. Scriptor (Lux chronologica).
anni ’60 Teofilo Marzio da Siena, monaco benedettino “collaboratore dell’inquisizione
negli anni Sessanta a Mantova nel corso dei processi contro i benedettini seguaci di
Giorgio Siculo” (DSI, Mocenigo, Filippo (Bonora)).
Camillo Campeggi da Pavia
agosto 1563-aprile 1568 inquisitore di Ferrara e Modena.
1567 Pr Mr F. Camillus Campeggius de Papia, Episcopus Nepesinus (Agosti).
1567 P. M. F. Camillus Campisius Papiensis scriptor. Fuit theologus Concilij Tridentini
ac episcopus Nepesinus, et Sutrinus (Lux chronologica).
Benedetto Erba da Mantova
1568 1 settembre lettera credenziale di Pio V per Benedetto da Mantova (ASMn, AG, b.
3279, c. 94)
1569 P. M. F. Benedictus Herba Mantuanus. Fuit theologus Concilij Tridentini et
episcopus Casalensis (Lux chronologica).
– 273 –
Andrea Alcheri da Maderno
1570 Pr F. Andreas de Alcheriis de Materno (Agosti).
1571 P. F. Andreas de Alcheriis Brixiensis a Materno scriptor (Lux chronologica).
Giovanni Battista Clavena da Milano
1571
P. F. Iohannes Baptista Clavena Mediolanensis. Fuit magister studiorum,
inquisitor Mediolani et Venetiarum (Lux chronologica).
1572 Pr F. Iohannes Baptista de Mediolano (Agosti).
1572 12 marzo: editto a stampa firmato da frate Giovanni Battista Civena da Milano.
(ASMn, AG, b. 3279, c. 111).
Giovanni Battista Barga da Porretta
1572 P. F. Iohannes Baptista Bargas Bononiensis a Porrecta. Fuit inquisitor generale
(Lux chronologica).
1573 Pr F. Iohannes Baptista de Bononia (Agosti).
1572 28? maggio (5? calendis Iunii): il duca Guglielmo concede il braccio secolare a Gio.
Batta Borghi da Bologna (ASMn, AG, b. 3279, c. 108).
annotazione senza data: “il già sopradetto Guglielmo cacciò da Mantova un inquisitore
chiamato fra Gio Batta da Bologna per simil cose [multe troppo alte inflitte ai rei]”
(ASMn, AG, b. 3279, c. 117).
Giacomo Festino da Sant’Angelo Lodigiano
1577 P. M. F. Iacobus Festinus Laudensis a S. Angelo, qui postea fuit prior Bononiae et
tribus vicibus Provincialis Lombardiae (Lux chronologica).
Giulio Doffi da Firenze
1578 Pr Mr F. Julius Dolfinus de Florentia (Agosti).
1578 P. M. F. Iulius Doffius Florentinus conventus Imolensis Alumnus scriptor. Fuit
episcopus Alexani (Lux chronologica).
Ampiamente attestato in TCD, mss. 1225 e 1226, da cui risulta avere Pio da Lugo come
vicario nel 1581.
“Molto ill.re sig. mio oss.mo / Ho ricevuto adess’adesso le patenti per l’Inquisitione di
Pavia, et in mio luogo viene il Padre Pesarino, del quale altre volte abbiamo
parlato, che così mi scrisse l’illustrissimo signor cardinale Savello, et perché è debito
mio avanti la mia partita riverire con la presenza sua Altezza, dalla quale sempre
benignamente et con infinita amorevolezza sono stato trattato come ho detto et
dirò in ogni luogo, però la prego a dovermi far sapere con una sua se posso et debbo
venir costì per far con sua Altezza quanto detto.” (ASMn, AG, b. 2619, 8 novembre
1582, da Mantova, fra Giulio Doffi a Zibramonti, a Revere)
Domenico Istriani da Pesaro
1583 Pr Mr F. Dominicus Istriani de Pisauro (Agosti).
1583 P. M. F. Dominicus Istriani Pisauriensis. Fuit prior Bononiae, et ibidem inquisitor
– 274 –
Repertorio degli inquisitori di Mantova
(Lux chronologica).
Nel 1587 ha per vicario Ercole Ripa (AStDMn, Curia Vescovile, Avvisi: “Editto sopra
l’indice de’ libri prohibiti”, 2 aprile 1597).
Domenico Vignuzzi da Ravenna
s. d.
Pr Mr F. Dominicus Vignutius de Ravena (Agosti).
1597 P. M. F. Dominicus Vignutius Ravennas prius Soc.us S.O. in Urbe, et obijt
inquisitor Venetiarum (Lux chronologica).
Suo giuramento come ‘socius Patris Commissarii generalis’ il 25 gennaio 1593 (ACDF,
Juramenta, 1578-1655, c. 79).
Girolamo Capredoni da Soncino
1600 Pr Mr F. Hieronimus de Soncino (Agosti).
1600 P. M. F. Hieronymus Capredonius Soncinas. Fuerat regens Bononiae. Scriptor.
(Lux chronologica).
1600 Il benedettino Arnoldo Fiandrese è proposto nuovamente come correttore dei libri
per conto del Sant’Uffizio.
Giovanni Paolo Nazario da Cremona
1604 Pr Mr F. Jo[hann]es Paulus Nazarius de Cremona (Agosti).
1604 P. M. F. Ioannes Paulus Nazarius Cremonensis scriptor. Fuit regens tribus vicibus
Bononiae, et orator status Mediolanensis ad regem Hispaniarum Philippum
IIII.
(Lux chronologica).
“Questo /// Inquisitore non sarà se non bene si parta presto di qua, per che l’humor suo
non si confà con le nostre maniere di trattare. Intendiamo che il successore suo è
tutto zuccaro, piaccia a Dio che sia così perché l’asprezza naturale et accidentale di
quest’huomo ha bisogno di lenitivo.” (ASMn,
AG,
b. 2701, fasc. 1, c. 118v, 19
agosto 1605, da Mantova, Chieppio a Giovanni, gentiluomo del duca presso il
papa)
Serafino Secco da Pavia
1606 Pr Mr F. Seraphinus Siccus de Papia, fuit Magister Ordinis (Agosti).
1606 P. M. F. Seraphinus Siccus Papiensis scriptor. Fuit magister generalis ordinis. (Lux
chronologica).
Suo giuramento come consultore il 22 ottobre 1608 (ACDF, Juramenta, 1578-1655, c.
162).
Eliseo Masini da Bologna
1608 9 ottobre scrive di aver ricevuto la patente per l’incarico mantovano, il 7 dicembre
risulta in viaggio e ha già passato le consegne al suo successore ad Ancona (BLACK
2009, p. 109 che rinvia a ACDF), dove era stato titolare dal 1607; dal giugno 1609
al settembre 1627 sarà titolare a Genova (DSI, Masini, Eliseo (Fontana)). È l’autore
del celebre Sacro Arsenale.
– 275 –
1609 Pr Mr F. Eliseus Masinus de Bononia (Agosti).
1609 P. M. F. Eliseus Masinus Bononiensis scriptor, prius socius S. O. in Urbe. (Lux
chronologica).
Suo giuramento come ‘socius Patris Commissarii generalis’ il 13 aprile 1605 (ACDF,
Juramenta, 1578-1655, c. 138).
Girolamo Medici da Camerino
1610 Pr Mr F. Hyeronimus Medici de Camerino (Agosti).
1610 P. M. F. Hieronymus Medices Camer.s scriptor. Fuit prior Bononiae et
pro[vincia]lis Lombardiae (Lux chronologica).
Un suo editto, probabilmente una ristampa, risulta “dato nella Cancellaria del Sant’Officio
di Mantova, li n 17. Febraro 1620.”, notaio frate Ippolito Francesco Bono.
Massimo Guazzoni da Bozzolo
1618 P. F. Maximus Guazzoni a Bozolo (Lux chronologica).
Notizie sulla sua carriera in (Lux chronologica): “1609: P. L. F. Maximus Guazzoni a
Bozolo Fidei quaesitor Ticini Regii [Pavia], Mutinae, Mantuae, Arimini usque ad
annum 1620”.
Deodato Seghizzi da Lodi
1620 Pr Mr F. Deodatus Seghitius de Lauda (Agosti).
1620 P. M. F. Deodatus Seghitus Laudensis (Lux chronologica).
Suo giuramento come ‘socius Patris Commissarii generalis’ il 7 settembre 1616
(Juramenta, 1578-1655, c. 221); come inquisitore di Pavia l’ 8 gennaio 1620 (ivi, c.
268).
Ambrogio da Taggia
1631 Pr Mr F. Ambrosius de Tabia (Agosti).
1631 P. M. F. Ambrosius Ruggieri Tabiensis scriptor (Lux chronologica).
Pietro Martire Ricciardi da Acquanegra
1634 Pr Mr F. Petrus Martir de Aquanigra (Agosti).
1634 P. M. F. Petrus Martyr Ricciardus ab Aquanigra, prius socius S. O. in Urbe. Fuit
inquisitor Genuae (Lux chronologica).
Suo giuramento come ‘socius Patris Commissarii generalis’ il 28 agosto 1624 (ACDF,
Juramenta, 1578-1655, c. 313).
Suo editto come inquisitore di Cremona, senza data, trasmesso a Roma nel 1638
dall’inquisitore di Mantova “Noi Frà Pietro Martire Ricciardi d’Acqua negra
dell’Ordine de’ Predicatori Maestro / di Sacra Theologia, & Inquisitore Generale
nella presente Città di Cremona, & / sua Diocesi […]” (ACDF, St. st., CC 1 c).
Camillo Campeggi junior da Pavia
1640 Pr Mr F. Camillus Campeggius de Papia (Agosti).
1640 P. M. F. Camillus Campisius iunior Papiensis. Ex S:us S.O. Urbis (Lux
– 276 –
Repertorio degli inquisitori di Mantova
chronologica).
Suo giuramento come ‘socius Patris Commissarii generalis’ il 4 settembre 1635 (ACDF,
Juramenta, 1578-1655, c. 430).
Agostino Carmello da Alessandria
1643 Pr Mr F. Augustinus Carmellus de Alexandria (Agosti).
1643 P. M. F. Augustinus Cermellus Alexandrinus scriptor. Ex S:us S. O. Romae (Lux
chronologica).
Mancano altre attestazioni.
Nicola Buzzale da Modena ?
Suo giuramento il 14 ottobre 1643 come inquisitore di Mantova (ACDF, Juramenta,
1578-1655, c. 505). Mancano altre attestazioni.
Angelo Hondedei da Pesaro
1645 Pr Mr F. Angelus Hondeus de Pisauro (Agosti).
Suo giuramento del 14 giugno 1551 in cui promette di ‘fideliter exercere munus
Inquisitoris Mantuae’ trasmesso a Roma dal vescovo di Pesaro (ACDF, Juramenta,
1578-1655, c. 551).
Vincenzo Maria Cinarello da Corinaldo
1649 Pr Mr F. Vincentius Maria Cinarellus a Corniliano (Agosti).
1649 P. M. F. Vincentius M.a Cimarellus a Corinaldo in Piceno scriptor (Lux
chronologica).
Al 25 giugno 1650 papa Innocenzo
X
scrive al duca Carlo Gonzaga Nevers circa un
recente “facinus” commesso “adversus Inquisitionis Sanctae Majestatem”.
(ASV, Epistulae ad principes, 56, 219 vecchia, 233 meccanica).
Giulio Mercori da Cremona
(Giulio Mercuri)
1652 Pr Mr F. Julius Mercoris de Cremona (Agosti).
1652 P. M. F. Iulius Mercorus scriptor. Fuit inquisitor Mediolani, et orator ad regem
Hispaniarum Philippum IV et Socius S. O. in Urbe (Lux chronologica).
Suo giuramento come inquisitore di Mantova il 5 giugno 1652 (ACDF, Juramenta, 15781655, c. 667).
1658 Pubblica Basis totius moralis theologiae …; nello stesso anno ha per vicario Giovanni
Battista Righi, che sarà poi inquisitore di Mantova (vedi).
1662 Inquisitore di Pavia, poi di Milano.
Tommaso Pusterla da Milano
1662 Pr Mr F. Thomas Pusterla de Mediolano (Agosti).
1662 P. F. Thomas Pusterla Mediolanensis a Tradate (Lux chronologica).
1664 nominato inquisitore di Pavia (ACDF, Decreta, 1664, 12 novembre 1664).
– 277 –
Giacinto Maria Granara da Genova
1664 Pr Mr F. Hijacintus Maria Granara de Janua ex Inquisitione Mutinae (Agosti).
1664 P. M. F. Hyacinthus Maria Granara Ianuensis scriptor. Fuit inquisitor Mediolani
(Lux chronologica).
1665 pubblica Scuola di vera sapienza … .
Proviene da Gubbio, precedentemente a Modena, espulso dall’arciduchessa Isabella Clara,
quindi reintegrato, (ACDF,
GG
5 e, fasc. 1 ), poi nominato a Ferrara (ACDF,
Decreta, 1667, 18 giugno 1667), in seguito Ancona (1670 circa); nel 1674 attestato
a Milano, (ACDF; Cens. Libr., 1673-1675, fasc. 16.
Giovanni Tommaso Pozzobonelli
1667 Pr Mr F. Johannes Thomas Puteobonellus de Savona ex Provincialatu Lombardiae
(Agosti).
1667 P. M. F. Ioannes Thomasus Puteobonellus Sovonensis. Fuit regens Bononiae et
provincialis Lombadiae (Lux chronologica).
Giovanni Battista Righi da Amandola
1671 Pr Mr F. Iohannes Baptista Righi de Amandula, fuit Abbas Sanctae Barbarae
(Agosti).
1671 P. M. F. Io Baptista Righi Picenus ab Amandula. Fuit abbas Sanctae Barbarae,
episcopus Acconensis in Phoenicia, et orator ducis Ferdinandi Caroli ad regem
Galliae Ludovicum XIIII (Lux chronologica).
A suo favore nel 1666, mentre è inquisitore di Brescia, è una raccomandazione del duca di
Guastalla per ottenergli il grado di ‘magister provinciae Lombardiae’ (ACDF,
Decreta, 1667, c. 52, 16 marzo 1667); il favore sarà concesso il 30 marzo “ita tum
non transeat in exemplum”.
Bassano Galliccioli da Brescia
1675 Pr Mr F. Bassanus Galliciolus de Brixia, ex Inquisitione Venetiana (Agosti).
1675 P. M. F. Bassanus Galliciolis Brixiensis. Fuit Socius S.O. Urbis (Lux
chronologica).
Aurelio Torri da Rivalta Bormida
1692 Pr Mr F. Aurelius de Turi de Ripalta, ex inquisitione Placentiae (Agosti).
1692 P. M. F. Aurelius de Turre a Ripalta Bormidae (Lux chronologica).
Nel periodo 1677-1682 è inquisitore di Reggio.
Giordano Vignali da Bologna
1693 Pr Mr F. Jordanus Vignali de Bononia, ex Inquisitione Comi (Agosti).
1693 P. M. F. Iordanus Vignali Bononiensis, prius Socius S.O. in Urbe (Lux
chronologica).
1693 11 settembre: Giacinto Maria Cassani è attestato vicario (ACDF, Cens. Libr.,
1701-1702, fasc. 21).
– 278 –
Repertorio degli inquisitori di Mantova
Cesare Agosti da Cortemaggiore
1701 Pr Mr F. Caesar Agosti de Curte Maiore, ex Inquisitione Regij (Agosti).
1701 P. M. F. Caesar Agosti Placentinus a Curte maiori (Lux chronologica).
Giuseppe Maria Berti da Dulcedo d’Albenga
1707 P. M. F. Ioseph Maria Berti Albigaunensis a Dulcedo. Fuerat socius Magistri Sacri
Palatii Apostolici. Vivens (Lux chronologica).
Angelo Michele Nanni da Milano
1709 P. M. F. Angelus Michael Nanni Mutinensis prius socius S. O. in Urbe, obijt
inquisitor Ianuensis. (Lux chronologica).
1710 è suo vicario frate Reginaldo Rossi (ACDF, Censurae, Tituli Librorum, 1705-1710,
fasc. 146), che sarà vicario anche del successore; il primo ottobre 1711 chiederà
l’incarico di inquisitore di Verona, quasi vacante (ACDF, St. st., GG 5 e); il 16
ottobre 1711 risulta ancora a Mantova (ACDF, Censurae, Tituli Librorum, 17101721, fasc. 16).
Giacinto Pio Tabaglio da Piacenza
(Giacinto Taballi)
1708-1709 inquisitore di Reggio
1711 P. M. F. Hyacinthus Pius Tabalius Placentinus. Fuerat magister studiorum (Lux
chronologica). Talvolta confuso col quasi omonimo e contemporaneo Giuseppe
Maria Tabaglio.
Un suo memoriale, volto ad ottenere la promozione a maestro come se avesse
effettivamente esercitato il baccellierato, richiesta frequente da parte degli
inquisitori di questo periodo, permette di ricostruirne in parte la carriera: “Lecto
memoriali tenoris sequentis = Em.mi e R.mi SS.ri = Frà Giacino Gio Tabaglio da
Piacenza dell’Ordine de Predicatori inquisitore di Fermo ricorrentemente
rappresenta all’Eccellenze Vostre che doppo aver letto Filosofia, e Teologia per
anni quindici in varii Conventi riguardevoli della sua Provincia di Lombardia fù
essaminalmente laureato maestro di Sagra Teologia = Che poi à riguardo delle
sudette sue fatiche nel Capitolo Provinciale nell’anno 1702 fù approvato al
Magistero dello Studio Generale di San Domenico di Bologna = Che
successivamente essercitò a tenore delle Leggi della Provincia sudetta intieramente
il detto Magistero di Studio nel sudetto Convento /// di Bologna = che à riguardo
di ciò nel Capitolo Provinciale di Lombardia celebrato nello stesso convento di San
Domenico di Bologna nell’anno 1706, fu ballottato ed approvato al Baccellierato
per il sudetto studio Generale di San Domenico di Bologna = Che successivamente
dal suo Padre Generale colle solite lettere Patenti fù destinato ad esercitare il detto
Baccellierato, doppo il quale, secondo l’uso inveterato della Provincia di Lombardia
certamente sarebbe stato accordato Maestro di Provincia, cum loco, et voce = E che
– 279 –
prevenuto dalla generosa benignità dell’EE. VV. che lo destinarono all’Inquisitione
di Reggio, e poi a quella di Fermo, fù leggittimamente impedito dall’esercizio del
detto Baccellierato. Quindi per che le grazie impartitegli dall’EE. VV. ed il servigio
da lui prestato fin qui alla S. Sede nell’impiego d’Inquisitore non gli siano di
pregiudizio = supplica umilmente la benignità dell’EE. VV. à degnarsi di
raccomandarlo alla generosa clemenza della Santità di Nostro Signore affinché si
compiaccia commandare al Padre Provinciale di /// Lombardia, che nel primo
prossimo Capitolo della medesima Provincia, attesi li sudetti suoi requisiti alla
medesima Provincia notissimi, lo proponga alli Padri del Conseglio come se avesse
essercitato il detto Baccellierato, accioche, secondo il solito, sia accettato Maestro
di Provincia cum loco, et voce, come per Decreto consimile di cotesta Suprema
delli 6 febbraio 1706 fu praticato colli Padri Inquisitori di Faenza, e Pavia,
quantunque niuno d’essi avesse tutti li sudetti requisiti […]. Sanctitas Sua […],
annuit iuxta petita.” (ACDF, Decreta, 1702, cc. 195-198, 14 aprile 1710).
Ermes Giacinto Visconti da Milano
(Ermete Giacinto Visconti)
1708-1711 inquisitore di Modena.
1718 il vicario frate Ennio [per Enrico ?] Martinengo lamenta l’assenza del titolare
(TCD, ms. 1264, contro Francesco Bollini); nel 1724 è ancora vicario a Mantova
(ACDF, Cens. libr., 1724-1728, fasc. 17); nel 1733 è documentato inquisitore di
Bergamo (approva per la stampa i Pensieri, ed affetti sopra la Passione di Gesu Cristo
… del francescano frate Gaetano Maria da Bergamo, Bergamo 1733).
1718 15 aprile 1718, inoltra a Roma richiesta di stampa per conto di Giuseppe
Malaspina (ACDF, tit. libr., 1710-1721, fasc. 100).
1725 1 giugno, riferisce alla congregazione Roma che vigilerà sugli stampati riguardanti
la bolla Unigenitus (ACDF, cens. libr., 1724-1725, fasc. 12).
Domenico Maria Belotti
1736 25 gennaio: fra Domenico Maria Belotti comunica a Roma il suo primo arrivo a
Mantova, di cui è nominato inquisitore (ACDF, St. st. GG 5 e).
1738 citato in un contratto mantovano (AStDMn, Curia, Relazioni di enti …, b. 4).
Tommaso de Angeli da Jesi
1739 fra Tommaso de Angeli da Jesi, anconitano; la cui nomina inizialmente è rifiutata
dal governo per ragioni formali (ASMn, AG, b. 3279, f. 225).
Pietro Martire Cassio
1740 padre Pietro Martire Cassio (ASMn, AG, b. 3279, f. 242).
1741 l’imprimatur a Gionta, Fioretto … ed. 1741 nomina come “Sancti Offici librorum
Censor” Ludovico Rebecca.
1754 è nominato inquisitore di Piacenza (CERIOTTI 2006, p. 210).
– 280 –
Repertorio degli inquisitori di Mantova
Alessandro Orrigone
1754 padre Alessandro Origone O. P. (ASMn, AG, b. 3279, f. 371).
Alberto Mugiasca da Como
1765 18 dicembre è nominato inquisitore.
1768 muore Gian Battista Bertoglio, consultore canonista del Sant’Uffizio (orazione
funebre recitata da Teranza in BCMn, arm. 9 a 23).
1769 Padre Bicetti, destinato vicario del Santo Ufficio, ha rinunciato all’incarico, che
viene affidato a padre Giorgio Rizzini del convento di Mantova (ASMn,
AG,
b.
3279, fasc. 1743, c. 410).
1782 27 aprile: comunica a Roma l’avviso di soppressione (ACDF, St. st., GG 4 a; relata
in congregazione l’8 maggio 1782).
– 281 –
Abbreviazioni di archivi e biblioteche
Abbreviazioni di archivi e biblioteche
AArco
Archivio della Fondazione d’Arco, Mantova, Palazzo d’Arco.
AAVirg
Archivio dell’Accademia nazionale virgiliana, Mantova.
ACDF
Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, Città del Vaticano.
ACDF,
ACDF, Cens. libr.
Archivum Sancti Officii Romani, Res Doctrinales,
Censurae, Censurae librorum.
ACDF,
ACDF, Decreta
Archivum Sancti Officii Romani, Acta Congregationis,
Congregationes, Decreta.
ACDF,
ACDF, St. st.
AGOP
Archivum Sancti Officii Romani, Stanza storica.
Archivio Generale dell’Ordine dei Predicatori, Convento di Santa Sabina,
Roma.
Ambr
Biblioteca Ambrosiana, Milano.
ASMn
Archivio di Stato di Mantova, Mantova.
ASMn,
ASMn, AG
ASMn, AG, Mat. eccl.
ASMn, AG, P –
ASMn, AG, Criminali
ASMn, AG, U II – Procedure criminali.
ASMn, DU
ASMn,
Demaniali e uniti, I e II serie.
Patrii d’Arco
ASMn, Documenti patrii raccolti da Carlo d’Arco
ASMo
Archivio di Stato di Modena, Modena.
ASVe
Archivio di Stato di Venezia, Venezia.
ASV
Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano.
ASV, Segr. Stato, Germania
AStDMn
Materie ecclesiastiche;
ASMn, Archivio notarile.
ASMn, Notarile
ASMn,
Archivio Gonzaga.
ASV,
Segreteria di Stato, Germania.
Archivio storico diocesano di Mantova, Mantova.
AStDMn,
AStDMn, Cont.
Contenzioso e correzionale.
AStDMn, CC
AStDMn,
Capitolo della Cattedrale.
AStDMn, MV
AStDMn,
Mensa vescovile.
AStDRo
Archivio storico diocesano di Rovigo, Rovigo.
AStPVe
Archivio storico patriarcale di Venezia, Venezia.
BCMn
Biblioteca comunale Teresiana di Mantova, Mantova.
BNCFi
Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Firenze.
BCNFi, Capponi
TCD
BCNFi, Fondo Capponi,
G, mobile cassetta 2, num. 30.
The Collection of Mediaeval & Renaissance Manuscrips at Trinity College Dublin.
Section I. The Roman Inquisition, London 1985 (microfilm dei mss. 1223-1277),
consultabili presso Fondazione Giorgio Cini, Venezia.
– 282 –
Criteri di trascrizione
Criteri di trascrizione
Le trascrizioni privilegiano un criterio conservativo, uniformando punteggiatura
e accentazione solo quando necessario per la miglior comprensione (es. ne e né, e ed è,
etc.).
Le parentesi tonde ( ) sono utilizzate quando compaiono nel testo originale, le
quadre [ ] segnalano interventi dell’editore o eventuale cartulazione d’archivio, le angolate
< > inserimenti materialmente presenti nel testo, anche se di autore ed epoca ignota, le
graffe { } segnalano quelle cancellature ed espunzioni ritenute interessanti.
L’enfasi ottenuta tramite sottolineatura della parola o spaziatura tra i singoli
caratteri è resa in corsivo ove ritenuta significativa, altrimenti ignorata. La barra semplice /
indica a capo, doppia // interruzione di paragrafo, tripla /// nuova pagina o foglio.
I puntini di sospensione ripetuti [… … …] segnalano l’ellissi di numerosi
capoversi.
Le abbreviazioni sono sciolte senza indicazione, mantenute se ripetute e di
interpretazione ovvia. I dittonghi æ œ sono sistematicamente sciolti in ae oe. Il segno j in
fine di parola è reso con i quando ha valore vocalico o numerico.
– 283 –
Abbreviazioni delle opere citate e bibliografia
Per alcune opere citate si è preferito lasciare le indicazioni
bibliografiche complete nelle note a piè di pagina, come completamento
del testo; per questo non sono nuovamente indicate nell’elenco dei
riferimenti qui di seguito.
A
ADDANTE 2010
Luca Addante, Eretici e libertini nel Cinquecento italiano, Roma-
Bari 2010.
A dieci anni dall’apertura … 2011
A
dieci
anni
dall’apertura
dell’Archivio
della
Congregazione per la dottrina della Fede: storia e archivi dell’inquisizione,
convegno, Roma, 21-23 febbraio 2008, Roma 2011.
ADORNI 1979
Bruno Adorni, La costruzione della nuova abbazia, in ADORNI
(CUR.) 1979.
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Bruno Adorni (a cura di), L’abbazia benedettina di San Giovanni
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cinque si descrive ciò, ch’è occorso in quella, appartenente massime al culto
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celebratovi da Pio Secondo, in Mantova, presso Aurelio e Lodovico Osanna
fratelli, stampatori ducali, 1612. Parte seconda. Nella quale in altri cinque libri
seguenti alla Prima parte, si descrive ciò ch’è occorso in quella, appartenente
massime al culto christiano, dal Concilio da Pio II. celebratoui, fino a’ presenti
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Descrittione dell’infirmità, morte, et funerali del sereniss. sig. il sig.
Guglielmo Gonzaga, terzo duca di Mantoua, e di Monferrato primo. Con quelle de le
solenni cerimonie, fatte nella coronatione del sereniss. sig. il sig. duca Vincenzo suo
figlio e successore di Don Federico Follino mantovano. Insieme con le orationi
recitate in ciascuna di queste attioni; et con la raccolta di quante compositioni,
volgari, e latine, fin’ad hora sono sopra ciò uscite, presso Francesco Osanna,
Mantova 1587, in Follino, Cronache.
FOLLINO 1594
Breve descrittione della barriera fatta in Mantova il primo dì di Maggio
MDLXXXXIIII con la dechiaratione dell’Inventione di quella, dell’Apparato del Teatro,
– 304 –
Abbreviazioni delle opere citate e bibliografia
et delle Machine insieme con tutti i Cartelli, co’ nomi et abiti de’ Cavalieri, et premij
de’ Vincitori, per Francesco Osanna, Mantova 1594, in Follino, Cronache.
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ZAGNI 1977
Giorgio Zagni, Le visite pastorali e inquisitoriali alla diocesi di Mantova
(1534-1560) commissionate dal cardinal Ercole Gonzaga (1505-1563), tesi di
laurea, relatore prof. Carlo Ginzburg, Università degli Studi di Bologna,
Facoltà di Lettere e filosofia, a. a. 1976-1977.
ZANCA 1964
Attilio Zanca, Notizie sulla vita e sulle opere di Marcello Donati da
Mantova (1538-1602) medico, umanista, uomo di Stato, Pisa 1964.
ZANIER 1975
Giancarlo Zanier, Ricerche sulla diffusione e la fortuna del “De
incantationibus” di Pomponazzi, Firenze 1975.
– 335 –
ZANIER 1983
ZARRI 1985
Giancarlo Zanier, Medicina e filosofia tra ’500 e ’600, Milano 1983.
Gabriella Zarri, Dalla Pieve alla chiesa cittadina: note sulle istituzioni
ecclesiastiche di Guastalla in Guastalla 1985, pp. 87-120.
ZARRI 1986
Gabriella Zarri, Il carteggio tra don Leone Bartolini e un gruppo di
gentildonne bolognesi negli anni del Concilio di Trento (1545-1563). Alla ricerca di
una vita spirituale, in «Archivio italiano per la storia della pietà», vol. VII 1986.
ZARRI 1987
Gabriella Zarri, Note su diffusione e circolazione di testi devoti (1520-1550),
in Libri, idee … 1987.
ZARRI 1990
Gabriella Zarri, Le sante vive. Cultura e religiosità femminile nella prima età
moderna. Profezie di corte e devozione femminile tra ’400 e ’500, Torino 1990.
ZERBINATI 1998
Claudia Zerbinati, La Controriforma a Mantova, tesi di laurea,
relatore prof.ssa Paola Ceschi, Università degli Studi di Parma, a. a. 1997-1998.
ZIEGLER 1987
Walter Ziegler,
Die deutschen Franziskanerobservanten zwischen
Reformation und Gegenreformation, in I francescani in Europa 1987, pp. 51-95.
ZONTA 1916
Giuseppe Zonta, Francesco Negri l’eretico e la sua tragedia “Il libero arbitrio”,
in «Giornale storico della letteratura italiana», 67 (1916) pp. 265-324, 68
(1916) pp. 108-160.
– 336 –
Sommario
Introduzione
1
I frammenti superstiti
8
L’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede
9
I manoscritti presso il Trinity College di Dublino
9
Archivi mantovani
10
Gli archivi di Venezia e Ginevra
12
Risultati del censimento
13
17
Sovrapposizioni
La pubblica messa in scena
22
Lettura delle sentenze
22
“Ogni teologia ha necessità di usare rappresentazioni visibili, per
spiegare le cose invisibili”
27
Catafalco e barriera
32
Due esecuzioni contro gli Ebrei
34
35
Lo sfratto del 1666
Per ben adempiere al proprio dovere
35
L’arrivo di padre Granara
38
Giacinto Maria Granara e Isabella Clara d’Austria
40
Padre Granara a Mantova
44
Propaganda e rimozione
47
Gli Annali del Sacerdozio e dell’Imperio di monsignor Marco
Battaglini e l’ Historia d’Italia di Giacomo Brusoni
49
Frate Bartolomeo Cambi da Saluzzo, francescano
51
Le cronache locali
54
“Il caso dello sfratto dell’Inquisitor da Mantova”
55
Eleonora Gonzaga Nevers
70
Le scomuniche
75
Nella Lombardia Austriaca
85
Prodromi a Mantova
85
“Niuna forma gli si permetta del detto esercizio”
– 337 –
90
“I Principi ne sanno più di teologia in pratica, che i Padri lettori
nella Speculativa”
98
Riepilogo delle lettere responsive relative al divieto di esposizione
della bolla In coena Domini
Il confronto tra Roma, Milano e Vienna
104
115
La memoria presentata dal cardinal Visconti
116
Progetto per ridefinire i limiti territoriali del tribunale
126
Il memoriale di Pio VI
128
I crocesignati
132
Mantova
133
Goito
139
Il vescovo Giovanni Battista Pergen
142
La soppressione
148
I resoconti economici
152
Dettaglio entrate-uscite per l’anno 1710
156
Riepiloghi annuali delle spese
162
Gli ultimi anni di attività
164
La sinagoga Cases
164
La censura parallela austriaca
173
L’edizione dell’Opus macaronicum folenghiano del 1768-71
179
Domenico Conti Bazzani, illustratore
184
L’abate Gaetano Teranza
185
Il conte Giovan Battista Gherardo d’Arco, il marchese Carlo
Valenti e monsignor Giovanni Agostino Gradenigo
297
Il testo
204
L’organizzazione del tribunale
219
Edificio e inventario
219
Consultori e vicari
224
Patentati del Sant’Ufficio, sede di Mantova
231
Vicarie del Sant’Ufficio di Mantova
236
Territorio e giurisdizione
241
Le origini
241
Parentesi politica
243
– 338 –
Sommario
“Inquisitore generale ne i stati del serenissimo signor Duca di
Mantova e Monferrato e degli illustrissimi signori
247
Gonzaghi”
Casale Monferrato
252
Verso Brescia
254
La mancata unione dell’Oltreoglio
258
Guastalla
263
Repertorio degli inquisitori di Mantova
267
Cronologie settecentesche
267
Carte d’archivio e testi citati in bibliografia
271
Serie
271
Abbreviazioni di archivi e biblioteche
282
Criteri di trascrizione
283
Abbreviazioni delle opere citate e bibliografia
284
Sommario
337
– 339 –