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Università degli studi di Verona Dipartimento Tempo, Spazio, Immagine, Società Scuola di dottorato in Studi umanistici Dottorato di ricerca in Scienze storiche e antropologiche XXV ciclo / anno 2010 Per ben adempiere al proprio dovere La sede mantovana del Sant’Uffizio tra XVI e XVIII secolo S.S.D. MͲSTO/02 coordinatore prof. Gian Maria Varanini tutor dott. Federico Barbierato dottorando Alessio Berzaghi Introduzione L’interesse per l’eterodossia mantovana risale alla nascita della storiografia sul Tridentino, con le prime ricerche che il giovane Paolo Sarpi conduceva a Mantova, durante gli anni di studio e apprendistato trascorsi nel convento servita di San Barnaba, quasi testimone dei processi che stavano chiudendo l’esperienza spirituale legata al cardinale Ercole Gonzaga, ben prima che l’Istoria del Concilio prendesse forma. Come racconta Fulgenzio Micanzio, biografo di Sarpi, un importante informatore per l’Istoria fu Camillo Olivo, il segretario di Ercole Gonzaga che – declinata la fortuna del padrone – “fu per via degl’inquisitori molto travagliato, col tenerlo longamente in carcere dopo la morte del cardinale suo signore.”1 I sospetti, alimentati dai segni di stima che Vergerio aveva più volte ottenuto a Mantova, erano più che fondati, e il ritrovamento delle carte di Giulia Gonzaga prima, i processi a Carnesecchi e Calandra poi, analizzeranno la religiosità dell’entourage della corte gonzaghesca con la determinazione e il rigore propri di Michele Ghislieri, che poteva portare a compimento quanto iniziato da Paolo IV. Che la missione inquisitoriale di Camillo Campeggi del 1567 sia stato un momento traumatico per la città è chiarito senza dubbio negli studi di Pagano,2 il quale – ritrovato il processo contro Endimio Calandra tra gli scaffali del fu Sant’Uffizio3 – incrociò le proprie carte con quelle relative agli spirituali e al valdesianesimo che Massimo Firpo e Dario Marcatto già da qualche tempo andavano studiando per l’edizione del 1 MICANZIO, Vita del padre Paolo, p. 1299. 2 PAGANO 1991. 3 ACDF, St. st., E 2 e; ACDF, St. st., D 4 g; sono miscellanee frutto di uno o più riordini operati dagli archivisti. –1– processo Morone4. Il lavoro di Pagano, fittissimo di note d’archivio, deve molto del suo fascino al continuo trascorrere dal piano interno del processo (il carteggio con Roma e con Carlo Borromeo, le carte di lavoro di Campeggi, le testimonianze e i costituti) alla rappresentazione che del processo veniva percepita, o consapevolmente diffusa, a corte e in città, in uno scenario in cui le parti in causa hanno visioni differenti sulla natura e pericolosità dell’eresia, sulla gestione dei benefici ecclesiastici, sulla possibilità – per il principe di un piccolo stato – di negoziare soluzioni di compromesso con il pontefice. Sempre negli anni ’60 si esauriva l’attesa messianica sopravvissuta alla condanna, nel 1551, di Giorgio Siculo.5 Il tema dell’eterodossia benedettina è andato chiarendosi lentamente: dalla decifrazione del Beneficio di Cristo6 e dell’ambiente che l’aveva prodotto7 alla rilettura e riedizione dei testi folenghiani8 l’importanza culturale del monastero cassinese di Polirone è stata progressivamente rivisitata, alimentando il recupero ‘fisico’ del monastero9 e cercando una cifra unitaria che accomodasse l’inquietudine spirituale della committenza alla maniera e alla religiosità degli artefici.10 Il confronto tra il linguaggio figurativo e quello FIRPO – MARCATTO 1987 e FIRPO – MARCATTO 2011; inoltre FIRPO – PAGANO 4 2004. 5 PROSPERI 2000. 6 CAPONETTO 1975; GINZBURG – PROSPERI 1975. 7 PASTORE (CUR.) 1978; FRAGNITO; 1987a, PASTORE 1981; COLLETT 1985. FOLENGO, Opere; BONORA – CHIESA (CUR.) 1979, GOFFIS 1979, CAVARZERE A. 8 1984, FOLENGO, Macaronee minori; GATTI 1991; FOLENGO, Baldus [1997]; BERNARDI PERINI 2000 (raccolta di studi precedenti); FOLENGO, Baldus [2004-2007]; infine l’ampio ZAGGIA 2003. 9 Esemplificativa, benché non immediatamente legata a lavori di restauro, la mostra di cui è catalogo PIVA (CUR.) 1981. In parallelo procedevano gli studi medievistici. 10 PIVA 1988, PIVA – DEL CANTO (CUR.) 1989. –2– Introduzione teologico-devozionale non ha sempre dato i risultati auspicati, stante la difficoltà di cogliere le molte sfumature del nicodemismo, talvolta semplice e sfuggente assonanza. Al paradigma ottocentesco dei ‘martiri del libero pensiero’, che Bertolotti11 aveva sviluppato consultando ampiamente l’Archivio di Stato di Mantova (intravedendo aperture verso la storia del diritto penale), si è ormai sostituito uno sguardo più attento alle interazioni tra gruppi sociali e tra apparati amministrativi o di potere12; secondo un modello reticolare della circolazione della conoscenza che ha reso poco soddisfacente un’espressione di impronta diffusionista come ‘infiltrazioni protestanti’.13 Gli studi specificamente dedicati alla situazione mantovana hanno in parte eluso, o forse sottostimato, il rapporto tra il sant’Uffizio e i fermenti religiosi dell’età del cardinal Ercole,14 mentre gli studi di argomento più generale hanno incontrato solo sporadicamente le vicende del ducato, il cui ruolo culturale rimase significativo almeno sino al sacco del 1630. Le difficoltà per l’indagine storica erano e sono oggettive, considerata la distruzione dell’archivio locale del Sant’Uffizio operata dall’amministrazione austriaca dopo una prima cernita effettuata dagli stessi inquisitori. L’ostacolo è stato solo in parte aggirato ricorrendo alla corrispondenza dell’Archivio Gonzaga,15 e neppure l’apertura dell’archivio 11 BERTOLOTTI A. 1891. 12 All’intersezione dei quali si situa GRENDLER 2009, che riprende per il caso mantovano, con indagine particolare e originale, i suoi studi sui vari livelli di trasmissione culturale. 13 14 Titolo di BERTAZZI NIZZOLA 1956, che nell’insieme rimane un utile riferimento. MURPHY 2000 e MURPHY 2007, comprensibile nei più datati SACCANI 1953, MAZZOCCHI 1959, ZAGNI 1977, calati in altro contesto storiografico. Maggior attenzione invece in NAVARRINI 1982 (rielaborato in NAVARRINI 2004) e AVANZINI 1997; sulla circolazione libraria durante la reggenza di Ercole cfr. REBECCHINI 2002. 15 Per esempio CHINCA 1968 e RIZZI 1986. –3– della Congregazione per la Dottrina della Fede, nonostante l’efficiente schedario informatizzato, ha colmato la lacuna, giacché le complessità maggiori derivano dalla qualità dei documenti rimasti, più che dalla loro quantità. La corrispondenza di corte illumina il significato ‘laico’ dell’attività degli inquisitori, ma è disorganica e dipendente dal rapporto che i singoli avevano con la famiglia ducale16; i Decreta registrano solo l’attività di maggior rilievo, spesso in maniera compendiaria e laconica, tacendo del tutto la quotidiana amministrazione dei tribunali periferici, che emerge talvolta da fascicoli riuniti a posteriori per attinenza tematica (fascicoli che di per sé meritano spesso indagini approfondite). Un immaginario catalogo generale di tutti gli inquisiti o sentenziati (che difficilmente potrà emergere dallo spoglio sistematico della carte romane, se non altro per la mole di lavoro necessaria) dovrebbe rendere conto non solo delle indagini preliminari, dei costituti e delle sentenze, ma anche di quanto seguiva le condanne e le assoluzioni, perlomeno la commutazione o la remissione della pena, con il conseguente isolamento o, talvolta, la piena reintegrazione sociale dei rei. I numeri inoltre dovrebbero considerare anche i margini di errore legati all’incompletezza dei dati e acquisterebbero senso solo quando confrontati con quelli della coeva giustizia laica, in competizione, più che in conflitto, con quella ecclesiastica. I tentativi di stimare l’attività complessiva dell’Inquisizione, condotti riorganizzando i documenti in schede semplificate e schematiche (e proprio per questo confrontabili), hanno restituito un importante dibattito metodologico, ma sono in buona parte rimasti pioneristici,17 16 Situazione che si attenua nel Settecento, quando il governo è sempre più nelle mani di funzionari statali. 17 JACOBSON SCHUTTE 1987, DEDIEU 1991, DEL COL – PAOLIN (CUR.) 1991, MARTIN –4– Introduzione ricordandoci che i numeri vanno considerati come valore indicativo di quel che resta, indice d’accesso a un corpus di frammenti, più che misura di una totalità ormai perduta. La costruzione di un catalogo esaustivo andrà dunque mantenuta come utopica idea regolativa, ricordando che fu proprio l’organizzazione di una ‘base di dati’ centralizzata a garantire nel Cinquecento al rinnovato Sant’Uffizio i primi clamorosi successi. Da questa prospettiva, per chi cerchi le specificità di una sede periferica18 del tribunale, come strumento di lavoro il Dizionario Storico dell’Inquisizione è di meno e di più di un dizionario biografico: vi figurano gli inquisitori, oltre agli inquisiti,19 abbraccia un lungo periodo, e – soprattuto – permette di incrociare concetti, temi e ambiti differenti degli studi, restituendo ai brandelli raccolti in archivio un orizzonte teorico aggiornato. Dopo il 1568 la situazione a Mantova sembra assestarsi lentamente: il potere ducale cerca di recuperare autonomia nei confronti dell’inquisitore, senza efficaci risultati, se non limitarne l’ampliamento delle competenze, il Sant’Uffizio invece si ritaglia una autorità quasi esclusiva su reati che negli anni ’40 e ’50 erano stati esaminati anche dal tribunale vescovile. Un piccolo gruppo di sentenze20 porta agli anni ’80 l’estinzione dell’eterodossia di impronta luterana o calvinista: le successive condanne 1991, DEL COL – PAOLIN (CUR.) 2000, DEL COL 2005, DEL COL 2006; gli inventari DE BIASIO 1976, TRENTI 2003. 18 Tematica che discute l’uniformità che l’inquisizione avrebbe imposto in Italia, prima istituzione realmente unitaria in età moderna, e che attrae diversi studi recenti; per i casi geograficamente vicini a Mantova cfr. DALL’OLIO 1999, AL KALAK 2008; CERIOTTI – DALLASTA 2008. 19 Allontanando definitivamente la distinzione monolitica e manichea che conosce solo persecutori fanatici e vittime illuminate: non tutti gli inquisiti furono quelle affascinanti figure, inquiete e insofferenti, descritte da Cantimori. 20 Conservate in TCD. –5– per bestemmie ereticali raramente sentenziano il vehementemente sospetto di eresia e le contestazioni dottrinali riguardano per lo più personaggi isolati (religiosi regolari, militari o commercianti di passaggio). Acquistano progressivamente importanza i procedimenti per sortilegi e per ‘sollicitatio’ e, sul chiudersi del ’500, l’espurgazione delle biblioteche già esistenti, religiose21 e nobiliari. Dopo il sacco del 1630 la vita culturale della città non dev’essere stata un gran problema per gli inquisitori, almeno sino a ’700 inoltrato, quando la particolare posizione politica e geografica faranno di Mantova un punto privilegiato per osservare i rapporti tra l’amministrazione ecclesiastica e quella austriaca, simili l’una all’altra più di quanto ci si potrebbe attendere a una prima occhiata. Costante per circa un secolo e mezzo è invece la precaria posizione della comunità ebraica cittadina e dei più piccoli nuclei presenti nel ducato,22 intralciati e avviliti dall’incapacità collettiva di giustificare sul piano religioso una convivenza che nella prassi avveniva quotidianamente, generando un conflitto endemico a bassa intensità che solo di quando in quando sfociava in violenze eclatanti, che d’un tratto cancellavano il 21 Al censimento dei mss. Vat. Lat. 11266-11326 di LEBRETON – FIORANI (CUR.) 1985 è seguito lo spoglio degli indici (http://ebusiness.taiprora.it/bib/index.asp). Riferimento al caso di Viadana in GANDA 2011. Scrive l’8 marzo 1600 l’inquisitore al duca: “Li libri di Vostra Altezza Serenissima quali meritano d’essere revisti, et censurati conforme all’indice, et agli ordini hauti da Roma sono assai, et la maggior parte trattano d’historie, siche à theologi sarebbe longa fatica: fra gli altri correttori deputati da questo Santo Officio, vi era un Padre Don Arnoldo Fiandrese Monacho di San Benedetto persona di singolarissima pratica, et intelligenza di cose d’historie, et versatissimo in tutti li libri di tal professione havendone già emendato molti altri, et quale in un mese farebbe quella speditione, ch’altri non potranno far d’un anno […]” (ASMn, AG, b. 2680). Sui permessi di lettura accordati (e negati) agli intellettuali di corte cfr. BALDINI U. 2009a e BALDINI U. 2009b. 22 Primo riferimento è ancora SIMONSOHN 1962. –6– Introduzione rispetto di cui spesso godevano, nonostante le discriminazioni, gli ebrei professionalmente qualificati.23 I continui attriti tra autorità laiche ed ecclesiastiche non hanno tuttavia mai messo seriamente in discussione la schizofrenica esistenza del tribunale dell’inquisizione, per un verso corpo forestiero ed estraneo allo Stato, e per un altro quasi presenza ovvia e imprescindibile, accidente congiunto alla legittimità del principe, suo doppio e ipostasi della sacralità del potere. Nelle pagine che seguono si è quindi cercato di osservare l’organizzazione interna del tribunale e la costante interazione tra la congregazione del Sant’Uffizio, la sede periferica e le autorità locali, o – indirettamente – tra la curia di Roma e il governo di Vienna. Il discorso si è organizzato attorno a due nuclei salienti, nel tentativo di analizzare con sufficiente precisione l’importanza dei legami individuali e sociali nella gestione di un apparato in grado di esercitare il proprio potere solo fin tanto che gode di consenso nel campo delle rappresentazioni simboliche: non è un caso che nella Lombardia austriaca la polemica contro l’inquisizione sia avvenuta sul piano storico, contestandone la genealogia con una ricostruzione alternativa a quella proposta dalla Chiesa romana. Le stesse fonti rimaste, del resto, ci allontanano dalle vicende del singolo individuo24 avvicinandoci invece alla sopravvivenza dell’istituzione, che in oltre due secoli ha visto succedersi non meno di quarantadue padri inquisitori. 23 TOAFF 2010. Particolarmente apprezzati i medici di origine ebrea, verso i quali è documentata la cortesia (o superstizione?) di nascondere il crocifisso quando entravano in casa a visitare i malati (ACDF, CC 1 b, fasc. 8, c. 668, 23 gennaio 1616, l’inquisitore Girolamo da Camerino alla Congregazione). 24 Vicende che popolano le note al testo, almeno quando ricostruibili con sufficiente chiarezza. –7– I frammenti superstiti Rintracciare i frammenti dispersi della memoria del tribunale è, obtorto collo, un passaggio indispensabile. Nel caso di Mantova siamo ben lontani dall’abbondanza dei fondi reperibili negli archivi di Venezia o Modena, e già disporre di un buon indice onomastico degli inquisiti rappresenterebbe un progresso notevole. I tentativi sinora condotti1 hanno mostrato che è poco ragionevole sperare di compilare un elenco esaustivo, ma che non è impossibile, almeno su limitati periodi cronologici, raccogliere qualche informazione utile. Il tribunale aveva necessità di associare alla segretezza l’efficienza burocratica: se la prima ha portato a una modestissima circolazione dei documenti al di fuori degli uffici competenti, la seconda ha prodotto la consueta moltiplicazione di carte e copie. Uno schema ideal-tipico, che quasi mai troviamo perfettamente applicato, inizia dalla denuncia scritta e dagli interrogatori verbalizzati alla presenza del notaio, prosegue con le memorie difensive dell’imputato, le note informative inviate da altri uffici inquisitoriali, gli ordini provenienti dalla Suprema congregazione, sino a giungere all’ ‘espeditione’, che richiedeva un riassunto dei capi d’imputazione. La sentenza vera e propria li ripeteva quasi integralmente, e finalmente l’abiura del reo nuovamente li passava in rassegna uno ad uno. Una copia ‘de verbo ad verbum’ era controfirmata da un notaio e veniva inviata alla Congregazione romana, dove ne veniva redatto un breve riassunto, che nei casi di maggior importanza era letto alla presenza dei reverendissimi cardinali, a mostrare che le loro istruzioni erano state eseguite dal tribunale locale. 1 BERTOLOTTI 1888, BERTOLOTTI 1891, BERTAZZI NIZZOLA 1956, RIZZI 1986. –8– I frammenti superstiti L’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede L’archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, cui sono confluite le carte delle congregazioni del Sant’Uffizio e dell’Indice, non dispone delle serie complete dei processi e delle sentenze che ha custodito sino a tutto il ’700: dopo il saccheggio del 1559, alla morte di Paolo IV Carafa, un’altra grave distruzione di documenti avvenne con la seconda occupazione francese e il trasferimento a Parigi delle carte romane: nonostante la perdita di alcuni carri rovesciatisi nel Trebbia, nel 1810 giunsero in Francia circa 7900 pezzi. In seguito alla caduta di Napoleone, nell’impossibilità di pagare tutte le spese per la spedizione a Roma, si decise di vendere come carta da macero quanto ritenuto di poco pregio (circa 3600 pezzi); alcuni volumi furono acquistati da banchieri e rivenduti alla Chiesa, altri arrivarono nel 1854 alla biblioteca del Trinity College di Dublino.2 I manoscritti presso il Trinity College di Dublino I manoscritti numerati da 1224 a 1277 contengono circa trenta copie autenticate di sentenze provenienti dal tribunale mantovano, in buona parte relative al mandato di frate Giulio Doffi, negli anni ’80 del Cinquecento, durante l’episcopato di Marco Fedeli Gonzaga. Si tratta di una fonte che non mostra, almeno per Mantova, casi eclatanti, ma permette di valutare lo spostamento dell’interesse dei giudici dall’eresia – sempre meno definita ‘luterana’ – alla lotta contro la stregoneria e verso l’ignoranza superstiziosa, non esclusivamente femminile 2 Pur con qualche lacuna la vicenda è complessivamente nota, cfr. tra gli altri TEDESCHI 2000. I relativi microfilm, editi nel 1985, sono disponibili a Venezia presso la fondazione Cini e in parte presso l’Università degli Studi di Milano. –9– né confinata alle classi incolte, trattata con accenti sempre più paternalistici. Rimane costante invece la repressione contro l’abuso dei sacramenti e i comportamenti immorali del clero, in quella categoria di reati detti ‘di misto foro’, e come tali difficilmente attribuibili in modo esclusivo alle magistrature ducali3 o ai tribunali ecclesiastici, vescovile e inquisitoriale. La sovrapposizione delle competenze dei tre tribunali, se ha lasciato anche durante l’ordinaria amministrazione qualche conflitto giurisdizionale, sembra mostrare soprattutto una convergenza di interessi e di mentalità della struttura repressiva. Archivi mantovani Derivato dall’archivio segreto di casa Gonzaga e quindi dall’Archivio governativo austriaco, l’Archivio di Stato di Mantova conosce tra il 1760 e il 1775 un importante riordinamento, che divide i documenti del periodo gonzaghesco per materia, scompaginando in maniera a volte irrimediabile la successione originaria delle carte e rendendo difficile riconoscere serie coerenti di carte quando collocate in buste diverse. I fondi relativi ai beni demaniali e agli affari ecclesiastici sono stati quelli più consultati, oltre ovviamente all’Archivio Gonzaga, per la corrispondenza privata e di Stato. Di poco profitto si è invece rivelata l’indagine a campione nell’Archivio notarile, cui avevano indirizzato le vicende di Rodomonte Atti, per qualche tempo notaio del Sant’Ufficio:4 non sono 3 Cfr. ad esempio CANOVA – NOSARI 2008 dove vengono presentate ampie trascrizioni dal processo del Carmelino, istruito negli anni 1570-71 dai giudici Lelio Montalero e Alessandro Angelini per ordine del duca Guglielmo Gonzaga (verbali sono in ASMn, Notarile, notaio Vacca, b. 9477). Considerazioni di carattere generale in LAVENIA 2001 e VERONESE 2010. 4 A quanto pare fu un caso isolato, e i notai interni all’ordine domenicano furono la quasi – 10 – I frammenti superstiti emersi significativi riferimenti al tribunale o, ad esempio, sequestri librari in occasione di eredità e controlli doganali, come avrebbero previsto le disposizioni pontificie. Meno chiara è invece la formazione dell’Archivio Storico Diocesano, in cui i fondi Mensa vescovile e Curia vescovile sono i più ricchi di informazioni per l’età moderna, mentre le 6 buste di Contenzioso e correzionale sembrano una ricomposizione novecentesca di fogli e fascicoli sparsi, in buona parte relativi all’amministrazione dei livelli o all’esecuzione di disposizioni testamentarie; più raramente compaiono reprimende contro i comportamenti immorali del clero e dei laici della diocesi5. Occasionali rinvenimenti si hanno anche presso la Biblioteca Comunale di Mantova, in cui sono confluiti molti volumi dalle biblioteche degli ordini monastici soppressi. totalità, escludendo i patentati che con la qualifica di notaio esercitavano semplici funzioni nelle vicarie. 5 A titolo meramente esemplificativo un selezionato e incompleto regesto di AStDMn, Cont.: 1546 - misure disciplinari contro i canonici della cattedrale, si minaccia la sospensione a divinis. 1546 - ordini dalla curia per evitare litigi di precedenza durante le celebrazioni dell’Epifania, indirizzata a molte parrocchie del contado. 1550 - ordine di indagare su Elisabetta da Bergamo, arrestata: se abbia compiuto esorcismi, di che condizione economica e familiare sia. 1563 - banno da tutta la diocesi contro Giovan Giacomo Giambelli, chierico detenuto nel carcere comune di Mantova. 1592 - contro Ottavio Pasino: ordine di appurare in quale modo bestemmia (per sporgere eventualmente denuncia all’Inquisizione) e se frequenta regolarmente la messa. 1594 - Laura Arrigona, incarcerata nell’Ospedale grande di Mantova, per cause imprecisate. 1594 - editti del vescovo frate Francesco Gonzaga circa errori di ‘superstitioni e stregarie’, da pubblicarsi nel celebrare le messe. 1594 - punizione contro mugnai che hanno macinato in giorno festivo. 1595 - finto matrimonio di Girolamo de Grandi. 1595 - lite per il giuspatronato della cappella del Santissimo Rosario in San Domenico. – 11 – Gli archivi di Venezia e Ginevra Fuori da Mantova il fondo più importante, Roma a parte, è quello presso l’Archivio di Stato di Venezia, che contiene circa 30 casi di interesse mantovano che coprono un arco cronologico abbastanza ampio, dalla metà del ’500 ai primi del ’700: normalmente sono di mantovani di passaggio6 per ragioni di lavoro (o per incarichi ricevuti dai superiori, se religiosi regolari), più raramente si tratta di emigrati che risiedono per anni in laguna7 e che sembrano aver troncato ogni contatto con la comunità di origine, cristiana o ebrea che fosse. Alcune carte sono copie autenticate di dichiarazioni redatte a Mantova, e valgono quindi a tutti gli effetti come traccia dell’attività mantovana dell’Inquisizione. Vi si possono aggiungere quattro deposizioni custodite nell’Archivio Patriarcale, una delle quali – quella di Ortensio Muscallino da Vicenza8 – conferma le notizie pubblicate da Galiffe9 circa la presenza di esuli mantovani a Ginevra10. Ad esempio Massimiliano Monteverdi, figlio minore del ben più famoso Claudio. 6 Imprigionato a Mantova nel 1626 per il possesso di un libro proibito, nel 1636 a Venezia è denunciato per magia, su insistenza del confessore, dalla moglie Annetta (che ha lasciato da quattro anni). ASVe, Santo Uffizio, Processi, b. 92, febbraio 1636. Brevi cenni biografici nella voce relativa al padre in MGG, Monteverdi Claudio (Leopold Silke). 7 Come Laura Casabria, vedova mantovana “quae nescit scribere” e che in corte a Murano insegna ai bambini il sortilegio dell’anghistara. ASVe, Santo Uffizio, Processi, b. 65, anno 1589. 8 AStPVe, Criminalia Sanctae Inquisitionis, 2 (1561-1585), cc. 397-410, 11 maggio 1585. 9 GALIFFE 1881. 10 Una ulteriore ricerca oltralpe appare difficoltosa, considerato che i fondi ginevrini del Concistoro e del Notarile, di faticosa lettura, conservano poche notizie sui rifugiati che non abbiano raggiunto posizioni di rilievo in città. Il manoscritto di Burlamacchi (cfr. ADORNI BRACCESI 1991), relativo alle memorie della chiesa italiana, contiene scarse informazioni personali e la stessa letteratura confessionale calvinista ha trascurato quanti non si sono impegnati in una produzione teologica scritta. Ringrazio per i suggerimenti la prof. Daniela Solfaroli Camillocci dell’Institut d’Histoire de la Réformation di Ginevra. – 12 – I frammenti superstiti Mancano notizie precise sui contatti di mantovani con altre città elvetiche come Berna o Basilea, dove Francesco Stancari aveva stampato l’Opera nuova della Riformatione11, il bergamasco Guglielmo Grataroli curava le edizioni postume di Pomponazzi12 e dove più tardi Alfonso Corradi pubblicherà, quasi tardiva professione di fede, un commento all’Apocalisse13 di impronta umanistica. Risultati del censimento I numeri risultanti dalle indagini archivistiche e bibliografiche sono riassunti dai grafici, che registrano le notizie su quanti furono coinvolti in indagini dipendenti dal tribunale mantovano, anche qualora le prime informative non siano sfociate in processi ben formati o nella ‘spedizione’ definitiva; al di là delle lacune certamente ampie, sono sistematicamente non rilevabili tutte le spontanee comparizioni che si risolvevano in piccole multe o penitenze, frequentemente assegnate tramite moduli prestampati e compilati frettolosamente, come capita di incontrare anche nei procedimenti settecenteschi conservati a Venezia. 11 Opera nuova di Francesco Stancaro mantoano della Riformatione, si della dottrina Christiana, come della vera intelligentia de i sacramenti: con matura consideratione & fondamento della Scrittura Santa, & consiglio de Santi Padri: non solamente utile, ma necessaria à ogni Stato & conditione di Persone, in Basilea, il primo Aprile MDXLVII. “Gratuitamente controversista” (CANTIMORI 1947), Stancari è l’unico mantovano citato nella matricola degli studenti italiani a Basilea (BUSINO 1958); le notizie biografiche relative ai suoi trascorsi mantovani non vanno molto oltre quanto raccolto da Leopoldo Camillo Volta (Diario per l’anno 1786) e sono del tutto sconosciuti i rapporti che potrebbe aver mantenuto con la città d’origine durante i suoi anni di peregrinazione per l’Europa orientale. Cfr. anche RUFFINI 1955, CACCAMO 1970, PROSPERI 1996, CARAVALE 2003. 12 Petri Pomponatii philosophi et theologi doctrina et ingenio praestantissimi, Opera, Basileae, ex officina Henricpetrina, MDLXVII. 13 In Apocalypsim d. Ioannis apostoli commentarius Alfonsi Conradi Mantuani, Basilaeae, apud Petrum Pernam, MDLXXIIII. Cfr. DBI, Corradi d’Austria, Alfonso (A. Biondi 1983). – 13 – L’importanza del tribunale mantovano rispetto alle sedi vicine può forse essere stimata dai richiami che compaiono nei Decreta: verso fine Seicento14 Mantova è citata poco più di 10 volte l’anno, la metà rispetto a Milano, ma circa il doppio di Casale e Crema, lasciando intuire un’attività paragonabile a Modena o Ferrara, di poco superiore rispetto a Pavia e Cremona. Assumendo “lo sguardo dell’inquisitore”, in definitiva unico vero classificatore e ordinatore delle molte forme di eterodossia perseguite in età moderna, è possibile aggregare i dati in forma sommaria, ricavando una netta prevalenza di inquisiti laici e maschi, senza particolari variazioni tra metà Cinquecento e fine Settecento; i laici rappresentano circa i 4/5 del totale e all’interno del clero prevalono i regolari. Presumibilmente ingannevole è invece l’andamento complessivo dei casi segnalati, il cui forte decremento nel corso del XVII secolo potrebbe essere semplicemente effetto della maggior disponibilità di bibliografia di argomento cinquecentesco. La crescente preoccupazione per le forme di convivenza e familiarità tra cristiani ed ebrei è invece confermata da numerosi passaggi nella corrispondenza epistolare; le stime numeriche, basate principalmente su due riepiloghi databili al 1684,15 mostrano la netta prevalenza dell’inquisizione sul tribunale vescovile, che nello stesso periodo poteva esibire solo una ventina di procedimenti simili. Quando i capoversi dei verbali erano ordinati secondo gli argomenti di discussione, e non più seguendo le buste della corrispondenza. 15 I dati sono spediti in congregazione dall’inquisitore, che cerca di giustificare la propria supremazia giurisdizionale sul tribunale vescovile (essendo indubitabile quella sul tribunale laico); cfr. ACDF, St. st., LL 4 f, Compendio e nota delle cause e spontanee comparizioni d’Hebrei di commercio carnale con donne Christiane fatte nell’Inquisitione di Mantova dall’Anno 1598 sino all’Anno 1635 inclusive e Sommario e nota delle Spontanee Comparizioni e cause fatte nel Santo Officio di Mantova, di commercio carnale di Hebrei con Christiani, dall’Anno 1636 sino all’Anno 1684. Un’analisi approfondita non è stata possibile per i lavori di restauro cui sono stati sottoposti i fascicoli. 14 – 14 – I frammenti superstiti casi censiti 120 100 5 80 8 9 91 familiarità con ebrei 60 45 40 femmine non specificato stima dei casi riguardanti eccessiva familiarità tra cristiani ed ebrei, comprese le comparizioni spontanee – 15 – 9 75 -1 79 4 -1 50 anni per i quali si è provveduto allo spoglio sistematico di ACDF, Decreta maschi 1 77 9 17 25 -1 74 4 00 -1 72 9 16 75 -1 69 4 67 16 50 -1 64 -1 25 7 1 9 4 16 00 -1 62 9 59 15 75 -1 57 15 50 -1 54 -1 25 15 1 4 1 9 0 9 9 6 16 5 21 20 17 21 17 13 3 17 20 familiarità con ebrei familiarità con ebrei 67 laici e religiosi 200 180 160 140 120 136 100 80 60 70 40 20 0 16 2 1500-1549 37 1550-1599 11 1600-1649 21 28 8 1650-1699 6 1700-1749 % laici e religiosi (1500-1799) laici religiosi religiosi secolari e regolari 45 40 35 10 30 25 20 15 29 10 14 5 0 5 3 6 1500 1600 1700 – 16 – secolari regolari 35 1750-1799 Sovrapposizioni Una completa separazione delle competenze dei tre tribunali (laico, vescovile, inquisitoriale) non è mai pienamente avvenuta, con ripetute e reciproche invasioni di campo. Così nel 1571 il castellano di Medole chiede all’arciprete la lista degli inconfessi1 e nel 1575 vescovo e duca sono unanimi nell’impedire la venerazione dell’immagine della Madonna “che è sul muro incontro a San Martino”, dove il volgo – che sempre “inchina a cose nuove” – andava spontaneamente riunendosi all’ora dell’Ave Maria:2 alcuni dubbi teologici, la vicinanza di uomini e donne (che dava occasione per compiere qualche atto “men che onesto”) e le preoccupazioni per la salute pubblica, “durando il sospetto di peste” spingono le autorità a spegnere la devozione sul nascere, ottenendo senza strepito che tutti se ne tornino a pregare nelle loro chiese. Pochi anni più tardi troviamo i consiglieri di duca e vescovo3 nuovamente concordi nella gestione della vita pubblica, scavalcando l’inquisitore, che a sua volta si è pesantemente intromesso nella pastorale diocesana, come sottolinea il segretario del vescovo: Il reverendo padre inquisitore m’ha instato più volte monsignor reverendissimo che volesse far provisione alla santificatione delle feste, et se bene non vorrebbe essere nominato, egli in ciò preme assiduamente in tanto, che se 1 ASMn, AG, b. 2586, 26 dicembre 1571: “tutti si confessorono et comunicorono al giubileo dell’estate passata”. 2 ASMn, AG, b. 2595, 4 e 9 agosto 1575. 3 Marco Fedeli, di famiglia vicina alla corte, gratificata col diritto di apporre ‘Gonzaga’ al proprio cognome. – 17 – posso dire secretamente a Vostra Signoria Illustre, l’inchiusa lettera Pastorale è opra sua, né io v’ho dentro parte se non di qualche paroluzza, et perché veggo ch’ad esseguire con tanta strettezza questa osservanza delle feste ci bisognarebbono molte cose, et che sarebbe quasi impossibile ad effettuarle, et maggiormente ne i mercati, et balli, ho voluto che Vostra Signoria la legga, et come secretario et consigliere, di Sua Altezza Serenissima et come correttore: piaccia a Vostra Signoria di non nominare il detto Padre, perché so che lo haverebbe a male.4 Non molto diversamente si comporta il vescovo nel 1581, quando informa Zibramonti, segretario ducale, che non potrà esimersi dal pubblicare la grida contro gli ebrei “almeno nella nostra chiesa”,5 non potendo resistere alla volontà del papa Gregorio XIII e del cardinal Savelli. Gli sconfinamenti non capitavano solo in occasione di novità legislative, ma avvenivano anche per quei reati chiaramente disciplinati, come la bestemmia, contemplata dagli statuti mantovani nel secondo Cinquecento: un sondaggio condotto sulle carte della magistratura criminale sui riepiloghi che vicari e podestà inviavano a Mantova fa emergere che il 2% circa dei provvedimenti presi dal potere secolare riguardava i bestemmiatori, ed entro questo 2% la bestemmia si accompagnava quasi sempre a reati ritenuti più gravi, di solito l’aggressione violenta o la minaccia a mano armata.6 In questo ambito però la 4 ASMn, AG, b. 2612, 17 gennaio 1580, Andrea Antonino, segretario del vescovo alla Corte (a Zibramonti?). 5 ASMn, AG, b. 2615, 10 agosto 1581. 6 ASMn, AG, Criminali, b. 3456 (1553-1559); b. 3461 (1577-1582); b. 3467 (1594-1596) con circa 1600 casi, di cui 32 comprendono la bestemmia. Su altre statistiche relative alla – 18 – Sovrapposizioni riorganizzazione del Sant’Uffizio seguita alla missione di Campeggi non ha portato a particolari collaborazioni: nel 1581 il vescovo chiede chiarimenti a Zibramonti circa la possibilità di coordinare gli interventi, trasmettendo i nomi dei rei da un tribunale all’altro.7 Le carceri ducali potevano essere una buona pista per scovare tra i bestemmiatori quelli con inclinazioni ereticali, ma il tentativo di visitarle sistematicamente sarà proibito dalla congregazione. La bestemmia profferita ad alta voce e in pubblico è motivo di scandalo e – al di fuori del suo contenuto ‘informativo’ – è atto malvagio di per sé; potremmo dire, aggiornando la terminologia, che è un atto performativo che definisce il soggetto che la pronuncia. La cura dei giudici di fede diventa allora escludere gli improvvisi scatti d’ira e stabilire l’intenzionalità del bestemmiatore: se è uomo di sufficiente cultura la bestemmia è spia di eresia, se si tratta di persona dappoco la bestemmia, anche ereticale, è il risultato di un habitus morale di oltraggio e noncuranza verso la Chiesa, e – implicitamente – la negazione del ruolo centrale della gerarchia romana nella società, ma si risolve il più delle volte con un sospetto di eresia, vehemente se accompagnato da altri indizi, come il frequente rifiuto dei digiuni e dei precetti alimentari. Sono ad esempio questi i casi, tutti di abiure come vehementemente sospetti, di don Innocenzo da Mantova8, monaco montolivetano, e di criminalità cfr. invece ROMANI M. A. 1980. 7 ASMn, AG, b. 2612, 4 agosto 1580, il vescovo a Zibramonti: “Saprà Vostra Signoria che quel memoriale che li fu dato da parte mia, non fu dato ad altro fine, che per sapere in generale la mente di Sua Altezza Serenissima in materia delle bestemmie hereticali, cio è se il santo Ufficio della Inquisitione ha da haverne la cognitione ò nò, per havere inteso quanto ho scritto in esso memoriale.” 8 Don Innocenzo da Mantova, monaco montolivetano (TCD, ms. 1225, 11 e sgg.). Di età avanzata, risiede spesso a Bagnolo in una corte di proprietà del monastero, dove è aiutato – 19 – Rodomonte Thiene9, che basa la sua difesa proprio sulla occasionalità delle sue bestemmie. Giovan Battista Sacchi10, recidivo, oltre a bestemmiare istiga i passanti per la pubblica via a disertare la confessione sacramentale: dopo aver giurato una prima volta de levi sarà condannato de vehementi a sei anni di reclusione, una delle pene più pesanti. Se la caverà invece con tre anni di sospensione a divinis don Nicolò de Zoni11, bestemmiatore da una massara. Attento più al temporale che allo spirituale, gli si rimproverano bestemmie ereticali, mancata osservanza dei digiuni e dei pasti di magro, mancata celebrazione della messa. Sarà carcerato e interrogato nel suo monastero e nelle carceri del Santo Ufficio. Nel 1580 la sentenza lo dichiara “vehementemente sospetto d’heresia”, condannandolo a 5 anni di prigione e alla privazione per i primi 3 di voce attiva e passiva in capitolo, cui si aggiunge la sospensione a divinis. 9 Rodomonte Thiene, detto il contino di Lodrone, del fu Giovan Domenico (TCD, ms. 1226, ff. 284 sgg.; RIZZI 1986, num. 92). Marito di Margherita Grossini (a sua volta sponte comparens per magia dietro insistenza del confessore), Rodomonte è inquisito per bestemmie ereticali e per violente intemperanze contro una immagine di Gesù in croce, il tutto avvenuto in pubblico e con ‘notabil scandalo’, alla presenza di testimoni che depongono determinandone la condanna. La sentenza (3 settembre 1581) di “vehemente sospetto” prescrive frequenza ai sacramenti, digiuni per tre anni e anche una elemosina/multa di 25 scudi, cui se ne aggiungono altri 2 ad ogni nuova bestemmia, secondo la tariffa imposta a suo tempo dal cardinal Ercole. 10 Giovan Battista Sacchi figlio di Simone, cittadino mantovano (TCD, ms. 1225, ff. 188 e sgg., 15 aprile 1580). Abitante presso il convento degli Agostiniani, già condannato de levi, persevera nelle bestemmie ereticali, non rispetta i precetti alimentari e nega la confessione, appellandosi alla mala condotta dei frati più che a ragioni teologiche. Arrestato e dichiarato “sospetto vehementemente”, riceve sei anni di prigione e due di digiuni e penitenze “acciocché […] per l’avvenire sii più cauto”. 11 Don Nicolò Zoni del fu Giovanni, parroco di Santa Maria del Bosco, presso Gabbiana (TCD, ms. 1226, ff. 51 e sgg.). Forti dissidi con la propria comunità hanno determinato la denuncia contro il rettore della parrocchiale di Santa Maria del Bosco, frazione di campagna a circa 15 chilometri da Mantova. La visita apostolica del suffraganeo di Bologna Angelo Peruzzi (1585) ci informa di una rendita di cinquanta ducati aurei ‘de camera’ a fronte di una popolazione che raggiunge le 300 anime, con 40 iscritti alla – 20 – Sovrapposizioni abituale, in forte dissidio con la propria piccola comunità parrocchiale, di cui osteggia la compagnia del Santo Rosario. A riprova dello statuto ‘misto’ della bestemmia, a cavallo di dottrina e morale, incerta tra privato e pubblico (laico o religioso che sia), è il fatto che il processo contro don Nicolò sia partito per iniziativa vescovile, per ‘mala condotta’, non per incompetenza teologica. Inversamente sarà il duca Vincenzo a pensare di avvalersi dell’ecclesiastico per punire le colpevoli di maleficio, ottenendo l’11 marzo 1595 un secco rifiuto da Roma,12 che comunque non fermerà la confraternita del Santissimo Sacramento (altre notizie sulla piccola comunità in PUTELLIb 1934). Don Nicolò ha fama di bestemmiatore e ha rivelato i peccati uditi in confessione, ma contro di lui deve aver influito non poco anche lo scarso rispetto mostrato verso la compagnia del Santo Rosario, di cui boicotta le processioni, straccia il foglio con le indulgenze concesse e cancella i nomi degli iscritti dall’apposito registro. Incarcerato nelle prigioni del vescovato è trasferito a quelle del Sant’Ufficio. Temendo la tortura prepara tre bollettini di scongiuri, che insegna a un compagno di cella ma che al momento del bisogno si rivelano poco efficaci, come annota la sentenza di “vehemente” sospetto d’eresia. La pena è di 3 anni di sospensione a divinis, con la concessione della sola recita dell’ufficio delle ore, il divieto di lasciare la diocesi, digiuno una volta al mese, e – nel consueto stile pedagogico – l’obbligo di recitare ogni giorno per tutta la vita la terza parte del Rosario. L’impressione è di trovarsi di fronte a residui di contestazioni pretridentine, ma l’Aggiuro, in maniera insolita, evita di definire teologicamente la sospetta eresia, né sembra che vi sia stata da parte del fiscale una ricerca di complici. Sentenza inviata a Roma il 24 febbraio 1581. 12 Segnalazione in LAVENIA 2001, nota 71, da cui si trascrive: “Se bene le cause de’ malefici, stregarie e sortilegj sono misti fori, cioè in esse si può procedere così dall’Inquisitore, come quando sapiunt haeresim manifestam, dal vescovo et ordinario del luogo, o che sapiant o vero non sapiant haeresim, non però la cognitione di esse cause tocca foro secolare, poiché in esse si tratta di materia spirituale e di apostasia della santa fede di Christo al demonio, e per tanto è cosa mera ecclesiastica, e per questo la Santità di nostro Signore non ha giudicato necessario il breve che domandava l’Altezza del Serenissimo Duca di Mantova sopra il concedere che li preti, i quali rivelassero simili delitti di stregarie, non incorressero in irregolarità, poiché non possono denuntiare né – 21 – magistratura, tanto che pochi anni più tardi occorrerà nuovamente precisare che la “corte secolare può procedere contro le streghe et stregoni per l’infanticidij, malefitj et altri delitti da loro commessi; ma prima di spedirgli gli ha da rimettere al Santo Officio per conoscere la causa dell’apostasia”.13 La pubblica messa in scena Lettura delle sentenze Sono limitati all’ultimo scorcio del Cinquecento gli anni in cui dell’inquisizione e della lotta all’eresia si dà una rappresentazione evidente e socialmente esibita. Qualche abiura in San Domenico, condotta però con discrezione,14 risulta già prima dei processi istruiti da Camillo Campeggi, riservatezza che forse ha pesato sul giudizio tutto sommato positivo riservato al suo predecessore, il “mite” Aldegatti. Era stata invece pensata per coinvolgere gli spettatori, amplificando l’effetto propagandistico e deterrente della condanna, la lettura delle sentenze contro i contumaci Jacopo Strada e il figlio Paolo15, avvenuta testificare se non avanti all’inquisitore o al vescovo, come di cose mere spirituali, e così denuntiando o testificando sono sicuri di non incorrere in irregolarità alcuna.” (ACDF, St. st., Q 3 d, cc. 109v-110r). 13 LAVENIA 2001, p. 57 (ACDF, St. st., LL 5 g) 14 Da CHINCA 1969: “Hoggi habbiamo fatto abiurare due heretici in San Domenico [… … …] li errori sono gravi ma per gratia d’Iddio non sono stati scandalosi perché questi due heretici non si assicurando di parlarne con altri in città catholica, ne ragionavano solamente fra loro, et per questo rispetto, et ancho per non dare in questi tempi qualche nota a questa città, li abbiamo fatti abiurare in secreto abbruciando i libri che tenevano nelle loro case” (ASMn, AG, b. 1940, 5 gennaio 1562). 15 Ampia la bibliografia su Jacopo Strada, sulla cui eterodossia cfr. PAGANO 1991 e LOUTHAN 1997; le sentenze sono in TCD, ms. 1225, c. 131 e TCD, ms. 1226, cc. – 22 – Sovrapposizioni domenica 4 giugno 1581 “in medio ecclesiae sancti Dominici Mantuae ad oppositum pergami”16 presente “maxima populi multitudine”. La fama dei personaggi e il loro prolungato rifugio presso la corte imperiale avevano influenzato la decisione, e la solennità dell’atto era stata ribadita il 26 luglio con l’abbruciamento in piazza dei “pavoni” che ne raffiguravano le sembianze17, assieme ai libri e alla statua di don Valeriano Peverari18. 164 sgg. Il 6 aprile 1582 il vescovo scrive ad Aurelio Zibramonti circa la cappellania lasciata vacante da Paolo Strada: “[…] Di più priego Vostra Signoria che voglia far sapere a Sua Altezza che la capella di messer Paolo Strada, non è mai stata conferita ad alcuno, dopo la privatione seguita dal Santo Ufficio della Inquisitione et per quanto intendo ella è de juspatronato dell’Altezza Sua, ma ho dubbio, che per esser stato privato dal Santo Ufficio come heretico, se l’Altezza Sua pottesse presentarla all’ordinario, o pure se bisogni andar a Roma per la presentatione, et speditione delle Bolle, perché havendo letto la Bolla di Pio V De reservatione beneficiorum propter haeresim vacantium trovo che ella è generalissima et non osserva di juspatronati; et perché non v’è nisuno che celebri a detta capella, in modo che la chiesa nostra vien defraudata di quella messa, et non si soddisfa al legato […]” (ASMn, AG, b. 2619). 16 TCD, ms. 1226, cc. 164r sgg. 17 Segnalato già in BERTOLOTTI A. 1891, p. 64. 18 Don Valeriano Peverari, cremonese (TCD, ms. 1225, cc. 131 e 134 e sgg.; TCD, ms. 1226, cc. 162 sgg.; anni 1576 e 1580-1581). Don Valeriano è caduto più volte sotto l’attenzione degli inquisitori: il 17 marzo 1576 il cardinal di Pisa, su ordine di papa Gregorio XIII, prega il duca Guglielmo Gonzaga di farlo accompagnare, come detenuto dall’inquisitore di Mantova, al confine con Ferrara, verosimilmente in vista di un suo trasferimento a Roma “per causa di condannatione et d’importanza”. Il processo sembra essersi concluso con un sospetto de vehementi e con l’ordine di penitenze salutari e prigione perpetua nel “suo monastero di Santo Bartholomeo di Mantova” dal quale fugge probabilmente verso la fine del 1579. Viene quindi citato a mezzo del nunzio tribunalizio, del banditore e dell’affissione di manifesti nei luoghi consueti della città. L’11 marzo 1580 “in aula maiore” del Santo Ufficio di Mantova, l’inquisitore fra Giulio Doffi constata la mancata comparizione (nonostante sia trascorso un tempo congruo dalla pubblicazione della sua citazione) dichiarandolo ribelle e contumace; il notaio frate Girolamo Capuense – 23 – Si trattava comunque di un rituale poco frequente, visto che negli stessi anni per la lettura delle sentenze sono preferite l’aula capitolare del convento, la cappella maggiore della chiesa di San Domenico o – come per la sentenza contro Giulio Framberti19, pronunciata sempre il 4 giugno 1581 – la meno solenne aula del Sant’Uffizio. Del resto l’accusa contro Framberti era meno grave, il reato non era noto e manifesto a chiunque e l’imputato (comunque persona di riguardo) non si era sottratto al procedimento, benché verosimilmente non si fosse trascrive quindi la dichiarazione pubblica di scomunica, da affiggere alle porte della città. Formato valido tribunale, vescovo e inquisitore procedono alla sua degradazione e deposizione da ogni ordine sacerdotale e ne dispongono la consegna alla corte secolare per il castigo. Il rogo dell’effigie e dei suoi libri avverrà il 26 luglio 1581, durante la stessa cerimonia in cui si bruciano le statue degli Strada. Difficile identificare la famiglia di origine di don Valeriano tra i numerosi Peverari o Piperari presenti tra Cremona, Mantova e Guastalla verso la fine del Cinquecento. I Piperari di Mantova tenevano un banco a Venezia, fallito nel 1564 (cfr. Collezioni Gonzaga, vol. 8) mentre Guglielmo e Vincenzo Peverari (‘signori’ e non ‘messeri’) sono tra i Rettori delle Parrocchie che giurano fedeltà durante l’incoronazione di Vincenzo Gonzaga nel 1587 (FOLLINO 1587). Sull’arciprete di Guastalla don Lelio Peverari, attivo negli stessi anni, sospeso dai propri incarichi pastorali e bandito per diversi anni da Guastalla e Mantova, cfr. FOSSATI 2005 e RURALE 2008a. 19 Giulio Framberti (TCD, ms. 1226, cc. 164 e sgg.; cfr. DOM). Era senatore della città e ambasciatore per conto del duca Guglielmo, secondo una tradizione familiare che aveva già visto il padre Girolamo al servizio del marchese Federico II come uno dei due maestri delle entrate di corte; viene accusato di aver fatto celebrare una messa notturna nella sagrestia di San Domenico a Casale Monferrato: con la complicità del domenicano frate Angelo si era tenuto un giuramento “pieno d’imprecationi et attioni supersticiose” in cui si nominavano Arnaldo da Villanova e il ‘dottore illuminato’ Raimondo Lullo, autori proibiti di cui Giulio possedeva diversi libri. Gli vengono contestate grande superstizione e insolente temerarietà, con l’aggravante di non riconoscere l’autorità della Chiesa nel proibire i libri. Dopo numerosi costituti dinanzi al procuratore Antonio Tassoni è definito leggermente sospetto d’eresia, con la condanna a penitenze varie e a 18 mesi di carcere in luogo da destinarsi. – 24 – Sovrapposizioni presentato sua sponte, come fanno ritenere il carcere e la leggera tortura impostagli. La sentenza contro Girolamo Cavalieri20 è invece letta nell’aula capitolare del convento, e sarà attenta ad affiancare una pena-penitenza per l’individuo (tre anni di arresti domiciliari, confessione e comunione tre volte l’anno) a una manifestazione visibile di pentimento (obbligo di indossare l’abitello giallo, di pagare una messa cantata e assistervi in ginocchio con la candela accesa tutte le feste di precetto) e a un risarcimento pubblico, ostensibile e durevole, come il pagamento di un “palio o stendardo depinto all’una e all’altra banda per una compagnia o fraternita che da noi sarà dechiarata”. Il contrappasso corrisponde ai cinque punti dell’abiura come eretico formale: 1o […] che li suffragi fatti per l’anime de morti non gli giovano punto. 2o […] che i santi non possono interceder per noi e non debbono essere invocati ne nostri bisogni. 3o […] che i digiuni ch’osserva la santa Chiesa non giovano […] et è un pascer Domeneddio di ciancie. 20 TCD, ms. 1225, cc. 132-133, Sentenza contro Gieronimo Cavallieri cittadino mantoano. Et Agiura del istesso, marzo 1580. Rispetto all’abiura è un poco più preciso e colorito il testo dell’accusa. Come in altri casi coevi, il ‘rigoroso essamine’ sotto tortura non aveva fatto emergere aggravanti o complicità. A Girolamo Cavalieri del fu Sebastiano si possono verosimilmente accostare il “Raimond de Cavallieri” mantovano, immigrato a Ginevra nel 1572 (segnalato in GALIFFE 1881), un “Giovan Battista Cavalier of Mantua” che nel 1587 propone a Venezia un nuovo procedimento per la lavorazione della seta (MOLÀ 2000, p. 190) e il costituto di Lucrezia Cavalieri, inquisita verso la fine del 1571 e moglie del tintore Rinaldo Brugato da Cento, morto a Mantova nel 1571 ospite del collega Alessandro Roveda, presso cui si era rifugiato in attesa di partire per Ginevra (ROTONDÒ 2008, pp. 128-129). – 25 – 4o […] che le compagnie e confraternite non sono [†] honor del santo Iddio ma per ingrassar preti frati e massari. 5o […] per haver mangiato cibi prohibiti in giorni vietati dalla santa Chiesa et haver tenuto e creduto ch’essa beatissima Chiesa non poss’obligare i christiani à doversi guardare in alcuni particolari giorni da grasso et altre sorte di cibi. Gli anni ’80 del Cinquecento sono gli ultimi per i quali sia documentata una chiara eresia materialista21 o di stampo riformato (Camillo Evoli22, Giovan Battista Sacchi, Rodomonte Thiene), se, al pari dell’inquisitore, vogliamo considerare come attardate e anacronistiche le vicende di Lelio Castelvetro, colpevole di aver consumato formaggio in tempo quaresimale e su cui indaga nel 1603 frate Giordano da Soresina, convinto di trovarsi dinanzi a una “pessima reliquia delle heresie di 21 Giulio Rocca da Ostiglia, figlio di Bartolomeo, condannato nel 1580 (TCD, ms. 1225, ff. 216 e sgg.), nega l’esistenza di Inferno Purgatorio e Paradiso e l’immortalità dell’anima, sostenendo un materialismo radicale di cui è ignota l’origine. Incarcerato nelle prigioni del Sant’Uffizio ed esaminato più volte, dopo una benevola ammonizione persevera nei propri errori. La condanna è di sei anni di abitello e prigione; all’imposizione di assistere alle messe “con le genochia in terra, una candela accesa in mano e l’habitello”, si aggiunge l’obbligo di far celebrare messe in suffragio della anime del Purgatorio. Come per numerose altre condanne di questo periodo la confisca dei beni è graziosamente rimessa al reo. 22 Camillo Evoli da Bozzolo figlio del fu Stefano, abitante a Rivalta Mantovana (TCD, ms. 1225, 76 e sgg.; CANTIMORI 1936 p. 37 e sgg. (che legge ‘Camillo Cuoli’); SEIDEL MENCHI 1987, pp. 104, 148, 152). Nel 1580 nell’aula capitolare di San Domenico viene letta la sua sentenza: dichiarato eretico formale, abiura 22 punti scopertamente luterani; condannato a portare l’abitello a vita, agli arresti domiciliari con facoltà di uscire di casa per recarsi a messa, che ascolterà in ginocchio e con un cero acceso ogni domenica; confessione e comunione quattro volte l’anno. I suoi beni, formalmente sequestrati, gli vengono rimessi. – 26 – Sovrapposizioni Modona, di Vincenza et di Luca” 23, pessima certo, ma ormai ‘reliquia’. “Ogni teologia ha necessità di usare rappresentazioni visibili, per spiegare le cose invisibili” L’episodio più appariscente in questa esibizione della lotta per la Fede è certamente l’affresco del Triumphus Ecclesiae conservato in San Francesco. Patricolo24, che scrive prima della distruzione dell’edificio durante l’ultimo conflitto, legge chiaramente le firme, Alessandro di Casalmaggiore e Giulio Rubone, e in parte l’anno, riconosciuto in “157?”. Al momento non è possibile confermare la suggestiva ipotesi secondo cui il dipinto sia l’auto da fé imposto a qualche mantovano facoltoso, né si riscontrano riferimenti diretti alla coeva battaglia di Lepanto, altra occasione che avrebbe potuto spiegare la commissione, benché l’impostazione didascalica del soggetto più che alla guerra contro il Turco rimandi a una classificazione teologico-scolastica delle eresie possibili, in cui ciò che accade in tempi diversi coesiste come in uno stato di eternità, e le cose trascorse e future si danno con le presenti. La collocazione nella prima cappella a destra accentuava il contributo dell’ordine francescano alla santità della Chiesa: sulle due pareti laterali della cappella si affrontavano appunto la nave della Chiesa trionfante e una serie di ritratti di frati illustri25 per vita o dottrina, disposti in un emiciclo che contaminava visivamente il tema dell’albero genealogico con quello, ripetuto, della nave che porta alla salvezza. Lo spettacolo da 23 ACDF, St. st. FF 1 a, fasc. 1, cc. 566v-566r, 30 luglio 1603; inoltre ACDF, Decreta, 1609, c. 146, 13 aprile 1609 e DBI, Castelvetro, Lelio (Biondi A., 1979). 24 PATRICOLO 1911, p. 57. 25 Ivi: “una serie di ritratti disposti a gradi, in basso i francescani assunti alla cattedra di San Pietro, cardinali e vescovi, più in alto gli illustri dell’Ordine, in cima i Santi, divisi da un tronco recante i vari stati della perfezione cristiana”. – 27 – ammirare era quindi la concettosa allegoria dirimpetto, della vittoria di santa romana Chiesa sugli infedeli, gli scismatici e gli eretici grazie al determinante contributo degli ordini religiosi. Nonostante l’affresco mantovano abbia patito i danni dei bombardamenti, possiamo esaminarlo nei dettagli confrontandolo con una minuziosa illustrazione attribuita ad Elia Naurizio26: al centro della scena una nave, al timone san Pietro che brandisce le chiavi, sormontato da uno stendardo (“Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam […]”); assiso in coffa è Gesù benedicente, collegato dalla didascalia “Dei genetrice fidissima duce” a Maria, seduta sulla vela spiegata e gonfiata dal vento. A metà dell’albero (“Fides Christi arbor et funes religiones”) sono disposti i “Fundatores religionum” mentre il ponte della nave e i castelli di prora e di poppa sono occupati dagli apostoli (“Discipuli Christi fundantes legibus orbem”) e da santi e religiosi che scagliano dardi e bombe incendiarie contro i nemici della Chiesa. Al ponte inferiore, ai remi, i dottori della Chiesa (“Scripturae remis doctores aequora sulcant”); ogni remo rappresenta un libro o un gruppo di libri della dottrina cattolica (i dodici libri dei profeti, i vangeli, i libri di Salomone, le epistole paoline, i cinque libri di Mosè). La nave trionfante traina tre scialuppe guidate da profeti, sulle quali vengono trascinati, come prigionieri al seguito della Chiesa benché renitenti, i re, gli imperatori e i giudei. Su altre barche, guidate da demòni, stanno gli eretici e gli scismatici trafitti27. In acqua, sul punto di affogare, gli eresiarchi antichi (Sabellio, 26 Conservata a Riva del Garda (TN); cfr. BOTTERI (CUR.) 1985, pp. 20-21. Dell’affresco completo è una fotografia in BCMn, fondo Azienda di Promozione Turistica, numero SIRBeC: 27 IMM-2s010-0002945, nel catalogo datata con approssimazione al 1950-1965. Nella simile incisione di Philippe Thomassin (Roma 1602) sulle barche è scritto “Hi sunt scismatici sermonum vulnera passi” e “Heretici iaculis immania terga resolvunt”: – 28 – Sovrapposizioni Donato, Fozio, Ario) e Lutero28, vestito da frate, accompagnato da una didascalia solo parzialmente leggibile. Completa l’insieme un primo piano dedicato a episodi tratti dall’Antico Testamento, con un’allusione alle divinità pagane abbandonate (il “Templum Pantheon” in rovina) e al rifiuto di adorare la statua di Nabuccodonosor (Anania, Misaele e Azaria ricevono la palma del martirio). Lo sfondo è partito in una metà destra, in cui dei figurini con turbante accolgono il pontefice in città (Costantinopoli) e in una parte sinistra con la conversione di Paolo dinanzi a Damasco (anche qui a ornamento delle torri cittadine sono poste le mezzelune turche). Nel registro superiore gli strumenti della passione e gli evangelisti, cui si affiancano, nella copia di Riva del Garda, due grandi cartigli. È evidente la parentela stretta con la Navis misticae contemplationis incisa a Roma da Philippe Thomassin nel 160229 e riedita con poche differenze (ma didascalie spagnole) da Remondini30 nel Settecento. Tuttavia, oltre al diverso orientamento (la nave si dirige verso sinistra, e prediche e giaculatorie sono le armi solo spirituali che vincono la belva eretica (“immania terga resolvit” è in Verg., Aen., VI, 422, detto di Cerbero che cede il passo a Enea). 28 Calvino o manca o è divenuto illeggibile. Compare invece accanto a Lutero nel Thriumpho de la Fee. Nella versione di Thomassin mancano entrambi, ma c’è la didascalia associata a Lutero, leggermente diversa rispetto all’affresco mantovano. Sull’assimilazione degli eretici antichi a quelli contemporanei o agli altri gruppi socialmente ostili (tipicamente ebrei e mussulmani) qualche suggerimento in TRIVELLONE 2009. 29 Una lettura non risolutiva si trova nella scheda Federica Piccirillo in FAGIOLO – MADONNA (CUR.) 1984, pp. 271-273. 30 Thriumpho de la Fee e de la Ley de Yglesia catholica certificada por sus quatro evangelistas y sus apostoles y sus principlaes doctores contra toda heregias y supersticiones del paganismo, una datazione approssimativa viene dallo stemma di Clemente XIII Rezzonico (pontificato 1758-1769). Per i dati descrittivi si veda la scheda di Domenica Primerano in INFELISE – MARINI (CUR.) 1990, pp. 145 e 170-171. – 29 – pure a sinistra si trova Costantinopoli) e alla maggior ricchezza di didascalie permessa dalla stampa rispetto all’affresco, altre varianti sono significative: nell’incisione romana è presente anche l’arcangelo Michele, in equilibrio sulla prua della nave, la spada fiammeggiante sguainata, difeso da uno scudo che mostra l’arme di Serafino Olivier Razali.31 Superiormente spiccano due profezie: la visione di una croce luminosa (relativa a Cirillo d’Alessandria) e l’idra a sette teste associata a Gioacchino da Fiore; nella riedizione di Remondini vi si affiancano una figura seduta della Fede (secondo il modello di Cesare Ripa) e un grande ostensorio che – rischiarando il cielo – letteralmente fulmina la barca degli eretici. Sullo scudo dell’arcangelo Michele è ora l’emblema dei Gesuiti, la cui esistenza in quegli anni era minacciata dagli attacchi illuministi. L’interesse gesuita per la raffigurazione era già evidente verso il 1613, nel collegio di Billom32, in Alvernia, dove un’altra nave, stavolta a tre alberi (timore, sapienza, intelletto), illustrava i meriti dell’educazione impartita dall’ordine. Ancor più concettosa e didattica delle precedenti, faceva leva non tanto su singoli individui o episodi della storia religiosa, bensì sulle virtù e sulle pratiche che allontanano o conducono al “portus salutis”, dove, accolti da Cristo, si è introdotti alla “comprehensio” e alla “fruitio” del mistero divino. Tra i religiosi che remano o combattono contro gli apostati e contro gli “haeretici insultantes” prevalgono quanti indossano gli abiti della Compagnia, benché la scena centrale non insista sull’aspetto 31 Cui l’incisione è dedicata; nato a Lione, formatosi negli studi giuridici a Bologna, dal 1602 patriarca di Alessandria e dal 1604 cardinale di San Salvatore in Lauro. 32 Confiscato dopo la soppressione del 1762, il dipinto è ora presso l’Hôtel de Soubise (Musée d’Histoire de France). Nel 1783 col titolo Typus religionis ne è tratta una stampa che ha avuto circolazione autonoma (cfr. The British Museum Catalogue, registration number 1998,1004.27, disponibile alla pagina http://www.britishmuseum.org/ collection). – 30 – Sovrapposizioni bellico, ma sull’accoglienza a bordo di chi si salva provenendo dalla più piccola “navis ingredientium religionem”. In ambito tedesco un’eco del Triumphus ecclesiae rimane ancora nella Navis patientiae – Schif der Gedult di Gerhard Altzenbach33, che ha però ripreso le più modeste proporzioni della ‘navicula Petri’, ma la variante di maggior interesse, di poco antecedente l’affresco mantovano e quasi sicuramente derivata da un antigrafo comune, è quella di impronta luterana, stampata a Norimberga nel 1570 da Matthias Zündt come Diss Apostel schifflin ist ain für bildung der Christliche[n] Kyrchen34 e da cui pochi anni dopo Hans Weigel trarrà la replica Das Christliche Schiff . Gli 35 elementi dell’insieme, pur semplificato, sono ben riconoscibili, a partire dalla “bekerung Sancti Paulj” (a destra) sino agli eretici che affogano (Ario, Nestorio, Pelagio, Maometto, Sergio e “Monothelitae”36). Il nemico è costituito da sovrani pagani (Nerone, Attila) o da personaggi delle scritture (Caifa, Pilato) a cavallo tra i flutti, al pari di Erodiade e Babilonia, che sembrano l’unico riferimento scopertamente polemico verso il cattolicesimo romano, la cui distanza è resa evidente dalle trasformazioni subite dagli elementi dell’immagine: il timone della nave è doppio, retto da Pietro e Paolo (un terzo timone, a prora, è nelle mani di Giovanni il battista), mancano frati e religiosi, tra i dottori compaiono Lutero e Melantone. Il significato umano della nave ovviamente non è il primato petrino, ma è l’apostolato, spiegato tramite il vangelo di Marco (“Geht hin in alle welt , und prediget das Evangelium aller creaturen. Wer da glaubt und 33 Nell’inventario del Germanisches Nationalmuseum di Norimberga datata al secondo quarto del XVII secolo. 34 The British Museum Catalogue, registration number 1871,1209.4735. 35 The British Museum Catalogue, registration number 1880,0710.597. 36 Che chiarisce il riferimento a Eraclio nella versione ‘papista’. – 31 – Getauft wirt, Der wirdt selig werden”), mentre il mistero divino si manifesta sul ponte della nave, in un’atmosfera più rarefatta (“der Vorhof in dem hayligen Thempel”): sorvegliati dai quattro arcangeli si svolgono i sacramenti (assoluzione, battesimo e comunione sotto le due specie), favoriti dall’acqua e dal sangue che zampillano dal costato di Cristo. Sulla ‘pietra angolare’ (Isaia 28, raffigurata come un basamento scolpito ‘a diamanti’) il serpente viene calpestato da un Cristo passo, la cui sofferenza è amplificata dagli strumenti in mano agli arcangeli (chiodi, lancia, spugna per l’aceto, colonna). A sua volta Cristo è abbracciato alla croce, che sostituisce in tutto l’albero della nave guidando lo sguardo verso la colomba dello Spirito Santo e più in alto verso il Padreterno coronato e benedicente. Il confronto tra le differenti variazioni sul tema meglio aiuta a inquadrare quali fossero gli elementi caratterizzanti la figurazione, e quali i punti salienti della polemica, che – a Mantova verso il 1570 – era più che altro propaganda, giacché la curiosità e l’accondiscendenza del cardinale Ercole verso i novatori e gli spirituali erano solo un ricordo, per di più alterato dalle condanne del 1568, che a posteriori ne avevano forzata l’interpretazione in senso deteriore. Catafalco e barriera L’esigenza di una visibile celebrazione della lotta all’eresia si esaurisce progressivamente: nel 1587 non la troviamo nel catafalco allestito in Santa Barbara per le esequie del duca Guglielmo,37 quando le virtù 37 FOLLINO 1587, da cui si cita. Un richiamo alle guerre di religione contro gli eretici è invece nei monumenti sepolcrali di San Martino dall’Argine: in quello di Pirro († 1592) che “sine ullo stipendio solaque in Deum pietate ductus contra haereticos strenue militavit in Belgio et in Gallia”, e similmente in quello per Ferdinando († 1605), che aveva combattuto a Lepanto e Gand, “religioni tutamen” pianto dai popoli e dagli eserciti della ‘respublica Chirsti’. – 32 – Sovrapposizioni rappresentate sono la Giustizia, la Fortezza, la Prudenza e la Fede, cui tra i motti si associano “Fides animam facit quiescere” e “Fidei opus est dilectio”. Neppure il resto della chiesa mostra particolare attenzione alla difesa del cattolicesimo: numerose immagini della morte, distribuite tra le cappelle e gli altari, recavano sentenze macabre tratte da “huomini sapientissimi” con un gusto erudito e oratorio che rimandava più volentieri alla latinità di Quintiliano, Cornelio Gallo, Orazio o Seneca piuttosto che alla Vulgata e alla Scrittura sacra. Solo presso un pilastro troviamo “una di queste morti, con un Rosario della Madonna per far oratione” e finalmente, subito prima della porta d’uscita, la spada e il calice, segni di Giustizia e Fede, secondo la quale “Mors, vitae via est”. Di tutt’altro tenore il riferimento alla Fede che sarà inscenato il primo maggio 159438, in occasione di una festosa barriera voluta dal duca Vincenzo e ambientata entro una scenografia che trovava il suo centro nella riproduzione del monte Olimpo, impresa ducale. Tra i numerosi edifici posticci, realizzati ai margini del campo di gioco come ‘case’ delle diverse squadre di cavalieri, una imitava un arco trionfale dedicato a Carlo Magno, ritratto a cavallo in una statua a imitazione del bronzo, affiancata dalla Vittoria e dalla Pace. Le tabelle in finto marmo che decoravano l’arco rimandavano al suo destino di imperatore cristiano39, difensore del pontefice, buon amministratore, condottiero vittorioso40 e infine il ruolo di custode manu militari dell’ortodossia cristiana era esaltato da un “Idolatris debellatis” cui rispondeva “Haereticis deletis”. Nulla più che un divertimento romanzesco, come la ‘crociata’ in 38 FOLLINO 1594, pp. 64 e 93. 39 Ivi, p. 64: “Carolo Augusto a Deo coronato magno et pacifico imperatori”. 40 Ivi, p. 64: “Summo Pontifice restituto”, “Urbe a seditione liberata”, “Longobardis fractis”, “Hunnis profligatis”. – 33 – Ungheria l’anno successivo o come altre improbabili iniziative volte a un autocelebrativo recupero dell’eroismo e della pietà degli antenati. Due esecuzioni contro gli Ebrei Il 22 aprile 1600, con una regia non dissimile ma ben altra tragicità, viene arsa in piazza Giuditta Franchetti41, ebrea e strega colpevole di numerose malìe. Dai contemporanei il rogo venne descritto al pari di uno spettacolo per la folla gratificata dalla presenza del serenissimo duca Vincenzo e della sua nobile parentela, che assistette dai poggi di Corte Vecchia, uno dei luoghi simbolici del potere signorile, come avrebbe potuto fare per una festa nuziale o carnevalesca. L’ ‘abbruciamento’ di Jovadith Ebrea e le sette impiccagioni eseguite nel 160242 furono processi voluti e guidati dall’autorità ducale nello sforzo di assecondare il fanatismo religioso popolare per mantenere l’ordine pubblico, senza diretta responsabilità dell’inquisitore. Il sistema di procedure formali e di garanzie giuridiche che il Sant’Uffizio stava perfezionando era già entrato in conflitto con gli intolleranti presupposti che ne assicuravano l’esistenza e che, in competizione col tribunale vescovile, in quegli stessi anni stavano stringendo gli Ebrei con prescrizioni sempre più invasive, i cui effetti destabilizzanti sembrano concentrarsi nelle vicende occorse circa cinquant’anni più tardi, quando la prosperità e la solidità della dinastia al potere erano già compromesse. 41 In seguito riprese da Amadei, le principali notizie si trovano nell’Insalata, modesta cronaca redatta da Gian Battista Vigilio; cfr. inoltre SIMONSOHN 1962 e la voce in DSI, Franchetta, Judith (A. Prosperi). 42 Per un breve riassunto DSI, Ebrei in Italia, Ducato di Mantova (P. C. Ioly Zorattini). – 34 – Lo sfratto del 1666 Per ben adempiere al proprio dovere Sembrava iniziato nel modo migliore l’incarico di padre Granara, nominato inquisitore mantovano nel novembre del 16641 a sostituire frate Tommaso Pusterla da Tradate, arrivato nel 1662. Un avvicendamento dopo appena due anni non era usuale, ma non dava poi troppo nell’occhio: le permanenze di soli cinque o sei anni erano frequenti e rientravano pienamente in quel meccanismo di promozioni per cui i frati occupavano a rotazione le sedi minori e i più capaci lasciavano quelle periferiche per incarichi di maggior importanza. Così il genovese padre Granara proveniva dalla sede di Gubbio, mentre il suo predecessore andava a occupare la sede di Pavia2, e il suo vicario, Aurelio Torri3 da Rivalta (cioè dal convento di Rivalta Bormida, presso Asti), sarà nominato titolare a Saluzzo, Gubbio, Reggio Emilia, Rimini, Piacenza, per tornare a Mantova nel 1692, poco prima della morte. Senza troppi scossoni quindi la congregazione aveva accolto le richieste del duca Carlo II Gonzaga Nevers, come registrano i Decreta: Item retulit legisse Sanctitati Suae litteras Ducis 1 ACDF, Decreta, 1664, c. 183r, 12 novembre 1664. Padre Granara era già stato inquisitore di Modena dal 1662, sostituito nel 1664 da Giovanni Tommaso Martinelli (TRENTI 2003, p. 313); dopo Mantova la sua carriera proseguirà a Ferrara (ACDF, Decreta, 1667, c. 128r, 28 giugno 1667); nel 1674 risulta a Milano (ACDF; Censurae librorum, 1673-1675, fasc. 16). 2 ACDF, Decreta, 1664, c. 183r, 12 novembre 1664. 3 Qualche carta relativa ad Aurelio Torri è inserita nella Silva pro ministris Sancti Officii, istruzioni manoscritte, raccolte in ordine alfabetico per una più pratica consultazione da parte degli inquisitori, conservate in BCMn sotto la segnatura ms. 562 (E-II-27). – 35 – Mantuae datis 14 augusti quibus petit deputari alium inquisitorem, qui melius adimpleat partes suas.4 smentendo almeno in parte quanto scriveva alcuni anni prima Francesco Cavriani: è ben gran cosa, che da Roma non possa mai Sua Altezza Serenissima ricevere sodisfattione […] bisognerebbe procurare di disfar questo incanto, o per il meno porsi alla difesa il piu forte possibile.5 Meglio non sopravvalutare la convenzionale pietà e devozione del principe: un episodio6 di alcuni anni precedente, quando il titolare del tribunale era frate Giulio Mercori, mostra bene cosa potesse significare ‘svolgere meglio il proprio ruolo’. Nel 1654 Carlo II aveva invitato a corte Francesco Verospi, religioso sfratato e cabalista, che temeva giustamente l’inquisitore7, il quale a sua volta in maniera ‘stragiudiciale’ aveva diffidato il 4 ACDF, Decreta, 1664, c. 162v, 1 ottobre 1664. 5 The Medici Archive Project, vol. 2959, fasc. 15. Vedi nota successiva. 6 Documenti pubblicati parzialmente in The Medici Archive Project (http:// documents.medici.org/) Relazioni con Stati Italiani ed Esteri, Stati Italiani, Mantova, vol. 2959, fascc. 18 (giugno 1654), 15 (10 giugno 1654, Francesco Cavriani a Ferdinando II de’ Medici), 14 (11 giugno 1654, Carlo II Gonzaga di Nevers a Ferdinando II de’ Medici, Disgusto tra il Duca di Mantova e l’Inquisitore). 7 Frate Giulio Mercori da Cremona “creatura del V. Cardinale Francesco Barberino”, come scrive Francesco Cavriani (The Medici Archive Project, vol. 2959, fasc. 15). Durante l’incarico mantovano aveva dato alle stampe la Basis / totius moralis / Theologiæ hoc est / praxis opinionum / limitata / per f. Iulium Mercorum / Cremonensem S. T. M. Ord Prædic. / Inquisitorem Mantuæ. / Adversus / Nimis emollientes, aut plus æquo exasperantes / Iugum Christi. / Opus / Iudicibus interni, et externi fori apprime / necessarium. Mantuæ, apud Osanas, Ducales Typographos, anno MDCLVIII. Spesso presente nelle biblioteche dei gesuiti, il testo conobbe una buona diffusione e due immediate ristampe: “Parisiis, apud Ioannem de Launay, in porticu Sorbonæ, 1659” – 36 – Lo sfratto del 1666 duca dal frequentarlo. Fallito un primo tentativo di arresto, “trasferitosi a Revere celatamente, il vicario dell’Inquisitore procurò colle sue spie” la cattura di Verospi, ingannando i birri ducali sul reale significato della loro collaborazione. Seguendo una prassi attestata anche in altre occasioni, l’inquisitore cerca quindi di organizzare una estradizione clandestina verso il Ferrarese, Stato della Chiesa, per istruire senza intoppi il processo. Prontamente le guardie di Carlo II inscenano una falsa evasione, che permette di riportare il cabalista prigioniero a Mantova, in castello, e riconsegnarlo all’inquisizione per un processo più facilmente controllabile, salvando i doveri verso la Santa Sede et per far vedere, che se ben era in sua mano il lasciar fuggire il prigione, nondimeno come Principe alienissimo dal rendersi oggetto nel mondo cristiano de’ biasmi di poco religioso, haveva voluto non solo custodirlo meglio, che non haveva fatto il vicario, ma farlo condur sicuro, e consignar cauto all’Inquisitore. Bastandole poi per l’altra parte, che in quella forma, che havessero voluto capir le genti, si fosse veduta la sodisfazione che Sua Altezza ragionevolmente s’era presa, e seguita dalla “Editio 3. ab innumeris quibus scatebat mendis expurgata, Bruxellæ, sumpt. Balthazaris Vivien, sub signo boni Pastoris 1663”. Il formale imprimatur concesso dal vicario generale del Sant’Ufficio di Mantova, frate Giovanni Battista Righi, lettore di teologia, è preceduto dall’approvazione vera e propria, firmata dal gesuita Girolamo da Piacenza, professore di teologia a Parma, dove insegnava anche Francesco Bordoni, francescano del terz’ordine, pure impegnato nel dibattito sul probabilismo. Le 299 pagine dell’edizione mantovana si articolano in tre parti: 1) De probabilitate secundum se: An sit recta regula morum; 2) An sit peccatum sequi opinionem minus probabilem, relicta probabiliori opposita e infine 3) Praxim eligendi opiniones in materia morum. Negli anni in cui scriveva Giulio Mercori il Sant’Uffizio non si era ancora pronunciato pubblicamente sul probabilismo, come farà di lì a poco (1665 e 1666) senza prendere tuttavia una posizione definitiva. – 37 – che voleva, che fosse chiaramente conosciuta, benche non confessata, e che qui confidentemente si esprime per notificazione pienissima del fatto.8 L’arrivo di padre Granara L’anno 1664 non sembra essere stato particolarmente travagliato: se escludiamo un intervento ducale a sostenere una concessione di grazia9, gli affari riferiti alla congregazione annoverano una ricerca d’archivio richiesta dal nunzio in Svizzera10 circa il processo del 1656 contro il teatino Andrea Costa,11 alcune indulgenze apocrife,12 una richiesta di lettura per la Storia di Sarpi (concessa, purché affiancata da quella di Pallavicino)13. Le cause veramente rilevanti – e solo indirettamente legate a Mantova – in fin dei 8 The Medici Archive Project, vol. 2959, fasc. 18. 9 “Inquisitoris Mantuae lectis litteris datis 29 decembris [1663], quibus scribit, Ducem sibi imposuisse, ut Sacram Congregationem supplicaret pro permissione exilii impositi Comiti Ascanio Secto; eminentissimi inclinabunt arbitrio Sanctissimi, qui […] iussit Inquisitori, ut pro suo arbitrio dicto Comiti concedi licentiam […] commorandi Mantuae.” (ACDF, Decreta, 1664, c. 7r, 9 gennaio 1664). 10 11 Stando alle cronologie Federico IV Borromeo. “Inquisitoris Mantuae lectis litteris datis die 29 decembris, quibus significat quod Nuntius apud Helvetios petiit sibi mittit ea, quae ibidem extant contra Patrem Andream Costam Theatinum post eius constitutum factum 12 decembris 1656; quod ipse noluit facere inconsulta Sacra Congregatione, Decretum /// scribendum Nuntio praedicto, ut mittat processum ab ipso factum contra dictum Patrem Andream, quia quae habentur post dictum Constitutum non videntur ad[haerire] necessarie ad Causam. (ACDF, Decreta, 1664, c. 7r, 9 gennaio 1664). 12 “Litteris inquisitoris Mantuae datis 4 huius rescribatur, quod est Apocrifa praetensa Indulgentia dierum mille, et undecim concessa a Sixto 4.o recitantibus hanc Orationem Ave Sanctissima Maria Mater Dei Regina Coeli, Porta Paradisi, Domina Mundi […].” (ACDF, Decreta, 1664, c. 13r, 9 gennaio 1664). 13 A un non meglio precisato Ladislao Gozzo (una famiglia Gozzi è documentata da Carlo D’Arco, cfr. DOM). – 38 – Lo sfratto del 1666 conti si riducono a due: l’esperimento magico del tamiso praticato da un sabbionetano (quasi certamente affidato all’inquisitore di Cremona, risoltosi con tre tratti di corda e un’abiura de levi)14 e l’omicidio a Guastalla di un frate servita, patentato come notaio. Il fatto era grave, ma non sembrava legato a questioni di fede. In ogni caso le indagini erano state assegnate all’abate della collegiata.15 Frate Tommaso da Tradate aveva già sbrigato anche le incombenze per mettere a frutto dei terreni del Sant’Uffizio: con l’approvazione della congregazione e dopo il parere favorevole dell’inquisitore di Pavia16, già titolare a Mantova, trenta biolche (circa 10 ettari) erano state date in affitto agli eredi del marchese Ottavio Gonzaga; una scelta obbligata, poiché le terre della vedova Eleonora circondavano la piccola proprietà, per di più gravata da un pagamento a favore della sinagoga.17 Nulla sappiamo degli impegni minori di frate Tommaso, che possiamo immaginare esaurirsi nelle spontanee comparizioni e nei controlli di routine su stampa e predicatori. In ogni caso a novembre passa dalla 14 “Contra Jacobum Cattum a Sabloneta inquisitum de experimento Cribri et aliis proposita Causa, Decretum, quod inspecta qualitate personae arbitrio Inquisitoris Jacobus quassatus tribus ictibus funis, deinde praevia abiuratione de levi dimittatur cum praecepto de abstinendo a similibus sub p[raecep]to fustigationis intimata Bulla. (ACDF, Decreta, 1664, c. 32v, 20 febbraio 1664). 15 ACDF, Decreta, 1664, c. 43r, 12 marzo 1664; ACDF, Decreta, 1664 c. 59r, 7 aprile 1664. 16 Giulio Mercori da Cremona, a Mantova dal 1652 al 1662. 17 ACDF, Decreta, 1664: c. 18v, 30 gennaio 1664; c. 39v, 4 marzo 1664; c. 105v, 2 luglio 1664. Il cenno al debito verso la comunità degli Ebrei e le date convergono su Ottavio, figlio di Pirro della linea di Vescovato (15 maggio 1622 - 12 settembre 1664) sposato con Eleonora di Ascanio Pio di Savoia. Fu governatore del Monferrato e generale delle milizie. Cfr. Pompeo Litta, Famiglie celebri italiane; vol. Milano 1835, SIMONSOHN 1974, pp. 293-294. – 39 – XXXIII: I Gonzaga di Mantova, congregazione il giro di nuove nomine: Item retulit Reverendus Pater Dominus Assessor, quod Sanctissimus Dominus Noster deputavit in Inquisitores infrascriptarum Inquisitionum. / Magistrum fratrem Thomam Pusterlam ad praesens Inquisitorem Mantuanum in Inquisitorem Papiensem. / Fratrem Hiacyntum Granaram Inquisitoren Eugubinum in Inquisitorem Mantuanum. / Fratrem Ludovicum de Colono ad praesens Inquisitorem Ariminensem in Inquisitorem Eugubinum. / Patrem Commissarum in Inquisitorem Ariminensem. / Quod deputationes mandavit per eundem Reverendum Patrem Dominum Assessorem significari Eminentissimis in prima proxima Congregatione.18 In marzo il duca “significat optimam suam voluntatem erga fratrem Hiacinthum Mariam Granaram Ordinis Praedicatorum”, che possiamo interpretare come il formale riconoscimento del nuovo inquisitore con la contestuale concessione del braccio secolare. Giacinto Maria Granara e Isabella Clara d’Austria Doveva avere qualche ambizione padre Granara, giacché appena arrivato a Mantova chiede licenza per pubblicare un proprio libro, la Scuola di vera sapienza,19 raccolta di prediche destinate a coprire buona parte 18 ACDF, Decreta, 1664, c. 183r, 12 novembre 1664. 19 Scuola di vera sapienza. Discorsi morali del P. M. Granara inquisitore di Mantova, dalla prima domenica dell’Avvento, sino al giorno santissimo di Ressurezzione, in Venezia presso Gio. Pietro Brigonci, 1665 (frontespizio disegnato da Antonio Zanchi, inciso da Elisabetta Piccini); cfr. GRIFFANTE (CUR.) 2003. Nei cataloghi vedi anche Scuola di vera sapienza aperta da Christo S. N. sul Monte ove à suoi discepoli et alle turbe insegnò le beatitudini evangeliche, rilette poi in varij discorsi morali dal P. Giacinto Maria Granara – 40 – Lo sfratto del 1666 dell’anno liturgico. Per la debita autorizzazione i cardinali l’avevano indirizzato agli inquisitori di Ferrara e Venezia, dove in luglio si era recato di persona al fine di curare da presso la stampa,20 da cui trarrà un estratto nel 1677. Prontamente segnalata, con un paragrafetto tanto encomiastico quanto vacuo, ne Li scrittori della Liguria21 di Raffaele Soprani, sui frontespizi esibiva un’incisione con la predicazione di Gesù sulla montagna a ebrei e gentili, in primo piano un frate domenicano (ritratto di Granara medesimo?) intento a completare la tabula dedicatoria all’arciduchessa Isabella Clara d’Austria22, andata in sposa a Carlo II al fine di rinsaldare genovese, in Venetia per Francesco Nicolini, 1665. L’estratto del 1677 è Parte terza delle sacre erudizzioni per riformar l’huomo all’imagine di Giesu, estratti dal padre G. M. G. da Genova dal suo libro, inscritto Scuola di vera sapienza, 1677. Di un secondo volume, edito a se stante tra il 1665 e il 1677, al momento non c’è traccia, benché sia ipotizzato da alcuni compilatori di cataloghi bibliografici. 20 “Inquisitoris Mantuae lectis litteris datis die X huius, quibis petit licentiam eundo Venetias, ad effectum inprimendi Librum ab ipsum compositum super Beatitudinibus Evangelicis, Eminentissimi licentiam petitam concesserunt, reviso libro ab Inquisitoribus Ferrariae, et Venetiarum.” (ACDF, Decreta, 1665, c. 119r, 22 luglio 1665). 21 Li scrittori della Liguria, e particolarmente della maritima di Raffaele Soprani, in Genova per Pietro Gio. Calenzani, in Piazza nuova, 1667. Si riporta la voce: “GIACINTO MARIA GRANARA. Domenicano del Convento di S. Maria di Castello, Maestro di Sacra Teologia, et Inquisitore di Mantua; se ne consideri la Vita, lo chiamerei Religioso di vera bontà: mà se dell’opere, ov’impiega la penna, ti farai curioso Lettore, vedrai, ch’in un t’alletta, e t’istruisce per ben caminare il sentiero del Cielo. Trà molte, nelle quali stà di presente occupato à beneficio commune, una di già ne hà data alla Luce, ricevuta con applauso, da chi desidera la propria salute, e s’intitola, Scuola di vera sapienza. In Venetia, per Gio: Pietro Brigonci 1665. in 4.” 22 Figlia di Leopoldo conte del Tirolo, fratello dell’imperatore Ferdinando II. Le sue abilità politiche sono giudicate positivamente nella voce biografica di Raffaele Tamalio in DBI, lontana dal gusto per il pettegolezzo e priva degli intenti moralistici e celebrativi propri di lavori meno aggiornati (DBI, Isabella Clara d’Asburgo, duchessa di Mantova e del Monferrato – 41 – alleanza e diritti imperiali sul malfermo ducato: la cittadella di Casale era stata rioccupata dal duca solo vent’anni dopo la guerra, nel 1652, e nel 1655 Carlo II si era impegnato in un viaggio presso Luigi XIV, che ne minacciava sia i possedimenti francesi che quelli padani. Quanto alla piccola capitale, la popolazione non era la metà di quella antecedente il sacco, e i Veneziani vi avevano tenuto un presidio militare sino al 1662. Alla morte di Carlo II, nel 1665, quando Isabella Clara assunse la reggenza in attesa della maggiore età di Ferdinando Carlo, non erano ancora stati recuperati i feudi di Reggiolo e Luzzara, occupati dal duca di Guastalla, filospagnolo, mentre una lite di confine per alcune isolette sul Po, fra Brescello e Viadana, era sul punto di degenerare in guerra aperta contro il duca di Modena23. Nel torbido clima ‘da basso impero’ di questo periodo è difficile decifrare la direzione degli avvenimenti e le intenzioni degli individui, come già osservava Amadei, che suggeriva – ma non affermava apertamente – l’avvelenamento del duca a opera della duchessa o del suo amante Carlo Bulgarini, figlio del segretario di Stato Francesco. Attratti dal romanzesco, contemporanei e storici, studiando questa ‘storia sbagliata’ del secondo Seicento, hanno comunque avuto modo di esercitarsi su tutte (Tamalio 2004)). Cfr. anche DBI, Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers, duca di Mantova e del Monferrato (Benzoni 1996). 23 Lucida l’analisi di Eleonora Gonzaga Nevers, vedova dell’imperatore Ferdinando III, sull’opportunità di inviare un rappresentante imperiale a chetare le acque: “Li Ministri però per natura timidi, et irresoluti non vorrebbero impegnar l’Imperatore almeno prima di sentire che detti Duchi habbino ubbidito con la sospensione dell’armi alla sua intimatione, ma l’Imperatrice supponendo, che non possa mettersi in dubio l’ubbidienza di due Prencipi Feudatarii di deboli forze, e che in ogni caso un Ministro Saggio sarà atto a facilitarne il rispetto, incalza che sia spedito senza /// indugio; già che o non s’ubbidisca da loro all’ordine Imperiale o non s’aderisca alle persuasioni del detto Deputato Cesareo, l’impegno sarà inevitabile.” (ASV, Segr. Stato, Germania,182, c. 130r, 5 giugno 1666 (decifrata il 23 giugno), dal nunzio di Vienna a Roma). – 42 – Lo sfratto del 1666 le sfumature dell’intrigo, dall’improvviso rinchiudersi dell’arciduchessa in Sant’Orsola (nel 1671, imitata da Bulgarini, relegato in San Domenico), alla ricerca di figli clandestini24 o gravidanze interrotte25 spacciate per imprecisata malattia26, passando per le manovre veneziane volte a 24 ASMn, D’Arco, b. 110, Memoires secretes de la duchesse Isabelle Claire d’Autriche femme de Charles II. Duc de Mantoue. È trascrizione manoscritta firmata “Volta” (Leopoldo Camillo?) di La Vie de Claire Isabelle Archiduchesse d’Inspruck Femme de Charles Second Duc de Mantoue [avec l’histoire du Religieux marié], s. l. 1696, in dodicesimo. Di gusto scandalistico, accentua il rigido umore ‘spagnolo’ di Isabella Clara nel trattare i sottoposti e la violenza della passione amorosa per Bulgarini, in grado di superare le differenze di rango. Per altri dettagli cfr. MALACARNE, I Gonzaga, vol. V, pp. 184-192. 25 Il “Curioso aviso. Ma non verificato” è riportato da Carlo Francesco Gorani, che si trovava a Mantova, ospite di padre Mauro, priore di San Girolamo, per negoziare il dazio sui transiti del sale destinato al Milanese. Apparteneva una famiglia di origine notarile che stava raggiungendo la nobiltà grazie agli incarichi svolti per l’amministrazione spagnola. Il tono delle sue memorie è conciliante verso la corte mantovana, di cui rileva però l’accoglienza poco cerimoniosa e poco rispettosa della reciprocità nelle forme di cortesia. I manoscritti si trovano a Madrid (Biblioteca Nacional, mss. 2671, 2091, 2439); la trascrizione del Libro 2.do di memorie delle cose correnti degne d’osservazione seguita sotto il Governo dell’Ecc.mo Signor Don Luigi de Guzman Ponze de Leon Governatore di Milano (1666) è resa disponibile dall’Università degli Studi dell’Insubria all’indirizzo http://archiviostorico.dicom.uninsubria.it/archivi/arese/libro_memorie/ (pdf dell’11 ottobre 2005), cui si rinvia. Stando a Gorani: “Il padre Mauro scrisse in cifra una particolarità che poi non parve che s’avverasse, che la signora Arciduchessa si fosse conosciuta gravida, e che per abortire havea presi medicamenti così violenti, che nel evacuar le secondine, il sangue gl’era uscito in gran parte. Questa notizia me la fece il signor conte Arese participare al signor don Luigi governatore; e poi sopravennero avisi alli 22 che Sua Altezza migliorava a segno ch’era quasi fuori di pericolo.” (GORANI, Memorie, II, p. 79). Con un pretesto il priore sarà richiamato nel Milanese “per lo sprezzo [che] si faceva in essa [a Mantova] di sua persona la quale come inviata da Sua Eccellenza per haversi a communicare con quei Principi l’occorrenze del serviggio di Sua Maestà, veniva a rifletter tutto in offesa dell’Eccellenza Sua medema.” (GORANI, Memorie, II, p. 90). 26 Da questo punto di vista sono neutre le comunicazioni del 20 novembre 1666 (“In – 43 – destabilizzare lo stato e impadronirsene con un colpo di mano, sino al doppio gioco di Ercole Mattioli, incaricato da Ferdinando Carlo di vendere la fortezza di Casale ai francesi (1678) e identificato nella maschera di ferro rinchiusa vita natural durante alla Bastiglia.27 Padre Granara a Mantova Il primo anno di permanenza di padre Giacinto Maria Granara a Mantova invece non offre particolare interesse: negli indici premessi ai Decreta del 1665 figura due sole volte, entrambe per l’edizione del proprio libro. Per avere un’idea della tipologia dei reati che più attiravano la sua attenzione bisogna scorrere l’elenco dei processi modenesi da lui seguiti negli anni 1662, 1663 e 1664:28 ai 31 soggetti registrati sono attribuiti 4 procedimenti relativi a ebrei, 1 abiura compiuta da un soldato di origine inglese e 29 altri capi d’imputazione: 11 per magia, 8 per bestemmia, 3 per sacrilegio, 2 ciascuno per proposizioni ereticali, bigamia, offesa o intralcio al Sant’Uffizio, 1 per illeciti connessi allo stato ecclesiastico. Nel 1666 la corte mantovana lo descriverà come ‘sregolato’ e di ‘indiscreta ingordigia’, e – pur valutando la parte da cui provengono le informazioni – la versione in un primo tempo sostenuta dalla Corte è del tutto credibile: Granara deve aver tenuto un atteggiamento rigoroso verso quei piccoli abusi o quelle concessioni che la tradizione locale considerava come ammissibili, e che a un inquisitore proveniente dallo Stato della Chiesa risultavano intollerabili. Il marchese Canossa, come primo ministro, Mantova havemo che il male di quella Arciduchessa sempre più andasse crescendo con dubbio grande di sua vita.” ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, filze, 116, anno 1666 settembre – febbraio m. v.) e del 23 dicembre 1666 (ivi) dirette dal Senato all’ambasciatore presso il papa. 27 Ampie notizie in MALACARNE, I Gonzaga, vol. V, pp. 177-233. 28 TRENTI 2003. – 44 – Lo sfratto del 1666 si spiegherà con Carlo Francesco Gorani dicendo per maggior giustificatione, che la Serenissima [scil. arciduchessa] già molto tempo fà si trovava mal sodisfatta delle estorsioni, che questo padre haveva fatto a diversi Hebrei ranzonandoli chi in 25 chi in 30 doppie prima di farli scarcerare, e che l’ardire era passato tant’oltre, che s’era messo in dar ordini alli capitani, che assistono alle porte di trovarsi con tanta gente in luoghi destinati per servitio della santa Inquisitione: eccesso che non si poteva più tolerare.29 L’ipersensibilità verso le comunità separate traspare anche dalle ultime segnalazioni dell’inquisitore, che nel 1667, al suo rientro nel capoluogo, prenderà di mira dapprima alcuni neofiti,30 quindi un piccolo gruppo di pochi eretici svizzeri, solo temporaneamente presenti nel mantovano per lavorarvi come tagliapietre durante la bella stagione.31 Forse strascico del mandato di Granara, i decreta del 1668 (inquisitore Giovanni Maria Pozzobonelli) riportano tra gli altri un procedimento contro due ebrei che cercavano di distogliere i catecumeni dalla conversione32 e contro un certo Domenico Lucchini33. Pare invece un 29 GORANI, Memorie, II, p. 5. 30 Notizia indiretta in ACDF, Decreta, 1667, c 83r, 27 aprile 1667. 31 ACDF, Decreta, 1667, c. 59r, 23 marzo 1667; dilatoria la risposta dei cardinali. 32 “Contra Maggium Itagliam, Leonem Provenzalem haebreos Mantuae delatos quod volens aliquis haebreus recipere Sacrum Baptismum et vivere Christiane procurant eorum fugam a Cathecumenis et mittit notulam aliquorum, et addit quod dicti haebrei lubentes familiaritatem cum Equitibus, et Capitaneo Justitiae male tractant Christianos, et iam per viam Justitiae, et ob id facti sunt opulenti auri, supplicat igitur pro remedio.” (ACDF, Decreta, 1668, c. 144v, 12 aprile 1668). L’argomento è ripreso a c. 245r, 4 luglio 1668. 33 Denunciato dalla moglie, condannato per bestemmie ereticali, evaso dalle carceri del Sant’Uffizio e bandito dalla città. Cfr. ACDF, Decreta, 1668, c. 144v, 12 aprile 1668; c. 254r, 13 giugno 1668; c. 250v, 11 luglio 1668; c. 268v, 25 luglio 1668. – 45 – tentativo di ottenere un più mite giudizio la richiesta di spontanea comparizione inoltrata dal carmelitano Emilio Bonadei34, carcerato in castello su ordine dell’arciduchessa con l’accusa di aver fatto da mezzano tra una penitente e il defunto Carlo II. Nel 1667 uno dei primi editti ferraresi di Granara susciterà di nuovo le proteste dell’Università degli Ebrei, che scriveranno a Roma deplorandone le eccessive pretese,35 imitati da frate Felice Accorsi, priore dei domenicani, in disaccordo sulla disciplina da tenere in convento,36 una questione già sollevata durante la permanenza a Guastalla, quando l’abate della Collegiata aveva ottenuto dai cardinali inquisitori che le preghiere previste alle ore canoniche avessero la precedenza rispetto ai servizi a favore dell’inquisitore.37 La carriera di padre Granara non pare aver risentito di 34 “Inquisitoris Mantuae lectis litteris responsivis datis Emilium Bon[a]deum ordinis Carmelitanorum X huius quibus significat fratrem Cogregationis Mantuae olim Consultorem illius Sancti Officii petentem audiri in Sancto Officio, fuisse carceratum tribus ab hinc annis in Fortalitio de mandato Ducissae sub praetextu complicitatis, quod Dux pater Ducis viventis carnaliter cognoverat quandam Dominam Poenitentem dicti fratris Emilii, prout ab aliquibus dicitur cui ipse frater Emilius dixerit in confessione non esse peccatum complacendi causa suo Principi. Scribatur Eminentissimo legato Ferrariensi per secreta extrajudiciali informatione circa causam capturae dicti fratris Emilii.” (ACDF, Decreta, 1668, c. 59r, 22 gennaio 1668). Il 18 luglio 1668 (ivi, c. 262v) si trova il “relata” del memoriale di frate Emilio Bonadei, delle informazioni inviate dal legato di Ferrara cardinal Donghi e di quelle fornite dall’inquisitore di Mantova, apparentemente senza conseguenze immediate. 35 L’editto dell’ 8 settembre 1667 conterrebbe “multa contra solitum, quae executioni demandari non possunt” (ACDF, Decreta, 1667, c. 214r, [17?] ottobre 1667). 36 “Contra fratrem Hiacintum Granaram Inquisitorem Ferrariae lectis litteris fratris Felicis Accorsi Prioris Sancti Dominici, quibus narrat multa concernentia disciplinam regularem etiam contra eius Vicarium, Notarium, et Conversum, fuit dictum quod Pater Commissarius scribat iuxta mentem.” (ACDF, Decreta, 1668, c. 464v, 28 novembre 1668). 37 ACDF, Decreta, 1666, c. 101, 13 luglio 1666. – 46 – Lo sfratto del 1666 questi screzi, e proseguirà sino alla nomina a Milano38, uno dei tribunali più importanti nell’Italia settentrionale. È probabile che ancora una volta Granara conoscesse le regole, ma ignorasse volutamente le pratiche e le precedenze consolidate in quel gioco sociale che era l’amministrazione del tribunale, finendo con l’irritare ed esasperare le controparti, che in linea di principio non erano certo maldisposte. Propaganda e rimozione Della sua biografia e dei suoi modi non si sa molto: un cenno strumentalmente idealizzato è offerto da Tommaso Vincenzo Pani, che pubblica anonima e senza luogo di stampa una difesa dell’Inquisizione, risposta tardiva al dibattito settecentesco, ironicamente stretta tra le soppressioni austriache e le repubbliche giacobine. Nella Lettera XXIX, dedicata alla protezione sempre accordata ai religiosi regolari come inquisitori, Pani accosta frate Granara a Michele Ghislieri: Li vedo bene alloggiati dove risiedono per esercitare con quiete la loro carica, e non che mantenuti di vitto e vestito ma anche provveduti di religiosi vicarj, notari, conversi a spese per lo più de’ Conventi: e se avviene talvolta che dai malevoli perseguitati vengano costretti ad abbandonare le loro residenze, li vedo accolti con uguale zelo e premura in altri Conventi, come è stato praticato con Michele Gisiglieri, […] con l’Inquisitore Granara scacciato da Mantova e rifugiato in Ancona, ed a nostro ricordo cogl’Inquisitori Ciacca e Mabil, che da Piacenza e da Avignone si sono trasferiti in Pesaro ed 38 Attestato nel 1674, cfr. ACDF, Cens. libr., 1673-1674, fasc. 16. – 47 – in Rimino, e con due Inquisitori Francescani, che nella loro caduta hanno ritrovato ne’ loro Conventi di Toscana sostentamento e rifugio.39 Un paragrafo compare anche negli Eretici d’Italia di Cesare Cantù, forse influenzato dalla Storia generale pubblicata sotto il nome di Pietro Tamburini, per le pagine in questione ristampa verbatim dell’Istoria del fiorentino Francesco Becattini, che a sua volta rinvia agli Annali del Sacerdozio e dell’Imperio di Battaglini.40 Nel passaggio dagli Annali alla compilazione di Becattini (episodica e d’effetto, tanto da riscuotere un discreto successo commerciale) la vicenda conservava immutato lo schema narrativo – alleggerito dei giudizi su principi e ministri – ma vedeva capovolto il ruolo dell’inquisitore, ora qualificato come “zelante all’eccesso”41, e riscattati gli Ebrei dalla colpa e dalla “meritata schiavitù” che li connotavano nel testo di Battaglini. 39 [Tommaso Vincenzo Pani,] Della punizione degli eretici e del Tribunale della S. Inquisizione lettere apologetiche. In questa seconda Edizione aumentate notabilmente e corrette dall’Autore a maggiore schiarimento di alcune verità spettanti ai diritti della Chiesa e del Principato, [Faenza], seconda edizione ampliata 1795 [prima ed. 1789], pp. 340 sgg.. 40 Cesare Cantù, Gli eretici d’Italia, discorsi storici, vol. III, Torino 1866, p. 439. Storia generale dell’inquisizione corredata da rarissimi documenti, opera postuma di Pietro Tamburini […], per Francesco Sanvito, Milano 1862, vol. IV, pp. 184-186. Istoria dell’Inquisizione ossia S. Uffizio corredata di opportuni e rari documenti. Data per la terza volta alla luce con aggiunte da Francesco Becattini accademico apatista, presso Giuseppe Galeazzi, Milano 1797, pp. 182-185. Annali del Sacerdozio e dell’Imperio di monsignor Marco Battaglini, vescovo di Nocera et c., tomo terzo che contiene gli Avvenimenti dal Decimoterzo al Decimoquarto Giubileo, presso Andrea Poletti, in Venezia MDCCIX, pp. 377-379 e 653. Dubbi più che condivisibili sull’attribuzione a Tamburini in DEL COL 2003, pp. 103-104, dove è qualche cenno anche sulla anonima Storia dell’inquisizione in Italia. Corredata da opportuni e rari documenti, Firenze, a spese degli editori, 1859. 41 Becattini, Istoria …, p. 182. – 48 – Lo sfratto del 1666 Gli Annali del Sacerdozio e dell’Imperio di monsignor Marco Battaglini e l’ Historia d’Italia di Giacomo Brusoni Sacerdote, laureato in utroque, Marco Battaglini aveva incontrato padre Granara ad Ancona, dove svolgeva funzioni giudiziarie dal 1668; nominato vescovo di Nocera Umbra nel 1690, pubblicherà gli Annali tra il 1701 e il 1711, suddividendoli secondo gli anni giubilari, manifestando l’impostazione ortodossa e romana già nell’emblema in frontespizio, dove un’allegorica Italia, cinta di corona turrita, in primo piano rispetto a bandiere e cannoni, tiene in grembo una cornucopia e la tiara papale. La sua interpretazione della vicenda si aggrappa ai concetti di intemperanza, di schiavitù e di punizione divina: intemperante è Carlo II, che ricerca piacere disonesto e sensuale, prepotenti sono i ministri, la cui corruzione è alimentata dal favore smodato che ricevono dai principi, mentre sul versante positivo è paziente il cardinal Donghi, che svolgerà funzione di mediatore tra Roma, Mantova e Vienna, trait d’union tra le urgenze della fede e la miscredenza dei governanti. Libero e virile è l’inquisitore, e simmetricamente gli Ebrei ricadono sotto la giurisdizione della Chiesa “come suoi servi”. Isabella Clara diventa allora pessimo esempio per il principino erede quando antepone il potere secolare a quello ecclesiastico ed è strumento della perfidia ebraica nell’impedire alla Chiesa l’indottrinamento forzato, utile a salvare almeno le anime dei cristiani, cui non può essere rimproverato di aver taciuto la verità agli ebrei, già inorgogliti per la depravata parzialità con cui sono tollerati. Privi di ragionevolezza, gli ebrei sono “gentame perfido, abjetto e schiavo”, che ricorre alla borsa non potendo far appello all’eloquenza, come prosegue la cronaca ormai divenuta invettiva, risvegliando nel lettore odierno le inquietudini più cupe. L’inquisitore non è più considerato un giudice cauto e scrupoloso, ma il rappresentante della Santa Sede. Nella narrazione del torto che ha – 49 – subito, il tono del discorso passa rapidamente da grave a profetico e visionario: “impallidirono, renduti estatici” i soldati nell’udire la scomunica, “divina vendetta” è la discriminazione antiebraica, mentre il sacco del 1630 diventa giusta punizione e presagio per il futuro, “ira di Dio” scatenata dalla troppa tolleranza, avverando la profezia del francescano Bartolomeo da Saluzzo, il predicatore “celebre per santità” che nel 1602 era stato cacciato quale sobillatore dei tumulti diretti contro gli ebrei, non ancora rinchiusi nel ghetto. È un poco più sobria l’altra fonte dichiarata da monsignor Battaglini, il libro trentaquattresimo della Historia d’Italia42, scritta da Girolamo Brusoni quando da tempo aveva svestito l’abito della Certosa e quello più pericoloso di accademico libertino, per concentrarsi sul mestiere di ‘novellista’ e sulla vendita di notizie confidenziali alla Serenissima Repubblica.43 Sono comunque già presenti la santità di ‘frà Bartolomeo da Saluthio’ e l’avverarsi della profezia nei ‘prodigiosi eventi’ che portarono all’estinzione del ramo principale dei Gonzaga e alle guerra di Monferrato, con quelle altre pessime conseguenze di somigliante caducità, che diedero il moto a quasi tutte le più strane rivoluzioni d’Europa che han funestato il nostro secolo44, secolo che per Brusoni iniziava proprio con tali vicende, da cui la sua Historia prende avvio. Ritrovare questo accenno in un autore che immagineremmo disincantato, se non proprio pirronista, fa supporre che a quarant’anni dagli eventi (o settanta, contando dal 1602) questa fosse la 42 Della Historia d’Italia di Girolamo Brusoni libri XXXVIII. Riveduta dal medesimo Autore, Accresciuta e Continuata. Dall’Anno 1625. fino al 1670., per gli Heredi Francesco Storti, e Gio: Maria Pancirutti, in Venetia MDCLXXI, Libro Trentesimo Quarto, pp. 857-858. 43 DBI, Brusoni, Girolamo (De Caro 1972); PRETO 1994, p. 208 e passim. 44 BRUSONI, Historia d’Italia …, p. 858. – 50 – Lo sfratto del 1666 versione standard, o per lo meno quella che il pubblico si aspettava di trovare in un’opera che all’ufficialità aveva sacrificato parecchio del divertissement estetizzante degli Incogniti e della corrosiva polemica anticuriale di poco posteriore. Frate Bartolomeo Cambi da Saluzzo, francescano La maledizione lanciata da Bartolomeo Cambi risulta associata alle disavventure dinastiche di casa Gonzaga già verso il 1627, in una lettera, conservataci anonima e senza data, che pare inviata a Carlo I Gonzaga Nevers per chiedere una più rigida segregazione degli ebrei, deplorando la loro presenza a corte e il peso dei debiti contratti nei loro confronti: “Dico che già 25 anni in circa mi ritrovai presente alle due prediche, che fece il padre fra Bartolomeo de Cambi […]. Contutto ciò si ha visto [†] Serenissimo Signore che la maleditione ha havuto luogo ne Serenissimi et anco se ben si guarda con quelli, che di loro voluntà negotiano, e commertiano con hebrei. […] Vostra Altezza è successo herede di questi stati e ne pigliò il pacifico possesso, et al suo arivo e’ duro’ molti giorni tut’il Popolo bramoso del suo bene gridava Viva, Viva Vostra Altezza scaccia gli hebrei quasi volesse dire Viva Viva Vostra Altezza con patto che scaccia gli hebrei e questa voce deriva dal stracco delle maleditioni narrate troppo pesante a questo suo fedelissimo Popolo.45 45 ASMn, AG, b. 3391, S Università degli Ebrei; III Varie circa gli Ebrei della Città, e Stato, fasc. 10, 1602 [1601] – 1692, c. 585. Non manca la giustificazione del comportamento insinuante e delatorio: “sarei già venuto a dire questo pensiero a bocca, ma temevo di essere repulsato per causa de loro protettori e padri; se non cacciarli, almeno che stiano da ebrei, e non al pari dei cristiani”. – 51 – Anche Ippolito Donesmondi nella Historia ecclesiastica (1616)46 aveva ricordato, guardandosi bene dal porre una scadenza temporale, la maledizione lanciata da frate Bartolomeo durante una predica e ripetuta al momento della partenza da Mantova. Tutto il suo resoconto è un difficile equilibrismo tra le ragioni del principe e quelle del frate, a sua volta incerto tra il dovere di cacciare gli ebrei, scelta gradita soprattutto agli uomini del contado, e l’astenersi dalla violenza. Donesmondi scrive di essere stato tra quanti avevano cercato di smorzare i tumulti, che porteranno a diversi tentativi di linciaggio e all’impiccagione di sette ebrei, sottratti alle carceri del vescovato dalle milizie ducali per imporre una punizione immediata ed esemplare. Non loda e non biasima frate Bartolomeo, mentre ricorda la sua austerità di vita prima di prendere le distanze – con un “e fù detto” – dalle miracolose guarigioni avvenute durante le benedizioni. Immediatamente a ridosso dei fatti, nel 1602, si era riunita una commissione, composta da teologi di fiducia del duca, dal vescovo frate Francesco Gonzaga e dall’inquisitore, al fine di sollecitare la Congregazione del Sant’Uffizio a punire la temerarietà di frate Bartolomeo,47 sperando forse di far leva sull’orgoglio per l’appartenenza all’ordine domenicano, stuzzicato dall’opposizione tra la fallacia di Tommaso d’Aquino e le ragioni del 46 47 DONESMONDI, Istoria ecclesiastica, II, pp. 372-384. Sulla vicenda cfr. almeno BERTOLOTTI M. 2011 che segnala diverse copie di Considerazioni sopra le prediche del Padre Bartholomeo da Soluthio Franciscano (ASMn, AG, b. 3391), indicate anche come Processo fatto contro Fra Bartholomeo da Salutio quando Predicò in Mantova, et per haver sollevato quella Plebe contro gli Hebrei (titolo forse posteriore). Cfr. inoltre la lettera del duca Vincenzo a Striggio, Mantova, 30 agosto 1602 “doverete voi instare con ogni più efficace modo, massime appresso de Cardinali della Congregatione della Santa Inquisitione, che fra Bartolomeo venga castigato” (ASMn, AG, b. 2255). – 52 – Lo sfratto del 1666 francescano Duns Scoto, ‘principe dei teologi’ e sostenitore dei battesimi forzati.48 Già diverso è il tono complessivo che emerge dalle parole del vescovo, di cui Donesmondi era segretario: nello stesso 1616, scrivendo al Sant’Uffizio romano, frate Francesco riversa sugli ebrei la responsabilità dei tumulti, che pure finirono per essere di vantaggio alla religione, infatti l’anno 1602 con l’occasione che predicò in questa città il padre frate Bartolomeo da Salutio, minore osservante refformato, in quei rumori mossi dal nemico, si cavarono grandissimi frutti, et levando il resto per non esser longo, vedendo la bona dispositione del Signor Duca Vincenzo di bona memoria sua Santità li mandò certi ordini contro Hebrei, accio conforme a quelli costoro fossero refformati; ai quali ordini il signor Duca rispose a sua Santità et con quella occasione si missero in essecutione per la maggior parte, poi fu eretto il Gheto il quale persevera et con giovamento.49 Nel 1666, contestando al massaro degli Ebrei i privilegi loro concessi, padre Giacinto Maria Granara aveva risvegliato spettri 48 ASMn, AG, b. 3391, c. 538r. 49 ACDF, St. st., CC 1 b, c. 669, 19 gennaio 1616, da Mantova a Roma. Così prosegue: “Sapia dunque Vostra Signoria Illustrissima Per gli travaglii poi che ha patito questo stato, per la morte de 2 Duchi, et con la guerra le cose si sono alquanto rafredate, abenché io non ha mancato /// né manco, di fare quanto devo, acciò si osservi quanto si deve, et ultimamente feci alcuni avvertimenti per li curati, et confessori, a quali ordinai strettamente l’osservanza […]. La magior difficoltà ch’io provo, è non potere, et non potere bene rimediare alli servi et serve christiane, che in esercitii transitorii et necessarii servono alli hebrei. Hanno molte sinagoge, et alcune antiquissime, ma tutte con Brevi et licenze particolari della Santa Sede Apostolica. […].” Immediata e circostanziata la risposta del duca (cc. 671-676). Cfr. la miscellanea BCMn t-II-54. – 53 – faticosamente sopiti, dalla violenta superstizione del popolo all’insofferenza della Corte per il tribunale, che già Carlo I, provocando continui inciampi agli inquisitori, ventilava di ridurre “come nel Stato veneto”50. Le cronache locali Nel ricostruire il clima non aiutano le altre consuete cronache mantovane, sempre attente al buon nome dei governanti, presenti o passati che fossero. Non troviamo cenni nel Compendio51 di Volta (1833), che si occupa solo dei feudi oltre il Po e del confine col Modenese, né nella Cronaca universale52 di Federigo Amadei, sacerdote impiegato come segretario presso famiglie della nobiltà e come compilatore della locale gazzetta. Alle versioni manoscritte, inedite sino a metà ’900, hanno attinto di frequente gli storici locali, che ne hanno inevitabilmente subito i condizionamenti. Amadei aveva iniziata la scrittura nel 1737;53 in vista della pubblicazione del primo volume si era rivolto all’inquisitore, che gli aveva procurato l’autorizzazione alla stampa,54 subito concessa da Roma 50 ACDF, St. st., CC 1 c, c 296, 19 novembre 1638, da Mantova l’inquisitore Pietro Martire a Roma. 51 Leopoldo Camillo Volta, Compendio cronologico-critico della storia di Mantova dalla sua fondazione sino ai nostri tempi, tomo IV, Mantova da Francesco Agazzi stampatore della R. Accademia 1833; cfr. libro XVII, pp. 211 sgg.. 52 AMADEI, Cronaca … . Il primo volume copre dalle origini della città al ducato di Guglielmo, il secondo arriva sino all’anno 1741; come detto nella prefazione furono i primi a essere scritti, completati nel 1745. 53 Cfr. le Notizie su Federigo Amadei e sulla «Cronaca Universale delle città di Mantova» premessa all’edizione a stampa. 54 ACDF, Res doctrinales, Censurae, Tituli librorum, 1729-1745, fasc. 128; Mantova, 25 dicembre 1739, L’inquisitore Pietro Martire Cassio alla Congregazione: “Eminentissimi et Reverendissimi Signori Signori Padroni Colendissimi / Desiderando il Sacerdote Don Federico Amadei Cittadino Mantovano stampare la Cronaca Universale della Città di Mantova, umilio qui incluso il titolo del primo volume della sodetta Cronaca – 54 – Lo sfratto del 1666 “servatis servandis”55. Nulla figura nel Fioretto56 di Stefano Gionta, nel 1741 ripubblicato e ampliato proprio da Amadei, e nulla nella Cronaca mantovana57 di Giuseppe Viani, che – come funzionario di corte – era stato almeno indirettamente coinvolto dagli eventi. “Il caso dello sfratto dell’Inquisitor da Mantova” Seguendo le relazioni e i documenti delle cancellerie gli avvenimenti possono comunque essere ricostruiti con buona approssimazione. Una delle relazioni più dettagliate, purtroppo anonima e non datata, si trova ora a Firenze: Trovandosi presentati nel Tribunale dell’Inquisitione di all’Eccellenze Vostre per ottenere, se sarà in piacimento dell’EE. VV. il benigno assenso; e riportandomi alle supreme determinazione dell’EE. VV. umilmente le bacio al Sagra Porpora. / Dell’EE. VV. / Mantova S. Officio 25 decembre 1739 / Umilissimo Divotissimo Obbligatissimo Servitore / Fra Pietro Martire Cassio Inquisitore”. 55 Il 5 gennaio 1740, come annotato nel medesimo incartamento, che come d’obbligo contiene la trascrizione del frontespizio: “Cronaca Universale della Città di Mantova / Contiene tutte le notizie storiche Sacre, Profane, e Guerriere dalla di lei fondazione, fino a nostri tempi. / Tutt’i Principi, che signoreggiandola, e spezialmente li Gonzaghi, colla loro nascita, azioni, e morte. L’Albero cronologico della loro Famiglia, e dell’altre superstiti diramate dalla Sovrana. Gli Elogi, ed Epitaffi delli più rinomati tra d’essi; e quelli ancora d’altri Cittadini celebri, o per Santità, o per Lettere. / O finalmente le più rimarcabili Lapidi, e monumenti si antichi, che moderni, per prova, e chiarezza della Mantovana storia: con la emendazione degli errori, ne’ quali corsero quei, che scrissero di Mantova. / Opera di Federigo Amadei Prete Cittadino Mantovano descritta d’anno in anno. Volume primo. / fino a Federigo Gonzaga Marchese V, e primo Duca”. 56 Il fioretto delle croniche di Mantova raccolto già da Stefano Gionta, ed in quest’ultima edizione ampliato colle cose piu notabili di essa città succedute fino al presente anno 1741, in Mantova, per Giuseppe Ferrari, erede d’Alberto Pazzoni, stampatore arciducale. La copia consultata è dell’edizione 1844, ulteriormente ampliata da Antonio Mainardi, copia anastatica a cura dell’Istituto Carlo D’Arco (1972). 57 Pubblicata in CIRANI 2005. – 55 – Mantova due hebrei per ingiurie gravissime di Parole da loro dette contro due zitelle convertite dal Ebraismo alla Santa Fede ardì un Ebreo, che parlava a favore de rei, di dire al Padre Inquisitore non doversi credere ad Ebrei fatti Christiani mentre erano inimici di Dio, à cui havevano voltate le spalle, come conteneasi in un libro de loro privilegii, o Capitoli.58 Secondo Battaglini la lite fu invece innescata dalla scarsa presenza degli ebrei alla obbligatoria predica cristiana, cui pochi avevano partecipato, e solo a sermone quasi finito. L’obbligo per gli ebrei di ascoltare prediche cristiane era particolarmente sgradito e disatteso, tanto che nel 1679 Innocenzo XI ordinerà all’inquisitore mantovano maggior fermezza, suscitando la reazione di Ferdinando Carlo, che l’anno seguente concederà agli ebrei libertà di partecipare “a loro beneplacito”.59 58 BNCFi, Fondo Capponi, G, mobile cassetta 2, num. 30 [893], Relazione dell’accaduto nell’espulsione dell’Inquisitore di Mantova nel 1666. Si tratta di due fascicoletti compresi nel lascito (1854) del marchese Gino Capponi alla Biblioteca Magliabechiana, ora Nazionale Centrale, dove non è stato possibile reperire notizie circa la formazione del fondo. Il fascicolo 8, più dettagliato, potrebbe essere l’allegato del fascicolo 9, che espone una breve relazione dei fatti, favorevole al papato, sino all’affissione dei cedoloni di scomunica. Rinviano all’ambiente ecclesiastico alcune espressioni (ad es.“abissus abissum invocat”, salmo 41) e l’insistenza sulla responsabilità dell’arciduchessa (di solito sminuita dalle fonti laiche); fa pensare a istruzioni per un rappresentante o agente di Roma la conclusione: “Comanda dunque Nostro Signore, che Vostra Signoria si vaglia di quelle notitie […] secondo il bisogno. E stia avvertita a non lasciare che li Ministri di detta Signora Arciduchessa facciano false impressioni in cotesta Corte per disporla a favorire i proprii interessi in questo affare […] informarà Vostra Signoria opportunamente (ma però con decoro, e senza dare apparenza di raccomandarsi) chiunque ella stimarà necessario, somministrando poi quà tutte quelle notitie, che ella haverà potuto rintracciare, avvertendo di non si lasciare uscire di mano, ne mostrare ad alcuno la presente Istruttione, e relatione, che se l’inviano.” 59 Cfr. DBI, Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers, duca di Mantova e del Monferrato (Benzoni – 56 – Lo sfratto del 1666 In ogni caso, infastidito dall’insolenza, l’inquisitore recupera tramite il massaro il libro degli statuti degli ebrei, “fatti far prigioni alcuni d’essi che ricusarono di darlo”60. La relazione ‘fiorentina’, che tace la violenza dell’inquisitore e camuffa il sequestro col pretesto dell’ora tarda, prosegue: Parve ciò strano al Padre Inquisitore; che volendo vedere la qualità del libro, ove supponeasi contenuta tal propositione; mandò il suo Padre notaio a farselo consegnare dagl’Ebrei, indi apertolo in vedere ne frontespicii delle pagine li nomi di Guglielmus, Ferdinandus imaginatosi esser quello il libro de Privilegii conceduti agl’Ebrei dai Duchi di Mantova, e bastandole ciò per creder indubitatamente, non esser possibile contenersi ivi la propositione asserta dagl’Ebrei, come troppo ingiuriosa alla Santa Fede, e repugnante al zelo de quei Principi, senza leggere più oltre lo chiuse e consegnollo al Padre Notaio con ordine che la mattina seguente essendo all’hora di notte, il rendesse al hebreo, da chi l’avea ricevuto.61 Su questo farà leva la difesa dell’inquisitore, che ritenendo assurde le concessioni, trattiene presso di sé il libro, come dichiarerà poi, per poterlo studiare con cura, cosa del tutto lecita, essendo il testo esibito in occasione di processi e altri atti pubblici con valore di legge.62 1996). 60 GORANI, Memorie, II, p. 4, che dipende dalle informazioni fornitegli dal marchese Canossa. 61 62 BNCFi, Capponi, fasc. 8, c. 1r. “[…] immediatamente in presenza del Conte [Vialardi] chiamato il Padre Notaio sudetto che senza haver saputo cosa alcuna del seguito tra il Padre Inquisitore; et il Conte interrogato del ordine havuto, ratificò quanto per apunto l’aveva significato l’Inquisitore; il quale aggiunse, mai esserle caduto in mente, che potesse l’Altezza offendersi della richiesta di tal libro, e che tanto l’haverebbe pregato a credere, quando si fusse degnata concederle – 57 – È sul libro che si concentra l’attenzione dei tre soggetti inizialmente coinvolti. L’inquisitore ne ha bisogno per fermare abusi e storture, sospettando una clamorosa falsificazione, o insinuando la falsificazione per mostrare quanto le concessioni del potere secolare siano spropositate e fuori luogo. È anche l’unico a trovarsi in posizione di forza, non avendo nulla da perdere: la situazione difficilmente poteva peggiorare, essendo già intollerabile (almeno dal punto di vista di un religioso che oggi diremmo integralista) e una completa opposizione della corte al tribunale era semplicemente inimmaginabile, come in seguito dimostrarono i falliti tentativi della diplomazia mantovana di ottenere solidarietà dalle corti italiane contro le ingerenze pontificie. La comunità ebraica deve difenderlo e reimpadronirsene, fisicamente: nel caso peggiore l’inquisitore avrebbe potuto distruggerlo, o trattenerlo per un tempo eccessivamente lungo inviandolo a Roma, nel meno sfavorevole l’avrebbe contestato, in ogni caso si sarebbe aperta una stagione di ridefinizione e ricontrattazione dello status della comunità, che si sarebbe certamente conclusa in perdita, perché se era vero che la corte aveva necessità di una consistente presenza ebraica in città, quasi l’unico gruppo sociale in grado di garantire commerci e capitali a uno stato sottopopolato, era altrettanto vero che la pressione della Chiesa si era intensificata rispetto agli anni cui risalivano gli statuti, quando la segregazione era meno rigorosa, non esistevano il ghetto, la casa per i neofiti, e le imposizioni fiscali erano meno opprimenti. Nel 1638 ad esempio l’inquisitore Pietro Martire d’Acquanegra udienza. E mentre credea l’Inquisitore havere a bastanza in questa forma sincerato il Conte; questi se le fè più vicino, e disseli Sua Altezza mi ha ordinato di dire a Vostra Reverentia, che domattina se ne vada.” (BNCFi, Capponi, fasc. 8, c. 1r). – 58 – Lo sfratto del 1666 segnalava alla congregazione la benevolenza concordata agli ebrei dal segretario Striggi, sostenitore dell’autorità ducale sul controllo di quegli ebrei che “continuamente giocano alle Carte con christiani nelle publiche biscacce”63. Le disonestà, genericamente riconducibili alla “straordinaria familiarità, e conversatione tra Hebrei, e Christiani”64, si articolavano in tre tipologie principali: i rapporti carnali65 tra cristiani e donne ebree, i servizi vili66 svolti dai cristiani in favore di ebrei e le bestemmie profferite dai cristiani durante il gioco delle carte, questo l’unico problema che poteva essere risolto facilmente, seppur in maniera controintuitiva, vietando agli ebrei la frequentazione delle osterie. Le bestemmie non sarebbero diminuite, ma sarebbe venuto meno lo scandalo che provocavano: Questi Hebrei di Mantoa si fanno lecito giocar continuamente con Christiani a Carte, et Dadi, nelle pubbliche Biscacie, mantenute pure da detti Hebrei, nelle quali son accertatissimo che si bestemia horrendissimamente il Santo nome di Dio, della Beata Vergine, et de Santi et de simili bestemiatori ne ho castigati diverse volte, et prohibitoli in gioco, et ho tentato di prohibire alli Hebrei che non possino giocar con Christiani almeno così publicamente in vigor d’un ordine fatto, et stampato [da Clemente VIII …] et anco perché tocco con mano che li stessi Hebrei restano amirati, per non dir scandalizati, dall’horrende bestemie che sentono proferir da 63 ACDF, St. st., CC 1 c, c. 335v, novembre-dicembre 1638, l’inquisitore di Mantova Pietro Martire Riciardi a Roma. 64 Ivi. 65 Cfr. ACDF; St. st., LL 4 f, fasc. 1. 66 Svolti, come scrive frate Girolamo da Camerino, da umilissimi montanari di Trento, e “il Santo Offizio non ha mai proceduto contro di questi per questa causa” (ACDF, CC 1 b, fasc. 8, c. 668, 23 gennaio 1616). – 59 – Christiani in simil Biscaccie, et maggiormente vengono a confermarsi nella loro perfidia, ma non voliono astenersene. 67 Pietro Martire dispone però di pochi strumenti: ai privilegi concessi da più pontefici e all’insolenza di Striggi (che tramite il padre vicario gli manda a dire che “il Papa è Papa nel suo stato”) può opporre solo un editto di Girolamo Medici da Camerino, risalente al 1620, che temperava le proibizioni con numerosi distinguo.68 67 ACDF, St. st., CC 1 b, fasc. 8, c. 1013, 6 agosto 1638, l’inquisitore Pietro Martire alla congregazione. 68 ACDF, St. st., LABORE CC 1 c, c. 310, Editto / del S.to Officio di Mantova: “VIRTUTE ET / Noi Frate Girolamo Medici da Camerino dell’ordine de’ Predicatori, Maestro di Sacra Teologia, & Inquisitore Generale di Mantova, &c Havendo la Santità di N. S. Papa Paolo Quinto ordinato, come appare per lettere dell’illustrissimo, & Reverendiss. Signor Cardinale Millino date in Roma sotto li 15. & 23. Aprile 1616. che con ogni diligenza, & à tutto nostro potere procuriamo, che si levi la vicendevole & stretta famigliarità de’ Christiani con Hebrei, & Hebrei con Christiani. [… … …] Non intendiamo però impedire il trattare per occasione di vendere, ò comprare, ma questo si faccia ne’ luoghi, & ore consuete. Parimente non vogliamo sijno compresi in questo nostro ordine quelli Neofiti, con queli per ragione d’uffitio, che tengono, conviene che gli Hebrei bene spesso, e longamente trattino. [… … …] E perche l’intentione nostra è di levare i disordini, e non d’impedire il bene d’alcuno, perciò non intendiamo prohibire alli Hebrei, che non possino (occorrendo) andare a trattare nelle Hostarie con Mercanti per vendere, e comprar robbe, per fare instromenti, e scritti. Ne di prohibirli l’andar a magazeni, o hostarie per fare (come occorre) collatione, e bevere malvasia, ò qualche bichier di vino. Ne meno d’impedirgli, che non possino andar à comprare vino all’Hostarie de’ Christiani, ma solo intendiamo prohibire come sopra, per levar l’occasione de’ scandali, che sotto tali pretesti commettono i sviati, e vagabondi. [… … …] Dato nella Cancellaria del Sant’Officio di Mantova, li n 17. Febraro 1620. / Hyeronimus Inquisitor Mantuae qui supra, manu propria. / Frater Hyppolitus Franciscus Bonus Vicarius, loco notarij, / In MANTOVA, Per Aurelio, & Lodovico Osanna fratelli, Stampatori Ducali.” – 60 – Lo sfratto del 1666 La situazione non era molto diversa nel 1666, quando l’arciduchessa “voleva assolutamente in Casa propria essere obedita”: Isabella Clara deve difendere la propria autorità,69 di fatto estinta nei feudi francesi, vacillante nel Monferrato, faticosamente mantenuta nella capitale,70 la cui appartenenza agli Asburgo d’Austria era già stata bastantemente minacciata. Forse per la presunzione avventata dei suoi consiglieri, forse per il proprio carattere altero, a posteriori sembra aver sottostimato il pericolo maggiore, la diminuzione del proprio prestigio internazionale, unico esito di un deciso intervento pontificio, che in effetti risulterà frenato 69 70 BNCFi, Capponi, fasc. 8, c. 2r. Scrive in cifre a Roma il nunzio di Germania il 6 marzo 1666: “Mi significò in confidenza l’Imperatrice le prattiche mosse con molta applicatione dal Governatore di Milano, per che l’Arciduchessa Governatrice di Mantova voglia permettere al Duca di Guastalla il coabitare in detta Città, offerendo in tal caso d’adoperarsi, che questi restituisca le due Terre altre volte occupate, e che si suppongono proprie della casa di Mantova. […] Sua Maestà si è avvista che simile riguardo è stato artificiosamente promosso dalla gelosia del Marchese Canossa, a cui non può piacere, che Guastalla, il più prossimo successore allo Stato in mancanza del Duchino vivente, assisti in Mantova, et osservi i suoi dispotici andamenti. Ma Sua Maestà benche sappia, che in altri tempi Madama sua Madre similmente rimasta Governatrice mai volse consentire che alcun Prencipe del Sangue, e massime di Guastalla, […] per tante guerre suscitate risiedesse in Mantova, vietandogli sino la compra di una Palazzo in detta Città per togliere ogni speranza alla riuscita de suoi disegni; e l’istessa imperatrice à gli Ambasciatori di Spagna, che qui stavano a favor del medesimo Duca, rispose all’hora categoricamente che desiderava di servire sì al Re di Spagna, ma non in cosa tanto contraria alla quiete della sua Casa Paterna.” (ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 62r, 6 marzo 1666 (decifrata il 25 marzo)). Ancora il 5 giugno sottolineerà l’irritazione imperiale e il “disgusto, che passa con detta Arciduchessa per non haverlo voluto ammettere di Stanza in Mantova, ne meno dopo di averne sentito il parere a lui favorevole di S. Maestà, e del Governatore di Milano” (ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 120v, 22 maggio 1666 (decifrata il 9 giugno), dal nunzio di Vienna a Roma). – 61 – solo dal timore di dar pretesto a una delegittimazione completa. Il libro degli statuti, divenuto feticcio, è al centro del contendere, e anche quando padre Granara lo restituirà, non proprio spontaneamente, i funzionari ducali cercheranno un’azione che tronchi il progressivo dilatarsi dell’attività del Sant’Uffizio, lusingati dagli ebrei tramite ‘donativi’, o corrotti, o semplicemente timorosi di perdere i capitali necessari all’amministrazione, causa bastante per parlare di ragion di Stato. Il modo dell’essecutione dello sfratto fu che doppo haver un giorno avanti mandato l’Arciduchessa dal Padre il conte Vialardi segretario di Stato per dirgli, che restituisse il detto libro, e se ne dovesse uscir di Stato, havendo il Padre risposto che il libro lo restituirebbe, ma che circa il comando di partir da Mantova non conosceva, ch’altri che’l papa e li suoi superiori glielo potessero fare, alla mattina seguente all’aperta della porta della chiesa si trovorono da 50 soldati con una carozza a sei ivi per entrare, come di fatto entrarono, ed intimato al padre Inquisitore che dovesse all’instante uscire del convento che alla porta v’era una carozza per condurlo giù dello Stato mantoano, ricusò il padre d’obbidire; ma havendo repplicato il capo71, che se non havesse fatto più che presto ad ubbidire, haveano ordine di legarlo e strascinarvelo, all’ora presa licenza d’andar almeno a prendere il mantello subito si pose in carozza.72 Qualche variante73 nella relazione di BNCFi, che sottolinea la 71 Il conte Vialardi? 72 GORANI, Memorie, II, p. 4. 73 Per confronto: “Andorno due hore doppo due officiali di Sua Altezza dall’Inquisitore con dirle che la medesima dopo havea intesa la risposta datale dal Conte Vialardi, havea – 62 – Lo sfratto del 1666 moltitudine di spettatori, tra cui gli ebrei, maligni e festanti. Dunque gli agenti ducali circondato l’Inquisitore lo forzarono, nonostante la protesta delle Censure, ad uscire di Convento, avanti al quale trovavasi allestita una Carozza di Corte, in cui convenne all’Inquisitore salire assieme col Padre Notaio, e Converso à veduta di numeroso Popolo con concorso, e trionfo di molti Ebrei, li quali stavano aspettando di vedere la Vittoria della loro malignità sopra l’Inquisitore e salitivi anche detti due Officiali di Sua Altezza, che dissero tener ordine d’accompagnarlo sin à i confini, se ne andò a Guastalda lasciato però a piedi in quel territorio, ch’è pure soggetta all’istessa Inquisitione di Mantoa, ove da quel Duca fù accolto con dimostrationi [2v] di stima straordinaria e di suo ordine alloggiato, e spesato in quel Convento de Servi.74 A meno di non credere all’arciduchessa, che descrive la scorta armata come protezione e segno di deferenza verso l’ufficio75, l’esibizione di forza pare spropositata, ma è del tutto impotente di fronte alla resistenza loro [2r] mandato a farle sapere, che voleva assolutamente in Casa propria essere obedita, che per ciò se n’andasse e conducesse seco ancora il Padre Notaio; altrimente haverebbe ricevuto de disgusti. E benche l’Inquisitore replicasse loro la medesima risposta data al Conte, punto non giovò, poiche la la mattina per tempo ritornati in Convento i medesimi officiali le reiterorno l’ordine di partire, indi appresso giunsero due Compagnie di Guardia, d’Alabardieri l’una, l’altra d’Archibugieri [… ]” (BNCFi, Capponi, fasc. 8, cc. 1v-2r). 74 BNCFi, Capponi, fasc. 8, cc. 2r-2v. 75 ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, filze, 115 anno 1666 marzo – agosto m. v., 28 luglio 1666, Isabella Clara Gonzaga Nevers al doge: “la scorta armata gliela danno non per cacciarlo, ma perché non venga offeso da malintenzionati”. – 63 – dell’inquisitore, che pronunciando solenne scomunica ai sensi della bolla In coena Domini trasforma la questione da religioso-politica in giuridica e diplomatica. Da qui innanzi il rispetto delle forme esteriori e della procedura giudiziaria sarà fondamentale, e il ritorno dell’inquisitore in città dovrà essere un ‘onorifico’ reintegro e avere l’aspetto del pubblico risarcimento, perché l’apparenza è tutta sostanza. E prima d’entrarvi disse: Horsù già che Sua Altezza ha voluto trattar con me in questa forma, ed io per l’autorità, che tengo dichiaro scomunicata per la bolla in Coena Domini l’Altezza Sua con tutti quelli, che hanno havuto parte con l’opera o col consiglio in questa violenta risolutione, e voi tali assistenti ne sarete testimonij e voi notaro rogate. Il che fatto la carozza partì, e condusse il P. Inquisitore sul margine de’ confini del Mantovano, ed ivi lo lasciò.76 Dal punto di vista giuridico la situazione è semplice, ma difficile da comporre: una aperta violazione dell’immunità inquisitoriale e una scomunica fulminata pubblicamente richiedono l’assoluzione papale, previa ammissione di colpa e conseguente umiliazione. Eventuali indimostrati abusi dell’inquisitore non esimevano dall’obbedienza, e si sarebbero comunque dovuti risolvere col ricorso all’autorità superiore, cosa che – osservano a Roma – in altre occasioni era avvenuta, ma in questa non c’era stata neppure qualche avvisaglia.77 76 GORANI, Memorie, II, p. 4. 77 “Che se il Padre Inquisitore avesse anche in qualche parte ecceduto nel suo Ministero, ella non dovea, ne poteva venire ad un eiettione del medesimo si scandalosa. Mà ricorrere alla Santita di Nostro Signore, ch’è il solo legittimo Giudice degl’Inquisitori, come fecero già altri Duchi di Mantova, et ultimamente il Duca suo Marito, quando [4r] si sono stimati poco sodisfatti delle persone d’altri Inquisitori.” (BNCFi, Capponi, fasc. 8, cc. – 64 – Lo sfratto del 1666 Il 19 aprile la notizia viene discussa in congregazione,78 dove erano arrivati i resoconti di padre Granara e della cancelleria ducale, che tramite il proprio agente a Roma, Balliani, aveva presentato una lettera al cardinal nipote Flavio Chigi. Si decide all’unanimità di incaricare il cardinale Donghi di svolgere le opportune indagini, a partire dall’inquisitore e dal suo converso, e di istruire quindi formale processo, pubblicando se necessario i cedoloni di scomunica, e “quando non dentur debitae satisfactiones Sancto Officio, procedetur ad Interdictum, ad quod tum non deveniat inconsulta Sacra Congregatione”. Espletate le formalità ordinarie, senza la particolare urgenza riservata ai casi conclamati, il papa avrebbe scritto una lettera minatoria alla duchessa di Mantova, o – se si preferisce – un amorevolissimo Breve in cui l’avvertiva à considerare lo stato pericoloso della propria Coscienza, fattole presentare da discreto e prudente Religioso79 inviato a posta per insinuarle in voce concetti proprii di Principe Cattolico, rimoverle gl’erronei instillatigli da suoi Ministri, e destarla dal letargo, nel quale giaceva miseramente sopita80. Il cardinal Donghi, dalla sua sede vescovile di Ferrara, conferma il 19 maggio all’impaziente congregazione che il breve (datato 26 aprile) era stato recapitato dal suo confessore all’arciduchessa e ricevuto con la dovuta riverenza, ma senza sortire particolari conseguenze e rimanendo senza una 3v-4r). 78 ACDF, Decreta, 1666, c. 54r, 19 aprile 1666: “Lectis litteris Inquisitoris Mantuae datis 8 huius, quibus certiorat de eiectione sua facta de mandato Ducissa Mantuae ab eadem Civitate, et territorio , necnon lectis litteris eiusdem Ducissae […]”. 79 Padre Lorenzo di San Giovanni Battista, agostiniano scalzo, confessore del cardinale Donghi (BNCFi, Capponi, fasc. 8, c. 4r). 80 BNCFi, Capponi, fasc. 9, c. 1v. – 65 – risposta ufficiale.81 Del resto, pur ricordando la tradizionale devozione e pietà della famiglia Gonzaga e della casa d’Austria, Alessandro VII Chigi nulla aveva concesso alla trattativa: la responsabilità dell’accaduto ricadeva per intero su Isabella Clara, che avrebbe fatto meglio a rivolgersi ai cardinali inquisitori generali piuttosto che esercitare violenza ‘armata multitudine’ contro un delegato apostolico, superiore a ogni altro giudice e non sottoposto ad alcun potere secolare. Il castigo di Dio incombeva, come già era accaduto a quei popoli che ne avevano scacciato i profeti, e minacciava i figli e discendenti del casato, come la storia e la memoria degli uomini potevano facilmente confermare:82 l’allusione appartiene al registro linguistico che ci attendiamo da un pontefice, ma nel caso specifico suonava particolarmente sinistra. L’unico risultato della ‘paterna ammonizione’ fu l’inasprimento delle intimidazioni esercitate sul vicario del tribunale, rimasto a Mantova in San Domenico: al Padre Vicario del S. Officio rimasto in Mantova viene negata l’Udienza intimorendolo di vantaggio con farle dire, che ne meno esso stava bene in Mantova, e che li Principi hanno le braccia lunghe, in maniera che egli non ardisce uscire di Casa per non ricevere affronti massime dagl’Ebrei divenuti per tal fatto baldanzosi, non potendo parimente esercitare il suo Ministero, mentre li testimonii, et altri examinandi anche chiamati ricusano comparire senza la licenza della Arciduchessa (così fomentati da alcuni Ministri, che [6r] la tengono in modo assediata, che non lasciano che alcuno le 81 ACDF, Decreta, 1666, c. 65v, 11 maggio 1666; c. 68r, 19 maggio 1666; c. 71r, 25 maggio 1666. 82 ASV, Epistulae ad Principes, 66, c. 108 vecchia, 129 meccanica, 21 aprile 1666, papa Alessandro VII Chigi a Isabella Clara, duchessa vedova. – 66 – Lo sfratto del 1666 parli senza l’assistenza d’alcuno di essi).83 Il 9 giugno i cardinali rompono gli indugi,84 e ordinano a Donghi di procedere; nel frattempo padre Granara potrà continuare la normale amministrazione da Guastalla, mantenendo però un ruolo defilato che non dia adito a mormorazioni di sorta.85 La linea d’intervento rimane quella decisa due mesi innanzi, confermata in luglio86 e delineata nella lettera destinata al nunzio di Vienna87 il 21 agosto 1666, quando l’imperatore aveva già sconfessato 83 BNCFi, Capponi, fasc. 8, c. 6r. 84 ACDF, Decreta, 1666, 77v, 9 giugno 1666. 85 ACDF, Decreta, 1666, c. 83, 16 giugno 1666: “Inquisitoris Mantuae lectis litteris datis Guastallae 3. huius […], Decretum, ut mandatur ne se ingeret in causis non spectantibus ad Sanctum Officium, et causas eiusdem non expediat mediante pecunia”. Di routine la comunicazione del 23 giugno, che autorizza la stampa delle vite dei minori francescani beati Pietro d’Alcantara e Giacomo Pirani (ACDF, Decreta, 1666, c. 87v, 23 giugno 1666). Per la presenza a Guastalla di Angelo Alavolini, lettore di teologia morale originario di Fano, nel 1667 risultano stampate due opere su Pietro d’Alcantara, la cui santificazione era imminente: L’aquila panegirico sagro in lode del B. Pietro d’Alcantara minore osservante. Detto nella chiesa della Santiss. Nontiata di Parma l’anno 1662 dal rever. padre Angelo Alavolini da Fano, in Guastalla per Marco Erasmi stampatore ducale, 1667 e la Vita del B. Pietro d’Alcantara dell’ordine de’ minori osservanti di S. Francesco. Descritta dal padre Olimpio Bonaventura Aluigi, data in luce, et ornata di frase dall’illustriss. et eccellentiss. sig. dottor Ottavio Alavolini nobile di Fano, in Guastalla nella stamparia ducale per Marco Erasmi, 1667. 86 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 12r, 17 luglio 1666, dal Sant’Uffizio al nunzio a Vienna: “È di parere la Sacra Congregatione del Sant’Officio che Vostra Signoria sfugga destramente d’entrar in alcun negotiato con la Maestà dell’Imperatrice per l’affare di Mantova, mà che ricercato de suoi sensi, risponda semplicemente non potersi dar luogo à trattati [… … …]. Frà tanto non si è stimato conveniente il soprasedere nella prosecutione del processo […].” 87 In questo periodo i nunzi a Vienna sono Carlo Carafa della Spina (1658–1664), Giulio Spinola (1665–1667) e Antonio Pignatelli (1668–1671, futuro Innocenzo XII). – 67 – l’incauto operato della duchessa (che avrebbe fatto meglio a manifestare pietà e devozione, anziché avventurarsi in risoluzioni troppo virili): non doversi dar orecchio a trattato di sorte alcuna per intavolare le sodisfationi da darsi al Santo Tribunale, se prima non si vede con ogni honorevolezza reintegrato nel suo posto il Padre Inquisitore richiamato decorosamente dalla Duchessa con ordine di cui fù iscacciato, rimanendo ella incapace d’alcuna habilità, mentre tuttavia continua contumace e pertinace.88 La responsabilità attribuita individualmente a Isabella Clara evita il caos istituzionale e allontana le pretese di Francia e Spagna sul ducato, preservando i diritti del principino alla successione e mantenendo valido il giuramento dei sudditi nei suoi confronti. Lo scioglimento del vincolo di fedeltà preoccupava tanto l’Impero quanto l’amministrazione mantovana, e benché il nunzio fosse autorizzato a rassicurare la corte imperiale,89 gli era pure indicata come preferibile una posizione reticente e ambigua, più vantaggiosa perché meno prevedibile: [2r] E perche si tiene avviso che li Ministri della Corte di Mantova vanno supponendo che qua si pensi d’assolvere i 88 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 13v, 21 agosto 1666. 89 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, cc. 11-12, 10 luglio 1666 e 12 luglio 1666, da Roma al nunzio di Vienna, inoltre ACDF, Decreta, 1666, c. 119, 18 agosto 1666: “Eminentissimi Cardinalis Donghi lectis litteris datis Bononiae XI huius, quibus mittit /// partem Epistolae sibi scriptae a Nuntio Germaniae, in qua habetur, quod ob causam expulsionis inquisitoris Mantuae subditi absolveantur a juramento, Decretum scribendum, Nuntio Germaniae, quod numquam fuit cogitatum de absolvendo subditos a Juramento, Hic Romae affigantur more solito edictos reaggravationis, et a Religiosis sciatur, ad edicta fuerint affixa Mantuae ut redigantur in actis licterae eorudem Religiosum ad probandam affixionem.” – 68 – Lo sfratto del 1666 sudditi dal Giuramento si giudica bene di far sapere a Vostra Signoria mai esser ciò caduto in mente di Nostro Signore. In ordine à questo punto però ella non dovrà farne motivo senza necessità, ma solo in caso, che in cotesta Corte habbiano li suddetti Ministri fatto precorrere tal voce.90 Così appunto farà nel luglio del 166691 il conte Calori, inviato mantovano a Vienna, allo scopo di allontanare la corte dalle posizioni favorevoli a Roma. Fallito il tentativo di far passare sotto silenzio la vicenda, l’attenzione a rappresentare come moralmente giustificabile l’espulsione cercando di polarizzare l’insofferenza delle corti europee verso le ingerenze romane, rimarcate ed accentuate, è l’unica strada disponibile prima della capitolazione davanti all’inflessibilità pontificia, sostenuta da una non comune padronanza degli strumenti diplomatici.92 Nel frattempo il livello dello scontro si era alzato. Dapprima, per rimarcare la linea intransigente, era caduto a proposito il viaggio di ritorno del nunzio da Vienna verso Milano, che aveva evitato Mantova col pretesto di preferire la via d’acqua, sottile forma di cortesia e scortesia al medesimo tempo. Il 13 luglio vengono poi pubblicati i cedoloni di scomunica contro Marco Vialardi e contro gli altri ministri che avevano diretto l’espulsione,93 90 91 BNCFi, Capponi, fasc. 9, c. 2r. ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 161r, 31 luglio 1666 (decifrata 18 agosto) dal nunzio di Vienna per Roma. 92 Così ad esempio ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 11v, 10 luglio 1666, da Roma al nunzio di Vienna: “Potrà all’istesso modo tener anco ben inclinata la Maestà dell’Imperatore, e potendo essere che la signora Duchessa ne havesse sentito in Spagna si trasmettesse a Monsignore Nuntio Visconti [nunzio in Spagna] una notitia del fatto, et hora gli se ne soggiunge un’altra del seguito poi sino al presente. O ancora la settimana seguente per conoscenza al nunzio di Spagna” (ivi, c. 12v, 17 luglio 1666, da Roma). 93 ACDF, Decreta, 1666, c. 102v, 21 luglio 1666: “Eminentissimi cardinalis Donghi lectis – 69 – e nel dubbio ci si prepara a comminare l’interdetto a tutto lo Stato: In questi termini potrà Vostra Signoria contenersi ne discorsi con la Maestà dell’Imperatrice, e con chiunque altro bisognasse, osservando però di non impegnarsi in altro trattato se non sarà effettivamente richiamato il Padre Inquisitore, per non obligare la Sacra Congregatione à sospendere il corso del processo dell’Interdetto, come forse spera ottenere la Duchessa con l’apertura di negotiato per godere del benefitio del tempo.94 In occasione della missione viennese del conte Calori, che si presenterà alla corte imperiale senza aver prima reso al nunzio apostolico l’abituale visita di cortesia, questi avrà facile occasione per mostrarne l’inciviltà costringendolo a scuse che si sommavano alla più grave ‘mortificazione’ in cui si trovava Isabella Clara, trattata in publico da scommunicata […] con ricusar di ricevere certa sua lettera che la pregava a lasciarsi da essa litteris datis Bononiae 14. huius, quibus scribit protulisse sententiam contra Marcum Vialardum, et alios, qui Inquisitorem a Civitate Mantuana expulerunt Cedulonosque Censurarum contra ipsos fuisse affixos; Decretum ei rescribendum, ut curet affictum sit, per omnes Civitates, et transmittantur exemplaria Mantuae, et Episcopo Mantuano, et Conventibus Regularium eiusdem Civitatis, et affigantur etiam Romae in locis consuetis, et certiorentur Nuntii Germaniae et Hispaniarum, ut dictus Eminentissimus procedat ad ulteriora in gravatoria, et aggravatoria.” 94 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 13v, 21 agosto 1666, da Roma al nunzio in Vienna; cfr. ACDF, Decreta, c. 107r, 4. 28 luglio 1666: “Litteris eminentissimi cardinalis Donghi datis Bononiae 18[?] huius rescribatur, quod prosequatur diligentias faciendas in causas eiectionis Inquisitoris Mantuae.” – 70 – Lo sfratto del 1666 servire d’alloggio in occasione che il viaggio della legatione l’obligasse a toccare lo Stato di Mantova.95 Eleonora Gonzaga Nevers La debolezza diplomatica di Isabella Clara era nota a Roma almeno dal mese di febbraio, quando veniva decifrata una lettera del nunzio residente a Vienna, che informava come l’imperatrice fosse “pessimamente sodisfatta dell’Arciduchessa di Mantova, perché operava dispoticamente”.96 Espressione fumosa che – sospetta il nunzio – va quasi certamente riferita al fastidio per i tentativi di recuperare, d’intesa con l’agente di Luigi XIV, Obeville,97 i feudi di Nevers e Rethel quali dote per il progettato matrimonio tra Ferdinando Carlo e una nipote della regina di Polonia Maria Luisa Gonzaga Nevers. Appena una settimana più tardi il quadro risulterà completato dalle preoccupazioni per l’ascendente del marchese Canossa, in stretta corrispondenza con Obeville a Parigi e sempre attento a conciliare à se stesso più che al Padrone gli animi, e l’obbedienza di quei Sudditi, et a’ soggettarli al Ministero di persone sue parenti dependenti e forastiere, trà le quali distribuisce le cariche principali dello Stato, così politiche, come di giustizia, e le militari.98 95 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 156v, 14 luglio 1666 (decifrata l’ 11 agosto), dal nunzio di Vienna a Roma. 96 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 36r, 6 febbraio 1666 (decifrata il 25 febbraio), dal nunzio di Vienna a Roma. 97 Sul quale scarse notizie. Indicato talora come ‘Obeiville’ è citato come rappresentante di Luigi XIV verso il 1661 nelle Memoires du Comte de Brienne, Amsterdam, Jean Frederic Bernard MDCCXIX e nominato alcune volte in ASVe, Senato, Secreta, Dispacci, Spagna. 98 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 48r, 13 febbraio 1666 (decifrata il 4 marzo), dal nunzio di Vienna a Roma. – 71 – Il timore è un colpo di mano sul Monferrato operato dal Canossa99 sostenuto dai francesi, o addirittura che “li Venetiani habbiano qualche disegno sopra Mantova”, confermato dai tentativi di reintrodurre un loro presidio armato in città.100 Qualche pretestuosa richiesta della dote, “che si deve alla Maestà Sua dalla Casa, per quanto non abbia essa animo di maggiormente angustiarla” sarà una buona copertura per inviare a Mantova il conte Gottlieb di Windisch-Grätz che, “se bene luterano di religione”, era soggetto abile e fidato.101 I timori non erano solo fantasie, visto che a Venezia sarà svaligiato il corriere della posta, probabilmente con il fine principale di conoscere i riflessi romani circa le intenzioni austriache verso il Turco. Mancavano comunque anche tutte le lettere spedite da Mantova all’imperatrice e quelle da Roma per il nunzio, e nessuno s’accomodava a credere “che l’ingordigia dei ladri, più che la curiosità de Politici, sia stata la cagione di sì grave disordine.”102 99 Cfr. anche ASV, Segr. Stato, Germania, 182, cc. 62r sgg., 6 marzo 1666 (decifrata il 25 marzo), dal nunzio di Vienna a Roma: “E mi soggiunse l’Imperatrice d’haver havuto anche per fine d’interrompere le machine del Marchese Canossa, il quale di già era risoluto d’appoggiare a suo fratello il principal comando di Casale.” 100 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, cc. 125v sg., 5 giugno 1666 (decifrata il 23 giugno), dal nunzio di Vienna a Roma: “nutrendo [Canossa] una stretta confidenza con i ministri della Repubblica di Venetia suo Padron naturale possa esser dall’istessi corrotto come hanno dato sospetto le di lui destre prattiche di far rimettere in Mantova [126r] il presidio Veneto con fine per quanto si può credere, che la Repubblica se ne impadronisse in caso della deficienza del Duchino.” 101 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 78r, 27 marzo 1666 (decifrata il 14 aprile), dal nunzio di Vienna a Roma. Quasi a giustificarsi, Eleonora Gonzaga Nevers non manca di rivelare al nunzio che “sperava che un atto di questa confidenza fosse per invitare detto Cavaliere, che anche è del Consiglio Aulico, a’ ridursi nel grembo delle Santa Chiesa.” 102 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 64r, 6 marzo 1666 (decifrata il 25 marzo), dal nunzio di Vienna a Roma. – 72 – Lo sfratto del 1666 Quando arriva a Vienna la notizia dell’espulsione di padre Granara, l’isolamento politico di Isabella Clara è già deciso103 e le pressioni di parte imperiale sono inutilmente volte a sbrigare il caso in fretta e col minimo clamore,104 senza intralciare le richieste che l’imperatore andava avanzando su alcune rendite abbaziali105. La responsabilità è prontamente attribuita al 103 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 119v, 22 maggio 1666 (decifrata il 9 giugno, il 26 giungo trasmessa in copia al Sant’Uffizio), dal nunzio in Vienna a Roma: “[… … …] Di più Sua Maestà ha scritto con l’istesso sentimento all’Arciduchessa contestandogli, che i Duchi di Mantova in veruna cosa hanno più studiato, che in mostrarsi ossequiosi alla Santa Sede e favorevoli a’ Ministri del Santo Tribunale dell’Inquisitione. Che la Duchessa Sua Madre quando governò vedova [120r] osservò sempre religiosamente simili documenti, e che in ordine alla relatione fattagli da terza persona sopra la verità del fatto, lo riconosceva pieno di circostanze così aggravanti, ch’essa Arciduchessa era in obbligo di pensare allo Stato della propria coscienza, a rimuovere i Scandali, et a ricordarsi che quando venisse segregata dal grembo della Chiesa, agli atti del suo Governo in ogni tempo si darebbe l’eccettione di nullità, et in fine l’ha essortata a dar ogni sodisfatione a Nostro Signore et a non fare fondamento su l’assistenza di questa piissima Corte che sempre condannò i gesti reprovati dalla Santa Sede”. 104 Così ad esempio ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 121r, 5 giugno 1666 (decifrata il 23 giugno), dal nunzio di Vienna a Roma: “L’Imperatrice aspetta con impatienza la risposta dall’Arciduchessa Governatrice di Mantova con l’avviso, che habbia data la dovuta sodisfatione al Sant’Offitio”. 105 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 40r, 6 febbraio 1666 (decifrata il 25): scrive il nunzio: “Avendo io penetrato essere stato anteposto a Cesare, che molto complirebbe a’ suoi Imperiali interessi una fattione di Cardinali in Roma, e suggerito di smembrar le rendite, che avanzano al bisogno di tante ricche Abbadie di Giuspatronato per far corpi di pensione, et applicarla a quei Eminentissimi, che volessero dichiarsi del partito Cesareo, [… … …] ho stimato espediente […] far ponderare a qualche ministro primario, che il pensiero era diretto a diminuire la libertà del Sacro Collegio, e che lo consideravo tanto più improprio, quanto era il mero dispositivo in far capitale de beni Ecclesiastici, il che non poteva seguir senza l’assenso di Nostro Signore, e mormoratione degli heretici […]”. Altre suppliche per accelerare la nomina di cardinali filoimperiali in ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 147r, 10 luglio 1666. – 73 – marchese Canossa, “uomo micidiario, e di mala coscienza”, ma i colloqui col nunzio106 non ottengono che un blando intervento per rallentare le procedure, restando indispensabile un atto di pentimento dell’arciduchessa prima di ogni altra concessione e aggiustamento di forme. Se per gli imperiali il pericolo maggiore è che l’Arciduchessa non resti discreditata appresso i suoi sudditi da dichiarazioni, che suonino ritrattamenti di cosa fatta senza governo, e con mal consiglio107 per l’ambasciatore veneziano, che smentisce ogni interesse della Repubblica su Mantova, l’importante è il mantenimento dello status quo: […] se si aggiustasse l’affare senza la fulminatione delle Censure, che questo signor Ambasciatore di Venetia stima pericolose [137r] et atte a mettere in apprensione gl’altri Principi, forse si levarebbe il soggetto all’humana politica di publicar scritture d’empii concetti. 106 Il quale chiarisce la propria posizione scrivendo a Roma: “Disse Sua Maestà di desiderare che io non m’aprissi ch’ella a nome dell’Arciduchessa m’habbia parlato”. 107 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 136r, 19 giugno 1666 (decifrata il 7 luglio), dal nunzio di Vienna a Roma. Discredito che non doveva diffondersi tra i sudditi, purché fosse ben chiaro ai ministri e ai politici italiani. Così “Il Marchese di Grana prima di partir verso Milano mi ha confidato tener ordine preciso da questa Imperatrice Vedua di dire liberamente al Governatore di quello Stato, che S. Maestà non si vuol ingerire a favor della Duchessa di Mantova sopra il negotio del Padre Inquisitore, perche ha operato senza fondamento di ragione, e perche dopo il male invece di correggerlo, solo applica a i partiti più disperati per esacerbarlo, e deferisce a Suoi Consiglieri sempre intenti a fomentar l’inquietudini in Italia, che un dì saranno la rovina della Casa Ducale.” (ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 199r, 4 settembre 1666 (decifrata il 22 settembre), dal nunzio di Vienna a Roma). – 74 – Lo sfratto del 1666 Le scomuniche Auspicio ampiamente deluso, giacché i cedoloni furono affissi non solo ne luoghi de Confini, mà anche in diversi luoghi del Mantovano, e nella Citta stessa di Mantova e suo Ducato benche fussero subito levati da sbirri soldati.108 La rimozione a sua volta sarà occasione di nuove aggravate censure,109 ma la determinazione e la capillare efficienza del Sant’Uffizio erano evidenti a chiunque. Il conte Calori aveva comunque un motivo in più per recriminare sulle cattive inclinazioni di padre Granara o sull’invadenza della Chiesa, che – a suo dire – avrebbe presto assolto i sudditi dal giuramento di fedeltà all’Impero.110 Spettava ormai unicamente alla Santa Sede decidere il tempo e il modo di una vittoria schiacciante, limitata solo dal desiderio di non irritare la corte Cesarea: Eleonora Gonzaga Nevers aveva lasciato intendere al nunzio “che la Duchessa confusa non saprebbe a qual risolutione hoggi appigliarsi dopo che i suoi Ministri erano stati flagellati pubblicamente dalle Censure”111 e che era ben consapevole della necessità del reintegro di Granara nella sua carica, ma che “che in ogni caso quel Religioso non sarebbe stato bene in Mantova che per pochi giorni, e la Duchessa non 108 BNCFi, Capponi, fasc. 8, c. 6r. 109 ACDF, Decreta, c. 123v, 24 agosto 1666: “In causa expulsionis Inquisitori Mantuani fuerunt relatae litterae Vicarii illius Sancti Officii datae 12 currentis, et eminentissimi Donghi Judicis Delegati data Bononiae 18 eiusdem, [… … …] In eadem causa fuerunt relatae litterae Episcopi Mantuae, quibus certiorat affigi fuisse publice exemplaria Cedulonum ei transmissos contra Delinquentes in expulsione dicti Inquisitoris, […]”. 110 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 162v, 31 luglio 1666 (decifrata il 18 agosto), dal nunzio di Vienna a Roma. 111 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 164v, 7 agosto 1666 (decifrata il 25 agosto), dal nunzio di Vienna a Roma. – 75 – poteva richiamarlo senza discredito del suo Governo”.112 Verso la metà di agosto i resoconti dell’ambasciatore veneziano presso la corte Cesarea si incrociano in Senato con una lunga lettera indirizzata da Isabella Clara al doge, incentrata sulla necessità di mantenere il segreto di Stato e di nascondere al cardinal Chigi “le vere ragioni della cacciata”113, mostrando al confessore “la verità delle cagioni apparenti” mentre si lasciava tuttavia intendere “che ve n’erano altre di più importanti da tacere”, “mirando la quiete d’Italia, la salute e conservazione di questa Casa”. L’appello a far causa comune per difendere la giurisdizione dei principi laici, minacciata dal continuo ricorso all’estradizione verso lo Stato della Chiesa, non trova però riscontro esplicito nella città che sessant’anni prima si era opposta all’interdetto comminato da Paolo V. Benché l’archivio dei Pregadi ci abbia conservato la soddisfazione veneziana per la conclusione della vicenda114 e siano ripetuti gli inviti a lasciare aperti i negoziati o ancor meglio a concluderli rapidamente115, l’attenzione della Serenissima Repubblica è tutta diretta alla lega 112 Ivi, c. 165r. Inoltre cfr. c. 240r, 16 ottobre 1666 (decifrata il 4 novembre), dal nunzio di Vienna a Roma. 113 ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, filze, 116, anno 1666, settembre-febbraio 1666 m. v., 28 luglio 1666. 114 Ivi, 13 novembre 1666: messaggio di rallegramenti per il nunzio a Venezia, “bramandosi sempre da noi che siano divertite le novità, e che tutto passi con quiete”. 115 ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, registro, 70, anno 1666 m. v., 17 settembre 1666. ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, filze, 116, anno 1666, 25 settembre 1666. Ivi, 2 ottobre 1666: “Le notitie valeranno à Voi di lume, et per penetrare quello nel medesimo affare si andasse rissolvendo, non lasciandosi dall’Ambasciatore nostro di andar instilando concetti valevoli ad insinuar la quiete; et la convenienza di render questo negotio per quanto più brevemente sia possibile terminato”. Ivi, 9 ottobre 1666: “godemo dalle vostre lettere intendere che si sperassero aperture di aggiustamento”. – 76 – Lo sfratto del 1666 antiturca.116 In ogni caso è l’ambasciatore di Venezia a spargere “semi di soavità” col cardinal Chigi,117 ed è sempre l’ambasciatore veneziano che parallelamente, a Vienna, mostra al nunzio Giulio Spinola la necessità e la possibilità di sbrigare la vertenza, ormai sproporzionata rispetto ai fatti. Riferisce a Roma il cardinale: Con occasione, che il Signore Ambasciatore di Venetia avanti hieri mi parlava degli affari del Mondo, nel communicarmi alcune lettere d’avvisi scritte dal Segretario della Repubblica firmate dal Duce sopra il particolar successo di Mantova, m’accorsi a caso dell’iscrittione a tergo che accludevano l’esemplare di una relatione di due fogli data intorno ad esso a quel Senato dalla Duchessa, e l’Ambasciatore nella prattica che in detto racconto si supponevano molte cause per le quali si procedette all’espulsione del Padre Inquisitore, tra le quali ch’egli havesse introdotto un scandaloso interesse nel Tribunale del Santo Officio mentre non veniva a speditione di cause se non sollecitato dall’Oro, che per la [188v] medesima ingordigia tirasse al suo foro molti negotii non spettanti con eccedente lesione della Giurisditione del Duca; che di propria autorità havesse ultimamente radunata una Compagnia di cernita a titolo di far accompagnare un frate inquisito, e che si fosse intruso nell’essercitio della carica senza 116 ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, filze, 116, anno 1666, settembre-febbraio 1666 m. v., 16 ottobre 1666. Già al 28 luglio 1666 la lettera proveniente da Mantova si era guadagnata solo una breve annotazione, e la discussione in Senato si era concentrata sulla situazione nell’Adriatico e in Dalmazia. 117 ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, registro, 70, anno 1666 m. v., 1666, 17 settembre 1666. – 77 – haver mai, secondo il solito, mostrato d’esser stato deputato per tal impiego. Supponeva anche la nullità delle censure per più capi, e che in ogni caso il rigore fosse stato intempestivo dopo che la Maestà dell’Imperatrice haveva promessa ogni prontezza per parte della Duchessa in dare honeste sodisfationi [189r] al Santo tribunale. Io dopo haver date le risposte, che convenivano ad ogni capo dissi, che l’ultimo era falsissimo, perché l’Imperatrice non solo non haveva meco tenuto discorso d’impegno sopra tal negotio, ma più tosto repugnò alle propositioni che incidentemente io gli motivai e che consideravo adequate alla reintegratione dell’offesa fatta al Sant’Offitio, dicendo Sua Maestà doversi haver anche riguardo che il governo della Duchessa non ricevesse scredito appresso i Popoli, né l’appuntamento restò tra noi in altro se non che io attendessi a i motivi che mi fossero venuti da Roma sopra tal discorso; che’essa voleva haver fatto meco in nome proprio, e senza [189v] veruna partecipatione della Duchessa et io all’incontro mi protestai d’haver corrisposto senz’ordine privatamente e fuori del mio ministerio. In detta Relatione mi disse l’Ambasciatore che la Duchessa premetteva d’essersi indotta d’informar del fatto anche l’Imperatore consapevole che io qui havevo principiato con Sua Maestà a figurarlo a mio modo. Mi lasciò poi l’ambasciatore l’esemplare annesso d’una scrittura fatta sopra la materia, e disse, che veramente sentirebbe assai se si procedesse all’Interdetto, mentre prevedeva che quei sudditi sarebbero stati compatiti; apprendendosi per troppo violente quel rimedio che per sanare un membro particolare [190r] si lacera indifferentemente il corpo intiero d’un Popolo innocente, e m’addusse l’esempio – 78 – Lo sfratto del 1666 d’alcuni luoghi in Lombardia della Lomellina, che aggravati per lungo tempo da un simile castigo, perderono sin dall’hora i buoni sensi della pietà, mentre gli habitanti s’habituorno per sempre a trascurar l’uso de Sacramenti.118 Il nunzio poteva confermare che le principali responsabilità erano da attribuire a Canossa, Strozzi e Ricciardi, e che “il Vialardi cercò più tosto di temprare i rigori con mettere in consideratione quanto fossero improprii”.119 Chiedendo discrezione e riserbo per evitare possibili ritorsioni,120 Eleonora Gonzaga Nevers intercederà a suo favore, avanzando il sospetto che malitiosamente fosse appoggiata al Vialardi l’imcumbenza dell’odiose ambasciate, che fece al Padre Inquisitore, per esporre a i pericoli di mortificatione il servitore più fedele che abbia in Mantova la Maestà Sua, e che lo fu di Madama Sua Madre; che i tre Consiglieri Canossa, Strozzi, e Ricciardi sono all’Imperial suo servitio pessimamente inclinati, e massime l’ultimo, ch’essendo suo Paggio, lo cacciò dal servitio, e la Duchessa non ebbe riguardo d’accettarlo a i negotii del Governo per quanto sia di poca habilità.121 118 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 181r, 28 agosto 1666 (decifrata il 15 settembre), dal nunzio di Vienna a Roma. 119 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 180r, 21 agosto 1666 (decifrata il 9 settembre), dal nunzio di Vienna a Roma. 120 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, cc. 181r sgg., 26 agosto 1666 (decifrata il 15 settembre), dal nunzio di Vienna a Roma. Così la risposta: “Quanto al segreto bramato da Sua Maestà non le si replica altro sapendo Vostra Signoria benissimo con quale arcano si camini negli affari del Santo Officio” (ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 15r, 18 settembre 1666, da Roma al nunzio di Vienna). 121 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, cc. 181v sgg., 28 agosto 1666 (decifrata il 15 – 79 – Il processo contro Vialardi si era però già concluso con dichiarazione di colpa,122 per cui l’assoluzione sarà possibile solo al ritorno dell’inquisitore a Mantova, usando riguardo per l’età avanzata di Vialardi, cui sarà risparmiato il viaggio a Roma, indirizzandolo dapprima a Ferrara123, dal cardinal Donghi, infine – senza incomodo e senza pubblica umiliazione – a Mantova, presso il vescovo, cui sarà data facoltà di assolvere anche tutti gli altri imputati minori, come egli stesso aveva richiesto.124 Già all’inizio di settembre, pur senza impegnarsi su alcun punto in particolare, il nunzio aveva confermato che l’Imperatrice vedova avrebbe potuto “intercedere con molta fiducia le gratie di Sua Santità a beneficio de scommunicati”,125 purché l’autorità del tribunale fosse confermata in pieno, stimando che da avvenimenti così lesivi per il Santo Tribunale settembre), dal nunzio di Vienna a Roma. 122 ACDF, Decreta, 1666, c. 102v, 21 luglio 1666. 123 ACDF, Decreta, 1666, c. 169v, 7 ottobre 1666: “Eminentissimi Donghi lectis litteris datis 16. huius concernentis reditum Mantuam Inquisitoris, et modum visitandi Archiducissam, quatenus continuat morari in terra Goiti, habita prius certa scientia, quod benigne recipiatur, ac etiam modum absolvendi incursos in excommunicatione etc. rescribatur Eminentissimo Dongho, qui respondeat, quo de stilo absolutionis debet concedi Romae, sed quod Eminentia Sua respectu comitis Vialardi attenta ipsius gravi aetate posset obtinere, quod absolvatur per Eminentiam Suam Ferrariae, dummodo tum coeteri accedant prius ad Urbem.” 124 Cfr. ACDF, Decreta, 1667, c. 12v, 19 gennaio 1667; c. 17r, 26 gennaio 1667; c. 42r, 2 marzo 1667: “mandarunt committi eminentissimo Dongho, ut delegat Episcopum Mantuanum ad effectum absolvendi Mantuae in forma Eecclesiastica consueta coeteros excommunicatos […]. Item ut scribatur etiam em.mo Dongho, ut curet habere ab episcopo Mantuano et transmittat ad sacram Congregationem Instrumentum publicum talis absolutionis.” 125 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 201r, 11 settembre 1666 (decifrata il 30 settembre), dal nunzio di Vienna a Roma. – 80 – Lo sfratto del 1666 “n’havrebbero tratto a lor favore gli heretici della Germania”.126 Ancora una volta il possesso di migliori informazioni (nonostante le lentezze della posta) e la conoscenza dei meccanismi procedurali della Santa Sede sono determinanti per indirizzare la conclusione in modo favorevole al tribunale. Eleonora, premeditando le lagrimevoli conseguenze, che con l’Interdetto erano imminenti alla sua Casa di Mantova […] stava ancora dobiosa se il ritorno del Padre Inquisitore in Mantova fosse stato sufficiente a trattener il comminato Interdetto127 si decide a mandare un ordine imperioso a Isabella Clara, ottenendo così i buoni uffici del nunzio, che accondiscende volentieri a una soddisfatione, la quale in sostanza non mette in impegno, né pone in essere cosa alcuna poiche al signor Cardinale [scil. Donghi] consta del ritorno del Padre Inquisitore prima di ricevere la mia lettera, e di sua natura s’arresta l’Interdetto, o n’è già consumato l’atto, e la mia intercessione non può ritrattarlo.128 In congregazione era frattanto arrivata ulteriore corrispondenza da Ferrara (dove era vescovo il cardinal Donghi), dall’inquisitore di Milano e dal conte Vitaliano Borromeo, verosimilmente tramite fra i Gonzaga e Giberto Borromeo (all’epoca cardinale inquisitore)129, quindi altre lettere 126 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 166v, 7 agosto 1666 (decifrata il 25 agosto), dal nunzio di Vienna a Roma. 127 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 209v, 18 settembre 1666 (decifrata il 6 ottobre), dal nunzio di Vienna a Roma. 128 Ivi, c. 201r. 129 Cfr. ACDF, Decreta, 1666, c. 136r, 7 settembre 1666. Giberto – 81 – III Borromeo (1615- dai nunzi di Germania, Napoli e Venezia e la conferma che il 10 del mese il vescovo di Mantova aveva fatto affiggere pubblicamente i cedoloni “in quibus excommunicati declarantur aggravati et reaggravati”.130 Finalmente il 21 settembre il marchese Canossa, alla presenza di notaio e testimoni, comunica al priore di San Domenico e al vicario che Sua Altezza “si compiace che Il Padre Inquisitore Granara se ne ritorni in Mantova alla sua Residenza”131 e il 6 ottobre, trascorsi circa 6 mesi dall’espulsione, Fuerunt relatae litterae Ducissae Mantuae datae 23 septembris, quibus eminentissimo Cardinali Barberino scribit notificasse Patri Granara Inquisitori, ut ad sui libitum redeat ad exercitium sui muneris.132 In una relazione più tarda l’inquisitore riassume il proprio rientro e l’udienza presso l’arciduchessa “et narrat discursum inter eos secutum, ex quo colligitur parva satisfactio habita”,133 soddisfazione così magra che “ex epistula Archiducissae non apparet poenitentia nec dolor nec factum”.134 L’affare mantovano scivola rapidamente agli ultimi punti nei verbali conservati nei Decreta, e – come già accennato – si trascina nella normale 1672), impegnato a più riprese in diverse congregazioni (tra le altre Sant’Uffizio, Immunità, Vescovi e regolari, Fabbrica di San Pietro) sotto i papi Alessandro Clemente IX VII, e Clemente X, è probabile autore di un perduto Adversus errores Iansenii redatto per l’esame di quattro vescovi francesi (1667-68) sui quali un cenno in ACDF, Decreta, 1666, c. 119, 18 agosto 1666. Cfr. DBI, Borromeo, Giberto (Gilberto) (Lutz 1973) e GALLI 2003. 130 ACDF, Decreta, 1666, c. 140r, 15 settembre 1666. 131 ASMn, AG, b. 2328, non numerata, 21 settembre 1666. 132 ACDF, Decreta, 1666, c. 156r, 6 ottobre 1666. 133 ACDF, Decreta, 1667, c. 128r, 28 giugno 1667. 134 ACDF, Decreta, 1666, c. 181v, 10 novembre 1666. – 82 – Lo sfratto del 1666 amministrazione, affidando le assoluzioni al vescovo di Mantova,135 con particolare riguardo per il conte Vialardi, nella maniera più gradita ad Eleonora.136 La parvenza di normalità sarà ripristinata in occasione delle feste natalizie,137 distribuendo ringraziamenti e qualche gratifica, come nel caso del vicario mantovano frate Aurelio Torri o del ‘benemerito’ duca di Guastalla, che patrocinerà la promozione di frate Giovanni Battista Righi a ‘magister Provinciae Lombardiae’.138 Al procuratore fiscale non restava che recuperare e riordinare le carte per l’archivio: la relazione del gesuita Ludovico Bompiani139 e le istruzioni riservate – “ne ad aliorum manus perveniant, et tractu temporis propalantur”140 – prima fra tutte la minuta per l’interdetto, che il cardinal Donghi non aveva mai resa pubblica. In giugno, secondo quanto richiesto da Vienna, padre Giacinto Maria Granara sarà destinato dal nuovo papa Clemente 135 IX alla sede ACDF, Decreta, 1667, c. 12v, 19 gennaio 1667; c. 71r, 13 aprile 1667: “Eminentissimi Donghi episcopi Ferrariensis fuerunt relatae litterae, quibus mittit Instrumentum publicum absolutionis data tribus excommunicatis pro causa expulsionis Inquisitoris Mantuae ab episcopo Mantuae”. 136 Cfr. ACDF, Decreta, 1666, c. 181v, 10 novembre 1666; c. 212r, 22 dicembre 1666, termine ante quem. 137 ACDF, Decreta, 1667, c. 2r, 5 gennaio 1667: “Eminentissimo Cardinale Dongho consulente an annunciare debeat festivitates Natalitias Ducissae Mantuae, vulgo Buone Feste; fuit dictum, ut dicto Eminentissimo respondeatur per Reverendum patrem dominum Assessorem, ut possit scribere.” 138 139 ACDF, Decreta, 1667, c. 52v, 16 marzo 1667. ACDF, Decreta, 1667, c. 12v, 19 gennaio 1667: “relationes totius tractatus cum Ducissa Mantuae circa negotium illius Inquisitoris.” 140 ACDF, Decreta, 1667, c. 57v, 23 marzo 1667; inoltre ivi, c. 83r, 27 aprile 1667: “Eminentissimi Cardinalis Donghi fuerunt relatae litterae datae Ferrariae 16 huius, quibus mittit omnes scripturas Originales in causa expulsionis Inquisitoris Mantuae.” – 83 – ferrarese e sostituito da Giovanni Tommaso Pozzobonelli, già titolare a Parma.141 Gli aspetti internazionali della crisi saranno risolti sempre da Vienna, rintuzzando ogni tentativo di intromissione spagnola, come nell’agosto del 1666,142 quando si segnala l’inopportunità di coinvolgere il governatore di Milano Luis Ponce de Leon. Similmente Eleonora aveva proibito di ricevere Obeville, inviato nuovamente in Italia nell’ottobre con il pretesto di ripianare il ‘negotio dell’Inquisitore’. La missione era stata immediatamente disapprovata anche dal conte di Calori, secondo il quale “tutti ci farebbero una brutta figura”,143 perché la Francia era già stata troppo presente nei recenti dissapori mantovani verso le corti di Modena e di Savoia, e – così attestava la corrispondenza intercettata dalle spie imperiali – Isabella Clara era ‘troppo subordinata’ ai desideri francesi e ai consigli del marchese Ricciardi “giovanotto di nessuna esperienza, che prevale anche sul Canossa”144. Al conte di Windisch-Grätz arriverà l’ordine di prolungare la missione mantovana per estromettere drasticamente e definitivamente Isabella Clara dal governo. 141 ACDF, Decreta, c. 128r, 28 giugno 1667, proposta approvata il giorno successivo dal papa. 142 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 164r, 7 agosto 1666, dal nunzio a Roma; ivi, c. 232r, 2 ottobre 1666 (decifrato il 20 ottobre), dal nunzio a Roma. 143 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 253r, 23 ottobre 1666 (decifrata l’11 novembre), dal nunzio a Roma. 144 ASV, Segr. Stato, Germania, 182, c. 277r, 27 novembre 1666 (decifrata il 16 dicembre), dal nunzio a Roma. – 84 – Nella Lombardia Austriaca Prodromi a Mantova I dissidi fra l’autorità secolare e l’inquisizione si rinnovano già dai primi anni di amministrazione austriaca (subentrata nel 1707 alla signoria gonzaghesca), per conflitti di competenza1 o per il controllo della stampa, come era avvenuto nel 1710, quando l’inquisitore Michele Nanni e il suo vicario denunciano al conte di Castelbarco, governatore e amministratore imperiale della città, che lo stampatore ducale Giovanni Battista Grana in occasione che era uscito il decreto della Canonizzazione del Beato Pio V disse nel suo foglietto, sotto la data di Roma, che nella Congregazione tenutasi sopra questo particolare li voti de signori Cardinali erano stati eguali per l’affirmativa e negativa, onde per farle passare era stato necessario che Nostro Signore vi emetesse col suo voto, cosa che era contraria al decreto uscito nel quale si legge che unanimemente passò.2 Non ne caveranno nulla, se non uno scortese benservito, puntualmente riferito a Roma. In seguito, assente l’inquisitore titolare, la Congregazione era stata informata dal vicario3 e dopo una ‘relata’ in cui ne 1 ASMn, AG, mat. eccl., bb. 3278-3279. In particolare al giugno 1709 risulta l’esilio comminato dal Sant’Uffizio a Pietro Boeri e alla moglie Teresa; il Capitano di Giustizia, ritenendo la causa di interesse solo profano, ordina ai birri di non procedere (ASMn, AG, mat. eccl., b. 3279, cc. 130-134. 2 ACDF, St. st., GG 5 e, 24 ottobre 1710. Il foglio incriminato era il Num. 34 )( Mantova 21 Agosto 1710., che alla data Roma, 9 agosto recita: “impattando li Voti nella Congregazione de Riti, doveva N[ostro] Sig[nore] col suo Voto stabilire il sì ò nò, come hà fatto decretando a favore del Beato” tacendo la pretesa unanimità. 3 ACDF, St. st., GG 5 e, 10 settembre 1710, [409v]: “Lectis litteris Patris Vicarii Sancti – 85 – elogiava la prudenza (era infatti ancora pendente una controversia giurisdizionale4) ordinerà all’inquisitore di far in modo che il Grana stampasse sui suoi ‘foglietti’ una breve correzione della notizia.5 Il fastidio provocato dalla stampa periodica ricompare nel 1725: padre Silvestro Martini e padre Ermes Giacinto Visconti, inquisitori di Milano e Mantova, sono incaricati di controllare le notizie relative alla bolla Unigenitus, “cum in Diariis impressj Mantuae, et Mediolani adessent nonnullae non vere concernentia praefata Bullam”.6 È Martini a segnalare che da sempre gli avvisi si pubblicano senza il preventivo controllo ecclesiastico, e che dunque occorre accontentarsi delle informali rassicurazioni dello stampatore7; simile risposta arriverà anche da Mantova poco più tardi In adempimento de’ venerati comandi dell’Em.ze V.re in datta delli 19 prossimo scaduto, ho chiamato questo Stampatore delli avvisi, e seriamento gli ho detto, che non stampi cosa alcuna concernente alla Costituzione Unigenitus, e sua accettazione, e mi ha assicurato, che in avvenire non stamparà cosa benche menoma, in tal materia. Il male nasce, che gl’avvisi prima di stamparsi non si rivedono dal S. Officio, Offici Mantuae datis 29 Augusti proximi, quibus variat vexatione sibi illatas a Comite del Castelbarco Gubernatore illius Civitatis, et hac occasione /// mittit folium impressum, circa decretum Canonizationis Beati Pii V, Eminentissimi decreverunt, rescribendum esse dicto Patri Vicario = relata, et quod expectet regressus Patris Inquisitoris”. È trascrizione coeva da ACDF, Decreta, 1710. 4 È citata una corrispondenza del 13 settembre 1710. 5 ACDF, St. st., GG 5 e, 30 ottobre 1710. 6 ACDF, Censurae librorum 1724-1728, fasc. 12 (1725), c. 127r che deriva dai decreta della “Feria 4.a die 16 Maii 1725”. 7 Ivi, lettera da Milano alla Congregazione, 30 maggio 1725. – 86 – Nella Lombardia Austriaca ma solamente dal Deputato del Governo, e ciò ab immemorabili, e se si volesse pretendere di rivederli, non si otterrebbe e nascerebbono umilmente rappresento mille inconvenienti. all’eminenze Vostre, alle Tanto quali profondissimamente m’inchino. Mantova primo Giugno 1725 / delle Eccellenze Vostre / Umilissimo, divotissimo, obbligatissimo Servitore / Frà Ermes Giacinto Visconti Inquisitore / <Feria 4. die 13 Junii 1725 = Relata>8 Il salto di qualità del contrasto tra autorità politica e inquisitoriale era imminente, e quasi stupisce che si sia manifestato in maniera eclatante solamente negli anni ’60: già il successore di Nanni, frate Giacinto Pio Tabaglio, dovette muoversi con cautela, giacché al Senato si andava ventilando l’abolizione del privilegio del foro per i ministri del Sant’Uffizio, ma il progetto era vago e non venne registrato a verbale, tanto che l’operazione sembra sfumare, almeno a breve termine. Resta invece una schermaglia risalente al 1720, quando un mandatario del Sant’Uffizio cerca di quietare una rissa, che degenera in colpi di pistola. Trattandosi di una causa non di fede, tutti i partecipanti vengono arrestati dalla ‘Curia Laicale’,9 senza considerare il privilegio di foro del mandatario. La questione rimane nei binari della tradizione: l’inquisitore può esibire decreti a partire da Federico 8 Ivi, c. 130r. 9 ACDF, St. st., GG 5 e, 27 settembre 1720. 10 II10, che nel 1519 “ut Del 21 giugno 1519, confermato il 28 luglio del 1529. L’inquisitore Domenico Istriani accenna a una patente che “non si trova nel Sant’Officio” (aggiunge con rammarico mentre copia) e secondo la quale si comanda “a tutti li Capitani di Giustizia, Podestà, Commissarii, Vicarii sì presenti e futuri, che in favore del Sant’Offizio diano ogni sorte di – 87 – autem praedictus Inquisitor [Domenico da Gargnano] suum Inquisitionis Offitium securius et liberius exercere valeat” aveva preso sotto protezione tutto il personale: Inquisitorem eumdem, quisquem Vicarium, et eorum socios, ac Notarium, atque eius familiares in offitio Inquisitionis; et bona eourum sub nostra speciali custodia, et protectione sub nostra Marchionali Clementia benigne recipimus. Protezione interpretata molto estensivamente come soggezione diretta al sovrano, non delegabile né derogabile. Seguono i decreti del duca Guglielmo (8 marzo 1568 e fine 1572) 11, emanati nonostante il (o proprio a causa del) fierissimo contrasto con Campeggi: 1722 / Dal padre inquisitore / Li signori Duchi di Mantova con loro speciali Diplomi e Decreti, li originali de quali si conservano in questo archivio del Santo Officio di Mantova, e massime l’Eccellentissimo Signor Marchese di Mantova Federico Secondo, sotto li 28 luglio 1529, et il Serenissimo Signor Duca Guglielmo Terzo sotto li 8 marzo 1568 e sotto li 21 decembre 1572 commandano a tutti i loro Podestà, Vicarii, ed a tutti li altri loro Officiali costituiti e da costituirsi in ogni luogo sì nella loro città di Mantova che nel suo Territorio e Dominio, acciò ogniqualvolta gli sarà dal Padre Inquisitore o suo Vicario ricercato il bracio secolare per eseguire l’officio della Santa Inquisizone li debbano favore e aiuto” (ACDF, St. st., GG 5 e). 11 L’inquisitore Ermes Giacinto Visconti copia e traduce approssimativamente da un originale latino. Gli stessi decreti sono citati anche in ASMn, trascritto. – 88 – AG, b. 3279, c. 180r, qui Nella Lombardia Austriaca degnamente ricevere ed assistere con ogni aiuto, e con ogni forza, imprigionando o facendo imprigionare ogni e qualunque infamato o sospetto d’eresia. […] Nel 1568 fu preteso dal Governo di Mantova che dal Sant’Officio si dovessero conferire col signor Duca le catture de’ sospetti, ed indiziati, ma in questo alla fine il Signor Duca cedette. È ben vero, che circa lo stesso tempo fu convenuto tra il signor Duca et il Padre Campeggi all’ora Inquisitore e fatto poi Vescovo di Nepi, che occorrendo di venire alla cattura d’alcuna Persona si portata, overo d’alcun servitore del Signor Duca /// in tal caso se n’avesse a far moto con il Medemo, ma non già nel caso di ciaschedun altro. E così si è praticato fino al presente.12 A conclusione infine le attestazioni di numerosi “Casi cavati tutti dal Sant’Officio di Mantova dall’anno 1660 sino al 1720 che dichiarano, e fanno conoscere essere il S. O. medesimo in possesso di procedere, e fare le cause de’ suoi Patentati”. Calzante era la vicenda del mandatario Giuseppe Fracassi da Ostiglia, il cui nome assieme a quello dei suoi due soci viene taciuto “per ordine preciso di Sua Altezza” in un processo originato da uno scontro con archibugiate (1616). Tralasciando per ora i dettagli, è sufficiente constatare che l’esito della vicenda rimane circoscritto al particolare, ma che c’è un tentativo da parte del Senato di riordinare tutta la materia ridefinendo il privilegio di foro, il porto d’armi, la concessione del braccio secolare, le modalità di concessione ed esibizione delle patenti, tuttavia senza che la ricostruzione storica dispiegata arrivi a coinvolgere il significato complessivo del tribunale. 12 Vedi nota precedente. – 89 – “Niuna forma gli si permetta del detto esercizio” Un più rilevante conflitto giurisdizionale tra le autorità ecclesiastiche e quelle di Vienna risulta invece nel 1739, quando al vicegovernatore Cocastelli si vieta di riconoscere il nuovo inquisitore fra Tommaso de Angeli da Jesi, ordinando che “niuna forma gli si permetta del detto esercizio”13 accampando irregolarità nella patente di nomina e la mancanza del placet dalla Corte Cesarea. Nel 1740 fra Tommaso viene comunque sostituito da fra Pietro Martire Cassio, che il 19 settembre è ammesso al pieno possesso della carica, non senza una ammonizione a rispettare le prerogative del governo. Così, mentre i commissari periferici confermano al governo laico di Mantova l’avvenuta ricezione della nomina, il tradizionale editto di insediamento dell’inquisitore (17 ottobre 1740) incentrato sui permessi di tolleranza concessi agli Ebrei (o piuttosto sulle forme di intolleranza loro riservate) viene contestato in alcuni punti specifici dal Senato14 di Mantova (18 dicembre 1741)15. 13 ASMn, AG, Mat. eccl., I, n. 9 Uffizio dell’Inquisizione dal 1316 al 1769, b. 3279, c. 228, 10 giugno 1739. 14 Istituito nel 1571 al tempo del duca Guglielmo e riformato nel 1606, il Senato di Giustizia oltre alle funzioni giudiziarie ereditate dalla Rota assunse un ruolo politicofinanziario, sovrapponendosi in parte col Magistrato Camerale. Nel 1745 fu sostituito da una curia senatoria, in seguito all’aggregazione del Mantovano al Milanese, per essere ripristinato nel 1750 come Supremo consiglio di giustizia. Cfr. MOZZARELLI 1978 e MOZZARELLI 1979. 15 ASMn, AG, Mat. eccl. I, n. 9 Uffizio dell’Inquisizione dal 1316 al 1769, b. 3279, c. 316. Cfr. SIMONSOHN 1977, pp. 159-163, che attinge agli archivi della comunità ebraica. Tra le questioni che più premevano all’inquisitore vi era il lavoro di cristiani alle dipendenze di ebrei, argomento ripreso nel 1753, quando pare che molti lavoratori del contado fossero in tale condizione subordinata. Una serie di informazioni raccolte presso i parroci foranei dietro richiesta della comunità ebraica fornirà valutazioni differenti da quelle dell’inquisitore. – 90 – Nella Lombardia Austriaca Pur ammettendo in linea di principio che dagli Ebrei non debba aversi alcuna superflua, volutuaria, o in qualsivoglia modo, viziosa conversazione, e familiarità co’ Cristiani si pretende che restino in vigore le consuetudini senza però che possa esser loro vietata la pratica co’ gli stessi per li affari di società con negozianti, per ragione mercantile […] e per tante altre usuale occorrenze, secondo fin’oggi è stato praticato, ed agli Ebrei permesso perché il publico interesse non resti pregiudicato. Mantenendo sempre una clausola che salvaguardi la ‘Sovrana Podestà’ e la possibilità di ottenere dispense ad personam, il Senato ritiene al di fuori delle competenze inquisitoriali otto punti su diciannove dell’editto di padre Cassio, entrando spesso nella minuta esemplificazione e cassando senza mezzi termini il divieto di panificare la domenica. Il casus belli si presenta nel luglio 1743, quando l’inquisitore si sente rifiutare il braccio secolare16, a meno che non comunichi il nome del carcerando, se non altro ‘ore tenui’, a mezza voce, come si usava durante il governo del conte Cocastelli. Possiamo ricavare uno sguardo d’insieme della situazione giuridica, non così intricata in realtà, dalla lettera che il 31 marzo 1746 fra Pietro Martire Cassio invia a Roma, basandosi sulla buona memoria dell’inquisitore di Bergamo, Andrea Bonfabio, che era stato vicario a Mantova anni prima e che l’aveva informato delle consuetudini 16 ACDF, St. st., GG 5 b, fasc. 3 Mantova e Milano. Circa la controversia insorta tra la Santa Inquisizione di Mantova, et il Governo Laico della medesima Città, rispetto al prestare il Braccio Secolare. Da ACDF, St. st., GG 5 b risulta trattarsi dell’arresto di Giovanni Nodari, accusato di poligamia. – 91 – locali17: dal tardo Cinquecento l’uso era di concedere formalmente il braccio secolare all’inquisitore una volta per tutte, al momento dell’insediamento; l’inquisitore avrebbe rivelato il nome e genericamente il crimine al Duca solo nel caso in cui si procedesse contro servitori della corte, o – per estensione – contro funzionari dell’amministrazione. Il confronto non venne però risolto dalla interpretazione più o meno forzata di casi precedenti o dall’esibizione di genealogie di privilegi, ma dal coinvolgimento della Giunta milanese. Dalla corrispondenza non è chiaro quanto questa apertura di scenario sia stata deliberatamente cercata dal Senato mantovano per ricorrere indirettamente a Vienna, e neppure si comprende se la difesa delle proprie prerogative – o meglio il formale riconoscimento di un abuso probabilmente abituale ma di certo non inveterato – nascondesse un disegno più ampio, o ancora se il richiamo alle usanze locali fosse solo un pretesto utile a nascondere principi più astratti e generali. Per parte sua invece, dopo aver informato la Suprema Congregazione, l’inquisitore mantovano è sostenuto da Ermenegildo Todeschini18, titolare del Sant’Uffizio di Milano, che sarà più volte il 17 ACDF, St. st., GG 5 b, fasc. 3, febbraio 1744. Le carte vicine a carta 220 sono informazioni provenienti da inquisitori di altre città, forse in precedenza vicari a Mantova, circa gli usi mantovani. Andrea Bonfabio appunto (cfr. 224r, del 16 febbraio 1744) riferisce che al tempo della carcerazione del boia fu riferito il nome del reo ma non il delitto, sostenendo che la pratica – risalente al duca Guglielmo – era stata concordata con la Santa Sede e riguardava solo le persone di Corte, o Commissari delle Terre. Così al tempo di Filippo d’Armstad (Filippo d’Assia-Darmstadt, governatore dal 1714 al 1735) e presidente del senato ‘il famoso Pulicano’, “le altre persone che non erano all’attuale servizio della Corte si catturavano senza dire parola al Governo”. Su Giovanni Francesco Pullicani (1666-1734), giureconsulto, presidente del Magistrato Camerale e quindi del Senato, cfr. CARRA 1974. 18 Mantovano, una lapide lo ricordava in San Domenico: “Fratri Hermenegildo Todeschini mantuano fidei quaesitori mediolanensi quod Bibliothecam hanc anno M D – 92 – Nella Lombardia Austriaca tramite di informali trattative con il governo milanese e che riuscirà a procurarsi il supporto del conte Verri19 e quello meno scontato del conte Pertusati. È però il cardinal Camillo Paolucci20, incaricato dalla Congregazione romana di rappresentare a Vienna le ragioni della Chiesa, l’unico a mostrare motivato pessimismo: nonostante il marchese di Villasor, presidente del Consiglio d’Italia, e il marchese Cavalli si mostrassero assai conservatori, così scriveva in cifra da Vienna: ho però motivi di credere, che al minimo impulso […] si vorrà sostenere la nuova pretesa. Poiché forse per i continui discorsi intesi dal Gran Duca in pregiudizio della Giurisdizione della S. Inquisizione Sua Maestà ha formate impressioni non punto dissimili dalle svantaggiose, che ha il Gran Duca, ed io posso attestarlo a V. E. per aver dovuto in più occasioni combattere, ma senza gran frutto le idee insussistenti della Maestà Sua21. Qualche successo fu tuttavia ottenuto, seppur provvisorio, come il 16 luglio del 1745 avvertiva frate Pietro Martire Cassio: “la libertà dell’operare di questo Sant’Ufficio è stata di corta durata […] in virtù di LXXX IV a fundamentis errectum liberalitate ff Alphonsi Seraphini Lucensis apud Carolum III Hispaniar. regem pro Ranutio II parmensium duce oratoris atque Hiacintii Mazzucchi ferrariensis Patavini metaph. profess. perpetuo censu dicator copiosa librorum suppellectile donuerit suumque hoc coenobium omnigena beneficentia comutaverit viventi Prior ac fratres posuerunt Kal. oct. anno M DCC L V”, ASMn, Patrii d’Arco, b. 228-229. 19 Gabriele Verri, avvocato fiscale dal 1741 e consultore del Sant’Uffizio dal 1738; pure il fratello minore Antonio fu primicerio della cattedrale milanese, revisore dei libri e consultore. Cfr. DSI, Verri, famiglia (C. Capra). 20 Nunzio a Vienna dal 1738 al 1745. 21 ACDF, St. st., GG 5 b, fasc. 3, cc. 201 sgg., 21 dicembre 1743. – 93 – uno Dispaccio diretto à questo passato Governo dalla Corte di Vienna”.22 Maria Teresa stessa congedava seccamente le nuove rimostranze del nunzio apostolico, rispondendogli in udienza che “ben si sovveniva dell’affare […] mà che quanto erasi da lei ordinato, non era stato risoluto senza precedente esame”23. Nonostante il 24 novembre Todeschini scrivesse a Roma con sollievo, sottolineando che il podestà di Mantova, Biscossa24, era “un signore molto dolce, affezionato al Santo Officio”25 e avrebbe sostenuto la lotta contro gli spiriti libertini, il punto della questione era evidentemente risolto a vantaggio del governo laicale. Del resto in una così ‘cattiva crisi’ non ci si poteva attendere nessuna soluzione troppo favorevole alla Chiesa e “cum res […] sit magri momenti”26, la strategia migliore era differire ogni passo che potesse sembrare definitivo. Nel febbraio del 1746 il podestà di Mantova sarà rigido nel pretendere nome e delitto del carcerando, avendone “ordine della Corte di Vienna replicatamente ricevuto”27 e nulla di diverso emerge dagli atti riguardanti gli anni successivi28, aggiungendosi anzi il divieto di estradizione29 a rafforzare la salvaguardia della giurisdizione laica, sempre più diffidente verso il sacro tribunale. 22 ACDF, St. st., GG 5 b, fasc. 3, cc. 273. 23 ACDF, St. st., GG 5 b, fasc. 3, cc. 279 sgg., 4 settembre 1745. 24 Don Lodovico Biscossa, a Mantova dal 23 aprile 1745, giorno in cui inaugura il proprio incarico con la soppressione del Senato (VOLTA, Compendio…, vol. 5, p. 159). 25 26 ACDF, St. st., GG 5 b, fasc. 3, c. 296r. ACDF, St. st., GG 5 b, fasc. 3, c. 296v, 7 dicembre 1745, dalla congregazione all’inquisitore di Milano. 27 ACDF, St. st., GG 5 b, fasc. 3, 24/2/1746. 28 Così ad esempio nel 1749, per punire alcuni rei di sacrilegio. 29 Cfr. ASMn, AG, Mat. eccl. I, n. 9., anno 1768. – 94 – Nella Lombardia Austriaca La documentazione rimastaci mostra un nuovo periodo di ostilità tra autorità secolari e religiose a partire dal 176230: rivendicando il giuspatronato sulla Cattedrale il governo avanzava anche dubbi sulla necessità di mantenere la pensione destinata all’inquisitore31, pensione che apparirà decisamente inopportuna nel 1772, quando l’ufficio inquisitoriale aveva perso la disponibilità di carceri e patentati (la confraternita dei crocesignati, di valore più che altro simbolico, sopravvisse ancora per qualche anno al Reale Dispaccio di soppressione del 22 agosto 1771). Il vescovo, per parte sua, aveva già interrotto i pagamenti e, al termine di una inconcludente corrispondenza con padre Mugiasca, inquisitore di Mantova dal 1765, la Suprema Congregazione dovrà ammettere come “in queste dolorose circostanze de’ tempi non sa suggerirle se non di aspettare qualche più favorevole occasione per mover discorso a questo Affare.”32 Dal 14 marzo 176633 il tribunale era stato sollevato dall’incombenza della censura sui libri, che era affidata a una delegazione periferica della milanese “Giunta economale”, delegata agli affari ecclesiastici e misti; e per fugare ogni dubbio un dispaccio del 1769 definiva la censura sui libri come “un ramo della civile polizia, e una dipendenza della pubblica istruzione”, assegnandola alla “Giunta Delegata per gli Affari Ecclesiastici”. L’inquisitore riusciva comunque a interessarsi agli insegnamenti 30 ANNIBALETTI 1996. 31 ASMn, AG, Mat. Eccl. I, n. 9, b. 3279: il 23 ottobre 1763 da Milano si inviano i “Conti della mensa vescovile”, che paga annualmente lire 3937.10 di pensione all’inquisizione. Le liti sorte “sul giuspatronato di codesta chiesa fanno sì che si debba comunque provvedere al padre inquisitore Alessandro Orrigoni”. In allegato è la ricevuta del pagamento fatto dalla giunta di vice-governo di Mantova. 32 ACDF, St. st., GG 5 e, 13 luglio 1771. 33 ANNIBALETTI 1995, p. 198; ASMn, AG, Gridario, vol. (I-VI-9). – 95 – XIII; inoltre BCMn, ms. 1336 impartiti presso presso l’Università mantovana.34 Nel 1777, rivolgendosi forse al Commissario generale, riferiva di alcuni scritti contrari alla fede chiedendo un consiglio informale prima di iniziare un procedimento giudiziario: la stessa segnalazione gli era del resto giunta per vie traverse, in seguito agli scrupoli di coscienza del vicario vescovile, che esitava a coinvolgere direttamente il vescovo Pergen. Le “attuali ristrettezze” e le intromissioni governative nell’insegnamento teologico di Pavia motivano l’estrema cautela raccomandata anche nell’elogio che gli proviene da Roma: oltre a rispettare formalmente le procedure occorre identificare i “pretesi rei” e “sarebbe nondimeno troppo necessario il ricevere documenti autentici”.35 Non potendosi dunque azzardare allo scontro diretto con l’autorità, l’attività del tribunale non sembra avere reale efficacia, se non quella limitata alle spontanee comparizioni per sgravio di coscienza, cosicché l’archivio corrente, forse perché divenuto inutile, o forse perché si teme che 34 Sino al 1779 il Regio Arciducale Ginnasio ebbe facoltà di concedere lauree in filosofia e teologia. 35 “Reverendissimo Padre Signore Signore Colendissimo, / Mi trovo in obbligo di pregarla per un consiglio, questo si è che monsignore vicario Generale di monsignor Nostro Vescovo sta facendo una compilazione di certi scritti, credo teologici, che qui si dettano in questa università e di che in essi ci sono propositioni contrarie alla nostra Santa Fede, non so poi in quali articoli, e materie, ed esso avendone parlato al suo vescovo, non ne vuole [trarre] imbarazzo, onde ha parlato con il padre maestro Faconi, pregandolo a darci lume, come potrebbe fare per salvar se stesso, e darne contezza alla Sacra Congregatione per il riparo: esso ha creduto doversi insinuare la mia persona, come che Inquisitore, e dal Officio Obbligato, per tanto esso è venuto a darmi tale notizia, perche io gli prestassi mano. / Non ho voluto darli alcuna precisa risposta sopra di ciò, per non imbarazzare questo Santo Offitio […]” (ACDF, St. st., GG 5 e, 27 luglio 1777). – 96 – Nella Lombardia Austriaca finisca nelle mani dell’autorità secolare, viene distrutto per ordine della Congregazione romana36. Di quegli anni restano a Roma due buste di corrispondenza: una è una miscellanea di argomento mantovano che offre informazioni sullo stato del tribunale fino a tutti gli anni ’70 del Settecento37, l’altra invece raccoglie, per evidente affinità e contemporaneità, i carteggi delle soppressioni dei tribunali di Reggio, Modena, Mantova, Milano, Cremona, Como, Piacenza e Parma38. Il fascicolo riguardante Mantova è esiguo, trattandosi di una delle ultime soppressioni lombarde: dal punto di vista del governo lombardo nel 1782 non c’era motivo di tergiversare, dovendo semplicemente applicare (seppur con urgenza imprevista, poiché la soppressione avveniva senza attendere la morte dell’inquisitore titolare) una prassi già collaudata anni prima a Pavia (23/2/1774), Cremona (26/1/1775)39 e Milano (10/3/1779), perseguendo un disegno chiaro e consapevole che limitava progressivamente le autonomie locali e – nel nostro caso – subordinava ulteriormente il ducato mantovano e i più piccoli feudi gonzagheschi al governatore milanese40. La fase decisiva del confronto tra le autorità di Vienna e la Santa Sede a livello politico-istituzionale era avvenuta già da qualche anno. 36 ANNIBALETTI 1995, p. 198 e AStDMn, CC, Relazioni del sub-economo, vol. III. c. 213b. 37 ACDF, St. st., GG 5 e, Mantova. Miscellanea ab anno 1666 usque 1779, analoga alla vicina posizione GG 4 e, Mutinensis 1658 ad 1781. 38 ACDF, St. st., GG 4 a, Sop(pressi)one delle inquisizioni di Reggio, Modena, Mantova, Milano, Cremona, Como. Soppressione restituzione delle inquisizioni di Piacenza e Parma. 39 Un lacerto di lettera datato 4 dicembre (1774?) segnala il disorientamento della Congregazione sulla temuta soppressione: il domenicano fra Giuseppe Casati riferisce che un miglioramento di salute dell’inquisitore di Cremona permette se non altro di temporeggiare, in attesa di qualche improbabile soluzione non troppo sgradevole. 40 Definitivamente attuata con l’istituzione delle otto province lombarde, il 26 settembre 1786, con editto di Giuseppe II. – 97 – “I Principi ne sanno più di teologia in pratica, che i Padri lettori nella Speculativa” È con l’elaborazione di istruzioni segrete per i funzionari dello stato41 e con il divieto della bolla In coena Domini42 che Maaß fa terminare la fase embrionale del giuseppinismo, ritrovando in questa posizione di principio il momento che segna il passaggio dalla riflessione teorica alla ‘via di fatto’ tramite la rifondazione legislativa dei rapporti tra stato asburgico e chiesa cattolica, sostenendo quel processo, riconosciuto come necessario anche dal passato papa Benedetto XIV, che spogliava la chiesa degli irragionevoli privilegi medievali. All’intraprendente sistematicità e al freddo cinismo di Kaunitz Maaß contrappone la maggior ponderatezza e attenzione alla concretezza delle circostanze esterne propria di Maria Teresa, accondiscendente verso il proprio ministro ma intenta ad evitare asperità troppo sconvenienti, anche dopo la pubblicazione, il Giovedì santo del 1768, della scomunica fulminata il 30 gennaio contro il duca Ferdinando di Borbone in seguito all’espulsione dei gesuiti dallo Stato di Parma. In agosto Firmian scrive dunque al vescovo di Mantova43 (e agli altri vescovi lombardi): a costo di qualche anacronismo vi si mostra il rifiuto opposto da Carlo Borromeo alla bolla di Pio V (lo stesso san Carlo sarà poi 41 MAASS, Josephinismus I, pp. 94 sgg. La prima redazione delle Geheiminstruktionen è datata 2 giugno 1768, (doc. num. 130a). 42 MAASS, Josephinismus I,. num. 150; la versione originaria con correzioni di Kaunitz è senza data, ma proposte di variazioni avanzate da Sperges sono datate 26 settembre 1768 (doc. num. 151). 43 Nella copia conservata in ASMn spicca la posteriore aggiunta di mano ignota “<e trà Essi [gloriosi Predecessori di Maria Teresa], anche il figlio di Maria Teresa, Giuseppe II che fatalmente erasi arruolato alla iniqua setta Framassonica nemica del Trono e dell’Altare!>”. Probabilmente il 13 è il giorno in cui da Mantova venne inoltrata al vescovo, considerato che la lettera all’arcivescovo di Milano è del 9. – 98 – Nella Lombardia Austriaca indicato dalla diplomazia pontificia come uno dei maggiori sostenitori dell’inquisizione nel Milanese) e l’anomalia della sua illegittima circolazione tramite i confessori, per passare rapidamente alla dichiarazione di voler allontanare ogni motivo di scandalo nei confronti dei sudditi, a difesa dello “spirito di semplicità” proprio della pietà cristiana. In definitiva il governo concedeva un mese di tempo per rimuovere tutti gli esemplari della bolla esposti nelle chiese, proibendo per l’avvenire che fossero segnati sul calendario i giorni in cui era obbligatoria la sua lettura pubblica. Inoltre Lo stesso si praticarà per l’introduzione, e ristampa de’ libri de Casisti, o moralisti; Che però sarà parte del Suo zelo l’ordinare per /// la Sua Diocesi un nuovo direttorio de’ casi di coscienza fondato sulle massime elementari della Morale Evangelica, e dedotto dalle sue vere fonti primitive, che non abbia in verun conto l’enorme difetto d’illaqueare le coscienze colle pretensioni meramente temporali del Sacerdozio estranee alla credenza, ed al costume Cattolico. Nell’immediato però il vescovo De la Puebla si sottrae al messo che deve leggergli la comunicazione, sicché viene informato solo indirettamente e informalmente degli ordini governativi44. Promette comunque una 44 ASMn, AG, mat. ecc. XXVII, b. 3279; 13 agosto 1768, lettera da Firmian per il vescovo con la proibizione della Bolla In Coena Domini. Inoltrata tramite il barone Sperges, che ne mantiene copia, e consegnata a mezzo del fiscale Nonio. È accompagnata dalla successiva del 18 agosto 1768, Relazione sul colloquio col Vescovo. “Eccellenza, / Ha presentato l’Avvocato Fiscale Nonio a questo Monsignor Vescovo la lettera, che Vostra Eccellenza mi acchiuse con la copia della stessa per direzione di me, e del predetto Fiscale nella venerata de’ 13 del corrente. Per quante diligenze praticasse in tal occasione il nominato Ministro, affinché il Prelato si disponesse a legger in sua presenza l’indicata Lettera di V. E., non gli è mai riescito di riportarne l’intento, siccome non mancò sul momento di riferirmi. Ma però trovò, ch’era – 99 – risposta, sollecitata da Firmian ancora il 23 agosto. Le autorità locali nel frattempo propongono di inoltrare gli ordini anche ai vicari delle diocesi esterne il cui territorio si estendeva entro i confini politici del Mantovano, operazione che sarà rinviata, preferendo dapprima conquistare la città, e quindi, vinta la resistenza opposta dal clero più vicino al vescovo – che a ragione si supponeva più tenace – agire senza ostacoli sulle campagne, dovere nella presentazione, che fece, di secondare le Sovrane intenzioni di Sua Maestà, per indi sollecitar la risposta da umiliarsi col mio mezzo a V. E., così fece in modo, che il Prelato si pose in curiosità di ricercarlo del contenuto della lettera medesima. Non sì tosto ebbe aperto l’adito, che coraggiosamente soggiunse, che pregava Monsignore di legger la Lettera dell’E. V., perché trattasi in essa di rimuover tutte /// le intraprese, che indirettamente [frappose] la Corte di Roma in questa Diocesi per ingiustamente arrestare l’esercizio della podestà temporale, da Dio {concessa} affidata ai Soli Sovrani, specialmente colla famosa bolla in coena Domini {indebitamente} enunciata nei calendari ecclesiastici, ed esposta in istampa nei confessionali con altre pratiche, che tendono a illaqueare la coscienza con principi del tutto contrari alla semplicità evangelica, e alla buona morale. Lo che uditosi dal Vescovo dopo esser rimasto alquanto sospeso, replicò che non era di lui il dare seguito in questa parte alle risoluzioni di S. M., quindi fu, che l’avvocato Fiscale tostamente passò ad avvertire Monsignore, che era appunto del suo istituto l’eseguire la rimozione degli accennati ostacoli, giacché i mezzi usati dalla Corte di Roma erano stati con ispregio della Sovranità divulgati, e radicati dai Vescovi medesimi, che pur dovean riconoscere d’esser anch’essi sudditi, e però tenuti a mantenere /// invulnerati i diritti temporali, qualunque sia il carattere del sacerdozio, che cuoprono. Con ciò fu, che pregò nuovamente il Prelato di consegnargli la risposta, e ’l Prelato senza far più parola, promise di fargliela tenere prima della partenza della Posta; ma finora non l’ha per anche trasmessa. Su tale proposito credo in bene di far presente a V. E. quanto lo stesso avvocato Fiscale mi ha detto, che dovendosi cioè ritenere le Sovrane Risoluzioni fosse convenevole di far pervenire ai Vicari delle altre Diocesi, comprese in questa Provincia, la stessa monizione atteso che si sa, che anche in esse vi sono i notati abusi del tutto pregiuditievoli ai Sovrani diritti di S. M., e sono con profondissimo rispetto. Di V. E., Mantova 18 agosto 1768”. – 100 – Nella Lombardia Austriaca come avverrà negli ultimi giorni dell’anno45. L’inquisitore padre Mugiasca riferirà alla Suprema Congregazione che il vescovo aveva esposto la bolla nonostante la proibizione dell’Imperatrice Regina46, ma a livello locale la vicenda si svolge unicamente tra il vescovato e i rappresentanti del governo: diversamente da quanto avverrà per la soppressione vera e propria del tribunale non restano documenti o cenni riguardanti i domenicani. Per ottenere il risultato desiderato una mediazione con l’ordine o con la congregazione del Sant’Uffizio non era necessaria: il controllo della stampa di nuovi manifesti (e la distruzione di quelli a magazzino) era saldamente nelle mani del governo47, il contatto dei fedeli con la bolla avveniva principalmente nelle parrocchie, durante la confessione o nei giorni previsti di pubblica lettura, e l’obbligo di leggerla era comunicato ai parroci tramite il calendario ecclesiastico annuale, stampato in città e debitamente censurato dal Revisore delle Stampe, cioè dall’avvocato fiscale Nonio, efficiente esecutore degli ordini di Waters48. La maggioranza dei parroci cittadini non trova 45 28 dicembre 1768, Firmian a Waters: “Ora sarà bene di procedere alla soppressione della medesima Bolla sulla Campagna nel modo divisato, approvando io la Circolare per i Pretori, che mi ha trasmesso coll’avere levate unicamente due parole”. 46 ACDF, St. st., GG 5 e. Della data è leggibile solo l’anno, 1768. Si potrebbe congetturare la seconda domenica di avvento, in parallelo all’uso ambrosiano. 47 Una lettera del 25 dicembre diretta a Milano ci informa della distruzione delle 500 copie rimaste del ristretto dei casi riservati, stampato da Giuseppe Ferrari nel 1742, “quello che si leggeva il giovedì Santo e si teneva nei confessionali”; ASMn, AG, mat. eccl., b. 3279. 48 Giorgio Carlo Waters (la grafia del cognome nei manoscritti è incerta), nato a Vienna da famiglia di origini scozzesi, frequenta studi giuridici. Ricopre incarichi politici in Lombardia, arrivando a Mantova nel 1737, dove rimane pressoché ininterrottamente sino al pensionamento avvenuto nel 1783. Cfr. MORI 1998, p. 178 n. 166. Più in generale cfr. ancora MORI 1998, che si interessa degli aspetti fiscali e amministrativi, e MOZZARELLI 1983. – 101 – nulla da obiettare in questo corto circuito istituzionale, mostrando quanto meno scarsa attenzione al problema. Pare anche evidente che la struttura periferica dei vicari foranaei del Sant’Uffizio (il più delle volte scelti tra i parroci o i curati) non fosse in grado di esercitare una adeguata opera di contro-informazione. In novembre lo svolgimento dei fatti conosce l’accelerazione decisiva: sono distribuiti esemplari a stampa dell’editto di Maria Teresa, viene approntato un modello prestampato da inviare ai “rettori, capi di qualsivoglia chiesa, convento monastero etc.”, con termini ristretti e perentori49, si decide di procedere prendendo singolarmente i nomi dei parroci ubbidienti e contumaci, ottenendo in fine un successo quasi completo:50 in una sola parrocchia di città, Sant’Apollonia, era stato necessario che Nonio levasse personalmente la bolla dal confessionale “con tutta riserva”51, superando così la resistenza dall’arciprete Zani, “acerrimo Consultore del Vescovado”, a riguardo del quale vengono ordinate indagini di polizia. Le risposte dei parroci e le pagine riepilogative preparate dell’amministrazione mostrano però una certa resistenza, alimentata soprattutto dal vescovo, che non poteva permettersi di avallare il provvedimento teresiano e neppure voleva accettare un tacito compromesso. Il procedimento usato dall’autorità politica è comunque 49 ASMn, AG, mat. eccl., b. 3279. 50 ASMn, AG, mat. eccl., b. 3279, 28 dicembre 1768, Firmian a Waters: “Ho provato tutta la soddisfazione nel rilevare dello stimatissimo foglio di V. E. de’ 23 cadente, e dall’annessa Relazione dell’Avvocato Fiscale Nonio, che si dia esecuzione anche per parte di codesto Clero Secolare di Città alla Soppressione della Bolla Coenae, essendo stato ritrovato soltanto contumace l’Arciprete Zani, di cui avrò piacere d’essere informato da V. E. del carattere, costume, e riputazione.” 51 Relazione di Nonio del 19 dicembre 1768. – 102 – Nella Lombardia Austriaca accomodante, prevedendo un manifesto dei casi riservati che avrebbe sostituito nei confessionali le bolle ritirate.52 L’elenco dei refrattari, spedito a Firmian affinché abbia il quadro “della disposizione del Clero ad ubbidire ò non ubbidire” sarà conservato sotto chiave e senza farne uso.53 Con qualche semplificazione e approssimazione, dovuta all’uso di formule talora ambigue (forse volutamente) e senza distinguere tra bolla e ristretto dei casi, la situazione è illustrata in tabella. 52 Conservate e riordinate assieme alle notifiche degli ordini e alle risposte autografe di parroci e religiosi; della loro effettiva esposizione fanno fede i fori dei chiodi o le pecette talvolta rimaste a tergo. 53 ASMn, AG, mat. eccl., b. 3279, 4 dicembre 1768, la Giunta di Vice Governo a Firmian. – 103 – Riepilogo delle lettere responsive relative al divieto di esposizione della 13 10 - - 2 - 2 5 64 6 25 1 12 6 20 6 3 6 12 2 99 rifiutano 1 34 3 - 1 2 - - - - - 41 temporeggiano - 2 - - - - - - - 1 - 3 19 81 4 25 17 22 6 5 6 15 7 207 TOTALI TOTALI parroci delle Terre delegate parroci della diocesi di Brescia confessori delle monache parroci della diocesi di Cremona regolari della diocesi (città esclusa) - parroci della diocesi di Reggio regolari di città 20 parroci della diocesi di Verona parroci della diocesi (città esclusa) 12 non hanno la bolla eseguono altri secolari di città parroci della città bolla In coena Domini Note: 1) I pochi regolari presenti nei territori dello Stato soggetti a diocesi diversa da Mantova sono conteggiati assieme ai parroci. 2) Altri di città corrisponde al clero secolare urbano non direttamente soggetto al vescovo (Abate di Santa Barbara, Primicerio di Sant’Andrea, Arciprete di San Giacomo, Arcidiacono e penitenziere). – 104 – Nella Lombardia Austriaca composizione del clero interpellato parroci diocesi (città esclusa) parroci città altri città parroci fuori diocesi regolari città regolari dello Stato confessori delle monache dettaglio in valori assoluti 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 parroci diocesi parroci città altri città parroci diocesi fuori Stato regolari città rifiutano gli ordini non hanno la bolla temporeggiano obbediscono – 105 – regolari dello Stato confessori delle monache Risposte al divieto di esporre la bolla "In coena Domini" 1) Riepilogo complessivo delle lettere responsive obbediscono temporeggiano non hanno la bolla rifiutano 2a) Clero secolare nella diocesi di Mantova (città + campagna) 2b) Clero secolare nelle parrocchie sottoposte a diocesi esterne 2c) Religiosi regolari e confessori – 106 – Nella Lombardia Austriaca Cosa stia dietro ai numeri è in parte chiarito dalla corrispondenza fra i singoli religiosi e l’autorità: le dichiarazioni di essere fedeli sudditi di Sua Maestà non si contano, e sono quasi sempre controbilanciate dal ritenere assai più vincolanti i sacrosanti giuramenti prestati al vescovo e al papa, tanto che appare isolata la risposta del guardiano dei Cappuccini di Goito, che sillogizza come l’imperatrice detenga una potestà ordinata da Dio, e quindi resistervi sarebbe resistere al volere divino. Più insipido l’assenso dei Domenicani di Mantova,54 che contrasta con la risposta del Capitolo della Cattedrale, di tenore opposto e di elaborazione decisamente barocca; sono invece assai simili fra loro e concordate fra parroci di paesi vicini le responsive che provengono dallo Stato. È comunque evidente che la posizione più agevole era quella di quanti non avevano mai esposto la bolla (notizia talvolta verificata dall’avvocato fiscale, di persona o interpellando testimoni) che potevano dichiarare indifferentemente obbedienza di fatto o diniego di principio senza rischiare conseguenze. Si tratta di un caso frequentissimo nelle parrocchie esterne alla diocesi ma non raro neppure nel mantovano; una trascuratezza che stupisce, considerato che solo due anni prima De la Puebla aveva ristampato con poche variazioni il manifesto del 1742, emesso 54 ASMn, AG, mat. eccl., b. 3279, “1768 24 novembre / In riscontro del pregiatissimo foglio di Vostra Signoria Illustrissima de’ 19 corrente, che riguarda l’osservanza del reale editto di Sua Maestà la Clementissima Sovrana concernente la Bolla denominata in Coena Domini, ho l’onore di assicurarla d’essersi data pronta esecuzione per parte di questo mio Convento, e di tutte le sue dipendenze; cioè del Monastero di San Vincenzo, e del Collegio delle Terziarie, al sucennato Editto; e che in questo, e in qualunque altro incontro de’ Veneratissimi Comandi della Maestà Sua, e del Eccellentissimo Governo troverà in noi un’esatta, ed illimitata ubidienza, ne’ sentimenti della quale mi rassegno col più costante ossequio / di Vostra Signoria Illustrissima / San Domenico Mantova li 24 novembre 1768 / Umilissimo Divotissimo ed Obbligatissimo Servitore / Frate Giacomo Maria Bonfichi Priore”. – 107 – dal vescovo Guidi di Bagno55, ancora tanto diffuso quanto a suo tempo poco applicato56. È altrettanto evidente che i 32 parroci che hanno ritirato la bolla non hanno interpellato il vescovo, o per evitare imbarazzi “in tal bivio di cose”, o per ostentare devozione alla corona (come Petrozzani, arciprete di Sacchetta) o forse perché tutto sommato condividevano il provvedimento, come sembrano voler insinuare quei parroci di città che comprendono non esser stato proibito per altro se non per la massima che questa contenga disposizioni aliene al Ministerio Sacerdotale, ed attentatorie alla Suprema legislativa podestà del Principato [… ma] che sono bensì costretti ad aver presente un semplice ristretto de’ Casi riservati alla Santa Sede ed al Vescovo, come regola direttiva nel Foro Sacramentale. Considerato che il vescovo non sembra intenzionato a compiere gesti plateali57, nella loro corrispondenza di fine anno Waters e Firmian possono discutere con una certa calma sulla modalità di pubblicazione dei 55 Concordanti per la parte di validità universale, in entrambi i casi desunta dalla pubblicazione del 1741 ordinata da Benedetto XIV. 56 In ACDF, St. st., GG 5 e, in data 13 marzo 1744 è conservata la nota sui 34 conventi, tra città e contado, che non avevano lette ad alta voce le costituzioni apostoliche, disobbedendo all’editto dell’inquisitore. Alcuni risposero candidamente che l’unico avviso a stampa in loro possesso era stato affisso alla porta e che non avrebbero mancato di darne lettura in refettorio se solo ne avessero avute due copie e più precise istruzioni. Siamo molto lontani dalla scrupolosità imposta da Roma nel 1607, quando la pubblica affissione e lettura della Si de protegendis in doppia versione, latina e volgare, era sta stata registrata da appositi strumenti notarili. (ACDF, St. st., LL 1, fasc. 1, 24 settembre 1607, notaio del Sant’Uffizio mantovano Francesco Bottazzi). 57 28 novembre 1768, bozza di lettera da Waters a Firmian: “Il peggio sarebbe se questo Monsignor Vescovo ardisse <secondo la passata abusiva pratica> di farla in questo Duomo repubblicar nel giovedì Santo all’altare; non crederei però che volesse giugnere a tanta temerità”. – 108 – Nella Lombardia Austriaca “Casi riservati al Sommo Pontefice, senz’altra aggiunta” cioè del contenuto propriamente ecclesiastico, e non politico, della bolla ricusata. Non era necessario però forzare la mano: quando il vescovo si fosse esposto per primo riprendendo l’argomento, sarebbe bastato cercare un accordo ufficioso e amichevole, e mostrarsi preparati tramite la lettura delle Riflessioni sopra la bolla ‘In Coena Domini’ del teatino Tommaso Antonio Contin, appena apparse a Venezia, libro che – suggeriva Firmian – “deve essere molto istruttivo, ed utile al nostro intento.”58 Ignorando che di lì a poco Clemente XIV avrebbe rinunciato a pubblicare l’avversatissima bolla, vengono redatte delle “appostille fatte marginalmente al ristretto stampato costì l’anno 1742”59: l’attenzione è tutta sugli articoli dal 13 al 18. Il 17 va rifiutato perché “troppo generale”, applicandosi agli usurpatori di qualsiasi giurisdizione ecclesiastica; il 13 e il 14 vengono rigettati perché puniscono chi avesse ostacolato l’esecuzione delle Lettere Apostoliche; la soppressione del 15, del 16 e del 18 rimuove il divieto di assoggettare i religiosi a tribunali secolari e rende possibile l’imposizione di tasse anche ai patrimoni ecclesiastici. Tra i pochi ad accennare ai risvolti locali dell’azione governativa è Leopoldo Camillo Volta: annotando che De la Puebla fu tra i vescovi che più fortemente si opposero al potere politico, assieme a quelli di Milano e Pavia60, voleva forse alludere anche alla “lettera pazza e fanatica” pubblicata sulla Gazzetta di Lugano61 nominata da Pietro Verri nella sua corri58 ASMn, AG, 59 mat. eccl., b. 3289, Firmian a Waters, 28 dicembre 1768. Ivi. 60 Volta, Compendio …, vol. 5, p. 234. 61 Propriamente, sino al 1797, Nuove di diverse corti e paesi, pubblicato a Lugano dalla famiglia Agnelli; l’avviso che nel giugno 1746 pubblicizzava il primo numero avvertiva che a Mantova sarebbe stato distribuito dagli Eredi di Alberto Pazzoni, distributore anche nel 1767 e nel 1776 (CALDELARI 1999, pp. 579-580). Nel 1818 il distributore mantovano è – 109 – spondenza al fratello Alessandro62: pare che il vescovo abbia preteso una comunicazione autografa da parte dell’imperatrice. Poteva trattarsi di un espediente per allungare i tempi, o di un eccesso del vescovo, o forse di una impostura, come prosegue Questo è un seguito di frenesie. È scritta poi indiavolatamente. L’ “affare importantissimo”; aggiungetevi qualche cosa di più!: “e rilevante”. Bravo monsignore! “In contingente di minore calibro”; si vede che monsignore vuol far sapere d’esser fratello d’un generale d’artiglieria. È una bestia. Ma non si può dire di certo s’egli l’abbia scritta. Fors’anco il governo spargerà voce in contrario in ogni caso, perchè, non potendolo forse sfrattare, non vorrà che si veda impunemente offeso. Chi sa come vada questa faccenda? Una cabala v’è da qualche parte. La lettera c’era per davvero, e appare alquanto meschina se confrontata con le risposte dei vescovi di Milano e Pavia,63 incentrate Braglia, quindi Caranenti (1819) e infine la Posta (1820 e 1821), cfr. MENA 2003, p. 176. Sul ruolo della rivista nella vita culturale e politica della Lombardia cfr., oltre ai due testi citati, anche CESCHI (CUR.) 2000. Sulle Nuove di diverse corti e paesi comparvero anche la lettera di Firmian ai vescovi lombardi e la risposta dell’arcivescovo di Milano, il cardinal Giuseppe Pozzobonelli. 62 VERRI, Carteggio, II, XVII (152), pp. 33 sg. Così Alessandro Verri il 17 settembre 1768 trascrive la risposta di De la Puebla: “L’affare importantissimo e rilevante intorno alla Bolla In Coena Domini, su cui Vostra Eccellenza a nome regio mi scrisse in data del 9 scaduto, a me deve essere comunicato non già da subalterni, ma dall’Augustissima Sovrana, quale, in contingente di minore calibro, non isdegnò indirizzarmi le sue santissime mire, e segnarle col suo proprio pugno. In attenzione di esse, allorché costì le invii, saprò regolarmi, e con pieno rispetto, ecc.”. 63 Una trascrizione delle tre lettere è disponibile presso la Biblioteca Ambrosiana, senza che sia possibile risalire all’origine dei manoscritti di argomento ecclesiastico rilegati in volume sotto la segnatura Ambr., P 268 sup., cc. 134r-138r: – 110 – Nella Lombardia Austriaca “[136v] Risposta data dall’Arcivescovo di Milano a Sua Eccellenza il Signor Conte di Firmian li 23 Agosto 1768. Con lettera de’ 9 corrente da me ricevuta solamente nel giorno 11 nella Villa di Gropello Vostra Eccellenza si compiace avvisarmi in nome Regio, che ne modi in essa lettera espressi sopprima in questa mia Diocesi la Bolla denominata in Coena Domini, come complessiva d’ingiuste pretenzioni della Corte di Roma, e mancante della necessaria legittima pubblicazione in questo Stato. Non appartiene al mio ufficio di esaminare se la detta Bolla contenga, o nò pretenzioni ingiuste. Venero rispetto, e venererò sempre con quella divozione, e rispetto che deve ogni buon Cattolico, non che un Vescovo, gli Oracoli del successore di Pietro, ne sarà mai ch’io ardisca, di togliere, o diminuire l’attività di quelle Leggi, che dalla suprema podestà della Chiesa sono emanate. Quanto alla pubblicazione, che in tanto si suppone illegitima, in quanto si asserisce mancante del necessario requisito del Regio Exequatur e perché si vole eseguito dal Cardinale di Santa Prasede di Santa Memoria per comando di Pio V, e del Cardinale Alessandrino con mezzi indiretti, dovrebbe costare che il Regio Exequatur fosse a tempi della promulgazione di detta Bolla in Milano in uso, come forse sarà stato a Napoli. Crederei poi di far torto alla Santità del glorioso mio Antecessore se convenissi all’asserzione che essendo egli consapevole che li sarebbe stato denegato il Regio Exequatur si astenesse dal pubblicare la predetta Bolla e fosse obbligato invece di divolgarla con mezzi indiretti, [137r] ed illegittimi. Il costante zelo del Santo per l’onore e gloria di Dio, non avrebbe certamente sofferto di essere obbligato a caminare per vie torte, ed indirette. Onde dubito che questa parte [sic] non siano state troppo fedeli i rapporti Istorici fatti a Vostra Eccellenza perche a me costa diversamente, risultandomi anzi che S. Carlo più volte, e nella Città, e nella Diocesi, e nella provincia la fece pubblicare solennemente, non solo prima, ma anche dopo l’ordine ricevuto da S. Pio V. di denonciarla a Confessori, e Religiosi, quall’ordine fu anche con intelligenza del Governo. Aggiunga V. E. che le pratiche indirette, che si dicono usate sono piutosto atti consecutivi d’esecuzione alla pubblicazione della Bolla che mezzi inventati per divolgarla, anzi nel numero di queste pratiche d’integrità da Storia pare richiedesse, che non si dovesse ammettere lasso costante, che ne hanno fatte solenemente S. Carlo, e gli altri miei Antecessori in occasione delle note controversie Giurisdizionali, con la successiva ricognizione de Regi Ministri nell’atto di riconciliarsi colla Chiesa. Attribuisca V. E. questa breve mia Appologia alla venerazione che giustamente professo – 111 – sull’autorità del successore di Pietro e sulla correttezza anche formale dell’operato di san Carlo Borromeo, i cui “mezzi indiretti, ed illegittimi” appaiono una forzatura delle fonti storiche operata dai compilatori favorevoli all’Austria. Il cardinal Carlo Francesco Durini, che aveva avviata la propria brillante carriera proprio come inquisitore64, accenna pure alla alla memoria di un così Santo Arcivescovo della mia Chiesa, e voglio lusingarmi che non sarà discara anche a V. E. che so essere penetrata di non dissimile sentimento, e stima della di lui Santità. [137r] Risposta dell’Eminentissimo Durini Dopo fatte serie riflessioni intorno alla Lettera Or[t]atoria, e deprecatoria, che così è piaciuta a Vostra Eccellenza denominare indirizatami sul valore della Bolla in Coena Domini ho ritrovato che questa sia stata prodotta nella Chiesa Cattolica da un Successore di S. Pietro a cui disse Cristo Salvator nostro “Tu sei Pietro e, sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e qualunque cosa tu legherai su la terra sarà parimente ancora legata in Cielo”. Certamente che il Salvatore non intese parlare de peccati così attuali de’ Cristiani contro il decalogo, perche questi sono da per se legati nel Cielo. Dunque il Salvatore Nostro volse intendere di tutte quelle cose che sarebbono state da lui, e da suoi Successori legate in terra per il bene della religione secondo li tempi e circostanze del Mondo. Di più rifletto che tal Bolla fù emanata su la terra da un Santissimo Pontefice, e pubblicata nelle nostra parti da un Santo Arcivescovo della Provincia di Milano ducentanni fa ammendua Cannonizzati, e che si venerano col debito culto dalla Nostra Augustissima Sovrana, da Vostra Eccellenza e da tutti li buoni Cristiani che riconoscono il Vescovo di Roma come Capo Visibile della Chiesa Cattolica costituito dal nostro pietoso Redentore. Quindi non è da credersi che vi sia per essere alcun Vescovo che si prenda l’arbitrio di diminuire in tutto o in parte quelle leggi che formano il constitutivo della Bolla senza l’intervento della Autorità del Romano Pontefice riformata, e interamente annullata. Sottopongo alla [138r] mente di Vostra Eccellenza tutti questi riflessi, perche sperarei che mandati alla Corte potessero far cambiare il metodo di trattare quest’affare, quando riconosca necessaria al ben pubblico la diminuzione di qualche articolo secondo le Santissime mire dell’Augustissima padrona.” 64 Dal 1735 al 1739 titolare della onorifica sede di Malta, quindi nunzio a Lucerna e a Parigi. Amico del cardinal Valenti Gonzaga (che pure ricoprirà più avanti la carica di nunzio in Svizzera), si distinse come attento segnalatore di opere pericolose al – 112 – Nella Lombardia Austriaca ‘facoltà di sciogliere e di legare’ il cui valore non è esclusivamente teologico, ma si estende anche a fondamento del diritto e ad ogni disposizione pontificia impartita a difesa della religione. La diffidenza di Verri era dunque mal diretta, ma non immotivata, giacché il periodico ticinese65, proibito nel 1768 nello Stato della Chiesa per la sua polemica antigesuita, era stato interessato pochi mesi prima da un’altra vicenda simile: un certo Agostino Falavigna, mantovano, aveva indirizzato alla gazzetta ticinese una lettera piena di false notizie riguardanti i gesuiti, sperando che la sua pubblicazione sulla gazzetta consentisse di mostrarne le falsità ottenendo l’effetto di screditare il giornale, che infastidiva i fiancheggiatori dell’ordine. L’imbroglio era stato ordito forse dal gesuita padre Mari66, o forse da Luigi Castellani, ‘dottor fisico’ che frequentava con confidenza la casa del marchese Carlo Valenti. Queste almeno le conclusioni dell’indagine condotta dal barone Waters dietro ordine dell’onnipresente Firmian. L’anno successivo il giornale di Lugano sarà motivo di irritazione anche per Luigi Valenti Gonzaga, vescovo di Cesarea e dal 1764 nunzio apostolico (di simpatie conservatrici)67 a Lucerna. Scrive a Roma, a un anonimo cardinale forse del Sant’Uffizio, quanto sia spregevole un parroco luganese ritenuto uno dei principali informatori dell’Agnelli, il quale “senza Sant’Uffizio, addirittura troppo zelante secondo il giudizio della Segreteria di Stato; cfr. DBI, Durini, Carlo Francesco (Satta 1993). 65 Per tutta la vicenda cfr. CALDELARI 1999, p. 145 sgg. doc. 6; pp. 658-661 docc. 178- 182; p. 737. 66 Probabilmente da identificare in Giuseppe Mari, originario di Canneto sull’Oglio; dal 1762 a Mantova come confessore e lettore di matematica presso il Ginnasio; cfr. DBI, Mari, Giuseppe (Mercanti 2007) e TOMASINI 2008. 67 DSS, Valenti Gonzaga, Luigi (U. Fink, versione italiana del 18/06/2012); CALDELARI 1999. – 113 – riguardo parla di tutti con egual linguaggio”68. Nella stessa lettera il nunzio accenna alla censura libraria in Svizzera ed esprime sollievo per le mancate innovazioni circa la bolla In coena Domini, riguardo la quale si ventilavano politiche simili a quelle degli stati vicini, cioè Lombardia Austriaca e Repubblica di Venezia. Il 7 settembre 1768 infatti il Senato veneziano aveva imposto che i vescovi effettuassero visite sistematiche ai religiosi regolari, sottoponendoli al proprio controllo e sostituendosi ai superiori interni agli ordini, in violazione della medesima bolla In coena Domini. Disubbidì apertamente al Senato il cardinale Giovanni Molin, vescovo di Brescia, che abbandonò il territorio veneto (col pretesto di visitare le reliquie di san Luigi Gonzaga a Castiglione delle Stiviere) per riparare a Mantova, ospite di De la Puebla, e quindi a Ferrara e Roma69, ricavandone per altro poca soddisfazione. La notizia era arrivata a Mantova rapidamente, perché da Canneto (Stato di Mantova ma diocesi di Brescia) l’anziano arciprete, “di partito regio, e tutto austriaco” aveva subito informato il capoluogo: Ella [per ‘egli’, scil. il vescovo di Brescia] è provenuta dalla intimatione del suo Principe o di dover visitare i conventi de Regolari, o partire. Non così hanno pensato gli altri vescovi, che fanno le visite, e riforman gli abusi dei chiostri, che non sono pochi; pensando di sopprimere tutti gli conventi delle Terre. Se avessi potuto avere la sorte di qui albergarlo ospite nel suo passaggio, come sono stato onorato dagli altri suoi Predecessori, mi sarei gittato genuflesso a di lui piedi per trattenerlo nella sua diocesi: ma la fantasia si è riscaldata, e non 68 CALDELARI 2002, pp. 611 sgg., doc. num. 135, datato 28 ottobre 1769 e tratto da ASV. 69 Cfr. DBI, Molin, Giovanni (Canato 2011). – 114 – Nella Lombardia Austriaca si raffredderà se non col pentimento. Questo non è il tempo di consultar i Teologi, né i Direttori Regolari. I Principi ne sanno più di teologia in pratica, che i Padri lettori nella Speculativa. Waters, compiaciuto, non riesce a trattenersi dal leggerla a De la Puebla, ricavandone buon auspicio: lessi [a] Monsignore si fatte riflessioni, senza però indicargli l’autore. Egli si mise a sorridere, e m’accorsi ancora d’avergliene quelle e ’l discorso tenuto seco fatta buona impressione. Iddio gli conceda il dono della perseveranza.70 Il confronto tra Roma, Milano e Vienna Eliminati i presupposti sanciti dal diritto (o dall’abuso) si poteva passare allo smantellamento della struttura burocratico-amministrativa dell’Inquisizione. Nel maggio del 1774 infatti, alla morte di padre Antonio Bossio, il conte di Firmian aveva rifiutato l’ingresso in Pavia al suo sostituto, il domenicano Pietro Martire Rossi, che ne attendeva il placet a Milano. L’autorità ecclesiastica non è sorpresa di questa ostilità, ma per salvare il principio e per non lasciare nulla di intentato il cardinal Visconti riceve istruzioni per inoltrare, se possibile “sotto gli occhi dell’istessa Imperatrice Regina”, una memoria pontificia71 che risulta essere accompagnata al cancelliere di Corte e di Stato il 22 maggio 1774. Nello stesso periodo a Vienna si stava discutendo anche dell’impiego degli ex-gesuiti nella cura d’anime e delle esenzioni per i mendicanti francescani, segnatamente per i “settanta conventi e circa 2272 70 ASMn, AG, 71 mat. eccl., b. 3289, 25 dicembre 1768, bozza di lettera da Mantova a Milano. ACDF, St. st., GG 4 a, 21/5/1774. – 115 – religiosi” che nella Lombardia “vivono necessariamente tutti a carico del popolo facendo questue e non rendono gran servizio alla religione”72. La corte austriaca si mostra duttile nell’adeguarsi alla situazione: nel caso dei francescani attende gli esiti del capitolo generale, che sarà a Roma e che lascia prevedere l’intervento del pontefice; nel caso degli ex-gesuiti decide di ignorare gli ordini papali, demandando ai vescovi austriaci la scelta di affidare loro o meno la cura d’anime, caso per caso, ma senza dare nell’occhio per il troppo numero o per i troppi benefici collazionati; per la Lombardia Kaunitz suggerisce sporadiche eccezioni ma ritiene più opportuno il loro impiego lontano dallo spirituale e dal civile, confinandoli di preferenza in qualche meritoria impresa libraria73. L’intento è di “rimettere in vigore l’autorità de’ parrocchi”74 limitando l’influenza, soprattutto nelle campagne, della predicazione francescana o genericamente regolare. Nel caso del tribunale della fede invece la contrapposizione sarà netta e ufficiale e lo scambio tra Roma e Vienna si riduce a un contrasto svolto secondo i medesimi stili di pensiero e le stesse regole di comportamento, ma condotto attraverso differenti principi, differenti interpretazioni dei termini e differenti ricostruzioni del percorso storico che dal medioevo ha portato all’età dei lumi. La memoria presentata dal cardinal Visconti Scrive dunque a Maria Teresa Clemente XIV, tramite il nunzio apostolico cardinal Visconti, che la politica viennese, preparata dalla forzosa inazione del tribunale, è scopertamente diretta ad “annichilire 72 73 Kaunitz a Maria Teresa, Vienna, 5 marzo 1774, in MAASS, Josephinismus II, num. 35. A Mantova gli ex-gesuiti sono riuniti attorno a Saverio Bettinelli e allo spagnolo Giovanni Andrés, autore tra l’altro del catalogo dei manoscritti della biblioteca Capilupi. Sull’esilio italiano dei Gesuiti spagnoli cfr. GUASTI 2006. 74 Kaunitz a Firmian, Vienna, 24 novembre 1774, in MAASS, Josephinismus II, num. 42. – 116 – Nella Lombardia Austriaca l’autorità del S. Offizio nello Stato di Milano”75. La giurisdizione pontificia esercitata tramite il tribunale è conseguenza della tradizione del primato di Pietro, ed è coerente all’universalità del compito pastorale che alterna la severità delle pene alla dolcezza delle esortazioni – sorvegliare riconciliare e punire – “acciocche fosse tutta la greggia da velenosi pascoli tenuta lontano, e da rapaci lupi difesa”. Il gregge cristiano è in una perenne condizione di pericolo, ma la nascita dell’inquisizione come istituto organizzato è storicamente determinata dall’attività di Innocenzo III e di Gregorio IX, che sarebbe stata rinvigorita da Federico II di Svevia nel 1244, con un esemplare allineamento dell’Impero sulle posizioni pontificie, che permise che gl’Inquisitori dati dalla Sede Apostolica esercitassero liberamente il loro ufficio in tutte le Città, e luoghi soggetti all’Impero, e principalmente in partibus Lombardiae. Il dilatarsi del tribunale a tutta la Cristianità è segno della bontà dei fondamenti, e dalla storia universale la memoria pontificia può scorrere al particolare: In Lombardia però, e nelle vicine contrade d’Italia, ove per le serpeggianti eresie de’ Valdesi, Catareni76, Catari, Arnaldisti, Manichei, dirette avevano Gregorio IX, e l’Imperator Federico le prime, e le più pressanti loro 75 ACDF, St. st., GG 4 a, 21 maggio 1774. Più avanti si legge una lucida analisi del recente passato: “Questo florido stato però, in cui era una volta l’Inquisizione in Lombardia, à cominciato già da qualche anno a illanguidire. Non è più vigorosa la sua Autorità, non operosi i Ministri, è inferma la loro voce, debole il braccio, e colle recenti determinazioni del Governo di Milano si è quasi estinta, e soppressa l’inquisizione di Pavia.” 76 Sic, per ‘patareni’, patarini. – 117 – sollecitudini, prese tanto vigore l’Inquisizione, e fu riputata così utile, e necessaria, che Innocenzo IV commise al Provinciale de’ Padri Predicatori di creare quattro Inquisitori in tutto il Paese, che si stende da Bologna fino alle Alpi, ed il B. Benedetto XI n’accrebbe il numero a dieci, e poi col decorso del tempo, in luogo di questi Inquisitori dati promiscuamente ad una Provincia, ne furon surrogati degl’altri fissi, e permanenti nelle Città più cospicue, a quali fù assegnato un territorio, ed un confine per l’esercizio della loro giuridizione, acciocche niuno entrasse nella /// messe altrui, e tutto con ordine si disponesse in presidio e difesa della Fede, e della Religione. Infine il caso all’origine della questione, Pavia, dal 1509 sede permanente di una serie ininterrotta di 44 inquisitori tutti domenicani, le cui rendite promosse da Pio V avevano incontrato il favore del principe e la cui giurisdizione sulla diocesi è rimasta illesa anche con il passaggio di parte del territorio pavese al confinante Regno di Sardegna. Dimostrata la bontà dei principî e la fondatezza del caso particolare, cioè la sua contiguità cronologica con una serie storica che non ammette ripensamenti, occorre comprendere la discontinuità impressa dalle autorità austriache. Non è causata da fattori contingenti, perché padre Pietro Martire Rossi, cremonese di nascita e quindi suddito di Maria Teresa è di “irreprensibile condotta” e sembrava destinato a raccogliere il favore delle autorità lombarde, in quanto già apprezzato come inquisitore a Gubbio e ancor prima come vicario per lunghi anni a Milano. La Congregazione e il papa Clemente XIV avevano dunque ben chiaro che non si trattava di una schermaglia di ancien régime – limitata a una contrattazione esasperante ma pur sempre inserita nei binari della tradizione – bensì che si mirava al sovvertimento del Sant’Uffizio, o – 118 – Nella Lombardia Austriaca piuttosto all’assunzione da parte dello Stato di alcune delle funzioni di controllo già proprie del Sant’Uffizio, operazione del resto già tentata con i dispositivi di censura libraria. Come emerge dalla corrispondenza interna alla Congregazione, le autorità ecclesiastiche non riuscirono a immaginare (o non vollero) una nuova istituzione che si sostituisse alla precedente, preferendo invece rifiutare ogni compromesso nella speranza che il corso del tempo desse occasione di ristabilire il tribunale avversato dalla casa d’Austria. Se per ragioni di opportunità diplomatica escludiamo l’attacco diretto alle opinioni e ai ragionamenti della corte, per spiegare tanto odio nei confronti del tribunale non resta che ricorrere a false rappresentazioni, a “quelle tetre, e bugiarde dipinture dell’Inquisizione, che ne ànno fatte gl’Eretici e gli Atei”. Viene disposta una metafora bellica, secondo la quale l’eretico è “Nemico assalitore” che batte “con maggior impeto la Piazza, ove sa che è più valida la difesa”, cercando cioè di screditare l’ “antemurale inespugnabile” che ha salvato l’Italia dall’eresia che la minacciava d’Oltralpe. A luteranesimo e calvinismo si allude usando il tempo passato, come ormai definitivamente sventati (cioè: esclusi dall’Italia e accettati come inevitabili entro confini chiusi ma non troppo ristretti) e sostituiti da pericoli “quali e l’empietà delle massime, e la corruzione del costume, e la copia pestifera de’ libri sacrilegi”, di cui è inondata anche la Lombardia. Dall’ortodossia del dogma e dall’osservanza dei sacramenti, tacendo le vessazioni antiebraiche, l’attenzione si sposta sulle massime e sui costumi che dall’esterno corrodono l’autorità della religione, scegliendo un bersaglio culturalmente e sociologicamente diverso rispetto al Cinquecento, benché resti il dubbio che la memoria del cardinal Visconti sia viziata dall’intento apologetico e dall’essere destinata a un ben determinato uditorio. La seconda parte del memoriale è dunque una perorazione dell’opportunità e giustizia dell’Inquisizione, anzitutto sgombrando il – 119 – campo dall’alone di crudeltà e dai pregiudizi negativi diffusi al di là delle Alpi, rassicurando sulla bontà delle procedure, forse talora disattese, ma certo paragonabili a quelle dei tribunali di Stato.77 Si ammette che, benché il Milanese sia un caso fortunato78, la stessa inquisizione non è immune da quella malattia degenerativa che corrompe il cristianesimo a mano a mano che ci si allontana dal vertice della gerarchia: Non bisogna altronde prenderne la vera idea, se non di là, ove à avuta la sua origine, ove si osservano rigidamente le sue leggi, e dove risiedono i suoi principali Ministri. In Roma dove à la sua principale sede, e dove tutta può ampiamente estendere la sua autorità, si veggono forse quelle condanne degl’innocenti indifesi, quella perversione d’ogn’ordine giudiziale, quell’atrocità di pene, che muovono a sdegno i nemici dell’Inquisizione? Nella sua forma ideale la giustizia promossa dalla Congregazione non è vendetta contro il delinquente (come accade invece ai magistrati 77 “Si tolgano gl’abusi; si riguardi l’Inquisizione nel suo vero, ed originario sembiante, smascherato dalle imposture de’ suoi detrattori, e si penetri nel fondo, e nell’intenzione della Chiesa, che l’à istituito e si vedrà, che ella qual buona Madre, piena di tenerezza, e di sollecitudine per la salute eterna de’ suoi Figliuoli, à posto questo freno per arrestare l’empietà di coloro, che ardiscono con sacrilega apostasia profanare l’Altare, /// corrompere la Religione, ed insultare la Divinità.” Similmente anche il memoriale del 1775 (ACDF, St. st., GG 4 a): “Sono pur ombre, e chimere le esagerate carneficine, e i decantati tormenti, e lo spirito sanguinario, da cui si suppone animato il Tribunale dell’Inquisizione.” 78 Nello Stato di Milano ella è stata sempre assecondata da saggi, e valenti huomini, che presiedettero a questo Tribunale. <Nello stato di Milano non si posson contare> gl’eccessivi rigori d’altri Paesi, o l’abuso dell’autorità confidata agl’Inquisitori. E se vi fosse pericolo, che un qualche disordine vi scorresse, non lascierebbe di avvedersene la vigilanza de Regi Ministri, e vi darebbe pronto provvedimento l’autorità della Sede Apostolica. – 120 – Nella Lombardia Austriaca laici), privilegia pene miti, è cauta nel valutare indizi e sospetti sfavorevoli al reo, vaglia l’attendibilità dei testimoni e contemporaneamente li tutela dalle ritorsioni degli avversari, evita la carcerazione preliminare al processo, tutela la pubblica reputazione degli inquisiti, ne favorisce la difesa e ammette le prove a discarico. Che più! Il Tribunale dell’Inquisizione assolve impunemente chiunque contrito, si accusa spontaneamente del suo delitto, ne accetta ancora per alleggerire la pena la ingenua confessione fatta alla prima interrogazione del Giudice; e quando pur finalmente gli si strappa dalle mani, il castigo è sempre mite, e discreto, sempre diretto da uno spirito di dolcezza, che brama l’emenda, non la perdita del Peccatore, che non ne vuole la morte, né l’effusione del sangue, e se talvolta deve consegnarlo al Braccio Secolare, si fa la Chiesa stessa interceditrice per lui e ne implora dal Giudice Secolare la vita. E qual’altra Legislazione /// Criminale è di questa più mite, e più circospetta? È assente il concetto di una evoluzione interna alle procedure e alle pratiche inquisitoriali nei secoli predenti, e – a meno di non attribuire al cardinal Visconti una completa malafede – è rimosso il valore ipocritamente eufemistico del ‘sine effusione sanguinis’ che accompagnava le sentenze79. Come accade per il governo secolare, gli abusi del tribunale, che ci vengono raccontati da ‘vecchie storie’, sono stati causati da colpe 79 Condanne a morte non mancarono nel corso del Settecento, anche se gli incerti numeri disponibili fanno pensare fossero ben lontane dall’abbondante 5% sul 38% di processi portati a termine, cioè circa il 2% del totale) stimato da MARTIN 1991 sulla scorta della documentazione presente in ASVe. DEL COL 2006, p. 773 conta due uccisioni nel ’700 per la sede di Roma, avvertendo della lacunosità dei dati. – 121 – individuali, o dell’ ‘indole dei tempi’, e non certo dall’inadeguatezza dell’istituzione, che nella sua essenza è strumento prezioso per la Chiesa e per lo Stato. L’inquisizione trova la sua necessità fuori dal tempo, nel costante pericolo della Chiesa di fronte agli attacchi di atei e miscredenti, la sua giustificazione di diritto nel passato ecclesiastico e profano (l’atto istitutivo di Innocenzo III e il sostegno concessole da Federico II), la sua opportunità e compatibilità col tempo presente nell’esercizio di procedure temperate dalla ragione e allineate alle migliori pratiche correnti. Tralasciando la strumentalità dello stato rispetto alla fede, è ben evidenziato che lo stato non possa reggersi senza la religione (cioè senza l’unità religiosa sotto il cattolicesimo romano) e che entrambi richiedano uniformità ai propri ‘soggetti’: Ma se parlando col linguaggio de’ Politici, la gravità de’ delitti si misura dal danno, che essi fanno alla società, qual maggior perdita può fare lo Stato, se perde la Religione? Non riguardiamo le più terribili, e le più inevitabili conseguenze di questa perdita, che c’insegna la Rivelazione, e la Fede; essaminiamo quelle, che ci offre una Politica temporale, e terrena. Non è egli vero, che se manca la Religione, manca ancora il freno più potente, e più efficace per contenere i Popoli ne’ loro doveri, e nelle soggezione a propri Sovrani? La difformità delle opinioni in materia di Religione accende tanto, e fermenta lo spirito de’ liberi Pensatori, che dimentichi essi dell’ossequio, che debbono a Dio, rompono anche /// i vincoli delle leggi, e sacrificano a loro <capricciosi ritrovamenti> tutti i riguardi della pubblica e civil Società. [… … …] In ogni Stato culto e ben governato vi è pe’ delitti di fellonia <contro il proprio Sovrano> una particolar legislazione, vi sono Tribunali, e Giudici espressamente – 122 – Nella Lombardia Austriaca Delegati, <vi sono denunzie segrete;> ogn’ombra di sospetto forma una grave accusa, si procede per via economica, e ogni potere si mette in uso per estirpare così grave <reato>, per punirne i colpevoli, e per incuter {un salutevol timore} <spavento> ne’ sudditi. E se niuno riputò mai troppo severe le leggi, e i Giudizi anche sommari ed economici contro i felloni, e non ebbe per crudeli le Inquisizioni di Stato, i Tribunali d’inconfidenza, e le segrete processure di alcune particolari assemblee; perché si condannerà poi questo metodo ne’ delitti {contro la Fede e la} <di> religione, co’ quali si offende la Maestà Divina, ed Umana? La simmetria stato-chiesa è divenuta completo parallelismo, ben oltre la teoria della religione come ‘instrumentum regni’, così da porre in consonanza questo modo di intendere l’azione secolare della chiesa e la terminologia corrente a Vienna, che parlava di ‘corte di Roma’ indifferentemente per le questioni religiose e per quelle politicoamministrative, assimilando il papato a uno qualsiasi dei molti agenti sulla scena internazionale, si trattasse del re di Francia o di una comunità mercantile provvista di qualche prerogativa riconosciuta. Del resto anche l’organizzazione burocratica interna del Sant’Uffizio appare in tutto simile a quella del Dipartimento d’Italia, su cui ironizzavano i fratelli Verri,80 e la 80 Così la battuta per cui Firmian poteva governare la Lombardia dal proprio letto trova ragione in un sistema di archivi periferici, corrispondenze circa settimanali a mezzo posta con l’autorità centrale, collaboratori che scrivono a tergo delle carte riassunti o sommari per punti prima di inoltrarle ai superiori. Sono elementi che riscontriamo identici nel lavorio che preparava e seguiva le congregazioni tra soli cardinali o innanzi al papa; persino il periodo di formazione per i nuovi assunti, impiegati come assistenti presso gli uffici centrali a Milano, ha un analogo nel periodo che quasi sempre i vicari del Sant’Uffizio trascorrevano a Roma prima di ricevere la titolarità di qualche sede periferica (‘fuit socius – 123 – distanza fra le istituzioni ben più ridotta di quella cui ci ha abituati la storiografia dell’Italia liberale. L’ultima parte del testo si concentra su due punti: inserire la storia ecclesiastica del Milanese entro il tracciato ad un tempo sacro e profano della storia inquisitoriale e annullare l’obiezione secondo la quale i vescovi sarebbero menomati nel loro proprio diritto dagli inquisitori, che ne occuperebbero indebitamente la giurisdizione senza essere loro subordinati. Perno dell’argomentazione è la figura di san Carlo Borromeo, “uno dei più illustri Prelati della Chiesa di Milano”, che in qualità di “capo dell’assemblea de’ Vescovi della Provincia” sostenne le direttive di Pio V Ghislieri e i doveri dei vescovi di favorire e sostenere gli inquisitori. Gli stessi vescovi lombardi, cui da Vienna si prestava grande attenzione, non avrebbero potuto che confermare la necessità di un aiuto da parte del clero regolare: Ma i Vescovi carichi già del grave peso della Cura Pastorale, {occupati nel Ministero della Divina Parola, nella cultura del Clero, nell’amministrazione de’ Sagramenti, nella protezione delle Vedove, degl’Orfani, e de’ Pupilli} non si lamentano di aver altri per compagni nella custodia del Deposito della Fede. Sanno eglino che nel Tribunale dell’Inquisizione non solamente si onora, e si fa conto delle Dignità Vescovile, ma neppur si procede mai a sentenziare in Urbe’ era la sintetica dicitura). Un altro esempio dell’attenzione all’economia e all’efficienza del sistema viene dall’uso sistematico nel ’700 di biglietti prestampati per i casi di minor importanza; non possiamo quindi figurarci un tribunale del Sant’Uffizio irrimediabilmente arretrato e arroccato su procedure proto-moderne (e men che meno medievali). Cfr. CAPRA 1982a, pp. 78-79, ove si cita anche una lettera di Luigi Giusti a Firmian del 19 agosto 1762. – 124 – Nella Lombardia Austriaca alcun Reo senza la previa loro partecipazione, e senza il concorso della loro Autorità. Sanno, che gl’Inquisitori sono Ministri fedeli del Sommo Pontefice Pastore universale di tutto l’Ovile Cristiano; sanno quanta utilità ne deriva alle loro Diocesi Le direttive provenienti da Roma lasciavano al discernimento del cardinal Visconti di migliorare e adattare il testo: anche se non è possibile ritenere con certezza autografe le correzioni vale la pena sottolineare che, pur mantenendo una retorica bellicista, nella versione conservata in ACDF si corregge “fatta guerra all’errore” in un meno aggressivo “condannato l’errore” e che i “pertinaci pensamenti” dei liberi pensatori sono depotenziati in “capricciosi ritrovamenti”, con un salto ontologico che dal mondo delle idee porta dritto a sfaccendati salotti e fumosi locali da caffè, sostituendo alla pertinacia – tratto caratterizzante l’eresia – la vaporosità passeggera della moda. Nel difendere il valore politico della religione il “salutevol timore” imposto ai sudditi dai tribunali speciali, posti a difesa del sovrano, diviene semplice “spavento”, probabilmente per enfatizzare la differenza tra stato e chiesa e per allontanare l’inopportuna assonanza con il cristianissimo timor di Dio, che è dono dello Spirito. Anche la conclusione mostra un fine ripensamento: l’ossessione per la purezza della fede (“oro finissimo, che non ammette alcuna mescolanza d’impurità”), l’utilità del controllo esercitato sul gregge cristiano e i tanti meriti attribuiti al tribunale portano non alla richiesta che gli inquisitori siano tollerati, quasi fossero un male necessario o un fastidio tutto sommato inconsistente,81 bensì che <non si diminuiscano, ma si conservino e s’accrescano nella 81 La versione depennata recita “{sia permesso, se non di accrescere, di conservare almeno gl’antichi suoi Custodi, e difensori}”. – 125 – Lombardia i difensori e i custodi della pietà, del culto di Dio, della fede, della religione, in somma di quel più prezioso tesoro che fa la dovizia e la felicità di uno Stato.> La memoria evidentemente non sortì effetti utili; l’11 luglio 1774 la risposta di Kaunitz a Visconti ribadisce la sconvenienza del tribunale ai tempi presenti, non più ‘caliginosi’ (un’espressione che ricorrerà parecchie volte): del resto la necessità dell’inquisizione nasce dall’inadeguatezza del clero, che nella ben governata Lombardia eccelle per qualità e istruzione. In una riga si sbriga il punto più importante, cioè l’ “essere un tribunale estero e indipendente”, permettendo il titolo di inquisitore come meramente onorifico per chi già ne ha esercitata la funzione.82 Progetto per ridefinire i limiti territoriali del tribunale Di certo a Roma ancora non si disperava di poter salvare in qualche modo l’istituzione: venne redatto un progetto per smembrare la giurisdizione pavese tra i tribunali confinanti83, restando il dubbio che difficilmente si sarebbe ripristinata la vicina sede di Piacenza, formalmente soppressa dal duca Ferdinando di Borbone il 27 febbraio 176984. Troviamo un simile tentativo di ridistribuire le giurisdizioni territoriali per limitare i territori privi di inquisizione nel 1780, durante le trattative per il ristabilimento del tribunale nel ducato dei Borbone: padre Vincenzo Mozani, inquisitore di Parma, ipotizza di assegnare al proprio tribunale la vicaria di Guastalla assieme ad alcuni paesi soggetti al vescovo di Mantova, 82 83 Kaunitz a Visconti, Vienna, 11 luglio 1775, in MAASS, Josephinismus II, n. 37. ACDF, St. st., GG 4 a, senza data. Sono delineate due varianti, con e senza l’attribuzione di territori a Piacenza, la cui sede fu poi effettivamente ristabilita nel 1780 e sopravvisse sino al 1804. 84 Cfr. DEL COL 2006, pp. 731 sgg. e DSI, Abolizione dei tribunali, Italia (A. Borromeo) dai quali ci si discosta ove opportuno. – 126 – Nella Lombardia Austriaca pur con il fastidio delle complicazioni dovute al mancato rispetto dei confini diocesani85. L’improvvisa morte dell’inquisitore di Cremona è occasione del dispaccio viennese del 9 marzo 1775 (ridatato Milano 12 maggio) indirizzato all’arciduca Ferdinando86: l’imperatrice Maria Teresa approva espressamente gli avvenimenti di Pavia e di Lodi, cioè il rifiuto di riconoscere i nuovi inquisitori a mano a mano che si fossero presentati per sostituire i precedenti87, avviando l’Inquisizione lombarda a una lenta fine per consunzione. Il dispaccio riprende l’argomento secondo cui non è ammissibile un potere che non sia soggetto né ai supremi magistrati civili né all’ordinario diocesano, eredità inutile di “tempi caliginosi”, “resto de’ tempi d’ignoranza, e parte di uno zelo malinteso, e sanguinario”88. I beni e le rendite dei tribunali saranno censite per prevenire alienazioni e dispersioni, evitando così maneggi incongrui e recuperandoli in toto agli istituti caritativi delle rispettive città. 85 DALLASTA 2011, pp. 392 sg. 86 Segnalato in FUMI 1910, pubblicato per esteso in MAASS, Josephinismus II, n. 43, una trascrizione si trova in ACDF, St. st., GG 4 a, fasc. 3 Sop(pressi)one delle inquisizioni di Reggio, Modena, Mantova, Milano Cremona, Como, 9 marzo 1775, allegato A. È Sperges a sottolineare l’imprecisione della burocrazia pontificia, che l’ha inteso come editto. 87 Il che mostra incarichi attribuiti da Roma in maniera assai differente rispetto alle frequenti sostituzioni di inquisitori tra ’500 e ’600. 88 Ritroviamo parole molto simili in una dissertazione anonima presentata all’Accademia di Mantova per il concorso intitolato “Se questo possa dirsi il secolo filosofico” del 1776 (AAVirg, b. 42 Memorie di Filosofia, ms. 36 D II, pubblicato in BALDI 1979): l’abbandono delle scienze e “l’intolleranza, l’affettazione di virtù piucche umana, l’abuso della voce di Dio confusa con quella dei suoi ministri” sono le conseguenze della fase di decadenza inaugurata dalle invasioni dei Goti e dalla dominazioni dei regni barbarici. La mala genealogia diviene quindi: calate barbariche, abbandono delle scienze, religiosità distorta, abuso clericale del potere, inquisizione. – 127 – Padre Serafino Macarinelli89 si vede costretto a ordinare agli inquisitori di provvedere alla sicurezza delle carte90, prospettandosi una situazione insanabile. Il memoriale di Pio VI Per la morte di Clemente XIV la Santa Sede rimane vacante dal 22 settembre 1774 sino al 15 febbraio 1775, giorno dell’elezione di Giannangelo Braschi, sgradito a Vienna; con qualche ritardo dovuto all’avvio del nuovo pontificato un secondo memoriale è presentato il 30 agosto91 eludendo il consueto canale ministeriale, ossia la mediazione di Kaunitz92: contestando con stile elegante e qualche domanda retorica lo sbrigativo disprezzo per i “tempi caliginosi ed oscuri” viene elogiata l’età dei lumi, che certo avrebbe potuto far buon uso di un’istituzione che non ha nulla a che fare col ‘temporale governo’ e dunque non usurpa la giurisdizione altrui, essendo in seguito alla promessa battesimale tutti i cristiani soggetti alla Chiesa, come figli e sudditi. Gli argomenti ripercorrono quelli già avanzati l’anno innanzi: la tutela dell’onore 89 Padre Serafino M. Maccarinelli o. p. (1703-1779), commissario generale del Sant’Uffizio dal 26 settembre 1765 al 1779. Inizia la propria carriera a Brescia e a Bologna, come vicario, quindi è inquisitore di Crema, Verona, Venezia, coadiutore a Bologna, infine commissario generale. Dal 1765 si occupa di censura libraria. Cfr. ACDF, Sacrae Congregationis Sancti Offici schedulae nominum consultorum e PROSOPOGRAPHIE 1701-1813, ad vocem. 90 Stando a una lettera di poco posteriore all’8 maggio 1782, il 10 giugno 1775 padre Maccarinelli avrebbe dato tale disposizione a padre Mugiasca, inquisitore di Mantova; è lecito supporre un comportamento simile per i restanti tribunali lombardi. 91 Con accompagnatoria latina in ACDF, St. st., GG 4 a, fasc. 3 Sop(pressi)one delle inquisizioni di Reggio, Modena, Mantova, Milano Cremona, Como, 30 agosto 1775, allegato A. 92 DELL’ORTO 1995, p. 37, che segnala altra trascrizione negli archivi viennesi. – 128 – Nella Lombardia Austriaca personale degli inquisiti, le pene proporzionate alle colpe, il pronunciarsi in dubio pro reo rendono il Sant’Ufficio uno strumento di governo spirituale culturalmente aggiornato93 e in accordo con il “Divino Comando di predicare la dottrina di Gesù Cristo colla persuasione e col buon esempio”. I toni però si fanno più aspri, e se ritroviamo un “capricciosi pensamenti” che media le due varianti proposte dal cardinal Visconti, gli eretici sono ora infernali “mostri d’iniquità”. ‘Non praevalebunt’ è l’incoraggiamento per una battaglia a difesa del Sacerdozio e dell’Impero, termini mondani della divinità, combattuta – merita una sottolineatura – in Italia e sui libri, radicale e sotterranea, e per questo più pericolosa di quella già vinta in passato proprio per merito dell’Inquisizione: Noi non dobbiamo certamente piangere, come i nostri Maggiori, di veder lacerata l’Italia da tante, e sì varie eresie, come lo era nel Secolo XIII; Ma non per questo possiamo noi vantarci di avere una Religione più soda, ed una fede più stabile, e più efficace. Sono estinti, è vero, i Valdesi, e Patareni, i Catari, i Manichei, gli Arnaldisti, e tanti altri Mostri d’iniqutà, che l’Inferno aveva suscitati in quel tempo contro la Chiesa Cattolica. Gli hà essa vinti, e debellati, e gli hà schiacciati, ed infranti su quella Pietra, contro la quale l’Inferno non potrà mai preva///lere. Ma il merito di questa Vittoria non è egli tutto della S. Inquisizione, per lo di cui ministero fù combattuta l’Eresia, ed i Lombardi hanno avuto il 93 “E sebbene fossero stati oscuri, e caliginosi i tempi, in cui fù introdotta l’Inquisizione, coll’uso nondimeno, e coll’osservanza de’ secoli posteriori dotti, ed illuminati, e coll’approvazione di tanti Principi /// saggi, e prudenti, e sotto il Regno pio, e felice, e giusto di Maria Teresa avrà potuto ricevere nuovo lustro, e rischiararsi dalle pretese tenebre di quella remota antichità.” ACDF, St. st., GG 4 a. – 129 – vanto di aver conservata intatta la Fede mercé il sangue glorioso di un Martire Inquisitore? Gli odierni errori nondimeno sono degli antichi più perniciosi, poiche non se là prendon già contro uno, o due Capi del Cattolico Dogma, ma tutta vanno ad abbattere la Cattolica Fede, e Rivelazione Cristiana; e i propagatori dell’empietà, e dell’irreligione moderna sono più formidabili de’ passati, perche oggi non s’affaticano a persuadere la verità delle loro stravaganti dottrine, ma contenti, che non si rigetti alcun errore, lasciano a tutti la libertà di seguire o un indifferente Pirronismo, o anche un Deismo più empio, e più temerario. Da ciò deriva quella odierna licenza in materia di Religione, per cui né si presta Fede alla Divina parola, né si rispetta l’Autorità della Chiesa, e le Leggi anche, e l’ubbidienza dovuta al So///vrano si conculca, e si disprezza, e l’intelletto umano trasportato dall’insania de’ suoi capricciosi pensamenti, e secondato da un cuore guasto e corrotto, alza superbo la fronte contro Dio, contro il Sacerdozio, contro l’Impero. Questo contagioso morbo dell’odierna incredulità, quanto meno nell’esterno si manifesta, tanto più fà strage delle anime; e quanto meno si propaga colla voce, tanto più s’interna, e si addomestica frà di noi per mezzo de’ Libri empi, che inondano tutta l’Italia. La bozza di risposta94 si limita a constatare quanto le massime della Signoria Vostra risguardo all’autorità ecclesiastica e la suprema podestà temporale, [siano] molto diverse di quelle, che crediamo noi conformi alla raggione, alla 94 MAASS, Josephinismus II, n. 47a. – 130 – Nella Lombardia Austriaca dottrina dell’evangelo ed alla prattica di tutti quei secoli della chiesa primitiva, nei quali regnava la purità la più perfetta del dogma e della disciplina sbrigando rapidamente sia la discussione, ormai priva di nuovi elementi, sia la possibilità di una ulteriore contrattazione. Un anno più tardi il cardinal Garampi scriverà a Roma come fosse esclusa ogni speranza di modificare le decisioni prese e nel 1777: quando si apprende che in Spagna l’inquisizione è stata reintrodotta, a Vienna si fanno pressioni sull’ambasciatore veneziano affinché anche nella Serenissima “non se ne intenda più neppure il nome”. L’argomento era corrente nelle conversazioni con l’agostiniano giansenista Ignaz Müller, confessore di Maria Teresa, ma assolutamente tabù dinanzi a Garampi stesso o all’ambasciatore di Spagna.95 Sia detto solo di passaggio, la contrapposizione nel dibattito storiografico della ‘leggenda nera’ alla ‘leggenda rosa’ dell’inquisizione non ha portato nuovi argomenti rispetto a quelli enunciati a fine Settecento, indice di una domanda mal formulata per l’ansia di voler giudicare secondo gli odierni parametri un sistema basato su presupposti giuridici diversi da quelli attualmente accettati. Migliori risultati derivano invece dalle analisi che si sono occupate delle reali e variegate circostanze di funzionamento dei dispositivi inquisitoriali nel loro sviluppo diacronico, o nel confronto sincronico con istituzioni o atteggiamenti assimilabili; acquista così valore il giudizio per cui l’Inquisizione Romana fu un sistema – col nostro metro di giudizio – non peggiore, e spesso migliore sino a tutto il Seicento, dei contemporanei tribunali secolari96, vale a dire sostenuta da una elaborata consapevolezza razionale della difficile mediazione tra legge e prassi, 95 DELL’ORTO 1995, pp. 58-59. 96 Un esame del dibattito in BLACK 2009, cfr. tra gli altri anche JACOBSON SCHUTTE 1989, TEDESCHI 1997 e BRAMBILLA 2006. – 131 – benché affiancata da episodi di fanatismo, non sporadici e spesso eccedenti la violenza di fondo dei paesi e delle epoche in cui si verificarono. I crocesignati Verso la fine del 1775 si avvia anche la soppressione delle compagnie di Crocesignati, descritti come il braccio armato del tribunale. L’inquisitore padre Mugiasca, preoccupato per la sorte delle tre confraternite sotto la sua tutela (Mantova, Goito e Ostiglia)97, visto l’ “esempio del già fatto in Cremona”98 si rivolge a Roma, da dove la congregazione raccomanda una posizione defilata e la completa discrezione sul patronato della famiglia Borromeo, attestato dai tempi delle missioni di Campeggi e di san Carlo. Mentre sono scarse le notizie relative alla 97 ACDF, St. st., GG 5 e: un memoriale dei Crocesignati di Ostiglia (stato di Mantova, diocesi di Verona sino al 1787) datato 1747 e composto per ottenere la restituzione di un terreno prativo (che si dice essere stato venduto nel 1721 “senza le dovute solennità”), al fine di edificare una Sagrestia, cita un decreto del 5 ottobre 1672 in cui la confraternita era già detta soggetta all’inquisizione di Mantova. 98 ACDF, St. st., GG 5 e, 25 novembre 1775 lettera dal Commissario Generale in risposta a precedente da Mantova del 2 novembre 1775 in cui si scrive che “Ella non si debba prendere nessuna ingerenza in tale affare, né comparire per nessun modo in questa scena; perocche sarebbe a temersi, che il nome di Inquisitore, e di Santo Officio renduto (non si sa il perché) odioso a codesto Governo, non esasperasse maggiormente gli animi, e sollecitasse, anziche ritardare la minacciata ruina, e rendesse la via maggiormente luttuosa. […] Né meno prenda ella nessun pensiero di rendere avvertita la Casa Boromea delle ragioni, che potrebbe avere sulla ricadenza del Giuspatronato sopra la chiesa de Crocesignati nel caso della soppressione di questi, a quali era stata la chiesa medesima, e non ad altri ceduta dal glorioso San Carlo. E siccome dice ella di avere di ciò già avvisati alcuni de Confratelli, procuri con ogni segretezza presso de medesimi, che non facciano uso di tale avviso come avuto da lei, ma fingano affatto occulto il suggerimento da lei ricevuto; e soltanto, se pur vogliono farselo valere, lo facciano come di proprio moto, e senza rellazione a lei, o altro Offizio.” – 132 – Nella Lombardia Austriaca confraternita di Ostiglia (forse da ricercare negli archivi della diocesi veronese), è abbastanza chiara la situazione a Mantova e Goito. Mantova Corrisponde probabilmente a verità l’immagine tratteggiata da Mugiasca, che parla dei crocesignati come di un ente assistenziale: [la confraternita di Mantova] è composta dalla prima nobiltà di questa Città ed è di esempio per la sua regolare condotta, e molti Ofiti di pietà, ed elemosine che va facendo, e per questo dovrebbe essere rispettata. 99 L’attenzione della nobiltà verso la confraternita è forse iniziata col duca Vincenzo, almeno stando all’Amadei, che lo annovera tra i devoti in processione vestito “della nera loro veste colla croce rossa in petto”.100 È ormai lontana la facciata marziale evidenziata circa un secolo prima per giustificare la condotta apparentemente rilassata dei confratelli della Santa Croce: non è confraternita di suo essentiale instituto, ma più tosto un ordine militare, mentre fa il voto di obbedienze sino alla morte con promessa di spender la vita, et la robba per servitio della santa inquisitione […] dimodoche il portar il sacco, l’andar alle processioni, l’osservar altri atti come fanno l’altre confraternite sono accidenti.101 99 Ivi. 100 Amadei, Cronaca… III, p. 184. 101 Così in ACDF, St. st., LL 4 f, in un carteggio inserito per un conflitto giurisdizionale del 1684 tra vescovo e inquisitore. In altro foglio del medesimo fascicolo si annota come eletto all’unanimità priore della confraternita di Goito per l’anno 1655 il marchese Annibale Ippoliti di Gazoldo, che nomina i propri consiglieri; le 16 cariche (su 36 – 133 – Considerarsi dei regolari permette pure qualche piccolo vantaggio economico, esentando dal pagamento al parroco della metà di quanto ricevuto per le sepolture; l’intervento dell’inquisitore è però più interessato al loro scarso zelo: meglio farebbero a preoccuparsi di osservare la principale delle loro regole, “che è che nel ingresso devono i fratelli far noto di rivelare al Sant’Officio li eretici, o sospetti di eresia, che loro negligono di fare”.102 Nel 1777 l’abolizione della confraternita non era ancora compiuta (bisognerà attendere sino al 1786)103: l’inquisitore e il marchese Ludovico Aldegatti, in qualità di priore della compagnia, fanno la dovuta riverenza al cardinal Luigi Valenti Gonzaga, fresco di porpora e di passaggio per Mantova.104 Si direbbe che Ludovico Aldegatti non ritenesse la compagnia di Santa Maria del Melone corresponsabile di quel fervore inquisitoriale tanto esecrato dal governo, piuttosto ci appare intento in un’attività simile a quella del padre Carlo, che era stato a lungo amministratore del Monte di Pietà sostenuto a più riprese dal regio governo e intitolato a Maria Teresa.105 L’inquisitore disponeva di una copia dell’atto formale della confratelli circa, tra i quali anche ‘cavalieri di stima’) sono distribuite in ordine di rango sociale. 102 ACDF, St. st., Q 3 d, c. 542, 20 settembre 1697, l’inquisitore di Mantova [frate Giordano Vignali da Bologna] alla Congregazione. 103 Diario per l’anno 1805, Erede Pazzoni, Mantova 1804, p. 150. I rendiconti economici in ASMn, CRS si arrestano al 1787. 104 ACDF, St. st., GG 5 e, 22 febbraio 1777, lettera di Padre Mugiasca a Roma: “Dimani si spetta in Mantova Sua Eminenza il signore Cardinale Valenti proveniente da Spagnia, Genova, e Parma, ed io sarò subito ad ossequiarlo, come Inquisitore, e di poi gli farò un altro complimento con il Signore Marchese Aldegati Priore de Crocesegnati essendo esso pure confratello di tale Compagnia, che ancora sussiste.” 105 Cfr. MONTANARI 2001. – 134 – Nella Lombardia Austriaca concessione106 dell’oratorio alla confraternita della Santa Croce, che secondo Amadei in precedenza si riuniva in San Tommaso;107 la sua presenza era comunque ricordata già dalla visita all’ “Ecclesia simplex Sanctae Mariae de Mellone” condotta il 31 gennaio 1576 dal visitatore apostolico Angelo Peruzzi, suffraganeo di Bologna: Confraternitas Sanctae Crucis. In ecclesia ipsa † societas Sanctissimae Crucis, recta et gubernata p[er]. r[everendos] fratres Sancti Dominici, et sunt coadiutores officio Sanctissimae Inquisitionis […] societas ipsa est satis numerosa, et sunt n[umer]o quadraginta. Habent statuta h[aber]i solita per similes confraternitates sub titulo crucis. […] ex eorum instituto singulo anno sacramentum sumunt in festivitatibus et sollemnitatibus Dominicae Penthecostes corporis Christi et assumptionis Beatae Mariae Virginis. 108 La confraternita non ha beni propri ma vive di elemosine pur garantendo proventi bastanti a un cappellano per la celebrazione della messa ogni domenica e nelle feste di precetto. La funzione di “coadiutores officio Sanctissimae Inquisitionis” era quasi del tutto svanita già negli statuti pubblicati a stampa nel 1595: pur rimarcando che l’inquisitore era fondatore e capo stabile della confraternita 106 ACDF, St. st., GG 5 e, 25 novembre 1775: padre Mugiasca invia a Roma la traduzione della “Concessio oratorii in favorem Confraternitatis Sanctae Crucis in Civitate Mantuae”, una copia del 1583 a sua volta esemplata sulla trascrizione eseguita dal notaio Cesare Merli il 17 agosto 1578 su incarico della confraternita medesima. 107 108 Amadei, Cronaca… III, p. 184. AStDMn, Visite pastorali, Marco Fedeli Gonzaga (1574-1583), c. 432v [996] sgg., frammento da affiancare alle carte custodite in ASMn e nell’Archivio Generale della Curia Arcivescovile di Bologna. – 135 – (non genericamente i frati domenicani), gli statuti si concentravano sull’aspetto filantropico e sull’attività assistenziale, cui si dedicava anche la parte femminile (e subordinata) dell’associazione, che tramite la visita ad ammalati e moribondi o tramite altre opere di misericordia avrebbe lucrato generose indulgenze.109 Due anni prima, la visita del 1593110 la ascriveva alle ‘discipline’ limitandosi a elencarne gli altari e tacendo di eventuali compiti attribuitile dal Sant’Uffizio. Per quanto sia lecito diffidare degli argomenti e silentio, la scarsa utilità ai fini inquisitoriali dei crocesignati sembra confermata dalla assoluta scarsità di testimonianze sul loro impiego111, a meno di non voler ipotizzare una attività come confidenti e informatori, rimasta deliberatamente orale e segreta, che avrebbe sostituito l’uso delle armi in seguito alla sistematica concessione del braccio secolare da parte delle autorità, o all’impossibilità (politica, prima che militare) da parte dell’autorità ecclesiastica di opporsi a eventuali dinieghi. Solo verso il 1666 abbiamo notizia del tentativo di introdurre una guardia armata al comando dell’inquisitore, che voleva far accompagnare un miserabile fratticello trattato come appostata, al solo ogetto di far spiccare d’havere l’autorità di comandare independentemente; introducendo la stessa gente 109 Cfr. BLACK 2009 e DSI, Confraternite, Italia (C. F. Black); le due copie note degli statuti sono conservate in ACDF e in BCMn. 110 AStDMn, Visite pastorali, Frate Francesco Gonzaga, Visita pastorale 1593-1595, Urbs 1593, c. 34, il notaio è Carlo Righelli. 111 Al momento l’unica segnalazione disponibile (che neppure riguarda direttamente l’eresia) è relativa a Goito: il parroco del paese cerca di combinare un matrimonio per riparare un concubinato notorio, e viene per questo convocato dall’inquisitore dietro insistenza della confraternita. Nella sua relazione al vescovo il parroco lascia intravedere una litigiosità duratura e vischiosa: “Non studiano altro che di pregiudicare al jus di vostra signoria illustrissima”. (AStDMn, Curia vescovile, Contenzioso e correzionale, Goito – Malavicina, 5 giugno 1664). – 136 – Nella Lombardia Austriaca armata in Città (caso singolare e mai più veduto).112 L’informazione è di parte, ma credibile. L’oratorio113 in cui la confraternita aveva la sua sede ricevette cure costanti nei secoli, eccettuato il periodo successivo al sacco. La visita di Peruzzi ricorda il patronato Borromeo e la reggenza di Ercole de Pasini, pagato per una messa a settimana; l’ornato dell’interno risulta ‘abbastanza competente’, disponendo di tre altari, di cui due sotto patronato di famiglie illustri: quello di Sant’Antonino (patronato Da Correggio) e quello di Santa Maria ad Nives (patronato Borromeo). Lamenta invece la trascuratezza dell’esterno: un pollaio e qualche camera addossati alla parete orientale tolgono luce all’interno, mentre a ovest il nerofumo ha reso scure le pareti.114 Un rinnovamento importante era avvenuto nel 1600, tutt’ora celebrato da una lapide in situ115, mentre all’epoca di Cadioli gli autori dei 112 ASVe, Senato, Deliberazioni, Roma ordinaria, filze, 115, anno 1666 marzo - agosto m. v., da Mantova il 28 luglio 1666, l’arciduchessa reggente Isabella Clara al doge. 113 Principale e compendiaria fonte è Giovanni Cadioli, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture, che si offrono nella Città di Mantova e ne’ suoi contorni …, Erede Pazzoni, Mantova 1763, pp. 37-38. Sulle antiche denominazioni dell’oratorio e sulla sua identificazione con la chiesa di Santa Maria Mater Domini cfr. L’OCCASO 2005, pp. 294297. Alcuni dei dipinti sono stati identificati (cfr. BERZAGHI 1981, p. 311; SORTINO 1995, pp. 133-134; MARINELLI 2011, pp. 207-208). Per quanto riguarda le pitture riferibili al Sant’Uffizio, ha avuto minor fortuna l’ampio catalogo dei dipinti presenti nelle collezioni di Palazzo Ducale (L’OCCASO 2011): riconosciuta qualche opera proveniente dal soppresso convento dei domenicani, risulta poi impossibile rintracciare quelle originariamente del tribunale. 114 “[…] ab alio latere fuisse totam fumigatam, ex eo quod inhabitantes tempore aestivo, ut dictum fuit, ibi accendunt ignem ad coquendum carnes et alia pro victum necessaria”. Da proibire sotto pena di scomunica. AStDMn, Visite pastorali, Marco Fedeli Gonzaga, c. 433. 115 “SVB CLEMENTE VIII PONT[ifice] MAX[imo] VINC[entio] GON[zaga] DVCE ET REGNAN PROT[ecto]RE / – 137 – / TIB[u]S N[ost]RO AC SER[enissi]MO ILL[ustrissi]MO ET quadri dei tre altari laterali si distribuiscono tra ’600 e ’700. Nel 1754 si era data uniformità all’ambiente col rifacimento degli ornati, operazione che aveva comportato anche qualche modifica alla pala principale, una Madonna con san Giovanni Battista e santa Barbara di Viani, datata 11 gennaio 1593 e commissionata da Luigi Fantoni, che appunto era rettore dell’altare e priore della basilica palatina di Santa Barbara. Alla Santa Croce, ragione della confraternita, rinviavano un crocefisso ligneo, sempre all’altar maggiore (Guglielmo Duschi o sia Wilhelm Tusch, 1650 ca.) e un Cristo spirante in croce di Jacob Denys (ultimi anni del ’600) esposto al secondo altare di destra. Come si vede nessun legame con l’iconografia di matrice inquisitoriale (san Pietro Martire e san Pio V ad esempio). Rimanda al patronato Borromeo il primo altare a sinistra con la Beata Vergine, sant’Agostino e san Carlo (1625-1650 ca., attribuito a un non meglio precisato Motta) collocato dirimpetto a una Madonna con sant’Elena e san Giovannino (seconda meta del sec. XVI ?). Il gonfalone, opera del bolognese Giovanni Battista Caccioli (attestato a Mantova nel 1669116), era custodito in sagrestia. I documenti raccolti con la soppressione117 sono quasi esclusivamente di natura economica, con trascrizioni a partire dal 1600: risultano spese per la manutenzione (spolvero delle quattro pale, indorature, muratori e vetrai), per il culto (organista e candele) e per la dote R[everendissi]MO FRATRE FRAN[cisco] CONFRATRES SOCIET[at]IS SAN / CTÆ GON[zaga] / EPIS[copo] CRVCIS HOC ORATIONIS TENPLO [scil. templum] / IVRIS PATRONATV NOBI[lissi]MÆ BORROMEÆ FA / S COHONESTATI PROP / DECORANTES RESTAV / RIO ÆRE ET RARVNT MANT[u]Æ MILIÆ PIOR[um] ELEEMOSINIS AM / ANNO / SALVTIS / MDC”; (CUR.) 2010. 116 Cfr. DBI, Caccioli, Giovanni Battista (Roli Guidetti 1973). 117 ASMn, CRS; bb. 681-685. – 138 – GRATIOSE PLIANTES ET traduzione in SIGNORINI Nella Lombardia Austriaca da assegnare a donzelle in età da marito; tra le proprietà la più antica sembra essere una casa a Marmirolo, donata nel 1574, a ridosso della stagione più cruda di processi e condanne. Goito A Goito la confraternita di Santa Croce in Castello, “che come da tradizione credesi introdotta dai Principi Dominanti nell’anno 1600 circa”118, si affiancava a quelle del Rosario e della Trinità. Secondo una ricognizione d’archivio ordinata dal vescovo frate Masseo Vitali (1659)119, la compagnia risalirebbe invece al 1498, quando aveva ottenuto la concessione di un terreno per costruire una cappella contigua ‘muro ecclesiae’ e sarebbe stata approvata – ‘cum sapiat pietatem’ – solo tacitamente e ‘per aventura’ dai vescovi, non essendovi alcuna dichiarazione antecedente al 1569. I libri mastri (quelli conservati in ASMn riportano la contabilità dal 1604 al 1784) erano tenuti dal massaro, separati dall’archivio vero e proprio, e furono più volte motivo di scandalo. In effetti, come risulta dalle carte presso la Suprema Congregazione, i crocesignati emettono il voto di obbedienza nelle mani dell’inquisitore, ma questa obbedienza non riguarda la tenuta dei libri contabili, che anzi negli anni 1581, 1582, 1583 e 1585 erano stati consegnati in curia episcopale. La trascuratezza degli inquisitori nel sorvegliarli è deprecabile, ma non autorizza il vescovo a intromettersi nella loro direzione. Nel 1633 un suo precetto vieta al cappellano di celebrare uffici funebri senza la preventiva licenza del curato parrocchiale e proibisce l’esposizione del Santissimo Sacramento nel loro oratorio. Sempre il vescovo Vincenzo Agnelli Suardi scrive che la compagnia conta 118 ASMn, DU II, b. 81. 119 ACDF, St. st., LL 4, fasc. 2. – 139 – numero grandissimo d’homini e donne, [… è …] simile a tutte le altre che sono in questa città. Et come l’altre è sempre stata soggetta a gli ordini del Vescovato, il quale visita loro, e la chiesa chiamandolli alle processioni et usando con essi ogni sorta di giurisditione.120 Tuttavia il Santissimo era esposto liberamente e senza necessità di preventive autorizzazioni nell’oratorio del capoluogo, ben controllato perché entro la parrocchia del Duomo. La piena integrazione dei crocesignati nella vita devozionale cittadina è sancita dalla loro partecipazione alla processione annuale verso il santuario della Madonna delle Grazie, dove le compagnie si ritrovavano una volta l’anno (1659), e dal rilievo dato alla festa del patrono cittadino. Vent’anni più tardi infatti la lite nasce per una precedenza alla processione di sant’Anselmo, è alimentata “da perversi ministri che mettono male impressioni nell’animo del Principe” e si incancrenisce alla richiesta di chiarimenti sull’affitto di un campo e sulla gestione dei conti. L’autorità inquisitoriale è scavalcata e mortificata platealmente quando il vescovo arriva a comminare l’interdetto alla compagnia, debitamente affisso alle porte della chiesa di Goito. Questo almeno secondo la relazione spedita il 4 aprile 1659 alla Suprema Congregazione, che interviene prontamente, tanto che il 28 aprile la lite sembra essersi ridotta a termini di civiltà, dopo una visita reciproca tra vescovo e crocesignati. Il criterio seguito a Roma alla fin fine si riduce alla consuetudine, come mostra la raccolta di disposizioni allegata al fascicolo mantovano, che riprende gli stessi termini della casistica precedente: nel 1588 l’inquisitore di Faenza ha ordine di informarsi e si reperiet episcopos non consuevisse talia facere, dicat 120 ACDF, St. st., LL 4, fasc. 2, 27 marzo 1637. – 140 – Nella Lombardia Austriaca episcopo quod cum societas praedicta sit membrum inquisitionis ab ipsaque dependeat, in illa se ingerere non debeat, […] si tamen ex informatione capienda apparebit episcopos suevisse praedicta facere, tunc inquisitor talia permittat, cum interventu tamen, et praesentia Inquisitoris, qui postea certiorabit sacram Congregationem de gestis.121 Nel 1601 la visita dell’arcivescovo di Ravenna ai crocesignati di Argenta è sicuramente lecita, “iuxta formam Concili Tridentini”, mentre nel 1623 la risposta data all’inquisitore di Reggio è identica a quella data nel 1588: informarsi “et interim nihil innovari”. Questa renitenza a modificare lo stato delle cose e ad allontanarsi dalla tradizione sarebbe comprensibile in un periodo di difficoltà e di scarso prestigio dell’istituzione, come potrebbe essere l’epoca delle riforme settecentesche, quando ogni cambiamento sarebbe stato in perdita, o comunque profondo, stupisce invece a cavallo di ’500 e ’600, quando il Sant’Ufficio godeva di ampio sostegno, e nessuna corte italiana era realmente in grado di opporvisi in maniera radicale. Alla soppressione della confraternita di Goito l’inventario del 23 ottobre 1786 descrive l’oratorio, di una sola navata, selciato, provvisto di “un solo altare di pietre cotte con una bardella di rovere, dietro del quale il coro pure salciato, e due usci di piella dipinti”. Lo scarno arredo è completato da “un quadro in tela rappresentante la S.ma Croce, e vari ritratti di Principi genuflessi”, due angeli lignei reggicandela, e il palio di seta raffigurante degli angeli che portano la santa Croce, lacero e appoggiato a una parete laterale. Il posto d’onore al centro del coro è occupato da una reliquia della Croce e dalla patente che erigeva la 121 ACDF, St. st., LL 4, fasc. 2. – 141 – confraternita. Unica traccia di attivo esercizio della pietà è un drappo nero “ad uso dell’ufficio de’ morti col detto «Hodie mihi, cras tibi»”, strumento di mutua carità che garantiva un minimo di decoro alle esequie dei confratelli. Alla soppressione l’oratorio sarà venduto, mentre la sagrestia, l’annesso portichetto e il piccolo cortile saranno destinati a scuola elementare.122 Il vescovo Giovanni Battista Pergen Nonostante i molti rapporti, spesso conflittuali, intercorsi con il Sant’Uffizio nei secoli precedenti e nei decenni da poco trascorsi, la curia vescovile sembra del tutto assente dalle innovazioni relative al tribunale. Vescovo di Mantova dal 1770 al 1807, anno della morte123, Giovanni Battista Pergen non prende posizione ufficiale sulle vicende legate alla soppressione e, per quanto ne sappiamo, non ha lasciato neppure qualche confidenza o indiscrezione epistolare. Di famiglia viennese (il fratello minore Johann Baptist Anton sarà ministro di polizia sotto Francesco II), 122 ASMn, DU II, b. 29, fasc. 62/b. 123 Su Johann Baptist Joseph dei conti di Pergen vedi anche BLKÖ (Bd. 22 - 1870); LAMIONI 1976; VISMARA CHIAPPA 1978; TOSCANI 1979; BRAMBILLA 1981; TOSCANI 1982; SARGENTINI 1991; DELL’ORTO 1995; ANNIBALETTI 1997; e la postuma letteratura encomiastica, ad esempio: Giuseppe Fiorati, Orazione in morte di monsignore Giovanni Battista de’ conti Pergen canonico capitolare della metropolitana di Olmutz e vescovo di Mantova …, Erede Pazzoni, Mantova 1807; Giuseppe Speranza, Orazione in morte di monsignore Giovanni Battista de’ conti di Pergen canonico di Olmutz e vescovo di Mantova recitata nella chiesa parrocchiale e prepositurale di Castelgoffredo …, Francesco Agazzi nell’Accademia, Mantova 1807; Ambrogio Zecchi, Orazione in morte di monsignore Giovanni Battista de’ conti di Pergen canonico di Olmutz e vescovo di Mantova recitata nella Basilica Collegiata di S. Andrea …, Tipografia Virgiliana, Mantova [1807?]. Una raccolta di sue orazioni, lettere pastorali, omelie e avvisi, tutti stampati dall’Erede Pazzoni, in BCMn, arm 10-b-32. – 142 – Nella Lombardia Austriaca dopo la cura d’anime a Olmütz e dopo l’incarico a Roma di auditore rotale per la nazione tedesca era stato nominato vescovo di Mantova in virtù del diritto di giuspatronato fatto valere dalla sovranità austriaca, che si era assicurata un ministro fedele in una zona strategicamente e ideologicamente importante124. Definito come “vescovo di tipico stile giuseppino” da Brambilla, ma meno intransigente del pistoiese Scipione de’ Ricci, “apertamente favorevole a Vienna” per Dell’Orto, e tuttavia non troppo asservito agli intenti governativi (Sargentini), è giudicato in maniera pesantemente negativa dal contemporaneo Giuseppe Garampi, che durante il suo periodo di nunziatura viennese ne deplora l’aperto sostegno alla politica di Giuseppe II nel 1781, a proposito delle dispense matrimoniali: “Sragionando al suo solito, e sempre più rendendosi soggetto di compatimento”125 Pergen indica nell’imperatore l’uomo che la Provvidenza ha mandato per ripristinare i diritti dei vescovi. Appena insediato aveva difeso per ragioni di prestigio l’uso del titolo di ‘Principe del Sacro Romano Impero’ spettante ai vescovi di Mantova (Firmian puntualizzerà: non di ‘vescovo e principe’ né di ‘Fürstbischof’)126 per poi occuparsi attentamente della formazione e della selezione del clero, operata in maniera scrupolosa e rigorosa. Il seminario e la scuola di teologia di Mantova, pur con ripetute e poco lineari riorganizzazioni, vennero ricompresi nell’orbita della facoltà teologica di Pavia, operazione pienamente riuscita a giudicare dalla lunga vacanza della sede episcopale tra il 1807 e il 1823, malevolmente interpretata come l’espediente usato dalla 124 Cfr. ANNIBALETTI 1996. 125 Cfr. DELL’ORTO 1995, p. 330. 126 ANNIBALETTI 1997. Santa Sede – 143 – per evitare tensioni e contemporaneamente disapprovare sia la vicaria esercitata da don Girolamo Trenti (arciprete della Cattedrale, nel 1811 sottoscrisse il gallicanesimo filo-napoleonico), sia la ventilata creazione a vescovo di don Domenico Morandi, pure mantovano, rifiutata nel 1816 con l’accusa di giansenismo.127 È dedicata al sacramento della confessione una delle prime importanti omelie al clero del vescovo Pergen, quella per l’epifania del 1771: dichiara di voler meglio controllare i confessori secolari e regolari, cui per l’avvenire sarà concessa la patente solo previo esame128 e si concentra sulle modalità del confronto tra penitente e confessore, al quale non spetta il ruolo di giudice. Nell’omelia la confessione resta un mite tribunale cui i cristiani accedono spontaneamente, non l’anticamera di ulteriori imposizioni “quod ipsi portare non possunt”. Avvicinandosi, forse inavvertitamente, alla concezione di origine gesuita129 per cui la confessione è momento di fiducia nei confronti del penitente, non di sospettosa indagine, Pergen cerca di rimuovere quel sentimento di ripugnanza dinanzi 127 128 GRIFFINI (CUR.) 1974, p. 80; VAINI 1992, p. 119 e PECORARI 1980. “Confessores tum Saeculares, tum Regulares quos jam approbatos reperimus, hisce denuo, absque novo examine, novis tam patentibus litteris provisos approbare, & confirmare intendimus: Reliquos ab hodierna data in futurum pro Confessionibus excipiendis concurrentes praevio examini subjectos volumus. Casus reservatus ut infra absolvendi facultatem tribuimus omnibus Examinatoribus Prosynodalibus, Vicariis Foraneis, Ordinum Regularium Superioribus, Confessariis extraordinariis, Monialius pro personis in Clausura degentibus durante Ministerium tantum; omnibusque tandem Parochis, curatis, ac Confessoribus per totum Adventum cum Festis Natalitiis, nec non a die Cinerum, usque ad Dominicam Sanctissimae Trinitatis”; a stampa in BCMn, arm. 10b-32, p. 145. 129 PROSPERI 2009b. – 144 – Nella Lombardia Austriaca a un istituto che rischia di divenire ‘odioso’ al pari del famigerato tribunale di foro esterno130. Che il vescovo avesse poca simpatia per le devozioni e gli esercizi di zelo apparentemente fini a se stessi è mostrato anche dall’avviso quaresimale del 1775131, con cui dispone ampie esenzioni all’obbligo di digiuno: essendo ben note le varie circostanze dell’uman Genere in ogni classe, stato, e condizione di persone, che mutano forse interamente l’aspetto de’ primi tempi di tale osservanza; Noi, come depositari de’ Misteri, ed Ordini di Dio, e della sua Santa Chiesa, Pastore del suo Gregge per parte di questa nostra Diocesi, volendo soccorrere a tale comune vicenda que’ sentimenti Consideriamo, primo come già dispensati, eccettuati, 130 “Sicut autem Poenitentes aliunde instructos speramus de specifica, & contrita peccatorum suorum confessione fac[i]enda, ita quoque plene persuasi sumus, quod illi, quos in partem sollicitudinis Nostrae eligimus, & advocamus, se tamquam fidelis administratores exhibebunt promptos, pios, ac prudentes, non aliter Confessionale accidentes, quam invocata Divina assistrice Sapientia, nec ulli imponentes onus, quod ipsi portare non possunt; abstinentes se quoque a quaesitis, sive interrogatoriis, quae illis, etsi judices sint, in hoc tam voluntario, & spontaneo poenitentium foro minime competunt, quae grave nimis & odiosum reddunt hoc Sacrum Poenitentiae Tribunal, quod ex Institutione Jesu Christi mite, & suave esse debet poenitentium receptaculum ad eorumdemque servire aeternam reconciliationem”; in Edictum ad Clerum quo ad absolutionem generalem in articulo mortis, benedictionem Sacrorum Superellectilium, Casus reservatos, et Confessarios, nec non requisita Ordinandorum nostrae Mantuanae Dioecesis, pp. 5-7, segnalato in SARGENTINI 1991, pp. 147-148. 131 Avviso quaresimale / Per la Città, Borghi, e Diocesi nostra, comprese le / Terre Delegate, per l’anno 1775 …, Dato dal Palazzo nostro Vescovile di Mantova questo dì 14. Febbrajo 1775, in Mantova, per l’Erede di Alberto Pazzoni, Regio-Ducale Stampatore. – 145 – neppur compresi dalla legge dell’astinenza Quaresimale, e del Digiuno, tutti i Poveri mendicanti, Famiglie, che servono, e vivono soltanto del loro poco salario, o lavoro delle sue proprie mani, Artisti di fatiche gravi, e meccaniche, le Donne incinte, partorienti, o lattanti, gli ammalati, o convalescenti, e finalmente quelli, che non sono di ventun’anno, ovvero che sono di anni sessanta. Formulazione poco felice, perché stabilisce una dispensa che non deriva da una concessione individuale e circostanziata, certificata da un apposito attestato medico, ma sembra valere universalmente sulla base della sola determinazione discrezionale del singolo a prescindere dall’esplicito riconoscimento dell’autorità132 (sia essa il vescovo o il confessore o qualche vicario non importa) e indirettamente mette in dubbio la precedente dottrina della Chiesa. Le scene e gli attori sono quelli ormai consueti: la Suprema congregazione redige una censura133, firmata dall’assessore Leonardo Antonelli, Pio VI si rivolge all’imperatrice denunciando che il vescovo Giovanni Battista Pergen sottomette al proprio arbitrio una legge osservata “jam ab apostolici temporibus” dalla Chiesa (rimarcandone cioè il buon diritto) cosicché pare “non tam laxare disciplinae severitatem, quam legem 132 Ivi: “In quanto poi all’Attestato de’ Parrochi, e Medici, essendo questa nostra concessione, e dispensa pel cibo della Carne, soltanto appoggiata alla verità de’ bisogni, non vero a tale Attestato, quale non serve, che per esterna giustificazione, non per l’interna; così si potrà ben facilmente concedere tale Attestato a chi lo domanda; quelli però , che lo domandano, si astengano a domandarlo senza reale loro indigenza: Deus enim non irridetur.” 133 ACDF, St. st., I 3 t, Nerinii Consultationes Pars IV et Diversorum; in ACDF, St. st., UU 11 a, fasc. 28 è l’avviso quaresimale del 1775; entrambi gli avvisi del 1775 e del 1776 nella già citata miscellanea di BCMn arm. 10-b-32. – 146 – Nella Lombardia Austriaca ipsam quodammodo dissolvere ac tollere”134. C’è il pericolo che questo modo di vivere liberamente si propaghi al clero e ancor di più ai laici, e che il buon nome del vescovo venga sminuito. A Vienna nessuno desidera altri motivi di attrito da sommare alla contemporanea abolizione del tribunale e si cerca il modo di accomodare le cose. Sperges non ha copia esatta dell’avviso, anzi, ne ha ricevuta notizia solo indirettamente, dalla Toscana, ma concorda sul fatto che “un vescovo da sé non può riformare, né rilasciare in massima l’antica disciplina generale”135. Nel frattempo Pergen si reca di persona a Vienna per un viaggio che resta inspiegato, come inspiegato sarà l’anno seguente il suo improvviso rifiuto, dopo un primo assenso, all’elaborazione di un catechismo unico per le diocesi lombarde, promossa da Firmian e autorizzata controvoglia dal cardinal Pozzobonelli, arcivescovo di Milano.136 Anche Kaunitz non sa a quali intrighi o scrupoli di coscienza siano dovute le oscillazioni del vescovo137 ma rimane lucido nell’analisi del breve pontificio. Occorre tenere separato l’affare dell’inquisizione da quello dell’esenzione dal digiuno, in relazione al quale si contano due aspetti: il rimprovero relativo ai costumi va affrontato fraternamente e per vie non ufficiali, il maldestro avviso quaresimale può essere corretto pubblicandone uno nuovo meglio formulato e che non lasci adito a malintesi, evitando così di rafforzare quanti si oppongono a Pergen per il suo allontanamento dalle dottrine, più politiche che canoniche, gradite a Roma.138 134 Pio a Maria Teresa, da Roma il 30 agosto 1775, in MAASS, Josephinismus II, Sperges a Kaunitz, da Vienna il 21 settembre 1775, in MAASS, Josephinismus II, VI num. 45. 135 num. 46. 136 VISMARA CHIAPPA 1978, pp. 470-472. 137 MAASS, Josephinismus II, p. 40n. 138 Kaunitz a Maria Teresa, da Vienna il 2 novembre 1775, in MAASS, Josephinismus II, – 147 – Senza sussulti si arriva al 12 febbraio 1776, con l’avviso rettificatore aperto dal richiamo alla “stretta osservanza della santa Quaresima, tanto per il digiuno quanto per l’astinenza dai Cibi esuriali, e da’ latticini”. La “particolare dispensa” è delegata ai parroci “secondo la Disciplina universale della Santa Madre Chiesa”. Il vescovo rinvia all’avviso dell’anno precedente, che viene destituito di ogni valore per il desiderio giunto dalla “paterna vigilanza” del pontefice. Una capitolazione completa, mitigata dalla constatazione, sottolineata da Pergen, che l’uso di troppa indulgenza è impedito dalla “proclività degli uomini al male” (vaga allusione ai suoi detrattori) e dalla citazione paolina secondo la quale “vos Spiritus Sanctus posuit Episcopos regere Ecclesiam Dei”139, a ribadire in clausola uno dei temi cari alla sua visione ecclesiale. La soppressione A Mantova è il canonico della Cattedrale Muti, in qualità di regio vice economo, a presentarsi la mattina del 17 aprile 1782 – “impensatamente” riferisce l’inquisitore a Roma140 – intimando la soppressione del tribunale, ma “fin da quando incominciò a tuonare” 141 padre Mugiasca e il suo vicario frate Giorgio Rizzini avevano spostato nel convento di San Domenico i beni mobili più pregiati, quali tre pianete di damasco e i dipinti reputati di valore. Prima di compilare il proprio num. 47. 139 Avviso quaresimale / Per la Città, Borghi, e Diocesi nostra, comprese le / Terre Delegate, per l’anno 1776 …, Dato dal Palazzo nostro Vescovile di Mantova questo dì 12. Febbrajo 1775, in Mantova, per l’Erede di Alberto Pazzoni, Regio-Ducale Stampatore. La citazione è tratta da Atti 20, 28. 140 ACDF, St. st., GG 4 a, lettera del 27 aprile 1782. 141 ACDF, St. st., GG 4 a, lettera del 15 maggio 1783. – 148 – Nella Lombardia Austriaca inventario142 il sub-economo si era mostrato conciliante, senza irrigidirsi su queste mancanze e delegando ampiamente l’esecuzione materiale degli ordini governativi: all’archivio e all’armadio che fungeva da biblioteca vengono posti i sigilli, senza immediata distruzione, in attesa che a Milano si decidesse la sorte delle carte, nell’incertezza tra cederle al vescovo di Mantova, “primario inquisitore”143, oppure conservarle presso qualche ente dello Stato. Ancora il 19 settembre 1782, quando venne bruciata buona parte dell’archivio, monsignor Muti volle “riserbare alcune scanzie di Processi indiferentemente per potere […] dar esecuzione almeno apparentemente agli Ordini Superiori” qualora fosse giunta richiesta di materiale da conservare a Brera144. È finalmente del maggio 1783145 il rogo dei circa 60 sacchi di carte che restavano, e la spedizione di sole tre “pergamene portanti gran sigilli”, appariscenti ma reputate di nessun interesse e del tutto innocue, riguardanti i privilegi concessi agli ufficiali del tribunale e ai crocesignati, nonché la “condanna d’un certo P. de Luca Scopettino, per un fanatico neo Panegirico della Concezione”, in cui è da ravvisare la singolare eresia di Pietro da Lucca, canonico lateranense, attivo a Mantova verso il 1510. Nel frattempo l’inquisitore titolare si congeda ritirandosi a Como, sua città d’origine, e il vicario Rizzini, ‘figlio’ del convento mantovano e rimasto a curare le ultime incombenze, non risparmia ai cardinali qualche nota sulle proprie difficoltà finanziarie e sull’avidità di padre Mugiasca, 142 Copia in ACDF, St. st., GG 4 a e in ASMn, DU II, b. 52, c. 34 che da un sommario confronto si corrispondono parola per parola, come lecito attendersi; cfr. anche PEDRAZZINI 2007. 143 ANNIBALETTI 1995, p. 199; lettera di Muti a Pergen. 144 ACDF, St. st., GG 4 a, 25 luglio 1782. 145 ACDF, St. st., GG 4 a, 15 maggio 1783. – 149 – “che non è mai contento né di robba né di danaro”146: di tanto in tanto sembra di cogliere una ‘antipatia di ceto’ nei confronti del vecchio inquisitore, che chiudeva la corrispondenza, anche i fogli interni inviati alla Suprema, con il proprio sigillo comitale, anziché utilizzare il bollo tondo con croce patente propria dell’ufficio mantovano. Vista da Roma la vicenda è un vicolo cieco senza possibilità di manovra, soprattutto dopo il fallimento delle memorie presentate a Vienna dai nunzi apostolici. Si sceglie pertanto la strada della sottomissione passiva, avendo cura di non legittimare, mai e neppure implicitamente, la soppressione: ai domenicani del convento è lasciato il disbrigo delle pratiche per venire in possesso della sede del tribunale, vengono considerate riservate tutte le comunicazioni tra l’ufficio locale e la Suprema, che non deve esser nominata neppure coi padri del convento (dai quali peraltro si richiedono ricevute solo informali dei depositi colà lasciati) e i decreta relativi alle varie sessioni della Congregazione restano evasivi: gli assistenti sono delegati di rispondere alle immediate esigenze materiali e operative di inquisitore e vicario, mentre sui verbali si annota semplicemente ‘relata’, poiché è evidente che alle usurpazioni del governo lombardo “nihil respondendum esse”. Lo stesso atteggiamento era stato imposto nel 1768147, per le imminenti nozze di Ferdinando di Borbone-Parma: occorreva assolutamente evitare che l’inquisitore mantovano si presentasse come titolare di Guastalla (unita politicamente a Parma dal 1748) senza dare al Reale Infante occasione per un umiliante diniego e senza offrire il destro a lamentele per innovazioni intempestive e azzardate. E ancora, appare sintomatica la già citata corrispondenza del 1775, subito dopo la 146 ACDF, St. st., GG 4 a, 25 luglio 1782. 147 ACDF, St. st., GG 5 e, 3 dicembre 1768. – 150 – Nella Lombardia Austriaca soppressione della confraternita dei crocesignati a Cremona: attendendosi qualche provvedimento simile anche per la diocesi di Mantova, è opportuno – scrive la Congregazione a padre Mugiasca – che Ella non si debba prendere nessuna ingerenza in tale affare, né comparire per nessun modo in questa scena; perocché sarebbe a temersi, che il nome di Inquisitore, e di Santo Officio renduto (non si sa il perché) odioso a codesto Governo, non esasperasse maggiormente gli animi, e sollecitasse, anziché ritardare la minacciata ruina, e rendesse la via maggiormente luttuosa.148 Prudenza e indulgenza sono raccomandate anche nel maggio del 1778, quando una conversazione sconveniente insinua in una giovane convertita, figlia di un ufficiale tedesco e sposatasi con un benestante mantovano, il dubbio che il cattolicesimo avesse fondamenti poco saldi, soprattutto se confrontato con le altre confessioni: principale preoccupazione dei cardinali è che l’eventuale interrogatorio dei testimoni non avvenga “nisi in circumstantiis, in quibus nichil timeri possit prejudicii S. Officii”.149 Tutto questo sistematico sopire e troncare, cercando di assecondare la corrente senza venirne trascinati, non riuscì ad evitare che nel giro di pochi anni dai muri dell’abolito tribunale venissero cancellate “le parole d’Inquisizione e Santo Officio”150, ottemperando a una damnatio memoriae di burocratico riserbo, accompagnata dalla consueta compilazione di 148 ACDF, St. st., GG 5 e, 25 novembre 1775, risposta della Congregazione alla lettera di padre Mugiasca del 2 novembre 1775. 149 ACDF, St. st., GG 5 e, 10 maggio 1778. 150 ANNIBALETTI 1995, p. 200 e AStDMn, CC, 189 sgg. . – 151 – Relazioni del sub-economo, vol. III, cc. inventari e verbali a sancire il passaggio di proprietà, edifici, rendite e carte dal tribunale ecclesiastico all’amministrazione regio-imperiale. La legislazione napoleonica non dovrà che recepire la situazione, ed equipararvi il Veneto. I resoconti economici Nonostante nel 1632 fosse stato imposto l’ordine di spedire a Roma la nota delle spese ogni sei mesi,151 i resoconti rimasti sono perlopiù dei primi giorni di gennaio; pochi sono rimasti per intero, di alcuni anni comunque possediamo almeno i riepiloghi complessivi. Pur con qualche incertezza dovuta all’imprecisione dei conti e dei riporti, causata anche dalle trascrizioni avvenute nel copiare a Mantova la minuta prima dell’invio e a Roma dopo la ricezione, si ricava un bilancio di sostanziale pareggio152 tra entrate e uscite, alterato a volte dall’impossibilità di riscuotere i crediti dagli affittuari o dai ritardi nei pagamenti da parte della Mensa vescovile, il maggior contribuente al mantenimento del tribunale. A sua volta l’inquisitore mantovano era gravato da una pensione da versare al suo omologo di Casale Monferrato, come suggeriscono due lettere, nel 1650 e nel 1666.153 151 GIUSTI G. 1987, p. 105. 152 L’esorbitante anno 1785, peraltro di incerta lettura, è da trascurare per la sua atipicità, collocandosi a ridosso della soppressione del tribunale. 153 ACDF, Decreta, 1650, c. 181, 7 dicembre 1650: l’inquisitore di Casale prega con lettera del 19 (novembre ?) che quello di Mantova solva la solita pensione. ACDF, Decreta, 1666, c. 32, 3 marzo 1666 (di difficile lettura per il deperimento di carta e inchiostro): con lettera del 19 febbraio l’inquisitore di Mantova comunica che ha pagato all’inquisizione di Casale la pensione di dieci (?) scudi, come era in uso presso i suoi antecessori, “ob illius paupertatem” e chiede di esserne liberato. I cardinali ordinano di scrivere a entrambi per ottenere maggiori informazioni. – 152 – Nella Lombardia Austriaca Considerando l’anno 1710, i cinque carcerati (non tutti per l’intero anno) provvedono quando possibile al proprio mantenimento: con 60 lire al mese dovevano ottenere un trattamento abbastanza confortevole, paragonabile a quello riservato al secondo commesso (54 lire mensili), anche se un trattamento minimo sembra essere garantito anche agli insolventi. Fonte continua di spese ingenti, circa il 50 % del totale, restavano in una situazione precaria e debitoria anche con la vendita dei beni sequestrati dopo la condanna, tanto che nel 1713 l’inquisitore cercherà di recuperare un’eredità “per li poveri carcerati”,154 una situazione che doveva essere generalizzata e di cui restano tracce documentarie relative alla vicina sede del Sant’Uffizio di Parma155. Tra le spese minori figurano la legna per riscaldare (circa 150 lire annue), quindi per le candele (circa 70 lire annue), e per le altre spese fisse (lavatura dei panni, olio, affrancatura della corrispondenza156) ciascuna a circa 60 lire l’anno, talvolta affiancate da uscite discontinue per piccoli acquisti di gestione non ordinaria157. Risalta invece l’importanza delle uscite destinate al personale (un terzo circa del totale) per la metà sostenute a fine anno, quando con piccole somme si gratificavano i domestici stabili o quanti avevano prestato qualche occasionale servizio. I rimborsi annuali per il vestiario mostrano chiara la 154 ACDF, St. st., GG 5 e, 9 giugno 1713. 155 CERIOTTI – DALLASTA 2009, pp. 214-215. 156 In ACDF, Privilegia Sancti Offici, 1669-1699 alcune carte relative a una richiesta dell’inquisitore Giovanni Battista Righi circa l’esenzione dalle spese di spedizione. Nel 1760 Clemente XIII rinnoverà l’esenzione, avvalorata “da antichissima osservanza”, dalle spese di affrancatura per “tutte le lettere scritte, e dirette alli Padri Inquisitori dello Stato Ecclesiastico, ed anche alli respettivi loro Vicari Generali, o Foranei” (ACDF, Decreta, 1760). 157 Ad esempio nel 1720 l’inquisitore Visconti chiede e ottiene da Roma denari per rinnovare le lenzuola, o ancora nel 1763, quando si fanno accomodare due ‘stramazzi’ per le carceri (ACDF, St. st., GG 5 e). – 153 – stratificazione sociale: a fronte di 156 lire per il primo commesso (ridotte a 132 per il secondo) troviamo 528 lire destinate all’inquisitore, il solo che riceveva il vitto per i viaggi alle acque termali o per il ritorno nel proprio paese d’origine durante i mesi estivi. Una consuetudine attestata per tutto il Settecento, ma non necessariamente a carico dell’ufficio: nei Decreta o nella corrispondenza troviamo le autorizzazioni relative al 1709 (l’inquisitore Angelo Michele Nanni è a Brandola ed è insolitamente nominato anche il vicario frate Reginaldo Rossi, a Recoaro nel mese di agosto), 1710158, 1720, 1721 (padre Visconti), 1736 (padre Belotti), 1743, 1746, 1747, 1750 (inquisitore Pietro Martire Cassio), 1767 (padre Mugiasca); le richieste sono spesso accompagnate dalla dichiarazione di un medico attestante la necessità di fuggire l’aria malsana delle estati mantovane. Benché per l’anno 1710 la Mensa vescovile resti debitrice159 di 6930 lire, con 3498 lire versate garantisce il contributo maggiore, pari al 56 % del totale (73 % scorporato il contributo dei carcerati), seguita dai versamenti effettuati dai carcerati per il proprio mantenimento (circa 1335 lire, non bastanti a coprire tutte le spese). Altre entrate più modeste, spesso pagate in ritardo, provengono da censi e livelli dei poderi di proprietà del Sant’Uffizio. Quando la politica giuseppina prenderà corpo sarà una 158 Un esempio tra i molti: “Lectis litteris inquisitoris Mantuae datis 23 Maij [?] proximi, quibus supplicat pro licentia se conferendi ad Balnea Brandolae de Con[silio?] medicorum ad effectum recuperandi sanitatem, […] Inquisitori licentiam petitam concesserunt, proviso tamen officio de idoneis ministris tempore dictae suae absentiae. ACDF, Decreta, 1710, c. 267r, 29 aprile 1710. 159 Eventualità non così singolare neppure prima della dominazione austriaca. ACDF, Decreta, 1604-1605: “Lectis litteris Inquisitoris Mantuae datis dies 12.a Novembris, in quibus significat pensionem annuam scutorum 100 Camera, reservatam Sancto Officio, super fructibus episcopatus Mantuae, a multis annis non fuisse solutum iuxta valorem scuti camerae, decretum ut videatur bulla reservationis dictae pensionis.” – 154 – Nella Lombardia Austriaca preoccupazione frequente degli inquisitori trovare buoni investimenti per i capitali evitando azioni di fallimento sicuro e contemporaneamente mettendosi al riparo da possibili pretese del governo, che cambiava in profondità i regolamenti amministrativi relativi alle terre ecclesiastiche. 160 Stando ai dati rimasti, cinquant’anni più tardi i bilanci non erano molto diversi: tra le annotazioni atipiche segnaliamo nel 1760 il risparmio sul vino dei carcerati, che proviene da un podere di proprietà, o la spesa per contribuire allo scavo di Fossa Viva (1762), un canale di bonifica nei pressi della possessione “Margonella”di San Silvestro161. Risulta il mantenimento di un povero, registrato separatamente rispetto ai carcerati (1762) e nel 1763 si annota il costo di due ‘stramazzi’ nuovi per migliorare le condizioni dei prigionieri; ancora nel primo semestre del 1769 grava sul bilancio un sacerdote carcerato. Le annotazioni per spese di viaggi e missioni (talvolta meramente legate all’amministrazione del patrimonio) sono decisamente rare, due o tre all’anno, come sembra eccezionale la spesa per effettuare due arresti (1762) , benché in questo caso occorrerebbe conoscere nel 162 dettaglio gli accordi circa l’uso del braccio secolare, perenne motivo di attriti col governo. 160 L’inquisitore Mugiasca chiederà più volte consulenza circa l’acquisto di un terreno, ricevendo da Roma lungimirante risposta: “essendo il compratore il S. Offizio, luogo di mani morte, si andrebbe a pericolo di perdere e frutti e capitale, il che non può accadere ne’ Censi”, che sono appunto l’investimento raccomandato. ACDF, St. st., GG 5 e, luglio 1770. 161 Sugli stabili e sulle 36 biolche di terra del podere cfr. ASMn, ASMn, DU II, b. 52, c. 34. Dopo la soppressione le entrate saranno destinate all’ “orfanotrofio dei maschi”, che lo venderà nel 1788 (ASMn, Regia intendenza politica, b. 246). La toponomastica attuale conserva una “corte Margonella” poco a sud di Levata. 162 Tra le rare notizie disponibili: nel 1617 l’arciprete di Viadana, multato dal Sant’Ufficio di Mantova, dovrà pagare la spesa di 40 scudi “fatta in due cavalcate di sbirri” (ACDF, St. st., CC 1 b, fasc. 8). – 155 – Dettaglio entrate-uscite per l’anno 1710 Nel campo della quotidiana amministrazione il desiderio di un sistema separato e indipendente rispetto a quello diocesano e a quello laico si scontra con l’insufficienza di mezzi e uomini, come sarà evidente anche nella faticosa organizzazione del sistema delle vicarie. Lasciamo il dettaglio economico dell’anno 1710, significativo della micro-economia di cui viveva il tribunale, come organismo autonomo rispetto al convento domenicano e come istituto che per funzionare necessitava comunque di una rete di fornitori di beni e di servizi che non era in grado di gestire in proprio. Nota delle spese fatte nel S. Off.o di Mantova l’Anno 1710163 [1 lira = 20 soldi] [lire:soldi] Genaro Speso in libre 16 di oglio per lucerne del S. Offi.o 20:4 Speso per le cibarie, e custodia del Giacomazzi carcerato 60 Per le cibarie, e custodia del Cozza carcerato 60 Per le cibarie del Toresani carcerato 55 Per le cibarie del secondo Commesso 58 Speso in otto libbre di candele di secco 10:6 Datto allo Studio per la solita festa di San Tomaso 18:10 Nelle lettere e francatura in q.to Mese 6 Speso per lavatura de panni di lino del S. Officio 4 Per le spese minute di questo mese 6 Febraro Speso in due cassi di legna grossa per il santo Officio a raggione di lire trentaquattro il 68 casso Speso per le cibarie, e custodia del Giacomazzi carcerato 163 60 ACDF, St. st. GG 5 e, preceduta da lettera accompagnatoria: “Eminentissimi e reverendissimi signori Padroni Osservandissimi / In adempimento del mio dovere humilio all’Eccellenze Vostre la notitia dell’introito, et esito di questo S. Officio di Mantova, come pure la nota de crediti, che restano da esigersi per tutto l’anno 1710 e non essendo questa mia per altro; col baciarli humilmente il lembo della Sagra Porpora resto / dell’Eccellenze Vostre / Humilissimo Devotissimo et Obedientissimo Servitore / Mantova 30 gennaro 1711 / frate Angelo Michele Nanni inquisitore”. – 156 – Nella Lombardia Austriaca Per le cibarie, e custodia del Cozza carcerato 60 Per le cibarie del Toresani carcerato 55 Per le cibarie del secondo Commesso 58 Per lettere e francatura in q.to Mese 6 Speso in dieci libbre di candele di secco 13 Per le spese minute di questo mese 6 Marzo Speso in quindeci braccie di tovaglioli per il S. Off.o a soldi cinquanta il braccio Per un soglio di vino per li carcerati a lire sessataquattro il soglio Per le cibarie, e custodia del Giacomazzi carcerato 37:10 64 60 [Totale della pagina] 780:15 [785:10] Per le cibarie, e custodia del Cozza carcerato 60 Per le cibarie del Toresano carcerato 58 Per le cibarie del secondo Commesso 60 Per lavatura de panni di lino del S. Officio 5:4 Per le lettere e francatura del presente Mese 7:4 Aprile Speso in libbre sedeci di Oglio per le lucerne del S Off.o a soldi ventiuno la libbra 16:16 Per lavatura de panni di lana del P.re Inquisitore 11 Per le cibarie, e custodia del Giacomazzi carcerato 60 Per le cibarie, e custodia del Cozza carcerato 60 Per le cibarie del Toresano carcerato 52 Per le cibarie del secondo Commesso 50 Per le cibarie di Inganzio Pistoia che fu carcerato li 2 aprile 54 Speso in tre cassi di legna grossa per il S. Off.o a raggione di trenta lire il casso 90 Per le lettere e francatura di q.to Mese 4:1 Per lavatura de panni di lino de S. Officio 5:2 Per le spese minute di questo mese 5:8 Maggio Speso in un soglio di vino per li carcerati 41 Speso in un fossino [?] di crena di cavallo coperto di bazzana rossa per servitio del S. 18 Officio Datto agli sbirri per l’assistenza alla tortura, e Palchetto d’Ignazio Pistoia 30 Speso per le cibarie, e custodia del Giacomazzi, carcerato 60 Per le cibarie, e custodia del Cozza carcerato 60 Per le cibarie del Torresano carcerato 54 Per le cibarie del secondo Commesso 55 [totale pagina] 946:13 [916:15] Per le cibarie di giorni otto d’Ignazio Pistoia carcerato, e condanato alla galera in vita 27 licentiato dal S. Off.o li dieci otto maggio 1710 Per la lavatura de panni di lino del S. Off.o lire 3:14 Per le lettere, e francatura di q.to mese 5:14 Per le spese minute di q.to mese 5 Giugno Speso in due cassi di legna piciola cioè fascine a raggione di trenta due lire il casso – 157 – 64 Speso in due oncie di balsamo di Copaide fatto venire da Venetia per servitio del P.re 19 Inquisitore Per le cibarie, e custodia del Giacomazzi, carcerato 60 Per le cibarie, e custodia del Cozza carcerato 60 Per le cibarie del Torresano carcerato 54 Per le cibarie del secondo Comesso 56 Per lavatura de panni due volte 9 Per lettere, e francatura di q.to mese 3:11 Per le spese minute di q.to mese 3:4 Luglio Speso per le cibarie, e custodia del Giacomazzi, carcerato 60 Per le cibarie, e custodia del Cozza carcerato 60 Per le cibarie del Torresano carcerato 53 Per le cibarie del secondo Comesso del S. Off.o 54 Per lavatura de panni di lino in q.to mese 5 Per lettere, e francatura 3:10 Agosto Speso in un soglio di vino per li carcerati 64 Per la portatura del sudetto vino a fachin 1:10 Per le cibarie, e custodia del Giacomazzi, carcerato 60 [totale della pagina] 734:3 [731:03] Per le cibarie e custodia del Cozza, carcerato 60 Per le cibarie del Torresani, carcerato 53 Per le cibarie e custodia del prete Gradesani carcerato dalli 19 agosto sino alli 31 detto 24 Per le cibarie del secondo commesso del S. Off.o 54 Per lettere, e francatura 5:10 Spese minute 2:4 Per far battere li Mattarazzi 4:10 Settembre Speso in libre sedici di Oglio per il S. Off.o, a soldi ventitre la libra, lire dieci otto, soldi 18:8 otto Speso nel viaggio, e ritorno del P.re Inquisitore dall’Acque di Brandola 140 Per le cibarie di due mesi del sudetto P.re Inquisitore 130 Per le cibarie e custodia del Giacomazzi, carcerato 60 Per le cibarie e custodia del Gradesani, carcerato 60 Per le cibarie del Cozza, carcerato 51 Per le cibarie del Toresani, carcerato 51 Per le cibarie del secondo commesso del S. Off.o 54 Per lavatura de panni di lino del S. Off.o 4 Per riffare li mattarazzi del letto del P.re Inq.re 4 Per le lettere e francatura di questo mese 5:10 Ottobre Speso in un soglio di vino per li carcerati a lire 24 il soglio 24 Per la portadura alli brentadori 1:2 Speso in riffare quattro mattarazze delle Carceri 6:7 Speso in un peso di Candele di secco per il S. Off.o 60 – 158 – Nella Lombardia Austriaca Per le cibarie e custodia del Giacomazzo, carcerato 60 Per le cibarie e custodia del Gradesano, carcerato 51:16 [totale della pagina] 952:7 [984:7] Per le cibarie del Cozza, carcerato 37 Per le cibarie del Toresani, carcerato 37 Per le cibarie del Marassi, carcerato alli 11 di questo mese 29 Per le cibarie del secondo commesso del S. Off.o 50 Per le lettere e francatura di questo mese 7:4 Per lavatura de panni di lino di q.to mese 4:8 Per le spese minute di questo mese 4 Novembre Speso in due sogli di vino per li carcerati a lire 28 il soglio 56 Speso nella portadura di detto vino nelli fachini 2:4 Speso in due coperte di lana per il S. Off.o 52 Per le cibarie e custodia del Giacomazzo, carcerato 60 Per le cibarie e custodia del Gradesani, carcerato 46 Per le cibarie del Cozza, carcerato 35 Per le cibarie del Torresani, carcerato 35 Per le cibarie del Marassi, carcerato 35 Per le cibarie del secondo commesso del S. Off.o 50 Per lavatura de panni di lino di q.to mese 3:12 Per le lettere e francatura di questo mese 4:7 Per le spese minute di questo mese 1:9 Decembre Datto al Padre Vicario per la sua solita recognitione 108 Al P.re Notaro per la sua solita recognitione 54 Dato per il vestiario d’un anno al primo Commesso 156 Dato per il vestiario d’un anno al secondo Commesso 132 Dato per un anno di Vestiario al P.re Inquisitore 528 Dato alli giovani della speziaria per la solita bona mano 10 [spese una tantum nell’anno] Al Refettorario per la solita bona mano 10 [totale della pagina] 1540:4 [1547:04] Al Ortolano per la solita bona mano 10 Dato al primo Cucinaro per la solita bona mano 10 Dato al secondo Cucinaro per la solita bona mano 4 Per lavatura de panni di lana del P.re Inquisitore 11 Dato al Barbiere del S. Off.o 19 Dato alli staffieri di mons.r Vescovo 3 Dato al notaro per un atto fatto nella lite del Vincenzi Dato al Ferraro per varie fattue per il S. Off.o 7:15 5 Dato alli staffieri di P. Panizza 3 Speso in una sedia per condure a Gonzaga il P.re Vicario, e P.re Notaro per interesse del 36 S. Off.o di più speso per cibarie de sudetti Padri 22 – 159 – Dato alli staffieri del sign.r Conte di Castelbarco 3 Dato al sig.r Bresciani mandato ad Ostiglia a visitare li beni livellati al Pellicelli per la sua 35 visita, e perizia e cibarie con anche la sedia Speso in libre venti di Oglio per servitio del S. Offo.o 23:16 Per le cibarie del Gradesani carcerato, ed anche custotia 50:16 Per le cibarie del Giacomazzi carcerato, ed anche custodia, 60 Per le cibarie del Cozza, carcerato 34 Per le cibarie del Toresani, carcerato 34 Per le cibarie del Marassi, carcerato 30 Per le cibarie del secondo commesso 54 Speso nella lavatura del panni di lino del S. Off.o 3:12 Per lettere, e francatura di q.to mese 12:4 Spese minute di questo mese 5:16 [totali per pagine] [totale della pagina] 472:3 [476:19] [riporti delle pagine precedenti] 780:15 946:13 734:3 952:7 1547:4 5433:5 [riepiloghi] [5433:05] Expositum superioris anni 5433:5 [Expositum praesens] 1187 Totum simul 6620:5 Nota del ricevuto dell’anno 1710 Ricevuto dal Giacomazzi per le sue Cibarie, e custodia di tutto l’anno a ragione di 720 sessanta lire il mese Ricevuto dal Cozza carcerato per le sue cibarie, e cusotodia di cinque mesi doppo li quali 300 non ha pagato più niente lire Ricevuto da Ignatio Pistoia carcerato per le sue cibarie d’un mese e mezzo e per le spese 82 fatte nella sua condanna Ricevuto dal Prete Gradesani carcerato per le sue cibarie, e custodia di quattro mesi e 218:71 messo Adi 13 marzo 1710 ricevuto dalli Cignacchi il frutto del censo maturato al decembre 144 prossimo scorso 1709 Adi 10 Maggio ricevuto dalla mensa episcopale a conto del debito che tiene col S. Off.o 630 Ricevuto per robbe vendute di Ignatio Pistoia 12:4 Adi nove Agosto ricevuto dalla mensa Episcopale a conto del debito che tiene col S. 600 Off.o A di 23 agosto ricevuto dal Signor Conte Quaranta il frutto del censo che paga al S. 104 Off.o maturato al decembre scorso 1709 A di 28 Agosto ricevuto dalla Mensa Episcopale a conto che tiene al S. Off.o – 160 – lire 876 Nella Lombardia Austriaca A di 16 ottobre ricevo dalli massari della Sinagoga Granda per il solito livello annuo che 600 pagano al S. Off.o A di 18 ottobre ricevo dalla mensa Episcopale a conto che tiene col S. Off.o 600 A di 15 novembre ricevuto da Antonio Piacentini il frutto del censo maturato li 14 189 agosto pressimo passato [totale pagina] 5075:11 [5078:15] A di 10 decembre 1710 ricevo dalla mensa Episcopale a conto del debito che tiene col S. 792 Off.o A di 23 decembre 1710 ricevuto dal Pelicelli, a conto del debito che tiene col S. Off.o 270 lire [totale] 1062 [riporti] 5075:11 Receptum praesens 6137:11 Expositum praesens 5433:5 Expositum superioris anni 1187 Totum simul 6620:5 Remanet plus expositum 482:14 Nota de Crediti del S. Off.o di Mantova [1 ducatone = 21 lire] La Mensa Episcopale di Mantova paga al S. Off.o di Mantova in due volte al anno cento duc.ni 330 sessanta ducatoni Romani, e ne resta debitrice al med.o S. Off.o tre cento trenta ducatoni Il Pelicelli d’Ostiglia paga all’anno al S.to Off.o un livello annuo di nove doppie d’Italia, d.ni 70 e resta debitore al med.o S. Off.o ducatoni Romani settanta La Sinagoga delli Ebrei paga al S.to Off.o di Mantova annualmente lire sei cento che ha lire ____ interamente sodisfatto La Casa Cignacchi paga al S. Off.o per frutti di censo lire mantovane cento quaranta duc.ni 7 quattro che sono scudi romani sette, e resta debitrice d’un anno La Casa Magni paga un livello di lire dieci otto, e soldi diecisette di Mantova, che sono duc.ni 2:8 paoli otto e mezo in circa e per decorsi va debitrice di due ducatoni, e paoli otto Il Conte Quaranta paga al S. Off.o per frutto d’un censo cento sesanta otto lire, che sono duc.ni 16 ducattoni Romani otto, ma per essere fallito sono due anni che non si è riscosso cosa alcuna, onde il S. Off.o và creditore di Antonio Piacentini Mantovano paga al S. Off.o per frutti di censo lire cento ottanta ____ nove di Mantova, et ha sodisfatto li crediti sono in tutto Duca.ni 430:8 Praesentes notule extractae fuerunt per me infrascriptum a libro magistrali existente in archivio Sancti Officii Mantuae, cum quo exacte concordant. Ita est Frater Paulus Dominicus Angelini Sancti Officii Notarius [… … …] Mantua / Genaro 1711 [… … …] tutto l’anno 1710, e l’esito […] in lire 482:14 Restano alcuni crediti maturati, che ascendono a L. 430:8 – 161 – <Feria 4.a die 11 februarii 1711 Eminentissimi dixerunt ad P. Camerarius iuxta mentem> / attesto Ego frater Angelus Mich. Vanni […] Mantuae /// [bianca] /// Mantua / Genaro 1711 Riepiloghi annuali delle spese anno 1710 entrate 6137:11 uscite riporto anno precedente 6620:5 saldo -482:14 + 1140 [!] 1728 [11:40?] -41:15 1729 - 120:00 1730 1756 5329:07 5435:05 - 194:14 1760 5664:17 5642:10 + 22:07 1761 5744:04 5753:01 + 8:17 1762 5781:19 5887:15 - 105:16 1763 5718:07 5712:13 + 5:14 1764 6007:17 6065:14 1769 6952:17 7033:11 - 80:14 + 5:14 -300:12 - 52:03 1770 6262:10 6179:08 + 83:02 1772 10632:07 10564:05 + 68:02 178[5?] 5458:18:6 2772:10:0 + 2686:08:06 – 162 – Nella Lombardia Austriaca entrate - uscite nel XVIII secolo 10000 5000 0 1700 entrate 1710 1720 1730 1740 1750 1760 1770 1780 1790 uscite saldo delle spese nel XVIII secolo 2686 600 400 200 0 1700 1710 1720 1730 1740 -200 -400 -600 – 163 – 1750 1760 1770 1780 1790 Gli ultimi anni di attività Dagli annuali riepiloghi, sporadicamente conservati,164 si può ricavare qualche indicazione sulla attività del tribunale nel corso del ’700: le spese per il vitto mostrano la presenza di 3 o 4 carcerati per volta, e per periodi abbastanza lunghi, di mesi o interi anni, mentre raramente sono annotate uscite per gli sbirri, in ogni caso solo una piccola frazione del bilancio, che era in gran parte costituito dalle spese per il personale e per l’economia domestica; poche anche le missioni fuori città dell’inquisitore, tolti i viaggi estivi per prendere le acque termali. Per l’anno 1770 abbiamo anche la distinta delle cause:165 sono 6 in tutto, 4 spedite e 2 ‘expectant oraculum’ (cioè risposta dal papa): risulta coinvolto un solo laico, i restanti sono religiosi secolari o regolari (nessuna monaca), 4 casi sono per irregolarità in confessione o sollicitationes, uno per proposizioni ereticali (contro l’esistenza di demoni e inferno), uno per sortilegi; 3 casi sul totale sono comparizioni spontanee. La sinagoga Cases Tra le sinagoghe cittadine restaurate dopo il sacco del 1630 la sinagoga Cases, di rito italiano, era stata fondata da Mosè Cases, autorizzato da papa Sisto V, affinché servisse “ad istanza [e] commodo della famiglia Cases, suoi cognati, e discendenti” come recitava il diploma del cardinal Gaetani rilasciato il 20 giugno 1590.166 Circa un secolo e mezzo 164 ACDF, St. st., GG 5 e; restano i sommari per gli anni 1756, 1760, 1761, 1762, 1763, 1764, 1769, 1770, 1772, 178[5?]. 165 Spedita sistematicamente ogni anno, veniva però conservata separatamente nell’archivio di Roma. Quella del 1710 è consultabile perché scritta sul verso del bilancio, e non su una pagina apposita. 166 ACDF, St. st., CC 5 r, Roma: Mantova: Carpentrasso / E 24 / 1739 / Ghettarello di – 164 – Nella Lombardia Austriaca più tardi, giovedì sei maggio 1756 al palazzo del Quirinale, presente papa Benedetto XIV, si sarebbe discusso in congregazione dell’ampliamento della sala, secondo quanto richiesto dai massari degli ebrei mantovani, agenti portavoce delle famiglie Cases e Fano che ne esercitavano il giuspatronato, come si esprime il procuratore civile dell’Inquisizione a Mantova Francesco Franchi167, utilizzando un termine tolto di peso dalla amministrazione ecclesiastica. La questione in sé si presentava banale: i frequentatori della piccola Roma, e Sinagoghe diverse degli Ebrei. Seguiamo principalmente il fascicolo 1 Istanza degli Ebrei di Mantova circa l’ampliamento della Sinagoga di Cases, che è l’ordinata trascrizione della corrispondenza, dei documenti e dei pareri legali utili alla discussione dinanzi alla Congregazione. Disegni in pianta della Sinagoga Cases sono in ACDF, St. st., BB 1 a, cc. 415-416 e 453-454 (Piante e disegni 40– 1756 Pianta dello stato presente della Sinagoga di Cases, Mantova). Ricco di notizie SIMONSOHN 1977, che si occupa brevemente della sinagoga alle pp. 569-571. Venne demolita nel 1929 durante il pesante intervento edilizio che ha risanato il ghetto; la Sinagoga Grande sopravvisse sino al 1938. 167 ACDF, St. st., CC 5 r, fasc. 1, allegato 4, copia di lettera da Mantova a Roma del 9 aprile 1756. “Attestato del dottor Francesco Franchi Procuratore del S. Officio di Mantova / Inerendo alla commissione ingiuntami da questo Padre Reverendissimo Inquisitore di Mantova, e Suo Dominio, circa le ore 22 del presente giorno 9 aprile 1756 con tutta segretezza, ed’improvviso mi sono portato nella Sinagoga di Giuspatronato Cases, e Fano, posta in questo Ghetto di Mantova, e doppo le ore 23 [cioè un’ora prima del tramonto], dove si trovavano uniti li ebrei, che à questa concorrono per le loro funzioni, ed hò osservato esser munita di Banchi 38 circa capaci di sole persone tre per cadauno, perché di più non è capace il luogo della Sinagoga stessa, dove hò osservato dover stare in piedi molti delli medesimi con incommodo, e quantunque la staggione fosse fredda, nulla di meno nella detta Sinagoga vi era un caldo notabile, ed’insoffribile. Il luogo poi destinato per le donne, quantunque non ve ne fossero, non essendo solite intervenire la sera del venerdì, pure fù osservato angusto, ed’incommodo assai per ritrovarsi basso di tetto, e sotto li coppi, esposto al sole da ogni lato, come è tutta la Sinagoga stessa. /// In fede di che ho fatta la presente, pronto a corroborarla col mio giuramento, occorrendo. / Mantova questo dí 9 aprile 1756. / Dottor Francesco Franchi Procuratore Civile di detta Santissima Inquisizione.” – 165 – sinagoga, ricavata in un sottotetto, erano aumentati a tal punto di numero che i locali erano visibilmente inadatti e scomodi, resi insalubri dall’eccessivo affollamento e dalla mancanza d’aria. All’attestato del procuratore si aggiungeva quello di padre Gianni Eustachio, frate francescano consultore e revisore dei libri ebraici, che l’aveva accompagnato durante un’ispezione a sorpresa: conta circa 300 ebrei, che benché vi stessero buona parte in piedi, vi erano stivati come le sardelle in un barile, e con un caldo, che mi si rendeva insoffribile, avvegnache fuori l’aria fosse molto fredda.168 Veniva quindi richiesto un ampliamento che non avrebbe modificato sensibilmente i volumi dell’edificio né la sua visibilità dall’esterno, avvenendo tramite una modesta variazione del tetto e a discapito della tribuna per le donne, che offriva circa 40 posti; a loro volta le donne sarebbero state spostate in una contigua camera già esistente.169 L’iter della concessione era stato rallentato dall’apparente difformità delle mappe depositate dagli ebrei rispetto a quelle presentate dall’inquisitore: il fraintendimento era dovuto dall’essere la tribuna rialzata di un gradino rispetto al piano principale e chiusa da una gelosia e poteva apparire, in pianta, come una terza camera rialzata. Ottenuta a Roma chiarezza sui lavori progettati, rafforzata dalla garanzia che saranno sorvegliati attentamente e in tutta coscienza (non voglia la divina misericordia che “si facessero adornamenti in vantaggio della loro superstizione”) i pareri 168 169 ACDF, St. st., CC 5 r, fasc. 1, allegato 4. Alle ispezioni collaborano anche due architetti, che misurano i locali e prestano assistenza tecnica. Dal sopralluogo risulta che “il sito degli uomini è lungo palmi numero 42, e 6, e largo 50, capace perciò, à causa de Banchi, e scrigni di sole 100 persone circa. / E quello delle donne dietro il medesimo lungo palmi 13, e largo 58, capace di 40 donne, come dall’ingiunta pianta segnata lettera A”. – 166 – Nella Lombardia Austriaca favorevoli di monsignor Antonio Guidi di Bagno e di padre Alessandro Orrigone sono acquisiti. A sostegno del permesso vescovo e inquisitore avevano aggiunto che nove fossero altre volte in questo Ghetto le Sinagoghe, come si legge nell’altro foglio segnato Lettera T, dimostrativo la visita, che nel 1619 li 20 maggio fece fare monsignor Francesco Gonzaga vescovo di Mantova, ed al presente, compresa la Cases, non ve ne siano che sei, non ostante, che si pretenda, com’è notorio, che à proporzione delle ricchezze sia il medesimo Ghetto cresciuto anche di Popolazione.170 L’autorizzazione era influenzata anche da altri fattori, assolutamente al di fuori del controllo locale. Anzitutto la necessità di rispettare le procedure burocratiche e la giurisprudenza canonica (sempre pronta a sconfinare nella dogmatica), conciliando l’ ‘indubitata opinione’ che passa fra dottori e canonisti “non poter li Cristiani con coscienza sicura vendere agli Ebrei li materiali necessarii, ò in altra maniera cooperare alla semplice riparazione delle loro Sinagoghe” con la facoltà di grazia, assoluta e illimitata, propria del pontefice. Su un piano di più spicciola amministrazione erano vicini i precedenti del Ghettarello romano e della Scuola Tedesca di Ferrara, nonché la spiacevole vicenda di Carpentras, dove gli ebrei avevano ampliato illegalmente l’edificio senza attenersi alle disposizioni che prescrivevano un aspetto dimesso e anonimo.171 170 ACDF, St. st., CC 5 r, fasc.1, allegato 2. Prima lettera del vescovo, da Mantova il 24 luglio 1755. In seguito il vescovo sarà nella residenza estiva di Quingentole, occupato dai propri esercizi spirituali. Aveva comunque delegato il proprio vicario a curare l’affare d’intesa con l’inquisitore. SIMONSOHN 1977 conta otto sinagoghe prima del sacco del 1630 e cinque dopo. 171 ACDF, St. st., CC 5 r, fasc. 1, allegato 6. “[…] Gli Ebrei di codesta Città doppo aver – 167 – Recentissimo era l’editto sopra gli Ebrei (settembre 1751) emanato dallo stesso Benedetto XIV, che riassumeva il diritto civile, i sacri canoni e le costituzioni apostoliche. Mantova però non si trovava nello Stato Pontificio, e sulla bilancia pesava anche il desiderio di rasserenare le relazioni con la Casa d’Austria, che andavano lentamente schiarendosi dopo la conclusione della Guerra di Successione. Da Vienna il nunzio cardinal Crivelli continuava a suggerire cautela e dissimulazione nel contrastare i giansenisti dei Paesi Bassi, ma la creazione dei vescovati di Gorizia e Udine era stata accolta favorevolmente a Vienna (1751, con la soppressione del Patriarcato di Aquileia), erano migliorati i rapporti con la Reggenza toscana di Francesco Stefano di Lorena (massone e filogiansenista agli occhi della curia romana) e un concordato per la Lombardia sembrava di nuovo possibile (arriverà nel 1757). Forse, visto da Mantova, il quadro non era così ampio, ma era certa l’impossibilità di sostenere un confronto con il governo: nell’introdurre la causa in congregazione l’assessore Valenti così concluderà la propria presentazione: qual peso poi possa avere ciò, che in esse lettere si dice, demolito la loro antica Sinagoga, ne fabricarono un’altra assai più alta, e più ampia della prima, con varj ornamenti, e con due fenestre dalla parte di Levante, che corrispondevano alla chiesa de Penitenti Bianchi, essendo tutto ciò contrario a Sagri Canoni, alle Costituzioni apostoliche, e ad una antica transazione dell’anno 1367 fù da quella Sagra Congregazione ordinata la demolizione, e riduzione della nuova Fabrica al suo pristino stato, e fù proibita in essa ogni sorte d’ornato, e specialmente la apertura delle divisate fenestre. / Monsignore Vescovo, cui furono diretti gli ordini della Sagra Congreagatione, mosso dalle suppliche degli Ebrei condescese a lasciar nella sua ampliezza la nuova fabrica, esigendo quanto al rimanente la dovuta esecuzione de medesimi ordini, e vietando agli Ebrei l’uso d’una vecchia Sinagoga annessa alla nuova, da essi chiamata Stanza, o Tribuna. /// Non essendo però contenti gli Ebrei di sì giusto provvedimento, per dare l’ultimo fine à tanti loro ricorsi, si è proposta la causa avanti Nostro Signore […]” (1746). – 168 – Nella Lombardia Austriaca che la richiesta ampliazione /// sembra in qualche modo necessaria anche per quietare quella nazione ivi assai potente, perche non si ricorra al Principe Secolare in questi tempi calamitosi, dipenderà come ogn’altra cosa dalla pienezza di mente, e sapientissimo Oracolo della Santità Sua. Vale la pena di seguire almeno sommariamente la verbosa argomentazione nel suo svolgimento: accordare autorità che abbracciano più secoli di storia della Chiesa e contemperare piani retorici completamente differenti è già di per sé rinuncia all’integralismo e apertura al compromesso. Si inizia dagli argomenti contro. Anzitutto il divieto per gli ebrei di edificare nuove sinagoghe, o di mantenerne più di una per ogni località da loro abitata, conformemente al volere di Paolo IV, Pio V e Clemente VIII. In secondo luogo il divieto di ampliare quelle esistenti, pur con la facoltà di curarne la regolare manutenzione, anche rifacendone i solai per riportarle allo stato precedente in caso di crollo: “de novo possunt illas reaedificare in pristinum statum, non tamen, ut ampliores faciant”. L’assessore non sembra esserne a conoscenza, ma un precedente si era già verificato nel 1610, quando – dopo l’incendio che accidentalmente (‘provvidenzialmente’ secondo i cronisti mantovani) aveva distrutto la sinagoga Porto – Paolo V Borghese si era opposto con deciso ostruzionismo alle richieste degli ebrei: Haebreorum nationis Theutonicae Mantuae commorantium petentium licentiam reedificandi sinagogam caso combustam in loco commodiori intra ghettum, et cum minori impensa, lecto memoriali Sanctissimo noluit concedere, sed illam resarciant in eodem loco.172 172 ACDF, Decreta, 1610 e 1611, c. 160r, 2 settembre 1610. – 169 – La risposta sarà negativa anche l’anno successivo, dopo la presentazione di un memoriale di privilegi;173 e occorrerà attendere il 1645 per vederla ricostruita.174 Pur con una certa forzatura, la regola direttiva è chiara: gli Ebrei sono usufruttuari più che proprietari, e non possono mutare la forma di ciò che godono in usufrutto: Sed neque dictas transformare, vel conjungere, easque separare ei / permittitur, vel aditus, porticusve evergere, vel refugia aperire, vel abitum mutare, vel viridaria ad alium modum convertere.175 In ogni caso è proibito ai cristiani sostenere gli Ebrei e collaborare alla sopravvivenza della loro ‘superstizione’. Seguono gli argomenti a favore. Lo snodo indispensabile è il principio del favor fidei, già fortemente sostenuto da Benedetto XIV:176 ne derivano sia il divieto di erigere e ampliare sinagoghe sia l’esclusiva 173 ACDF, Decreta, 1610 e 1611, c. 263r, 23 febbraio 1611: “Pro Josepho et Moyse Scialerotis [?] haebreis Mantuae petentibus confirmationem facultatis concessae a felicis memoriae Clemente 8.o erigendam Mantuae Sinagogam lecto memoriali, illustrissimi domini mandaverunt fieri verbum in congregatione coram Sanctissimo.” Il giorno successivo il papa chiederà copia del privilegio (ivi, c. 265v); poi chiederà ulteriori informazioni al vescovo (24 marzo 1611, ivi c. 286v). Infine “Reverendi patris domini episcopi Mantuae lectis litteris datis die 8.a aprilis, Sanctissimus noluit concedere licentiam Haebreis nationis Theutonicae Mantuae commorantium edificandi novam sinagogam loco veteris fortuito incendio consumptae, sed si volunt combustam resarciant.” (ivi, c. 300v, 21 aprile 1611) e rifiuterà poco più tardi un’ulteriore richiesta (ivi, c. 347v, 17 maggio 1611). avanzata da Dattilo Galli, ossia Joab Gallico, rabbino proveniente da una influente famiglia di banchieri (cfr. SIMONSOHN 1977). 174 SIMONSOHN 1977, pp. 569-570). 175 ACDF, St. st., CC 5 r, fasc. 1, sottofascicolo non numerato. 176 Particolarmente nel 1747 e nel 1751. Circa la sua teorizzazione e l’uso antiebraico a sostegno dei battesimi forzati cfr. CAFFIERO 2004. – 170 – Nella Lombardia Austriaca competenza della Santa Sede sulla questione, sottratta al controllo episcopale. Immediato corollario è che la richiesta degli Ebrei è ammissibile e ben indirizzata. Altrettanto immediato è che “cum tendat haec prohibitio ad favorem, et decorem fidei Christianae”, il pontefice possa derogare dalle interdizioni dei canonisti e dei papi precedenti qualora ravvisasse un vantaggio per la fede: Onde la proibizione medesima potrà ben rendere più difficile la grazia, ma non mai operare da sé sola, che essa non venga negata per trattarsi di cosa, qual tutta dipenda dal Sovrano Giudizio del Sommo Pontefice.177 Chiariti i principi si tratta quindi di valutare il particolare e l’opportunità contingente, cercando di dirigere le decisioni sulla scorta dei precedenti, delle scelte già compiute a suo tempo da quanti hanno affrontato situazioni simili, nei loro aspetti più generali o nella puntiforme casistica. Viene tratteggiata una inaspettata storia di tolleranza, inverosimile e fantasiosa per la storiografia corrente: la Santa Chiesa, a differenza dei gentili e degli eretici, generosamente sopporta gli ebrei “in memoriam Passionis dominicae, et in testimoniun verae fidei Christianae”. Parole tratte dalla bolla Cum nimis absurdum (1555) di Paolo Caeca et obdurata (1593) di Clemente Pio IV: VIII, IV o dalla che si accordano con quelle di la Chiesa “multa plerumque concedit, ut christiana benignitate allecti amorem suum recognoscant, et ad verum, quod est Christus, lumen tandem convertantur”. Favorevoli sono anche i più recenti decreti della Suprema: nel caso del Ghettarello la sacra congregazione non ordinò la demolizione, benché fosse evidente la mancanza di necessità nel mantenere cinque sinagoghe 177 ACDF, St. st., CC 5 r, fasc. 1, sottofascicolo non numerato – 171 – così vicine; a Carpentras fece demolire una camera, ma la sinagoga rimase comunque più grande di quella preesistente, e nel caso di Ferrara178 – il più simile a quello mantovano – la licenza fu concessa. Che a Mantova l’ampliamento sia assolutamente necessario si ricava dalle lettere del vescovo e dell’inquisitore (più affidabili del memoriale presentato dai massari ebrei179), che sia prudente tener fuori il potere secolare è tutt’uno con ‘questi tempi calamitosi’ e – prosegue l’assessore – è pacificamente accettato che un modesto numero di ebrei può servire a rafforzare la fede dei cristiani. Viene così ridimensionata la precedente 178 ACDF, St. st., CC 5 r, fasc. 1, sottofascicolo non numerato: “La scuola finalmente Tedesca di Ferrara, avendo po[stul]ato che mancavano in quella Sinagoga 38 luoghi per le donne, e 50 in circa posti per gli uomini, ottenne dalla S. Congregazione, che si dilatasse il sito per le donne, […] ricorse indi a Sua Santità con far vedere non potersi ampliare il sito delle donne senza restringere il sito già incapace per gli uomini, e sebbene si fù rigettata la supplica, ciò però avvenne per qualche equivoco, come si rileva dal stesso numero 7 littere D, et E, ond’è che à nuova supplica ottenne poi la licenza di unire alla Sinagoga una stanza contigua, eguale nel piano, altezza e larghezza, giaché non si trattava di toccare li muri maestri e laterali, ne fare alcuna innovazione.” Il progetto definitivo e il controllo sull’esecuzione dei sui lavori vennero delegati all’arcivescovo e all’inquisitore (1750), i pochi lavori necessari (la demolizione di un tramezzo) si trascinarono sino al 1754. 179 ACDF, St. st., cc 5 r, fasc. 1, Sommario num.o primo / Memoriale presentato dagli Ebrei: “I massari della Sinagoga Cases di Mantova oratori umilissimi dell’Eccellenze Vostre sommissamente rappresentano, che per esser cresciuto il numero degli Ebrei aggregati nella medesima, in maniera, che rendendosi quel sito incapace à riceverli, converrebbe à molti di essi per riparare al proprio bisogno, ricoverarsi nel sito delle donne contiguo alla medesima. Poiché questo sarebbe un grand’inconveniente opposto al di loro Istituto, genuflessi ricorrono all’esemplare carità dell’Eccellenze Vostre, acciò voglino degnarsi concedere agli Oratori l’ammissione di poter unire nella Sinagoga degli Uomini la porzione inserviente all’uso delle donne, e provvedere à queste con proporzionata altezza, con usarsi la stessa economia, che usano quelli dell’altra Sinagoga Maggiore, e più grande, che hanno in alto una Tribuna, ò sia Gelosia, per servigio delle donne; che dalla grazia etc.” – 172 – Nella Lombardia Austriaca valutazione secondo la quale la popolazione ebraica di Mantova è maggiore per numero, ricchezza e influenza politica rispetto al passato; o meglio: viene considerata come un dato di fatto non discutibile e non modificabile. Stando così le cose, uditi i voti degli eminentissimi cardinali, fatte le dovute riserve, Sua Santità concesse la grazia per l’ampliamento della Sinagoga Cases.180 La censura parallela austriaca L’importanza della comunicazione tra centro e periferia, e di canali alternativi a quelli più ufficiali, è evidente anche nel flusso di informazioni, irregolare e scarso per la verità, che arrivò a Roma circa l’istituzione della commissione austriaca di censura. Le notizie fornite dall’inquisitore mantovano sono spesso più precise e più aggiornate (certamente rese più rapide per la minor distanza) rispetto a quelle inviate dal nunzio pontificio e forse fu proprio padre Orrigone il primo ad avere sentore della novità, che coinvolgeva tutte le province dell’Impero.181 Il Catalogus librorum rejectorum per consessum censurae veniva stampato per la prima volta nel 1754 dall’officina di Johann Leopold Kaliwoda182, ma solo nel 1756 il nunzio riuscirà a inviare la Continuatio del catalogo con qualche nota utile: <Signor Cardinale Corsini Segretario della Sagra Congregatione del Sant’Offizio, Roma> Eminentissimo e Reverendissimo Signor Padron Colendissimo, 180 ACDF, Decreta, 1756, c. 180r, 6 maggio 1756. 181 Il carteggio in ACDF, St. st., GG 5 e, è quasi esclusivamente in copia e poco ordinato. 182 Verrà aggiornato con la Continuatio prima catalogi librorum rejectorum per consessum censurae, Viennae 1755, cui seguiranno la seconda e terza aggiunta (1756 e 1757). L’elenco manterrà poi cadenza quasi annuale assumendo il titolo Catalogus librorum a Commissione Aulica prohihitorum. – 173 – [… … …] Sodisfacendo agl’ordini di codesta Suprema Congregazione, che mi giongono con il pregiatissimo foglio di Vostra Eminenza delli 13 Marzo, hò l’onore di trasmetterle la continovazione seconda del Catalogo de Libri, che sono rigettati dal consesso della Censura. Già scrissi antecedentemente, che questo consesso era composto da alcuni consiglieri Secolari, da due Padri Gesuiti, e dal Canonico Stoch della Metropolitana, e che a tutti questi dava principalmente il moto il Signor Barone Van Svitten primo medico della Corte. Questo consesso non hà alcuna dipendenza dal Arcivescovo, essendo sol tanto politico, e restringensosi ad esaminare li libri stampati in altri paesi per escluder quelli, che non si vole che s’introduchino in Vienna, ne che si vendino da Librari. Si fa mistero dello stesso /// catalogo poiché non si dà che a quelli, che compongono il consesso, ed una copia a ciascun libraro, acciò sappi quali sono li libri, che non si devono vendere, ne introdurre in Città, e se il consesso desidera il sentimento di Monsignore Arcivescovo su qualche libro in particolare lo fa interpellare per mezzo del detto Canonico della Metropolitana. Queste sono le notizie, che ho potuto ricavare da uno di quelli della Comissione, che confidentemente mi ha anche comunicato il catalogo, assicurandomi che ciò è stato stabilito per rimediare alla corruzzione de costumi, ed al modo libero di pensare massime della gioventù, che cerca soltanto di leggere li libri cattivi. Se mi riuscirà d’aver altri lumi non lascierò d’informarne Vostra Eminenza mentre colla più profonda venerazione mi protesto / di Vostra Eminenza / Umilissimo devotissimo obbligatissimo Servitore vero / Vienna 8 Aprile 1756. – 174 – Nella Lombardia Austriaca Quanto all’ultimo punto, il timore che la gioventù si procacciasse libri cattivi (galanti, decisamente osceni, politicamente sgraditi), e quanto ai risultati raggiunti è sufficiente ricordare che nel 1777 lo stesso Catalogus venne indicizzato, poiché veniva utilizzato come vademecum alla letteratura più interessante.183 Al pari di altri simili elenchi, con cui condivise la sorte, era inteso come strumento di uso interno, riservato a librai e amministratori periferici dell’Impero. Questa riservatezza spiega anche il disorientamento della congregazione, che cerca di raccogliere informazioni confidando soprattutto nei domenicani: l’inquisitore di Mantova riesce a recuperare184 la prima edizione del catalogo con la sua prima integrazione (Continuatio prima, 1755) e contatta padre Costantino Hesfogh185, priore a Vienna, mentre il cardinal Corsini (di fama antigesuita) incontra il provinciale domenicano di Polonia. Se ne ricava qualche dettaglio sulle procedure seguite: il tribunale risiede nella Casa del conte di Schrottenbach, presidente, e si riunisce ogni giovedì alle quattro del pomeriggio; letti i voti e fissate le risoluzioni l’esito è rimesso al conte di Haugwitz, presidente del Consiglio Aulico, cui spetta l’ultima parola. La presenza del canonico Stoch serve da tramite con l’arcivescovo, talvolta interpellato per alcuni casi dubbi. A Roma sembrano impreparati ad affrontare la nascita di una 183 Un cenno in LORENZ 2009, p. 31 e KLINGENSTEIN 1993, il cui approccio al giuseppinismo e ai rapporti stato - chiesa è assai diverso rispetto ai citati lavori di Maass. 184 Inviati a Roma con lettera del 10 settembre 1755. Inoltre ACDF, Decreta, 1756, c. 59r “Feria IV die 10 Martij 1756 / Circa duos Cathalogos Librorum prohibitorum a Consessu Viennensi transmissos a Patre Inquisitore Mantuae. Lecta epistula ejusdem Patris Inquisitoris Mantuae. Eminentissimi dixerunt quod rescribatur Reverendo Patre Domino nuntio Viennae […]”. 185 Copia di una sua lettera è inoltrata a Roma dal Sant’Ufficio di Mantova il 15 dicembre 1755. – 175 – censura di Stato organizzata come una congregazione laica e provvista di un proprio indice: l’azione parallela austriaca costituiva un precedente pericoloso, benché nell’immediato fosse diretta soprattutto contro i gesuiti, che a Vienna controllavano la stampa in maniera rigida e lenta, godendo tra l’altro di privilegi commerciali stigmatizzati dai librai. La nuova commissione, sottratta al controllo gerarchico dell’arcivescovo, era animata da Gerhard van Swieten186, figura tutta settecentesca di intellettuale impegnato, emigrato dalla nativa Leida in quanto cattolico (iscriverà il figlio Gottfried187 ad un collegio gesuita), medico di corte e riorganizzatore della scuola di medicina viennese, attento e ostile studioso delle superstizioni popolari legate al vampirismo. Benché il governo mirasse a eliminare l’esclusivo controllo gesuita sull’istruzione, pur continuando ad avvalersi di religiosi (riflessi vi furono anche al Ginnasio di Mantova), sino al 1759 i gesuiti rimasero nella commissione suscitando sia il fastidio di van Swieten188 che l’ironia dei cardinali romani, portati a diffidare più dei gesuiti che del governo: È da osservarsi che i due Padri della Compagnia di Gesù approfittano molto bene in loro vantaggio del luogo, che Sua Maestà l’imperatrice Regina ha assegnato loro nel Magistrato della Censura, facendo proibire tutti i libri, che 186 KLINGENSTEIN 1993 smonta il mito del giansenismo di van Swieten, mito dovuto probabilmente alla sua opposizione al centralismo pontificio. Cfr. anche KLINGESTEIN 1970. 187 A sua volta presidente della commissione di censura in quanto bibliotecario imperiale, influente appassionato e modesto compositore di musica “rigida come lui” secondo l’impietoso giudizio di Haydn, con cui collaborò al testo degli oratori Die Schöpfung e Die Jahreszeiten. 188 OLECHOWSKI 2004 pp. 65 sgg. – 176 – Nella Lombardia Austriaca dicono male di loro, così sono sicuri di comandare in Vienna.189 In effetti le prime edizioni del Catalogus apparivano decisamente goffe: pratiche da consultare per l’ordine alfabetico, ma prive di suddivisioni in classi o per generi, vi comparivano indifferentemente testi licenziosi, magici, manuali per vincere al lotto, libri di argomento politico o religioso. La prima edizione considera solo opere in tedesco, latino, francese e inglese (cui è dedicata particolare attenzione). Compariranno testi italiani nelle integrazioni degli anni successivi, tra questi ha recato ammirazione trovarsi le rime di Pietro Michielli190, che nessun legge e ne pure pare ricordarsi a chi scrive che siano state più impresse, ma sarà più di 50 anni, che non l’ha vedute.191 Una rapida e asistematica occhiata ai testi proibiti lascia intravedere in trasparenza il modello dell’indice romano192 almeno per le opere datate: troviamo le Novelle di Celio Malespini193, la raccolta relativamente recente di opere burlesche di Berni, Della Casa, Varchi, Mauro, Bino, Molza e Fiorenzuola (1726, falsa data Usecht [sic] al Reno per Roma), sempre di Benedetto Varchi (1502-1565), la Storia fiorentina nell’edizione del 1725 189 ACDF, St. st., GG 5 e, non numerato. 190 Pietro Michiél (1608-1651). Forse le sue epistole amorose di gusto ovidiano; l’ultima ristampa dell’Arte de gli amanti nota è Venezia 1655; per le Poesie postume (stravaganze, elegie, risposte) Venezia 1671. 191 ACDF, St. st., GG 5 e, 5 giugno 1756. 192 Ricavo le corrispondenze da DE BUJANDA, Index, cui ovviamente si rimanda. 193 Orazio Malespina (Venezia ? 1531- ultime notizie Mantova 1608); unica stampa completa delle duecento novelle Venezia 1609, ma frequentemente reinserite in raccolte miscellanee. – 177 – recante la falsa data di Colonia e immediatamente proibita da Roma194 o ancora il Corriero svaligiato di Ginifacio Spironcini, alias Ferrante Pallavicino, le cui opere furono sistematicamente iscritte nell’indice romano a partire dal 1639. A cavallo tra licenziosità e satira politico-sociale è ben rappresentato Gregorio Leti:195 Il Vaticano languente dopo la morte di Clemente X parti tre (1677), la Vita di donna Olimpia Maldachini che governò la chiesa, Il puttanismo romano e il Dialogo tra Pasquino e Marforio sono tutti nel catalogo viennese. Bandita anche la Ricreazione de Curiosi di Diego Zunica (Napoli 1719, 1731 e 1740) ricca di superstizione popolare; su un livello più sofisticato di elaborazione politico-filosofica troviamo il Misterium iniquitatis seu storia papatum [sic] di tendenza ugonotta e monarcomaca,196 l’Historia Papatus di Heidegger (1633-1698)197, e i più politici Machiavelli, Pufendorf,198 Rousseau. Quindi Bernard Mandeville con La fable des 194 Decreto del 4 dicembre 1725. 195 La congregazione dell’Indice proibisce opera omnia nel 1667 e conferma ripetutamente: 1676, 1682, 1683, 1685, 1686, 1687, 1694, 1696, 1697, 1699, 1702. 196 [Philippe de Mornay, 1549-1623], Mysterium iniquitatis, seu Historia papatus. Già nell’Indice di Roma del 1596, altre proibizioni 1611, quindi 1613 confermate sino al 1758, opera omnia comunque proibite. 197 Professore di filosofia morale e teologia a Zurigo, favorevole all’unione della chiesa evangelica-riformata con quella luterana. Divieti romani negli anni 1666, 1672, 1673, 1687, 1690. Nel 1758, rimanendo in vigore la proibizione opera omnia, è ritirata la pleonastica proibizione di questo titolo in particolare. L’edizione citata potrebbe essere Joh. Henr. Heideggeri, Historia Papatus. Novissimo historiae Lutheranismi et Calvinismi […] Accedit Francisci Guicciardini Patritii Florentini Historia Papatus ex Autographo Florentino restituta […], Amstelaedami, Henricus Westenius, anno MDCXCIIX. 198 Dominus de Monzambano [Samuel Pufendorf] illustratus et restrictus. Sive Severini de Monzambano Veronensis. De statu imperii Germanici ad Laelium fratrem, dominum Trezolani. Liber unus. Discursibus juridico-politicis explicatus et restrictus …, Opera et studio Pacifici a Lapide Germano-Constantiensi [Philipp Andreas Oldenburger]. Prima – 178 – Nella Lombardia Austriaca abeilles,199 il Pigmalione,200 sino al Sarpi giustificato201 ancora fresco di stampa: a Venezia ne era stata autorizzata la pubblicazione (23 gennaio 1753, 1752 more veneto) purché sotto falsa data topica e prontamente a Roma era stato proibito (decreto del Sant’Uffizio del 2 maggio 1753); il divieto viennese dovrebbe precedere la riedizione del 1756. Tra gli autori più propriamente religiosi figurano Bernardino Ochino202, Castellione, Tommaso da Kempis (De imitando Christo),203 e il Recueil de diverses pieces concernant le Quietisme et les quietistes ou Molinos, ses sentimens et ses disciples (edizione del 1688 – un anno dopo l’abiura di Miguel de Molinos alla chiesa della Minerva). L’edizione dell’ Opus macaronicum folenghiano del 1768-71 È precedente agli editti di progressiva soppressione lo smacco maggiore subito dal tribunale mantovano in materia di libri proibiti. Poco prima di aprire una propria libreria, il tipografo Giuseppe edizione Utopiae [Amsterdam!] s. d. [1667]. 199 Esattamente la stessa edizione proibita a Roma il 18 agosto 1744, La fable des abeilles, ou les fripons devenus honnetes gens. Avec le commentaire, où l’on prouve que les vices des particuliers tendent à l’avantage du public. Traduit de l’anglois sur la sixième edition, Londres [Amsterdam!] 1740. 200 A. F. Boureau Deslandes, Pygmalion, ou la statue animée, London 1742 e versione tedesca Hamburg 1748. 201 [Giuseppe Giacinto Maria Bergantini], Fra Paolo Sarpi giustificato. Dissertazione epistolare di Giusto Nave, Colonia [Venezia!] presso Piero Mortier 1752. Cfr. BRAVETTI – GRANZOTTO (CUR.) 2008, num. 188. 202 203 “Occhini Bernardi Senensis liber de corporis Christi praesentia Basileae in 8o”. Di cui è citata l’edizione Lipsia 1725. Negli indici romani dal 1563 è proibita la traduzione di Sebastiano Castellione: Thomas a Kempis (Thomas Hemerken) (c. 13801471), De Christo imitando contemnendisque mundi vanitatibus libellus, interprete Sebastiano Castellione, Basel, Pietro Perna; Decr. 5/4/1723. – 179 – Braglia204 impianta a Mantova la tipografia All’insegna di Virgilio presso la chiesa di San Maurizio, nel tentativo di ampliare la propria attività già avviata a Casalmaggiore. A Mantova operava pressoché incontrastato l’erede di Pazzoni e la scena commerciale doveva sembrare favorevole: un’operazione simile del resto sarà condotta, con miglior risultato, anche a Cremona due anni più tardi da Lorenzo Manini205, che – provvisto di maggiori risorse e più ampi contatti internazionali – saprà col tempo intercettare una parte importante della produzione erudita del tardo Settecento mantovano, come avverrà per esempio con Saverio Bettinelli, Giuseppe Bozzoli e, più vistosamente, con gli studi di Giovanni Battista Gherardo d’Arco. Lo sforzo organizzativo e finanziario era dunque notevole, tanto che pochi anni più tardi Braglia opererà solo a Casalmaggiore, dopo aver lasciato Mantova a causa di debiti non pagati, per ritornarvi nel 1782, quando inaugurerà una più solida stagione editoriale offrendo un variegato catalogo che abbracciava tanto l’erudizione letteraria, la scienza economica e la teologia quanto la devozione e la divulgazione popolare206. 204 Il censimento francese del 1799 ne colloca la nascita al 1754: “stampatore e possidente […] alle dipendenze aveva 6 operai”; risiedeva in piazza delle Erbe ed era titolare del negozio in via Magistrato Vecchio. Il registro della parrocchiale di San Lorenzo annota la morte avvenuta nel 1802, a 55 anni circa, portando quindi la data di nascita verso il 1757. Pur con qualche imprecisione anagrafica si ricava che all’epoca dell’edizione folenghiana doveva essere circa ventenne. Cfr. CIARAMELLI – GUERRA 2005, pp. 51 sgg. e D’ARCO, Tipografia Mantovana. 205 PIZZOCARO 1993. 206 Mancano invece notizie di almanacchi o diari pubblicati dopo il 1780 e destinati a Mantova a ideale prosecuzione de La contadinella incivilita mantovana (1769) o L’almanacco di Parma (1778) e Il parmigiano istruito nelle notizie della sua Patria (1778); il monopolio era detenuto dall’erede Pazzoni con la serie Diario per l’anno … . Cfr. GIUSTI 2005, pp. 106-107. – 180 – Nella Lombardia Austriaca Per il proprio debutto mantovano Braglia sceglie una temeraria edizione completa207 dell’opera maccaronica del benedettino Teofilo Folengo. 207 Theophili Folengi / vulgo / Merlini Cocaii / Opus macaronicum / notis illustratum, / cui accessit / vocabularium vernaculum, etruscum et latinum. Editio omnium locupletissima. / [profilo di Virgilio entro medaglia all’antica] / Amstelodami / MDCCLXVIII / sumptibus. Josephi Braglia / Typographi Mantuani ad signum Virgilii. Il secondo volume reca la data 1771. Ristampa anastatica con il patrocinio della Accademia nazionale Virgiliana, Mantova 1996, con prefazione di Giorgio Bernardi Perini. Cfr. anche DLS, p. 19. A integrazione dei dati disponibili in Mantova. Le lettere III, pp. 240 sgg. e dello spolio da opac.sbn.it seguono le stampe dei primi anni di attività (1768-1772) della tipografia ‘All’insegna di Virgilio’: Giornale e lunario sopra l’anno (anno 1765 e 1766); Giovanni Rondoni, Esponendosi in Mantova la immagine della Vergine Maria del fuoco. Orazione panegirica, 1767; Adunanza tenuta dagli Arcadi della Colonia Virgiliana per la ricuperata salute della sacra cesarea maestà di Maria Teresa imperatrice regina apostolica, 1767; Aloisio Francisco Castellani, De vita Antonii Musae Brasaroli commentarius historicomedico-criticus ex ipsius operibus …, 1767; Pacifico Sincero [Giovanni Paolo Barozzi], Apollo in Tessaglia. Favola pastorale, 1768; Gaetano Teranza, Orazione funebre nelle esequie di mons. Giambattista Bertoglio, 1768; La contadinella incivilita mantovana o sia Pronostico sopra l’anno primo, dopo l’Intercalare MDCCLXIX, 1769; Gaspare Luigi Penna, Poemetto in lode del sacro oratore ab. Giuseppe Balto, 1769; Ettore Mazzuchelli, Manuale di massime sentenze e pensieri sopra diverse materie opera utile per la teorica e per la pratica ad ogni condizione di persone, 1769; Lorenzo Cadonati, Il ratto d’Eurilla. Strambentusiasmo [nella stamperia di Marco Moroni a Verona, ma “stampato a spese di Giuseppe Braglia di Mantova”], 1769. Saranno stampati invece a Casalmaggiore, benché nei frontespizi Braglia si protesti mantovano: Alberto Baccanti, Vita, e gesta della beata Paola Montaldi monaca professa nel monastero di S. Lucia di Mantova scritta dal sacerdote Alberto Baccanti, 1772; Clemente Sebastiano Molossi, Trattato della lingua latina diviso in tre parti, 1775; Francesco Vettori, Per la promozione alla Sacra Porpora di sua eccellenza reverendissima monsignore Luigi Valenti arcivescovo di Cesarea e nunzio appostolico presso sua maestà cattolica orazione recitata nella chiesa de’ rr. m. o. di s. Francesco di Mantova il giorno 3. giugno 1776, 1776; Aprendosi il nuouo tempio fatto erigere a gloria di san Liborio nella real corte di Colorno da sua altezza reale don Ferdinando di Borbone, 1777; Angel Agostino Buti, Compendiosa narrazione della vita della serua di Dio la madre suor Felicita Francesca Bartoli di Ferrara religiosa cappuccina nel monistero di s. Giuseppe in Fabriano, 1777; Ignazio Pietroboni, La stampa. Poemetto in – 181 – Dal punto di vista strettamente filologico-letterario l’allestimento dell’edizione folenghiana non era impresa facile, “opus plenum periculi et difficultatem” per chi pretendesse “ab erroribus expurgare et ad genuinam lectionem proferre”208: l’ultima edizione italiana non era ritenuta di qualità adeguata (‘erroribus plena’), nonostante il giudizio parzialmente positivo di Giovanni Agostino Gradenigo: questa Edizione ha alcune postille in margine, che spiegano alcuni vocaboli, Ella è bella, e corretta, e adorna di buone figure in rame, come pure ha in rame il ritratto dell’Autore, e vi è una di Lui non esatta vita, tratta questa e quello dal Tommasini209. Questa pseudo-Amsterdam (Gradenigo sospettava fosse stampata in Italia, ma non era riuscito a ottenere altre notizie) risaliva al 1692 e fu ottava rima diviso in tre canti all’eminentiss. e reverendiss. principe il sig. cardinale Luigi Valenti Gonzaga, 1777; Dimostrazione comprovante le benemerenze, e servigj prestati in diversi impieghi dalla famiglia Paganini all’augustissima Casa d’Austria ed a’ rispettivi dominanti di Mantova. Principiati dall’anno 1497, e continuati fino al giorno d’oggi con l’albero genealogico dimostrativo la rispettiva discendenza, e qualificazione della famiglia, 1778; Alessandro Sanseverini, Il parmigiano istruito nelle notizie della sua patria sparse nel presente almanacco istorico-cronologico, 1778; Alberto Baccanti, Lettere del signor abate di N. N. sopra letterati che ci sono stati al mondo, 1779; Esercizio di divozione per la Novena precedente alla solennità della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo proposto ad utile de’ divoti di questo dolcissimo misterio, 1780. Le pubblicazioni riprenderanno con regolarità a Mantova solo dal 1782 con Giovanni Battista Gherardo D’Arco, Della forza comica, 1782 e diversi altri volumi. È post 1794 (si desume chiaramente da p. 173) il Catalogo di libri latini, italiani, francesi ec. […] una volta componenti la celebre Biblioteca Andreasi che si propongono in vendita […], Mantova [senza data]. Ludovico Andreasi era morto nel 1793. 208 Teranza, Pars prima, p. 1. 209 ASMn, Patrii d’Arco, ms. 58, c. 19r. – 182 – Nella Lombardia Austriaca seguita nel 1734 dalla ristampa della traduzione francese.210 Vuoi per i rifacimenti del testo operati da Folengo medesimo, vuoi per il proliferare di edizioni scadenti succedutesi nel Cinquecento o per gli ostacoli posti per circa due secoli dalla censura ecclesiastica211, il curatore del testo avrebbe dovuto destreggiarsi tra innumerevoli espunzioni e integrazioni arbitrarie condotte a partire dall’edizione di Alessandro Paganini (1517), per la più diffusa e ampia Toscolanense (stampata nel 1521 sempre da Paganini), l’austera Cipadense (1535 ca) sino alla postuma Vigaso Cocaio (Venezia 1552)212. La struttura dell’edizione Braglia è quindi determinata dalle necessità scientifiche e da quelle di ambiziosa propaganda commerciale: nelle intenzioni una prefazione latina di buona erudizione213 introduce a tutto l’opus macaronicum (sette egloghe della Zanitonella, venticinque maccheronee del Baldus, tre libri della Moscheide, gli Epigrammi) annotato sistematicamente, ristabilito nel testo, integrato a fine volume dalla tavola 210 Opus Merlini Cocaii poetae Mantuani macaronicorum. Totum in pristinam formam per me Magistrum Acquarium Lodolam optimè redactum, in his infra notatis titulis divisum. Zanitonella ... Phantasiae Macaronicon ... Moscheae Facetus ... Libellus epistolarum, & epigrammatum, Amstelodami [Napoli!], apud Abrahamum a Someren, 1692. Histoire maccaronique de Merlin Coccaie, prototype de Rabelais: auec l’horrible bataille des mouches et des fourmis, Parigi [?], 1734. 211 Condannato in attesa di correzioni negli indici di Roma del 1590 (“Macaronicorum opus Merlini Coccai poetae Mantuani, nisi ex ratione superiorum regularum repurgatum fuerit”, p. 45) e del 1596, probabilmente basandosi sull’edizione del 1521 Opus Merlini Cocaii … Macaronicorum, totum in pristinam formam, per me Magistrum Aquarium, Lodolam optime redactum …, Toscolano Maderno, Alessandro de’ Paganini, 1521. Vedi DE BUJANDA, Index IX, p. 665, num. 842. Cfr. anche la voce di Ettore Bonora in DCLI, II, o. 257-261. 212 In generale si vedano i saggi e gli apparati che accompagno: Folengo, Opere; Folengo, Macaronee minori; Folengo, Baldus [1997]; Folengo, Baldus [2004-2007]. 213 De Theophili Folengi rebus gestis, et scriptis. – 183 – dei versi espunti e accompagnato da un dizionario mantovano-toscanolatino che avrebbe guidato il lettore colto nel particolarissimo lessico folenghiano. Per presentarsi come ‘vero’ editore Braglia sceglie carta di alta qualità, in quarto di 29 cm, composizione marginosa, elegante e solenne, impreziosita da numerose illustrazioni e capilettera, ben distribuita in due tomi. Proprio l’ampiezza dei propositi e la sontuosa veste editoriale hanno garantito all’edizione una discreta fama, e Attilio Momigliano ne definì la lunga prefazione “il saggio capitale della critica storica folenghiana del secolo XVIII”214 avanzando un giudizio poi confermato da Giorgio Bernardi Perini (“primo degno contributo scientifico allo studio del Folengo maccheronico”215), mentre Carlo Cordié ha evidenziato i molti limiti della ricostruzione filologica dei testi, o meglio della loro ondivaga e devastante alterazione216. Domenico Conti Bazzani, illustratore Più recentemente è stato considerato l’apparato iconografico, dovuto in buona parte a Domenico Conti Bazzani217 che delineò218 il ritratto di Teofilo Folengo in antiporta deducendolo da “un quadro in legno di Merlin Cocaio” di antica proprietà della famiglia Capilupi. Sempre a Domenico Conti spettano buona parte delle scenette – di gusto arcadico, ricche di notazioni argute e popolaresca animazione219 – che aprono i venticinque libri del Baldus e più in generale quelle maggiormente 214 MOMIGLIANO 1921, p. 207. 215 BERNARDI PERINI 1971 [ristampa 2000, p. 99]. 216 CORDIÉ 1950. 217 SIGNORINI 1995, pp. 101-109; L’OCCASO 2007, pp. 214-215; L’OCCASO 2009. Ringrazio Stefano L’Occaso per questa e altre indicazioni su Domenico Conti Bazzani. “Dom. Maria Conti delin. / Dom. Cagnoni sculp. Brixiae”. 218 219 MANTOVA, Le Arti, III (Perina), p. 615 e TELLINI PERINA 1984, pp. 53-59. – 184 – Nella Lombardia Austriaca visibili perché in pagina dispari; probabilmente a un anonimo disegnatore vanno attribuite tutte o quasi le restanti illustrazioni (frequenti a chiusura dei libri; sono sistematicamente figurati i capilettera di libri e Argumenta, a loro volta sempre introdotti da una scenetta). Forse per nobilitare ulteriormente l’operazione con poca spesa, o forse come divertimento e omaggio, si inseriscono pure due tavolette siglate dal veneziano Francesco Zugno, artista affermato che già aveva collaborato all’edizione de La secchia rapita. Braglia aveva dunque privilegiato un illustratore giovane: i primi esercizi di Domenico Conti per l’accademia risalgono al 1765 e sempre sotto la protezione dell’accademia si aprirà la sua carriera, indirettamente sostenuta dagli ambienti di governo: tra le prime commissioni troviamo l’incarico di restauratore per la Regia Ducale Scalcheria nel 1769 e pochi anni più tardi il conte di Firmian sospetterà indebiti favoritismi ricevuti dallo zio Giuseppe Bazzani220 (che dell’Accademia di belle arti fu direttore dal 1767 sino alla morte avvenuta nel 1769); la sua carriera proseguirà a Roma mantenendo comunque frequenti contatti con Mantova. L’abate Gaetano Teranza Per la cura del testo Braglia si rivolge all’abate Gaetano Teranza221, 220 221 L’OCCASO 2008, p. 216. Così recita la voce redatta da Leopoldo Camillo Volta in Diario per l’anno 1786., Mantova 1785, eredi Pazzoni, che contiene il Compendio di notizie intorno a’ più illustri Teologi, e Scrittori di cose sacre Mantovani, disposti per ordine alfabetico: “TERANZA (Gaetano) nato in Mantova ai 13. di Settembre del 1716., e morto ai 28. di Maggio del 1772. si distinse fra i nostri moderni Ecclesiastici per talento non meno che per dottrina. Terminati appena gli studj delle Scuole minori in questo Ginnasio, venne stimolato ad entrare fra i Socj della Compagnia di Gesù, nella quale fu ricevuto ai 3. di Novembre del 1732. Dopo il Noviziato studiò la Filosofia, e divenne Maestro di Gramatica e Rettorica, secondo il costume di quell’Istituto, per varj anni. Quindi, avendo compiuto anche gli Studj teologici, fu ordinato Sacerdote, e fece la professione de’ quattro voti ai 2. di Febbrajo del 1750. Alcune differenze insorte di poi fra esso, e i suoi Confratelli, furon cagione che egli cercasse di sciorre il legame, a cui si era avvinto, ed uscisse dalla Compagnia verso l’anno 1759. Ristabilito in Patria si pose per passatempo a tradurre, e a pubblicar – 185 – mensualmente un volumetto del nuovo Mercurio istorico e politico, che usciva allora in Olanda: ma consigliato dagli amici a desistere da un lavoro troppo per lui materiale, ne intraprese un altro assai migliore, cioè quello di comporre un Giornale politico e letterario. Ma neppur questo ebbe lunga durata, poichè divenuto egli Rettore della Parrocchia di S. Ambrogio, stimò più opportuno di occuparsi interamente ne’ sacri studj, e nella cura delle anime. Ad insinuazione del Clero Mantovano raccolse, e diè forma alle Decisioni de’ Casi di Coscienza discussi in tempo di Sede vacante, e le pubblicò in Venezia nel 1762. L’anno appresso mandò in luce sotto gli auspici del Conte Carlo di Firmian quattro Dissertazioni prodrome alla spiegazione morale e letterale di tutti i Salmi; fatica da lui incominciata con molto ardore, ma poi non condotta a termine, essendone comparsi soltanto due Tometti pe’ mesi di Gennajo e Febbrajo. Oltre l’impegno, che seco porta l’esercizio di Parroco, si era egli assunto quello di Predicatore, per cui avendo incontrato più d’un applauso gli convenne spesso allontanarsi da Mantova. Si hanno due suoi Panegirici nel tomo VI. della Raccolta de’ più celebri Oratori del nostro Secolo che uscì in Venezia nel 1762. L’ultimo de’ suoi lavori letterari fu l’edizione delle Opere maccaroniche di Teofilo Folengo fatta nel 1768, che adornò di molte annotazioni, aggiugnendovi in fine un Vocabolario vernacolo Mantovano per maggiore intelligenza delle Opere suddette.” Il riferimento dato da Volta in nota 6 (“V. il Diario del 1783 pag. 183”) non corrisponde; forse sta per 1784 p. 182, come si desumerebbe dal Diario del 1785 sempre alla voce “FOLENGO”, a p. 170]. La finzione della stampa ad Amsterdam è abbandonata, per trascuratezza o per l’esser venuta meno la necessità di cautele, nella versione ridotta di questa voce, in [Leopoldo Camillo Volta], Compendio cronologico-critico della storia di Mantova dalla sua fondazione sino ai nostri tempi con due memorie inedite sul marchesato di Castellaro, Mantova, da Francesco Agazzi stampatore della R. Accademia, 1827, Tomo V, pp. 246-247. Inoltre P. Predella, Repertorio degli scrittori mantovani, ms. in Accademia Virgiliana. Il DOM segnala: Arco, Iscrizioni V. I, p. 242; Notizie V. VII, p. 155; Coddè, Iscrizioni V. I c 44v; Diari 1786, Gionta-Mainardi, p. 274; Predella Inscriptiones V. I p. 237; Volta- Arrivabene V. V, p. 246. Alle opere di Gaetano Teranza si aggiungano: “Della vita del buon servo di Dio Domenico Sanguigno da Belgiojoso libri due scritti da d. Gaetano Teranza rettore della chiesa parrocchiale di S. Ambrogio in Mantova … In Venezia, appresso Antonio Bassansese, 1766” e “Orazione funebre / nelle esequie di mons. / Giambattista Bertoglio / ex-vicario generale della diocesi di Mantova / Dottore di Sacra Teologia, e dell’una e dell’altra leg- / ge, Protonotario Appostolico, Consultor Canonista / della SS. Inquisizione, Esaminatore Pro-Sino- / dale, e Priore della Parrocchial Chiesa / di San Martino / recitata dal signor / D. Gaetano Teranza / dottore di Sacra Teologia / e rettore della chiesa parrocchiale / di S. Ambrogio / della stessa citta’ / Il giorno 8. Luglio 1768. / – 186 – Nella Lombardia Austriaca persona più esperta e di una certa notorietà. Formatosi al ginnasio dei gesuiti ed entrato nella Compagnia nel 1732 per prendere i voti nel 1750, mostrerà un carattere inquieto e poco perseverante, uscendo dalla Società di Gesù pochi anni più tardi, avviando e interrompendo numerose fatiche letterarie, tra le quali la traduzione del Mercurio di Bruxelles e un successivo giornale, frutto di compilazione autonoma basata anche su un vasto numero di fogli letterari. Così almeno si promette nella lettera pubblicitaria del 1761, sottolineando che “Sarà ciascun tometto diviso in tre o quattro capitoli. Sarà il primo degli affari politici. Il secondo degli affari Militari. Il terzo delle Scienze, ed Arti. Il quarto delle Finanze, e del Commercio.”222 “Uomo troppo amico di se stesso”223, secondo Giovanni Agostino Gradenigo, è apprezzato predicatore e a Mantova si occupa della propria parrocchia e della formazione del clero. Una scherzosa raccolta di rime224 celebra le sue prediche tenute ai [entro un tondo come medaglia all’antica è il profilo di Virgilio e dicitura PVB VIRG MAR/] In Mantova / Per Giuseppe Braglia all’Insegna di Virgilio, con Lic. de’ Sup.”. 222 Novelle letterarie, pubblicate in Firenze l’anno MDCCLXI, nella stamperia di Gaetano Albizzini, all’insegna del Sole. A p. 606: Articolo di Lettera scrittami dal Sig. Gaetano Teranza Paroco di S. Ambrogio in Mantova, sotto dì 28 Agosto 1761. Teranza annota come la traduzione del Mercurio Istorico e Politico avesse raccolto scarso interesse poiché compariva in Italia con eccessivo ritardo rispetto all’originale. La scelta di innovare il prodotto editoriale è quindi conseguenza di una valutazione di mercato legata agli interessi dei possibili acquirenti. 223 Lettera al marchese Valenti (Venezia, Biblioteca Correr, fondo Gradenigo-Dolfin, ms. 204, vol. VI, n. 41), trascritta in CAVARZERE A. 1984, pp. 308-309. 224 Rime piacevoli / del sig. d. Antonio Quarti, / e di Gio: Battista Biasetti, / e di Giuseppe Manzoni, In occasione, che finisce le sue Quaresimali fatiche / Nella Chiesa Parocchiale, e Collegiata / di Santi Appostoli / con applauso universale / il reverendiss. sig. / d. Gaetano Teranza / preposto di Mantova: / dedicate / al reverendiss. sig. / d. Angiolo dot. Teodi / piovano dell’antidetta chiesa. / In Venezia / appresso Gasparo Gerardi / MDCCLXII. / Con licenza de’ superiori. L’esemplare custodito presso la biblioteca Teresiana di Mantova – 187 – Santi Apostoli a Venezia nel 1762 lasciandoci qualche suggestione vivace: l’omaggio si apre con tre agili canti berneschi in cui Giuseppe Manzoni racconta di come i diavoli dell’inferno si siano organizzati per corrompere i fedeli e distrarli. Riferisce a Belzebù un diavolo mandato in esplorazione: Qualche trama in rimedio ho gran temenza, / Che in Venezia perdiam le nostre prede, / Colpa un grande uom, che a predicarvi riede // È Prete secolare Mantovano, / Uomo, che sempre studia la Scrittura, / I Santi Padri, / e ha nome Gaetano. / Per le città va sermonando, e fura / l’anime nostre, le ci strappa di mano. // [I, 24-25] Con parodia polemica Manzoni racconta di come il consiglio infernale pensi di insuperbirlo, spingendolo a parlare di contrasti vani di scuole, ma di fronte al bel parlare del predicatore, “cui s’inchina Arpino” (III, 14) i diavoli tentano di distogliere i fedeli dal valore morale dell’orazione elogiandone la forma. In evidenza sono il lavoro di esegesi condotto direttamente sui testi sacri e la manierata opposizione tra la concreta sostanza del senso e la vuota forma letteraria: I vezzosi Abatini, e i letterati / Fan plauso cogli sputi ai bei concetti, / Escon notando li temi più ornati, / I più brillanti, ed ingegnosi detti; / Gridando, come fossero avvocati: / Questi son certo gli orator perfetti ! / Udistù quel racconto così bello, / E quella descrizion dell’orticello // Questi non copia certo Biblioteche; / Ma legge i Santi Padri, e la Scrittura. / Chi non l’intendon son persone cieche. / Egli il Vangel con fior non affatura, / E ha certe sferze, e guardature proviene dalla donazione di Carlo d’Arco. Un cenno in DBI, Manzoni, Giuseppe (P. Lucchi 2007). – 188 – Nella Lombardia Austriaca bieche / Contro al peccato, che metton paura. / Soggiunse un altro incanta ogni ascoltante / Più, che non fa la biscia il Negromante. // Molti fermati a udir questi ciancioni / Non stavano pensando ai loro vizi; / Dicevano tra lor, gran Narrazioni! / Gran pensieri! / e formandone giudizi, / Non curavan la lebra i zoticoni, / Nè si guardavan dai lor precipizi. / Dicean, ch’egli era un fonte, una ceppaja / Di bei trovati, e avean le colpe a staja. // Ma l’accorto Teranza un giorno aprio / Agli uditori del mondo gl’inganni, / per cui non frutta la voce d’Iddio; / E col suo dir fa, che il popol si sganni / Dell’uso di lodare il dolce, e il brio / Di chi ragiona. Avveggonsi de’ danni, / Che n’hanno que’ meschini Letterati, / E pajon topi nell’acqua annegati. // [III, 19-22] Ultimo fallito tentativo dei poveri diavoli sarà dar fuoco alla bottega del salsicciaio, senza tuttavia riuscire a distrarre i fedeli dalla predica sul Paradiso (III, 24). Il secondo poemetto è un ‘dialogo alla veneziana’ tra barcaroli composto da Giovan Battista Biasetti: sono dedotti dalla viva predicazione il senso generale (i poveri si contentino del loro stato accettando una società tripartita che li vede impegnati nel ruolo di ‘laboratores’) e l’argomento didattico secondo cui si può salire al cielo in tre modi: nuotando (la gente di bassa condizione), attraversando un ponte (il clero, che dispone di un passaggio facile ma scivoloso) e in barca (un viaggio confortevole per i possidenti, che eviteranno pericolose compagnie se “i sa star quieti”). Velato di una lontana reminescenza agostiniana è il detto ‘andar al cielo in carrozza’ adattato all’ambiente lagunare e alla quotidiana esperienza dell’uditorio, e probabilmente riutilizzato anche nelle prediche mantovane. Beppo, che assecondando un’occasione fortuita ha assistito di – 189 – buon grado alla predica, la riferisce al più insofferente Nane, inizialmente poco accondiscendente verso l’amico ‘chietino’: No bisogna esser gnanca affatto al mondo Nane morto. / Anca mi son Cristian, e ho letto la moral, / El bever qualche gotto, mi so, che no l’è mal; / Ma vu che sè chietin, sieu mezo innanzolao, / Se ve digo bevè; disè, che l’è peccao. […] El dise, che in tel mondo tutti se pol Beppo salvar. / Basta solo, che femo quel, che semo obbligai / […]. Tutti semo in tun fiume, ch’arriva all’altro mondo, / Ne savemo catar coi nostri remi el fondo. / Se passa in tre maniere, e tutte differente, / E qua se pol conoscer tre condizion de zente; / […] Quelli, che va a nuando, xe quei de bassa sfera, / Ch’i se sfadiga sempre dal zorno in fin a sera; / Quelli, che va per barca, xe quei, che ga del fondo, / E co tutti i so comodi i passa all’altro mondo; / Quelli che, va sul ponte, xe quei del Sacro Stato, / E per lori che vol un differente pato. [… … …] Se i terzi [i preti] fa coraggio a quei, che xe in tel fiume, / i desmonta alla riva chiari come xe el lume. [pp. 32-33] Nel 1765 escono a Venezia le Decisiones Mantuanae225, dedicate al nuovo vescovo Giovanni de la Puebla, tardivamente insediatosi dopo un lungo confronto fra le corti di Vienna e di Roma. Regolarmente approvate 225 Decisiones / Mantuanae, / sive casus conscientiae / Ab Universo Clero Mantuano discussi / Episcopali Sede Vacante anno MDCCLXIII, / eidem venerabili clero universo / a Cajetano Teranza / Ecclesiae Parochialis S. Ambrosii in ipsa / Civitate Mantuae Rectore / D. D. D. / Venetiis, MDCCLXV. / Typis Antonii Bassanesii. / Superiorum facultate, ac privilegio. – 190 – Nella Lombardia Austriaca dall’inquisizione della Serenissima226, raccolgono le discussioni mensili tenute nel 1763 per l’istruzione e la formazione permanente del clero diocesano, in ossequio ai sinodi diocesani che legittimano e incoraggiano tale pratica (1646, 1679), sostenuta anche dalle costituzioni di Milano, Cremona, Viterbo e meglio analizzata nel Casus XI. Teranza sottolinea l’aspetto collettivo e l’utilità pratica dell’elaborazione dottrinaria227, citando i datati antecedenti di Giovanni Chiericati e del gesuita Andrea Zuccherio, che aveva pubblicato a più riprese le Decisiones Patavinae228. Lo schema del 226 Ivi, p. XI: compare la dicitura di approvazione da parte dei riformatori dello studio di Padova, vista la revisione ed approvazione del P. F. Filippo Rosa Lanzi Inquisitor Generale del Sant’Officio di Venezia, data il 7 marzo 1765. “Registrato in Libro a Carte 233. al Num. 1392”; l’undici marzo 1765 seguiva le registrazione presso il Magistrato eccellentissimo degli Esecutori contro la Bestemmia. 227 Ivi, p. VIII: “meos in Christo Fratres, Parocos, & Sacerdotes Dioeceseos nostrae alloquens, & Universos Moralis Theologiae, & Canonicae scientiae cultores”. P. VI: “Verum non ego alios instruere, sed ab aliis in hoc opere instrui, non alios docere, sed ab aliis me docere profiteor […] unde factum est, ut non alteri, quam universo clero mantuano opus hoc, / qualecumque sit, inscribi deberet”. Ivi, p. VII: “huiusmodi nobis discutiendi casus proponuntur, qui praxim maxime respiciunt, & eas Moralis, vel Canonicae Disciplinae quaestiones amplectuntur, quas ab omnibus prae manibus semper haberi necesse est; et tamen, ita vel rerum conditione, vel humani ingenii imbecillitate ferente, ab Auctoribus non ita passim tractantur & a quibusdam abditioris eruditionis fontibus petendae sunt, non omnibus ita facile perviis, quia non a communioribus scientiarum tractatoribus attinguntur.” 228 Ivi, pp. III-IV. “Neque solum Patavina civitas in hoc nobis exemplo praefuit, sed Bononiensis in Italia, & Petricori[c]ensis vel Versunnensis, & Luconiensis in Galliis, quae Decisiones a Clero habitas typis ediderunt”. Périgueux (Vesuna Petrucoriorum) e Luçon erano entrambe diocesi suffraganee di Bordeaux; cfr. Novum lexicon geographicum in quo universi orbis oppida, urbes, regiones, provinciae, regna, emporia, academiae, metropoles, flumina & maria […] recensentur. Illud primum in lucem edidit Philippus Ferrarius […] nunc vero Michael Antonius Baudrand […], Patavii, Typis Iacobi de Cadorinis MDCXCIV. Una copia delle Decisiones di Teranza si trova ora nella biblioteca dell’università di Poitiers, – 191 – testo è costante e relativamente semplice: un breve antefatto tratto da reali vicende diocesane origina un Quaeritur composto di una o più domande, spesso concatenate, cui si dà risposta immediata nella Synopsis che riassume i paragrafi svolti nelle pagine successive. La necessità di risposte chiare e univoche, e lo stile a mezzo tra il responso giuridico e la quaestio tomista non impediscono argomentazioni sofisticate e complesse, ricche di obiezioni e contro-obiezioni. Ai dodici casi mensili se ne aggiungono due in appendice, il proveniente (1914) dal vescovato di Luçon, cui erano giunte in seguito al legato del vescovo monsignor Baillès, che le aveva acquistate (1863) durante il suo esilio italiano sotto il regno di Napoleone III. Presso la facoltà teologica di Poitiers, istituita a fine ’800, si trovava un altro testo mantovano, Antonii Gobii [...] Tractatus varii; in quibus universa aquarum materia ab authore additionibus […] et selectissimis Sacrae Rotae Romanae decisionibus illustratum […], Mantuae ex typographia S. Benedicti, apud Albertum Pazzoni, impress. archiduc., 1737. Entrambi i casi non aiutano a sostenere la congettura di rapporti tra Teranza ed esperti francesi di diritto canonico. Ringrazio Anne-Sophie Traineau-Durozoy, conservatore del fondo antico dell’università di Poitiers, per le cortesi precisazioni fornitemi. Le ‘decisiones patavinae’ risalgono agli anni 1687 e 1707-1710, pubblicate con breve ritardo: Giovanni Maria Chiericato, Decisiones quaesitorum, et casuum conscientiae a rr. parochis, & confessariis Patavinae diocesis editae anno Domini 1687. Materiam sacramentorum in genere, ac sacramentalium continentes, […], Patavii ex typographia Seminarii, Opera Joannis Cagnolini, 1690. Andrea Zuccheri, Decisiones patavinae anni 1707. De sacramento poenitentiae […], Patavii typis Seminarii apud Joannem Manfrè, 1708. Zuccheri Andrea, Decisiones patavinae anni 1708. De venerabili eucharistiae sacramento […], Patavii Typis Seminarii apud Joannem Manfre, 1721. Andrea Zuccheri, Decisiones patavinae anni 1709. De restitutione, […], Patavii ex typographia Seminarii apud Joannem Manfre, 1712. Andrea Zuccheri, Decisiones Patavinae anni 1710. De obligationibus patrumfamilias, […], Patavii typis Seminarii apud Joannem Manfré, 1716. Andrea Zuccheri entrò nei Gesuiti nel 1710, dopo essere stato teologo del cardinal Cornaro, vescovo di Padova. Vi morirà nel 1744 (cfr. Memorie degli scrittori e letterati parmigiani raccolte dal padre Ireneo Affò e continuate da Angelo Pezzana, vol. 1833, pp. 27-28). – 192 – VII, Parma Nella Lombardia Austriaca secondo dei quali merita di essere preso in considerazione.229 Un prete della diocesi ha inoculato il vaiolo al nipotino, che malauguratamente è morto proprio in seguito all’intervento: “Queritur: 1. An licita sit Variolarum insitio, prout a Medicis praescribitur?”. Nella risoluzione vengono considerati argomenti storici (sulla scorta di Voltaire, che ricorda come la vaccinazione fosse praticata dalle donne circasse), etico-politici (sul diritto dello Stato di disporre della vita dei propri cittadini al fine del bene pubblico) e teologico-dottrinari. Le considerazioni economiciste su base statistica (meglio pochi decessi endemici dovuti alla vaccinazione, che moltissimi causati da probabile, seppur incerta, epidemia) sono superate dal concetto di colpa individuale (non di ‘responsabilità’): i molti uccisi dalla malattia muoiono per cause naturali, i pochi uccisi dalla vaccinazione muoiono per colpa umana, per un’azione che sa di empietà contro la natura e contro la logica indipendentemente dalla tecnica utilizzata230 (“officium Medicorum est curare, non inferre morbos; Inoculatores autem aegritudinem valde periculosam perfecte sanis inferunt”231). Il rifiuto da parte dell’archiatra di Clemente XIII di praticare l’inoculazione perché non ammessa dai teologi232 è il precedente autorevole che sigilla la questione. Il dibattito233 in quegli anni stava raggiungendo anche il pubblico non 229 Ivi, pp. 173 sgg. 230 Compresa la più recente e incruenta ritrovata da Francesco Berci [!], che cita rinviando a Francesco Berzi, Nuova scoperta a felicemente suscitare il vajuolo per artificiale contatto, in Padova nella stamperia Conzatti, 1758. 231 Ivi, p. 180. 232 Ivi, p. 179, inserita nel testo a stampa, lettera di Cristoforo Zanettini del 16/12/1758, Roma: “Intorno all’Inoculazione del vajuolo … le dico, di non averla io mai praticata, né in Roma si è mai creduta ragionevole da eseguirsi con utile, e profitto, e senza scrupolo di coscienza, perché i Teologi non l’ammettono”. 233 Cfr. FADDA 1983. Angelo Gatti, allora ‘medico pratico’ a Pisa, scrive a Battista Gherardo d’Arco nel 1775 – 193 – specialista: proprio del 1765 è la pariniana ode Sull’innesto del vaiuolo e l’anno successivo un lungo articolo comparirà su Il Caffè, giunto al termine delle pubblicazioni; la gazzetta mantovana non mancava poi, con evidente intento propagandistico, di comunicare l’avvenuta inoculazione dei principini della corte viennese, duramente colpita dalla malattia. Teranza si mostra insomma culturalmente aggiornato e rappresenta un tentativo di mediazione, o almeno un punto di contatto, tra le istanze dei lumi e l’ambivalenza pastorale e censoria della gerarchia ecclesiastica, che nell’indirizzare e controllare i fedeli badava tanto all’anima quanto al corpo. Anche nella propria introduzione al commento ai Salmi234 uscita a Venezia nel 1763 aveva cercato una posizione che rendesse possibile l’obbedienza all’autorità235, l’insegnamento morale, il commento al testo, l’uso di edizioni differenti dalla Vulgata236, il dialogo – almeno a fine circa l’impossibilità di eseguire l’inoculazione a Mantova per mancanza di vaiolo: mancando la malattia, la “tenerezza di padre” di Battista Gherardo non ha comunque motivo di preoccupazione. Sarà invece opportuno attendere qualche settimana e ben documentarsi sul metodo da seguire: l’intervento è facile, alla portata di una donnicciola come di un grande chirurgo. AArco, Arch. d’Arco – Chieppio – Ardizzoni, XXXVII, 9, Firenze, Aprile 1775”. 234 Dissertazioni prodrome alla spiegazione leterale, e morale di tutti i Salmi a S. E. il signor don Carlo Conte e Signore de Firmian Cronmetz, Meggel, e Leopolds-cron […] consecrata da don Gaetano Teranza Rettore della Parochiale di S. Ambrogio di Mantova. In Venezia, MDCCLXIII. Appresso Pietro Bassaglia, In Merceria di S. Salvatore al segno della Salamandra. Con Licenza de’ Superiori. Dei due esemplari conservati in biblioteca Teresiana proviene dalla donazione D’Arco quello con carta più lussuosa. 235 Ivi, p. XX: “Noi Cattolici siam così docili, che all’autorità del Concilio di Trento chiniam la fronte, ma non siam così ciechi, che della docilità nostra medesima non sapiam render buon conto.” 236 Ivi, p. XXI: “Ha definito il Sinodo, la volgata edizione doversi tener per autentica. Che vuol dir questo? Che rimangono le altre escluse? Non già. Vuol dire: che delle – 194 – Nella Lombardia Austriaca confutatorio – con i riformati237, la diffusione di una più solida cultura religiosa tra i laici, così da proporsi “ne’ tre diversi aspetti, di Predicator Evangelico, di Pastor d’anime, e di Scrittore, ch’io rappresento al Mondo”238. La dedica239 a Firmian, adulatoria quanto basta, sottolinea che innumerabili latine versioni, questa è la migliore, che questa alle altre deve preferirsi, che questa, e non le altre versioni latine deve seguirsi nelle Prediche, nelle dispute, nelle lezioni. Ha detto altro il Concilio, o altro poteva dire? Ora io soggiungo, e provo, che di così stabilire v’era necessità, ed è un tale decreto fondato sopra la più soda ragione. Nella quarta Dissertazione io spiego il mio parere intorno la volgata edizione de’ Salmi, qual ella sia: Materia oscura e controversa; ma non di gran conseguenza. Mio impegno è qui di mostrare, che questa merta d’esser preferita; e che a ragione il Concilio ha così stabilito, ne ciò facendo io punto non mi diparto dal mio proposito. Doveva dunque la Chiesa lasciar libero il corso a tante versioni della Scrittura Santa, quante eran le teste, che si accingevano a tradurre? Doveva lasciar libero l’adito, a quel privato [XXII] spirito, che la parola di Dio espone all’interpretazione d’ognuno; ed è ognuno in potere di darle tutti que’ sensi così svariati, e rimoti, che le danno tal volta i Novatori? Dovendo poi sciegliere una Versione, qual altra maggior pregio aver poteva della Vulgata?” 237 Ivi, p. XIX “Emmi avvenuto più volte di dover pur troppo in materie di Religione discorrere coi Luterani, o con Calvinisti, o novellamente alla Cattolica credenza condotti, o ancora nella lor falsa credenza pertinaci, e costanti; persone talvolta non di conto, né in lettere punto esercitate; e non senza ammirazione io ho scorto, come dal zelo de’ lor Predicanti trovansi si bene instrutti, che senza esitazione san dire qual luogo delle divine lettere vaglia a comprovare i loro articoli, quale da noi adoprisi a rifiutargli, le diverse lezioni, che da noi seguonsi, i motivi pe’ quali da essi rifiutansi, la diversa guisa, nella quale da essi citansi cotai luoghi, le diverse interpretazioni, che di lor si danno”. 238 Ivi, p. XI. 239 “Quindi non mi suggerisce già il mio pensiere di perdermi vanamente, com’altri fanno, in un encomio, ch’io voglio suppor giustissimo, di quel Personaggio, di cui imploro la protezione” (ivi, pp. IV-V). Vorrà forse restare sottotono anche il successivo “Della persona, e della qualità di Davide in questo volume si tratta singolarmente […] un Uomo, che agli imbarazzi della Corte, e del Governo, unir sapeva il raccoglimento, che ricerca la pietà, e la divozione: un Uomo che unir sapeva le parti di Sovrano, di Reggitore di popoli, di buon Politico, della mansuetudine, dell’affabilità, ad una prudente semplicità, e – 195 – destinatari delle meditazioni sono anche le “persone che vivono nel secolo, come [re] Davide”240: il rispetto delle regole della buona scrittura (che è tutt’uno con il buon argomentare e la solida erudizione) è strumento di indagine e di persuasione: Per lo più non lascio di dire il parer mio; ma d’un tal mio parere, io soglio per natura esser così poco tenace, che all’offrirmisi ragion migliore, io non trovo pena a mutarlo, non mi dispiace, che altri trovisi di contraria opinione. Né de’ Moderni, né degli antichi io mi professo seguace, ma or degli uni, or degli altri, secondo che m’avvien di trovare ragion probabile che mi appaghi. Mi avviene in molti punti, che né dell’una opinion ne dell’altra trovandomi pago, d’una nuova da altri non più pensata mi fo autore. Provo però quel, che dico; e in materia, dove ha pensato ognuno a suo modo, e libero ha lasciato la Chiesa il poterlo fare, io non credo, che alcun mi possa riprendere.241 Nella necessità metodologica di chiarire il valore storico-critico delle meditazioni, pur rigorosamente ortodosse, trova giustificazione il Preambolo a un libro che è di per sé preambolo, prolissità apparentemente assurda242 che serve invece a dar conto dei molteplici aspetti da indagare: il ruolo e la figura dell’autore (re Davide o forse molti autori differenti), il schiettezza, nel risvegliarsi dalle smarrite sue ceneri per ritornare nella memoria degli Uomini, a chi altro indirizzar potevasi con più ragione, che a a chi meglio in tai suoi pregi lo rassomiglia?” (pp. VIII-IX) La data è “Mantova 19. Gennajo 1763 / Umil. Devotiss. Ossequiosiss. Serv. / D Gaetano Toranza [!]”. 240 Ivi, p. XVIII. 241 Ivi, p. XXV. 242 Ivi, p. XV, Prefazione al lettore. – 196 – Nella Lombardia Austriaca rapporto fra disposizione del testo e il suo sviluppo compositivo, o ancora più in generale il rapporto fra l’architettura del testo e la recitazione o la musica che l’accompagnava (dal ruolo della rima nella lingua ebraica sino alla prassi esecutiva vocale e strumentale). Sulle questioni più specialistiche vengono consultati i testi rabbinici e le opinioni di studiosi di musica antica. Finalmente compare una parte di raccordo con l’esegesi testuale propriamente detta (che non figura in questo volume): Teranza promette di tenersi lontano dai misticismi confusi e dall’oscurità speculativa di quei volumi adatti più allo studio che alla preghiera, cercando piuttosto una divulgazione chiara, a portata di tutti, che “senza noja, e fatica guidi all’intelligenza de’ medesimi [salmi], che mentre pasce di notizie l’intelletto, ecciti il cuore a divozione”,243 ricavando dal senso letterale del testo, interpretato secondo le scienze ‘positive’ e teologico-dogmatiche, indicazioni di quotidiana morale cristiana. Il conte Giovan Battista Gherardo d’Arco, il marchese Carlo Valenti e monsignor Giovanni Agostino Gradenigo Tratteggiato il principale curatore dell’edizione folenghiana, è da accertare il ruolo di Battista Gherardo d’Arco. Nella comunicazione stampata dalla gazzetta mantovana del 2 dicembre 1768 gli vengono attribuite le note relative all’antiquaria locale: È tutta l’Opera accompagnata di eruditissime note, che riescono necessarie nella lettura di questo libro, sì per l’antica erudizione, spettante particolarmente gli antichi monumenti delle cose di Mantova, di cui l’Opera è sparsa, la comunicazione di molti de’ quali, e la spiegazione di altri si deve alla bontà, e gentilezza del chiarissimo Sig. Conte 243 Ivi, p. 239. – 197 – Giambattista d’Arco […], come ancora si sono rendute necessarie per le parole Vernacole Mantovane, che da Forestieri, e poco pratici del Vernacolo Mantovano non si intenderebbero244 Un ruolo fortemente ridimensionato da monsignor Gradenigo, che scrive nel febbraio del 1769: vi è [nella prefazione di Teranza] un elogio adulatorio al conte d’Arco per avere copiato venti o trenta righe dall’Agnelli245 in cui si nominano varie Famiglie Mantovane e datele al Taranza[!]. Ecco tutto il merito del stimatissimo Conte d’Arco246. Nell’archivio d’Arco, accanto alle redazioni manoscritte delle opere di Battista Gherardo, nulla è rimasto della collaborazione all’edizione maccheronica, che doveva essere di poco conto, o comunque ritenuta scarsamente significativa, nonostante le parole della prefazione.247 All’epoca dell’edizione della Maccheronea stava studiando un’iscrizione antica incisa su una chiave, emersa nel 1767 da uno scavo presso San Nicolò a porta Cerese. Il tentativo di decifrare l’iscrizione, che si auspicava etrusca, è 244 Gazzetta Num. 49. )( Mantova 2. dicembre 1768, per l’Erede di Albero Pazzoni. 245 Scipione Agnelli, Gli annali di Mantova […], Tortona appresso Nicolò e fratelli Viola, 1675. 246 Lettera al marchese Valenti (Venezia, Biblioteca Correr, fondo Gradenigo-Dolfin, ms. 204, vol. VI, n. 41), trascritta in CAVARZERE 1984, pp. 308-309. 247 Lectori benevolo, p. 7: “In obscurioribus vero id dumtaxat praestitimus, quaeque plerumque ignorantur. Qua in re maximo nobis auxilio fuere scripta aliquot ab Exc.mo […] et viro praestantissimo, qui severioribus studiis, quibus impense vacat, subcesivis horis intermissis, Patriae vetera monumenta, peculiari animi sui oblectatione, ab antiquitatis injuria diligenter vindicate conatur, ita, ut juvenili aetate uberrimos horum studiorum assiduitate fructus maturioribus annis universae literariae Reipublicae, Patriaeque spondeat, Joanne Baptista Arci Comite […] humanissime nobis communicata.” – 198 – Nella Lombardia Austriaca occasione per qualche contatto accademico internazionale.248 Pochi anni più tardi a lui si rivolgerà Sperges per proporre l’apertura di una biblioteca, basata sui “vecchi libri esistenti come si supponeva nel Palazzo Ducale, e altri depositati nel collegio de’ Gesuiti, e da rivendicarsi dal Pubblico”249. In questi anni Battista Gherardo d’Arco non è ancora l’autore delle opere di economia politica che gli assicureranno notorietà ben oltre i confini locali, la prima delle quali, la dissertazione Dell’armonia politico-economica fra la città ed il suo territorio presentata all’Accademia nel 1770, piena di riformismo moderato ma non incerto, sarà pubblicata con gran ritardo, solamente nel 1782, a causa di “maneggi antiaccademici”, come si lamentava Eugenio d’Arco – suo padre –, con il barone Sperges250. La formazione di Battista Gherardo era avvenuta tra la giurisprudenza e la filosofia wolffiana, insegnategli dai precettori, gli ambienti parmigiani legati a Condillac e, in seguito al suo matrimonio con una Canossa, la cultura veronese di Girolamo Pompei e Giuseppe Torelli251; troviamo qualche accenno al dibattito sulla magia innescato da 248 Disegno acquerellato in AArco, Arco – Chieppio – Ardizzoni, XXXVII. Un simile argomento archeologico sarà svolto da Leopoldo Camillo Volta, cui toccherà anche l’incarico di dirigere la biblioteca finalmente aperta al pubblico nel 1780. Cfr. Leopoldo Camillo Volta, Osservazioni sopra una chiave di bronzo, Vinegia, stamp. Coleti, 1781. 249 AArco, Arco – Chieppio – Ardizzoni, VI, Sperges a Battista Gherardo d’Arco, da Vienna, 7 maggio 1770. 250 AArco, Arco – Chieppio – Ardizzoni, VI. 251 Così secondo alcune memorie biografiche del conte G. B. d’Arco, nato il 21 novembre 1739 “ed educato in propria casa sotto convenienti precettori. Nella / filosofia ebbe per maestro il padre Carlo Baroni dell’ordine degl’infermi, e nelle leggi il fù Consigliere Ghirardini. Terminati gli studi in patria fece diversi viaggi per sentire e trattenersi coi più eccellenti uomini. A tal effetto recossi a Parma, ed ivi conversò molto col celebre abate di Condillac; in Bologna con Francesco Zanotti; ma più di tutto in Verona col Torelli, col Pompei, col di lui cognato Marchese Ottavio di Canossa, e con altri letterati.” AArco, Arco – Chieppio – Ardizzoni, XXXVI. – 199 – Tartarotti e Maffei252 nella sua corrispondenza giovanile del 1757253. In questi anni l’amministrazione cittadina è ancora nelle mani di Eugenio, che nel 1762 ricopre il delicato incarico della raccolta di fondi presso compagnie, confraternite e arti a favore dell’erario per finanziare la Guerra dei Sette anni254, nel 1768 si occupa dei lavori al selciato di piazza San Pietro, quindi organizza sfarzose processioni per il patrono sant’Anselmo, una iniziativa promossa nel 1769 dai canonici della cattedrale e assecondata dal vescovo e dall’autorità politica. Ancora in questa funzione di mediazione all’interno della società civile, o tra la società civile e il potere asburgico, si occupa della cupola di Sant’Andrea e raccoglie informazioni sull’ordine del Redentore e sulla nuova erezione dell’ordine del Preziosissimo Sangue. Dall’appartenenza a questa famiglia presente a Mantova dal ’500 e così ben inserita nell’amministrazione austriaca, Battista Gherardo, quale cugino del conte di Firmian, avrà spianata la via della poco ambita carriera politica che lo porterà dalla direzione dei regi teatri degli anni ’60 sino all’Intendenza politica nel 1785, cui si dedicherà con impegno e passione riformatrice, ricevendone la contestazione della nobiltà locale.255 Pure la collaborazione del marchese Carlo Valenti dal punto di vista scientifico non fu diretta; ebbe però l’indubbio merito di raccogliere le sistematiche informazioni biografiche su Folengo che confluirono nell’introduzione, in sostanza opera di Giovanni Agostino Gradenigo, 252 Recenti interventi su Scipione Maffei in ROMAGNANI (CUR.) 1998, ROMAGNANI 1999 e VISMARA 2011. 253 AArco, Arco – Chieppio – Ardizzoni, IV, 14 maggio 1757, il segretario Valeriano Vennetti da Rovereto a Battista Gherardo. 254 AArco, Arco – Chieppio – Ardizzoni, XXVI, 1762. 255 AArco, Memoria sull’Intendenza politica provinciale in Mantova. Cfr. VAINI 1992. – 200 – Nella Lombardia Austriaca semplicemente voltata in latino da Teranza, lavoro che – scrive Gradenigo – “non mi piacque punto, né per il modo, né per l’ordine, né per la dicitura”256 Nella stessa lettera accenna reticente alla “scandalosa storia” dell’edizione. I motivi di dissapore dovevano essere più d’uno, difficile a posteriori determinare se legati allo scippo del proprio lavoro d’indagine, alle indicazioni disattese per certe migliorie sul testo, a “cent’altre bricconate che mi hanno fatte”, o ai disinvolti maneggi economici e finanziari dello stampatore o ancora al coinvolgimento nella ristampa di un’opera comunque proibita, occasione per villaneggiare l’inquisitore e i divieti ecclesiastici con il consenso più o meno tacito di diversi religiosi. Escluso dalla direzione dell’opera, Gradenigo preferisce il silenzio dello stampatore Braglia sulla sua collaborazione, completamente taciuta al pari di quella del marchese Valenti. È la Storia della letteratura italiana del gesuita Girolamo Tiraboschi a segnalare pochi anni più tardi che la biografia è tessuta per lo più sulle esatte notizie che studiosamente ne ha raccolte l’eruditissimo monsignor Giannagostino Gradenigo vescovo di Chioggia e poi di Ceneda, e morto pochi anni addietro, e alcune lettere su questo argomento medesimo da esso scritte all’ornatissimo sig. marchese Carlo Valenti, il quale cortesemente me le ha trasmesse.257 Copia delle lettere258, non troppo accurata, è finita all’Archivio di Stato di Mantova per il tramite di Carlo d’Arco e permette di seguire 256 257 Citata lettera in CAVARZERE 1984. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, tomo VIII. parte III, Modena 1779, p. 271. 258 ASMn, Patrii d’Arco, ms. 58: Memorie biografiche di Teofilo Folengo trasmesse in via epistolare al 1767 dal vescovo di Chioggia al march. Valenti di Mantova. – 201 – l’andamento dei lavori, basati su precedenti studi di Gradenigo, favoriti dall’incarico durato sino al 1756 di custode della biblioteca di San Benedetto in Polirone259 e proseguiti nell’archivio di San Giorgio Maggiore di Venezia, cui ritornava dopo la parentesi mantovana. Animatore dell’accademia di storia ecclesiastica dei Concordi, che si riuniva in San Francesco della Vigna, Gradenigo dovette dedicarsi agli impegni pastorali e amministrativi con la nomina a vescovo di Chioggia (1763). Nell’aprile del 1767 non si lascia dunque sfuggire l’invito del marchese Valenti a correggere le notizie raccolte con troppa negligenza 259 DBI, Gradenigo, Giovanni Agostino (al secolo Filippo) (Dal Borgo, 2002). Deriva indirettamente dagli studi di Gradenigo (dalla premessa a Gregorii Cortesii […] Omnia, quae huc usque colligi potuerunt, sive ab eo scripta, sive ad illum spectantia, Padova 1774, presso Giuseppe Comino) anche l’Elogio storico per il cardinale Gregorio Cortese (Pavia 1788, nella stamperia del R. I. Monastero di S. Salvatore) del benedettino Girolamo Prandi, professore di logica e metafisica al ginnasio mantovano. Il libriccino, “frutto della privata Accademia letteraria, che nel Monistero di S. Benedetto di Polirone […] ad oggetto di mantenere, e fomentare ne’ Benedettini l’antico loro costume di rendersi utili alla Società anche per mezzo della coltivazione degli Studi” è percorso dalla necessità di allontanare la soppressione del monastero, che non usurpa i terreni e le rendite di cui gode: “Siami quì lecito ricordar di passaggio, che la Religion Benedettina non condensò giammai ne’ proprj scrigni le ricchezze animatrici dell’industria e del commercio; che anzi ne usò in ogni tempo, in ogni luogo, anche senza altrui eccitamento, quando a vantaggio del Pubblico, quando a ben inteso sollievo delle private indigenze, e quando a promuovere le belle arti” (p. 58). A questa polemica tutta calata nell’attualità si affianca l’elogio per i letterati che hanno illustrato l’ordine (“[Cortese] diè egli sopra tutti la preferenza a quello di S. Benedetto di Polirone, sì perché in esso fiorivano i Fontana, gli Ottoni, i Folenghi, e parecchi altri, nelle latine, e nelle greche lettere versatissimi”, p. 16), l’ortodossia dei quali è pianamente accettata: “l’intervallo di due secoli ha fatto sparire la nebbia delle private passioni, ed ora si rende la dovuta giustizia alla pietà, ed al candore di que’ dotti, ch’ebbero il raro coraggio di annunziare le verità sebbene odiose” (p. 65). A Cortese si rimprovera semmai il cumulo di benefici, perdonabile tributo agli usi distorti del suo tempo. – 202 – Nella Lombardia Austriaca dagli storici mantovani sui propri scrittori: Amatissimo e stimatissimo signor Marchese, Io non mi sono giammai scordato di quelle molte gentilezze, che in tutti gli Ordini di Persone mi furono usate per lo spazio di quei sei anni, che stavo io lettore in San Benedetto ho frequentemente pratticato in cotesta Città, alla quale avrei desiderato dar saggio d’amore e di riconoscenza in quella maniera, che per me si poteva, vale a dire dedicando qualche parte de’ miei studi ad illustrare alcuna cosa, che alla Città medesima appartenesse; e con tale idea […] moltissime cose ho raccolte. Per dar qualche ordine alle medesime mi serviva di stimolo l’Accademia [mantovana] per decoro della patria da Lei nella propria Casa adunata e raccolta, come seppi da monsignor Caraffa già Nunzio in Venezia, ma le obbligazioni del mio Ministero, e gli studi da me all’illustrazione della mia Diocesi dedicati me n’hanno impedito ogn’adito, e ne avrebbero forse fatto tacere per sempre se gli antichi miei desideri nuovo stimolo non aggiungesse la gentilissima sua lettera del di primo corrente.260 Lamentando l’ignoranza sulla vita del Folengo, alimentata dalle finzioni letterarie – che in parte fraintende – di Folengo medesimo, Gradenigo accenna agli studi del teatino Giuseppe Merati, che Valenti non mancherà di interpellare (e che sarà ringraziato nella prefazione a pagina 6), contando certamente anche sul suo desiderio di pubblicare Gli Scrittori d’Italia Mascherati,261 un catalogo che da anni andava preparando e la cui 260 ASMn, Patrii d’Arco, ms. 58, 2r, Gradenigo a Valenti, Chioggia, 4 aprile 1767. 261 Il cui titolo completo sarebbe stato Gli Scrittori d’Italia Mascherati, o sia Storia Critico- letteraria de’ Libri e de’ Componimenti Anonimi e Pseudonimi degli Scrittori d’Italia, de P. D. – 203 – prefazione era già comparsa sulle Novelle letterarie del 1766262 di Giovanni Lami, allo scopo di interessare qualche stampatore a quello che voleva presentarsi come un supplemento alla Storia degli Scrittori d’Italia del conte Gianmaria Mazzuchelli. L’anello successivo della catena è l’abate Giovanni Battista Rodella, continuatore degli Scrittori e biografo di Mazzuchelli263, che Valenti interpella (forse tramite Gradenigo, forse autonomamente, come suggerisce la stessa lettera di Merati) affinché scavasse nei conventi benedettini di Brescia, giungendo così alle notizie raccolte dai “rispettabili e degnissimi Abati Luchi e Faita”, in San Faustino il primo, in Sant’Eufemia il secondo, e tracciando l’itinerario che sarà poi ripercorso da Billanovich. Tra aprile e giugno del ’67 Gradenigo invia a Valenti il risultato dei suoi studi precedenti, senza ulteriori controlli bibliografici: Se al desiderio ch’io ho di servirla, corrispondessero i mezzi, e l’ozio di poterlo fare, io ben volentieri prenderei sopra di me il carico di stendere la vita di Teofilo Folengo. Ma e perché troppo sono io occupato, e perché qui non posso nemmeno avere quei libri stessi, che andrò citando, converrà ch’ella si contenti, che io le comunichi quel poco solamente che mi trovo aver registrato né miei Avversari, e che si prenda ancora l’incomodo di confrontare le citazioni, ch’io andrò Giuseppe Merati Cherico Regolare Dimorante in Venezia sua patria, divisa in quattro parti. 262 Novelle letterarie per l’anno MDCCLXVI, tomo XXVII, nella stamperia di Gaetano Albizzini, Firenze 1766, coll. 617-624 e 644-649. 263 Giovanni Battista Rodella, Vita costumi e scritti del conte Giammaria Mazzuchelli patrizio bresciano, in Brescia per Giambatista Bossini, 1766. – 204 – Nella Lombardia Austriaca facendo, giacché per la mancanza de’ libri non m’è lecito di ciò fare.264 Più che l’oggettivo valore dei dati raccolti sulla vita di Folengo qui interessano gli imbarazzi cui Gradenigo va incontro, che stupiscono quando si consideri l’acribia con cui vagliava risultati solo apparentemente concordanti dei documenti d’archivio, o il disincanto con cui sospettava delle false date e degli elementi para- e peritestuali inseriti nelle pubblicazioni a stampa. Certo è difficile mettere in discussione la frequentazione “del celebre filosofo (e forse troppo celebre) Pietro Pomponaccio Mantovano, che con grande riputazione leggeva allora pubblicamente in Bologna [5v]”, attestata da troppe fonti, dal “philosophastri baias sentire Peretti” o dall’ancor più esplicito Dum Pomponazzus legit ergo Perettus et omnis voltat Aristotelis magnos sotosopra librazzos, carmina Merlinus secum macaronica pensat et giurat nihil hac festivius arte trovari.265 ma a preoccupare non sono tanto la possibile contiguità con la scandalosa eresia di Pomponazzi266, e la dubbia moralità giovanile di Folengo (negata, 264 ASMn, Patrii d’Arco, ms. 58, cc. 3 sgg., Gradenigo a Valenti, Chioggia 6 aprile 1767. 265 FOLENGO, Baldus, XXII, 123 e 129-132. 266 Anche se tecnicamente scorretta nel porre equivalenza o almeno consequenzialità tra alessandrismo e luteranesimo (o più generici ideali erasmiani di riforma), l’idea che la filosofia di Pomponazzi sia stata buon viatico alla ribellione contro la Chiesa è luogo comunemente accettato. Ancora nel 1797 il giureconsulto mantovano Francesco Tonelli (1727-1812) si sentiva in dovere di mostrarsi “persuaso che un Filosofo così dotto come quel mio Concittadino sia stato incapace di cader in una follia cotanto inescusabile” (pp. 1-2), salvando orgoglio municipale e cattolica sottomissione nell’opuscolo Il Pomponazzi vindicato in lettera di Francesco Tonelli giureconsulto collegiato mantovano ad un parroco di campagna (Guastalla, nella regia stamperia di Salvatore Costa e Compagno, MDCCXCVII), – 205 – con la sua eterodossia, ancora in una dissertazione accademica del 1793267) quanto piuttosto il tono grosso e buffonesco intrinsecamente connesso al linguaggio maccheronico. La soluzione per salvare il buon nome dei religiosi benedettini è più raffinata di quella proposta da Donesmondi268 (che voleva il Baldus composto al tempo degli studi universitari): sarebbe stato Teofilo stesso che “conoscendo mal convenire a Persona Religiosa quelle Poesie cercò dar ad intendere, che quando le compose era ancor Secolare” procedendo contemporaneamente alla revisione dell’opera per la Cipadense: pensò di correggerla; e presala per mano, più limitata, più gioconda, e meno rincrescevole la rese, togliendovi, o mettendo, que’ passi, che potevano offendere, o portare scandalo a chi che sia; e ridottala a tal segno la lasciò in mano di Francesco Folengo, che la fece stampare colla Data di Cipada269 È lo stesso giudizio che si trova in Apostolo Zeno270 (citato a c. 12r), che ritiene la Maccaronica migliorata dall’esser meno mordace, ed è alla fin fine il criterio seguito da Teranza nell’espungere i passi apparentemente dubbi. che si risolve in una bibliografia ampia ma priva di impegno speculativo, neppure dossografica, tuttavia interessante per le pubblicazioni contemporanee citate. Onesta la conclusione, per la quale negare la (in-)dimostrabilità metafisica è altra cosa dal negare l’esistenza. 267 GALLICO 1995. 268 DONESMONDI, Istoria ecclesiastica, II, p. 175. 269 Ivi, c. 3r, sottolineature nell’originale. 270 Biblioteca dell’eloquenza italiana di mons. Giusto Fontanini arcivescovo d’Ancira con le annotazioni del signor Apostolo Zeno istorico e poeta cesareo cittadino veneziano, presso Giambattista Paquali, Venezia MDCCLIII, vol. I. – 206 – Nella Lombardia Austriaca Il testo Il risultato finale e il senso complessivo della pubblicazione si situano all’incrocio tra cura editoriale, interventi diretti sul testo, note di commento inserite a piè di pagina, dizionario collocato al fondo del secondo volume. Le note hanno un andamento didascalico e parafrastico modulate sulla falsariga del commento ai Salmi del 1763, chiarire senza troppo annoiare o affaticare il lettore: rimanendo pressoché prive di disquisizioni teoriche sciolgono parecchie allusioni dotte di Folengo e sono ben integrate col dizionario mantovano-toscano-latino. La presenza di vocaboli assenti nelle maccheronee e la prefazione al vocabolario fanno pensare che si tratti di un lavoro ideato parallelamente e adattato all’occorrenza, incerto tra l’esigenza pratica quotidiana di tradurre dal dialetto all’italiano/toscano271 e una più speculativa attenzione che Teranza272 da tempo nutriva per le questioni di pronuncia e di storia della lingua e per il folklore, ancora incline a cogliere più l’identità locale che il pittoresco fine a se stesso. La pari dignità delle tre parlate è implicitamente affermata nel constatarne l’imperfetta reciproca traducibilità e la mancanza di corrispondenza tra le cose e le parole, che nelle varie lingue ‘ricoprono’ solo parzialmente le caratteristiche delle cose cui si approssimano per difetto, senza che una lingua esaurisca più di altre gli elementi della realtà, che è qui realtà molto concreta e rusticale di galline, vanghe, ortaggi. Non manca l’ambizione di poter risalire al substrato propriamente autoctono del mantovano: la lingua è in evoluzione diacronica, ma ai continui innesti 271 Esigenza che sarà dichiarata nel molto più ampio Vocabolario mantovano-italiano di Francesco Cherubini, Milano, per Gio. Batista Bianchi & C.o, 1827. Arrivabene critica la scarsa competenza linguistica di Bianchi, milanese immigrato a Ostiglia. 272 Che il dizionario sia lavoro di Teranza lo riferisce Cherubini nel suo Vocabolario … (p. VII) riportando una notizia di seconda mano. – 207 – (francesi quelli della moda più recente, barbari e latini i precedenti) sopravvive un fondo originario dal quale è possibile in molti casi sottrarre i prestiti sincronici provenienti dalle popolazioni vicine per risalire alla parlata degli “antichi abitatori”, vestigio dell’etrusco. Era un dibattito che alla fine degli anni ’60 andava esaurendosi, dopo i contributi di Muratori e di Maffei, e quelli più modesti del gesuita Stanislao Bardetti, rettore del collegio di Modena e autore di numerosi saggi, che Teranza mostra di conoscere benché pubblicati postumi poco più tardi273. Come già accennato, è nel ristabilimento del testo principale che l’edizione Braglia si mostra più carente, nonostante la dichiarazione d’intenti di Teranza In hac itaque rerum obscuritate, et emendatius, ac perfectius Opus per nos preferretur, omnes, quae magna cura adhibita in manus nostras pervenerunt, Editiones, ita invicem comparavimus, ut quae jure nobis emendatissima visa est, potissimum sequamur, atque in ea ipsa, quae a Corruptorum manu inferta visa sunt, ex aliis Editionibus supplendi curam diligentissime adhibuerimus274 ma il rifiuto a-priori del grottesco, lo scempiamento delle pagine introduttive, delle lettere editoriali, delle glosse marginali di Acquario Lodola, la contaminazione fra Toscolana e Cipadense portano al risultato 273 De primi abitatori dell’Italia opera postuma del padre Stanislao Bardetti della Compagnia di Gesu teologo di S. A. S. il signor Duca di Modena, in Modena nella Stamperia di Giovanni Montanari, 1769. Della lingua de’ primi abitatori dell’Italia opera postuma del padre Stanislao Bardetti della Compagnia di Gesù, in Modena presso la Società Tipografica, 1772. 274 Benevolo lectori, p. 4. – 208 – Nella Lombardia Austriaca stigmatizzato da Carlo Cordié275, che attribuisce alcune espunzioni a una cautelativa autocensura per non irritare i revisori ecclesiastici. Quest’ultima operazione non è così scontata, ed è forse il risultato di un compromesso elaborato in corso d’opera barcamenandosi tra pressioni che giungevano da parti opposte, quelle della rigida censura e quelle di una stampa integrale affatto disobbediente alle prescrizioni ecclesiastiche: ad ogni modo i versi eliminati sono raccolti in appendice a ogni volume276 evidenzandoli più che nascondendoli, cosicché, pur mancando i richiami nel testo principale, il lettore che volesse leggere una raccolta di brani proibiti e censurati avrebbe poco da scartabellare. La giustificazione che siano stati mantenuti per non vendere un ‘Merlino’ mutilo, dietro insistenza del tipografo277, è in evidente conflitto con l’impegno di ristabilire il miglior testo e sintomo dell’impossibilità di operare scelte non arbitrarie. Nel Baldus è il caso ad esempio dei versi278 VI, 52-53 Et si forte fidem Christi renegare bisognat, Nos Macometani cito deventabimus omnes relegato in appendice, quando nel contesto279 assume valore iperbolico per 275 CORDIÉ 1950. 276 “Carmina / Ex Ollandico exemplari [cioè Napoli 1692] expuncta hic in unum collecta / Lectorum oculis subijciuntur designatis / locis, in quibus omissa sunt”. 277 Ivi, p. 5: “quoniam Typographo visum est, ea ad calcem Libri colligere, ne causari ab aliquo possit, mancum, et mutilum a nobis Merlinum exhiberi.” 278 Seguo la numerazione dell’ed. UTET 1997 a cura di Mario Chiesa, da usare comunque cum grano salis, per l’ovvia ragione che non è l’edizione su cui ha lavorato Teranza. 279 “Ne, Fracasse, nega tete summittere nostro / parero, nisi non salda ratione trovato. / Prende duos tecum socios de gente Cipadae, / quos tu saepe trovas inimicos esse paurae, / sumite corazzas, longumque piate viaggium, / deque zenoveso portu passate marinam, / donec arivetis soldani ad regna Gurassi, / gens ubi guerrigeras iactat Mamalucca fadigas; / tenta, facve provam per drittum, perque roversum, / si talem fortasse queas convertere – 209 – il forte contrasto suggerito tra la missione evangelizzatrice in Levante e gli spropositi cui Cingar è disposto pur di ottenere vendetta; la battuta è innocua e semmai allusiva all’innaturale alleanza tra Francesco I di Francia e Solimano il Magnifico. È tagliata anche la tirata per sostenere il rifiuto di devozioni e reliquie, velato di iconoclastia, come pure rimossa è la polemica contro l’eccessiva varietà delle regole religiose;280 e senza dubbio è soppresso l’alfabeto illustrato di prete Iacopino, “quondam capelanus Arenae, in qua doctas suas vaccas Verona governat” (VIII, 523-524), persona di rara sconcezza e ignoranza che ha ottenuto gli ordini sacerdotali “da qualche sciocco vescovo” pur non conoscendo il segno della croce. Temi di corrente polemica antifratesca a inizio ’500, tollerati dalla Chiesa prima del Tridentino e che a distanza di due secoli e mezzo sono ancora percepiti come destabilizzanti e inopportuni al pari del criptico riferimento a Lutero ed Erasmo della maccheronea VIII.281 Nel secondo volume sono rimossi ed indicati in appendice sectam, / ad Christi non dico fidem sanctaeque Mariae, / sed mage convertas veniant hunc struggere mundum, / ut neque tantini restet signale quadrelli. / At si forte velint et vos renegare batesmum, / cur non? dum nostri fiat vendetta patroni, / nos Macometani cito deventabimus omnes.” Baldus, VI, 38-53. 280 Cfr. al canto VIII, p. 217, v. 7. «Unde diavol», ait, «tanti venere capuzzi? / Non nisi per mundum video portare capuzzos. / Quisque volat fieri frater, vult quisque capuzzum. / Postquam giocarunt nummos, borsamque vodarunt, / postquam pane caret cophinus, vinoque barillus, / in fratres properant, datur his extemplo capuzzus. / Undique sunt isti fratres, istique capuzzi: / qui sint nescimus, discernere nemo valebit / tantas vestarum foggias, tantos ve colores. / Sunt pars turchini, pars nigri, parsque morelli, / pars bianchi, ruffi, pars grisi, parsque bretini. / Ipsorum tanta est passim variatio fratrum, / quod male discerno quis Christi, quis Macometti. / Quantae stat coelo stellae, foiamina sylvis, / tantae sunt normae fratrum, tantique capuzzi. / [… … …] / Nonne satis bastat sapientis regula Christi? 281 Cfr. WALSER 1926. Cfr. anche il libro XXV. – 210 – Nella Lombardia Austriaca l’imprecazione contro le imprese di Giove e le falsità della poesia pagana,282 di cui forse infastidisce la forma di litania, che ritroviamo anche nelle fatiche di Ercole, parimenti espunte;283 mancano i nomi di Erasmo e Lutero, e l’elenco di nomi fantasiosi di profeti, irriguardoso se non dileggevole (p. 217), come mancano numerosi ‘prae’ e ‘praesbiter’ (VII), con un procedimento che ricorda la moralizzazione di certe novelle del Boccaccio. Tanta disistima verso la Chiesa non può essere opera di un dotto frate benedettino, e Teranza giustifica il libro, l’autore e se stesso rifugiandosi dietro un ‘corruttore’ che avrebbe deturpato l’opera a fine ’500: Imo in suspicionem inducimur, Macaronices Opus ad finem saeculi decimi sexti in Corruptorem aliquem misere incidisse, qui illud omnino deturpaverit. Movet ad id judicandum plura prorsus inepta, & erudito viro indigna, quae in posterioribus Editionibus partim inseruntur partim adnotantur. Hinc Romana censura Merlino Cocaj opus iure confixum fuit, limitatione tamen apposita: Donec corrigatur. Editionem itaque nostram, quae correctiones ipsas ab Auctore saniori consilio adhibitas, oculis subiicit, illisque se conformat, a censura immunem optimo iure censemus.284 282 Vol. II p. 341, che rinvia a XIX, p. 130, v. 26. 283 Cfr. libro XI e gli espunti “Qui sustentaret te … … … / Qui stans in cunis … … … /” sino a “Sforzasti Alcmenam”. 284 Pars prima, p. XXIV. Un tentativo di correzione, di cui mi sfuggono gli estremi, è attestato in ACDF, Decreta, 1610, cc. 536-537, 18 dicembre 1610 “Litteris inquisitoris Papiae datis die 20.a octobris illustrissimi domini mandaverunt rescribi /// ut mittat unum exemplar correctionis operis inscripti Merlini Cocai Macaronicorum”. In ACDF, Decreta, 1610-1611, c. 223v è aggiunto “correctionis”. – 211 – Non poteva sfuggire al gesuita autore delle Decisiones che l’ ‘optimo iure’ dipende anzitutto da un’autorità costituita che lo sancisce, sottraendolo al giudizio, razionale fin che si vuole ma pur sempre opinabile, della Repubblica delle Lettere; vale a dire, Teranza sapeva benissimo che questa autocensura preventiva non poteva sostituirsi al Sant’Uffizio. Il quale la pensava allo stesso modo: l’informativa dell’inquisitore mantovano arriva in congregazione a Roma il 21 gennaio 1767285, quando Braglia ha già ricevuto una diffida inquisitoriale ma si è pure procurato autorizzazione da Firmian. Viene classificata come ‘segreta’ e riceve immediata risposta: gli eminentissimi hanno approvata la di lei ripugnanza alla nuova Edizione del Poema di Merlin Coccajo, le ingiungono pertanto di non concederne in verun modo la licenza allo stampatore, e se dal signor conte di Firmian le venissero fatte nuove premure replichi sempre la risposta già data, che ciò eccederebbe i limiti del suo potere, perché il libro è condannato, e fintanto che non sia corretto non se ne può permetter la stampa; procuri poi di cercar mezzi di dissuadere il medesimo signor conte di Firmian a non patrocinare quest’opera, come indegna di portare il di lui nome, lo faccia avvertire della oscenità, ed altro, che nel suddetto libbro contiensi contrario al buon costume, e alla edificazione de fedeli. Proponga finalmente, che se fosse emendato colla legitima autorità, allora senza alcun ritardo potrebbe nuovamente divulgarsi. La strategia d’azione è chiara: per evitare la stampa, che resta 285 ACDF St. st., GG 5 e, fasc. I, dove un apposito fascicolo riunisce il carteggio ricorrendo talvolta a trascrizioni e apponendo note con le decisioni prese durante le congregazioni. – 212 – Nella Lombardia Austriaca sgradita, occorre allontanare i potentissimi appoggi di cui gode Braglia facendo leva sul buon costume (argomento che a un governante poteva interessare assai più di considerazioni teologiche e storiche, peraltro poco percepite anche dagli ambienti ecclesiastici), in subordine accontentarsi di una revisione del testo, purché approvata dalla censura ecclesiastica. C’era dunque qualche margine per la trattativa, il cui esito sarebbe stato influenzato in maniera determinante dalla scelta di revisori graditi a entrambe le parti. La risposta trasmessa dal barone Waters, presidente del magistrato di Mantova, per conto di Firmian, che si era impegnato in prima persona, è secca e stizzita: non era stata richiesta una formale autorizzazione, né si pensava ad emendare il testo, ma semplicemente si cercava il modo di lasciar circolare il libro senza espressi divieti, offrendo in cambio la falsa indicazione del luogo di stampa e la rinuncia al foglio volante per pubblicizzare la sottoscrizione d’acquisto anticipato. La situazione a padre Mugiasca sembra comunque favorevole, “perché lo stampatore non ha molto denaro, e chi lo assiste non è in istato di darli grande appoggio”286: occorre quindi fare pressione al monastero di San Benedetto Po affinché il priore padre Arcari, vicario locale del Sant’Ufficio, dissuada il padre procuratore di Polirone dal sostenere economicamente l’impresa editoriale. Don Anselmo Pangelini sarà messo alle strette solo due anni più tardi, quando un atto presso il notaio Giuseppe Stuani287 scrive nero su bianco 286 ACDF, St. st., GG 5 e, 18 febbraio 1767. 287 Don Anselmo Pangelini aveva all’attivo anche una truffa a danno di prestatori ebrei, che gli avevano anticipato denaro in cambio di una partita di grano mai consegnato (GIUSTI 2005). L’atto relativo a Braglia in ASMn, Notarile, b. 8861, notaio Giuseppe Stuani, 17 aprile 1769: “Andando debitore il Molto Reverendo Padre Don Anselmo Pangelini, Procuratore, e Monaco Cassinese, di lire due mille ottocento di questa moneta verso il – 213 – che i debiti erano stati contratti per conto di Braglia, che ne diviene l’unico responsabile. L’ipotesi di una edizione approvata del ‘Merlino’ è sfumata, e la priorità ora è non irritare ulteriormente il temutissimo Firmian, la cui caparbietà era stata saggiata durante il lungo contrasto del 1762-64 per la nomina del vescovo de la Puebla: “non dovrà ella scrivere altro sù ciò al signor Conte di Firmian, ma lasciare ogni carteggio, il quale potrebbe o apportare nuovi impedimenti, o produrre altri inconvenienti” ordinano da Roma il 18 febbraio, dando avvio a un teatrino di finzioni e doppiezze288, Nobile Signor Ignazio Zanardi del Sacro Romano Impero Conte di Virgiliana; di lire due mille ottocento sessant’otto verso il Signor Giovanni Battista Storoli[?] detto Zanolini; di lire quattro mille quattrocento verso il Signor Mattia Zanelli; di lire tre mille cinquecento verso il Signor Paolo Pellegri; e di lire dieciotto mille settecento verso gli Ebrei Bonajuto Vita, e Fratelli Carpi: Ed avendo egli contratto tutti li premessi debiti a puro comodo, per interesse, e vantaggio del Signor Giuseppe Braglia, per provvedergli cioè Torchi, Caratteri, Rami, Carta, e quant’altro è occorso a formare la Stamperia, che attualmente tiene aperta in questa Città all’Insegna di Virgilio vicino a San Maurizio, con espressa preambolare intelligenza però, che tutti li premessi Signori Creditori sieno al più presto, che sia possibile, pienamente tacitati, com’è di tutto dovere, si è perciò di comune consenso divenuto alla Celebrazione del presente Instromento. Quivi adunque il nominato Signor Giuseppe Braglia del quondam Gaetano, mantovano, ed abitante nella Contrada del Cigno, riconoscendo, e confessando per vero verissimo il sopra esposto da detto Padre Procuratore Pangelini, e quindi spontaneamente, e di moto proprio accollandosi tutti, e s singoli li premessi Debiti come suoi propri, avvegnacché fatti con piena sua intelligenza, e consenso, e a puro suo riguardo, ed interesse, per se, e suoi eredi hà promesso, e promette, che espressamente si obbliga a totale indennità, e sollievo di detto Padre Pangelini di rendere sodisfatti, e tacitati tutti, e singoli li premessi Signori Creditori né tempi, e modo seguenti [… … …] Promette finalmente, e si obbliga esso Signor Giuseppe Braglia di tenere mai sempre indennizzato detto Padre Don Anselmo Pangelini da ogni qualunque danno, spesa, e molestia patir potesse per causa, e motivi di detti Debiti, e di riportare all’atto di ogni, e cadaun pagamento le opportune quietanze in forma a rispettiva indennità, e cauzione.” 288 Un “doppio binario”, come scrive DALLASTA 2011, che anni più tardi fu utilissimo nei – 214 – Nella Lombardia Austriaca per cui le autorità approvano e patrocinano la stampa, ma non pubblicamente, la congregazione è di tutto informata per via ufficiale, ma decreta che il commissario scriva privatamente a Mantova, affinché il Sant’Uffizio non appaia “consenziente, ma solo ignorante” qualora il sabotaggio fallisse289, l’inquisitore locale rinuncia alle procedure formali290, ma opera per distogliere i finanziatori (risultato che sembra acquisito verso la fine del mese) e ottiene dal barone Waters la proibizione dell’avviso per la sottoscrizione. “Levati tali sussidii all’impressore, il quale è assai povero,” il libro non sarà certamente pubblicato, neppure sotto la falsa data di qualche città protestante. tentativi di ripristinare l’inquisizione a Parma proprio grazie all’aiuto di padre Mugiasca, tramite della corrispondenza segreta, con falsi indirizzi e inchiostri simpatici, tra Parma e Roma. 289 ACDF, St. st., GG 5 e, “Feria IV die 18 febbruarii 1767 / Eminentissimi Domini rescripserunt relata, et ad mentem, mens est ut Pater Commissarius privatim scribat Inquisitori, quod si nulla ratione prohiberi possit impressio Merlini Coccai typis adulterinis, et typographus a comite Firmian patrocinatur, dissimulet. / L. Antonellus Assessor.” 290 ACDF, St. st., GG 5 e, “Copia di lettera scritta del Santo Offizio al Padre Mugiasca Inquisitore di Mantova in data li 22 febraro 1767”: “Ammettono gli Eminentissimi Padroni Inquisitori Generali di rescrivere a Vostra Paternità Molto Reverenda sul proposito della ristampa, che costà si medita dell’opera proibita di Melino Cocaj, che ella procuri con tutti li modi possibili ed adattabili al Caso (sicche però non avvenga impuntamento, o mal maggiore) di impedire e frastornare tale ristampa. Qualora poi non le venga fatto di impedirla, e la ristampa si faccia colla falsa data di Amsterdam, ella dissimuli, e mostri di non saperlo. Si spera, che la di lei prudenza saprà diriggere l’affare per modo che o riesca l’intendimento senza che si possa di lei, e del Santo Offizio dolere il signor Conte di Firmian, che si suppone patrocinatore della ristampa; o almeno, se la ristampa si eseguisse, possa restare al coperto il medesimo Sant’Offizio, sicche non comparisca consenziente, mà solo ignorante di quanto sù ciò accade. Il tutto si otterrà quando ella sù questo fatto operi sotto mano, senza esporsi. E con desiderio di servirla, le bacio le mani.” – 215 – Anche Braglia aveva lasciato intendere di aderire ai termini dell’accordo concluso sottobanco (nessun ostacolo dichiarato da parte del Sant’Uffizio, nessuna pubblicità da parte del tipografo), ma esce comunque con un “Avviso agli amatori di belle lettere” in cui si annuncia l’imminente pubblicazione ad Amsterdam (ma datato Mantova, primo febbraio 1767) e spedito ai librai di Venezia, Milano e Parma con l’autorizzazione (così almeno dichiara) di Waters e Firmian. Allegando esemplare del foglio volante, padre Mugiasca scrive a Roma che la situazione non è così nera come sembra e che a metà febbraio erano state raccolte soltanto 40 sottoscrizioni al prezzo – elevato – di 24 paoli.291 Difficile tracciare un profilo dei sottoscrittori, sappiamo però che copia del libro non mancava nella biblioteca di Waters né in quella, vastissima e celebre, di Firmian,292 i quali sono ormai diventati garanti 291 Precisa la gazzetta mantovana del 2 dicembre 1768: “Il primo Tomo si vende sciolto paoli 17., ed agli Associati si dà a paoli 12., con questo però, che alla consegna del primo Tomo pagano anche il secondo, che loro si promette nel prossimo Aprile, cioè paoli 24.” 292 Catalogo della biblioteca del fu sig. Barone don Giorgio de Waters, Consigliere di stato di S.M.I.R.A. e Presidente emerito del cessato Supremo Consiglio di Giustizia in Mantova, Mantova 1789: sono testi di “giurisprudenza civile canonica e criminale, di diritto naturale e pubblico ec.” le voci numerate da 1583 a 2671, le precedenti invece sono “libri teologici, politici, storici, critici, filologici, e di belle lettere” tra cui al numero “601 - 2 FOLENGI (Tehophili) [!] vulgo Merlini Cocaii, Opus Macaronicum notis illustratum. Tomi II. Amstelodami (Mantuae) 1768-71. 4 fig.”. Bibliotheca Firmiana sive thesaurus librorum quem […] Carolus a Firmian […] magnis sumptibus collegit, Typis Imperialis Monasterii S. Ambrosii Majoris, Milano 1783, vol. V Litterae humaniores, auctores classici antiqui, et polygraphia, p. 90: “e 299 FOLENGUS Theophilus, vulgo Merlinus Coccajus – Opus macaronicum notis illustratum ; cui accessit Vocabularium vernaculum, Etruscum, & Lat. Pars I.: praecedit Tractatus de Auctoris reb. gestis, & scriptis, cum Icone Folengi, & aliis fig. Amstelod., Mantuanus 1768. 4. Pars II. deest. In entrambi i casi la falsa data è sciolta senza cautele. – 216 – Nella Lombardia Austriaca dell’impresa, che in caso di fallimento danneggerebbe la loro reputazione. Resta ormai poco da fare: È rimasta veramente sorpresa anche questa S. Congregazione, che dopo la parola data a V. R. che la nota opera di Merlin Coccajo si sarebbe stampata segretissimamente, e colla finta data di Amsterdam, siasi poi divulgato il Manifesto dello Stampatore Giuseppe Braglia, dal quale può ben ognuno facilmente ravvisare, che l’opera si stamperà in Mantova, e che la data di Amsterdam non è che una pura coperta per tenere a bada il Santo Offizio. In questo stato di cose non si può più far certamente uso della dissimulazione, che per ordine di questa Sacra Congregazione le fu suggerita dal Padre Commissario colla lettera dei 21 Febbraio scorso. Dall’altra parte però vedendosi impegnati a sostenere l’Edizione di quell’Opera il Signor Conte di Firmian, e il Signor Barone di Valres non sarebbe cosa prudente l’opporsi direttamente per parte dell’Inquisizione /// al loro impegno. Continui per tanto V. R. tutte quelle Pratiche, e privati uffici, che la sua prudenza, e le circostanze le suggeriscono per togliere allo Stampatore i mezzi di eseguire la detta Stampa, ma quando poi ciò non le potesse riuscire Ella chiami a se lo Stampatore, gli rammemori il suo dovere, e le Leggi, alle quali è soggetto prima di dare alle Stampe qualch’opera, e col pungente stimolo dell’incorso nelle Censure, quando si faccia trasgressore delle medesime Leggi, lo faccia ravvedere, e lo frastorni dal mal consigliato Progetto.293 293 ACDF, St. st., GG 5 e, “P. Inquisitore {Novara} <Mantova> / 14 Marzo 1767”. – 217 – Gli avvertimenti rimasero inascoltati e di lì a due anni la prudente circospezione della Suprema permetterà almeno una dignitosa ritirata: verso la fine del 1768, quando nella Lombardia Austriaca era stata proibita la bolla In coena Domini e la censura di Stato stava per sostituire quella del Sant’Uffizio, esce il primo volume dell’opera maccheronica, che esibisce sfacciatamente nel frontespizio la falsificazione dell’ ‘Amstelodami’ affiancata dal nome dello stampatore e dalla sua insegna, un riconoscibilissimo Virgilio. Il secondo volume, promesso per l’aprile del 1769, tarderà altri due anni: jamdudum promissus, tamdiu expectatus, et pluribus, diversisque rerum circumstantiis protractus. In lucem prodit; sed qui ejusdem sponsor fuerat, non idem quod strenue spoponderat, demum potuit efficere.294 294 Prefazione al secondo volume. – 218 – L’organizzazione del tribunale Edificio e inventario Alla soppressione del tribunale i frati del contiguo convento di San Domenico, e il priore in particolare, non perdono l’occasione di rimpinguare i propri beni, recuperando gli utili della possessione agricola presso la frazione di San Silvestro e annettendosi l’intero edificio del tribunale, facendo valere l’atto di donazione dei terreni1 risalente al tempo di Pio V. La costruzione era ricordata da una lapide murata sulla facciata del portico prospiciente la chiesa di San Domenico: Gregorio XIII P. M. et Ser. Guilelmo Duce Mantuæ et Montisferrati regnante Ædificium hoc studio M. R. P. F. Julij Doffi Inquisitionis Mantuæ sic expletum ac decoratum fuit MDLXXIX. Mense Octobris. L’edificio2 doveva essere in discrete condizioni: nel 1739 era stata bonificata una camera utilizzata per stendere i panni, realizzata frettolosamente e senza i telai delle finestre;3 dai riepiloghi contabili degli 1 ASMn, DU II, b. 52, c. 34: la “Memoria da unirsi all’inventario” (6 maggio 1782) ricorda la donazione del terreno all’Inquisizione, perché edificasse il suo ufficio, secondo quanto registrato dal notaio Federico Oppiani il 10 ottobre 1568. 2 ASMn, DU II, b. 52, c. 34, trascritta con qualche imprecisione anche in ASMn, Patrii D’Arco, b. 228. 3 ACDF, St. st., GG 5 e, l’inquisitore di Mantova a Roma, 14 agosto 1739: “Per prevenire ogni grave disordine, che in suo pregiudizio minaccia la fabrica di questo S. Ufficio umiglio alle Reverendissime Eccellenze Vostre la notizia, che essendo sopra detta fabrica una camera isolata di maggiore altezza, la quale è poco ben fondata, composta di mattoni uniti con pura malta senza esserne, né di fuori né di dentro imboccata con calcina, con – 219 – anni ’60 e ’70 risultano piccole spese per la manutenzione alle opere murarie, in parte riferibili anche alle abitazioni cittadine di cui il Tribunale disponeva e che affittava a privati. Altri lavori erano stati condotti nel 1779, dopo un incendio che aveva minacciati fienile e legnaia, rischiando di diventare incontrollabile: grazie all’intervento di soldati muniti di moderne “trombe di cuoio dutili” i danni erano stati limitati alla camera del vicario; dalla descrizione pare di capire fosse una superfetazione che non “faceva tetto” con il palazzo vero e proprio, cui era addossata.4 Anche padre Mugiasca, al momento della soppressione, ricorda più volte le spese effettuate di tasca propria per migliorare l’arredamento o per ripulire o indorare le cornici dei quadri. Le cinque camere per piano5 – a quello inferiore le prigioni e al superiore gli uffici – erano allineate lungo un corridoio a sua volta comunicante con il porticato prospiciente la chiesa di San Domenico. Si definiva così lo spazio pubblico del convento, un cortile rettangolare che vedeva la chiesa e il tribunale affrontati sui lati lunghi e l’accesso ‘civile’ al convento o l’uscita in strada sui lati corti. Verso il retro del palazzo affacciavano cucina e dispensa, delimitando la corte destinata alle legnaie, al fienile e alle scuderie, cui si accedeva dalla “porta rustica” o dal grande prato di proprietà del convento. Nella pianta prospettica di Bertazzolo (1628) o nella mappa del catasto teresiano relativa alla parrocchia di San Silvestro si leggono più nitidamente i rapporti dell’edificio con il complesso molte finestre senz’alcun telaro o altro, che la difendino dall’acqua”. Sul foglio è annotata l’autorizzazione alla spesa concessa venerdì 21 agosto 1739. La necessità di riparare i soffitti di imprecisati “stanzini superiori” era già stata segnalata nel 1721. 4 ACDF, St. st., GG 5 e, 7 marzo 1779. L’inquisitore desidera giustificarsi presso la Congregazione per aver consentito l’ingresso nel convento di estranei e soldati. 5 ASMn, riprodotte in VAINI (CUR.) 1980. La pianta del convento con la trascrizione delle didascalie alle pp. 76-77; la pianta della parrocchia di San Silvestro a p. 192. – 220 – L’organizzazione del tribunale domenicano, addossato al Rio, in uno dei primi ampliamenti della città. Le rarissime immagini fotografiche rimasteci6 non sembrano accordarsi con la descrizione settecentesca del palazzo che – grandioso e “fabbricato con magnificenza” – mostrava un decoro formato dai consueti arredi di rappresentanza, non dissimili da quelli di Milano o Modena:7 quadri di soggetto religioso, tra cui gli immancabili “San Domenico, San Pio, San Pietro Martire”, “santi fatti in Stampa di Augusta”, affiancati da semplici soprausci dipinti a frutta o a paesi con marine, carte geografiche rappresentanti le parti del mondo, lo stemma dipinto di Clemente (laddove sarebbe lecito attendersi quello di Pio VI) XIV e un san Tommaso raffigurato come fonte della sapienza, appoggiato “simbolicamente sopra una fontana alla quale bevono Pontefici Cardinali Vescovi Religiosi”8. Non conosciamo i soggetti raffigurati nella “Galleria, tutta dipinta a fresco”, vi erano però anche “4 quadri in tela con dipinti degli alberi con suoi scudetti ed ivi inscritti i nomi de’ passati fino al presente Padre Inquisitore”, le cornici tinte in nero e filetti oro (come avevano tutte le pitture di pregio enumerate nell’inventario). La pala d’altare della Cappellina, sempre al piano nobile, rappresenta la Sacra Famiglia, mentre la galleria del piano superiore esibisce i territori e i paesi di giurisdizione del tribunale, introducendo alla “libreria ed insieme archivio della Inquisizione”, dove sei armadi contengono i libri e quei processi ancora esistenti. L’accortezza di 6 Gli edifici dei domenicani, durante il Regno d’Italia sede della caserma “Landucci”, furono demoliti nel 1924. Le fotografie coeve mostrano quasi esclusivamente la chiesa, ad eccezione della A56 del fondo “Stennio Defendi” presso l’Archivio Storico del Comune di Mantova, che inquadra il palazzo dell’ex-tribunale dal retro, restituendone i volumi (SIRBeC, IMM-2s010-0003013). 7 Cfr. PEDRAZZINI 2007. 8 ACDF, GG 4 a, 13 giugno 1782. – 221 – suggellare con una cordella gli armadi, e il gran caldo che “impedisce a far qualunque cosa”9 ci hanno privato del catalogo10, che avrebbe forse permesso di identificare l’origine di alcuni testi a stampa e manoscritti presenti tutt’ora in biblioteca Teresiana. Come accennato è vaga anche l’indicazione di quanto consegnato da padre Mugiasca ai domenicani: Alcuni mobili di qualche pregio, che sono 3 pianete di Damasco con guarnizione di oro fino, alcuni quadri di buon autore, e libri che sono di qualche merito, li darò con ricevuta al Superiore di questo Convento, perché restino alla disposizione delle Eccellenze Loro.11 Al decoro dell’insieme stona un poco l’incongrua presenza di “due quadri soprausci con un principessa e un principe della famiglia de Duchi di Mantova”, mentre le “4 camerette, che servivano un tempo per Prigioni agl’Inquisiti, ma che sono ad uso di dispensa”, segnalano quanto sia offuscata l’autorità del tribunale. Vi corrisponde il numero esiguo dei familiari del padre Inquisitore, tre in tutto: un fratello laico domenicano, un cameriere, e un ‘carrocciere secolare’. L’inquisitore pranza abitualmente con gli altri frati, e provvede con la sua rendita a non gravare sul convento.12 9 ACDF, GG 4 a, 25 luglio 1782. Così scrive a Roma padre Rizzini, probabilmente disaffezionato al lavoro anche per la mancanza di prospettive di carriera, o almeno di una buonuscita o un vitalizio come quello concesso al titolare. 10 Per un’idea di massima cfr. CERIOTTI 2006. 11 ACDF, GG 4 a, 27 aprile 1782, l’inquisitore Mugiasca a Roma; relata in congregazione l’8 maggio. 12 ASMn, DU II, b. 52, c. 34, 6 maggio 1782. Situazione simile a quella di padre Belotti, inquisitore dal 1736 al 1739, che viveva in convento e disponeva di un solo ‘famulus’ (AStDMn, Curia Vescovile, Relazioni di Enti ecclesiastici e ordini religiosi a Mantova e nel Mantovano, b. 4). – 222 – L’organizzazione del tribunale Il tribunale e il convento domenicano (la veduta è immaginata da nord est); da: Gabriele Bertazzolo, Urbis Mantuae descriptio, Mantova 1628. La facciata posteriore del tribunale in uno scatto del 1924; da: SIRBeC, IMM-2s010-0003013. – 223 – Consultori e vicari Oltre agli informatori occasionali, di solito parroci che hanno scrupoli legali o di coscienza, oppure notabili di simpatie conservatrici e introdotti nelle magistrature cittadine, la rete di collaboratori del Sant’Ufficio è completata dai vicari foranei e dai consultori. Questi ultimi provengono dall’ambito delle professioni liberali o dai religiosi regolari di grado più alto, maestri di teologia o laureati in utroque, spesso residenti nel capoluogo e provvisti anche di incarichi dipendenti dalla corte. Nel 1609 troviamo ad esempio citato come consultore Gian Giacomo del Lago1, senatore, che ottiene un particolare permesso di lettura. Un cenno fa pensare che almeno alcune cariche fossero attribuite d’ufficio: nel 1745, con l’aggregazione del Ducato a quello di Milano e con la conseguente soppressione del Senato, occorre trovare un nuovo giudice delle cause civili, “che dal 1694 era il presidente del Senato”.2 È priore benedettino di Polirone Innocenzo Cesi, dottore teologo e consultore dei libri (1698)3, teatino il consultore teologico padre Galanti4 1 ACDF, Decreta, 1609, c. 94, 6 marzo 1609. Il Senato era organismo giuridico. 2 ACDF, St. st., GG 5 e, 26 marzo 1745. La congregazione approva la scelta del senatore Biscosa da Milano, cioè il podestà appena insediatosi inviato dal governo milanese. 3 ACDF, St. st., I 4 g, fasc. 20, 29 agosto 1609. Padre Innocenzo avanza una serie di difficoltà, emendabili con un poco di lavoro, contro un libretto sulla storia del Preziosissimo Sangue che don Giovanni Battista Melchiorri, arciprete di Castiglione Mantovano, vorrebbe dare alle stampe. 4 ACDF, Tituli librorum, 1722-1728, fasc. 181. “Tolto via tutto ciò, che potesse mai esser disapprovato” si esprime a favore della Vita della gran Serva di Dio la madre suor’Anna Beatrice Manfreddi, prima Badessa dele cappuccine di Mantova, scritta dal sacerdote Giovanbattista Pasotti. Il 29 settembre 1728 la Congregazione concede l’imprimatur, purché non si usi il titolo ‘venerabile’. Sarà stampato a San Benedetto l’anno successivo da Alberto Pazzoni. – 224 – L’organizzazione del tribunale (1728), mentre è francescano frate Gianni Eustachio, consultore dei libri ebraici5 (1756); un incarico non sempre facile da assegnare, visto che nel 1721 padre Visconti non era riuscito a trovare neppure un cristiano che sapesse la loro lingua e potesse servire da revisore, lacuna questa che si trascinava da tempo. Scrive infatti a Roma che Per il passato li miei Antecessori hanno passato la stampa de’ loro libri Rituali, e Sonetti con la semplice attestazione del Rabino Leon Brielli6, uomo quasi ottuagenario appresso questi ebrei in gran stima, e per la sua rettitudine morale ancora appresso questa Città […]7 ricevendo l’ordine di proibire le stampe e di spedire i testi a Bologna o Ferrara. Esclusivamente religiosi sono i vicari: scelti in qualche convento se disponibili, oppure – ‘per non esservi altro’ – tra i parroci, reclutati malvolentieri e in deroga alle raccomandazioni romane; sembra una scelta di ripiego anche l’incarico assegnato a Giovanni Battista Romagnoli, che nel 1743 chiede con insistenza di poter rinunciare all’incarico, stanti i suoi 76 anni compiuti.8 Del resto l’alternativa era lasciare i posti vacanti, come accadeva ancor più frequentemente per mandatari e notai: nel 1650 a Guastalla si accetta che il notaio dell’abate esegua doppia funzione,9 nel 5 Cfr. le pagine relative all’ampliamento della sinagoga Cases. 6 Judah ben Eliezer Briel (1643 c.a - 6 ab (20 luglio) 1722). Trascorse la vita a Mantova, dove suo padre si era stabilito nel 1639. È ricordato come autore di numerosi scritti, tra cui testi polemici contro il cristianesimo e traduzioni verso l’italiano. Cfr. SIMONSOHN 1977 pp. 698-699 e passim. 7 ACDF, Tituli librorum 1710-1721, fasc. 140, 28 novembre 1721; risposta da Roma il 10 dicembre. 8 9 ACDF, St. st., H 2 g, fasc. 3, 5 aprile 1743. ACDF, Decreta, 1650, c. 135r, 14 settembre 1650. “Circa Personam Josephi Boiani – 225 – 1667 i posti vacanti sono circa 30, nel 1668 i benedettini rifiutano gli incarichi sia a San Benedetto che a Goito (su pressione della corte?); nel 1669 i vacanti si riducono a 21, ma sono ancora 20 i vicari scelti tra gli arcipreti, nel 1670 infine i ruoli vengono ampliati, col risultato di portare a 39 gli incarichi scoperti e a 21 i parroci.10 L’impressione complessiva è di trovarsi di fronte a una tigre di carta, le cui ambizioni erano ben lontane dalle reali possibilità, perlomeno quando si trattava di sostituire la repressione verso gruppi mirati a un generale controllo della società, che – quando è avvenuto – si è giovato del volonteroso aiuto di altri centri di potere, che per comunanza di interessi o per abile mercanteggiamento hanno condiviso gli obiettivi intermedi del Sant’Uffizio. Queste considerazioni non escludono cautela, a partire da un’indebita retrodatazione dei numeri al Cinquecento, sino a ricordare che il braccio secolare era tendenzialmente collaborativo (e sulla maggior parte degli arresti non muoveva obiezione alcuna), o che cifre precise, analitiche e di lungo periodo sulla repressione operata dalla giustizia inquisitoriale (confrontata con la coeva giustizia laica) non ci sono, né ci saranno mai. Del resto, se spostiamo la nostra attenzione sulla percezione che i contemporanei avevano di questo controllo subito e imposto, sulla loro possibilità di vivere un quieto compromesso fatto di nicodemismo o di autocensura o addirittura di accettazione interiorizzata delle regole, allora sfuma la Notarij Sancti Officij, qui etiam exercet pro Notario Abbati, dum ibidem non reperiatur Persona quam idem Abbas uti possit pro Notario, potest exercere utrumque Officium. Coeterum curet [l’inquisitore di Faenza] sedare controvertias, et monere ministros Sancti Officij, ut debitum respectum exibeant dicto Abbati, qui est Ordinarius Guastallae.” 10 ACDF, St. st., GG 5 e. Non a fianco di ogni parroco è indicato “per non esservi altro”. Si potrebbe supporre che la dicitura significhi un giudizio negativo sulle capacità del parroco, tuttavia mi pare più economico pensare a una sbrigativa approssimazione dell’inquisitore nel compilare la nota da inviare a Roma. – 226 – L’organizzazione del tribunale necessità di compilare minuziosi cataloghi centralizzati di inquisiti, martiri e criminali (forse l’arma più efficace nelle mani degli inquisitori) e la filologia estrema dell’esattezza si stempera nel quantitativamente indeterminato dei ‘molti’, ‘pochi’, ‘abbastanza’. Il generale riordino progettato poco dopo la metà ’600 cerca di ridurre il numero dei familiari ritirando numerose patenti tra lo Stato Ecclesiastico e l’alta Italia,11 ma nessuna a Mantova, che probabilmente soffriva non per il numero complessivo esorbitante, ma per una cattiva distribuzione sul territorio delle cariche. Pochi anni più tardi però, nel 1666, padre Granara, appena giunto a Mantova, ancora inconsapevole della tempestosa stagione che l’attende, scrive nel mio ingresso levai molte patenti di Provicarii, e Pronotari come non necessarii; et altre ancora de vicarii non residenti, et ogni cosa ridutto al numero preciso di sua necessità. La quale pure mi hà costretto a fare vicarii foranei molti Arcipreti come vedranno dalla suddetta nota per non esservi altre persone sufficienti. In molti altri luoghi non ho trovato a chi dar l’ufficio di notaro, né di vicario.12 Il tentativo di razionalizzare l’ ‘organigramma istituzionale’ si scontra con un contado poco popolato, religiosamente e culturalmente insufficiente, a eccezione di San Benedetto, di Guastalla13 e di pochi altri 11 ACDF, St. st., Q 3 d, cc. 638-658. Cfr. BRAMBILLA 2006, pp. 109-117, che segnala come il progetto di riforma pontificio del 1658-59 proponesse la revoca di 658 patenti di porto d’armi; in ogni caso la rete di giudici e consultori non si sarebbe assottigliata nel corso del ’700. 12 13 ACDF, St. st., GG 5 e, 16 ottobre 1666. Dove nel 1650 il vicario tiene scuola di grammatica per i ragazzini, occupazione incompatibile con il proprio incarico, a meno che non si tratti della lettura di filosofia. ACDF, Decreta, 1650, c. 109, 27 luglio 1650 “decretum scriberi Inquisitori Mantuae, qui – 227 – centri; troviamo invece la tabella completamente compilata nel 1714. A Guastalla, capitale in sedicesimo, signoria autonoma e diocesi nullius retta dall’abate preposto alla collegiata, il Sant’Ufficio schiera anche un consultore fiscale e un avvocato, ma nei paesi del ducato si tratta di recuperare oltre al vicario solo un’altra persona che svolga il ruolo di notaio, il mandatario è presente di rado. Gli incarichi restano però poco allettanti e gli scarsi benefici che ne derivano possono essere ottenuti a miglior prezzo Poiché non havendo altro premio che di portar l’armi, il che si conseguisce per quanto intendo dalla Corte con pochi soldi, quelli che non si muovono per zelo di Dio, e per servire il suo Tribunale della fede, non se ne curano. E io ho parimente osservato come alcuni che chiedevano quello di Mandatario, non erano persone da servire prontamente in tempo di necessità.14 Sembra però che il porto d’armi fosse soggetto a minori limitazioni rispetto a quello acquisibile dai comuni cittadini: dal foro laicale si pretende, che le pistole siano di misura, cioè nove oncie [… ma …] la pratica antica è che non vi siano curet, Vicarium Sancti Officii Guastallae dimitti scholam Grammaticae, vel illi tollat litteras Patentes Vicariatus Sancti Officii”. Il caso si trascinerà per qualche settimana, combinando l’insofferenza dell’abate di Guastalla per l’autorità dell’ufficio mantovano con antipatie tutte locali, sino a richiedere l’intervento dell’inquisitore di Faenza, incaricato (decreto del 9 agosto 1650) di comporre una rissa, nel frattempo avvenuta in Capitolo, tra notaio e vicario (rispettivamente don Felice Baruffine, arciprete e don Girolamo Filippo, arcidiacono della Collegiata). L’inquisitore di Mantova infine inoltrerà a Roma la richiesta per togliere loro le patenti. “Tollat patentes” sarà la secca risposta. 14 ACDF, St. st., GG 5 e, 16 ottobre 1666. – 228 – L’organizzazione del tribunale limitazioni di armi […] come si può vedere nel 1615 e nel 1631.15 Perdere lo status acquisito di patentato è comunque percepito come una diminuzione del proprio prestigio,16 come lamenta il vicario don Ludovico Longanini, rettore della parrocchiale a Motteggiana, che scrive direttamente a Roma “a tutela del suo onore”, (15 gennaio 1712), o come segnala la contemporanea supplica del “popolo della terra di Medole, vicariato di Castiglione”, che chiede siano assegnati i posti “per li consueti ministri del Santo Offizio” (14 ottobre 1712). Similmente nel 1667 l’inquisitore aveva concesso la patente a Gaspare Biasini in segno di gratifica per i servizi svolti, derogando dalla rigida attribuzione prevista per gli incarichi ufficiali. Controllare gli usurpatori che millantavano la propria appartenenza alla famiglia dell’inquisitore o i patentati medesimi17 era già di per sé un’impegnativa occupazione: contro di loro a Guastalla si contano una dozzina di procedure solo negli anni ’80 del ’600, mentre una decina riguardano Mantova tra il 1660 e il 1720. Discontinuo l’uso effettivo del privilegio di foro: nel 1616, durante un processo per scambio di archibugiate, la corte laica omette ‘per ordine preciso di Sua Altezza’ i nomi di Giuseppe Fracassi di Ostiglia, mandatario, e dei suoi due soci. Tenta di servirsi della propria qualifica di provicario anche don Valeriano Gianorsi, che denuncia a Roma di essere stato incarcerato come perturbatore della quiete dietro istigazione 15 ACDF, St. st., GG 5 e, 27 settembre 1720. 16 ACDF, St. st., GG 5 e. 17 ACDF, Privilegia, 1669-1699, fasc. 27, Mantova. Dubium an causa eorum qui se fingens officiales S. Officii, cum non sint et committant aliquod delictum non spectans ad S. Officium debeat cognosci de iure privative a S. Officio (1670). – 229 – dell’arciprete di Reggiolo, poiché “de mandato Inquisitoris affixit edicta Sancti Officii super ianuam eius Parochialis”; sarà completamente smentito dal vescovo di Reggio e affidato a una corte episcopale, restando l’inquisitore semplice spettatore.18 Nel 1677 il mandatario di Suzzara è processato presso il Sant’Offizio per ‘termini ingiuriosi’ (casi simili nel 1675 a Casale Monferrato, nel 1670, nel 1713 – ‘con uso di spada’ – ), mentre a Guastalla nel 165019 e nel 1675 le patenti erano state prontamente revocate per permettere nel primo caso una punizione comminata dell’abate ordinario del luogo e nel secondo caso il processo presso la magistratura del principe.20 Il Sant’Ufficio rinuncerà alla sua giurisdizione anche in un caso opposto, quando al patentato era toccato il ruolo di vittima: nel 1664 a Guastalla l’abate aveva iniziato un processo contra illos, qui lethaliter vulneraverunt quemdam fratrem Ordinis Servorum contra quos Inquisitor Mantuae procedere intendit, quia dicto frater est Notarius Sancti Offici. Ideo petit declarari ad quem spectat cognitio huius causa, cum ignoretur An dictus frater fuerit in odium Sancti officii offensus. 21 L’inquisitore di Mantova non era stato in grado di fornire dettagli sulla procedura seguita nei casi precedenti22 e prevalse lo spirito pragmatico di lasciar condurre le indagini a chi era più vicino al delitto, considerato 18 ACDF, Decreta, 1668, c. 210r, 13 giugno 1668; c. 258r, 11 luglio 1668 e c. 288r, 1 agosto 1668. 19 ACDF, Decreta, 1650, c. 118r, 9 agosto 1650. 20 ACDF, St. st., GG 5 e. 21 ACDF, Decreta, 1664, c. 43r, 12 marzo 1664. 22 ACDF, Decreta, 1664, c. 59r, 7 aprile 1664. – 230 – L’organizzazione del tribunale anche che il processo si svolgeva in contumacia, ed era probabile si rivelasse inconcludente. Dalla diffusione dell’abiura di Galileo, e dal conseguente divieto di insegnarne le teoria, si ricava che al 1633 il sistema delle vicarie era già ben organizzato, e aveva patito il passaggio dei lanzichenecchi per il ducato meno del Pacifico Ginnasio: Per l’ordinario passato ricevei la lettera di Vostra Eminenza delli 2 di luglio, con la copia della sentenza et abiura di Galileo Galilei da Fiorenza, della quale ho dato notitia alli miei Vicarii foranei, et notificata qui in Mantova alli professori di filosofia et mattematica (se bene al presente sono pocchi), acciò tutti sappino la gravità dell’errore et si guardino di non incorrervi.23 Patentati del Sant’Ufficio, sede di Mantova Abbiamo qualche rappresentazione dettagliata dei ruoli di vicari e patentati a partire dal 1666: uno sguardo è di per sé eloquente. Come termine di paragone possiamo indicare la vicina Modena, che nel 1658 contava per la città 5 ufficiali, 12 consultori, 3 ministri e 12 familiari,24 numeri molto vicini a quelli di Mantova. Il Registro di tutti li patentati della Santa Inquisitione di Mantova secondo il registro ritrovato l’anno 1714, trasmesso alla congregazione solo nel 171925 mostra che non erano stati rispettati i propositi di continuo aggiornamento degli elenchi, i quali non corrispondevano più allo stato 23 Da Mantova, 30 settembre 1633, l’inquisitore frate Ambrogio da Tabia al cardinal Barberini senior (Da PAGANO 2009, p. 189, che rinvia a ASV, misc. arm., X, 204, ex Sant’Uffizio 1181). 24 BIONDI G. 1987, p. 100. 25 ACDF, St. st., G 4 g, fasc. 1. – 231 – delle concessioni: vuoi per trascuratezza degli inquisitori, vuoi per il passaggio della guerra di successione spagnola e per il crollo dello stato gonzaghesco, la gestione del sistema era di nuovo in crisi. I dati provengono principalmente da ACDF, St. st., GG 5 e, in particolare dalla Nota dei patentati 16 ottobre 1666 (quando padre Granara aveva appena riordinato le patenti) e dalle successive note reperibili nella stessa busta che raccoglie sotto un unico titolo le Risposte di Inquisitori alla lettera Circolare della S. Congregatione Circa il Catalogo, e Riforma de Patentati, 1667-1668. – 232 – L’organizzazione del tribunale Riepilogo dei patentati Il segno ‘---’ indica un incarico predisposto ma vacante. La casella vuota indica corrisponde a un posto non previsto nel riepilogo spedito a Roma. 1666 1667 [frate Giacinto Maria Granara] [frate Giovanni Tommaso Pozzobonelli] [frate Aurelio Torri da Rivalta] [frate Aurelio Torri da Rivalta] Bartolameo Gadeschi piazzaro pubblico Annibale Scaravello 1669 [idem] Annibale Scaravello posizione 1714 [inquisitore] [Fra Giacinto Pio Tabalio] vicario generale del Santo Officio Il maestro Pio Enrico [Ennio?] Martinengo nottaro Il Padre Frate N. N. mandatario Antonio Solci da Mantova sottomadatario Giuseppe Mauri da Mantova servitore del Sant’Offizio Giovan Marchini padre Lettore Ludovico Pio Bagni Domenicano [idem] [idem] consultori teologi [1] padre Abbate di San Benedetto D. S. padre Fulgenzio Alghisi da Casale, Agostiniano [idem] --- consultori teologi [2] padre frate Vittale Gherli, minore osservante padre don. Cipriano Mauri da Milano, eremitano padre Didaco di Castelluccio, minore osservante padre Nicolò Sfondrati, preposito dei Teatini consultori teologi [3] padre don Carlo Galanti, chierico regolare padre Smeraldo da Bresia, fiesolano padre Giovanni. Battista Possani, carmelitano padre Bartolomeo d’Alba, minore osservante, guardiano di Santo Spirito consultori teologi [4] padre maestro F. Gioseppe Cattaneo, Carmelitano della Congregazione di Mantova signor don Giovanni Romagnoli, provicario episcopale signor don Antonio Mantovani, canonico [della Cattedrale] [idem] consultori canonisti [1] maestro Francesco Foliati, dei Servi di Maria Vergine signor don Francesco Simbeni, rettore di San Gervasio consultori canonisti [2] signor dottor don Giuseppe Lancirotti, arciprete di San Giorgio signor don Carlo Calori, decano della Cattedrale signor don Giovanni Battista Mercori Canonico [idem] [idem] consultori canonisti [3] padre frate Giustino della Visitazione, carmelitno scalzo signor don Giovanni Battista Magalotto, arciprete di Santa Barbara [idem] [idem] consultori canonisti [4] signor canonico Romagnolo Romagnoli, penitenziere – 233 – signor senator Giulio Berti da Mantova [idem] signor marchese Delfino Palqera, dottore consultori legisti [1] signor avvocato Andrea Modiani signor senator Francesco Bertazoli da Mantova [idem] --- consultori legisti [2] signor avvocato Carlo Giordani signor senator Hercole Mattioli bolognese Agostino Ridolfi signor Agostino Ridolfo, fiscale del criminale consultori legisti [3] signor avvocato Giuseppe Simbeni signor senator Carlo Zuchi Medico da Mantova [idem] senatore Zacchi consultori legisti [4] signor avvocato Francesco Cremonesi avvocato fiscale signor dottor Giacomo Lomini signor dottor Agostino Ridolfi da Mantova signor canonico Pietro Francesco da Parma, “questo è necessariissimo” signor Giacomo Maffei, notaro pubblico di Mantova signor dottor Pietro Francesco Negri [idem] avvocato de rei signor avvocato Ferdinando Beltrami [idem] --- interprete della lingue dottore Giovanni Loria giudice delle cause civili signor don Giovanni Francesco Pulicani, presidente del Senato notaro delle cause civili signor Filippo Farina, nottario Senatorio cancelliere sostituto signor Antonio Caramatti solecitattore delle cause civili dottor Giovanni Batta Rosti procuratore delle cause pie signor dottor Gioseppe Maria T[?]eranzi provedittore de carcerati signor Giovanni Zanetti revisore delle carceri signor Pavolo Traversi depositario signor Tomaso Baroni esattore delle rendite signor Girolamo Adamoli revisore di libri di belle lettere signor don Lodovico Rebecca, sacerdote secolare [idem]? [idem]? cancelliere il signor Giacomo Maffei, notaio --- [genericamente “revisore de’ libri”] padre don Camillo Cenni, dell’ordine de’ ministri degli infermi – 234 – L’organizzazione del tribunale [genericamente “revisore de’ libri”] padre frate Giovanni Batta Pesce, maestro e Priore del Carmine Gaspare Biasini, [“patente inusitata” per gratificare un “patentato antico”] Francesco Volpi, tenente de sbiri di Mantova [idem] [idem] – 235 – revisore de libri di teologia scolastica, e morale, e di filosofia padre Evasio Garone, dei ministri degl’infermi revisore de libri di medicina signor dottore fisico Flaminio Coreghi revisore delle casse della dogana signor Giuseppe Maria Paganelli, soprastante alla Dogana primo medico signor dottor Carlo Martinelli secondo medico signor dottor Antonio Stolfini primo chirurgo signor Francesco Rinaldi secondo chirurgo signor Carlo Ragazzola speciale de poveri carcerati signor Giovanni Battista Schucatti speciale secondo signor Girolamo Zampoli barbiere signor Domenico Aldrighi stampatore signor Alberto Pazzoni corriere paron Seraffini essecuttore Antonio Piovanoni marangone Biaggio Cappi conduttore del vino per li poveri carceratti Giovanni Antonio Fabri barigello Vicarie del Sant’Ufficio di Mantova La tabella riepiloga l’evoluzione diacronica delle strutture territoriali del Sant’Uffizio, confrontandole con quelle del Ducato. Gli stessi dati sono confluiti nelle mappe che seguono, ottenute con inevitabili approssimazioni dalla georeferenziazione di Città e Diocesi di Mantova (Francesco Luigi Filippi, 1785, manoscritta), Carta geografica del ducato di Mantoua (senza data, ma derivata dalla carta di Magini del 1620),26 BRUNELLI 1988, ROGGERI – VENTURA (CUR.) 2008. (a) (b) (c) (d) (e) (f) (g) Località sede di autorità civili periferiche, 1540 ca (da Mantova. La Storia, II, p. 385). P = podestarie, C = commissariati, V = vicariati).27 Chiese in cui venne affissa e letta pubblicamente la bolla Si de protegendis nel 1607, segno dell’articolazione sistematica sul territorio prima delle vicarie. Le parrochie rurali divise in vicarie secondo le Constitutiones synodales del vescovo Francesco Gonzaga (1610). Vicarie del Sant’Uffizio nel 1666 (ACDF). La tabella prevede 49 vicarie, ciascuna provvista di un vicario e un notaio, raramente anche di un mandatario. La funzione di vicario in 17 paesi è svolta dell’arciprete “per non esservi altro”, mentre tra vicari e notai i posti vacanti sono una trentina, lasciando spesso dei paesi completamente scoperti. Variazioni delle Vicarie del Sant’Uffizio nel 1667 (ACDF). I posti vacanti sono 31, ma sono previsti 3 mandatari in più rispetto al 1666. Vicarie del Sant’Uffizio nel 1714 (ACDF). Vicarie diocesane nel 1785. Non sono indicate tutte le parrocchie sussidiarie, ma solo quelle di località citatate negli altri elenchi. Il il riordino della parrocchie di confine era avvenuto alla fine del 1784, sulla base di una disposizione civile del 1770 sanzionata dall’autorità religiosa nel 1787. Ostiglia e Villimpenta erano diocesi di Verona, mentre rientravano nella diocesi di Brescia i paesi di Castiglione, Medole, Solferino, Guidizzolo, Canneto, Ostiano e Volongo (cfr. PECORARI 1962). Cfr. inoltre il Catalogo di tutto il Clero, Monasteri, Luoghi Pii e Confraternite, co’ loro rispettivi rettori della Città, Diocesi e Terre, dette delegate al Vescovado di Mantova, 1770, AStDMn, CC, miscellanea. 26 Entrambe in AStDMn, Carte e mappe. 27 Le gride ducali erano comunque lette in chiesa, nelle parrocchiali. Cfr. AStDMn, Curia vescovile, contenzioso e correzionale, Buscoldo, 10 dicembre 1561; lamentela del commissario ducale di Curtatone diretta al vicario episcopale. – 236 – L’organizzazione del tribunale (a) sedi di autorità civili periferiche (podestarie, commissariati, vicariati) 1540 ca. (b) affissione della Si de protegendis 1607 (ACDF) (c) Constitutiones Synodales – 1610 San Tommaso V Bagnolo, Santi Vito e Modesto parochia, Barbasso, San Pietro parochia (d) Vicarie del Sant’Uffizio 1666 (ACDF) (e) Variazioni delle Vicarie del Sant’Uffizio 1667 (ACDF) (f) Vicarie del Sant’Uffizio 1714 (ACDF) (g) Vicarie diocesane e parrocchie 1785 (AStDMn) Angeli e Curtatone --- Aquanera Aquanegra Bagnolo Bagnolo convento domenicano ? (sino al 1652; dal 1675 passato ai francescani) vicaria diocesana (terra delegata) vicaria diocesana Barbasso Barbasso vicaria diocesana Biscoldo Biscoldo Borgoforte Borgo Forte sussidiaria di San Silvestro vicaria diocesana Brusatasso Brusatasso Campedello Campitello Caneto Canetto Carbonara Carbonara Casteluccio Castelluchio vicaria diocesana Castiglione e Solferino Castiglione delle Stiviere [vedi Due Castelli] Castelgofredo Castel Bonafisso Castelgofredo Cavriana Cavriana vicaria diocesana (già diocesi di Brescia) [vedi Due Castelli] vicaria diocesana (terra delegata) vicaria diocesana Ceresara Ceresara Cerese vicaria diocesana V Bigarello C parrocchiale Borgoforte, San Giovanni Battista parochia Campitello, San Celestino parochia P V Castellaro [Casteldario?] V Castellucchio, San Giorgio parochia sussidiaria di Suzzara vicaria diocesana vicaria diocesana (già diocesi di Brescia) sussidiaria di Sermide C Castiglione Mantovano C Capriana, la Madonna parochia V Cerese, la Madonna parochia Castelli, San Paolo primo eremita parochia V [Belforte e Piuforte] due Castelli [Castelbelforte e Castelbonafisso] vicaria diocesana V Curtatone --- Felonica Felonica sussidiaria di Sermide Frassino [vedi San Girogio] Natività della beatissima Vergine e di Sant’Ippolito martire C C C Gazoldo (nullius sino al 1803) Goito,San Pietro parochia regolare San Benedetto Governolo, Sant’Agostino parochia collegiata di San Pietro Goito castello Goito vicaria diocesana Gonzaga Governolo Gonzaga Governolo diocesi di Reggio vicaria diocesana Guastalla [inoltre un vicereggente, diverso dal vicario, un notaio, un mandatario, un consultore] Guidizolo Guastalla [inoltre un primo e secondo consultore fiscale e avocatto] diocesi nullius Guidiciolo Luzzara Luzzara sussidiaria di Castiglione (già diocesi di Brescia) diocesi di Reggio V Mariana – 237 – (a) sedi di autorità civili periferiche (podestarie, commissariati, vicariati) 1540 ca. C (b) affissione della Si de protegendis 1607 (ACDF) San Giovanni Battista (c) Constitutiones Synodales – 1610 Marcaria, San Giovanni Battista parochia V (f) Vicarie del Sant’Uffizio 1714 (ACDF) (g) Vicarie diocesane e parrocchie 1785 (AStDMn) Marcaria Marcaria vicaria diocesana --- Marmirolo sussidiaria di Roverbella Ostiano Ostiano Ostiglia Ostiglia Pegognaga Poggio Palidano Pegognaga Poggio vicaria diocesana (già diocesi di Brescia) vicaria diocesana (già diocesi di Verona) diocesi di Reggio diocesi di Reggio vicaria diocesana Portiolo Portiolo (d) Vicarie del Sant’Uffizio 1666 (ACDF) (e) Variazioni delle Vicarie del Sant’Uffizio 1667 (ACDF) V Medole P Santa Maria di Castello Il Poggio, Santa Maria Alba parochia V Poletto Mantovano C Pontemolino Porto sussidiaria di Borgoforte vicaria diocesana Piubega vicaria diocesana Quistello Quistello vicaria diocesana Redoldesco Redondesco Reggiolo C Reggiolo [ha anche un mandatario] Revere vicaria diocesana (terra delegata), già diocesi di Brescia, ma la pieve di San Zenone (risulta non officiata nel 1566) di giurisdizione veronese diocesi di Reggio Revere V Rodigo Rodigo C Porto,San Michele parochia Piubega, San Giacomo parochia Quistello, San Bartolomeo parochia V C C Redondesco parrocchiale C --- Piubega vicaria diocesana (Pieve di Revere) sussidiaria di Castellucchio C Roncoferraro C C San Giorgio vicario foraneo, Roverbella, La Madonna, parochia” Roverbella vicario foraneo, San Benedetto, parochia San Floriano vicario foraneo, parochia di San Giorgio” --- --- vicaria diocesana San Benedetto San Benedetto Sant’Antonio vicaria diocesana Frassino e San Giorgio Frassino Saileto Sailetto V Sacchetta vicario foraneo, San Silvestro, parochia vicario foraneo, Saviola, San Michele, parochia P V Serravalle V parrocchiale vicario foraneo, Sostinente, San Michele, parochia San Silvestro Saviola sussidiaria di Villa Saviola vicaria diocesana vicaria diocesana (Villa Saviola) Sermide Sermide vicaria diocesana Susano Susanno Sustinente Sustinente convento dei domenicani vicaria diocesana – 238 – L’organizzazione del tribunale (a) sedi di autorità civili periferiche (podestarie, commissariati, vicariati) 1540 ca. V (b) affissione della Si de protegendis 1607 (ACDF) (f) Vicarie del Sant’Uffizio 1714 (ACDF) (g) Vicarie diocesane e parrocchie 1785 (AStDMn) Suzzara Suzzara vicaria diocesana P Viadana V Vilimpenta Vilimpenta V Volongo Volongo C Volta Volta San Giorgio Località non identificate san Giacomo maggiore [San Giacomo delle Segnate? ; San Giacomo Po?] (c) Constitutiones Synodales – 1610 vicario foraneo, Suzara, Sant’Ippolito, parochia” (d) Vicarie del Sant’Uffizio 1666 (ACDF) (e) Variazioni delle Vicarie del Sant’Uffizio 1667 (ACDF) diocesi di Cremona vicaria diocesana (già diocesi di Verona) sussidiaria di Ostiano (già diocesi di Brescia) sussidiaria di Cavriana la Madonna; la Madonna parochia; la Pieve Carte e mappe (1) Carta geografica del ducato di Mantoua (cortesia AStDMn). (2) Città e Diocesi di Mantova, 1785, manoscritta (cortesia AStDMn). (3) Mappa di confronto tra le autorità civili periferiche (a), l’affissione della bolla Si de protegendis (b) e le vicarie del Sant’Uffizio (f). (4) Mappa di confronto tra le vicarie diocesane (g), l’affissione della bolla Si de protegendis (b) e le vicarie del Sant’Uffizio (f). Legenda ? sede della Diocesi e del Sant’Uffizio P podestaria (a) C commissariato (a) V vicariato (a) affissione della bolla Si de protegendis (b) + vicaria del Sant’Uffizio (f) _ vicaria diocesana (g) giallo feudi dei Gonzaga cadetti arancio parrocchie incorporate nella diocesi a fine ’700 rosa diocesi nullius ° – 239 – L’organizzazione del tribunale Territorio e giurisdizione Le origini Per trovare un senso nell’irregolare territorio sottoposto alla giurisdizione dell’inquisitore di Mantova in età moderna l’unica via ipotizzabile è una genesi avvenuta secondo due principi contraddittori. Il primo è il rispetto dei confini diocesani, o più semplicemente di quanto controllato dal vescovo in età comunale (la città, gli immediati dintorni e alcune terre presso Felonica Po); il secondo è dato dagli ingrandimenti dello stato in età signorile. Con la riorganizzazione del tribunale tra XVII XVI e secolo vi si sono poi sovrapposte solo modifiche di dettaglio, rifiutando la congregazione ampliamenti ai danni degli inquisitori vicini. L’insediamento dei domenicani a Mantova, provenienti da Bologna, risale al 1233, benché già due anni prima sia documentato un Bonaventura frate predicatore che assiste il vescovo durante un giuramento di ortodossia;28 nel 1254 il comune recepirà gli statuti di Federico Innocenzo III, II e dopo aver comminato il bando contro catari, patarini e circoncisi nel 1221.29 Resta congettura30 che nel 1244 frate Reginaldo da Verona fosse censor fidei per la Lombardia e per conseguenza di Mantova; la medesima fonte settecentesca indica poi due inquisitori francescani della Marca 28 GARDONI 2011, p. 48. 29 VAINI 1994. 30 Lux chronologica; Quotquot ex ordine fratrum Praedicatorum in Ducatu Mantuano sibi nomen fecerunt variis tabulis illustrans, BCMm, ms. 139 (A V 9): “1244 - P. F. Reginaldus N. Veronensis a P. Gualfrido Priore Provinciali auctoritate Apostolica delegatus. Hoc temporis intervallo Inquisitor Generalis Lombardiae et Mantuae Fidei Censor praefuisse putatur”. La sottolineatura va sul ‘putatur’. – 241 – Trevigiana, senza precisare i limiti della loro competenza locale: Filippo Bonacolsi, tra i protagonisti della spedizione del 1277 contro i patarini di Sirmione (morto nel 1303 come vescovo eletto di Mantova), e frate Buonagiunta, che al 1291 sarebbe stato inquisitore di Verona e della Marca. Non sembra vi siano validi motivi per pensare che l’inquisizione non fosse affidata ai domenicani, visto che un elenco nell’archivio generale dell’ordine (AGOP) enumera altri quattro inquisitori a coprire il Duecento. Poco più solide sono due notizie relative al ’300, trascritte durante una ricognizione sui privilegi per i patentati: nel 1316 il notaio Zannino de Milio registra una concessione di porto d’armi agli inquisitori della Provincia della Lombardia Inferiore31 e nel 1328 il notaio Joannino de Scopa Nigra registra che frate Egidio, inquisitore, “in domo officii Inquisitionis” ha assolto Ottolino de La Savia dalla scomunica subita per aver prestato denaro a Passerino Bonacolsi, a sua volta scomunicato quale sostenitore di Ludovico il Bavaro.32 L’interdetto subito dalla città nel 1326 sarà revocato solo nel 1354, dopo il pagamento di 2000 fiorini al pontefice a conclusione di una trattativa tra l’autorità cittadina e il papa, condotta con la mediazione del vescovo.33 Di dieci inquisitori tra il 1253 e il 1414 restano i nomi tramandati nel 1754 da padre Paolo Serafino Sacconi, che 31 Tra i titoli degli inquisitori bolognesi (DALL’OLIO 1999, pp. 57-59) troviamo al 1306 “inquisitor Bononiae, Ferrariae, Mutinae, et in terris ac partibus Lombardiae inferioris” e al 1465 – anno a partire dal quale la residenza di un inquisitore a Bologna risulta stabile – “inquisitor in civitate Bononiae, eius diaecesi, districtu seu comitatu et singulis locis quibus et ad quae Bononiae inquisitio se extendere solet”. Il passaggio accentua la congruenza tra inquisizione-diocesi-città e lascia intendere il definitivo frazionamento della Lombardia inferiore in più giurisdizioni. 32 ASMn, AG, Mat. eccl., I, b. 3279. Similmente un atto del 1309 “in contrata fratrum Predicatorum in domo inquisitoris” (ASMi, Pergamene per fondi, 2 settembre 1309, citato da GARDONI 2011, p. 52). 33 Mantova. La storia, I, pp. 401-402. – 242 – L’organizzazione del tribunale scrive di averli dedotti da ‘monumenti’ che si conservano nell’archivio del convento.34 Il “frater Thomasinus de Tonsis de Mutina” registrato al 1316 concorda con la concessione di porto d’armi sopra ricordata, e fa sperare che l’elenco sia abbastanza affidabile. Parentesi politica I primi anni del potere gonzaghesco vedono il passaggio dal vescovado alla signoria di estesi possedimenti (Sermide, Revere, il basso corso dell’Oglio) affiancato da quei continui tentativi di espansione verso il Bresciano e verso il Cremonese che originarono il cosiddetto ‘Mantovano nuovo’, definizione in uso sino a metà del Settecento a designare un territorio con peculiarità amministrative e sociali, tanto che più volte i principi lamentano che gli abitanti dell’Oltreoglio non sembrano neppure sudditi mantovani. L’intreccio con l’amministrazione della giustizia ecclesiastica è affrontata lucidamente (e, vedremo, senza grandi risultati) dai ministri ducali nel corso del ’600: [… Essendo] gli Arcipreti di detti Castelli et terre Vicari per l’ordinario del Sant’Ufficio e parimenti vicari foranei di detti Vescovi, quando sentono qualche caso spettante al Sant’Officio in loco di darne parte al Molto Reverendo Padre Inquisitore, ne danno parte al Foro Episcopale, per mantenersi in gratia d’essi vescovi, il che non è di puoco pregiuditio all’Altezza Serenissima di Mantova. […] Et anco pare che detti suoi [del duca] Agenti significhino a tutti gli Reverendi Arcipreti, o altri Prelati in detti luoghi, qual sii la mente di Sua Altezza che è, che i delitti 34 AGOP, XIV Liber PP pars I, c. 4r, VI Inquisitores Mantuani ex monumentis Archivi Conventus ab anno MCCLIII usque ad annum MCCCCXIV. – 243 – et vitii siino castigati, ma che sendovi tribunale competente nel suo Stato, con gli interessi sudetti, non intende che si mandino i suoi sudditi fuori, et che se faranno altrimenti l’haverà a dispiacere, et se ne risentirà, et se anco paresse si può specificare, che i casi, quali si possono trattar nel Santo Officio in Mantova non intende si tirino fuori del Stato, con darne parte ad altri tribunali. Et questo si deve anco […], poiché la frequente conversatione di questi populi in altri stati et città, fa che mantenghino l’affetto a prencipi stranieri, che per ciò queste terre si chiamano forastiere, quasi che accidentalmente stiino sottoposte al loro Prencipe. Queste sono le terre: Sotto Bressa: Castelgiufre, Guidicciolo, Acquanegra, Caneto, Redoldesco, Mariana con il loro distretto; Sotto Reggio: Luzzara, Gonzaga, Reggiolo con il loro distretto; sotto Verona: Hostiglia, Vilimpenta, Castelli con il loro distretto.35 Anche nel lungo elenco di autorità ecclesiastiche (cardinali, legati, protettori, conservatori, nunzi, patriarchi, arcivescovi, vescovi, abati, primiceri, generali delle religioni, solo gli inquisitori sono esclusi) compilato da Donesmondi la distinzione è accettata come ovvia: qui solo parliamo de’ Conventi, che sono su’l Mantovano 35 ASMn, AG, b. 3279, cc. 426-434, senza data. Sottolineano le particolari attenzioni rese necessarie dalle incongrue estensioni di diocesi, stato e inquisizione anche i fogli immediatamente precedenti (databili al 1640) che supplicano per il ripristino dello stellario dell’Immacolata, che veniva recitato “nella piazza avanti un’immagine della Santissima Concettione posta nelle Torre” (ASMn, AG, b. 3279, cc. 422-424; sullo stellario cfr. ACDF, St. st. H 2 i). – 244 – L’organizzazione del tribunale vecchio, e non di quelli dello stato nuovo soggetto anch’esso al Sig. Duca, che sono assaissimi altri.36 I confini politici si erano stabilizzati verso il 1441 (pace detta ‘di Cremona’ o ‘di Cavriana’), quando dal Veronese vengono acquisite anche Ostiglia e Villimpenta.37 Già attorno al 1433 comunque – alla concessione del marchesato a Gianfrancesco da parte dell’imperatore Sigismondo – il territorio controllato si era ampliato su Asola, Casalmoro, Casaloldo, Lonato, Castiglione delle Stiviere, Solferino, Castelgoffredo, Redondesco, Canneto, Sabbioneta, Ostiano, Vescovato e altri territori poi perduti, al pari di Asola e Lonato. Contemporaneamente veniva stabilita l’ereditarietà per primogenitura a condizione che i cadetti ricevessero come compensazione dell’eredità perduta alcuni ‘castra’ nel momento in cui riconoscevano l’autorità del primogenito, che li infeudava. Il Mantovano è così diviso una prima volta alla morte di Gianfrancesco (1444), riunificato da Ludovico e nuovamente diviso fra i cinque figli alla sua morte, nel 1478: Mantova al primogenito, e a due coppie di fratelli i paesi tra Cremonese e Bresciano, dando origine a una serie di consignorie e formando un sistema in equilibrio instabile, reso dinamico dalle continue liti per il dominio utile sui feudi ma poco mutato dalla trasformazione progressiva in feudi imperiali a ereditarietà diretta. Così sarà ad esempio per il marchesato di Sabbioneta, nato sotto Vespasiano e a cui sarà aggregata Ostiano, o per il principato di Bozzolo, in un’epoca in cui l’unica scelta a disposizione dei piccoli principi è collocarsi entro o fuori la sudditanza spagnola. Ai confini 36 DONESMONDI, Istoria ecclesiastica, II, Cronologia d’alcune cose più notabili di Mantova, p. 18. 37 Inoltre dal Bresciano Castiglione delle Stiviere, Solferino, Castel Goffredo, Redondesco e Canneto; infine dal Cremonese Bozzolo, Ostiano, Isola Dovarese, Rivarolo, oltre a Viadana e Sabbioneta. – 245 – col Mantovano, lungo il corso del Po, si trova Guastalla, acquisita per via matrimoniale da Ferrante (figlio cadetto di Francesco II e Isabella d’Este) e scorporata dal Milanese con l’approvazione di Carlo V nel 1541, dando origine a un nuovo importante ramo Gonzaga, che andava ad aggiungersi a quelli di Castiglione e di Novellara.38 Ad esclusione di Gazoldo, dal 1354 assegnato alla famiglia degli Ippoliti, e di Casteldario, con Susano soggetto per il temporale al vescovo di Trento e infeudato regolarmente ai Gonzaga di Mantova, i rapporti tra queste corti minori e il ramo principale della famiglia oscillavano tra la piena fedeltà, se non altro per più ampie ragioni di opportunità politica, e la aperta e ostile inimicizia. Basti ricordare gli schieramenti opposti tra Milano e Venezia prima, o Francia e Spagna poi, o ancora il giudizio dell’ambasciatore veneto Francesco Contarini, più volte riferito dalla storiografia per la sua lucida asciuttezza: Oltre il duca di Nivers, vi sono nella Casa Gonzaga 85 signori e cavalieri di molta stima, tra’ quali 24 feudatari imperiali, e tre di loro di molta considerazione, che sono il duca di Sabbioneda, il duca di Guastalla e il marchese di Castiglion. E tutti e tre hanno poco buona intelligenza col signore duca.39 A questa situazione, già di per sé complessa, occorre poi aggiungere – su altro ordine di grandezza – l’acquisto del Monferrato (1533) e la nascita della linea di Nevers e Rethel (1565) con Ludovico, terzogenito di Federico II. 38 39 Cfr. particolarmente TAMALIO 2008 e BETTONI 2008. SEGARIZZI (CUR.) 1913, vol. 1, p. 81, Relazione di Mantova del clarissimo messer Francesco Contarini, ritornato dalla straordinaria legazione al duca Vincenzo, riferita in Senato, 3 ottobre 1588, citato anche da MOZZARELLI 1979, p. 442-443 e LAZZARINI 2005, p. 488. – 246 – L’organizzazione del tribunale “Inquisitore generale ne i stati del serenissimo signor Duca di Mantova e Monferrato e degli illustrissimi signori Gonzaghi” Sul Trecento il catalogo degli inquisitori di frate Cesare Agosti40 e la anonima Lux chronologica tacciono. Restano appena accennati i frati Tommasino e Benedetto, mantovani (1417);41 le compilazioni quindi procedono parallelamente e con continuità solo dal 1486, con una serie tutta domenicana, a partire dai ‘bolognesi’ Ambrogio Alemanno e Domenico da Gargnano, di cui è sufficientemente documentata qualche attività mantovana condotta assieme al vicario Girolamo Armellini, che è pure indicato come inquisitore di Mantova dal 1531 al 1540.42 Al momento non è facile accordare le testimonianze riguardanti gli inquisitori del ’300 con la suddivisione dei distretti inquisitoriali domenicani del 1475, basati su diocesi e ‘termini’ conventuali: Mantova risulta scorporata da Bologna, probabilmente su insistenza della signoria, e nel 1492 viene definito il confine dell’ufficio modenese per differenza rispetto al dominio temporale mantovano,43 il che lascia inspiegato per quale motivo nel 1502, quando il territorio di Pavia viene smembrato originando le giurisdizioni di Piacenza e di Cremona, non sia rettificata la linea dell’Oglio.44 40 ACDF, St. st., II 2 i, Catalogo delli nomi cognomi patria di tutti l’inquisitori d’Italia che sono stati e sono attualmente sino al presente anno 1707. 41 Lux chronologica … . 42 Lux chronologica …, ma non Cesare Agosti. 43 AGOP, IV, reg. 10, fol. 60, 18 maggio 1492 (da TAVUZZI 2007b, p. 25 n. 76): “Declaratur quod officium inquisitionis Mutine extendere quantum extendere auctoritas dominii temporalis Mantuani et Parmarum”. 44 TAVUZZI 2007b, p. 24. – 247 – Punto fermo sembra essere il 1485: Frater Ambrosius de Alemannia, conventus Mantuani, instituitur inquisitor Mantuanus.45 Gli succederà, dopo la breve reggenza del vicario Agostino Maggi da Mantova,46 Domenico Pirri da Gargnano (1490) Magister Dominicus de Grignano absolvitur ab inquisitione Bononiense et fit inquisitor Mantuanus cum terminis eiusdem.47 A entrambi il marchese Francesco II aveva accordato il braccio secolare (1486 e 1492).48 Sono incerte l’attività e l’effettiva consistenza del tribunale a Mantova negli anni dal 1490 al 1521, quando l’Armellini, come inquisitore di Reggio,49 era impegnato a cercar streghe nel territorio di Mirandola, poco fuori dal marchesato di Federico II Gonzaga. Nel 1511 si era scontrato con il canonico lateranense Pietro da Lucca,50 responsabile di quell’eresia che negli anni della soppressione sembrerà al canonico Muti talmente strampalata da risultare innocua. A Mantova Armellini aveva fatto ristampare un proprio testo ed era entrato in polemica tanto vivace da provocare l’intervento, alcuni mesi prima della condanna, di papa 45 Monumenta ordinis Praedicatorum historica, vol. 21, p. 42 (da TAVUZZI 2007b, p. 182 n. 160). 46 AGOP, IV, reg. 9, fol. 6, 27 marzo 1490 (da TAVUZZI 2007b, p. 182 n. 161). 47 AGOP, IV, reg. 9, fol. 6, 6 agosto 1490 (da TAVUZZI 2007b, p. 182 n. 159). 48 Già in DAVARI 1879. 49 Nominato probabilmente prima del 1519, cfr. DBI, Armellini, Girolamo (T. Herzig), sarà inquisitore di Mantova dal 1531 al 1540 (Lux chronologica …). 50 Gesù sarebbe stato concepito non dal grembo di Maria, ma da tre gocce di sangue vicine al suo cuore. Armellini pubblicò a Pesaro e in seguito ristampò a Mantova la Egregia nove heresis de Christi incarnatione confutatio et per sententiam apostolice sedis condemnatio, Mantuae per Francischum Bruschum, 1511. – 248 – L’organizzazione del tribunale Giulio II,51 che per smorzare i toni della polemica si era rivolto al cardinale Sigismondo Gonzaga vietando dispute in pubblico tra don Pietro e “quendam fratrem ordinis praedicatorum pro inquisitore pravitatis hereticae” (probabilmente l’Armellini stesso). Non mi pare attestazione sufficiente per ricavare con piena certezza una fissa presenza di un ufficio permanentemente operativo e autonomo, che sembra essere una proiezione all’indietro operata dai compilatori settecenteschi retrodatando quella che a loro pareva la situazione ‘normale’ per gli inquisitori, negando così le discontinuità storiche che si verificarono nei modi di concepire e organizzare il tribunale.52 51 “<Dilecto filio nostro Sigismundo Sanctae Mariae / Nove Diacono cardinali de Gonzaga / in Marchia et Mantua nostro et / apostolice sedis Legato> /// IVLIVS PP.a II.s / Dilecte fili noster salutem et apostolicam beneditionem. Intelleximus dominum Petrum Lucensem congregationis Lateranensis et quendam fratrem ordinis predicatorum pro inquisitore pravitatis hereticae se gerentem Mantuae verbum Dei et doctrinam evangelicam predicantes vehementer dissentire de conceptione domini et salvatoris nostri Iesu Christi, et ad graves verborum contumelias devenisse inquisitoremque predictum perturbar velle eundem Petrum ne predicet non absque magna admiratione et scandalo populi Mantuani: quare considerantes quod uterque predictorum Petri et inquisitoris de ipsa conceptione bene sentire se credit, et quod talia non sunt coram indocto populo disputanda, volumus quod tam dominus Petrus quam ipse inquisitor predicationem suam non tamen de huiusmodi conceptione usque ad octavam resurrectionis Dominice possit continuare circumspectioque tua ambobus mandet ut ex acta dicta octava ad nos venire debeant sub excommuncationis latae sententiae pena. Datum Bononiae sub annulo piscatoris, die viii.a Aprilis MDXI.mo, pontificatus nostri anno octavo. // <Sigismundus>”, AStDMn, MV, Pergamene, b. 3, n. 76. 52 Sulle prosopografie del Sei e Settecento relative agli inquisitori degli stati italiani, moraleggianti o encomiastiche, con netta prevalenza dei domenicani, cfr. SCHWEDT 2011, che sottolinea anche la necessità di rispondere ai centuriatori enfatizzando la linearità della traditio cattolica. Non troppo diverse le esigenze della Sacra Congregazione nell’ordinare a Ermenegildo Todeschini la stesura della sua Storia della Santa Inquisizione di Milano descritta l’anno 1749 (BENEDETTI 2008). – 249 – In ogni caso nel 1508 il copialettere Gonzaga riporta l’intestazione “Domino inquisitori Sancti Dominici Mantuae” e un altro cenno si ricava da una corrispondenza del 1516 di Isabella d’Este con Tommaso de Vio (già generale dei predicatori, ma non ancora cardinale Gaetano), che così risponde alla marchesa: la excellentia vostra intendera mi havere ricevuto uno mazo de lettere incluso in una de vostra Illustrissima signoria à me gratisima. Et essendo scripture pertinente alla inquisitione io molto referisco gratie ad quella che se dignata mandarele fidelemente.53 Restando nel campo delle congetture, potrebbe trattarsi di un banale gesto di cortesia nei confronti del mittente (in via ipotetica il titolare dell’ufficio mantovano) o del destinatario, commentatore di Aristotele, pomponazziano ante litteram e in buoni rapporti con la marchesa. Rimane insoddisfacente a dirimere la questione anche il riferimento a Girolamo Marcobruno (1524), che si trova “in camerino superiori pallatii episcopatus sito in contrata Aquilae” come delegato dal vescovo, non come inquisitore.54 È finalmente un decreto del 1529 di Federico II a protezione di inquisitore, familiari, notaio che per primo sembra convenire alla dicitura che sarà in uso nel tardo Cinquecento di ‘inquisitore in tutti gli stati dei signori Gonzaghi’, benché alcuni casi di luteranesimo,55 nel 1543, risultino 53 ASMn, AG, b. 863 (corrispondenza con Roma), fasc. XIII, c. 352; da Roma, 1 dicembre 1516. Devo questa segnalazione, assieme a diverse altre, alla cortesia di Roberta Benedusi. 54 ASMn, AG, b. 3278, c. 37, 6 aprile 1524. 55 AStDMn, Curia vescovile, Contenzioso e correzionale, Gonzaga. A favore di Antonio e Basilio Avanzi abitanti a Gonzaga, interrogati se nel paese vi “siano alcune persone che habino detto che el non ge’ purgatorio et che el non si debbe obedire al papa et che’l non si – 250 – L’organizzazione del tribunale gestiti da Francesco Marno (vicario del vescovo Ercole Gonzaga) assieme a frate Ambrogio Aldegatti, priore domenicano, poi vescovo di Casale Monferrato, ma registrato come inquisitore solo dal 1553, quale successore di Tommaso da Saiano.56 Nell’insieme comunque i documenti non ci lasciano molte certezze, similmente alla vicina Ferrara, con cui Mantova condivideva la collocazione nella domenicana ‘provincia utriusque Lombardiae’ e da cui proveniva Camillo Campeggi, inquisitore nella città estense (per il decennio dal 1557 al 1567) ed energico protagonista nella conduzione mantovana del processo contro Endimio Calandra e il circolo dello Scartozzo. Troviamo nelle sentenze, nelle patenti e negli editti di insediamento le formule più sorvegliate circa l’estensione territoriale della giurisdizione inquisitoriale, mentre negli anni ’40 e ’50 del ’600 i giuramenti sottoscritti all’assunzione dell’incarico restano brevi e poco descrittivi, – come per tutte le altre sedi del resto – considerato che erano destinati al solo uso interno: si limitano a ‘munus Inquisitoris Mantuae’57 oltre naturalmente al mantenimento del segreto. Le sentenze degli anni ’80 del ’500 accentuano il ruolo episcopale, aprendosi proprio col nome del vescovo,58 ma restano pericolosamente debbe confessare et simil altre cose contra la fede”, l’orefice Ettore Donati garantisce per 300 ducati, come da registrazione avvenuta il 17 novembre 1543 nella canonica del Duomo. Cfr. anche una scheda reperibile nello stesso archivio redatta da Romolo Putelli. Sulla repressione condotta venticinque anni più tardi contro questa comunità eterodossa cfr. il ricchissimo PAGANO 1991. 56 Verosimilmente il frate Tommaso documentato nel 1518 in val Brembana come vicario dell’inquisitore (MEDOLAGO 2008, p. 80). 57 ACDF, Juramenta, 1 (1578-1655): c. 505, 14 ottobre 1643 (frate Nicola Buzzalo); c. 551, 14 giugno 1645 (frate Angelo Maria Ondedei); c. 667, 5 giugno 1652 (frate Giulio Mercori). 58 Come disposto dalla costituzione Multorum querela durante il Concilio di – 251 – ambigue sul territorio di riferimento. Così ad esempio nel 1580 per la sentenza e il giuramento di Girolamo Cavalieri59 Noi Marco Gonzaga per la Dio gratia, e della santa sedia Apostolica vescovo di Mantova e fra Giulio Doffi del ordine dei predicatori dottore nella sacra theologia e Inquisitore generale specialmente delegato dalla suddetta santa sedia ne i stati del serenissimo signor Duca di Mantova e Monferrato e degli illustrissimi signori Gonzaghi. Secondo le considerazioni già svolte, giustamente al plurale sono sia gli “stati” che “i signori Gonzaghi”. Casale Monferrato Sul Monferrato basta un cenno: le prime notizie sulla sede inquisitoriale domenicana di Casale risalgono al 1505, quando a frate Angelo Rizzardi da Savigliano viene affidata la titolarità “in omnibus locis marchionis Montisferratis subiectis”, scorporandoli dai distretti di Vercelli, Asti e Savigliano in cui erano prima frammentati.60 Gli succede Sebastiano Pastorelli da Taggia nel 1510, e le notizie disponibili si fanno via via più consistenti a partire dal 1545 circa. 61 Nel catalogo del 1706 è indicata come sede di terza classe, e raramente nell’archivio della congregazione viene citata assieme a Mantova, se non quando è necessario fare riferimento al principe più che allo Stato. Così Guglielmo Gonzaga e Margherita Paleologa nel 1663 sono semplicemente detti ‘marchesi di Monferrato’, durante una ricognizione Vienne (1314). 59 TCD, ms. 1225, c. 132r. 60 TAVUZZI 2007b, p. 26. 61 DEL COL 2006, p. 289. – 252 – L’organizzazione del tribunale della grida emessa contro i bestemmiatori nel 1559,62 e similmente nel 1616 vengono inviate a Roma informative sulle concessioni agli ebrei dagli inquisitori di Casale, Cremona e Mantova,63 o nel 1623 sull’ ‘intelligenza’ del duca con certi mercanti eretici di San Gallo64. Per il resto Casale ha vita indipendente, se trascuriamo la pensione che riceve dall’inquisitore mantovano, e rientra negli affari della capitale soprattutto nel ’500, quando le cariche ecclesiastiche sono ricoperte da mantovani (il vescovo Aldegatti per esempio, vescovo di Casale e inquisitore di Mantova) o quando si tratta di combinare maneggi dai molteplici risvolti, come in una denuncia arrivata da Casale al duca per interposta persona, ancora agli albori della riorganizzazione del tribunale: io ho per certa via che alcuno et forsi il primo contrario in Casale a vostra eccellentia, è luterano perfetto, e dio volesse chio dicesse bugia […] dio volesse che alcuno havesse la inquisitione in Casale che forsi i dio porgeria aiuto. Io dico che li demeriti de tal ribaldo qual non nomino faranno che i dio lassarà la giusticia correr, tanto più che so nostra excellentia haver buon animo verso li suoi subditi, e clementia in perdonar alla quale mi raccomando, e i me perdonerà in longezza.65 62 ACDF, St. st., II 1 q, 9 aprile 1663, l’inquisitore di Casale alla Congregazione. 63 ACDF, St. st., CC 1 b, cc. 687-727. 64 ACDF, St. st., M 4 b, Contra diversos Haereticos degentes in Italia. Cfr. anche FOSI 2011, pp. 155 sgg., che segue il passaggio degli Scobinger da uno stato all’altro del nord Italia. 65 ASMn, AG, b. 2519, fasc. XVI, c. 327, 24 giugno 1533, Agostino da Faenza o. p. al duca; l’informatore è “un padre nostro da Casale che stancia da sacerdotte il cui nome è fra Pietro da Brignano cantor e confessor, in vero persona litterata, et son certo per longa prattica sua non dire una cosa manco vera per tucto il mondo.” – 253 – Verso Brescia Non c’è dubbio che dalle competenze mantovane fossero esclusi l’Oltreoglio, di pertinenza cremonese, e Gazoldo, comunità nullius dioecesis, retaggio forse di un’epoca in cui la struttura del Sant’Uffizio non godeva rispetto agli ordinari diocesani di quell’autonomia che le fu propria dopo i papi Carafa e Ghislieri e conseguenza di un controllo del territorio destrutturato e poco capillare. Diversi tentativi di riordinare la materia sono dei primi anni del ’600, in seguito a una azione inquisitoriale sistematica, non più diretta verso nuclei di notori eterodossi, ma verso il controllo delle campagne e di quelle forme di devianza, spesso più superstiziosa o immorale che eretica, riottosa ad omologarsi sui modelli proposti dalla cultura e dalla gerarchia ecclesiastica. Nel 1605 l’inquisitore di Mantova riesce a farsi spedire la lista dei libri contenuti nella biblioteca del conte di Gazoldo,66 che in un primo tempo aveva rifiutato di riconoscere l’autorità del vicario incaricato da Mantova.67 Nel 1607 rifiuterà di pubblicare la bolla Si de protegendis68 (comunque letta il 14 ottobre “in ecclesia Nativitatis Beatissimae Virginis Mariae et sancti Hippoliti Martiris”69), quindi nel 1609 scriverà inutilmente a Roma per ottenere l’assegnazione ad altra inquisizione.70 Un anno più tardi impedisce senza mezzi termini l’intervento dell’inquisitore mantovano e l’uso sul suo territorio del braccio armato concesso dal duca di 66 ACDF, Decreta, 1604-1605, c. 295, 6 maggio 1605. 67 ACDF, Decreta, 1604-1605, c. 271, 10 marzo 1605. 68 Come scriveva pochi anni prima l’inquisitore mantovano alla congregazione “Costitutione Si de protegendis, molto necessaria in Mantua” (ACDF, St. st. FF 1 a, 7 agosto 1603). 69 ACDF, Decreta, 1607, c. 252, 16 novembre 1607 e ACDF, St. st., LL nelle date si corregge probabilmente con il tempo di spedizione della posta. 70 ACDF, Decreta, 1609, c. 112, 18 marzo 1609. – 254 – f 1. Il difetto L’organizzazione del tribunale Mantova, vicenda per certi versi speculare rispetto a quanto accadrà a Guastalla nel 1666: a Gazoldo la difesa da un potere religioso per timore di ingerenze politiche esterne, a Guastalla il sostegno all’inquisitore nella speranza di ottenere appoggi per la successione al ducato di Mantova. La congregazione stabilirà di chiedere il braccio armato al conte di Gazoldo o di ricorrere alla famiglia vescovile.71 Un anno più tardi, “Comitum terrae Gazoldi nullius dioecesis districtus Mantuae lecto memoriali”,72 i cardinali assegneranno il paese all’inquisitore di Cremona. Più complicato il caso di Medole, diocesi bresciana, ceduta dal duca Vincenzo al marchese di Castiglione delle Stiviere in cambio di Castelgoffredo.73 Il nuovo governatore74 impedisce all’inquisitore di proseguire i ventuno processi per bestemmie già iniziati, perché ha da loco sicuro, che Medole è sottoposta all’Inquisitione di Brescia, et che quando l’Inquisitor di Brescia li darà un minimo aviso, prontamente eseguirà li sudetti comandamenti. Viene quindi invocata la soggezione politica come elemento determinante della giurisdizione inquisitoriale. Frate Girolamo da Soncino insinua anche che vi sia un secondo fine: 71 ACDF, Decreta, 1610 e 1611, c. 362, 17 agosto 1610. Sulla presenza a Mantova di tribunale, carceri e famiglia vescovili testimonianze e bibliografia sono affatto carenti. 72 ACDF, Decreta, 1610 e 1611, 21 gennaio 1611. Un caso del 1651 attesta la definitiva attribuzione (ACDF, St. st., CC 1b). 73 Diocesi di Brescia sino al 1699, attribuita ‘provvisionaliter’ all’arcivescovo di Milano, quindi dal 1710 ‘terra delegata’ al vescovo di Mantova, cui è aggregata nel 1784. 74 ACDF, St. st., FF 1 a, cc. 565-577. In allegato la “<Copia della lettera del governatore di Medole> / […] Hoggi ho ricevuta la lettera di Vostra Paternità Reverenda del ventiquattro corrente, et ho inteso quanto in essa si scrive, et son pronto in eseguire […]. Ma la sappia che intendo da Brescia et da luogo sicuro, che la santa Inquisitione di quel luogo, p[†] de Medole com’è Castiglione di sua giurisditione. […]. / Di Medole il 26 luglio 1603. / […] / Annibale Broglia governatore.” – 255 – Li sudetti huomini processati non vorriano a modo alcuno esser sottoposti a questa Inquisitione di Mantova, ma vorriano esser sottoposti a quella di Brescia, perché sonno molto ben certi, che in questa Inquisitione sonno molto ben castigati, et l’Inquisitione di Brescia non pol castigare li bestemmiatori siano pur crudeli quanto si vogliano, come anco nelle altre Inquisitioni di quel Stato. Eppure non può che rilevare l’incoerenza: nelle nostre patenti75 si contiene che io sia Inquisitore in Civitate et in Dioecesi Mantuana ac aliis locis consuetis, et son molti ritornando a una formulazione che sottolinea il ruolo preminente della città sul contado e associa il tribunale all’estensione diocesana, pur riconoscendone l’approssimazione. Unicamente politica è invece la connotazione scelta nel 1625 da Deodato Seghizzi per un editto di proibizioni ‘in materia de Auxiliis’ Maestro di Sacra Theologia, & Inquisitore generale nello Stato, e Dominio del Serenissimo / Signor Duca di Mantova, &c. e luoghi degl’Illustrissimi Signori Gonzaghi, contro / l’heretica pravità dalla Santa Sede Apostolica specialmente deputato76. Trent’anni più tardi i cardinali romani, ormai avvertiti, insisteranno 75 Cfr. ASMn, AG, b. 3279, 18 febbraio 1600. 76 ACDF, St. st., GG 2 c, fasc. 1. Dato in San Domenico, il 12 Agosto 1625 per Aurelio e Lodovico Osanna stampatori Ducali. L’anno successivo l’inquisitore riferirà che “Quà fin’hora non sono comparsi li libri composti da monsignor Archivescovo di Trani, e del Padre Valentino Herice della compagnia di Gesù in materia di Auxiliis, e non li lascierò correre se saranno mandati quà”. – 256 – L’organizzazione del tribunale “ad fugienda inconvenientia” affinché sugli editti non sia scritto “in Terris Principum Ducum Marchionum et Comitum de Gente Gonzaga” ma piuttosto “in locis Dominorum Principum Ducum Marchionum et Comitum”, benché questo comporti una spesa aggiuntiva per ristampare i fogli di avviso.77 A favore di frate Girolamo aveva a suo tempo giocato la consuetudine, visto che a Medole, o contro medolesi, erano già stati tenuti molti processi78 e che l’arciprete aveva di recente pubblicato gli editti del Sant’Uffizio senza alcuna difficoltà. La risposta della congregazione non è allegata (dovrebbe verosimilmente ritrovarsi nei Decreta); è comunque certo che nel 1708 Medole era soggetta all’inquisitore di Mantova, quando frate Giuseppe Berti segnalava un gran numero di ‘fatti heretici’ nei paesi vicini a Guidizzolo (Birbesi, Medole, Cavriana, Volta, Castiglione delle Stiviere, Goito, Rodigo), dove albergavano degli scarpolini valtellinesi di fede calvinista.79 Fonti di dubbi ripetuti sono anche altri paesi: Castelgoffredo, su cui vengono chiesti chiarimenti nel 161080 che troveranno risposta con una rapida ricerca d’archivio Inquisitoris Brixiae lectis litteris datis die 5.a huius, ac litteris sacrae Congregationis datis die 7.a maii 1569, et 11.a octobris 1603 ad inquisitorem brixiensem illius temporis, 77 ACDF, Decreta, 1650, c. 14r, 26 gennaio 1650. 78 Cita otto processi tra 1576 e 1602, uno solo dei quali riferito a Roma, quello contro don Cristoforo del Fe, rettore della parrocchiale, abiurato de vehementi (1581, copia della sentenza in TCD, ms. 1226, ff. 399 sgg.). 79 ACDF, St. st., GG 5 e, 18 maggio 1708. 80 ACDF, Decreta, 1610, c. 165, 21 aprile 1610: “Inquisitoris Mantuae lectis litteris datis die 20.a Martij decretum ut scribatur inquisitori Brixiae, qui certioret an habuerit ab hac sacra Congregatione aliquem ordinem circa exercendum officium necnon in Castro Giufre Brixiae dioecesis, et dominii temporalis Mantuae.” – 257 – illustrissimi domini decreverunt, ut inquisitor Mantuae exerceat officium inquisitionis in Castro Giufrè Brixiensis dioecesis, et dominii temporalis Ducatus Mantuae81 o Luzzara, a sud, verso il reggiano Lectis litteris Inquisitoris Mantuae datis die 28 augusti, decretum ut continuet exercere officium in terra Luzarae Regiensis dioecesis prout fecerunt eius praedecessores, et nihil innovet.82 La mancata unione dell’Oltreoglio Gli unici tentativi di dare regolarità a questo coacervo di terre e castelli provengono dai duchi Vincenzo e Ferdinando. Adeguamenti nell’estensione della diocesi erano già avvenuti83 e a Vincenzo la richiesta di assegnare all’inquisitore di Mantova tutte le terre del ducato in diocesi di Cremona non doveva sembrare così peregrina, assomigliando a quella di Alfonso II d’Este, il quale nel 1564 aveva ottenuto che tutti i suoi stati dipendessero dall’inquisitore di Ferrara;84 non ultimo pochi anni prima era stata decisa l’attribuzione tra le vicine Parma e Modena dei paesi di Sant’Ilario, Montecchio e Gualtieri.85 La posizione di Sua Santità rimane però negativa,86 e negativa sarà 81 ACDF, Decreta, 1610, c. 207, 13 maggio 1610. 82 ACDF, Decreta, 1609, c. 390, 17 settembre 1609. 83 Nel 1390, 1466-1484, 1566 (PECORARI 1962). 84 CERIOTTI – DALLASTA 2008, p. 40. 85 ACDF, Decreta, 1604-1605, c. 29, 10 febbraio 1604. Che fosse un periodo in cui la materia veniva riordinata, pur con incertezze e contraddizioni, lo mostra nel 1616 anche la richiesta all’inquisitore modenese di inviare un elenco dei luoghi a lui soggetti (BIONDI G. 1987, p. 101). 86 ACDF, Decreta, 1604-1605, c. 61, 1 aprile 1604. – 258 – L’organizzazione del tribunale anche nel 1617, quando occorre uniformare la diffusione e l’applicazione degli editti contro gli ebrei,87 non abbastanza efficace considerati gli interventi che si concentrano nell’arco di pochi mesi. Già nel 1616 l’inquisitore e il vescovo frate Francesco Gonzaga avevano rimproverato il governatore di Viadana Ferrante Soardi, che aveva permesso a due ebrei di incontrare la figlia durante il periodo di isolamento che precedeva la conversione al cristianesimo.88 Nella giurisdizione cremonese la pubblicazione non aveva conosciuto ostacoli, “eccetto che nelle terre del serenissimo signor Duca di Mantova”89 dove l’arciprete di Viadana don Nicolò Caleffi in un primo tempo rifiuta di pubblicare un editto90, ‘mantellandosi’ col fare l’interesse del duca (ma indirizzato e sostenuto da famiglie ebree), poi – subíto un sequestro di beni – si presenta all’inquisitore di Mantova, sostenendo che quello di Cremona non sarebbe stato giudice imparziale, ma avrebbe prese le parti del suo vicario foraneo.91 Non tanto diversamente le cose andavano per gli ebrei a Sabbioneta, terra del principe di Stigliano92 87 Entro un quadro più generale, notizie in OLEXÁK 2007, che nel particolare non chiarisce pienamente i rapporti tra vescovo e inquisitore di Cremona. 88 ACDF, St. st., CC 1 b, fasc. 8, 19 gennaio 1616, lettera di frate Francesco Gonzaga alla congregazione. 89 ACDF, St. st., CC 1 b, fasc. 8, c. 786, 13 aprile 1617, l’inquisitore di Cremona alla CC 1 b, fasc. 8, cc. 799-802, 3 agosto 1617. L’inquisitore di Cremona congregazione. 90 ACDF, St. st., alla congregazione: “si dice in Viadana, ch’egli ha fatto bene a non pubblicare quell’Editto, et che non patirà niente, et che quando anche fusse condannato, li hebrei saranno quelli, che pagaranno per lui, et che per non haverlo pubblicato si tiene abbia ricevuto dinari […] se bene poi s’era mantellato con l’interesse di Sua Altezza, et è verisimile, poiche tutte l’altre volte ha pubblicato gl’editti contro li hebrei senza darne parte ad alcuno”. 91 Ivi, c. 762. 92 Propriamente della moglie Isabella Gonzaga, che aveva ereditato quel che rimaneva dei possedimenti di Vespasiano, divisi tra la linea di Mantova e quella di San Martino. – 259 – sono favoriti, più di quello è convenevole, io non manco, né mancarò di levare l’inconvenienti grandissimi, quali ci sono per la protettione che hanno li hebrei, et in quel stato, et in quello del Signor Principe di Bozzolo, perché si persuadono quelli Principi, o’ loro Governatori, che il Santo Officio non habbia a’ procedere nelli stati loro, come si fa’ nello stato del Rè Catholico.93 Con soddisfazione fra Girolamo da Camerino poteva riferire a Roma che “doppo che li hebrei hanno veduto che questo negotio è devoluto al santo offitio” hanno assunto un atteggiamento meno spavaldo, indotto anche dalla minaccia del carcere per chi avesse fatto appello alla giustizia ducale.94 L’intrico delle vicende può essere dipanato solo affiancando alla corrispondenza proveniente dalla congregazione (in ultima istanza dal pontefice) le gride ducali in materia, le dichiarazioni rese per via diplomatica (alterate e smussate rispetto al vero) e le posizioni del vescovo, queste più aspre (“perché da Giudei, i Christiani non possono aquistar ben’alcuno, per l’anima, ne anco per il corpo a mio giudicio”95). Qui basti sottolineare che il funzionamento del tribunale era reso farraginoso da questo sommarsi di giurisdizioni che si affiancava alla sovrapposizione di competenze sia entro le istituzioni ecclesiastiche sia fra ecclesiastico e secolare, anche quando il principe era disposto ad assecondare le pretese pontificie (che in questo caso parevano eccessive). Conclude bene la lettera diretta al Papa: Onde Beatissimo Padre si supplica dal signor Duca, che 93 ACDF, St. st., CC 1 b, fasc. 8, c. 805r, 18 agosto 1616, lettera dell’inquisitore di Cremona frate Ippolito Maria d’Acquanegra alla congregazione. 94 Ivi, 8 settembre 1617. 95 Ivi, c. 728, 15 aprile 1617, Frate Francesco Gonzaga alla congregazione. – 260 – L’organizzazione del tribunale per rimovere le caggioni d’ogni inconveniente, si contenti d’ordinare a Monsignor Vescovo sudetto che nell’avvenire faccia prima ricorso alli Ministri di Sua Altezza che se poi le sarà negato il braccio secolare havrà in quel caso giusta ragione di dolersi […]. E per quello che spetta al Santo Ufficio considera l’Altezza Sua che unendosi tutto il Stato di Mantova al Santo Ufficio di Mantova, potendosi quell’inquisitore ad ogni ora abboccarsi con Sua Altezza e negotiare insieme, non passeranno mai sconcerti, né alla Santa Sede Apostolica arriva pregiuditio alcuno essendo la Giurisditione sua in ogni luogo la medesima; anzi piuttosto può riccevere maggior aiuto, e commodità dalla presenza di propii Principi, quali con Christiana Pietà debbino aver sempre mira di favorire gli interessi di così Santo Tribunale, come non si mancarà mai dall’Altezza Sua.96 96 Ivi, c. 755, 6 luglio 1617; è incerto se sia inviata da Mantova, o se sia presentata da un agente mantovano a Roma. Vi si può accostare il frammento, purtroppo senza data, di ASMn, AG, b. 2368, c. 232: “Illustrissimo et reverendissimo monsignore / Ancorché l’inquisitore di Mantova in virtù delle sue lettere patenti per le quali viene deputato a detto incarico habbia l’essercitio della sua giurisditione in tutto lo stato di Sua Altezza ancorché sottoposto ad aliena diocesi, contuttavia [†] dubio il possesso dall’inquisitore di Cremona, indi per fuggir in ciò la contesa giudiciale che seguirebbe si supplica <humilmente> Nostro Signore a dichiarare overo a concedere di novo in quanto sia di bisogno {che detto inquisitore di Mantova} che tutti gli sudditi dello stato di Mantova senza riguardo della diocesi a quale siano sottoposti, soggiaciano immediatamente al Tribunale del Santo Officio di Mantova acciò con tanto maggiore autorità incorrendo <uniti> l’uno et l’altro [†] si possa effettuare il servigio di Dio et delle anime, et Sua Aletezza resti consolata ad essempio di altri Principi in vedere rettamente sottogl’occhi suoi anchora amministrata la giustitia a’ sudditi. / Il che spera ottenere con l’autorità di Vostra Signoria Illustrissima la quale / [frammento – 261 – Come detto Paolo V Borghese confermò il no già pronunciato otto anni prima, forse apprezzando il reciproco controllo imposto da questa frammentazione, o forse al fine di marcare la distanza dal governo secolare, che di fatto nel procedere contro le streghe o a favore degli ebrei negava le esclusive competenze della Chiesa. La corte di Mantova non si trovava certo nella posizione adatta per insistere, già che Tutta questa Città resta scandalizata di Monsignor diocesano, et diversi di questa nobiltà sonno venuti dà me, per essersi trovato come dicono ad un finto matrimonio. Basti haverlo accennato.97 La reticenza di frate Girolamo è anche consapevolezza della propria posizione subordinata, diversamente dall’inopportuno comportamento adottato dall’inquisitore di Cremona nel 1620. Il sillogismo che questi aveva concluso era chiaro: se il territorio di sua competenza si estende sui domini di più principi (sul Milanese quanto sul Mantovano) è dunque necessario coltivare buoni rapporti e scambiare formali cortesie con ciascuno di loro. Coglie quindi l’occasione di alcune cause relative alla diocesi di Cremona in terra mantovana e si reca dal duca, presso il quale si intrattiene in ‘grata udienza’ discorrendo ‘molte questioni di Theologia’ e cercando di carpire in quale misura Sua Altezza sostenga o subisca l’iniziativa dei propri ministri locali circa le disposizioni antiebraiche. mutilo]”. 97 Ivi, c. 722, 31 marzo 1617, Girolamo da Camerino alla congregazione. Matrimonio di Camilla Faà col duca Ferdinando Gonzaga, che un anno prima aveva restituito la porpora cardinalizia. Stando alle carte il monsignore era Gregorio Carbonelli da Paola, frate dei minimi, già generale del proprio ordine, vescovo di Diocesarea in Palestina, abate di Santa Barbara, teologo ducale. La vicenda nell’Ottocento ha suscitato ampio interesse, ancora ben vivo. – 262 – L’organizzazione del tribunale Incontro inusitato e prontamente censurato da Roma: l’inquisitore se ne stia al suo posto, e non introduca novità.98 Un solo rappresentante presso la corte è sufficiente; la comunicazione tra sedi periferiche avviene passando per il centro del sistema. Il principio è ribadito nel 1650, quando è la mancata corrispondenza tra inquisizione e diocesi a creare problema, cosa ancora più strana, perché presuppone un’autonomia vescovile radicata e difficoltosa da scavalcare anche per la Suprema congregazione, come se fosse impossibile imporre agli ordinari quella burocratica uniformità di comportamento (tanto ricercata nella costruzione del sistema inquisitoriale) senza ledere la differenza gerarchica e sacramentale esistente tra vescovi e frati. In definitiva come l’inquisitore di Cremona deve rivolgersi a Roma ogni volta che agisce entro lo stato di Mantova, così l’inquisitore di Mantova non può affrontare direttamente le cause di sua competenza, ma fuori diocesi: quando succedat facere Causas Sancti Officii in Jurisdictione Abbatis Guastallae, et successive in aliis locis subiectis aliis Dioecesisbus, quam Mantuae; ipse Inquisitor non deveniat ad expositionem earum inconsulta Sacra Congregatione, quia secundum qualitatem Casuum ordinabit quid faciendum conveniat circa assistentiam eorundem Ordinariorum.99 Guastalla Rispetto alle altre vicarie Guastalla godeva di un trattamento di riguardo, considerata la corte che vi risiedeva, la presenza di un abate non 98 ACDF, St. st., CC 1 b, c. 872, 21 maggio 1620, dall’inquisitore di Cremona frate Tommaso da Tabia alla congregazione. Due settimane più tardi la risposta, trascritta in calce: “<4 junii 1620. Sanctissimus ordinavit ei rescribi, ut fungatur officio suo, nec faciat novitates>”. 99 ACDF, Decreta, 1650, c. 105v, 20 luglio 1650. – 263 – soggetto alle diocesi vicine e una stamperia attiva dal ’600; per questo i patentati (alcuni risultano scelti dal convento servita) vi erano un poco più numerosi rispetto agli altri paesi. Come città di recente formazione la configurazione delle sue istituzioni ecclesiastiche era atipica rispetto ai centri vicini, quali Carpi e Novellara:100 priva di insediamenti mendicanti, fu teatro di episodi devozionali femminili nel ’400 e della religiosità di Ludovica Torelli e Battista da Crema, vicende significative ma isolate rispetto alla popolazione urbana, che aveva il suo polo nella pieve di San Pietro, dal 1471 sottratta al controllo del vescovo reggiano. Il desiderio di elevare la pieve nullius dioecesis a cattedrale restò deluso sino al 1828, ma Ferrante II Gonzaga riuscì comunque a ottenervi la dignità di collegiata (1585)101, trasferendo contestualmente la chiesa entro le mura cittadine e impegnandosi ad attirare del clero forestiero che fosse culturalmente preparato. Con più convinzione rispetto a Gazoldo, le pretese dell’abate della collegiata di farsi valere come ordinario del luogo portarono a qualche artificioso contrasto con l’inquisitore mantovano. È decisamente aggressivo l’abate don Giovanni Battista Gherardini nel 1640, quando scrive alla congregazione Vuole ancora l’Inquisitore di Mantova spedire Sentenza diff.a quando si dà il caso nel suo Santo Offitio li miei Diocesani senza che v’intervenghi alcuno deputato da me, e perché questo ancora è contro il prescritto de Sacri Canoni supplico humilmente Vostra E[minenza] e cotesta Sacra 100 101 Il quadro complessivo è ricavato da ZARRI 1985. Fu necessario attendere la morte dell’arciprete Lelio Peverari, instancabile nelle contrattazioni economiche e oppositore di qualunque cambiamento che potesse danneggiarlo venalmente; cfr. anche FOSSATI 2005 e RURALE 2008a. – 264 – L’organizzazione del tribunale Congregatione à comandare all’Inquisitore quello che stimerà necessario per buon servitio di Dio.102 Più indirettamente aveva agito pochi anni prima, pubblicando un editto che vietava ai cristiani di servire gli ebrei il sabato:103 significava ribadire la propria giurisdizione episcopale, come non si lascia sfuggire frate Pietro Martire, inquisitore di Mantova, che ne contesta la validità “massime non essendo vescovo”104. Nel dubbio il sommista impiegato a Roma ricorda alla Congregazione la singolarità del caso poiché “<Guastalla è Principato, da ciò è non sogetto a quell’Altezza, la diede però in nota tra i luogi di quella Inquisitione>”105 lasciando intendere che la rappresentazione idealizzata vede come standard la corrispondenza territorio-principeinquisitore. Le irregolarità del sistema non avevano necessariamente effetti dannosi, offrendo un ‘gioco’ sufficiente ad aggirare gli impuntamenti che di tanto in tanto la più o meno oliata macchina inquisitoriale presentava. A Guastalla trova riparo l’inquisitore Granara durante la cacciata del 1666, senza patire la vergogna di aver abbandonato il proprio distretto grazie alla devota e pietosa ospitalità concessagli da Ferrante III, che usa questo sostegno all’inquisizione come motivo di legittimità e strumento per rafforzare le proprie ambizioni alla successione mantovana. Lo stesso escamotage viene del resto utilizzato anche dalla arciduchessa reggente Isabella Clara d’Austria, che può ben affermare di aver allontanato frate Giacinto Maria Granara per ragion di Stato, ma di non aver impedito il Sant’Uffizio in quanto tale, né di averne contestata la giurisdizione. 102 ACDF, St. st., H 3 e, 20 gennaio 1640. 103 ACDF, St. st., CC 1 b, fasc. 8, c. 1015, 21 ottobre (1638 ?). 104 Ivi, c. 1017. 105 ACDF, St. st., H 3 e, 20 gennaio 1640. – 265 – La ripugnanza della gerarchia ecclesiastica alle innovazioni prima e il rapido svolgersi degli eventi poi lasciarono sulla carta ogni ridefinizione dei confini. La piazzaforte di Guastalla rimase soggetta all’inquisitore mantovano anche durante gli assestamenti politici settecenteschi, che assegnarono la città ai Borbone-Parma dal 1748 sino alla soppressione del tribunale, quando, con la riorganizzazione della vita religiosa nei suoi aspetti civili, economici e legali, la ben regolata modernità della Lombardia austriaca contribuiva – senza prevedere la portata degli esiti – alla dismissione dell’antico regime. – 266 – Repertorio degli inquisitori di Mantova Il repertorio dipende da tipi di fonti differenti, non tutte egualmente affidabili, che si è cercato di comporre vicendevolmente al fine di ricostruire la successione cronologica degli inquisitori titolari della sede di Mantova. Questo non vuole però significare una implicita accettazione della continuità istituzionale, come fu accentuata nel secondo Settecento per ragioni ideologiche. Dal 1570 in poi la serie proposta ha trovato numerosi riscontri d’archivio, ed è da considerare decisamente attendibile, dubbi possono sussistere sui giorni esatti di insediamento o su brevi periodi tra un mandato e l’altro, provvisoriamente affidati a vicari; una esplorazione sistematica dei decreta in ACDF sarebbe risolutiva. Particolarmente lungo sembra il mandato di Pio Ennio Martinengo (1723-1739), ma al momento non sono emersi documenti in contrario. Meno chiara la situazione subito prima e subito dopo la missione di Campeggi: benché non vi siano ragionevoli dubbi sui nomi degli inquisitori, è meno scontata l’organizzazione amministrativa del tribunale; le prime sentenze rimaste in quantità consistente (TCD) risalgono all’epoca di Giulio Doffi. L’ordinamento sino al Quattrocento e altre considerazioni di carattere più generale sono già state brevemente discusse. Cronologie settecentesche Le prime cronologie intenzionalmente elaborate in nostro possesso risalgono al Settecento, quando più viva si fa l’esigenza di avere un quadro sistematico e riassuntivo delle sedi inquisitoriali, come ad esempio la Storia della Santa Inquisizione di Milano scritta dall’inquisitore Ermenegildo Todeschini, mantovano di origine, aiutato dal fratello Giovanni Francesco, baccelliere, che si occupa pure di storia municipale redigendo una piccola cronaca domenicana – corredata di tavole cronologiche – riguardante i – 267 – conventi mantovani di San Domenico e San Vincenzo, gran ‘lustro’ per la città, “nonostante gli scarsi documenti e i pochi che se ne sono occupati sinora”; la celebrazione delle glorie domenicane è completata da una novena per le feste della beata Osanna Andreasi.637 Circa vent’anni prima Cesare Agosti aveva sviluppato il proprio lavoro principalmente sull’archivio inquisitoriale locale, che diversi cenni dicono essere poco ordinato per la parte più antica, e lo aveva integrato con ricognizioni condotte sull’archivio dell’attiguo convento di San Domenico. Vale la pena di sottolineare che il secondo volume dell’Istoria Ecclesiastica del francescano Ippolito Donesmondi (1616), conclusa da un’appendice dedicata alle gerarchie e alle celebrità ecclesiastiche mantovane, pur iniziando i propri elenchi dai religiosi domenicani ignorava gli inquisitori e il tribunale del Sant’Uffizio, con un’omissione che pare volutamente polemica. (Agosti) ACDF, St. st. II 2 i, fasc. 1: Catalogus Patrum, qui fuerunt Inquisitores Mantuae Faldone già segnalato da Del Col, contiene notizie di argomento mantovano ai fogli 124 e seguenti. È sufficientemente chiara la lettera 637 Lettore di filosofia e teologia presso il vescovato di Cremona, ‘controversiarum publicus professor’, teologo consultore del vescovo di Mantova, infine ‘magister studentium’ presso lo studium di Bologna, Giovanni Francesco Todeschini così scrive: “[608] Queste dunque con alcune tavole cronologiche, quali facessimo col detto Padre Inquisitore sudetto, e ora con qualche attenzione ravvedute le spedisco in questo ordinario [… 609 …] La guerra impedì che non potessi andare l’Autunno del 1734 a Cremona per dare l’ultima mano all’opera degli Inquisitori, questa del tutto unita da mio fratello. L’impegno del mio ufficio me lo proibisce se anco finissi in tre mesi, io gliela darei compita.” AGOP, XIV, liber D, 21: Lettera accompagnatoria delle cronache manoscritte da padre Giovanni Francesco Todeschini al Padre Generale, per il tramite del Padre commissario, da San Domenico in Bologna, 21 luglio 1736. – 268 – Repertorio degli inquisitori di Mantova accompagnatoria: [124r] Illustrissimi e Reverendissimi Signori Cardinali Padroni Colendissimi / Mando qui accluso il catalogo di tutti i Padri, i quali sono stati Inquisitori di Mantova dall’anno 1486 sino all’anno 1701, come l’Eccellenze Vostre mi hanno ordinato con loro lettera data sotto li 19 febbraio 1707. Mancano i cognomi di alcuni di detti Padri Inquisitori perché molte scritture di questo ufficio non si trovano, con tutto che io habbia fatto ogni diligenza per rinvenirli, havendo ritrovato, che molti di loro non mettevano altro che i suoi nomi, e le sue Patrie. Questo è quanto per hora posso dire alle Eccellenze Vostre in ordine al commando supremo datomi dalla loro suprema auttorità, onde con farli profondissima riverenza, […]. / Mantova, 16 Marzo 1707 / […] Frate Cesare Agosti Inquisitore (Facconi) AGOP, XIV Liber PP, pars I, Inquisitores Mantuani ex monumentis Archivi Conventus ab anno MCCLIII usque ad annum MCCCCXIV È compilazione di padre Paolo Serafino Facconi, comprendente i nomi degli Inquisitori Mantovani dal 1253 sino al 1414 (f. 4r) e l’elenco dei priori del convento dal 1306 fino al 1753. Nella lettera accompagnatoria, datata Mantova 20 giugno 1754, scrive di essersi basato sull’archivio del convento. Cfr. «Archivum Fratrum Praedicatorum», vol. 36, 1966; vol. 39, 1969. (Lux chronologica) Biblioteca comunale Teresiana di Mantova, ms. 139 – A . V . 9: Lux chronologica. Quotquot ex ord. ff. Praed. in Ducatu Mantuano sibi nomen fecerunt variis tabulis illustrans. Compilazione della prima metà del Settecento, graficamente curata, – 269 – elenca i domenicani illustri (priori, scrittori, inqusitori) a vario titolo legati a Mantova, per l’origine familiare, per il convento di professione, o per avervi ricoperto incarichi. Le tavole rilevanti sono la X: “complens numerum patrum priorum conventus Sancti Dominici Mantuae ab anno .MDCCXXIV. usque ad annum **** [1747]”; XI: “complectens quotquot ex ordine fratrum Praedicatorum fidei quaesitores Mantuae, eiusdemque ducatus inveniri potuerunt ab anno .1244. usque ad annum .1620”; XII: “prosequens referre inquisitores Mantuae, eiusdemque ducatus ex ordine fratrum Praedicatorum ab anno .MDCXX. usque ad annum .MDCCXXIV”; XIII: “recenses quotquot a Mantua eiusque ducatu in ordine fratrum Praedicatorum fidei tribunal rexerunt [1417-1723]”; XIV: “enuncians alios fidei quaesitores alumnos, seu ut vocant filios conventus Sancti Dominici Mantuae [1583-1705]” e l’appendice “inquisitores mantuani in ordine Minorum”. Vi è allegato un elenco a stampa: Series chronologica provincialium et vicariorum generalium provinciae (ut vocant) Utriusque Lombardiae ordinis Praedicatorum quotquot colligi potuerun, Bononiae, typis Ioseph Mariae Fabri ex Typographia Bononiensi Sancti Thomae Aquinatis, 1732. Proseguita con annotazioni manoscritte sino al 1745. Per una più accurata descrizione cfr. PERINI 2012. – 270 – Repertorio degli inquisitori di Mantova Carte d’archivio e testi citati in bibliografia I principali archivi che hanno permesso di verificare le cronologie sono stati ovviamente ACDF e ASMn, AG (per alcuni periodi la corrispondenza scritta tra la corte ducale e l’inquisitore è regolare, e quasi ogni anno si ritrova qualche foglio). Altre notizie si trovano pubblicate in letteratura, e sono citate nella forma consueta. Serie Sono indicate le date, certe o probabili, di inizio e fine mandato, quando possibile integrate da cenni volutamente schematici sulla carriera inquisitoriale o sulla nomina di vicari e consultori. Le diciture sono tratte dalle fonti indicate tra parentesi. Reginaldo da Verona 1244 P. F. Reginaldus N. Veronensis a P. Gualfrido Priore Provinciali auctoritate Apostolica delegatus. Hoc temporis intervallo Inquisitor Generalis Lombardiae et Mantuae Fidei Censor praefuisse putatur. (Lux chronologica). Rizzardo da Verona 1253 F. Rizzardus Veronensis (Facconi). Alberico da Piacenza 1262 F. Albericus de Placentia (Facconi). Daniele da Giussano 1268 F. Daniel de Gluxano (Facconi). Tommaso da Como 1295 F. Thomas de Como (Facconi). Egidio Prosperi da Parma 1306 F. Egidius de Prosperii Parmensis (Facconi). Tommasino de Tonsi da Modena 1316 F. Thomasinus de Tonsis de Mutina (Facconi). “1316, 15 Junii / Licentia concessa per Fratrem Thomasinum de Tonsis Mutinensem, Fratrum Ordinis Praedicatorum Inquisitorem Haereticae pravitatis in Provincia Lombardiae inferioris. Salvagno de Maralijs Officialis Inquisitoris ferendi arma tam in Civitate, quam in aliis Locis. / Rogato Zannino de Milio, Notario.” – 271 – (pergamene in ASMn, AG, Mat. Eccl. I, b. 3279). Agostino da Padova 1338 F. Augustinus de Padua (Facconi). Tomaso Arriani da Mantova 1390 F. Thomas de Arrianis de Mantua (Facconi). Domenico da Bologna 1409 F. Dominicus de Bononia (Facconi). Bernardo da Fermo 1414 F. Bernardus de Firmo (Facconi). Benedetto da Fermo 1417 P. F. Benedictus N. Firmanus (Lux chronologica). vicario Agostino Maggi da Mantova il suo breve vicariato precede immediatamente la titolarità di Ambrogio Corradi Alemanno (TAVUZZI 2007b, p. 182). Ambrogio Corradi Alemanno 1485 14 maggio: “Frater Ambrosius de Alemannia, conventus Mantuani, instituitur inquisitor Mantuanus” (TAVUZZI 2007b, p. 182 n. 160). 1486 Pr F. Ambrosius de Alemannia (Agosti). 1486 P. F. Ambrosius N. Alemanus Scriptor fuit magister Studiorum Bononiae (Lux chronologica). Domenico Pirri da Gargnano 1490 6 agosto: “Magister Dominicus de Grignano absolvitur ab inquisitione Bononiense et fit inquisitor Mantuanus cum terminis eiusdem” (AGOP, IV, reg. 9, fol. 61v; da TAVUZZI 2007b, p. 182 n. 159; a p. 183 scrive che rimase a Mantova tutta la vita, sin verso il 1520). 1490 Pr Mr Dominicus de Gargnano (Agosti). 1490 P. M. F. Dominicus natus a Gargnano. Fuerat prius regens Bononiae, ibidemque inquisitor (Lux chronologica). Ha per vicario Girolamo Armellini da Faenza (vedi). Anonimo 1517 Supplica del padre inquisitore al principe di un un decreto che per l’avvenire preveda la punizione degli eretici col fuoco. “<1517 30 Feb. Supplica del padre Inquisitore umiliata al Principe di Mantova, implorando la spedizione di un decreto Marchionale, acciò per per l’avvenire vengano gli Eretici puniti colla pena del fuoco>” (ASMn, AG, 3279, fasc. 9). Girolamo Marcobruno da Faenza 1521 Pr F. Hieronimus Marcobrunus de Faventia (Agosti). 1521 P. F. Hieronymus Marcobrunus Faventinus (Lux chronologica). – 272 – Repertorio degli inquisitori di Mantova Ludovico Marino da Genova 1525 Pr F. Ludovicus Marinus de Janua (Agosti). 1525 P. F. Ludovicus Marinus Ianuensis. Fuit magister studiorum (Lux chronologica). Giovanni Battista da Milano 1529 Pr Mr F. Iohannes Baptista de Mediolano (Agosti). 1529 P. M. F. Ioannes Baptista n. Mediolanensis. Fuit duabus vicibus Regens Bononiae et Provincialis Lombardiae (Lux chronologica). Girolamo Armellini da Faenza 1531 P. M. F. Hieronymos Armeninus, seu Armellinus Faventinus. Scriptor fuit magister studiorum (Lux chronologica). sino al 1511? è vicario di Domenico da Gargnano verso i primi del ’500; nel 1511 lascia Mantova per Bologna (lettore allo studio), dal 1518 circa sino al 1525 è a Reggio o Parma, indi di nuovo Mantova. (DSI, Armellini, Girolamo (Herzig), che rinvia a Leandro Alberti, De viris illustribus ordinis praedicatorum libri sex …, 1517). Cfr. anche TAVUZZI 2007b, pp. 68-72 e p. 72 n. 107 che rinvia a AGOP, XIV, liber D, p. 598. Tommaso da Saiano 1540 Pr F. Thomas de Saiano (Agosti). 1540 P. F. Thomas n. a Saiano (Lux chronologica). Ambrogio Aldegatti da Mantova 1553 Pr F. Ambrosius Ardegatis de Mantua (Agosti). 1553 P. M. F. Ambrosius Aldegati Mantuanus, qui anno 1556 erat simul prior et inquisitor. Fuit episcopus Casalensis (Lux chronologica). 1553 P. F. Ambrosius Aldegati Mantuanus in Patria Inquisitor usque ad annum 1567; fuit Episcopus Casalensis. Scriptor (Lux chronologica). anni ’60 Teofilo Marzio da Siena, monaco benedettino “collaboratore dell’inquisizione negli anni Sessanta a Mantova nel corso dei processi contro i benedettini seguaci di Giorgio Siculo” (DSI, Mocenigo, Filippo (Bonora)). Camillo Campeggi da Pavia agosto 1563-aprile 1568 inquisitore di Ferrara e Modena. 1567 Pr Mr F. Camillus Campeggius de Papia, Episcopus Nepesinus (Agosti). 1567 P. M. F. Camillus Campisius Papiensis scriptor. Fuit theologus Concilij Tridentini ac episcopus Nepesinus, et Sutrinus (Lux chronologica). Benedetto Erba da Mantova 1568 1 settembre lettera credenziale di Pio V per Benedetto da Mantova (ASMn, AG, b. 3279, c. 94) 1569 P. M. F. Benedictus Herba Mantuanus. Fuit theologus Concilij Tridentini et episcopus Casalensis (Lux chronologica). – 273 – Andrea Alcheri da Maderno 1570 Pr F. Andreas de Alcheriis de Materno (Agosti). 1571 P. F. Andreas de Alcheriis Brixiensis a Materno scriptor (Lux chronologica). Giovanni Battista Clavena da Milano 1571 P. F. Iohannes Baptista Clavena Mediolanensis. Fuit magister studiorum, inquisitor Mediolani et Venetiarum (Lux chronologica). 1572 Pr F. Iohannes Baptista de Mediolano (Agosti). 1572 12 marzo: editto a stampa firmato da frate Giovanni Battista Civena da Milano. (ASMn, AG, b. 3279, c. 111). Giovanni Battista Barga da Porretta 1572 P. F. Iohannes Baptista Bargas Bononiensis a Porrecta. Fuit inquisitor generale (Lux chronologica). 1573 Pr F. Iohannes Baptista de Bononia (Agosti). 1572 28? maggio (5? calendis Iunii): il duca Guglielmo concede il braccio secolare a Gio. Batta Borghi da Bologna (ASMn, AG, b. 3279, c. 108). annotazione senza data: “il già sopradetto Guglielmo cacciò da Mantova un inquisitore chiamato fra Gio Batta da Bologna per simil cose [multe troppo alte inflitte ai rei]” (ASMn, AG, b. 3279, c. 117). Giacomo Festino da Sant’Angelo Lodigiano 1577 P. M. F. Iacobus Festinus Laudensis a S. Angelo, qui postea fuit prior Bononiae et tribus vicibus Provincialis Lombardiae (Lux chronologica). Giulio Doffi da Firenze 1578 Pr Mr F. Julius Dolfinus de Florentia (Agosti). 1578 P. M. F. Iulius Doffius Florentinus conventus Imolensis Alumnus scriptor. Fuit episcopus Alexani (Lux chronologica). Ampiamente attestato in TCD, mss. 1225 e 1226, da cui risulta avere Pio da Lugo come vicario nel 1581. “Molto ill.re sig. mio oss.mo / Ho ricevuto adess’adesso le patenti per l’Inquisitione di Pavia, et in mio luogo viene il Padre Pesarino, del quale altre volte abbiamo parlato, che così mi scrisse l’illustrissimo signor cardinale Savello, et perché è debito mio avanti la mia partita riverire con la presenza sua Altezza, dalla quale sempre benignamente et con infinita amorevolezza sono stato trattato come ho detto et dirò in ogni luogo, però la prego a dovermi far sapere con una sua se posso et debbo venir costì per far con sua Altezza quanto detto.” (ASMn, AG, b. 2619, 8 novembre 1582, da Mantova, fra Giulio Doffi a Zibramonti, a Revere) Domenico Istriani da Pesaro 1583 Pr Mr F. Dominicus Istriani de Pisauro (Agosti). 1583 P. M. F. Dominicus Istriani Pisauriensis. Fuit prior Bononiae, et ibidem inquisitor – 274 – Repertorio degli inquisitori di Mantova (Lux chronologica). Nel 1587 ha per vicario Ercole Ripa (AStDMn, Curia Vescovile, Avvisi: “Editto sopra l’indice de’ libri prohibiti”, 2 aprile 1597). Domenico Vignuzzi da Ravenna s. d. Pr Mr F. Dominicus Vignutius de Ravena (Agosti). 1597 P. M. F. Dominicus Vignutius Ravennas prius Soc.us S.O. in Urbe, et obijt inquisitor Venetiarum (Lux chronologica). Suo giuramento come ‘socius Patris Commissarii generalis’ il 25 gennaio 1593 (ACDF, Juramenta, 1578-1655, c. 79). Girolamo Capredoni da Soncino 1600 Pr Mr F. Hieronimus de Soncino (Agosti). 1600 P. M. F. Hieronymus Capredonius Soncinas. Fuerat regens Bononiae. Scriptor. (Lux chronologica). 1600 Il benedettino Arnoldo Fiandrese è proposto nuovamente come correttore dei libri per conto del Sant’Uffizio. Giovanni Paolo Nazario da Cremona 1604 Pr Mr F. Jo[hann]es Paulus Nazarius de Cremona (Agosti). 1604 P. M. F. Ioannes Paulus Nazarius Cremonensis scriptor. Fuit regens tribus vicibus Bononiae, et orator status Mediolanensis ad regem Hispaniarum Philippum IIII. (Lux chronologica). “Questo /// Inquisitore non sarà se non bene si parta presto di qua, per che l’humor suo non si confà con le nostre maniere di trattare. Intendiamo che il successore suo è tutto zuccaro, piaccia a Dio che sia così perché l’asprezza naturale et accidentale di quest’huomo ha bisogno di lenitivo.” (ASMn, AG, b. 2701, fasc. 1, c. 118v, 19 agosto 1605, da Mantova, Chieppio a Giovanni, gentiluomo del duca presso il papa) Serafino Secco da Pavia 1606 Pr Mr F. Seraphinus Siccus de Papia, fuit Magister Ordinis (Agosti). 1606 P. M. F. Seraphinus Siccus Papiensis scriptor. Fuit magister generalis ordinis. (Lux chronologica). Suo giuramento come consultore il 22 ottobre 1608 (ACDF, Juramenta, 1578-1655, c. 162). Eliseo Masini da Bologna 1608 9 ottobre scrive di aver ricevuto la patente per l’incarico mantovano, il 7 dicembre risulta in viaggio e ha già passato le consegne al suo successore ad Ancona (BLACK 2009, p. 109 che rinvia a ACDF), dove era stato titolare dal 1607; dal giugno 1609 al settembre 1627 sarà titolare a Genova (DSI, Masini, Eliseo (Fontana)). È l’autore del celebre Sacro Arsenale. – 275 – 1609 Pr Mr F. Eliseus Masinus de Bononia (Agosti). 1609 P. M. F. Eliseus Masinus Bononiensis scriptor, prius socius S. O. in Urbe. (Lux chronologica). Suo giuramento come ‘socius Patris Commissarii generalis’ il 13 aprile 1605 (ACDF, Juramenta, 1578-1655, c. 138). Girolamo Medici da Camerino 1610 Pr Mr F. Hyeronimus Medici de Camerino (Agosti). 1610 P. M. F. Hieronymus Medices Camer.s scriptor. Fuit prior Bononiae et pro[vincia]lis Lombardiae (Lux chronologica). Un suo editto, probabilmente una ristampa, risulta “dato nella Cancellaria del Sant’Officio di Mantova, li n 17. Febraro 1620.”, notaio frate Ippolito Francesco Bono. Massimo Guazzoni da Bozzolo 1618 P. F. Maximus Guazzoni a Bozolo (Lux chronologica). Notizie sulla sua carriera in (Lux chronologica): “1609: P. L. F. Maximus Guazzoni a Bozolo Fidei quaesitor Ticini Regii [Pavia], Mutinae, Mantuae, Arimini usque ad annum 1620”. Deodato Seghizzi da Lodi 1620 Pr Mr F. Deodatus Seghitius de Lauda (Agosti). 1620 P. M. F. Deodatus Seghitus Laudensis (Lux chronologica). Suo giuramento come ‘socius Patris Commissarii generalis’ il 7 settembre 1616 (Juramenta, 1578-1655, c. 221); come inquisitore di Pavia l’ 8 gennaio 1620 (ivi, c. 268). Ambrogio da Taggia 1631 Pr Mr F. Ambrosius de Tabia (Agosti). 1631 P. M. F. Ambrosius Ruggieri Tabiensis scriptor (Lux chronologica). Pietro Martire Ricciardi da Acquanegra 1634 Pr Mr F. Petrus Martir de Aquanigra (Agosti). 1634 P. M. F. Petrus Martyr Ricciardus ab Aquanigra, prius socius S. O. in Urbe. Fuit inquisitor Genuae (Lux chronologica). Suo giuramento come ‘socius Patris Commissarii generalis’ il 28 agosto 1624 (ACDF, Juramenta, 1578-1655, c. 313). Suo editto come inquisitore di Cremona, senza data, trasmesso a Roma nel 1638 dall’inquisitore di Mantova “Noi Frà Pietro Martire Ricciardi d’Acqua negra dell’Ordine de’ Predicatori Maestro / di Sacra Theologia, & Inquisitore Generale nella presente Città di Cremona, & / sua Diocesi […]” (ACDF, St. st., CC 1 c). Camillo Campeggi junior da Pavia 1640 Pr Mr F. Camillus Campeggius de Papia (Agosti). 1640 P. M. F. Camillus Campisius iunior Papiensis. Ex S:us S.O. Urbis (Lux – 276 – Repertorio degli inquisitori di Mantova chronologica). Suo giuramento come ‘socius Patris Commissarii generalis’ il 4 settembre 1635 (ACDF, Juramenta, 1578-1655, c. 430). Agostino Carmello da Alessandria 1643 Pr Mr F. Augustinus Carmellus de Alexandria (Agosti). 1643 P. M. F. Augustinus Cermellus Alexandrinus scriptor. Ex S:us S. O. Romae (Lux chronologica). Mancano altre attestazioni. Nicola Buzzale da Modena ? Suo giuramento il 14 ottobre 1643 come inquisitore di Mantova (ACDF, Juramenta, 1578-1655, c. 505). Mancano altre attestazioni. Angelo Hondedei da Pesaro 1645 Pr Mr F. Angelus Hondeus de Pisauro (Agosti). Suo giuramento del 14 giugno 1551 in cui promette di ‘fideliter exercere munus Inquisitoris Mantuae’ trasmesso a Roma dal vescovo di Pesaro (ACDF, Juramenta, 1578-1655, c. 551). Vincenzo Maria Cinarello da Corinaldo 1649 Pr Mr F. Vincentius Maria Cinarellus a Corniliano (Agosti). 1649 P. M. F. Vincentius M.a Cimarellus a Corinaldo in Piceno scriptor (Lux chronologica). Al 25 giugno 1650 papa Innocenzo X scrive al duca Carlo Gonzaga Nevers circa un recente “facinus” commesso “adversus Inquisitionis Sanctae Majestatem”. (ASV, Epistulae ad principes, 56, 219 vecchia, 233 meccanica). Giulio Mercori da Cremona (Giulio Mercuri) 1652 Pr Mr F. Julius Mercoris de Cremona (Agosti). 1652 P. M. F. Iulius Mercorus scriptor. Fuit inquisitor Mediolani, et orator ad regem Hispaniarum Philippum IV et Socius S. O. in Urbe (Lux chronologica). Suo giuramento come inquisitore di Mantova il 5 giugno 1652 (ACDF, Juramenta, 15781655, c. 667). 1658 Pubblica Basis totius moralis theologiae …; nello stesso anno ha per vicario Giovanni Battista Righi, che sarà poi inquisitore di Mantova (vedi). 1662 Inquisitore di Pavia, poi di Milano. Tommaso Pusterla da Milano 1662 Pr Mr F. Thomas Pusterla de Mediolano (Agosti). 1662 P. F. Thomas Pusterla Mediolanensis a Tradate (Lux chronologica). 1664 nominato inquisitore di Pavia (ACDF, Decreta, 1664, 12 novembre 1664). – 277 – Giacinto Maria Granara da Genova 1664 Pr Mr F. Hijacintus Maria Granara de Janua ex Inquisitione Mutinae (Agosti). 1664 P. M. F. Hyacinthus Maria Granara Ianuensis scriptor. Fuit inquisitor Mediolani (Lux chronologica). 1665 pubblica Scuola di vera sapienza … . Proviene da Gubbio, precedentemente a Modena, espulso dall’arciduchessa Isabella Clara, quindi reintegrato, (ACDF, GG 5 e, fasc. 1 ), poi nominato a Ferrara (ACDF, Decreta, 1667, 18 giugno 1667), in seguito Ancona (1670 circa); nel 1674 attestato a Milano, (ACDF; Cens. Libr., 1673-1675, fasc. 16. Giovanni Tommaso Pozzobonelli 1667 Pr Mr F. Johannes Thomas Puteobonellus de Savona ex Provincialatu Lombardiae (Agosti). 1667 P. M. F. Ioannes Thomasus Puteobonellus Sovonensis. Fuit regens Bononiae et provincialis Lombadiae (Lux chronologica). Giovanni Battista Righi da Amandola 1671 Pr Mr F. Iohannes Baptista Righi de Amandula, fuit Abbas Sanctae Barbarae (Agosti). 1671 P. M. F. Io Baptista Righi Picenus ab Amandula. Fuit abbas Sanctae Barbarae, episcopus Acconensis in Phoenicia, et orator ducis Ferdinandi Caroli ad regem Galliae Ludovicum XIIII (Lux chronologica). A suo favore nel 1666, mentre è inquisitore di Brescia, è una raccomandazione del duca di Guastalla per ottenergli il grado di ‘magister provinciae Lombardiae’ (ACDF, Decreta, 1667, c. 52, 16 marzo 1667); il favore sarà concesso il 30 marzo “ita tum non transeat in exemplum”. Bassano Galliccioli da Brescia 1675 Pr Mr F. Bassanus Galliciolus de Brixia, ex Inquisitione Venetiana (Agosti). 1675 P. M. F. Bassanus Galliciolis Brixiensis. Fuit Socius S.O. Urbis (Lux chronologica). Aurelio Torri da Rivalta Bormida 1692 Pr Mr F. Aurelius de Turi de Ripalta, ex inquisitione Placentiae (Agosti). 1692 P. M. F. Aurelius de Turre a Ripalta Bormidae (Lux chronologica). Nel periodo 1677-1682 è inquisitore di Reggio. Giordano Vignali da Bologna 1693 Pr Mr F. Jordanus Vignali de Bononia, ex Inquisitione Comi (Agosti). 1693 P. M. F. Iordanus Vignali Bononiensis, prius Socius S.O. in Urbe (Lux chronologica). 1693 11 settembre: Giacinto Maria Cassani è attestato vicario (ACDF, Cens. Libr., 1701-1702, fasc. 21). – 278 – Repertorio degli inquisitori di Mantova Cesare Agosti da Cortemaggiore 1701 Pr Mr F. Caesar Agosti de Curte Maiore, ex Inquisitione Regij (Agosti). 1701 P. M. F. Caesar Agosti Placentinus a Curte maiori (Lux chronologica). Giuseppe Maria Berti da Dulcedo d’Albenga 1707 P. M. F. Ioseph Maria Berti Albigaunensis a Dulcedo. Fuerat socius Magistri Sacri Palatii Apostolici. Vivens (Lux chronologica). Angelo Michele Nanni da Milano 1709 P. M. F. Angelus Michael Nanni Mutinensis prius socius S. O. in Urbe, obijt inquisitor Ianuensis. (Lux chronologica). 1710 è suo vicario frate Reginaldo Rossi (ACDF, Censurae, Tituli Librorum, 1705-1710, fasc. 146), che sarà vicario anche del successore; il primo ottobre 1711 chiederà l’incarico di inquisitore di Verona, quasi vacante (ACDF, St. st., GG 5 e); il 16 ottobre 1711 risulta ancora a Mantova (ACDF, Censurae, Tituli Librorum, 17101721, fasc. 16). Giacinto Pio Tabaglio da Piacenza (Giacinto Taballi) 1708-1709 inquisitore di Reggio 1711 P. M. F. Hyacinthus Pius Tabalius Placentinus. Fuerat magister studiorum (Lux chronologica). Talvolta confuso col quasi omonimo e contemporaneo Giuseppe Maria Tabaglio. Un suo memoriale, volto ad ottenere la promozione a maestro come se avesse effettivamente esercitato il baccellierato, richiesta frequente da parte degli inquisitori di questo periodo, permette di ricostruirne in parte la carriera: “Lecto memoriali tenoris sequentis = Em.mi e R.mi SS.ri = Frà Giacino Gio Tabaglio da Piacenza dell’Ordine de Predicatori inquisitore di Fermo ricorrentemente rappresenta all’Eccellenze Vostre che doppo aver letto Filosofia, e Teologia per anni quindici in varii Conventi riguardevoli della sua Provincia di Lombardia fù essaminalmente laureato maestro di Sagra Teologia = Che poi à riguardo delle sudette sue fatiche nel Capitolo Provinciale nell’anno 1702 fù approvato al Magistero dello Studio Generale di San Domenico di Bologna = Che successivamente essercitò a tenore delle Leggi della Provincia sudetta intieramente il detto Magistero di Studio nel sudetto Convento /// di Bologna = che à riguardo di ciò nel Capitolo Provinciale di Lombardia celebrato nello stesso convento di San Domenico di Bologna nell’anno 1706, fu ballottato ed approvato al Baccellierato per il sudetto studio Generale di San Domenico di Bologna = Che successivamente dal suo Padre Generale colle solite lettere Patenti fù destinato ad esercitare il detto Baccellierato, doppo il quale, secondo l’uso inveterato della Provincia di Lombardia certamente sarebbe stato accordato Maestro di Provincia, cum loco, et voce = E che – 279 – prevenuto dalla generosa benignità dell’EE. VV. che lo destinarono all’Inquisitione di Reggio, e poi a quella di Fermo, fù leggittimamente impedito dall’esercizio del detto Baccellierato. Quindi per che le grazie impartitegli dall’EE. VV. ed il servigio da lui prestato fin qui alla S. Sede nell’impiego d’Inquisitore non gli siano di pregiudizio = supplica umilmente la benignità dell’EE. VV. à degnarsi di raccomandarlo alla generosa clemenza della Santità di Nostro Signore affinché si compiaccia commandare al Padre Provinciale di /// Lombardia, che nel primo prossimo Capitolo della medesima Provincia, attesi li sudetti suoi requisiti alla medesima Provincia notissimi, lo proponga alli Padri del Conseglio come se avesse essercitato il detto Baccellierato, accioche, secondo il solito, sia accettato Maestro di Provincia cum loco, et voce, come per Decreto consimile di cotesta Suprema delli 6 febbraio 1706 fu praticato colli Padri Inquisitori di Faenza, e Pavia, quantunque niuno d’essi avesse tutti li sudetti requisiti […]. Sanctitas Sua […], annuit iuxta petita.” (ACDF, Decreta, 1702, cc. 195-198, 14 aprile 1710). Ermes Giacinto Visconti da Milano (Ermete Giacinto Visconti) 1708-1711 inquisitore di Modena. 1718 il vicario frate Ennio [per Enrico ?] Martinengo lamenta l’assenza del titolare (TCD, ms. 1264, contro Francesco Bollini); nel 1724 è ancora vicario a Mantova (ACDF, Cens. libr., 1724-1728, fasc. 17); nel 1733 è documentato inquisitore di Bergamo (approva per la stampa i Pensieri, ed affetti sopra la Passione di Gesu Cristo … del francescano frate Gaetano Maria da Bergamo, Bergamo 1733). 1718 15 aprile 1718, inoltra a Roma richiesta di stampa per conto di Giuseppe Malaspina (ACDF, tit. libr., 1710-1721, fasc. 100). 1725 1 giugno, riferisce alla congregazione Roma che vigilerà sugli stampati riguardanti la bolla Unigenitus (ACDF, cens. libr., 1724-1725, fasc. 12). Domenico Maria Belotti 1736 25 gennaio: fra Domenico Maria Belotti comunica a Roma il suo primo arrivo a Mantova, di cui è nominato inquisitore (ACDF, St. st. GG 5 e). 1738 citato in un contratto mantovano (AStDMn, Curia, Relazioni di enti …, b. 4). Tommaso de Angeli da Jesi 1739 fra Tommaso de Angeli da Jesi, anconitano; la cui nomina inizialmente è rifiutata dal governo per ragioni formali (ASMn, AG, b. 3279, f. 225). Pietro Martire Cassio 1740 padre Pietro Martire Cassio (ASMn, AG, b. 3279, f. 242). 1741 l’imprimatur a Gionta, Fioretto … ed. 1741 nomina come “Sancti Offici librorum Censor” Ludovico Rebecca. 1754 è nominato inquisitore di Piacenza (CERIOTTI 2006, p. 210). – 280 – Repertorio degli inquisitori di Mantova Alessandro Orrigone 1754 padre Alessandro Origone O. P. (ASMn, AG, b. 3279, f. 371). Alberto Mugiasca da Como 1765 18 dicembre è nominato inquisitore. 1768 muore Gian Battista Bertoglio, consultore canonista del Sant’Uffizio (orazione funebre recitata da Teranza in BCMn, arm. 9 a 23). 1769 Padre Bicetti, destinato vicario del Santo Ufficio, ha rinunciato all’incarico, che viene affidato a padre Giorgio Rizzini del convento di Mantova (ASMn, AG, b. 3279, fasc. 1743, c. 410). 1782 27 aprile: comunica a Roma l’avviso di soppressione (ACDF, St. st., GG 4 a; relata in congregazione l’8 maggio 1782). – 281 – Abbreviazioni di archivi e biblioteche Abbreviazioni di archivi e biblioteche AArco Archivio della Fondazione d’Arco, Mantova, Palazzo d’Arco. AAVirg Archivio dell’Accademia nazionale virgiliana, Mantova. ACDF Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, Città del Vaticano. ACDF, ACDF, Cens. libr. Archivum Sancti Officii Romani, Res Doctrinales, Censurae, Censurae librorum. ACDF, ACDF, Decreta Archivum Sancti Officii Romani, Acta Congregationis, Congregationes, Decreta. ACDF, ACDF, St. st. AGOP Archivum Sancti Officii Romani, Stanza storica. Archivio Generale dell’Ordine dei Predicatori, Convento di Santa Sabina, Roma. Ambr Biblioteca Ambrosiana, Milano. ASMn Archivio di Stato di Mantova, Mantova. ASMn, ASMn, AG ASMn, AG, Mat. eccl. ASMn, AG, P – ASMn, AG, Criminali ASMn, AG, U II – Procedure criminali. ASMn, DU ASMn, Demaniali e uniti, I e II serie. Patrii d’Arco ASMn, Documenti patrii raccolti da Carlo d’Arco ASMo Archivio di Stato di Modena, Modena. ASVe Archivio di Stato di Venezia, Venezia. ASV Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano. ASV, Segr. Stato, Germania AStDMn Materie ecclesiastiche; ASMn, Archivio notarile. ASMn, Notarile ASMn, Archivio Gonzaga. ASV, Segreteria di Stato, Germania. Archivio storico diocesano di Mantova, Mantova. AStDMn, AStDMn, Cont. Contenzioso e correzionale. AStDMn, CC AStDMn, Capitolo della Cattedrale. AStDMn, MV AStDMn, Mensa vescovile. AStDRo Archivio storico diocesano di Rovigo, Rovigo. AStPVe Archivio storico patriarcale di Venezia, Venezia. BCMn Biblioteca comunale Teresiana di Mantova, Mantova. BNCFi Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Firenze. BCNFi, Capponi TCD BCNFi, Fondo Capponi, G, mobile cassetta 2, num. 30. The Collection of Mediaeval & Renaissance Manuscrips at Trinity College Dublin. Section I. The Roman Inquisition, London 1985 (microfilm dei mss. 1223-1277), consultabili presso Fondazione Giorgio Cini, Venezia. – 282 – Criteri di trascrizione Criteri di trascrizione Le trascrizioni privilegiano un criterio conservativo, uniformando punteggiatura e accentazione solo quando necessario per la miglior comprensione (es. ne e né, e ed è, etc.). Le parentesi tonde ( ) sono utilizzate quando compaiono nel testo originale, le quadre [ ] segnalano interventi dell’editore o eventuale cartulazione d’archivio, le angolate < > inserimenti materialmente presenti nel testo, anche se di autore ed epoca ignota, le graffe { } segnalano quelle cancellature ed espunzioni ritenute interessanti. L’enfasi ottenuta tramite sottolineatura della parola o spaziatura tra i singoli caratteri è resa in corsivo ove ritenuta significativa, altrimenti ignorata. La barra semplice / indica a capo, doppia // interruzione di paragrafo, tripla /// nuova pagina o foglio. I puntini di sospensione ripetuti [… … …] segnalano l’ellissi di numerosi capoversi. Le abbreviazioni sono sciolte senza indicazione, mantenute se ripetute e di interpretazione ovvia. I dittonghi æ œ sono sistematicamente sciolti in ae oe. Il segno j in fine di parola è reso con i quando ha valore vocalico o numerico. – 283 – Abbreviazioni delle opere citate e bibliografia Per alcune opere citate si è preferito lasciare le indicazioni bibliografiche complete nelle note a piè di pagina, come completamento del testo; per questo non sono nuovamente indicate nell’elenco dei riferimenti qui di seguito. A ADDANTE 2010 Luca Addante, Eretici e libertini nel Cinquecento italiano, Roma- Bari 2010. A dieci anni dall’apertura … 2011 A dieci anni dall’apertura dell’Archivio della Congregazione per la dottrina della Fede: storia e archivi dell’inquisizione, convegno, Roma, 21-23 febbraio 2008, Roma 2011. ADORNI 1979 Bruno Adorni, La costruzione della nuova abbazia, in ADORNI (CUR.) 1979. ADORNI (CUR.) 1979 Bruno Adorni (a cura di), L’abbazia benedettina di San Giovanni Evangelista a Parma, Milano 1979. 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