DIAnA BARILLARI
PoRTo VECChIo A TRIESTE:
SToRIA, ARChITETTURA E TECnICA
«Eine Cyklopenarbeit im wahren Sinne des Wortes» è l’incipit dell’articolo che viene pubblicato su «Allgemeine Bauzeitung» nel 1884 (1) per celebrare l’inaugurazione del nuovo porto di Trieste avvenuta il 19 dicembre
1883, opera che per le tante difficoltà superate grazie all’impegno assiduo di
tecnici e provetti consulenti e a ingenti finanziamenti può essere attribuita
all’intervento dei Ciclopi. La dimensione mitologica evocata è ben conosciuta dai lettori della rivista che in più riprese si è occupata dei lavori del porto,
ritenuti meritevoli di una speciale attenzione proprio per i tanti aspetti innovativi impiegati nell’impresa che era stata avviata nel 1867: un cantiere la cui
considerevole durata testimonia i tanti straordinari aspetti di una sfida che si
può definire epica, tanto da determinare un ritardo di dieci anni rispetto alla
data inizialmente prevista per il completamento. Il buon esito dell’impresa va
attribuito alla energica determinazione del ministro del Commercio, l’ammiraglio Bernard von Wüllerstorf-Urbair (2) e alla Società della Ferrovia meridionale alla quale il governo affida in concessione i lavori, che vengono finanziati da fondi pubblici.
La storia del nuovo porto è legata a quella della ferrovia poiché il completamento della Ferrovia meridionale (1857) che collega Trieste a Vienna
nonché alla rete che attraversa i vasti territori dell’Impero asburgico, diventa
un fattore strategico per lo sviluppo economico della città. Ripercorrendo lo
(1) A. Köstlin, Die Bauvollendung des neuen Hafens in Triest. Feierliche
Schlusssteinlegung am 19 Dezember 1883, «Allgemeine Bauzeitung», 1884, pp. 3334.
(2) Il barone Bernard Wüllestorf-Urbair nasce a Trieste nel 1816 e intraprende la
carriera militare arruolandosi nella Marina militare. Al comando della fregata novara
guida la spedizione (1857-1859) scientifica e naturalistica promossa dal’arciduca
Massimiliano. Dal 1867 al 1869 è ministro del Commercio nel governo Belcredi e
grazie a lui viene avviato lo sviluppo del porto di Trieste e al contempo sostiene in
maniera convinta lo sviluppo della rete ferroviaria dell’Impero.
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Pianta della Stazione della strada ferrata in Trieste di cui Sua Maestà Francesco
Giuseppe poneva la pietra il dì 14 maggio 1850 (Civici Musei Storia e Arte di Trieste).
sviluppo del porto di Trieste l’hafenbauleiter und Inspektor della Südbahn
Friedrich Bömches (3) nel 1875 pubblica su «Allgemeine Bauzeitung» cinque
Situationsplanen (4) compresi in un arco cronologico che va dal 1650 al 1875
specificando di averli ricavati da documentazione originale. Gli anni prescelti – 1650, 1768, 1835, 1857 e 1875 – corrispondono a fasi di svolta come la
costruzione del Lazzaretto nuovo voluto da Maria Teresa d’Austria (1768) o
la nuova stazione ferroviaria (1857) dove le considerazioni economiche si
intrecciano a quelle militari e politiche. I documenti ai quali Bömches fa riferimento sono con tutta probabilità le carte e le planimetrie già consultate e
rielaborate da Pietro Kandler e pubblicate nel 1856 nel suo Albo Storico Topografico della città e del territorio di Trieste al quale era allegato il Cartolare di piani e carte. La premessa storica funge da incipit al più articolato e
complesso progetto per il nuovo porto, che per gli aspetti tecnici e strutturali
costituisce senza dubbio un tema di straordinario interesse per la più importante rivista di architettura e ingegneria dell’Impero.
(3) F. Bömches, Der Hafenbau in Triest, «Allgemeine Bauzeitung», 1875, pp.
24-29, 58-62, 101-106, tavv. 23-32, 53-64, 84-89.
(4) F. Bömches, Der Hafenbau… op. cit., tav. 23.
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La scelta del sito nel quale collocare il nuovo porto è oggetto di numerosi studi, tra i quali quello dell’ingegnere francese Paulin Talabot che nel
1861, su incarico della Società della Ferrovia Meridionale (per la quale aveva collaborato in Francia e Algeria), elabora una prima proposta: la collocazione individuata è contigua alla stazione, poiché alla ferrovia è affidata la
speranza di convogliare verso l’Adriatico i traffici che si indirizzavano verso
i porti del nord Europa, grazie a un sistema efficace di trasporti ferroviari e
fluviali. La localizzazione è coerente agli interessi della Società la quale intende il porto come supporto indispensabile al rafforzamento del proprio ruolo economico e commerciale, che la proposta Talabot puntualmente valorizza. nel 1862 il progetto che riguarda le opere di interramento i moli e le rive,
dopo essere stato modificato grazie alla collaborazione dell’ingegner hilarion Pascal (responsabile dell’ampliamento del porto di Marsiglia), viene
presentato al vaglio di una Commissione istituita dalla Deputazione triestina,
la quale esamina altri sei progetti: Rosenkart, Popovich, humpel, Rieter, Bishop e Sforzi. La Commissione critica tutti i progetti, ma in modo particolare
quello di Talabot, sia per motivi tecnici, ma soprattutto perché si teme l’ingerenza della Südbhan:
«Siccome il progetto Talabot porta per condizione che la Società ferroviaria dovrebbe essere l’assuntrice dei relativi lavori, la commissione animata da spirito patriottico, ama all’opposto esternare il desiderio che le opere
dovrebbero effettuarsi di preferenza con mezzi patrii, e benché essa con
ciò non intenda escludere la concorrenza di capitali esteri, entro i limiti di
semplice impresa di costruzione, la commissione trova però di far riserva
contro delle eventuali condizioni di cessione, vendita e amministrazione
che la Società imprenditrice potesse accampare come condizione dell’impresa, mentre de’ vincoli di simil natura potrebbero portare delle tristi conseguenze accumulando in una Società estera già oggidì potentemente privilegiata pel possesso della ferrovia ancor dei poteri ulteriori sul nostro
porto» (5).
nonostante il parere sfavorevole espresso dal Consiglio municipale, il
progetto Talabot-Pascal ottiene l’approvazione della hafencommission imperiale (1865), mentre l’affidamento dei lavori alla Südbahn avviene nel 1867.
La ferrovia, quindi, e il porto sono due temi distinti ma integrati che
costituiscono un valore aggiunto per la città, per mettere a frutto le grandi
opportunità offerte dalla concessione della patente di Porto Franco attribuita
(5) D. De RosA, II Porto Vecchio e i suoi magazzini, in I monumenti del lavoro.
Aspetti dell’archeologia industriale a Trieste e Monfalcone. Relazioni, quaderno promosso dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici Archeologici Artistici e Storici del Friuli Venezia Giulia, Trieste 1988, p. 68.
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Evoluzione della città di Trieste dal 1650 al 1875, «Allgemeine Bauzeitung», 1876,
tav. 23.
nel 1719 da Carlo VI. Se la collocazione del futuro porto è funzionale alla
presenza della ferrovia, il terreno presenta delle caratteristiche che rendono
difficile l’insediamento delle strutture edilizie e degli ampi piazzali previsti
per la movimentazione dei carri ferroviari: lo spazio a disposizione è piuttosto esiguo e i fondali a causa della loro conformazione richiedono imponenti
lavori di consolidamento, inoltre vanno tenuti in considerazione i problemi
determinati dalla confluenza dei torrenti Martesin e Klutsch provenienti rispettivamente da San Giovanni e Seifontane (ora Settefontane) (6). Già nel
1749 attenendosi alle Istruzioni promulgate da Maria Teresa per implementare il traffico commerciale austriaco attraverso il porto di Trieste, il tenente del
Genio Francesco Saverio Bonomo dopo aver eseguito il rilievo della città e
dei suoi dintorni, annotava che i terreni posti a nord erano ancora da bonificare: proprio su questa area un tempo occupata dalle vecchie saline doveva
essere costruita la nuova città secondo i piani di Giovanni Fusconi (1736). A
sud, invece, i terreni erano più solidi e pronti a essere utilizzati tanto che
(6) m. l. ionA, Storia del porto e configurazione delle rive di Trieste (dal Porto
Vecchio al bagno Ausonia), in A. cARoli, Punto Franco Vecchio. Tecnologie sistemi
costruttivi opere professionali e normativa nel porto di Trieste, ed. La Mongolfiera,
Trieste 1996, pp. 23-32.
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Pianta del nuovo porto di Trieste secondo il progetto Talabot, modificato e approvato dalla Commissione delegata, il dì 28 aprile 1862 (Civici Musei Storia e Arte di
Trieste).
proprio in questa zona era previsto l’insediamento del nuovo porto che avrebbe trovato collocazione nell’area denominata Sacchetta compresa tra lo Scoglio dello Zucco, dove nel 1833 venne costruita la Lanterna (progetto di Matteo Pertsch), e la terraferma. Il successo del Borgo Teresiano edificato sulle
antiche saline, grazie all’impulso dato all’intera città dalle politiche espansive di Maria Teresa, è importante per comprendere il motivo dello spostamento delle attività portuali verso nord, dato che questa nuova parte della città ha
carattere commerciale ed è costituita, anche a livello tipologico, da architetture che sono funzionali alle necessità del commercio portuale, esercitato
dalla committenza costituita da commercianti e imprenditori provenienti da
tutta Europa e dal vicino oriente. Le abitazioni che vengono costruite sui
lotti del Teresiano sono caratterizzate da edifici a due piani, magazzini a pianoterra e abitazione-uffici al piano superiore: la tipologia edilizia è quella
della «casa fondaco» che a Venezia, ma anche in molti porti del Mediterraneo, si era diffusa a partire dal Medioevo. Lungo le rive del Canal Grande
(1754) a Trieste dove si insediano le famiglie «nuove», Greci e Serbi soprat-
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tutto, si sviluppa la nuova città portuale dove, come a Venezia, sono le esigenze commerciali a determinare la tipologia edilizia più confacente che prevede
ampi spazi per le merci.
Dal 1769 sull’area dove poi sorgerà Porto Vecchio viene edificato il
Lazzaretto nuovo di Santa Teresa con annesso un bacino di contumacia che
integra quello realizzato da Carlo VI collocato nella zona sud, di fronte alla
Sacchetta.
I lavori che cominciano nel febbraio 1868 seguono le indicazioni del
progetto Talabot-Pascal che prevede la costruzione di cinque moli, quattro
paralleli e uno obliquo, a formare altrettanti bacini protetti dalla diga foranea
con scogliera esterna della lunghezza di m. 1.100 e larghezza m. 20, parallela
alla banchina e distante dai moli quindici metri.
La prima fase dei lavori prevede l’interramento del porto del Lazzaretto
nuovo, la preparazione dei fondali e la realizzazione della diga: il termine
previsto per il 1873 non può essere rispettato poiché le opere di consolidamento, dragaggio, riempimento e sistemazione incontrano numerosi ostacoli
che mettono a dura prova i tecnici della Ferrovia Meridionale, peraltro avvezzi a affrontare sfide tecniche di ogni genere, fra tutte il superamento dei
mille metri di dislivello nel tracciato tra Gloggnitz e Semmering, una difficoltà quasi insormontabile risolta grazie all’abile competenza dell’ingegner
Carlo Ghega.
Dal 1867 al 1869 la direzione lavori è affidata a Erneste Pontzen, dal
1869 al 1876 a Friedrich Bömches sempre sotto la supervisione di Pascal,
quindi dal 1876 al 1883 l’incarico passa alla Direzione Generale della Ferrovia meridionale che conferisce l’incarico della direzione a Bömches mentre
l’Amministrazione statale esercita la sua funzione di controllo attraverso l’ispettore Jaeger (7).
nel 1875 viene completata la diga foranea e sono ultimati i moli 0, I e II,
nel 1879 è completato il III mentre il molo IV viene finito nel 1887. Le tavole pubblicate su «Allgemeine Bauzeitung» nel 1876 (8) che illustrano le sezioni di rive, moli, diga e l’opera di canalizzazione dei torrenti Martesin e
Klutsch forniscono informazioni interessanti sulle tecniche utilizzate per recuperare terreno e spazio dal mare e rendere l’area del Porto un luogo sicuro,
oltre che sufficientemente ampio per gli insediamenti. La tavola mette inoltre
in luce l’importanza della soluzione urbanistica proposta che si incardina tra
il Borgo Teresiano e la ferrovia, dove gli edifici più significativi sono costitu-
(7) Die Bauvollendung des... op. cit., p. 34.
(8) Der Hafenbau in Triest «Allgemeine Bauzeitung», 1876, op. cit.
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iti dalla nuova Stazione (1875-1878) costruita su progetto di Wilhelm von
Flattich (9) e il «Sylos» (1860-1865 ca.).
La pianta realizzata in occasione della solenne cerimonia per il completamento dei lavori relativi ai moli alla diga foranea e ai bacini, riporta il nome
dell’oberinspector della K.K. Südbahn Gesellschaft, Friedrich Bömches, che
nell’arco di quattordici anni è riuscito a completare la ciclopica impresa. In
una relazione redatta nel 1877 per le «Memoires de la Societé des Ingenieurs
Civils», riepilogando il percorso che aveva portato all’approvazione del progetto definitivo, l’ingegner Bömches ricordava che:
«Il punto di partenza è stato il progetto di M. Paulin Talabot, presentato a
Sua Maestà Francesco Giuseppe I nel febbraio 1862 dai rappresentanti della compagnia della strada ferrata del Sud dell’Austria. Questo progetto,
contenente una applicazione seria ed approfondita dell’arte delle costruzioni marittime alle condizioni locali di Trieste al fine di creare un porto
commerciale, proponeva la trasformazione della rada intera in porto chiuso. Questo lavoro servì da base per gli studi che furono fatti da diverse
commissioni locali e ministeriali e che portarono non solo a una riduzione
del progetto primitivo in rapporto ai reali bisogni del momento, ma anche
ad una modificazione dei diversi elementi di questo progetto. Il risultato
finale di tutti questi studi fu il progetto definitivamente approvato dal governo con quelle modifiche che aveva apportato M. h. Pascal» (10).
nel 1879 il Ministero del Commercio con un apposito atto di concessione autorizza la Società dei Magazzini Generali che ha come soci fondatori il
Consiglio cittadino e la Camera di Commercio a costruire i magazzini, fornendo così uno strumento importante alla città per intervenire direttamente
nella gestione del porto. L’anno della svolta è il 1885 quando il Ministero,
dopo che una commissione governativa ha svolto una missione conoscitiva a
Marsiglia, incarica l’ingegner Louis Barret di redigere un progetto per la costruzione dei magazzini. La valutazione del progetto effettuata dalla Camera
di Commercio è negativa, così matura la decisione di assumere direttamente
la questione della costruzione dei magazzini, istituendo una commissione
tecnica composta dagli ingegneri Luigi Buzzi e Francesco Krause con l’incarico di elaborare un progetto complessivo che sarà consegnato nell’agosto
1886 (11). La Südbahn esce di scena e il Governo con la concessione del 19
(9) Aufnahms-Gebaüde des Banhofes der k.k. priv. Südbahnhof Gesellschaft in
Triest. Mitgetheilt von Architekt Wilhelm von Flattich, «Allgemeine Bauzeitung»,
1884, pp. 20-23, tavv. 18-22.
(10) D. De RosA, op. cit. p. 68.
(11) m. GoRtAn, 1886 Trieste Porto Nuovo, Studio LT2, Venezia 2008. Il volume
comprende i primi, significativi risultati di una ricerca che ha permesso di individuare
quello che l’autore definisce il master plan del porto.
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luglio1887 accorda al Comune di Trieste e alla Camera di Commercio la realizzazione del piano presentato. Viene pertanto emanato un regolamento per
l’ufficio tecnico suddiviso in due sezioni una denominata Progetti e l’altra
Costruzioni, affidate rispettivamente a Buzzi e all’ingegnere comunale Vincenzo De Senibus. Il progetto Buzzi-Krause del 1886 viene quindi rielaborato per poter essere mandato in esecuzione.
L’appartenenza di Porto Vecchio al contesto urbano è organica alla qualifica di «Porto Franco» che caratterizza l’intera città di Trieste, dato che solo
nel 1891 l’abolizione di questo privilegio comporterà la necessità di costruire
un recinto e i varchi doganali, peraltro già previsti da Buzzi poiché fin dal
1886 il Governo aveva già manifestato questa volontà. È «la grandiosità
dell’impostazione urbanistica del Porto Vecchio» che induce Marco Pozzetto
a formulare l’ipotesi che il progetto
«abbia avuto quanto meno l’approvazione di Franz von Gruber che, tra
molte altre cariche, era anche consulente della Meridionale. L’autorità internazionale dell’urbanista-tecnologo Gruber fu indiscussa nell’ultimo
quarto dell’ottocento [...] l’imponenza degli spazi costruiti e ancor di più
di quelli liberi, destinati a strade e piazzali, non teme confronti con impianti similari dell’epoca. I rapporti tra i volumi edificati, gli spazi liberi e
l’ambiente circostante estendono la concezione urbana della città teresiana verso il Settentrione, sul suolo riportato e quindi artificiale, con una
tecnica urbanistica da metropoli, che appare come sviluppo di quella voluta dal sopracitato luogotenente, conte Stadion per l’attuale via Battisti o,
se si preferisce da Klenze per la Ludwigstrasse di Monaco di Baviera,
senza larghissimi viali intersecati da strade strette e quindi diversa da
quella che contraddistingue la maggior parte delle grandi città del tempo
(Parigi, Vienna, Torino, Milano). Già per tale motivo il pregio urbanistico
del Porto Vecchio supera di gran lunga il valore monumentale delle sue
architetture» (12).
La progettazione urbanistica di Porto Vecchio va a integrare la storia dei
«borghi» triestini, Teresiano e Giuseppino, così denominati in onore dei sovrani che diedero loro impulso, Maria Teresa (1740-1780) e Giuseppe II
(1780-1792, coreggente dal 1765). Il progetto di Fusconi prevedeva che l’area delle saline venisse colmata per ospitare nove canali alternati a dieci file
di isolati che componevano una maglia ortogonale che resterà, anche dopo la
sostituzione dei canali (a eccezione di uno posto centralmente quale asse di
simmetria), il segno più forte di questo nuovo e grandioso insediamento. La
stessa architettura nella scelta di un linguaggio di stampo funzionalista rivela
(12) m. Pozzetto, Il Porto Vecchio di Trieste: alcune riflessioni nell’A.D. MMI,
in «Archeografo Triestino», serie IV, volume LXI (CIX della raccolta), 2001, pp. 40910.
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che l’area è preferita dai nuovi mercanti che giungono a Trieste attirati dalle
favorevoli condizioni del commercio e vi costruiscono magazzini, case, osterie, serragli, fabbriche e depositi: si configura dunque una città che non prevede edifici di rappresentanza pubblici o privati tali da distinguersi dalla media delle abitazioni. Sullo specchio di mare di fronte a questa città nuova,
popolata da mercanti e commercianti, animata dal traffico delle merci che
vengono caricate dalle navi, le stampe dell’epoca riproducono le tante imbarcazioni all’ancora, pronte a portare le merci in tutto il Mediterraneo. Infatti
nel 1700 il porto di Trieste è funzionale a una politica mercantile che «vedeva
nelle esportazioni il mezzo principale per accrescere la ricchezza e il potere
della nazione» (13). La struttura urbanistica e architettonica del Borgo Teresiano risponde ai criteri di un emporio, che si può paragonare a una «fiera permanente dove i compratori in ogni momento possono rifornirsi di merci della
più varia provenienza» (14). nel corso dell’ottocento la situazione economica
evolve di pari passo alla crescente innovazione delle tecnica sia nel settore
dei trasporti che dell’industrializzazione. Il porto diventa il luogo dove passano le merci e le materie prime, quindi la sua funzione prevalente è quello di
transito, nonché di
«avvicendamento delle modalità di trasporto (da marittimo a terrestre e
viceversa). Le merci passano attraverso la città portuale spesso senza cambiare proprietario e avendo già un destinatario finale» (15).
Queste trasformazioni sono chiaramente leggibili nello sviluppo della
città che si va costruendo a nord del Borgo Teresiano a cominciare dalla
scalo ferroviario. Anche in questo caso si intrapresero ingenti lavori di sbancamento della collina di Scorcola «per imbonire il tratto di mare ad essa
prospiciente» (16) ma si dovette risparmiare il Lazzaretto nuovo, così fu necessario costruire un viadotto coperto per superarlo e sistemare gli edifici
della stazione a circa dieci metri sopra il livello del mare. I nuovi edifici sono
collegati alle propaggini del Borgo teresiano da una grande piazza che funge
da ingresso alla città per coloro che arrivano con la ferrovia e la strada costiera, percorsa anche dall’arciduca Massimiliano per raggiungere la residenza di Miramare. La nuova piazza della Stazione è circondata da palazzi
(13) G. PAnjeK, Trieste mercantile 1861-1914, in L’evoluzione delle strutture portuali della Trieste moderna tra ’800 e ’900, cat. mostra a cura di G. tAtò, Artigraficheriva, Trieste 2004, p. 9.
(14) Ivi, p. 10.
(15) Ibidem.
(16) D. De RosA, Il complesso della stazione ferroviaria e del porto vecchio, in I
monumenti del lavoro... op. cit., p. 52.
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signorili e imponenti che si affacciano su uno spazio aperto, arricchito da
giardini e parterre di forma geometrica. Tra il mare e l’edificio passeggeri
della stazione sorgono i magazzini, due fabbricati paralleli lunghi 290 metri
e larghi 26, che nel 1865 sono collegati in senso trasversale da un edificio di
testata che funge da monumentale facciata. Il complesso comunemente denominato Sylos gravita sull’antistante piazza della Stazione con il suo prospetto caratterizzato da un avancorpo concluso da un timpano e solcato da
poderose arcate cieche a tutto sesto. La realizzazione del porto ferroviario
comporta, oltre la costruzione di moli bacini e diga foranea, anche per la
realizzazione di magazzini e strutture a supporto di un volume di traffico in
crescita esponenziale. La disposizione delle strade di Porto Vecchio parallela
alle rive si pone in ideale collegamento con il tracciato urbanistico del Borgo
Franceschino, posto in prosecuzione di piazza Grande (ora Unità) sui terreni
denominati dei Santi Martiri, già individuati da Carlo VI come zona di
espansione verso sud-est.
La costruzione del muro di recinzione a seguito della perdita del privilegio di «Porto Franco» dell’intera città, non modificano la percezione di
Porto Vecchio quale elemento che appartiene al tessuto urbano: basti pensare a come i viali siano veri e propri cannocchiali puntati sulla città che,
anche nel suo sviluppo successivo, continua a interagire con il porto. Il
Faro della Vittoria e il santuario di monte Grisa verso nord-est, il palazzo
Aedes (il Grattacielo) lungo le rive, sono posti in asse con la maglia viaria
in modo così puntuale che si può ipotizzare che siamo di fronte a una scelta
intenzionale compiuta dai progettisti, Antonio Guacci, Ruggero e Arduino
Berlam.
Anche la vista dal mare degli edifici di Porto Vecchio lascia intuire che
la sistemazione scalare con l’aumentare dell’altezza dalla prima fila affacciata sul mare a quelle posteriori, sia riconducibile a un disegno complessivo,
dove anche la scelta dello stile è coerente con una visione integrata di porto e
città. I magazzini sono allineati lungo i tre assi viari paralleli che costituiscono l’impianto urbanistico, caratterizzato da un ampio viale centrale, che funge da maestoso Corso, lungo il quale si sviluppa il tracciato ferroviario interno che agevola le operazioni di smistamento delle merci. L’immagine che ne
derivava nel periodo di piena attività, era quella di una moderna metropoli
dove la civiltà della meccanizzazione si manifestava in modo esemplare.
Questa tendenza con l’incremento dei traffici e il progredire dell’ingegneria
meccanica giungerà a trasformare le strade e le banchine di Porto Vecchio in
un affollato panorama di costruzioni metalliche – gru mobili e fisse, elevatori, montacarichi – mosse da congegni sempre più sofisticati, tale da meritare
di figurare in un dipinto futurista.
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Una strada di Porto vecchio e lo skyline della città di Trieste con il Faro della Vittoria
e il santuario di Monte Grisa.
A sostegno della connotazione urbanistica del complesso di Porto Vecchio vi è anche la tesi di Antonella Caroli, secondo la quale nella denominazione
«Öffentliche Lagerhäuser» assunta dalla società costituita nel 1880 per coordinare le attività direttive e gestionali del porto, il secondo termine designa
«l’impianto strutturale urbano destinato alle operazioni di caricamento, di
movimentazione, immagazzinamento, stoccaggio dei beni entro lager o hangar multipiano. I Lagerhäuser del nord Europa sono quindi brani di tessuto
cittadino declinati secondo le norme della portualità, costruiti dall’insieme
di edifici di notevoli dimensioni e dalla caratteristiche monumentali, in grado di coniugarsi alle tipologie edilizie storiche delle città che li accolgono,
penetrando il sistema urbano con arterie di circolazione e vie di navigazione,
in un insieme unico di scenario urbano di affaccio al mare e funzioni portuali. Questa caratteristica individua la specificità del porto triestino rispetto ad
altre realtà italiane ed è il carattere fondativo dello stesso» (17).
non erano ancora stati costruiti tutti i magazzini previsti che già nel
1897 cominciò a Trieste un dibattito volto a individuare soluzioni atte a cor-
(17) A. cARoli, I Lagerhäuser di Trieste in L’evoluzione delle strutture portuali..., op. cit., p. 97.
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Sezione degli hangars n. 6 e 17 e di un magazzino del nuovo porto di Trieste, «Allgemeine Bauzeitung», 1891, tav. 37.
reggere quelli che erano individuati come i difetti più gravi del porto: i fondali bassi e la «ristrettezza degli spazi» che ne impediva l’ampliamento, a
fronte di un consistente aumento di volume dei traffici. Venne pertanto costituita una Commissione su impulso della Delegazione municipale e della Camera di Commercio che affidò il compito di eseguire i rilievi e l’elaborazione
di un progetto di massima «per il miglioramento del Porto nuovo [attuale
Porto Vecchio n.d.r.], per l’adattamento dell’attuale rada, nonché per l’utilizzazione del vallone di Muggia» (18). La relazione metteva in luce che i problemi maggiori erano causati dalla carenza di spazi, tanto che si suggeriva lo
spostamento di alcune tipologie di merci per ovviare ai disagi più evidenti,
ma non mancava di sottolineare la necessità di coordinare gli interventi più
urgenti «a un piano generale di sistemazione». Tra le conclusioni presentate
ai membri della Commissione vi erano diverse ipotesi da quella di estendere
il porto attuale verso Barcola, alla creazione di un ulteriore «Punto franco»
nel vallone di Muggia. È questa seconda scelta quella che il relatore, l’ingegner Eugenio Geiringer, sottolinea
(18) e. GeiRinGeR, Relazione intorno alla sistemazione del Porto di Trieste presentata dalla Commissione mista del Municipio e della Camera di Commercio, Stabilimento Artistico Tipografico G. Caprin, Trieste 1898, p. 4.
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«pur rendendosi pienamente conto della sua gravità, e deplorando vivamente che in causa dell’erronea collocazione del Porto nuovo e la postergazione del vallone di Muggia, porto naturale di Trieste, dove avrebbe
potuto svilupparsi senza ostacoli e con illimitata larghezza, il più grandioso movimento commerciale, siasi invece creata una condizione di cose
difficilissima e tale da pregiudicare, nei riguardi dei traffici, i più vitali
interessi della Monarchia e del suo unico emporio marittimo» (19).
nella relazione Geiringer ricorda che proprio in merito all’ubicazione
del porto le componenti cittadine più qualificate avevano manifestato grandi
perplessità sin dal 1854. Inoltre va ricordato che tra i progetti esaminati nel
1862 dalla Commissione municipale vi era quello di Anton humpel che proponeva di collocare il porto nella baia di Sant’Andrea.
Il progetto di realizzare un nuovo porto in una zona diversa da quella
adiacente alla ferrovia incontra molti consensi cosicché in un accordo stipulato nel settembre 1900 tra il comune di Trieste e lo Stato che comprende un
progetto complessivo di sistemazione delle rive, viene indicata l’area per il
nuovo insediamento, tra l’Arsenale del Lloyd e la punta Sant’Andrea, una
zona nella quale si trovavano degli stabilimenti industriali.
L’architettura
Lo stato dell’arte riscontrabile dalle planimetrie pubblicate in occasione
dell’inaugurazione nel 1883 documenta lo stato di avanzamento delle opere
portuali, i tre moli già realizzati e quello da completare (il quarto), la diga
foranea e le rive, ai quali si aggiungono alcuni magazzini già realizzati: i più
antichi, a un piano, sono paralleli al tracciato della ferrovia e nelle loro forme
semplificate rivelano anche l’urgenza di realizzare spazi da mettere subito a
disposizione del traffico e delle merci trasportate dalla ferrovia. La loro ubicazione, inoltre, è quella che offre meno problemi, poiché sorgono su una
porzione di terreno già consolidata, contigua al Sylos e all’edificio della Stazione. Ma sono gli altri edifici a connotarsi per una scelta stilistica più ricercata che fa riferimento, anche in questo caso, all’architettura cittadina.
La scelta del linguaggio architettonico si ispira ai formulari del revival
neomedioevale innestato su un impianto Runbogen, quello «stile dell’arco
rotondo» che trova applicazione sia nel Sylos che in un’altra architettura triestina di carattere industriale, l’Arsenale del Lloyd austriaco progettato
dall’architetto danese Christian hansen (1850), fratello del più celebre Theophilo che fu un protagonista dell’architettura viennese del XIX secolo. nella
(19) e. GeiRinGeR, op. cit., p. 5.
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Situationsplan del nuovo Porto di Trieste alla data dell’inaugurazione, 19 dicembre
1883, «Allgemeine Bauzeitung», 1884, p. 23.
sua relazione hansen spiegava che la scelta del Rundbogen era dettata dalla
superiorità in termini strutturali, un requisito indispensabile per un edificio a
preminente carattere funzionale:
«Poiché il Rundbogen dovrebbe essere lo stile più caratteristico per impianti del genere dello stabilimento del Lloyd austriaco, esso fu scelto tanto più volentieri dato che qui ci sono portoni ad ampie luci che dovevano
essere assolutamente risolti ad arco, e lo si raggiungeva nel modo più solido con archi a tutto sesto» (20).
Era stato J.L.n. Durand a proporre soluzioni ad arco rotondo per i grandi complessi moderni (carceri, ospedali, arsenali, lazzaretti etc..) che nella
scelta del linguaggio architettonico privilegiavano le forme semplificate ricavate dallo studio comparativo di diversi tipi architettonici del passato e del
tempo presente, cosicché gli edifici romani, le ville di Palladio e le piramidi
egiziane finivano per rivelare elementi comuni (Recuil et parallèle des édifices de tous genre, ancients et modernes, Paris 1800).
(20) G. cARBi, Il ‘gotico quadrato’ e l’Arsenale del Lloyd, in Gotico quadrato
nella metà dell’Ottocento triestino, cat. mostra a cura di D. BARillARi, G. cARBi, c.
tRAvAGlini, L’officina, Trieste 1986, p. 23.
PoRTo VECChIo A TRIESTE: SToRIA, ARChITETTURA E TECnICA
175
Christian hansen, Edificio di Amministrazione del Lloyd Austriaco a Trieste, «Allgemeine Bauzeitung», 1857, tav. 131.
Torrette, merlature, incorniciature delle finestre, appartengono a un repertorio tipico dello stile gotico, presentato in una forma estremamente semplificata che privilegia volumetrie solide e compatte, talora in forma «cubica», spia di una mentalità ingegneristica particolarmente rispondente allo
spirito del tempo, impregnato di una ideologia che vede nel progredire della
tecnica un elemento di positività. L’apparente ossimoro del termine «gotico
quadrato», coniato ispirandosi a una definizione usata dal viaggiatore francese Carlo Yriarte per definire il castello di Miramare (21), fa risaltare questo
dualismo che intende comprendere le istanze della storia e della tecnica, fattori importanti per definire la cultura ottocentesca:
«Il Rundbogen al funzionalismo rispondeva per secolare elezione. Con il
suo arco rotondo e le piante regolari, risolveva le esigenze statiche e costruttive dei nuovi grandi complessi, esempio ingegneresco (acquedotti
romani) e militare per eccellenza. le estetiche del durandismo e del medioevalismo, allora contrapposte nel dibattito teorico, venivano ugualmente
soddisfatte e fuse così indissolubilmente» (22).
(21) G. cARBi, op. cit, p. 24, nota 19.
(22) Id., op. cit., p. 15.
176
DIAnA BARILLARI
La fioritura a Trieste di architetture in gotico quadrato, oltre all’Arsenale del Lloyd (1850), l’acquedotto di Aurisina (1855), il castello di Miramare
(1856), l’ospedale militare (1862), documenta l’adesione a un indirizzo dettato dal Governo centrale il quale, attraverso la struttura operativa della Direzione generale delle costruzioni del Ministero dei Lavori pubblici, da un
estremo all’altro dell’Impero (da Trieste a Leopoli) manifesta la propria presenza attraverso un’immagine chiaramente riconoscibile, la cui matrice si
trova a Vienna negli edifici dell’Arsenale (1849). L’unione di funzionalità e
«romanticismo» espresso dalle forme gotiche spiega anche la fortuna di questa declinazione stilistica presso gli ingegneri, vale a dire la classe di professionisti che ha il compito di portare l’Impero verso il futuro, attraverso la realizzazione delle grandi infrastrutture dei trasporti – le ferrovie – e la costruzione di edifici rispondenti alle nuove esigenze dettate dal progresso. non è
un caso che i primi due edifici realizzati a Trieste riconducibili al gotico quadrato siano un arsenale e un acquedotto, tanto che la residenza dell’arciduca
Ferdinando Massimiliano a Miramare, si configura come l’adesione di un
principe illuminato a uno stile che si fa metafora della modernità della città e
della sua apertura al progresso inteso in senso tecnico e funzionale. Molti
degli edifici realizzati a Trieste a partire dalla seconda metà del XIX secolo si
possono considerare come veri e propri modelli come attesta la pubblicazione
su prestigiose riviste dell’epoca, in primis «Allgemeine Bauzeitung».
Se si prendono in esame i curricula professionali dei progettisti degli
edifici triestini riconducibili al «gotico quadrato» si rileva una consistente
presenza di ingegneri dipendenti dalla sezione Costruzioni ferroviarie del
Ministero dei lavori pubblici: è il caso di Carl Junker progettista del castello
di Miramare e dell’acquedotto di Aurisina, esperto in costruzioni idrauliche
che opera alle dipendenze di Carlo Ghega, progettista e direttore dei lavori
per conto della Südbahn della tratta Vienna Trieste. Il responsabile del cantiere di Miramare è un altro ingegnere Anton hauser (sezione «Strade e costruzioni idrauliche») a Trieste fin dal 1852 per la costruzione della stazione ferroviaria. E ancora nella realizzazione dell’Arsenale del Lloyd ha un ruolo
importante Eduard heider, a sua volta agli ordini di Ghega e responsabile
della costruzione di alcuni viadotti e dell’interramento del molo Klutsch. Lo
stesso Sylos è opera di un altro collaboratore di Ghega, l’ingegner Anton
Brandner (1860). La Società della Ferrovia Meridionale si rivela quindi una
fucina di tecnici e professionisti di qualità che troviamo impegnati in tutti i
grandi cantieri aperti intorno alla metà dell’ottocento in città, a conferma di
una fase strategica per la crescita economica triestina.
I motivi delle scelte operate a favore di ingegneri sono riconducibili alle
difficoltà che presentano gli edifici sopracitati, che sono costruiti su terreni
PoRTo VECChIo A TRIESTE: SToRIA, ARChITETTURA E TECnICA
177
Il castello di Miramare.
strappati al mare – Lloyd, stazione ferroviaria – o richiedono interventi di
esperti per l’ubicazione sulla costiera – acquedotto e castello di Miramare –
dove bisogna ricavare lo spazio dalla roccia viva del Carso.
L’affidamento della direzione dei lavori del Porto Vecchio alla Società
della ferrovia meridionale, nonostante i dissensi manifestati da importanti
esponenti del mondo politico e del commercio di Trieste, sono determinati
anche dai rilevanti problemi tecnici e costruttivi che si sarebbero dovuti affrontare e, soprattutto, risolvere: quindi la realizzazione di un progetto già
complesso in partenza per alcuni fattori di oggettiva difficoltà (gli spazi esigui, per esempio) non poteva che essere condotto a termine da esperti di
comprovata esperienza e solo la Südbahn poteva soddisfare questo fondamentale requisito. I ritardi verificatosi rispetto ai tempi preventivati confermano che la scelta dettata da motivazioni di qualità tecnica era stata lungimirante, mentre l’errore commesso nella scelta dell’ubicazione trovava purtroppo conferma.
Quando si tratta di indicare una scelta in termine di stile gli ingegneri e i
responsabili dei lavori hanno già una soluzione ottimale per fabbricati di carattere eminentemente funzionale: si fa riferimento ai collaudati modelli del
Rundbogen, mettendo in secondo piano il tripudio di pinnacoli e merlature e
sostituendo ai rivestimenti in pietra d’Istria dal caratteristico candore, la più
sobria arenaria. Anche lo stile conferma la volontà di collegarsi alla città, poiché il linguaggio architettonico dei magazzini si ritrova in palazzi e abitazioni,
la cui destinazione d’uso non è strettamente funzionale. Per evitare la mono-
178
DIAnA BARILLARI
tonia dei lunghi fronti gli edifici dei magazzini presentano una articolazione di
avancorpi dall’aggetto poco pronunciato e corpi rialzati assemblati a formare
una composizione tripartita che risalta in modo più pronunciato quando i prospetti sono solcati dai ballatoi con elementi in ghisa – colonnine e parapetti.
La loro funzione è quella di permettere il carico e lo scarico delle merci in
modo più agevole, grazie alla presenza di gru fissate alle strutture metalliche.
La maggior parte dei magazzini viene realizzata tra il 1887 e il 1893, in
tutto si contano 38 fabbricati che secondo Antonella Caroli (23) possono essere suddivisi in tre gruppi: a un solo piano fuori terra (1, 1a, 3 e 11 la costruzione prototipo più antica), a due o tre piani fuori terra con cantina e soffitta,
con ballatoi tra gli avancorpi sostenuti, sui fronti strada interni, da colonnine
in ghisa (6, 7, 9, 10, 17, 18, 19, 20, 21, 24, 25, 26) a quattro piani fuori terra
(poggianti su basamenti storici) con cantina, pianoterra e 4 piani superiori
con ballatoi (2, 2a, 4). I numeri mancanti corrispondono a edifici che sono
stati demoliti, soprattutto in occasione della costruzione dell’Adria terminal.
All’atto della concessione al Comune di Trieste e alla Camera di Commercio dell’autorizzazione governativa, la direzione dei Magazzini Generali
suddivise i nuovi fabbricati in quattro gruppi: 1) magazzino 19 e hangars 6 e
17; 2) magazzini 7 e 10, hangars 21 e 22; 3) magazzini 18 e 20, hangars 9 e
24; 4) magazzino 26 e hangar 25. La ripartizione era funzionale alla distribuzione tra le diverse imprese di costruzione, per il primo gruppo naglos, Torries e Körösi, Rotter e Perschitz, Kupka e orgelmeister, il secondo e quarto al
gruppo Geiringer e Vallon e per il terzo il Consorzio triestino costruttori. I
consolidamenti strutturali furono affidati alle ditte Buttoraz e Ziffer, Martelanz, Turek e Sonz (24). La classificazione degli edifici di Porto Vecchio è
disciplinata
«da regole costruttive specifiche dei Lagerhäuser che comprende quei locali destinati al deposito, alla conservazione e alla sosta delle merci,
dall’arrivo nel porto fino alla spedizione e relativa distribuzione» suddivisi
in depositi val a dire «quel complesso di opere che consentivano la conservazione all’aperto di grandi masse di materiali; tettoie, strutture di copertura in legno o altri materiali per luci molto grandi; [...] hangars, quei magazzini compositi a uno o più piani; magazzini speciali, come quelli destinati alla conservazione delle merci» (25).
La differenza delle denominazioni risponde sia a tipologie architettoniche che presentano una particolare ripartizione degli spazi, ma anche ai crite-
(23) A. cARoli, I Lägerhaus..., op. cit., p. 102.
(24) Id., Punto franco..., op. cit., pp. 39-40.
(25) Id., ivi, p. 76.
PoRTo VECChIo A TRIESTE: SToRIA, ARChITETTURA E TECnICA
179
Strada di Porto vecchio dove i prospetti dei magazzini conservano i ballatoi in ferro e
ghisa.
ri di organizzazione delle operazioni portuali e della manodopera, oltre che
alla durata del periodo di permanenza della merce.
Quanto sia ancora significativo il tema dei magazzini del Porto Vecchio
lo dimostra l’attenzione con la quale la rivista «Allgemeine Bauzeitung»
(fondata nel 1836 da un allievo di Pietro nobile, Ludwig Förster) documenta
l’evoluzione dei lavori e segnala le architetture più significative. nel 1893
viene pubblicato il progetto del magazzino 26 a testimoniare il carattere
esemplare di questo manufatto che con il suo fronte di 244 metri costituisce
l’emergenza architettonica più rappresentativa. Alcune significative modificazioni vengono apportate al momento della costruzione come l’abolizione
dell’attico, delle coperture a mansarda poste sugli avancorpi che delimitavano la parte mediana ma soprattutto viene cancellata una torretta merlata con
orologio che rappresentava in modo inequivocabile l’elemento di maggior
continuità con l’architettura cittadina, in quanto era evidente l’affinità con la
torre del Lloyd oltre che con quella di Miramare. Le tavole di progetto presentano inoltre una soluzione per gli avancorpi con il frontone corredato da
due spioventi che nella parte apicale convergono in un acroterio quadrangolare. Gli archetti pensili di rilevante consistenza plastica posti lungo lo spiovente diagonale ci ricordano che si fa riferimento al Medioevo, quello dell’ar-
180
DIAnA BARILLARI
Prospetti del Magazzino 26 secondo la variante pubblicata in «Allgemeine Bauzeitung» (1893, tav. 33).
chitettura romanica in senso lato che nel mondo austriaco e germanico viene
solitamente identificata con il Rundbogen. Le partiture compositive sono
leggibili nelle linee orizzontali di cornici e cornicioni e in quelle verticali
contrassegnate da paraste e lesene con rivestimento a bugnato che fasciano
gli spigoli e ripartiscono gli avancorpi. La scelta del linguaggio architettonico
medioevale comporta l’abbandono del secolare codice degli «ordini» – colonna, capitello, fregio, simmetria delle parti, rapporti proporzionali – anche
se l’ordine e la regolarità della composizione classica permangono negli impianti planimetrici simmetrici e modulari, mentre all’esterno l’armonia è assicurata da pochi elementi che vengono reiterati, sconfinando financo nella
monotonia. Le finestre solitamente accoppiate in bifore confermano questa
percezione di regolarità e con i loro profili in pietra d’Istria, a tutto sesto o
orizzontale, animano le lunghe facciate dei magazzini, mentre le porte presentano solitamente l’arco ribassato.
Tutti gli edifici di Porto Vecchio presentano l’abbinamento di strutture
metalliche e in muratura tradizionale sia all’interno che all’esterno. Se l’impiego del ferro è piuttosto comune nell’edilizia industriale e in alcuni nuovi
edifici – le stazioni ferroviarie, per esempio – che fanno la loro comparsa
nella città ottocentesca, pure il suo utilizzo è sempre prudente, soprattutto se
dall’interno si deve passare all’esterno, quindi si profila il tema del confronto
PoRTo VECChIo A TRIESTE: SToRIA, ARChITETTURA E TECnICA
181
Il magazzino 26 dopo l’intervento di restauro effettuato completato nel 2009.
con il contesto urbano. Il primo a suggerire di adottare in modo convinto la
sincerità strutturale è Viollet-le-Duc che nelle tavole degli Entretiens propone
diverse soluzioni con gli elementi metallici in vista, pienamente dialoganti
con gli edifici circostanti. Ma è proprio questa esigenza di relazione con un
tessuto storicamente ben connotato che suggerisce di modellare gli elementi
in ghisa secondo i collaudati formulari del linguaggio degli ordini. Sarà per
questo motivo che le modernissime colonnine in ghisa che scandiscono le
lunghe file di ballatoi addossati ai fabbricati sormontate da capitelli corinzi o
compositi con tanto di canonici collarini e abaco, quest’ultimo con funzione
di una piastra alla quale si aggancia il fusto del ballatoio soprastante. Questo
abbinamento tra elementi tratti dal linguaggio degli ordini architettonici con
edifici di chiara impronta neomedioevale, non costituisce un elemento contraddittorio proprio nella città del «gotico quadrato», anzi ne conferma la
fortuna, collocando la scelta dello stile nell’ambito dell’Eclettismo e degli
stili storici. Le colonnine in ghisa di Porto Vecchio sono anche il risultato di
una produzione edilizia standardizzata diffusa in tutta Europa, dove la forma
è semplice apporto decorativo e non più elemento coerente di un disegno organico fondata sul principio della simmetria. La disinvoltura con la quale si
intersecano i repertori della storia dell’architettura in un medesimo organismo architettonico ci fa comprendere che l’attenzione è rivolta più agli aspet-
182
DIAnA BARILLARI
Particolare di una colonnina in ghisa in Porto Vecchio che sostiene le voltine in calcestruzzo armato realizzate con il sistema Monier.
ti strutturali e funzionali, cosicché le forme, paradossalmente, vivono in una
condizione di maggior libertà una volta svincolate dalla rigidità delle codificazioni teoriche.
Ma anche lo stile delle architetture di Porto Vecchio subisce delle evoluzioni soprattutto nel periodo in cui della direzione tecnica fa parte l’architetto
Giorgio Zaninovich, già allievo della Wagnerschule (1898-1902) a Vienna,
un laboratorio oltre che una scuola dove si realizzava l’architettura più moderna d’Europa, sia sotto il profilo progettuale che per l’uso di materiali e
tecniche innovative, come il calcestruzzo armato. Anche se l’attività progettuale per la Società dei Magazzini Generali non è ben documentata in quanto
non risulta la sua firma sui disegni, tuttavia, soprattutto in base all’analisi dei
caratteri stilistici gli si
«possono attribuire con certezza quattro costruzioni: i Varchi del Punto
Franco Vecchio con il muro di cinta, la Casa degli operai, la Dogana vecchia (distrutta) sul molo Sanità (oggi molo Bersaglieri) e la Centrale elettrica dei Magazzini Generali» (26).
(26) n. cARBoni tonini, L’attività triestina dell’architetto Giorgio Zaninovich, in
Quaderni Giuliani di Storia, a.V, n. 1, giugno 1984, p. 270; F. PiovesAn, Un protago-
PoRTo VECChIo A TRIESTE: SToRIA, ARChITETTURA E TECnICA
183
Giorgio Zaninovich (attr.), progetto per l’edificio della Mensa operai, 1912.
nelle architetture di Zaninovich si possono rintracciare due fattori che
ispirano la progettazione, da una parte l’esigenza funzionalistica riscontrabile
soprattutto nella distribuzione degli spazi interni, dall’altra la rilettura di moduli classici e secessionisti. I Varchi e il muro con bugnato, archi, paraste,
cornicioni costituiscono il necessario complemento alla monumentalità degli
edifici prospicienti piazza della Stazione, solenne ingresso in città. Ma l’architettura di maggior pregio è la Casa degli operai con mense, servizi, ambulatori, sale di riposo per i dipendenti dove secondo Pozzetto
«tanto la destinazione, quanto la forma dimostrano un alto grado di civiltà.
Probabilmente la ‘cultura impegnata’ vorrà sostenere trattarsi di un edificio
populista, ma sta di fatto che esistono ben pochi edifici di quel tipo databili al 1910» (27).
La semplicità delle forme della Casa per operai rivela una maggior sensibilità alle istanze del funzionalismo, che si traducono in linguaggio architettonico ove ogni residuo storicismo è scomparso, anche se Zaninovich non
rinuncia all’eleganza delle decorazioni in stucco, con piante e vegetali che
nista dell’architettura modernista a Trieste: l’architetto Giorgio Zaninovich, tesi di
laurea triennale, Facoltà di Ingegneria di Trieste, corso di laurea Ingegneria Edile,
relatore D. BARillARi, a.a. 2008-2009, Id., Un protagonista dell’architettura modernista a Trieste: l’architetto Giorgio Zaninovich, in «Archeografo Triestino», serie IV,
vol. LXX/2 (CXVIII/2 della raccolta), 2010, pp. 329-347.
(27) m. Pozzetto, Cemento armato, materiale nuovo nella scuola di Otto Wagner
in «L’Industria Italiana del Cemento», n. 6, 1981, p. 432.
184
DIAnA BARILLARI
Giorgio Zaninovich (attr.), la Sottostazione di Trasformazione dopo il restauro, veduta della Sala quadri.
richiamano le fluenze armoniose del Liberty, già proiettate in uno scenario
Déco. nella Sottostazione Elettrica di trasformazione l’apporto di Zaninovich è riscontrabile nella cura per i dettagli decorativi delle incorniciature
delle finestre ad arco, ma soprattutto nella sala dei trasformatori, dove la balaustra metallica della scala e le piastrelle in ceramica del pavimento rivelano
la capacità dell’architetto di integrare architettura e ornamentazione.
Tecnica
ha ragione Marco Pozzetto quando, a fronte della «stanca applicazione
dei formulari dello storicismo maturo nell’architettura dei magazzini», non
manca di sottolineare l’apporto assolutamente innovativo e pionieristico relativo all’impiego delle tecniche di costruzione in cemento armato. Definiti
«documento dell’epoca eroica del calcestruzzo armato, vale a dire, dell’epoca dei pionieri e dei brevetti, detenuti dalle grandi imprese europee di
costruzione che avevano le loro filiali a Trieste» (28)
(28) Id., Strutture portuali triestine nella storia delle tecniche architettoniche, in
A. cARoli, Punto Franco..., op. cit., p. 73.
PoRTo VECChIo A TRIESTE: SToRIA, ARChITETTURA E TECnICA
185
i magazzini diventano il laboratorio dove si sperimentano le nuove tecniche costruttive che poi troveranno applicazione negli edifici cittadini, favorendo l’applicazione del calcestruzzo armato nell’edilizia residenziale. Il porto di Trieste può vantare una consolidata tradizione nel campo della sperimentazione di tecniche innovative, riconosciuta da Mattia Giuseppe Sganzin
che nel suo Nuovo Corso Completo di Pubbliche Costruzioni assegna alla
Deputazione edile di Trieste il primato nell’impiego della «Terra di Santorino» (29), componente essenziale per ottenere una malta idraulica di grande
qualità, tale da eguagliare l’efficacia della pozzolana. A Trieste l’ingegner
Balzano realizza le prime sperimentazioni applicando il nuovo materiale in
sette diversi cantieri realizzati tra il 1842 e il 1846, tra gli altri il molo Mandracchio, la batteria e il molo di Lengo, il prolungamento del molo Sartorio.
In tutti i casi gli esiti sono soddisfacenti cosicché il Governo arriva a formulare la dosatura dei diversi componenti sia per i muri sott’acqua che per quelli sopra. Ma il contributo più significativo è quello offerto dalla costruzione
del bacino di carenaggio dell’Arsenale del Lloyd a opera dell’ingegner heider (30), il quale fornisce un resoconto dettagliato e puntuale di questa sperimentazione, spesso accompagnata da crolli e imprevisti, come succede quando una tecnica o un materiale vengono messi alla prova allo scopo di arricchire l’ambito delle conoscenze. La terra di Santorino è impiegata per le fondazioni degli edifici che, nel caso del Porto Vecchio, offrono parecchi aspetti
problematici, ma anche in altri punti della città, per esempio nelle fondazioni
del Palazzo del Lloyd in piazza Unità (1879) e in quelle del Tempio Israelitico (1906).
I ritardi registrati nell’edificazione dei magazzini di Porto Vecchio sono
da ascrivere soprattutto alla configurazione geologica, dove il fondo marino
si presentava ricoperto da uno strato di fango alto circa 20 metri. La compattezza e la solidità del suolo sul quale si vanno a collocare gli edifici è soggetto anche alle «spinte del terreno retrostante che provoca spostamenti dei muri
di fondazione delle rive e dei moli» (31): I problemi maggiori si verificano per
l’hangar 6 e il magazzino 7, la base dei magazzini 18 e 19, il magazzino 26:
(29) Intorno all’uso della Terra di Santorino nei Lavori Idraulici, in nuovo Corso completo di Pubbliche Costruzioni a cura di m.G. sGAnzin, trad. it. R. nicoletti,
vol. 3, Gius. Antonelli editore, Venezia 1855, pp. 685-92.
(30) e. j. heiDeR, La costruzione della struttura integrata slip e dry-dock nel
nuovo arsenale del Lloyd Austriaco a Trieste, traduzione dal tedesco a cura di G.
zAnette, in «Archeografo Triestino», serie IV, vol. LXVIII, 2008, pp. 348-410.
(31) A. cARoli e c. stentA, La costruzione dei nuovi magazzini del Porto Nuovo
a Trieste con particolare riguardo alle condizioni del sottosuolo e delle fondazioni, in
A. cARoli, Punto Franco..., op. cit., p. 89.
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DIAnA BARILLARI
in particolare per questo edificio si dovette ricorrere a una fondazione su palafitte, vista la mole dello stesso, non senza incontrare ostacoli a causa della
presenza di antichi manufatti (il Lazzaretto) e della scogliera. A rendere il
quadro d’insieme ancora più complicato bisognava considerare anche che il
nuovo tracciato del canale Martesin scorreva sotto il magazzino 26, attraversandolo nella parte mediana. Il resoconto dei lavori per le fondazioni costituisce una lettura piuttosto istruttiva, soprattutto se compiuta attraverso l’ausilio di materiale documentario dell’epoca, come i giornali dei lavori o la corrispondenza tra i responsabili delle imprese (nel caso del magazzino 26 l’impresa dell’ingegner Geiringer) e la direzione lavori. Il calcestruzzo viene
utilizzato per solai e orizzontamenti, spesso abbinato a elementi metallici o
laterizio (voltine), mentre per i pilastri posti all’interno dei magazzini si preferiscono la pietra o il metallo (ghisa): il risultato è l’impiego di una molteplicità di tecniche costruttive proprio a conferma della fase di sperimentazione.
Sono i solai un elemento essenziale per il successo dei magazzini, dato
che assicurano la portanza, pertanto è da qui che prendono il via le sperimentazioni: i primi orizzontamenti, sostiene Pozzetto, sono costruiti con il sistema Monier, il cui brevetto era piuttosto diffuso in Austria. nel 1891 l’impresa
Geiringer e Vallon (magazzini 10 e 20) adotta il sistema Melan e ne propone
una variante:
«mentre le travi principali sono ancora realizzate in robusti profilati di ferro a doppio T, l’intradosso delle voltine appare prefabbricato a piè d’opera
e comprende già l’orditura secondaria. A sua volta l’armatura primaria delle voltine in profilati a doppio T sembra essere foderata con un manto di
calcestruzzo, diverso da quello previsto per i riempimento delle voltine
stesse» (32).
Sembrerà paradossale ma la forte carica innovativa espressa a livello
tecnico non trova una risposta di pari entità nella forma architettonica, cosicché il repertorio neo-medioevalista che viene adottato nella maggior parte dei
magazzini, risulta ancora più fuori contesto, anche se questo rifugiarsi nella
tradizione segnala che l’uso delle nuove tecniche è in una fase iniziale, dove
permangono incertezze, anche a livello di calcoli.
L’analisi degli aspetti strutturali del magazzino 26 costituisce un modello di interpretazione anche per la lettura di altri fabbricati coevi. Esaminando
le piante è possibile notare come la struttura muraria perimetrale, realizzata
in arenaria, conferisca a questa una funzione autoportante e staticamente indipendente dagli orizzontamenti, costituiti da voltine del tipo Monier. L’ab-
(32) m. Pozzetto, Strutture portuali triestine..., op. cit., p. 74.
PoRTo VECChIo A TRIESTE: SToRIA, ARChITETTURA E TECnICA
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nella tavola pubblicata su «Allgemeine Bauzeitung» nel 1893 vengono illustrati i
dettagli costruttivi impiegati per le fondazioni del Magazzini 26 nel punto in cui scorreva il canale Martesin (tav. 30).
bassamento di un piano rispetto al progetto originario fu causato dalla preoccupazione che il terreno non riuscisse a reggere il carico delle strutture. Le
fondazioni dovettero quindi essere sostanzialmente modificate e furono realizzate in parte su palificazioni e in parte andarono a poggiare sulle fondazioni continue del Vecchio lazzaretto, quindi collegate da travi di ripartizione dei
carichi. Su questa struttura venne gettata una platea di calcestruzzo che, insieme allo strato asfaltico soprastante e alla pavimentazione, garantiva l’impermeabilizzazione delle cantine. nello scantinato vengono usati pilastri in arenaria, mentre al piano terra si innestano in corrispondenza pilastri in profilati
metallici, formati dall’unione di quattro profili a L imbullonati tra loro. Questi sono in acciaio o più precisamente in una ghisa molto più raffinata rispetto
a quella usata per le strutture metalliche degli esterni.
La struttura metallica portante dei ballatoi è in ghisa grigia (allora comune nell’edilizia industriale) con solai in voltine Monier capaci di sopportare
un carico di 800 kg/mq, escluse gru e montacarichi. Il problema degli orizzontamenti interni è più complesso, poiché la loro portanza è di 2400 kg/mq
e sempre con voltine. In questo caso si può ipotizzare che l’ingegner Geiringer abbia sperimentato un proprio sistema, nel quale fondeva il sistema Melan e quello Monier.
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DIAnA BARILLARI
Un fattore importante di conoscenza delle strutture dei magazzini di
Porto Vecchio è fornito dai brevetti in uso alle imprese di costruzione che
fornisce un orientamento decisivo per una analisi più approfondita: a Trieste
lavorano, tra le altre, ditte concessionarie della Wayss und Freitag che aveva
acquisito i brevetti Monier dalla Aktiengesellschaft für Beton und Monierbau
di Berlino. Lo stesso ingegner Wayss interverrà nelle costruzioni del porto di
Trieste, in particolare i magazzini 69 e 71 situati nel Punto Franco nuovo. Un
altro pioniere delle costruzioni in calcestruzzo armato, il professor Fritz von
Emperger docente al Politecnico di Vienna, in una relazione tenutasi a Parigi
nel 1900 in occasione dell’Esposizione Universale illustrava
«i suoi studi su colonne e solai che venivano applicati da diverse imprese
viennesi, tra le quali la Ed. Ast & Co con sede a Trieste proprio per le costruzioni industriali» (33).
Inoltre le strutture con profilati in acciaio annegati nel calcestruzzo del
magazzino 4 in Porto Vecchio (1906-1909) sono una puntuale applicazione
del sistema «Einbetonierte Eisensaulen» teorizzato da von Emperger nel
1906. Spesso la storia di queste imprese di costruzioni si intreccia con quella
di architetti che hanno lasciato una traccia nella storia, è il caso della collaborazione tra Joze Plecnik e la Ast & Co. nella costruzione di Palazzo Zacherl a
Vienna (1903) e la chiesa dello Spirito Santo sempre nella capitale austriaca
(1912).
Il carattere sperimentale e innovativo delle realizzazioni di Porto Vecchio, vero laboratorio dove si sperimenta l’impiego del calcestruzzo armato,
è certificato dall’attenzione con la quale dall’Europa si guarda alla città che
si merita un invidiabile primato, quello di «pioniere» nel campo delle tecniche costruttive, tanto che i suoi magazzini entrano nella storia dell’applicazione dei nuovi materiali, vale a dire uno dei fattori che innescano la rivoluzione avvenuta nell’architettura del XX secolo.
(33) A. cARoli, I Lagerhäuser..., op. cit., p. 96.