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Storia di
Bologna
Direttore
Renato Zangheri
4
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Comitato scientifico
Renato Zangheri, Presidente
Giuseppe Alberigo
Aldo Berselli
Francesca Bocchi
Ovidio Capitani
Angela Donati
Lucio Gambi
Nicola Matteucci
Carlo Poni
Paolo Prodi
Adriano Prosperi
Ezio Raimondi
Giuseppe Sassatelli
Giancarlo Susini
Walter Tega
Angelo Varni
Isabella Zanni Rosiello
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Storia di
Bologna
Bologna in età contemporanea
1796-1914
a cura di
Aldo Berselli e Angelo Varni
Bononia University Press
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Questo volume è stato realizzato
grazie al contributo del Comune di Bologna
e della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Bononia University Press
Via Farini 37 – 40124 Bologna
tel. (+39) 051 232 882
fax (+39) 051 221 019
© 2010 Bononia University Press
© 2010 Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
© 2010 Istituto per la Storia di Bologna
ISBN 978-88-7395-571-9
www.buponline.com
e-mail: info@buponline.com
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento totale o parziale,
con qualsiasi mezzo (compresi i microilm e le copie fotostatiche)
sono riservati per tutti i Paesi.
In copertina: Pasquale Rizzoli, Monumento ai caduti dell’VIII agosto 1848, 1903
Coordinamento redazionale: Mattia Righi
Redazione: Andrea Bonazzi
Progettazione graica: Gianluca Bollina - DoppioClickArt
Impaginazione: Irene Sartini
Stampa: Oficine Graiche Litosei
Prima edizione: dicembre 2010
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INDICE DEL TOMO I
Presentazione
XI
Angelo Varni
Da napoleone alla Grande Guerra
1
Aldo Berselli
Bologna nello stato della Chiesa secondo il diritto delle genti
e il diritto pubblico (1780-1831)
137
Angela De Benedictis
La città e il suolo urbano nel Catasto Gregoriano di Bologna (1835)
193
Roberto Fregna
La borghesia professionale
249
Maria Malatesta
Le classi lavoratrici alla fine dell’ottocento e nell’età giolittiana
333
Ignazio Masulli
Pauperismo e demografia, conflitto e sicurezza: le condizioni sociali
a Bologna nell’ottocento (1815-1880)
421
Aldino Monti
il governo della città dall’Unità alla Prima guerra mondiale
485
Alberto Preti
Produzione alimentare e consumi a Bologna nell’ottocento
Giancarlo Roversi
577
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tipografi, editori, lettura
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Maria Gioia Tavoni
il Credito romagnolo
769
Giampaolo Venturi
La Cassa di risparmio dalle origini alla Prima guerra mondiale
805
Angelo Varni
La vendita dei beni nazionali e la nuova proprietà terriera
849
Mariangela Dallaglio
arte e storia a Bologna nell’ottocento. Un percorso per immagini
877
a cura di Roberto Martorelli
inDiCe Dei PersonaGGi e DeGLi aUtori
927
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tavoLa DeLLe aBBreviazioni
AA = Archivio di G.B. Acquaderni, presso l’Archivio Arcivescovile di Bologna
AAB = Archivio Generale Arcivescovile di Bologna
ACCB = Archivio della Camera di Commercio, Industria, Artigianato, Agricoltura di
Bologna
ACRB = Archivio della Cassa di Risparmio in Bologna
ACS = Archivio Centrale dello Stato
AMDR = Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie
di Romagna (1882-1935); poi Atti e memorie. R. Deputazione di Storia Patria per
l’Emilia e la Romagna (1935-1943); poi Atti e Memorie Deputazione di Storia Patria
per le Province di Romagna (1943-)
ASB = Archivio di Stato di Bologna
ASBI = Archivio Storico Banca d’Italia
ASCB = Archivio Storico Comunale di Bologna
AZ = Archivio Storico della Zanichelli editore s.p.a.
BCAB = Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna
BCCR = Biblioteca Comunale Classense di Ravenna
BUB = Biblioteca Universitaria di Bologna
DBI = Dizionario Biograico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana
ISB = Istituto per la Storia di Bologna
ISCB = Istituto per la storia della Chiesa di Bologna
MAIC = Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio
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Tipografi, editori,
lettura
Maria Gioia Tavoni
Premessa
Se si uniscono in unico momento espositivo le vicende di tipograi/stampatori e di editori, professionalità a monte della
produzione di materiale librario, è perché molto dificilmente si riesce a disgiungere, in particolare a Bologna, l’aspetto
tecnico da quello di scelta e cura dei volumi da immettere
nel mercato. Quasi impossibile è distinguere il momento precipuo della composizione dei testi, proprio degli operai che
ruotano intorno al torchio, da quello di coloro che a buon
diritto possono deinirsi editori in quanto assumono su di sé
responsabilità diverse, mestieri che si staglieranno più netti a
decorrere dai primi decenni della Restaurazione in altri centri
urbani della penisola, Milano in primis. L’editore è infatti colui
che mette a repentaglio un proprio capitale e cura, nell’accezione più piena del termine, la scelta e la mise en page dei testi
trasformandoli in pubblicazioni. Come si vedrà, almeno ino
ai primi anni dell’Ottocento, possiamo delineare con certezza
soprattutto la igura del libraio vero e proprio, di colui che non
dispone di torchi, ma unicamente di strumenti di mediazione,
quali la propria scaffalata bottega e i cataloghi, per raggiungere
la clientela.
La scelta di separare in due parti il lavoro è motivata dal fatto
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
che diverse sono le modalità di condurre ricerche sui tipograi
e/o editori da quelle sulla lettura: l’anello della distribuzione e
dei percorsi ad essa sottesi può essere infatti inverato scandagliando documentazione appropriata e peculiare. Si consideri
che, per tratteggiare una sorta di mappa della lettura in una
città, bisogna intraprendere un percorso obbligato:1 cogliere
le molteplici relazioni che intercorrono fra librai e istituzioni
pubbliche e private, indagare sui luoghi deputati ad ospitare il
libro e sui possessori delle grandi raccolte, sui canali di approvvigionamento, sul rapporto del materiale stampato di un centro
urbano con i suoi abitanti, ricorrendo pertanto a testimonianze
non solo archivistiche, come la corrispondenza, i periodici del
tempo, i cataloghi. Quelle d’archivio, in particolare dei fondi
notarili, restano invece la fonte privilegiata per lo studio del
momento produttivo, oltre, naturalmente, alla conoscenza diretta dei prodotti tipograici e alla messe di notizie che si ricavano da epistolari e carteggi, utili anche in quanto concorrono
a deinire la circolazione libraria.
Stampatori e editori sono ruoli fra loro interscambiabili e integrabili almeno per tutto l’ancien régime typographique, quando la
pagina dipende solo dalla cassa dei caratteri e dal torchio manuale e non è raro neppure incontrare librai che si affermano
nel settore dell’editoria. Per riconoscere quando un operatore
diviene editore, è necessario calarsi nei contesti in cui i mestieri
del libro si articolano e si differenziano. È igura che abbiamo
inseguito a partire dalla ine del Settecento attraverso la ricostruzione di proili biograici e di storie di botteghe e imprese
che testimoniano la vivacità culturale della città, al di là dei
successi economici conseguiti.
Una borghesia colta, che ha le sue punte nell’università e che
sta alla base di un notevole ventaglio di proposte editoriali, è già
una realtà nella società bolognese degli anni ’30-’40 dell’Ottocento.2 Va però rilevato che alla crescita del tessuto intellettuale non corrispondono il livello economico degli operatori del
libro e forme di indipendenza della tipograia locale: i capitali
investiti sono pochi e insuficienti a garantire una buona circolazione, dificile anche per la frammentarietà delle iniziative.
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Tipografi, editori, lettura
Professionisti e studiosi scelgono i torchi cittadini per le loro
pubblicazioni, ma vi sono anche illustri docenti dello Studio e
numerosi intellettuali che preferiscono dare maggiore pubblicità alle loro ricerche facendole stampare altrove.3
La vera impennata del proliferare di carta stampata sotto
l’aspetto sia qualitativo sia quantitativo può essere ricondotta
a Bologna agli anni immediatamente successivi al 1861, che
videro la soppressione delle barriere doganali, quindi l’abbattimento di ostacoli nella circolazione e, per quanto riguarda
luoghi e territori dello Stato pontiicio, la ine della repressiva censura ecclesiastica. Sono aspetti che hanno una indubbia
ripercussione positiva: in questi decenni la città subisce una
vera e propria svolta nel settore della stampa anche a seguito
dei progressi di meccanizzazione, che le consentono di superare un’economia meramente artigianale e di sviluppare una
imprenditoria più dinamica che sarà in grado di far fronte alla
maggiore domanda di mercato. Non va tuttavia dimenticato
che a fronte di ceti colti e intraprendenti in Emilia e soprattutto a Bologna,4 ancora negli anni ’70 e ’80 del secolo XIX, il
tasso di analfabetismo si attesta su valori superiori al 50% della
popolazione5 e che segni di inversione si registrano proprio
dopo l’introduzione dei torchi meccanici che molto gradualmente sostituiranno quelli a mano.
La strada percorsa analizza prevalentemente le conduzioni che
in qualche modo lasciarono un segno del loro passaggio, anche se negli anni ’50-’60 dell’Ottocento ci si imbatte in una
sorta di pulviscolo di piccole attività che vivono l’éspace d’un
matin e che con la loro luce efimera brillano sullo sfondo delle poche aziende durature. Il mercato bolognese comincia ad
essere appetito sul inire del secolo: alcuni imprenditori, come
i Civelli, Carlo Schmidl e i Treves, lo scelgono per stabilirvi
proprie iliali. È il periodo in cui si assiste a nuovi fermenti come il diverso ordinamento delle scuole, la ripresa dello
sviluppo dell’università, evoluzioni culturali e sociali che portano a un grado maggiore di fruizione, che a sua volta trova
sbocco in una più matura editoria scolastica, in una speciica
letteratura scientiica, in un forte impulso nel settore dei pe-
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
riodici in genere, oltre che nella produzione propria di molte
professioni e dei ceti emergenti. Non escono, dunque, solo
stampe legate prevalentemente al territorio, ma, soprattutto
negli ultimi decenni, opere che possono essere deinite risposta
consapevole alla nuova cornice unitaria. Ecco dunque una base
di mercato allargata, con tirature aumentate dato il conseguente abbattimento dei prezzi. La scalata ad una imprenditoria di
alto proilo è comunque appannaggio di pochissimi operatori,
i quali potranno dirsi di livello nazionale se rapportati a centri
quali Milano, Torino e Firenze, città cardini del processo di
produzione e diffusione su larga scala. Ai Bettoni, ai Treves,
ai Pomba, ai Le Monnier, ai Bemporad si afiancano poche
personalità: ad esclusione infatti del bolognese Romagnoli
che si impone dapprima in qualità di libraio-antiquario, e di
Zanichelli e Cappelli – anch’essi già librai, i quali consolidano
la loro attività negli ultimi anni dell’Ottocento e la prolungano nel secolo successivo –, troviamo numerosi altri piccoli
imprenditori trincerati dietro a commesse solo in parte legate
alla lettura ma soprattutto debitrici dell’incalzante attività burocratica della nuova macchina amministrativa nelle sue molteplici articolazioni. Con Zanichelli e Cappelli siamo di fronte a
editori qualiicati, che con le loro aziende segnano il passaggio
dalla conduzione di tipo famigliare a quella a dimensione industriale.
Sono questi in sintesi i motivi per i quali si è ritenuto di articolare la narrazione, prendendo a importante spartiacque l’uniicazione italiana e la sostituzione delle tradizionali attrezzature
con le innovazioni tecnologiche. Per primo Aurelio Alaimo,
in un saggio suggestivo che ha indagato sulla Bologna libraria
oltre la metà del secolo XIX,6 ha richiamato a questa rilessione
che in gran parte coincide con quella a cui siamo personalmente pervenuti. L’avvio della storia tipograica e editoriale prende
le mosse dalla ine del secolo dei lumi per appurare che nulla
si crea e nulla si distrugge per un lungo arco di tempo, ino a
quando cioè i cambiamenti in tipograia fanno registrare balzi
in avanti e conigurano personalità forti che giocano a tutto
campo nel mondo della stampa.
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Tipografi, editori, lettura
1. Tipografi e editori
Nulla si crea e nulla si distrugge
L’esordio non può essere legato che a Petronio Dalla Volpe,
il vero imprenditore nella Bologna della seconda metà del
Settecento. Petronio, iglio di Lelio, alla morte del padre (1749)
aveva puntato ad avere un ciclo produttivo autosuficiente dalla carta alla getteria, ai torchi, allo smercio attraverso le proprie
librerie, con una intensa proposta editoriale e cercando di aumentare ancora di più i rapporti avviati dal padre con i professori dell’Istituto delle Scienze. La smisurata espansione libraria
degli anni ’70-’80 e macroscopici errori di valutazione nel suo
catalogo di tipografo-editore agiscono però come una sorta di
boomerang e lo fanno precipitare in un crollo che lo costringe
ad un forzato abbandono di tutte le occupazioni. Al momento
della morte (1794), lascia come erede la sorella Maria Caterina
che a causa dei debiti contratti dal fratello non riuscirà a salvare
l’azienda. Il 1796 vede lo smembramento del suo impero tipograico: nel maggio di quell’anno Caterina, infatti, stipula un
contratto privato con il bolognese Antonio Marcheselli, «pubblico mercante librario» a cui dà in gestione il «capitale di libri,
stampe diverse, rami ed altri capitali morti».7 Nello stesso anno,
appare ancora tra le carte notarili una scrittura di alienazione tra
Caterina e le sorelle Eleonora e Lucrezia Sanzi, eredi Sassi: la
Dalla Volpe vende «una fondaria, o gettaria de’ caratteri unica
in questa e altre limitrofe città, come pure un capitale per uso
di stamparia consistente in caratteri, torcoli, legni incisi ed altro
oltre il rispettivo capitale morto della gettaria e stamparia suddetta» per la cifra di 13.600 lire.
Con la divisione causata dalla vendita dei beni ereditati dal fratello, Caterina conclude dunque l’epopea tipograica di Dalla
Volpe, la cui decadenza era già evidente quando, nel 1785,
Petronio eliminò la produzione della carta. Se la tipograia cessa di vivere, i suoi libri e le rimanenze del padre Lelio rimangono a lungo in circolazione. Libri e capitali “morti”, ovvero
attrezzature e tutto quanto serve all’esercizio della professione
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
di tipografo, non andranno pertanto dispersi, ma inizia una
sorta di riuso che continuerà nel tempo ino all’epoca dei tipograi-librai Tinti e Merlani (dal novembre 1831, quando essi
costituiscono una società tipograica con l’intento di rilevare la
tipograia Dalla Volpe). È a ridosso del crollo di Dalla Volpe
che la città sembra cambiare volto. Nei primi del 1796 si contano a Bologna sei tipograie fra le quali quella dei Sassi, che
per oltre due secoli ha beneiciato delle commesse del governo camerale, e la stamperia di San Tommaso d’Aquino, sorta
per volontà del generale Luigi Ferdinando Marsili, fondatore dell’Istituto delle Scienze, e che opererà anche nel secolo
successivo. Nonostante i torchi passino di mano in mano essi
gemono più del consueto nel periodo rivoluzionario producendo stampe giacobine e una pletora di fogli periodici (secondo Pierangelo Bellettini ne uscirono circa una ventina),8
perché Bologna, nel triennio rivoluzionario, fa registrare un
inittirsi delle attività tipograiche-librarie mosse prevalentemente dal bisogno di produrre e veicolare soprattutto testate
giornalistiche, molte delle quali tuttavia non resistono che per
brevi e motivati istanti. Gli uomini che danno vita a nuove
botteghe non si discostano, per mentalità e per le concezioni
con cui le guidano, dalle igure tradizionali. Nessuno emerge
per capacità imprenditoriali. Gli stessi ambiziosi progetti culturali, alimentati dall’euforia dovuta alla momentanea libertà di
stampa all’indomani dell’ingresso dei francesi, dovettero ridimensionarsi col ripristino di misure repressive; la vitalità degli
intenti si scontrò infatti con la reintroduzione della censura
(11 settembre 1798), che colpì in particolare i giornali e i fogli
periodici, obbligando gli operatori a ripiegare sulle tradizionali
stampe religiose e su quelle di natura burocratica.
Nuovi i tempi, ma vecchie le mentalità
Chi sembrò assaporare meglio l’aria che alitava a ridosso del
1796 furono due operatori, entrambi di camaleontiche virtù:
Floriano Canetoli del «Genio Democratico» e Jacopo Marsigli
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Tipografi, editori, lettura
ai Celestini. Canetoli fu lo stampatore uficiale dei Circoli costituzionali di Bologna – il Gran Circolo, con sede nel palazzo dell’Archiginnasio, e il Piccolo Circolo, detto del Genio
Democratico, le cui riunioni si svolgevano presso il negozio
dello stesso tipografo –, incarico ragguardevole, che da un lato
assicurò ai suoi torchi la gran messe delle stampe delle due associazioni, dall’altro contribuì a fare della sua bottega una fucina
di scambi di opinioni e di idee. A Canetoli si devono inoltre i
periodici più signiicativi del periodo francese: la pubblicazione del «Genio Democratico» e del «Monitore bolognese» cui
collaborò anche il giovane Foscolo nel suo breve passaggio in
città. Sostituite le idee in sintonia col clima dell’ancien régime
con la più accesa adesione a quelle giacobine, Canetoli subì
il contraccolpo dell’intervento austriaco, che lo costrinse alla
proscrizione e a dover morire lontano dalla sua patria.
Marsigli è personaggio di assai diverso spessore. Nonostante
il suo coinvolgimento nel vento della Rivoluzione francese,
passò dalle stampe intonate ai nuovi tempi ad un catalogo privo di sospetti, senza mai tralasciare il versante redditizio da
cui era partito: pubblicazioni celebrative, religiose, ma anche
almanacchi e lunari, che da sempre assicuravano un introito
sicuro. L’intraprendenza di colui che Bernardo Monti deinì
«libraio di professione» che «aprì nella propria casa stamperia
consistente in un solo torchio»,9 portò infatti Marsigli dal nulla
alla pubblicazione di un buon catalogo per il 1796, anno nel
quale ebbe il coraggio e la lungimiranza di stampare anche
il Discorso ai cittadini liberi bolognesi del senatore Carlo Filippo
Aldrovandi Mariscotti. Ma è con la princeps delle Ultime lettere
di Jacopo Ortis, nelle tre impressioni mutate secondo l’avvicendamento dei governi a Bologna, che Marsigli dimostra tutte
le sue più gattopardesche capacità di aderire, con un sapiente
gioco tipograico ed editoriale, alle diverse stagioni politiche
che si avvicendarono nell’arco di pochissimi anni. Con il ritorno degli austriaci e durante il Regno d’Italia, Marsigli tentò
di consolidare la sua posizione, ma andò incontro a non poche
restrizioni, inaspritesi con il restaurato governo pontiicio che
lo privò delle commesse delle stampe uficiali. Nel 1816 si vide
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
costretto a scrivere una petizione, sicuramente enfatizzata, alla
Camera di Commercio, alla quale, informando dell’avvenuto
licenziamento di alcuni suoi operai, a causa della scarsità di
commesse, chiedeva di essere posto in «una classe più inferiore» in quanto, «se le tasse devono essere proporzionate ai proventi che dall’arte propria si ritrae», egli avrebbe dovuto esserne «del tutto esonerato».10 Neppure l’operazione sostenuta con
Pietro Brighenti, di “sfruttare” Leopardi e la sua primitiva passione per Bologna, gli arrecò il tanto ambito riconoscimento
economico del suo lavoro. Il “caso” Leopardi è legato solo in
parte al tipografo Marsigli; il personaggio chiave è infatti Pietro
Brighenti, editore sui generis, o meglio procacciatore d’affari
per conto terzi. Seppure dificile da inquadrare, vale la pena
soffermarsi su questo talent scout, senza mezzi né sedi proprie,
ma pronto a escogitare sempre nuovi stratagemmi per rendersi
autonomo nel panorama librario della città. Toltosi i panni di
giurista, Brighenti cercò fortuna nell’appoggio delle tipograie
locali attraverso la ricerca di buoni autori e buone opere da
dare in luce sotto la propria cura. Su di lui fece afidamento il Contino, sopravvalutando però l’inluenza dell’avvocato
nell’ambiente cittadino. Leopardi credeva di aver visto giusto
nel considerare Bologna come terreno fertile per novità letterarie: nel 1818, infatti, esecutore della politica illuminata del
cardinale Ercole Consalvi era l’intelligente cardinale Giuseppe
Spina, e, altro fattore di rilievo, il governo episcopale era retto con estrema apertura dal cardinale Carlo Oppizzoni (18031855). Ad una tanto promettente situazione faceva eco il iorire di imprese culturali, fra cui l’apertura di gabinetti di lettura e
la presenza di grandi personalità di biblioili come il poliglotta
Giuseppe Mezzofanti. Eppure nel centro emiliano anche scrittori di chiara fama erano costantemente occupati a sbarcare il
lunario con pubblicazioni d’occasione di poco conto.
Il primo progetto della stampa delle Canzoni, abbracciato da
Brighenti, prevedeva l’impegno economico di 20 scudi a carico del poeta, il quale avrebbe dovuto sobbarcarsi perino
le spese di legatura. La motivazione addotta da Marsigli e da
Brighenti – noto come «faccendiere», secondo la severa deini-
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Tipografi, editori, lettura
zione di Carlo Dionisotti – per gli alti costi imputati all’autore,
fu la dificoltà di reperimento di materiale scrittorio di qualità.
Leopardi dovette rinunciare alla stampa delle cinque Canzoni
poiché non disponeva di tanto denaro. Marsigli tuttavia, sempre tallonato da Brighenti, decise, per non troncare il rapporto,
di pubblicare della Canzone ad Angelo Mai 500 copie in ottavo
e 6 in quarto con la dedica a Trissino, scelto dallo stesso poeta. L’edizione Marsigli si esaurì ma sta di fatto che Brighenti,
ancor prima di tentare di stringere a sé deinitivamente il poeta con l’apertura della sua personale tipograia (“Delle Muse”,
1826-29), nella quale stampò la princeps dei Versi che non lo
salvò dal tracollo deinitivo, aveva instradato Leopardi verso
la tipograia “Nobili”, la più afidabile della città, per la tanto
agognata stampa delle Canzoni.11
Chi fosse Nobili è presto detto: sicuramente un tipografoeditore di altra tempra rispetto a Brighenti e ai suoi predecessori. Nei primi anni della Restaurazione, Bologna si presentava come piazza ambita da imprenditori forestieri che vi
giungevano col proposito di conseguire fortuna professionale
ed economica. Fu probabilmente questo il motivo che spinse
Annesio Nobili, nativo di Norcia, quindi tipografo a Foligno e
ad Ancona, a trasferirsi a Bologna, in un periodo nel quale l’arte della stampa non poteva contare su grandi personalità, con
conseguente riduzione dei rischi di concorrenza. Un elenco del
1818 riporta i nomi dei tipograi attivi: oltre a Nobili, troviamo i fratelli Masi, Jacopo Marsigli, Giuseppe De’ Franceschi,
Luigi Gamberini e Gaspare Parmeggiani, Giuseppe Lucchesini,
Giuseppe Rusconi erede Sassi, Ulisse Ramponi,12 ma da altre
fonti sappiamo che nel novero entravano anche altre oficine,
certo segnate da estrema precarietà.13
Nobili aprì la sua bottega in via Toschi, nel cuore della città.
Si hanno buoni motivi per credere che la conduzione della sua
impresa – si parla di più di 80 maestranze impegnate – fosse già
piuttosto radicata nel 1817: essa, se non mostrava la pretesa di
estendersi oltre i conini della Legazione, poteva comunque
contare sulla iducia di numerosi docenti dello Studio, senza
trascurare alcune pubblicazioni che il tipografo-editore umbro
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
intraprese a sue spese, come probabilmente fu per uno dei suoi
maggiori successi: la Guida di Bologna di Girolamo Bianconi
(1820). Il catalogo di Nobili comprende testi in gran parte
stampati su commissione, come gli Opuscoli scientiici (18171823) e gli Opuscoli letterari (1818-1820), e alcune opere, quali
ad esempio la Collezione delle opere sacre e profane (1821-1823),
per la cui pubblicazione egli agisce da vero editore: collana
certo di non grande levatura culturale, ma che costituiva un
nucleo “mirato” in grado di accordargli la protezione del potere pontiicio per poter diffondere la collezione nelle istituzioni
scolastiche. Nel mondo dell’università sembrò essere particolarmente protetto, essendosi assicurato la collaborazione di
Camillo Ranzani, docente di Storia naturale e vice-reggente
dell’Ateneo, divenuto suo consulente per le edizioni scientiiche.14 Nobili parve decollare: a lui si rivolsero anche esponenti di spicco della Scuola classica romagnola. Vista l’afidabilità
della sua tipograia, non stupisce la scelta di Brighenti a favore
di Leopardi: le Canzoni (1824-25), sebbene in forma un po’
dimessa, uscirono in un’edizione corretta ed ebbero buona
diffusione, come testimonia la loro presenza in molte librerie
private del tempo.15
Neppure Annesio Nobili si salvò tuttavia dalla precarietà propria della professione e nel ’24 fu costretto ad uficializzare
presso il notaio Cassani la collaborazione che dall’anno precedente aveva intrapreso con il bolognese Giacinto Fiori, il quale
assumeva addirittura la responsabilità decisionale nell’azienda,
mentre il tipografo umbro già da tempo era in cerca di fortuna
altrove. Perché Nobili, nonostante appaia come l’unico ad aver
fondato una ditta che con i suoi nove torchi era probabilmente
la più grande di Bologna, fu costretto a un tanto svantaggioso
compromesso? La risposta a questo interrogativo sta nel pesante e insoluto debito (ben 2.400 scudi) contratto proprio con
Fiori nel 1823, quando le spese per la conduzione dell’esercizio
erano divenute insostenibili: Nobili dovette ricorrere al capitale di Fiori, esperto più nel campo inanziario che non in quello
tipograico, e non seppe evitare un nodo societario, che lo
indusse poi a lasciare la città.16 Ancor prima di vedersi costretto
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Tipografi, editori, lettura
a cedere gran parte dell’attività, riparerà a Pesaro, dove, fedele
editore di Monaldo Leopardi e del suo entourage culturale, farà
fortuna. Quanto alla sua permanenza bolognese, si può dire
che Nobili restò ancorato alla vecchia igura del tipografo o,
per usare la parole di Mario Infelise, «non fu capace di uscire
dalle secche classiche dei mercati provinciali che lo portarono
a contare più sulle commissioni che sulle proprie iniziative».17
Una lunga durata
Di molti “addetti ai lavori” di questi decenni non sono rimasti che i nomi, alcuni dei quali menzionati nel saggio di
Salvatore Muzzi di cui si dirà. E che i dati in nostro possesso
riguardino spesso solo nomi e non storie è provato da un documento della Cancelleria ecclesiastica nel quale si enucleano
le stamperie bolognesi che esercitavano nel 1826: fra le altre:
De Franceschi, Masi, Ramponi, Camerale, Bortolotti, Turchi
e Veroli, Cardinali.18 Alcune restano sulla scena per brevi periodi, altre invece seppero sopravvivere, come la tipograia
dei fratelli Masi, che avevano la bottega nell’ex convento dei
Celestini e la libreria sotto il portico del Pavaglione, e quella
di Ulisse Ramponi, che esercitava nei pressi dell’attuale via
Farini, verso via Castiglione. Della tipograia Masi fu primo
titolare Tommaso, il quale era già libraio e stampatore nella
nativa Livorno. Sbarcato a Bologna nel 1800 poté dar fuori
moltissime pubblicazioni da Albano Sorbelli deinite «belle ed
accurate»,19 fra cui parecchi scritti del noto botanico Filippo
Re; lasciò quindi la direzione dell’azienda al iglio Riccardo
(prima del 1813), che condusse l’impresa con il fratello più
giovane, Spiridione, ino al 1828, anno in cui al primo restò la
stamperia e al secondo la libreria. E che anche i giovani Masi
si distinguessero per l’occhio attento alla società locale è confermato dai tre volumi in dodicesimo di un “pezzo forte” volpiano come il Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1822). Riccardo
lavorò ino alla morte (1839) prima nella sede dei Celestini, poi
nell’antica tipograia di San Tommaso d’Aquino; due anni più
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
Fig. 1.
Frontespizio del calendario
della Chiesa Bolognese
del 1824, stampato dalla
Tipograia Arcivescovile,
gestita da Luigi Gamberini
e Gaspare Parmeggiani.
tardi sarà suo iglio Tito a vendere l’attività. La rivendita di libri
fu poi deinitivamente ceduta da Spiridione nel 1849.
Un’impennata di piccole e medie imprese si registra a partire dagli anni ’50: documenti provano con certezza infatti che
a Bologna esistevano circa dodici o tredici tipograie e quasi
altrettante librerie: un numero inferiore a quello di altri importanti centri di produzione, tuttavia rilevante per la città, in
special modo se rapportato ai periodi precedenti. Dai Ruoli dei
contribuenti della provincia della Camera di Commercio è possibile evincere le “classi” e l’importo delle tasse pagate da quasi
tutti gli operatori del settore. La maggior parte degli esercenti
è coninata nella quarta classe, quella che annovera esercizi e commerci
minori.20 Non escono pertanto dal
clima di ristagno neppure alcuni degli operatori di cui si sono tratteggiate le vicende. Uno spaccato della tipograia bolognese della prima metà
dell’Ottocento, che va considerato
come una vendemmia di nomi e di
attività, si deve a Salvatore Muzzi,
letterato e profondo conoscitore di storia locale, che pubblicò la
Stampa in Bologna21 in occasione del
secondo Congresso tipograico italiano, tenutosi a Bologna nel 1869.
Riandando all’arte tipograica cittadina, a partire dal glorioso nome di
Baldassare Azzoguidi, Muzzi conclude la sua narrazione con un interessante quanto, purtroppo, schematico affresco della situazione a lui
contemporanea.22
Di antica origine è la Tipograia
Arcivescovile, per gran parte del
secolo condotta da Gamberini e
Parmeggiani, che stampavano ora
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Tipografi, editori, lettura
col proprio nome, ora con la sottoscrizione «Tipi arcivescovili». Alessandro Bacchi, proprietario dell’attività dal 1880, in occasione dell’Esposizione Emiliana dell’88 scrisse una dettagliata
storia di questa azienda, con l’avvicendamento dei tipograi
impegnati nei torchi arcivescovili dal 1625 ino al 1816, anno
in cui compaiono Luigi Gamberini e Gaspare Parmeggiani; la
conduzione passò poi di padre in iglio ino ad essere ceduta allo stesso Bacchi (1880). Bacchi esprime con chiarezza le
inalità dell’esercizio, che ha sempre stampato tutto ciò che
proveniva dalla curia, ma che si prestava anche per pubblicazioni profane. Sottolinea che solo dalla ine degli anni ’30 la
tipograia aveva cominciato ad estendere la propria clientela
anche in ambito laico e che da numerosi intellettuali venne
deinita «Tipograia dei dotti». La gamma delle stampe abbraccia diverse tipologie testuali, soprattutto a partire dagli anni ’50
del secolo. A opere prestigiose quali le «Memorie della Regia
Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna» (1850-1861),
di cui Gamberini e Parmeggiani furono solo meri esecutori
in quanto la responsabilità dell’edizione risulta dell’Accademia
stessa, si afianca un lungo elenco di lavori religiosi. Non mancano titoli di letteratura classica e si rileva consistente la lista
dei testi scientiici: due tomi della collezione delle «Memorie
della Società Medico-Chirurgica di Bologna», il periodico
«Bullettino delle Scienze Mediche». La cifra dell’azienda sta
nell’essersi aggiornata nelle attrezzature tipograiche; infatti durante la gestione Bacchi possiede «macchine con motore a gas,
sistema Otto, oltre torchi» e «nel suo esercizio e spaccio tiene impiegati costantemente da 30 a 35 individui». Un avviato
esercizio tipograico, che chiuderà, secondo il Sorbelli, solo
ai primi del sec. XX, dopo essere passato ai igli di Bacchi, in
particolare a Luigi (1891), come appare dall’indicazione della
nuova ragione sociale.23
Della Tipograia Arcivescovile si ha una stima del patrimonio,
che risale però al 1896: «la taberna instrutta detta Tipograia
Arcivescovile igurante sotto la Ditta Gamberini e Parmeggiani
posta in Bologna nella Via Altabella N° 6» risulta costituita da
un patrimonio di 23.000 lire.24 Per rapportare la stima al prezzo
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
di generi di prima necessità o di largo consumo dell’epoca, si
tenga conto che un chilogrammo di carne bovina costava circa
1,37 lire, un metro di tela di lino 1,55 lire e la retribuzione
annua lorda di un inserviente statale era di sole 1.000 lire.25 È
chiaro quindi che il capitale considerato, se confrontato con gli
investimenti di Brighenti26 o di altri operatori dei primi decenni dell’Ottocento, è da considerarsi di rilevante entità.
Apparentata all’Arcivescovile è un’altra tipograia, anch’essa
assai longeva, la quale dopo il fondatore fu gestita dagli eredi che, pur non variandone il nome, vollero sottolineare il
“passaggio delle consegne”: si tratta della bottega impiantata
da Giacomo Monti, che acquisì la ditta di Bortolotti e che
compare nell’elenco dei negozianti bolognesi redatto nel 1849,
col solo titolo di «libraio».27 Monti trasferì l’esercizio nel palazzo De’ Buoi in piazza San Martino e dopo la sua morte
(1870) l’attività continuò ad essere esercitata in via Cavaliera
sotto la denominazione di “Successori Monti”.28 L’impresa
iorì principalmente grazie all’esclusiva che ottenne sulle stampe dell’Università, quali gli «Annuari della Regia Università di
Bologna», il Catalogo dei lavori pubblicati dai professori, dai dottori
collegiati e dagli assistenti (1886) e la Commemorazione di Giuseppe
Ceneri di Giuseppe Brini (1899). Il catalogo della Monti manifesta anche apertura alla letteratura e alle arti con testi che
vanno dallo studio di Angelo Gatti La scuola di Michelangiolo e la
scuola dei Caracci (1888) ai sonetti di Pietro Longhi su La Chiesa
del Rosario in Cento e i dipinti del Guercino (1891), dalla saggistica
dello storico e romanziere Oscar Pio alla poesia del celebre
Olindo Guerrini, ino a raccolte dovute all’abilità di ricerca di
Ludovico Frati e Corrado Ricci, due personaggi di punta di
quel crogiuolo che fu il cenacolo carducciano, e alcune opere
del poeta e commediografo Carlo Zangarini.
Radicata nella città per un considerevole periodo fu anche la
Regia Tipograia, la cui storia, che affonda le radici negli anni
’30, vede la costituzione della società tipograica fra Leone
Merlani e Raffaele Tinti (novembre 1831) al ine di rilevare la vecchia tipograia Dalla Volpe e la libreria Marcheselli.
Vale la pena di ripercorrere i tratti più signiicativi della sua
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Tipografi, editori, lettura
vicenda lunga e complessa anche perché i mutamenti societari inducono a pensare che essa attraversò momenti dificili,
superati grazie all’oculata gestione di alcuni suoi conduttori.
Nel 1854, infatti, la ditta “Tinti e Merlani alla Volpe” acquistò
anche l’impresa Sassi di proprietà dei conti Rusconi, dopo aver
raggiunto la fusione con la Società Tipograica Bolognese di
Filippo Tiocchi. Risultavano quindi due ditte separate: l’una,
la “Società Tipograica Bolognese e Ditta Sassi” di proprietà di
Tiocchi, Tinti e Merlani, l’altra “Tinti e Merlani Tipograi governativi alla Volpe, in Bologna sotto il portico del Pavaglione
alla insegna della Volpe” di proprietà dei soli Tinti e Merlani.29
Un precedente conduttore, Giuseppe Cenerelli, che aveva afittato la Sassi dal conte Rusconi, fu indotto a ritirarsi dietro
adeguato compenso. Tinti e Merlani ottennero pienamente i
diritti dell’impresa e, a seguito della morte di Tiocchi (1855),
anche la parte della Società Tipograica Bolognese. Deceduti
sia Leone Merlani (1859) sia Raffaele Tinti (1868), l’intero patrimonio passava poi ai fratelli Gustavo e Pantaleone Merlani,
igli di Leone; nel frattempo, a partire dal 1860, la tipograia,
che si sottoscriveva “governativa” in quanto aveva acquisito
l’esclusiva per le pubblicazioni della amministrazione pubblica, assunse deinitivamente la dizione di “regia” imponendosi
come unica erede di entrambe le conduzioni Volpe e Sassi.
Dal suo catalogo spunta una pubblicazione uscita in occasione
del secondo Congresso tipograico italiano (1869), nella cui
premessa «I fratelli Merlani» informano che la loro tipograia
era attenta ai fenomeni dell’arte della stampa e della «libreria in
genere»: stamparono infatti le Osservazioni del celebre letterato
Gaspare Gozzi sul tema della legislazione che governava l’attività tipograica nella Venezia settecentesca, perché «trattano
di un argomento ben molto acconcio all’arte nostra, conforme
alle costumanze del passato secolo».30
La lunga vita della Tipograia Regia si rilette in un catalogo
ricco di opere, di alcune delle quali essa si fece probabilmente
anche editrice; scorrendo i titoli, ci si imbatte nel lavoro di
Giacomo Cassani, sacerdote e docente universitario di Diritto
canonico e Storia del diritto, Dell’antico studio di Bologna e sua
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
origine (1888), nell’edizione della montiana Bassvilliana con
commento di Giovanni Della Valle e con la cura di Arturo
Masetti (1889), ino all’inconsueto Yogavasishtaramayana a pargianya: inno recato di samskrito a comune volgare dal prof. Giuseppe
Turrini (1892). Frutto di committenza sono senz’altro i regolamenti sull’ordinamento scolastico, ovvero il Programma di
ginnastica per le scuole elementari del comune di Bologna (1893), la
serie di pubblicazioni unita per conto di istituzioni ed enti bolognesi, come la Banca popolare di credito, l’Asilo per bambini
“lattanti” (Relazione sull’andamento economico e morale, 1897),
l’Istituto Ortopedico Rizzoli, la Regia Deputazione di Storia
Patria e molti altri ancora.
Nonostante il catalogo vario e articolato e la sua capacità di rimanere a lungo sulla scena bolognese, anche la Regia
Tipograia andò incontro a grave dissesto economico.31 Nel
1894 i fratelli Merlani si videro costretti ad afittare la ditta e
la situazione in seguito peggiorò, a causa di una forte concorrenza. Dalla testimonianza di Sorbelli32 risulta comunque che
essa continuò ad essere attiva anche dopo la data del fallimento.
Alle imprese nate da società fanno riscontro quelle sorte grazie
all’impegno di un unico fondatore. Di una preme ragguagliare:
la tipograia Cenerelli, che, in mano a una sola famiglia, ottenne importanti riconoscimenti nell’Esposizione provinciale del
1869 e in una mostra nazionale di lavori tipograici. Giuseppe
Cenerelli, padre di Giusto e Domenico, afittò da Rusconi la
ditta Sassi ino al 1848, quindi condusse la Tipograia dell’Ancora di via Galliera; alla sua morte i igli ereditarono l’impresa
e la trasportarono nel 1863 in via Castiglione. Giusto condusse poi la tipograia ino al 1902, anno in cui essa fu venduta
a Paolo Cuppini. Benché l’interesse di Cenerelli si rivolgesse
anche agli eventi contemporanei, come prova l’opera Strada
ferrata dal Po alla linea dell’Italia centrale, recante la sottoscrizione
«Cenerelli all’Ancora» (1860), punto di forza della ditta fu la
produzione di testi di docenti nell’ateneo bolognese, soprattutto relativi alle scienze agrarie: spiccano nel catalogo il saggio di
Dario Toscano Dell’indirizzo da darsi alla viticoltura e alla enolo-
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gia nella provincia di Bologna (1892), lo studio su L’inluenza dei
concimi acidi in agricoltura e l’igiene dei terreni culturali di Adolfo
Casali e quello di Luigi Franceschini Sulla riduzione delle semine
(entrambi del 1894), ma anche la relazione di Luigi Simoni
Degli uccelli ed insetti utili e dannosi all’agricoltura (1894).
All’indomani dell’Unità
Contemporaneamente ai primi, timidi segnali della nascitura
editoria vera e propria, troviamo nella seconda metà del secolo
un brulicare di piccoli e medi stabilimenti. Essi, se raramente
si distinguono nel panorama del neonato Stato italiano, sono
comunque sintomo di un risveglio. Bologna ottenne le prime
menzioni in importanti manifestazioni del settore. Bottrigari
ricorda che il 26 settembre 1869, in occasione del secondo
Congresso tipograico italiano tenutosi proprio a Bologna, la
distribuzione dei premi agli operai tipograi riservò la medaglia d’argento alle ditte Pomba di Torino, Cenerelli, Merlani
ed Amoretti di Bologna, Panigotti e Menghini di Milano,
Appiani di Firenze e ai due giornali tipograici «L’Arte della
Stampa» e la «Tipograia».33 Se Cenerelli e Merlani appartengono alla schiera dei tipograi, Amoretti è un protagonista indiscusso di quel mestiere che nella città ha una storia antica: è
infatti fonditore di caratteri.
Proprio mentre si realizzava l’Italia unita, fra gli esercenti che
a Bologna tentarono di mettersi in luce vi fu un’azienda che
conobbe numerosi cambiamenti societari, indizi delle dificoltà
incontrate. Si tratta della Ditta Fava e Garagnani, impiantata
nel maggio 1861 da Camillo Fava, che si associò con Alfonso
Garagnani e Camillo Montanari, socio accomandante, dopo
aver rilevato la vecchia Tipograia del Progresso. L’esercizio
si stabilì in via Malcontenti, e solo successivamente in via
Indipendenza, arteria costruita dal 1885 al 1888 che rivestì in
da subito una strategica importanza commerciale. È la Camera
di Commercio di Bologna ad informare sulla entità dei capitali investiti da Fava e Garagnani. In data 30 dicembre 1861 si
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
speciica che «Il Capitale da immettersi in società è stato issato
in lire 24/m, e cioè lire 8/m per ognuno socio in tre eguali
parti».34
Dopo la morte del Fava, i cambi di ragione sociale, quali schegge vaganti, indicano i passaggi di proprietà e identiicano nuovi
conduttori. Dal 1895 al 1899, la tipograia assunse la denominazione di “Garagnani e Figli”. La documentazione fornisce prova dei movimenti: si parla di Alfonso Garagnani «socio
della ditta Tipograia del Progresso o Ditta Fava e Garagnani
e C.»; si evince ancora che «in data 19 Luglio 1895 detta società venne sciolta» e che con lo stesso atto Alfonso Garagnani
rilevò ogni sostanza attiva e passiva dell’azienda, assumendo
come impresa “Ditta Alfonso Garagnani e Figli”; «in data 17
Ottobre 1899», egli vendette la sua azienda.35 La tipograia
venne quindi ceduta a mons. Ugo Maccolini per poi cambiare ancora diversi proprietari. Profondamente radicata nell’ambiente culturale bolognese, la Fava e Garagnani fece derivare i
suoi introiti più sicuri dalla pubblicazione per molti anni degli
«Atti e Memorie della Regia Deputazione di Storia Patria per
le provincie di Romagna» e, per un certo periodo, attorno alla
ine degli anni ’70, della «Gazzetta dell’Emilia». La ditta acquistò dapprima fama anche come casa editrice musicale – diede
fuori nel 1867 il Parere musicale di Rossini, nel 1873 la Storia
del violino del Folegatti, nel 1900 la Giuditta: oratorio in due parti
per canto ed orchestra di Antonio Pincelli36 – e un posto di rilievo
nel suo catalogo rivestiva la poesia minore, come i Sei sonetti di
Pellegrino Zambeccari (1887). Non manca un interesse esteso alla realtà locale: lo testimoniano I suoni, le forme e le parole
dell’odierno dialetto della Città di Bologna del giurista Augusto
Gaudenzi (1889), lavori sulla saggezza popolare come I proverbi bolognesi sulla donna (1890), studi celebri quali i Discorsi
e scritti in onore (1894-1897) del patriota e risorgimentista di
Budrio Giuseppe Barilli, che si celava sotto il nome di Quirico
Filopanti, e l’opera di Giovanni Battista Comelli I primi Conti
della Porretta: memorie storiche e documenti (1900). La ditta si fece
inoltre promotrice di opere giuridiche, di Nino Tamassia e
Giulio Diena.
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Tra i numerosi professionisti che non esitarono a lanciarsi nella
grande avventura della carta stampata igurano pure alcuni religiosi. Fondarono tipograie in parte anche editrici, preludendo
a quelle che saranno nei primi del Novecento le grandi case
cattoliche: la SEI di Torino, Vita e Pensiero e la San Paolo a
Milano, sorte rispettivamente nel 1911, nel 1918 e nel 1921.37
Benché Muzzi la consideri di poco conto, ebbe il suo peso nella Bologna tardo-ottocentesca la “Tipograia Mareggiani all’insegna di Dante”, impiantata in via Malcontenti da Alessandro
Mareggiani, dal 1874 in società con il fratello don Raffaele.
Quest’ultimo, rimasto solo, nel 1892 incaricò l’ospedale
Maggiore di Bologna di mantenere l’azienda e tutti i suoi operai, includendo l’impresa di famiglia nel suo generoso lascito
testamentario all’istituzione sanitaria. Successivamente l’ospedale considerò la conduzione della tipograia un onere troppo
gravoso e caldeggiò la creazione di una cooperativa fra gli operai; passata dalla sede di via Malcontenti a via Volturno, quindi
a via Marsala, la Mareggiani si fregiò della stampa di opuscoli
religiosi, oltre che di giornali, modulistica varia e opere per la
Commissione per i Testi di Lingua. La vocazione squisitamente cattolica della Mareggiani si esprimeva in opere devozionali così come in pubblicazioni che avevano a base lo studio
del rapporto fra fede e società, tutte prodotte in alte tirature.
Un’attenzione particolare riservò all’infanzia e alle giovani generazioni, come prova il discorso di Sisto Franchi Dell’amore
patrio nelle scuole (1888). Nella direzione di apertura alle nuove
frontiere della medicina vanno le opere di Cesare Mattei, che
aveva coltivato gli studi di medicina omeopatica:38 i suoi lavori
sul trattamento del cancro con l’ausilio dell’“elettromeopatia”
non a caso si pubblicarono, oltre che in italiano, in lingua inglese con relativa sottoscrizione «Printing Ofice Mareggiani»,
segno di diffusione in un contesto europeo.
Non va poi dimenticato che diverse personalità approdarono
al settore della tipograia e dell’editoria da altri mestieri afini, come la legatoria o il commercio in articoli di cartoleria:
proprio in questo ambito si delinea la personalità di Leonardo
Andreoli, che ebbe bottega in via Farini e che è ricordato
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come esperto in lavori di pazienza e di precisione. La sua produzione era caratterizzata da pubblicazioni per lo più occasionali ma sempre arricchite da particolari vezzi tipograici e
di tiratura limitata, tanto che ben presto molte edizioni divennero rare.39 Fra le sue specialità si rilevano le partecipazioni nuziali e funebri, gli avvisi mortuari e i sonetti «in carta
lusso». Corrisponde all’ispirazione di proporsi alla clientela in
modo sobrio, ma assai curato, l’elegante volume di Torquato
Menniello, che celebra l’impresa tipograica tracciandone una
breve storia. Andreoli, nato a Bologna nel 1859, fu anch’egli
iglio d’arte. Il padre Carlo, tipografo, aveva lavorato a lungo presso lo Stabilimento tipograico Giacomo Monti, e poi
con i successori. Ventiduenne, dopo aver appreso dal padre
il mestiere di compositore, riuscì ad acquistare nel 1882 una
piccola cartoleria in via Farini, munita solo di poca merce e
di una macchinetta per stampare biglietti da visita. A poco a
poco ampliò i locali e acquistò vere macchine tipograiche,
cosicché anche le commesse furono di crescente prestigio ino
al giugno 1888 quando, come informa Menniello, «l’Andreoli,
coadiuvato dall’egregio Professor Angelo Gatti stampò in una
edizione speciale, con fregi di grande effetto, il bel libro di
questi, intitolato: Dazi e Monti. Appunti per una storia della inanza bolognese, quale primo saggio uscente dalla sua tipograia».40
L’editore volle dedicare questa sua fatica al Comitato ordinatore della contemporanea Esposizione Emiliana, riportandone
la “Menzione onorevole”, riconoscimento a cui si aggiunse nel
1892 il “Diploma con medaglia d’argento”, ottenuto alla prima
Mostra d’arte applicata all’industria. L’anno seguente, Leonardo
afidò al padre, che si era ritirato dagli stabilimenti Monti, la
direzione della propria tipograia: in questo modo essa acquistò
«un indirizzo artistico di prim’ordine». La tipograia Andreoli
raggiunse l’apice della sua notorietà quando, in occasione della
visita dei sovrani Umberto I e Margherita per l’inaugurazione
dell’Istituto ortopedico Rizzoli (1896), stampò un’altra opera
di Gatti sulla storia di San Michele in Bosco: Andreoli la dedicò agli augusti ospiti, ai quali donò anche l’elegante opuscolo,
impresso nel 1898, Il Piemonte e lo Statuto dell’avvocato Ernesto
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Vitta, scritto in occasione del cinquantesimo anniversario dello
Statuto Albertino. Andreoli pubblicò soprattutto libri di storia
locale; si nota come andasse a caccia di commesse favorite dal
crescere delle professioni e del loro affermarsi, compresi testi
utili ad un artigianato iorente, quali le Regole per tutte le misure
necessarie a tagliare un abito di Giuseppe Rosa (1900). A seguito
della morte di Carlo, fu chiamato alla direzione della tipograia
l’eccellente ed espertissimo Francesco Montanari. La dotazione
delle macchine tipograiche è notevole: fra esse ve n’è una di
Burckhardt di Basilea per opere e giornali illustrati, una francese per giornali e avvisi da afiggere, alcune americane «celerissime» per piccoli lavori commerciali, nonché una inglese
automatica per i biglietti da visita e, soprattutto, una «Phonix,
la più perfezionata che si conosca per eseguire lavori di gran
lusso in tricromia ed anche con rilievo, della Casa Schelter et
Giesecke di Lipsia».41
Strettamente congiunte con i mestieri del libro sono le storie
di alcune maestranze il cui livello tecnico ben si ricollega alle
maggiori qualiicazioni del ramo. Fra esse spiccano i rappresentanti dell’arte della litograia, che a Bologna conobbe grande successo e rapida diffusione a partire dagli inizi del XIX
secolo, in particolare con la ditta denominata “Bertinazzi e
Compagno”.42 Sorbelli si sofferma a questo proposito su molti
nomi: fra gli altri, Francesco Casanova, Giulio Wenk, citato
anche nell’Elenco dei Tipograi, Editori e Librai della «Bibliograia
Italiana» in quanto «editore-litografo», Cesare Minarelli e la
ditta di Sauer e Barigazzi, specializzata in carte geograiche.43
Fra le più signiicative edizioni di Casanova, con l’impiego
delle tecniche inventate dal tedesco Alys Senefelder, si ricordano per gli anni ’80 e ’90 numerosi periodici, soprattutto riviste
illustrate, come «Don Chisciotte e Sancio Pancia: rivista umoristica illustrata», «Il pupazzetto: rivista illustrata», il numero
unico di «Rimini illustrata» (19 agosto 1888) e alcune testate
di argomento locale, fra cui «Bononia ridet: rivista artisticaletteraria-universitaria settimanale» e «Bologna commerciale:
effemeride illustrata».
Diedero vita a periodici illustrati anche Giulio Wenk, Sauer,
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
Fig. 2.
Prima pagina di «Bononia
Ridet» del 22
novembre 1890, con
vignetta elettorale
disegnata da Galantara.
e Barigazzi, con particolare attenzione alle composizioni in
dialetto bolognese. Vedono la luce pubblicazioni come «Ehi!:
ch’al scusa’: strenna per l’anno 1886» per i torchi di Sauer e
Barigazzi e «Mo schivtla!: umoristico sentimentale illustrato.
Carnevale 1886» per i tipi di Wenk, testi anche di carattere
trattatistico, che richiedevano un ricco apparato iconograico,
come Dell’annestare gli alberi fruttiferi di Edoardo Wenk (Stab.
Lit. G. Wenk e Figli, 1889) o la Raccolta di principali Guasti di
caldaie a vapore isse e locomobili (Lit. Sauer e Barigazzi, 1900).
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Società a base cooperativa
Se dunque gli esercizi in qui esaminati corrispondono a tipologie aziendali note già in passato – la gestione a base societaria
e quella familiare – a partire dagli anni ’60 dell’Ottocento si
fece spazio una diversa forma produttiva: la cooperativa. In
questa struttura sono determinanti la formazione del capitale
sociale e la igura del socio-lavoratore. Sorta come una delle più rilevanti imprese del genere, è la Società Tipograica
dei Compositori, la quale ebbe a godere di notevole prestigio e caratterizzò la sua produzione con la messa in stampa
di numerosi periodici. Nata nel 1865 su iniziativa di alcuni
operai compositori, divenne impresa cooperativa nel 1868 e,
nonostante nel 1879 fosse sciolta e passasse all’imprenditoria
privata, prendendo la denominazione di “Società Tipograica
Già Compositori”, visse un decennio di intensa attività. Si distinse per capacità il presidente, il tipografo Paolo Bentivoglio,
che portò l’azienda a un ruolo di primo piano nel già citato
secondo Congresso tipograico italiano. L’importanza della
cooperativa è legata all’interesse che essa seppe suscitare nei
confronti delle condizioni di lavoro e delle rivendicazioni dei
suoi soci. Sebbene sia vissuta un solo decennio, la Compositori
rimane un esempio luminoso nell’ambito dell’associazionismo
di mestieri: al nuovo gestore Antonio Calzoni pervenne infatti
un’organizzazione solida, di cui si stima ancora alla ine del
secolo una certa continuità nella linea produttiva. Numerosi
uscirono i periodici; mai tralasciata neppure la “varia” per un
impegno su più fronti, come informa Alaimo.44 Durante gli
ultimi decenni dell’Ottocento, sono poco presenti nel suo catalogo titoli di argomento bolognese e di storia locale, e non
sono da trascurare due edizioni, rispettivamente del 1887 e del
1888, del Diario bolognese dall’anno 1796 al 1818 dell’erudito
Giuseppe Guidicini. Gli indirizzi perseguiti dalla Compositori
vanno da una certa attenzione alle scienze agrarie a una serie di pubblicazioni di chiara utilità pratica e commissionate
da associazioni, come il bollettino degli «Atti dell’Accademia
dei Ragionieri in Bologna» (1888) e l’Annuario della R. Scuola
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
d’Applicazione per gli Ingegneri in Bologna per l’anno 1894 (1895).
Perino le federazioni sportive si rivolsero alla società tipograica: ne sono esempi lo Statuto della Virtus (1890) e quello della Federazione ciclistica emiliana (1894). Poco frequenti sono
invece le pubblicazioni di argomento religioso, fra le quali la
Guida storica pei Devoti della Madonna di S. Luca del sacerdote
Paolo Mattioli (1894) e, a partire dal 1896, la stampa del bollettino «Guida delle istituzioni pubbliche di beneicenza».
Coerente con la coeva esperienza delle associazioni di mutuo
soccorso, una menzione merita anche la Cooperativa tipograica Azzoguidi, nata da un gruppo di maestranze del settore con
lo scopo di raggiungere condizioni di lavoro meno subordinate e con inalità assistenziali. Ne delinea brevemente la storia
Cesare Ratta in un opuscolo «composto e stampato, sotto la
guida dei rispettivi insegnanti, nella scuola di arte tipograica
del Comune di Bologna, in via San Petronio Vecchio, da soci
e allievi appartenenti alla Cooperativa tipograica Azzoguidi,
inscritti ai corsi serali di perfezionamento».45 L’idea che portò
alla costituzione della cooperativa tipograica maturò quando,
la sera del 28 febbraio 1873, sei operai impressori e altri diciassette colleghi delle tipograie locali si riunirono nella sala del
Circolo dei Concordi: viste le «deplorevoli condizioni» in cui
si trovavano e sulla base dell’esempio dei compositori-tipograi, fu deciso di costituire a Bologna una cooperativa tipograica
formata da soli specialisti della stampa. L’obiettivo era quello
di fondare o acquistare un’oficina tipograica, e di destinare
gli utili al sostegno dei soci ammalati assicurando loro pensioni
di vecchiaia. Nel 1875 fu dunque acquistata l’oficina del defunto Antonio Chierici in via delle Grade da San Domenico,
pagando solo 1.200 lire, che consentirono la dotazione di un
unico torchio a leva e di caratteri per lo più logori e antiquati,
presto sostituiti con la produzione in proprio. Nel 1879 divenne «società anonima per azioni nominative di operai tipograi»
e un decreto reale dell’anno successivo approvò il suo statuto.
L’alacrità, la laboriosità, l’abilità lavorativa già impresse nella
marca tipograica che recita «Labor improbus omnia vincit»,
caratterizzeranno l’azienda. Sulla varietà delle tecniche adotta-
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te informa anche l’art. 2 dello Statuto, in cui si precisa che la
Società Tipograica Azzoguidi «può estendere le sue operazioni alla stereotipia, alla litograia e alla fonderia dei caratteri».46
Scorrendo la lista dei titoli della Azzoguidi, ci si rende conto
di come questa tipograia godesse della iducia dei responsabili
delle associazioni locali, i quali la incaricavano della divulgazione dei loro statuti: ne sono esempi lo Statuto e regolamento
della Consociazione ippica italiana pel trotto (1887), la Boniica della
bassa pianura bolognese a destra di Reno: Verbale di assemblea 11
Maggio 1890, ma anche il discorso Per la Croce rossa (1890)
della scrittrice centese Maria Majocchi Plattis, conosciuta più
col nome de plume di Jolanda; non mancano poi pubblicazioni
relative alla vita universitaria, studi come quelli del giureconsulto Adolfo Sacerdoti, o encomi di grandi personaggi, quali
le Onoranze a Gioacchino Rossini nell’Archiginnasio di Bologna,
26 aprile 1893 (1893). Particolarmente signiicativa è la produzione di testate giornalistiche, serie e umoristiche.47 La cooperativa poté anche fregiarsi della stampa dei primi numeri
de «Il Resto del Carlino», testata poi acquistata dall’avvocato
Amilcare Zamorani, il quale nel gennaio 1889 si rese conto
che il giornale doveva contare su una tipograia propria e riuscì
a strappare alla Azzoguidi un veterano del mestiere che ne era
stato il direttore tecnico, Gaetano Albertazzi. Oltre alla pubblicazione del più famoso periodico bolognese, numerosi sono
i titoli che ci sono giunti con la sottoscrizione «Zamorani e
Albertazzi», un ampio ventaglio di proposte per offrire letture
al passo con i tempi. Lo dimostrano il libro di Anacleto Carlani
Del Risorgimento economico d’Italia: discorso di un Socialista (1894)
e La nuova telegraia: un’intervista col sig. Marconi di H. J. W.
Dam (1897). Non mancano la saggistica storica, alcune opere
letterarie e, naturalmente, pubblicazioni su commissione come
lo Statuto del Circolo fotograico bolognese (1900). Interessanti sono
i libri destinati all’infanzia, fra i quali Prime letture pei fanciulletti
della prima classe del professor Alessandro Graziani (1890) e Per
lo studio della musica nelle scuole elementari del musicologo Cesare
Dall’Olio (1895); per quanto riguarda la medicina, Zamorani e
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
Albertazzi furono referenti, per testi di
ginecologia e ostetricia, di autori quali
Bettino Pozzoli e Giovanni Pini.
Un mercato appetito
Fig. 3.
Copertina de «Il
Diavoletto» del 27
marzo 1860 con
vignetta satirica.
Nell’epoca in cui Bologna offriva
maggiori occasioni e più consolidati
rapporti con l’università, con la scuola
di ogni ordine e grado, con commesse pubbliche di ampio spessore, alcuni
imprenditori formatisi al di fuori delle
sue mura vi impiantarono la propria attività. Nel 1887, infatti, fece il suo ingresso a Bologna l’impresa fondata dal
tipografo-editore lombardo Giuseppe
Civelli.48 La ditta Civelli, nonostante la
morte del titolare, avvenuta nel 1882,
quando tuttavia già possedeva cartiere,
fonderie di caratteri e stamperie, si era
consolidata attraverso gli eredi mantenendo quasi inalterata la ragione sociale. La sua forza risiedeva
nelle dotazioni tecniche; basti pensare che fu l’unica tipograia bolognese ad essere segnalata nella rilevazione ministeriale
del 1887, perché in essa colpì la presenza di un motore a gas
di dodici cavalli. Va sottolineato tuttavia che anche questa fu
più tipograia che non casa editrice. L’impresa si caratterizzò per la stampa di modulistica ad uso delle amministrazioni pubbliche e private, soprattutto di quella ferroviaria, per
la quale deteneva la prerogativa di stampare l’orario; a questa
produzione si afiancarono testi di carattere sociale, come la
relazione di Giovanni Pastore Sui provvedimenti da prendersi nei
teatri per la pubblica incolumità (1891) e alcuni studi di Salvatore
Del Vecchio, professore di Statistica. Numerose le edizioni
specialistiche, sempre sorrette dalle amministrazioni, come la
Relazione sul commercio dell’Italia coll’India, 6 febbraio 1896-10
Maggio 1896 di Gualtiero Fries (1896), ma anche il «Bollettino
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Tipografi, editori, lettura
della Società di Mutuo Soccorso fra i commessi di commercio
della Città» (1896) e il «Bollettino degli impiegati delle istituzioni pubbliche di beneicenza» (1897). Interessante segnale
di apertura della Civelli è la stampa di un titolo in tedesco: si
tratta della traduzione di un’opera di G. Camillo Borgnino,
Abanderung zu den Metallenen Kupplungsmuffen in den Schlauchen
der Vacuum-Bremse: (system Hardy): Denkschrift.49 Riconducibile
all’attività editoriale della Civelli sono la pubblicazione di brani
per pianoforte e vocali di Alfonso e Disma Fumagalli e la collezione «Atlante Musicale», in cui furono inserite composizioni
del medico e musicista Pietro Lichtenthal.50
La città wagneriana per eccellenza,51 con la sua antica tradizione musicale, costantemente alimentata dall’ampia partecipazione alla vita teatrale, come testimonia il Catalogo uficiale della
esposizione internazionale di musica in Bologna,52 rappresentava un
centro assai importante per l’editoria specialistica53 e non è un
caso che verso la ine del secolo un altro forestiero, precisamente un triestino che già aveva iniziato una redditizia attività
editoriale in patria, entrasse in Bologna allo scopo di alimentare
maggiormente i propri trafici: Carlo Schmidl, iglio di musicista, critico, musicologo, che si fece editore a partire dal 1883.
Nel 1889 fondò il proprio stabilimento col nome di “Ditta C.
Schmidl e Co.”; in seguito acquistò i fondi di altre case, fra
cui l’editrice musicale di Cesare Baldin e la ditta A. Puccio di
Milano, lo stabilimento R. Maurri di Firenze e la ditta Luigi
Trebbi di Bologna.54 L’acquisizione del fondo di Luigi Trebbi è
databile al 1891, anno nel quale egli si sottoscrive “C. Schmidl
& Co. Trieste-Bologna”, ragione sociale che cambierà l’anno
successivo, dopo l’accordo con Achille Tedeschi, in “Edizioni
Schmidl & Tedeschi”, prima che la succursale bolognese passasse in proprietà al solo Tedeschi.55 Sono giunti ino a noi altri
titoli che confermano l’interesse della iliale bolognese unicamente nei confronti della musica: dall’edizione di partiture e
spartiti alle biograie, alla saggistica, alla manualistica, quale Lo
studio dell’estetica musicale del musicologo Tancredi Mantovani
(1892). Schmidl fu inoltre l’autore del fortunatissimo Dizionario
Universale dei Musicisti, edito per la prima volta dalla Ricordi di
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
Milano nel 1887 e oggetto di numerose ristampe; avviò poi
una biblioteca circolante di musica e costituì una ricca raccolta
storico-musicale, oggi parte fondamentale del Civico Museo
Teatrale triestino a lui intitolato.56
Fra i forestieri che operarono a Bologna vanno senz’altro ricordati anche i fratelli milanesi Emilio e Giuseppe Treves,
che già avevano fondato una libreria nella vicina Modena.57 A
Bologna essi acquistarono una libreria in via Farini, gestita dal
1892 dall’editore Pietro Virano, venduta poi a Luigi Beltrami,
quindi, nel 1906, ceduta a Cappelli. Annoverata fra le più prestigiose case editrici, la Treves era stata fondata nel 1861 da
Emilio; dal 1872 l’azienda si era giovata della collaborazione
del fratello del fondatore, Giuseppe, e si fece portavoce degli
astri nascenti delle lettere italiane: non esitò infatti a pubblicare
le opere degli scapigliati così come i lavori di Verga, nonché
il più grande best seller di ine secolo: Cuore di De Amicis.58
Fra i numerosi titoli promossi a Bologna nelle cui sottoscrizioni si legge “Fratelli Treves di Pietro Virano” oppure “Fratelli
Treves di Luigi Beltrami”, vi sono testi scientiici, di medicina
e di scienze agrarie, opere in lingua straniera e scritti per il costruttivo diletto delle fanciulle; non manca la saggistica storicosociale, quali i lavori di Emilio Cossa, docente di Economia
Politica, usciti sotto la conduzione di Virano. Appartengono
invece alla gestione successiva alcuni classici come le Odi di
Orazio in una traduzione in prosa di Carlo Rotondi (Luigi
Beltrami, 1898) e una vasta gamma di materie fra cui testi di
storia e saggistica storica, come ad esempio il Fallimento: retroscene del socialismo contemporaneo del giornalista Enrico Insabato
(1898) e l’Atlante del Risorgimento Italiano, con tavole cronologiche di Ugo Parmeggiani (1900) e opere di linguistica, quali
L’elemento Germanico nella Lingua italiana di Enrico Zaccaria
(1900).
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Tipografi, editori, lettura
Una sfaccettata figura di imprenditore: Gaetano Romagnoli
Ascrivibile a un’imprenditoria in sintonia con quanto avveniva nel Nord e nel Centro Italia è da annoverarsi l’attività di
Gaetano Romagnoli, operatore che dalla conduzione di una
libreria trovò terreno fertile per lanciarsi nell’editoria, caratterizzandosi per le sue profonde intuizioni e le abili strategie.
Romagnoli nasce a Bologna il 15 agosto 1812. Sposa Claudia
Pirotti, dalla quale ha due iglie: Erminia (1842-1893) e Lavinia
(1844-1920). Episodiche e frammentarie sono le informazioni sugli inizi della sua attività. Secondo le testimonianze di
Francesco Zambrini e di Bacchi della Lega,59 Romagnoli esordisce come legatore di libri e da un documento della Camera
di Commercio di Bologna si apprende che egli è iscritto nei
registri commerciali come “libraio” in dal 1849. Si specializza
nel campo antiquario in un’epoca in cui, come ha osservato
Flavia Cristiano,60 il commercio librario antiquario inizia a differenziarsi in modo più chiaro da quello d’assortimento: con
tale qualiica è citato nell’Elenco dei Tipograi, Editori e Librai
pubblicato sulla «Bibliograia Italiana» nel 1872. La sua fortuna sembra abbia avuto origine dalla vendita della famosissima
libreria dei marchesi Costabili di Ferrara nel 185861 e notizie
più esaurienti sulle sue strategie di libraio vengono fornite dalle
lettere ad Antonio Cappelli che era con lui in rapporti abbastanza conidenziali. Egli è per Romagnoli allo stesso tempo
un cliente (in quanto funzionario della Biblioteca Estense di
Modena), un consulente bibliograico, il tramite per rapporti
con altri clienti, studiosi e biblioili: il libraio bolognese è infatti sempre molto interessato a librerie private messe in vendita
nel modenese e Cappelli gioca il ruolo di intermediario nelle
trattative. Romagnoli ha poi una vasta rete di corrispondenti in
Italia e in Europa.62 Per dare visibilità al suo commercio, pubblica cataloghi di vendita, pratica molto diffusa tra i librai antiquari. Non sembra dapprima in possesso di una solida cultura
letteraria e bibliograica e per costruirsela si avvale dell’apporto
di vari esperti, in primo luogo di Zambrini e Alberto Bacchi
della Lega, bibliograi di squisite qualità. La sua bottega appare
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
quindi come un punto di ritrovo per biblioili ed eruditi non
solo bolognesi, un ponte gettato verso la sua conversione da
libraio ad editore: pur mantenendo viva la sua primitiva scelta
di lavoro, anticipa i tempi gloriosi di Nicola Zanichelli, che si
spegnerà nel 1884, stesso anno della sua morte.
Dal carteggio con Cappelli63 sappiamo con sicurezza che
Romagnoli nel 1850 è titolare di una libreria antiquaria a
Bologna.64 Come editore egli inizia a lavorare in particolare
prendendo in carico, a partire dal 1861, la Commissione pe’
Testi di Lingua di cui diventa dal 1863 l’editore uficiale, succedendo a Giuseppe Pomba. È questa una spia importante per
comprendere che anche Bologna si è attrezzata e non ha più
necessità di ricorrere ad operatori esterni. Il suo impegno cresce
negli anni successivi all’Unità e viene riconosciuto anche dal
governo che lo ascrive all’Ordine de’ Cavalieri della Corona
d’Italia e insieme con Zanichelli diviene membro – unico tra
gli imprenditori bolognesi – della Associazione tipograico libraria.65 La scalata al successo si interrompe nel novembre del
1883, quando viene colpito da grave malattia,66 così da indurre a subentrare nella gestione degli affari il genero Lorenzo
Dall’Acqua. Alla morte di Gaetano le due iglie conservano
l’azienda afidandone la conduzione a Lorenzo Dall’Acqua e
nel 1886, in seguito alla divisione dell’eredità tra le due sorelle Erminia e Lavinia, nascono due ditte ben distinte:67 la
“Libreria Antiquaria Romagnoli Dall’Acqua” (che continua ad
essere l’editrice della Regia Commissione pe’ Testi di Lingua)
e la “Libreria Erminia Romagnoli”.68 La storia di Romagnoli
è senz’altro fra le più signiicative del panorama della seconda
metà del secolo, quando le occasioni di stampa si moltiplicano
e investono il mondo della produzione e della distribuzione,
insieme congiunte. È l’editoria la branca in cui maggiormente si connota l’attività del Romagnoli, anche se va precisato che egli si muove all’interno di coordinate protette da una
committenza che agevola e sostiene il processo di produzione.
Esercita il suo intuito nel momento di scegliere i testi da pubblicare, e si muove abilmente, secondo valutazioni di mercato
e personali strategie editoriali.69
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Tipografi, editori, lettura
Il lavoro editoriale di Romagnoli è dunque legato principalmente alla Commissione per i Testi di Lingua:70 i primi due
volumi della collana maggiore della Commissione vengono
pubblicati dalla casa Pomba; in seguito la collaborazione viene
sospesa e, prolungandosi eccessivamente la trattative con l’editore Le Monnier, il presidente della Commissione Francesco
Zambrini decide di rivolgersi al Romagnoli, con cui pubblica il terzo volume della Collezione di opere inedite o rare. Nel
frattempo, sempre presso Romagnoli, dal 1861, Zambrini ha
intrapreso una collezione minore o semiuficiale da afiancare alla maggiore come appendice, dal titolo Scelta di Curiosità
inedite o rare dal secolo XIII al XIX. Come altri celebri editori a
lui contemporanei, quali Hoepli e Loescher, non dispone di
proprie attrezzature tipograiche e per le due collezioni della
Commissione l’imprenditore si afida principalmente alla tipograia Fava e Garagnani e alla Regia Tipograia, in misura
minore allo Stabilimento Tipograico Monti ed alla tipograia
Ignazio Galeati e Figlio di Imola. Dal 1868 su iniziativa di
Zambrini e sostenuto da Romagnoli, esce il giornale uficiale
della Commissione: «Il Propugnatore», periodico bimestrale, il
primo in Italia con un programma esclusivamente ilologico.
Tutte e tre le pubblicazioni vengono messe in commercio con
la nota e antica forma della sottoscrizione, ma la collezione
maggiore e il «Propugnatore» rivelano gravi dificoltà a trovare
un numero suficiente di associati per cui Romagnoli ottiene
che la Commissione acquisti come garanzia un certo numero
di copie.71 Diversamente la Scelta di curiosità, che è più agile nel
formato, meno austera nell’impostazione e completamente a
carico del Romagnoli, ha un esito commerciale più felice.72
Oltre ai cataloghi di vendita, Romagnoli si avvale di tutti gli
stratagemmi promozionali propri della commercializzazione
e della diffusione su larga scala, a cominciare dalla pubblicità
sui quotidiani. Analizzando i numerosi titoli del suo catalogo editoriale si deduce il particolare interesse per la letteratura
italiana dei primordi e per testi ilologici di buon livello: si va
dal Libro primo del tesoro di Brunetto Latini volgarizzato (1869)
ai Testi inediti di antiche rime volgari (1883), ino ai dieci vo-
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
lumi della Bibbia volgare: secondo la rara edizione del 1 di ottobre
1471, curata da Carlo Negroni (1882-1887). Romagnoli fu
inoltre editore di alcune opere di bibliograia, che costituiscono la grande artiglieria anche per le sale di consultazione delle
biblioteche, come la Bibliograia dei testi di lingua a stampa citati
dagli Accademici della Crusca (1878), condotta da Bacchi della
Lega e Luigi Razzolini e gli Annali tipograici dei Soncino, curati
dal noto biblioilo Giacomo Manzoni (1883-1886).
Con Romagnoli inisce la vicenda di un libraio che fece il
balzo nel mondo dell’editoria, pur senza calcare il più ambizioso percorso di Zanichelli e Cappelli. La dimensione di vera e
propria impresa caratterizzerà infatti la “moderna” professione,
con tutti i risvolti che essa comporta anche di spregiudicatezza
nei rapporti, nella ricerca di mercati, nell’attività di promozione. Si ribalta il rapporto produttivo: l’autore da committente
diventa cliente, mentre la politica di prezzi, costi e percentuali
va a bilanciare i fattori di rischio.
Nuove frontiere dell’editoria: Zanichelli e Cappelli
La fama delle case Zanichelli e Cappelli può sembrare a prima
vista legata soprattutto al mondo dell’editoria scolastica, in special modo alla manualistica. Fu sicuramente questo uno degli
aspetti editoriali nei quali entrambe le aziende raggiunsero importanti traguardi, anche se non fu l’unico. Per quanto riguarda l’istruzione, la legge Casati (1859) aveva consentito che nel
capoluogo emiliano si ampliasse la rete delle scuole elementari
e con la legge Coppino del 1877 era stato possibile assistere ad
un notevole sviluppo di tutti gli istituti, in particolare di quelli
di grado superiore. Questi ultimi ricevettero nuovo impulso
dando origine a scuole, anche femminili, che costituirono un
apparato scolastico in grado di ridisegnare l’istruzione classica,
tecnica e normale.73 A questi fermenti, come si è visto, non
rimasero estranei alcuni editori locali. Furono comunque in
primis Zanichelli e Cappelli che scovarono strategie per inserirsi nel mondo delle adozioni. Queste due nuove case, ambedue
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fondate da non bolognesi – modenese Nicola Zanichelli e romagnolo di Rocca San Casciano (presso Forlì) Licinio Cappelli
–, possono essere ricordate come quelle che aprirono la produzione libraria ai nuovi orizzonti dell’editoria nazionale, grazie
all’innato talento dimostrato dai fondatori e ad un’accorta serie
di scelte che permisero loro di avvalersi di collaboratori i quali
seppero rendere competitiva l’attività intrapresa con impeto e
slancio non comuni. Per ricostruire le strategie commerciali e il
protagonismo delle due case editrici non sarà inutile ripercorrere per sommi capi la vicenda personale degli ispiratori, che
come sempre è la storia di uomini che seppero farsi interpreti
della profonda evoluzione italiana. Partirono dalla collaudata
forma di librerie-editrici inaugurata a Bologna da Romagnoli,
e via via superarono la visione tradizionale del mestiere legata
ai soli nuclei famigliari.
La Zanichelli, fondata come impresa a gestione familiare da
Nicola, nato a Modena nel 1819, beneicia di una corposa
monograia dalle cui minuziose pagine è possibile ricostruire la personalità e parte del catalogo del fondatore, vero imprenditore che da Modena trasferì i suoi torchi a Bologna.74
Qualche notizia sui suoi esordi si coglie anche da un necrologio: in esso si ricorda che il «padre, semplice muratore, lo
collocò a dieci anni, come operaio, nella bottega di legatore
di libri, certo Garutti, dalla quale passò, nel 1839, in quella del
libraio antiquario Luppi».75 La prima libreria Zanichelli aprì i
battenti nel 1843 a Modena, a seguito dell’acquisto del negozio di “Vincenzi e Nipoti” ad opera dell’allora ventiquattrenne
Nicola, che nel frattempo aveva maturato una vera e propria
“vocazione” per la professione di libraio e aveva stretto con il
reggiano Giacinto Menozzi un sodalizio economico, dal quale
si sarebbe sciolto solo qualche anno dopo il trasferimento a
Bologna. «Figlio della nuova Italia liberale che veniva crescendo fra carceri e congiure»,76 il giovane Zanichelli negli anni
modenesi non esitò a farsi cospiratore e a creare nella sua bottega una sorta di “quartier generale” in cui si riunivano gli
intellettuali liberali, per lo più ilopiemontesi, e che ospitava la
redazione del giornale «L’indipendenza italiana», il cui titolo,
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
dopo Custoza, fu mutato in «Il Vessillo». Si dedicò persino
allo smercio di libri proibiti, deinito da lui stesso un «dovere
patriottico». A motivo di ciò, a partire dal 1849 il libraio fu
colpito da una lunga serie di severe restrizioni, multe, sequestri
e perquisizioni.77 Nel 1853 le autorità imposero una temporanea chiusura del negozio. Ciononostante, dal 1859 la libreria
modenese divenne la sede della Società Nazionale Italiana, e si
fece centro di raccolta delle informazioni relative alle operazioni militari. Dopo la temporanea chiusura della libreria per
ordine dello stesso Francesco V, durante il governo provvisorio di Modena, Zanichelli compì il passo che avrebbe segnato
la sua carriera: assunse infatti su invito del dittatore Luigi Carlo
Farini l’onere di pubblicare l’esplicita denuncia del malgoverno estense nei Documenti risguardanti il Governo degli AustroEstensi in Modena dal 1814 al 1859, raccolti dalla Commissione
apposita istituita con Decreto 21 luglio 1859 e pubblicati per ordine
del Dittatore delle Provincie modenesi, di cui diede alla luce ben
presto una traduzione francese. I volumi furono stampati a
Milano, a causa dell’inadeguatezza della strumentazione tecnica in dotazione di Zanichelli; ciò nondimeno l’editore ne
assunse la totale responsabilità «nel caso improbabile, ma allora
non ritenuto da tutti impossibile, d’una restaurazione».78 Un
esordio signiicativo, anche se il suo catalogo, almeno all’inizio, fu piuttosto povero; vi brillavano alcune eccezioni, fra cui
la prima traduzione italiana del celeberrimo studio Sull’origine
delle specie di Charles Darwin (1864), folgorante preludio alla
futura produzione scientiica. Desideroso di espandersi, nel
1866 trasferì la libreria a Bologna, dove aveva acquistato i locali
della Marsigli e Rocchi, situati sotto il loggiato del Pavaglione.
La tipograia restava per il momento nella città estense e solo
nel 1883 traslocò a Bologna, in Corte Galluzzi, ove col nuovo
secolo sarebbe stata aperta dalla Zanichelli anche una libreria antiquaria, iniziativa anch’essa sulla scia dell’esperienza di
Romagnoli. L’editore seppe gestire la sua impresa con intelligenza e passione. Azzeccato appare il motto che volle per la sua
azienda, quel «Laboravi identer» con cui si poneva l’accento
sulla iducia nel lavoro. Il simbolo che dal 1879 egli stesso de-
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siderò sui suoi libri fu l’eficace metafora del seminatore, che
univa la profonda adesione alla civiltà emiliana agricola con la
semina della cultura. E in linea con il fermo credo nel valore
del confronto, Zanichelli apriva la sua libreria a rappresentanti
di posizioni opposte, mentre, in occasione della visita uficiale
nella città emiliana dei sovrani, Umberto I e Margherita, nel
1878 fu uno dei pochissimi commercianti del Pavaglione che,
a dispetto della generale ostilità, espose la bandiera reale.
Il catalogo Zanichelli di questi anni si presenta ricco di pubblicazioni, la maggior parte delle quali legata all’ambiente universitario bolognese. Ma la casa editrice si prodigò anche per la
neonata editoria scolastica, nello sforzo di stabilire un contatto
fra gli studi universitari, quelli superiori e l’istruzione popolare.
La pubblicazione del giornale «Il Panaro», nel periodo compreso fra il 13 ottobre 1862 e il 13 giugno 1877, è ulteriore prova
di quanto Zanichelli si riconoscesse negli ideali propugnati dal
Fig. 4.
Marca tipograica della
Casa Editrice Nicola
Zanichelli in cui
compare il motto
«Laboravi identer».
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
periodico, come la lotta all’analfabetismo e il rinnovamento
scolastico. I nomi che si incontrano nel catalogo sono ancora
oggi di grande rinomanza: giuristi quali Giuseppe Ceneri e
Oreste Regnoli; economisti di valore quali Angelo Marescotti,
il mineralogista Luigi Bombicci, il geologo Giovanni Capellini,
l’archeologo Francesco Rocchi e Olindo Guerrini, i cui
Postuma sotto lo pseudonimo assai noto di Lorenzo Stecchetti
(1877) avrebbero costituito il primo best seller della casa bolognese.79 Fra tutti primeggia la igura di Giosue Carducci, ma
ci sono anche giovani come Corrado Ricci e Severino Ferrari.
Dal momento in cui Nicola riuscì a legare il poeta indissolubilmente alla propria casa editrice, Carducci ebbe continuativi e
frequenti rapporti con lui, anche se a volte si lamentò delle sue
insistenze.80 Per Carducci, Nicola pubblicò innanzitutto le Odi
Barbare – alla cui prima edizione (1877), che riscosse grande
successo di vendite, fecero seguito molte altre, le prime quattro
delle quali nell’arco di soli cinque anni – e le Nuove Odi barbare
(1882), che rappresentarono i prodromi per la pubblicazione
della sua opera omnia. Il poeta si dimostrerà valido collaboratore
e amico soprattutto dei igli di Nicola, Cesare e Giacomo, i
quali continueranno l’attività a seguito della morte del padre
(1884). La direzione dell’azienda passò dunque a tre dei cinque
igli di Nicola: a Carlo toccò la gestione tipograica, mentre
Cesare, il maggiore, curò la casa editrice e la libreria con l’aiuto di Giacomo, il più giovane. Morto prematuramente anche
Giacomo Zanichelli (1897), Cesare, rimasto solo e dovendo far
fronte ad un momento di crisi, nel 1906 favorì la costituzione
della Società anonima Zanichelli: la forma giuridica societaria
consentiva l’impiego di capitali di operatori non bolognesi – la
maggior parte di comune appartenenza ebraica – e avrebbe
risollevato le sorti dell’impresa, che negli ultimi anni non si
rivelava più tanto redditizia. Sullo stato di crisi della Zanichelli,
il «dissesto che minacciava il buon Cesarino» tanto da imporgli la cessione della ditta a Bemporad, fanno fede le parole di
Pascoli riportate da Mariù.81
Rapporti bancari e intrecci societari si materializzano nella conversione in Società anonima della casa editrice Nicola
Zanichelli, costituitasi a Bologna il 14 giugno dello stesso
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Tipografi, editori, lettura
anno, ricercata per risollevare l’azienda bolognese dalla precaria situazione inanziaria in cui versava, dopo che
Cesare Zanichelli, nel 1897, alla morte
del fratello Giacomo, ne aveva assunto
la conduzione.82 L’immissione di nuovi
capitali si rivelò di importanza vitale per
la sopravvivenza dell’impresa editoriale,
nonostante che la isionomia della casa
editrice ne uscisse snaturata: i fondatori
della società furono Enrico Bemporad
ed Emilio Treves, deinito da Giovanni
Papini «il padrone del mercato italiano»,83
con capitali personali o a loro direttamente legati. Il pacchetto di maggioranza
relativa quindi era detenuto dal gruppo
inanziario iorentino, rappresentato proprio da Bemporad, che aveva acquistato quote di partecipazione sia come singolo sia come casa editrice, e dall’avvocato
Guido Ravà, con un totale di 1.400 azioni su 4.000 di capitale
sociale; il gruppo milanese, formato da Emilio Treves e dalla
Banca Zaccaria Pisa, possedeva 1.200 azioni, alle quali vanno aggiunte le 100 di Eugenio Rignano, che aveva sposato
la iglia del banchiere Sullam; il capitale di origine bolognese era così ridotto a sole 500 azioni, di cui 250 appartenenti
a Cesare Zanichelli, 100 alla Società Zamorani e Albertazzi,
editrice proprietaria del più inluente giornale locale, «Il Resto
del Carlino», 50 al matematico Federigo Enriques, e le rimanenti a personaggi legati, in vari modi, allo stesso «Carlino»,
come ad esempio Giulio Padovani, inventore del nome del
quotidiano bolognese.84 In sede di costituzione della società fu eletto il consiglio di amministrazione, che rispecchiava
gli equilibri di potere tra gli azionisti: presidente fu nominato
Alberto Dallolio, liberale moderato, ex sindaco di Bologna (dal
1891 al 1901) e futuro senatore, che rappresentava la continuità con la direzione editoriale di Cesare Zanichelli; la carica di
vicepresidente fu assegnata a Emilio Treves, che realizzava il
proposito, lungamente perseguito, di essere, seppur in modo
Fig. 5.
Ritratto di Cesare
Zanichelli.
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
indiretto, editore di Carducci;85 Bemporad assunse la carica di
amministratore delegato, spingendosi, negli anni, ad avocare a
sé il controllo pressoché totale dei poteri decisionali. La forte
consonanza di intenti e di vedute di Bemporad con l’editore
milanese si staglia netta in dal verbale della prima seduta del
Consiglio di amministrazione. È Bemporad infatti ad affermare
che «desidera di avere, nella conclusione dei contratti editoriali
la cooperazione del Com. Treves, e ciò non solo in omaggio
alla grande esperienza ed autorità in materia del V. Presidente,
ma anche a diminuzione della propria responsabilità e per
l’utile maggiore dell’azienda sociale», proponendo che «per la
conclusione dei contratti editoriali debba essere interpellato il
Com. Treves», la cui approvazione è «necessaria».86
Gli altri esponenti chiamati a far parte del consiglio erano
Luigi Rava, Guido Ravà di Firenze, Augusto Righi, l’avvocato Giulio Vita, che svolse le funzioni di segretario e lo stesso Cesare Zanichelli, al quale venne conferita, su iniziativa di
Bemporad, una procura speciale per svolgere l’ordinaria amministrazione.87
L’editore iorentino puntò subito ad acquistare l’azienda Nicola
Zanichelli, compresi il magazzino, la libreria, la carta, le attrezzature, oltre ai diritti d’autore e alla ragione sociale, esclusa la
tipograia, rilevata dalla ditta Zamorani e Albertazzi.88
Il reticolo delle alleanze e degli interessi economici tracciato
dal iorentino Enrico Bemporad diventa sempre più evidente
e si materializza nel tentativo di egemonizzare la realtà editoriale bolognese: sul inire del 1906 Bemporad entra infatti come azionista e consigliere anche nella Società anonima
“Stabilimento Poligraico Emiliano”, nata dalla trasformazione
della Società Tipograica Zamorani-Albertazzi, che, ricordiamo, pochi mesi prima aveva fatto parte della cordata nell’operazione Zanichelli. Le parole dell’editore iorentino, verbalizzate in sede di Consiglio di amministrazione nel gennaio del
1907, rivelano la svolta imprenditoriale intrapresa nella gestione della casa editrice e la sua politica economica:
Bemporad informa il Consiglio come nel novembre 1906 si
è costituita in Bologna la Società Anonima “Stabilimento
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Poligraico Emiliano” con capitale di L. 500.000 in tante azioni
di L. 100: questa società ha per iscopo l’esercizio dell’industria
tipograica e l’edizione di giornali, ed ha già assunta la vecchia azienda Zamorani e Albertazzi. Egli crede che alla nostra
Società sia conveniente di acquistare azioni dello Stabilimento
Poligraico Emiliano, non solo perché l’azienda è rimunerativa, ma anche perché a noi conviene avere una ingerenza tanto
nella tipograia, che eseguisce la maggior parte dei nostri lavori,
quanto nel giornale cittadino «il Resto del Carlino».89
Nel 1911 Bemporad, dopo aver accennato in via uficiale90 a
«divergenze di vedute» fra lui e l’amministratore delegato dello
Stabilimento Poligraico Emiliano Sanguinetti, sorte probabilmente in relazione alle trattative in corso per il passaggio della proprietà del quotidiano bolognese, che in quei mesi stava
per essere ceduto ad un gruppo di azionisti clerico-moderati,91
vende le azioni detenute dalla Zanichelli con una perdita di lire
5.000. Questa vicenda rappresenta indubbiamente una prima
incrinatura nel rapporto iduciario tra Bemporad e il consiglio,
che fa nascere voci di dissenso e critiche verso la politica editoriale dell’amministratore delegato, arroccata in un atteggiamento deinito troppo “prudente”. Nonostante che nello stesso anno il presidente Dallolio avesse proposto e fatto approvare
una delibera che gli attribuiva «tutte le facoltà di gestione e di
rappresentanza che già tacitamente gli furono conferite mediante la nomina ad amministratore delegato»,92 Bemporad subisce qualche attacco. In particolare Eugenio Rignano, a capo
della società di autori che promosse la nascita della «Rivista
Scientiica. Organo internazionale di sintesi scientiica», edita dalla Zanichelli a partire dal 1907,93 direttamente coinvolto
nella gestione della casa editrice come consigliere, sollecita a
più riprese una «maggiore produzione e produzione più organica».94 Va comunque rilevato che la politica editoriale e inanziaria della Zanichelli, negli anni di direzione di Bemporad, è
condotta all’insegna della norma di «stampare poche opere e
buone»,95 e presenta bilanci sempre attivi proprio grazie all’atteggiamento accorto dell’amministratore delegato, che tenta di
far fronte alle dificoltà col «restringimento di ogni affare editoriale già in corso ed astensione da affari nuovi».96
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Ancora nel 1911 Bemporad ribadisce la propria linea editoriale
e si raccomanda a Cesare Zanichelli afinché vengano eseguite
scrupolosamente le sue istruzioni:
Se avessi potuto fare a meno del mio assegno semestrale non
avrei insistito per averlo; per cui fate pure lo sconto alla Banca
Pisa come d’accordo.
Ricevo molto volentieri lo specchietto che vi ripromettete
di fare, ma spero che con qualche lieve sovvenzione potremo
riuscire a superare questi mesi senza ricorrere all’espediente
dell’aumento del capitale.
È indispensabile però non assumere nuovi impegni editoriali;
per cui vi prego, insieme allo specchietto degli impegni mandarmi anche lo specchietto dei lavori assunti e di tutti i lavori in
corso. È cosa che mi preme sopra tutto e di capitale importanza.
Sacriicherò la speranza d’ingenti guadagni futuri al benessere
presente dell’azienda.97
A partire dal settembre del 1914, intravede i problemi che attanagliano l’editoria a causa del conlitto bellico. Il verbale riferisce sull’intervento dell’amministratore delegato: «[…] la grande crisi inanziaria cagionata dalla guerra europea si ripercuoterà anche sull’andamento della nostra azienda», queste le sue
parole. Passa poi ad esporre i provvedimenti presi «per diminuire o smobilizzare i crediti, e per non impegnarsi in soverchi
acquisti o in imprese editoriali che richiedano rilevanti mezzi
inanziari», non senza porre il dito sulla vera piaga che la guerra
in corso proila: «le adozioni di nostri libri nelle scuole erano
molto promettenti; ora resta a vedersi se le scuole si apriranno
regolarmente».98 La Società anonima fu dunque egemonizzata
da Enrico Bemporad, che ne fu consigliere delegato e azionista di maggioranza. Socio di minoranza, ma assai inluente
per la notorietà di cui godeva all’epoca, fu Federigo Enriques,
il noto matematico. Sulla centralità del ruolo di Enriques si è
soffermata Annamaria Tagliavini, cogliendo le innovazioni del
grande matematico che «in un’epoca […] dominata dall’idealismo crociano e dall’attualismo gentiliano sceglieva invece di
mantenersi fedele a ciò che restava del progetto positivistico
e di sottolineare l’importanza di una rilessione ilosoica che
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fosse in larga misura partecipe dei progressi della conoscenza
scientiica».99 Il catalogo di Zanichelli si arricchì di numerose
sue opere: dai Problemi della scienza (nel 1906 la prima edizione, quindi la seconda due anni più tardi e una revisione di
quest’ultima nel 1909) al saggio Scienza e Razionalismo (1912).
La scelta di abbracciare il mondo dell’editoria scolastica relegò ai margini titoli di “diversa umanità”: in numero inferiore furono i testi umanistici e non furono trascurate neppure occasioni storiche, di cui è prova un discorso dello storico
Nerio Malvezzi per il centenario della nascita di Cavour. Non
mancarono collane in cui pubblicarono personalità del calibro
di Augusto Righi, Giacomo Ciamician e Augusto Murri: fra
queste si ricordino «Attualità scientiiche», nata nel 1907, e la
«Biblioteca di opere scientiiche»; fra le testate «Scientia»; il
«Periodico di Matematiche», dirette entrambe da Enriques e la
«Rivista di Psicologia», dal 1919. Compaiono altresì i più importanti lavori di Albano Sorbelli, non solo studioso di punta,
ma direttore del glorioso Archiginnasio.
La gestione Bemporad, durata ino al 1917, diede vita ad un
periodo lorido, favorito dalle riforme dell’età giolittiana, cui
corrispose una espansione dell’area commerciale con l’apertura
della libreria antiquaria nella frequentatissima via Indipendenza,
col rilevamento della Reber di Palermo, librerie che tuttavia
non diedero i frutti sperati. Dal punto di vista editoriale, invece, i successi furono tanti, a cominciare dal buon esito della
collana «Biblioteca di cultura popolare» che incontrò molte
aspettative.
Differenziata e accorta fu la politica dell’azienda nei confronti
dei diritti d’autore; Bemporad riservò lauti diritti agli autori di
volumi scolastici.100 A Sorbelli, per esempio, il quale nel 1912
terminava la pubblicazione del manuale Storia d’Italia, di cui
si conoscono numerose ristampe, la Zanichelli offrì il 17% sul
prezzo di copertina. Da un confronto dei prezzi dei prodotti
librari italiani negli anni ’10 del Novecento si evince che il
costo delle edizioni Zanichelli si presentava piuttosto in linea
con quello imposto dagli altri editori: i manuali Hoepli costavano attorno al 1910 una lira e cinquanta e i più costosi, nel
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1912, non raggiungevano le otto lire, i Canti di Castelvecchio
di Pascoli (1910) la Zanichelli li metteva in vendita a quattro
lire.101
Pur circondata dal plauso dei contemporanei, la casa editrice
bolognese non fu immune da critiche scaturite da una certa
spregiudicatezza con cui Cesare, si dice, trattasse alcuni collaboratori. Piuttosto adirato nei confronti del «Signor Zanichelli»
si mostra Alberto Bacchi della Lega, per molti anni segretario
particolare e idato consigliere di Carducci, nonché intellettuale di notevole levatura, non ancora ben messo a fuoco dagli
studi bibliograici.102 In una lettera a Corrado Ricci, Bacchi
lamentava che il signor Zanichelli lo aveva «congedato… come
l’ultimo dei mascalzoni».103 Rivolgendosi sempre a Ricci, lo
studioso forniva precisazioni sull’opportunismo dell’editore,
capace di lusinghe verso chi in un dato momento gli riusciva
di qualche utilità, per poi voltargli le spalle allorché non avesse più bisogno.104 Lo stesso Pascoli, il quale molte sue opere
diede alla casa editrice Zanichelli, non dimostrò sempre piena iducia nei suoi vertici.105 Le impressioni negative non impedirono comunque che proprio alla maggior casa bolognese
Mariù consegnasse tutto il materiale della postuma princeps dei
Carmina pascoliani. Zanichelli fu bersaglio anche di pareri negativi della concorrenza alla quale tentava di portar via autori
importanti. Parole durissime furono quelle di Attilio Vallecchi,
che nel 1916 aveva rilevato lo Stabilimento tipograico Aldino
e che come imprenditore commerciale si era attestato a livelli
alti stampando anche per la Libreria della Voce, dopo essere
entrato in società nell’omonima Società anonima cooperativa.
Così si esprimeva con l’intellettuale Giovanni Papini in merito
ad alcuni suoi colleghi, non senza forte acredine: «Bemporad,
Zanichelli e Treves – scrive Vallecchi a Papini nel novembre
1916 – igure poco simpatiche, conosciute per usuraie, destinate a scomparire dagli alti scanni che occupano; […] da tempo diminuite di importanza». Vallecchi era legato da amicizia
a Papini, ma anche da un sodalizio professionale a cui non
voleva rinunciare per colpa delle «tre faine», per non chiamarle
«iene».106 Il tentativo della Zanichelli di assicurarsi le opere di
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uno scrittore di fama come Papini rientra probabilmente in
un piano di intervento inalizzato a superare un’altra crisi nella
quale l’impresa bolognese correva il rischio di precipitare: non
solo i motivi bellici attanagliavano l’editoria italiana ma, nello
speciico, la morte di Emilio Treves (gennaio 1916), cui fece
seguito quella dello stesso Cesare Zanichelli (febbraio 1917), e
le dimissioni rassegnate da Bemporad dalla carica di consigliere
delegato, creavano un vuoto dificile da colmare. In tale situazione di incertezza, il presidente Dallolio propose la nomina
di un direttore generale: la scelta cadde su Oliviero Franchi,
anch’egli vero e proprio self-made man che aveva ricoperto vari
Fig. 6.
Frontespizio dei Carmina
di Giovanni Pascoli, edito
postumo da Zanichelli
nel 1914.
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Fig. 7.
Frontespizio di Anima di
Tommaso Nediani del
1906, in cui compaiono
Licinio Cappelli e Luigi
Beltrami quali proprietari
della ditta Zanichelli.
ruoli nell’azienda da quando, nel 1892,
era stato assunto come commesso di
libreria. Franchi seppe muoversi con
notevole dinamismo imprenditoriale:
infatti, nel 1918, l’impresa si estese in
altre città italiane, come Padova, dove
acquistò la libreria Drucker, e Trieste,
dove, in accordo con la Treves, apriva
un nuovo negozio e rilevava l’antico
esercizio Schimpff. Nel 1919 l’azienda aderì all’Anonima Libraria Italiana,
a cui partecipavano i Treves, Utet e
Barbèra; nello stesso anno la Zanichelli
si assicurò il pacchetto azionario di
maggioranza della iorentina S. A.
Tipograica editrice dei Successori
Le Monnier e nel 1920 partecipò alla
società della Cartiera di Valle Olona.
Franchi dunque rappresentò, nel torno di tempo che vide l’incombere del
primo conlitto mondiale e il dificile dopoguerra, la guida necessaria per
condurre l’impresa ad alti traguardi.
Un passo indietro aiuterà a capire come anche la Cappelli si
fosse dapprima legata alla Zanichelli. Prima della crisi che l’impresa Zanichelli dovette affrontare, il nome di Cappelli igura
in alcune sottoscrizioni. Poco prima della costituzione in società della Zanichelli, vi fu il vano tentativo di un salvataggio
“autoctono”, testimoniato dalla sottoscrizione su alcune opere del 1906, in cui si legge: «Ditta Zanichelli di L. Beltrami
e L. Cappelli». Qui dunque entra in scena Licinio Cappelli:
giuntagli per caso all’orecchio la notizia che Cesare Zanichelli
era interessato alla vendita della libreria con l’annessa tipograia e casa editrice, Cappelli aveva preso accordi con Luigi
Beltrami, gestore della libreria Treves e all’epoca suo socio, per
rilevare l’attività e condurla ino allo scioglimento del rapporto societario, imputato per lo più a una manovra da parte di
un gruppo inanziario guidato da «un Bemporad»; al termine
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della collaborazione avrà luogo il sostanziale
cambiamento di forma giuridica dell’azienda
stessa.107 Ma chi era questo «montanaro», nel
quale l’accorto Cesare ripose la sua iducia e
la cui operosità si arresterà solo nel 1952, alla
sua morte, lasciando una ditta avviata ai propri igli? Licinio Cappelli nasceva nel 1866
in un paesino del forlivese.108 Figlio d’arte,
tenne le redini della tipograia del padre
Federigo a partire dal 1880, quando rimase
orfano; all’epoca l’impresa non navigava certo in acque tranquille: benché Licinio avesse
«messo insieme una certa praticaccia di tipograia»,109 poteva conidare solamente su un
torchio piuttosto datato (del 1747), poche
casse di caratteri e una tagliatrice, mentre
doveva fare i conti con un grave deicit di
70.000 lire. La passione del lavoro non scoraggiò il giovane tipografo di provincia. Solo
nel 1890 Licinio poté acquistare una macchina stampatrice a pedale e una a tavoletta, mentre se ne procurò una seconda, dieci
anni dopo, quando il genere di lavoro «da
commerciale si era tramutato prevalentemente in editoriale».
Fin dagli esordi, la sua produzione fu caratterizzata da una certa
varietà di proposte. Nel 1883 aveva ottenuto l’esclusiva per la
strenna Fra sorelle in appendice alla rivista «Mamma»: primo
prodotto editoriale di Cappelli. Gli esordi furono una durissima esperienza, complici la cospicua mole del lavoro e i tempi
strettissimi imposti dai committenti. Ad accrescere il suo catalogo fu poi la scelta di pubblicare nel 1884 l’Almanach héraldique
et drôlatique del nobile Goffredo di Crollalanza, fondatore del
«Giornale Araldico Genealogico e Diplomatico» e dell’Accademia Araldica Italiana, nonché affezionato amico di Licinio:
a suggello di questa amicizia basti pensare al nome del terzo
iglio di Cappelli, chiamato proprio Araldo.110 Di Giovanni
Battista Crollalanza l’editore stampò anche i tre celebri volumi
Fig. 8.
Frontespizio dell’Almanach héraldique et drôlatique
di Goffredo di Crollalanza
del 1884.
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del Dizionario storico blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane
estinte e iorenti, di cui sono note numerose ristampe.111 Seguì
la fondazione di fortunate collane, fra cui la «Collezione di
letteratura amena» e la «Biblioteca della Roma letteraria», fra
gli autori della quale annoverò l’allora poco conosciuta Grazia
Deledda con L’ospite (1898). Sicuramente destinata ad una più
ristretta élite fu la collana «Archivi della Storia d’Italia» fondata
da Mazzatinti. A quell’epoca, Licinio Cappelli era già entrato
nell’ambiente bolognese, ma il suo ingresso uficiale nella città
risale solo al 1913, quando rilevò da Luigi Beltrami la ex libreria Treves, di cui divenne unico proprietario: l’anno seguente
trasferì lì anche la casa editrice mentre in terra romagnola resterà con il solo stabilimento tipograico.112 Il primo decennio del
nuovo secolo fu comunque denso di impegni per la Cappelli,
che curò soprattutto la letteratura per ragazzi, la storia letteraria e naturalmente l’editoria scolastica:113 fra le più rilevanti
collane, vi è la «Enciclopedia scolastica» (fondata nel 1910, si
protrasse sino agli anni ’20) e la «Biblioteca dei classici latini nel
testo e nella versione» (nata nel 1912); dopo la guerra vide poi
la luce la «Collana di testi ilosoici e pedagogici», fondata nel
1924 da Rodolfo Mondolfo e Giuseppe Saitta; l’anno seguente
si afiancò un’altra collezione: i «Classici nostri», dove si pubblicavano testi teatrali e traduzioni di diversi commediograi.
L’editore non trascurò le collezioni per i ragazzi, come quella
sorta nel 1905 e costituita da commedie brevi, «Sul palcoscenico. Commedie per fanciulli», o la «Biblioteca dei ragazzi»,
nata nel 1911, in anni di piena consapevolezza che un nuovo
soggetto entrava nel panorama culturale italiano: l’adolescente
scolarizzato. La Cappelli dedicò particolari cure alla letteratura
rivolta al pubblico femminile, anch’esso tassello importantissimo nel mosaico dei nuovi lettori, avendo rilevato dai iorentini
Ademollo la rivista per signorine «Cordelia», ino al 1911 diretta da Ida Baccini; a partire dal 1911, in questo settore Cappelli
puntò soprattutto sulla personalità di Jolanda (Maria Majocchi
Plattis),114 la giornalista centese che diresse «Cordelia» ino al
1917 e che espresse una profonda consapevolezza del nuovo
ruolo della donna nella società moderna. Cappelli, inoltre,
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facendo afidamento sulla sua preziosa collaborazione, decise di lanciare una collana di letture scelte per le giovinette,
la «Biblioteca scelta di Cordelia ad uso delle Signorine», che
poi divenne più semplicemente «Biblioteca della Signorina».
Molte delle fortunate opere jolandiane vi rivestirono un ruolo
di rilievo: motivo d’orgoglio fu, ad esempio, il romanzo Le tre
Marie che, inizialmente pubblicato sulla rivista, ebbe complessivamente una tiratura di centomila copie, toccando la dodicesima edizione. Tutto il lavoro della scrittrice si rivelò assai
vantaggioso per l’editore, persino quello speso nelle recensioni
da lei condotte su «Cordelia», sotto lo pseudonimo di Viola
d’Alba.115
Letteratura scolastica, quindi, ma anche d’evasione furono le
proposte dell’editrice Cappelli, la quale, durante la guerra, afiancò al suo nutrito catalogo una nuova branca di studi: la
medicina. Allo scoppio del primo conlitto mondiale, infatti,
l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna aveva registrato un
notevole aumento di pazienti, per lo più feriti e mutilati provenienti dal fronte: ciò aveva procurato un veloce e signiicativo progresso nella scienza ortopedica. Si avvertì ben presto
la necessità di diffondere tali scoperte e fu perciò che lo stesso
Vittorio Putti, grazie al quale si era rilevato tale incremento di
studi medici all’Istituto Rizzoli, convinse Cappelli a pubblicare
il periodico «La chirurgia degli organi di movimento», il cui
primo numero uscì nel settembre 1917. Tale pubblicazione si
distingueva non solo per la novità dei contributi raccolti, ma
anche per la inconsueta veste editoriale: fu scelta una copertina
di colore giallo-arancione, che certo non passava inosservata,116
espediente paratestuale importante, al quale Cappelli dedicava
grande attenzione. Egli inaugurava così la sua fortunata stagione
di pubblicazioni mediche, che si sarebbe poi fregiata di celebri
autori come Giovanni Cavina, docente di Patologia e Clinica
Chirurgica, e dell’ortopedico Alessandro Codivilla; negli anni
’20 l’editore giunse poi alla pubblicazione della collezione diretta al grande pubblico: la «Collana medica Murri» con inalità esplicitamente divulgative. Accanto a questa produzione,
numerose riviste specialistiche registravano fra i collaboratori
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anche insigni nomi dello Studio bolognese, come Giacinto
Viola, successore del celebre Augusto Murri e fondatore nel
1921 del periodico «Archivio di Patologia e Clinica Medica».
La Cappelli pubblicava anche collane monograiche, come la
«Collezione medica di attualità scientiiche» e «Monograie
dell’Istituto Rizzoli», nata nel 1921. L’interesse di Cappelli nei
confronti della medicina fu di certo la ragione che lo spinse
a costituire negli anni ’20 una sala di consultazione relativa a
queste tematiche, situata al piano superiore della sua libreria. Si
parla dell’iniziativa nella rubrica Notizie de «L’Archiginnasio»
nel 1926: nel periodico bolognese si sottolinea la rapidità con
cui lo schedario riusciva a fornire un’accurata e aggiornata bibliograia su qualsiasi argomento di medicina.117
Sempre caratterizzata da un certo “eclettismo” fu l’azione di
Cappelli: nel 1930, infatti, Arnoldo Mondadori affermava che
Licinio, suo collega ed amico, «nel dar vita alle sue pubblicazioni, non si è mai voluto preiggere una linea prestabilita, un
programma deinito e preciso»; è «nata così una serie di pubblicazioni le più disparate e quasi sempre fortunate».118 In pieno
accordo con Mondadori su questo argomento, Attilio Frescura
deiniva Cappelli «un editore che, senza speciico programma, si
è dato a stampare di tutto, illudendosi sempre (è cinquanta anni
che s’illude, ma le illusioni qualche volta – e questo è il caso –
portano alla prosperità) di aver trovato il romanziere destinato
al grande successo». Frescura mira a evidenziare anche il buon
senso dell’editore, pronto ad ascoltare la timida voce di autori
sconosciuti.119 Proprio questo “iuto” condusse Cappelli a portare a termine una delle sue più importanti imprese come talent scout: la pubblicazione nel 1923 di un romanzo inconsueto,
scritto dal triestino Ettore Schmitz sotto lo pseudonimo di Italo
Svevo, ovvero la prima edizione dell’opera La coscienza di Zeno,
pietra miliare della letteratura italiana. A onor del vero, l’editore
si mosse con cautela nella pubblicazione di questa novità.120
Licinio subì anche la censura propria del periodo fascista: è il
caso della terza edizione di Sulle orme di Marx dell’illustre storico della ilosoia Rodolfo Mondolfo (1923), che uscì in due
volumi, di ciascuno dei quali furono tirate duemila copie, di
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cui ben mille nel ’34 furono mandate al macero. La stessa vita
familiare di Licinio è l’icona delle sue capacità di trasferire il
proprio bagaglio d’esperienze ai suoi successori. Si sposò nel
1887 con Antonietta Casanti, da cui ebbe sei igli, quattro dei
quali furono da lui stesso indirizzati alla professione di editore,
con l’accortezza di spingere ognuno a una diversa specializzazione: Federico diresse le Arti Graiche Cappelli a Rocca
San Casciano, Umberto la produzione di argomento medico,
Araldo la produzione per la scuola mentre Carlo Alberto si occupò dell’organizzazione generale. In occasione dei festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario dell’attività di Cappelli
(1930), Ulrico Hoepli in persona giungerà a manifestare profonda ammirazione nei confronti dell’editore romagnolo e della sua discendenza,121 tanto ben preparata professionalmente da
garantire una certa continuità all’azienda anche dopo la morte
del fondatore, che aveva lasciato in eredità alcune importanti librerie aperte ormai da tempo a Trieste, Bolzano, Milano,
Roma e Napoli. Una vita, quella di Licinio Cappelli, che ben
incarnò il motto petrarchesco da egli stesso voluto sui suoi libri, «Col buon voler s’aìta», a completamento dall’emblema del
ragno, umile «modello di diligenza e di pazienza, di temperanza e di saviezza, di pertinacia e di metodicità».122
Abbiamo percorso le vicende di tipograi ed editori nel lungo arco temporale che dalla ine del XVIII secolo arriva al
Novecento. Vediamo ora di completare il panorama librario
analizzando il versante della lettura.
2. Lettura
I librai autentici
Si contavano numerosi i librai nel Settecento. Si erano installati
a Bologna perino personaggi francesi del calibro dei Bouchard,
nativi del Delinato che, con altri provenienti dal medesimo
centro, come è stato opportunamente messo in luce,123 divenuti stanziali dopo la calata dalle Alpi, avevano aperto bottega
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
dapprima a Firenze nel 1735 per poi espandersi con iliali e
varie diramazioni famigliari a Roma e successivamente nella seconda città dello Stato pontiicio. Joseph Bouchard aveva
scelto Bologna per inaugurarvi una rivendita di libri in società
con Joseph Guibert, anch’esso chiaramente di origine francese, e con il quale aveva stretto rapporti a partire dal 1758. La
solidità economica di Guibert è ampiamente provata dai documenti della Societé Typographique de Neuchâtel, da cui il
libraio si riforniva di testi in lingua francese. Nel 1773 così
si esprimeva un uomo di iducia della ditta elvetica, Charles
Tribolet: «A Bologne une seule bonne maison qui merite votre attention est celle de M. Joseph Guibert, au quel j’ai fait le
possible pour accrocher une bonne commission». Strettosi in
società con Bouchard, Guibert passerà il testimone a Michel,
nipote di Joseph Bouchard. Questi resterà ancorato alla città e
solo dopo gli anni ’90 Giovanni Angelo, della medesima famiglia, deciderà di spostarsi oltre l’Appennino: è ancora in vita
a Bologna nel 1814, mentre è attiva la bottega dei Cousins
Bouchard.124
La spola fra Firenze e Bologna è una testimonianza di quanto
all’epoca il centro emiliano fosse prescelto in particolare per la
circolazione del libro transalpino di cui i librai originari della
Francia erano i più decisi importatori e diffusori, indirizzandosi
a una clientela che non trascurava libri illuministici, la quale si
approvvigionava prevalentemente di opere dei più importanti
dibattiti d’Oltralpe. L’“infranciosamento” era di casa anche a
Bologna.
Verso la ine del Settecento i librai costituiscono una realtà
composita e altamente signiicativa a riprova che nella città
grande è l’impegno per l’arricchimento delle raccolte private
dei maggiori intellettuali. Distribuiti, nella stragrande maggioranza, lungo la via del Pavaglione in prossimità delle Scuole
– antica consuetudine dal valore anche simbolico – i librai
svolgono un’attività intensa nei confronti di privati e di istituzioni: lungo il corso del secolo si contano più di trenta esercizi.125 Dalle maglie assai strette di questa realtà emergono alcuni
personaggi che, pur non essendo “igli d’arte” ma formati sul
campo dopo un lungo apprendistato, rivelano nella conduzio-
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Tipografi, editori, lettura
ne delle loro botteghe una mentalità che potremmo deinire
moderna, con slanci nei confronti della nuova borghesia. Se
Carlo Trenti126 e Giuseppe Lucchesini,127 librai quasi interamente dediti alla vendita di materiale librario e solo in loro
età tarda votati a ibridare le conduzioni delle rispettive librerie
afiancando ad esse l’attività di editore e di stampatore, possono ancora ascriversi a igure del passato nonostante varchino
entrambi il secolo, vi sono altre personalità sulle quali vale la
pena soffermarsi. È opportuno sottolineare che anche fra questi
imprenditori va fatta la sostanziale distinzione fra coloro che
lavorano prima dell’Unità d’Italia e altri che operano quando
le occasioni di smercio si moltiplicano.
Fra coloro che investono quasi tutto sul mercato del libro, un
caso, esemplare in proposito, è quello di Antonio Marcheselli
che occupa la scena libraria bolognese ino agli anni ’30 dell’Ottocento.128 Animato da molti interessi personali, fra i quali una smodata passione per il volo
aerostatico, lo sport elitario dell’epoca, e da intenti professionali sicuramente eccessivi, viene
dalla gavetta. Dapprima garzone interno alla
bottega del libraio-stampatore Luigi Guidotti,
dopo un periodo di apprendistato Marcheselli
divenne ministro nella bottega del libraio Carlo
Trenti. Trenti come Guidotti, fra i personaggi nuovi ed emergenti nel settore librario a
cavaliere fra Sette e Ottocento, devono aver
contribuito non poco alla dimestichezza che
Marcheselli acquisì nel commercio librario, più
ancora che nelle imprese tipograiche ed editoriali, côté che quasi mai frequentò rimanendo
nel novero dei librai autentici. Nel 1790 si rese
autonomo, acquistò numerose librerie private
del tempo e si gettò a capoitto nell’«amministrazione della libreria dalla Volpe». Fece però
il passo più lungo della gamba perché l’affaire
Dalla Volpe gli procurò gravi dissesti economici, tanto che ancora nel 1810 Marcheselli si
Fig. 9.
Volume con etichetta
della libreria di Antonio
Marcheselli in cui compare anche il prezzo del
volume.
737
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
trovava in causa con gli eredi dell’enorme patrimonio volpiano. Il passo falso, unitamente alla volontà di espandersi rilevando anche la libreria Trenti, ebbe ripercussioni tali da fargli
dichiarare il fallimento alla ine degli anni ’20 e costringerlo a riparare in Svizzera. Se questa è in sintesi l’avventura di
un libraio di qualità ma di eccessive ambizioni per Bologna,
va sottolineata la sua capacità di rapportarsi a tutto il mondo
intellettuale, per mezzo di sodalizi con i maggiori esponenti
della cultura locale, fra i quali il conte Francesco Rangone,
ottimo diffusore dei cataloghi migliori della propria città, cui
non esitò a chiedere aiuto per arricchire la propria biblioteca, e
la contessa Cornelia Martinetti, coltissima e affascinante musa
bolognese del Foscolo: la nobildonna si rivolse a Rangone per
ottenere alcune opere del poeta Paolo Costa, che all’epoca si
pubblicavano a Firenze.129 Il conte ebbe altresì contatti con
Vieusseux, con il quale intrattenne un rapporto privilegiato per
la diffusione delle riviste del ginevrino, e stabilì contatti con i
maggiori bibliotecari del tempo. Fu tramite per Leopardi di invii che all’illustre poeta pervenivano da altre realtà. Strinse un
solidale scambio con Annesio Nobili, ancor prima che il tipografo-editore, che aveva scelto Bologna come città d’elezione,
iutasse i tempi e decidesse di spostarsi a Pesaro. Tornando a
Marcheselli, va sottolineato che negli anni ’20 la sua libreria è
la più cospicua della città e che il suo assortimento è specchio
di una dotazione di notevole rilievo, paragonabile ad altre di
centri di indiscussa notorietà. Il Catalogo parziale della Libreria
d’Antonio Marcheselli in Bologna elenca infatti quasi 2.500 volumi, provenienti da tutta Europa, in un arco temporale che
va dal XV secolo al 1829.130 Complessivamente, si evidenzia
un’accurata copertura bibliograica, oltre a una rilevante quantità di libri dei primordi della stampa. Il fatto che tutto ciò non
abbia salvato Marcheselli dal tracollo inanziario signiica che le
dificoltà proprie del settore, e sempre latenti in chi tenta operazioni sovradimensionate, erano particolarmente legate alla
Bologna del primo Ottocento, come peraltro abbiamo visto
per i tipograi e gli editori.
Estremamente ricchi si presentano i cataloghi degli anni 1852
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Tipografi, editori, lettura
e 1854 di Carlo Ramazzotti, la cui bottega era nella centrale
via Farini. Il libraio offre un’ampia gamma di prodotti risalenti specialmente ai secoli XVII e XVIII e alcune cinquecentine. L’attenzione del biblioilo è poi catturata da un’appendice al catalogo del ’52, recante la Descrizione di due libri
stampati da Aldo, dove la prima delle opere in questione, la
Introductio utilissima hebraice discere cupientibus, è deinita «sconosciuto libretto ebraico e latino perfettamente conservato e
di grandissimo pregio, composto da 16 carte», mentre la seconda presenta testo in greco con traduzione latina;131 poco
rappresentata, invece, l’editoria ottocentesca, che si concentra
sulle opere scientiiche e storiche.132 Ramazzotti metteva a disposizione dei lettori una notevole varietà di argomenti e, per
quanto riguarda i luoghi di edizione, prediligeva l’Italia per
opere in italiano e latino, mentre l’editoria straniera consisteva prevalentemente in testi in lingua francese. Si hanno così
esemplari preziosi come gli Statuta et privilegia almae universitatis
Iuristarum Gymnasii Bononiensis (Bononiae, 1561) all’interno di
un oceano di titoli di argomento letterario, storico e ilosoico,
come il curioso quanto all’epoca diffuso Essais historiques sur
la vie de Marie-Antoinette Reine de France (Londres, 1789), in
aggiunta alla importante editoria secentesca di cui è esempio
l’opera Cogitationes de S. Scripturae Stylo, stampata a Colonia
nel 1662. L’amore per i classici che tanto aveva iniammato la
Bologna del primo Ottocento sembra invece qui scemare, vista
la scarsa offerta dei greci e latini, per lo più nelle traduzioni di
Giovanni Marchetti. Eloquente è la rubrica Manuziana de «La
Biblioilia», in cui ci si scaglia contro Ramazzotti e altri librai,
compreso Romagnoli. Circa un esemplare delle Annales de
l’imprimerie des Aldes (3me édition) di Antoine Auguste Renouard,
Giacomo Manzoni precisava che «del libraio bolognese Carlo
Ramazzotti è la nota ms. che precede il supplemento, ed è,
bibliograicamente, di nessun valore, imperocché tanto Ulisse
Guidi che ha dato il proprio nome agli Annali dell’Ariosto e
del Tasso, e che tanto presumeva, quanto Gaetano Romagnoli,
per le cui mani sono passati tanti libri eccellenti e rari, e Carlo
Ramazzotti che ancor vive (1887) erano inetti a stendere sen-
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
satamente anche una sola nota bibliograica. E tutto ciò che
va per le stampe a nome loro, è debolissima fattura d’altri».133
Le accuse di imperizia nel campo bibliograico non furono
l’unica ragione a determinare il volume d’affari ridotto. L’atto
di cessione della libreria all’indomani della morte di Ramazzotti
(1890) denuncia un capitale fra mobili e libri di 2.925,60 lire;
una parte del negozio fu nella stessa occasione rilevata da un
certo Ernesto Martelli che dichiara «di aver esso per proprio
conto intrapreso il detto commercio dei libri in Via Farini N.
25 lettera C».134 Un libraio, dunque, avvertito, i cui investimenti denunciano però una certa iacchezza propria di altri
operatori del settore.
I gabinetti di lettura
Un’altra iniziativa dei librai si afianca a quella tradizionale, ancora prima dello schiudersi dell’Ottocento: animati da
nuovi impulsi distanti dalla ritualità dell’offerta di vendita, gli
esercenti del commercio librario permettono in molte città, a
Livorno poco oltre la metà del Settecento, il nolo dei volumi, andando incontro così alle esigenze di una popolazione
in crescita e desiderosa di letture di facile apprendimento non
legate alla necessità dell’acquisto. Carlo Giorgi, ad esempio,
noto tipografo della città labronica, nel 1765 dava a prestito a
pagamento libri e giornali, mettendo a disposizione dei “letterati” un’apposita stanza di lettura.135 Il fenomeno, assai diffuso
in Francia già nel XVII secolo come rivelano alcune pagine
di Chartier,136 ha origine nell’antica pratica del commodatum.
Per quanto poco sia stato studiato – molte tracce in luoghi
diversi si rinvengono nei lavori di Mario Infelise –, esso è stato
opportunamente rilevato anche per la Bologna della ine del
Settecento. Pietro Stanzani, libraio di letteratura anche dialettale, così si rivolgeva al pubblico nel 1797 dalle pagine del
«Monitore bolognese», sostenuto ancora dai cugini Bouchard
prima che il periodico passasse nel 1798 ad Antonio Nerozzi,
editore anche del «Caffè»: «Romanzi moderni, ed altre storie
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Tipografi, editori, lettura
piacevoli si annolano a un baiocco il giorno dal cittadino Pietro
Stanzani librajo sotto il portico della Morte».137 È il prodromo
per tramutare il nolo in una tassa per la lettura interna e a domicilio di nuovi stabilimenti letterari, quali saranno i gabinetti
di lettura e le società letterarie che a Bologna si scorgono solo
nei primi anni della Restaurazione, in anticipo tuttavia rispetto
a più compiute realizzazioni come quelle di Firenze, in gran
parte tributarie delle analoghe esperienze francesi e delle circulating libraries di marca anglosassone. Sui gabinetti bolognesi di
lettura è necessario tuttavia fare delle precisazioni. Non tutti
sono simili a quelli francesi, che nei primi dell’Ottocento, solo
a Parigi, ammontavano a cinquecentoventi unità secondo una
stima uficiale138 e che nacquero per sopperire alle esigenze della piccola borghesia desiderosa di apprendere attraverso il loisir
collectif senza eccessivo esborso di denaro. A Bologna in particolare si possono individuare tre diverse forme, tutte animate
da differenti seppur in parte coincidenti obiettivi.
L’esperienza che maggiormente si può ricongiungere a inalità proprie di ilantropismo democratico è quella sostenuta da
Francesco Tognetti, intellettuale spinto da motivi culturali di
avanguardia, espressione della nuova società. Tognetti, che in
età di rivoluzione si era creato una mentalità e una coscienza
laiche, e che passerà quasi indenne dalla Repubblica allo Stato
pontiicio, nel 1814 apre un gabinetto di lettura in una zona
strategica della città, vicino al Teatro del Corso coninante con
l’omonimo albergo che nel 1825 ospiterà Leopardi in viaggio
per Milano. Il gabinetto di lettura di Tognetti non ha ini di lucro. Consapevole delle profonde motivazioni insite soprattutto
nella diffusione dei periodici sia italiani sia stranieri, veicoli del
nuovo sentire e mezzi importanti per la formazione dell’opinione pubblica, dal suo osservatorio di redattore dapprima del
«Giornale del Dipartimento del Reno» e in epoca restaurata di
direttore della «Gazzetta di Bologna», offre dal suo gabinetto,
con modica cifra a carico dei lettori, una pluralità di testate.139
Che l’intento di Tognetti, a differenza di altre iniziative analoghe, fosse quello di sopperire alla mancanza di luoghi deputati
alla lettura dei fogli, senza curarsi di conseguire beneici econo-
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
Fig. 10.
Numero del 14 luglio
1789 della «Gazzetta di
Bologna».
mici dalla sua impegnata realizzazione, si
ha prova quando fu costretto a sprangare
i battenti della illuminata esperienza che
si consumò nel giro di poco più di un
anno. Le autorità restaurate infatti operarono un giro di vite e indirizzandosi a
Tognetti, ingiustamente deinito «libraio», lo costrinsero alla chiusura di una
iniziativa fra le più nuove e certamente
non di “mercato” quale fu il suo gabinetto. In risposta alla lettera del nuovo
governo, Tognetti non esiterà a prendere le distanze dalla sfera del commercio, in cui le nuove autorità lo avevano
volutamente collocato, esprimendosi così in una lettera al cav.
Greppi, aggiunto del delegato apostolico: «La prego […] di
cancellarmi dall’Elenco de’ Librari non intendendo per questo
di domandare cosa che sia contro alle vigenti ordinazioni, alle
quali mi professo subordinato. Siccome questo Gabinetto niuna fonte di guadagno mi reca non comprendo la concorrenza
dei lettori col pagamento della tenue corrisposta per seduta a
soddisfare alle molteplici spese del mantenimento di detto istituto, così non parmi doveroso che abbia a soggiacere ad alcun
peso che potesse essere imposto alla classe de’ librai cui per
nessun titolo appartengo».
Ed è proprio la “classe dei librai” ad assumersi l’onere del doppio binario commerciale: vendita dei volumi secondo i canoni tradizionali e afitto di quelli che maggiormente riscuotono
l’attenzione di vecchi e nuovi lettori, cui ci si rivolge con dovizia di proposte che vanno in particolare dai romanzi alla amena
lettura, non senza il coinvolgimento operato dai fogli periodici,
i veri protagonisti anche dei gabinetti di lettura gestiti secondo
quest’ottica solo dai librai. In questo modo si circoscrive la
clientela, si preservano gli esemplari destinati alla vendita, ci si
avvicina alle inalità proprie di molte altre esperienze straniere
volte a promuovere la lettura in molti strati della popolazione,
con offerte differenziate fra quelle che maggiormente contri-
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Tipografi, editori, lettura
buiscono al bisogno di conoscenze di un’utenza formata da più
ampi strati sociali. Seppur non numerosi, sulla scia di quanto
avviene a Firenze con il Gabinetto scientiico e letterario del
Vieusseux, animato da vero spirito imprenditoriale, anche a
Bologna cominciano a contarsi i gabinetti di lettura allestiti e
condotti da librai a cominciare dal 1823, anno che segna una
svolta nella storia culturale bolognese, nonostante d’ora in poi
prenda avvio un controllo più repressivo del governo e la censura faccia maggiormente sentire il suo peso.
Si caratterizzano per essere imprenditori nuovi il iorentino
Gaspare Cipriani e il bolognese Francesco Calegari che aprono
il loro gabinetto di lettura il primo luglio del ’23, negli stessi
spazi che furono di Tognetti, mettendo a disposizione dei lettori, dietro versamento di una modesta cifra, numerosi fogli,
prevalentemente esteri, molti dei quali non presenti neppure
nella Pontiicia Biblioteca Universitaria. Il modello è quello
del Vieusseux. Non a caso Cipriani è imprenditore di editoria
musicale e l’unione con Calegari è prova della necessità di associarsi a personalità che abbiano per così dire il polso delle esigenze locali. I fogli francesi, ma soprattutto quelli inglesi, sono
inoltre la testimonianza, come peraltro avveniva per Firenze,
del fatto che il gabinetto forniva l’occasione anche ai “forestieri” di incontrarsi in un luogo che offrisse letture diverse
rispetto alla monotonia delle gazzette. Viene messo in consultazione un importante nucleo di testate, 36 fogli che spaziano
da quelli più propriamente “politici” – dal «Sun» al «Morning
Chronicle» – a quelli più scientiici e letterari fra i quali si
stagliano la «Biblioteca Italiana» e la ginevrina «Bibliothèque
Universelle», ino ai periodici propriamente femminili come il
«Figurino di Vienna» e «Il Corriere delle dame con igurino» di
Milano. È questo il modello del vero gabinetto di lettura che
troverà successiva realizzazione, nel 1824, grazie a Giuseppe
Lanfranchini «libraio in Bologna» con la nascita di un nuovo
stabilimento dove «provvedere si possono de’ libri, che istruttivi essendo, abbisognano, ma perché costosi non si potrebbero
da tutti acquistare»: libri, cioè, «che dilettevoli essendo fanno
passare piacevolmente le ore di ricreazione».140 L’esperienza si
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
lega alla precedente, ma con risvolti che privilegiano i libri a
scapito dei fogli giornalistici la cui attualità, a Bologna come
anche a Napoli, desta il sospetto delle autorità, che guardano ai gabinetti di lettura con molta difidenza.141 Il Catalogo
di Lanfranchini e i suoi supplementi142 sono parchi di testate
di periodici, fra i quali troviamo il «Bollettino Universale di
Scienze, Lettere, Arti e Politica» e «Il Caffè, o sia brevi discorsi
distribuiti in fogli periodici dal Giu. 1764 a tutto il Mag. 1765»
(Milano, 1804); si rivolge con prudenza agli associati denunciando a chiare lettere che i libri proibiti si rilasceranno solo
a coloro che, muniti di speciale licenza, potranno prenderli a
prestito o leggerli in sede; privilegia la cosiddetta “buona lettura” con un occhio attento ai libri per le donne e sulle donne,
le quali, nel mosaico dei lettori, cominciano a costituire tessere
di notevole importanza. Testimonianza di ciò potrebbe essere la massiccia presenza delle opere dell’allora popolarissima
Madame de Genlis, autrice francese di lavori riguardanti per lo
più il tema dell’educazione e della morale, come Alphonsine, ou
la Tendresse maternelle (Paris, 1810) oppure Adèle e Théodore, ou
Lettres sur l’éducation (Paris, 1822); un’opera come la Biblioteca di
famiglia, ovvero lettura dilettevole, istruttiva e morale per la Gioventù
(Milano, 1822), poi, non lascia dubbi sugli intenti didattici del
gabinetto; vi igurano classici anche contemporanei, come i foscoliani Prose e Versi, l’Adelchi manzoniano, entrambi in edizioni
milanesi del 1822, numerosi romanzi, racconti, libri di viaggio,
fra cui il Viaggio all’interno dell’Africa fatto negli anni 1795, 1796
e 1797 dal Signor Mungo-Park (Milano, 1816), e una pletora
di memorie storiche con insistenza di testi di autori bolognesi
(i Manfredi, Francesco Albergati Capacelli e numerosi altri)
che rappresentano una notevole batteria. Bisogna menzionare
anche l’importante collana parigina degli anni 1817-22 delle
«Beautés de l’histoire» (de l’Empire Germanique, des Espagnes,
d’Amérique…), di cui Lanfranchini aveva acquistato le traduzioni italiane pubblicate a Napoli. Il gabinetto si compone di
oltre seimila volumi con una piccolissima appendice di libri,
soprattutto romanzi, in lingua inglese, fra cui prevalgono le
opere di Sir Walter Scott, senza dimenticare classici come The
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Tipografi, editori, lettura
Poetical Works di Alexander Pope (Paris, 1782) ed i Selected Plays
di Shakespeare in un’edizione avignonese del 1802: un’offerta
sicuramente di rilievo che a Bologna non troverà più analoga
corrispondenza in altre realizzazioni né a quelle date né oltre.
Va altresì rilevato che un terzo livello è costituito da iniziative
analoghe collocate in alcune società di lettura e intrattenimento. Differiscono sostanzialmente dalle esperienze di Tognetti e
dei librai, perché non prevedono alcuna quota da parte degli
iscritti; perché sono in nuce le biblioteche delle numerose associazioni; perché si rivolgono ad un pubblico rappresentato dai
propri adepti; perché non sono il frutto dell’iniziativa privata
di un singolo. È il gabinetto di lettura della Società del Casino,
il circolo ricreativo più rilevante della città che, agli inizi del
1823, si sposta nella nuova sede di palazzo Bolognini, ora
Salina Amorini, e offre «i fogli più accreditati tanto politici che
letterarj», come denuncia il suo statuto. Fra i soci fondatori, gli
esponenti più in vista del mondo cittadino; non più solo nobili,
ma anche intellettuali borghesi: alla società aristocratica, infatti, saranno assimilati i notabili borghesi. Sono tutti nomi illustri: Massimiliano Angelelli, Giuseppe Mezzofanti, Francesco
Sampieri e di certo non da ultimo Francesco Tognetti, che
porterà sicuramente il suo contributo all’organizzazione della
diffusione dei fogli nei locali della Società. Anche le società
più specialistiche, quali quella Medica Chirurgica, istituita già
a partire dal 1802, apre ai soci la consultazione di periodici prevalentemente scientiici dotandosi, nel 1827, di un gabinetto di
lettura nato per l’intrattenimento dei suoi iscritti. Sono forme
nuove di sociabilità che avranno poi il loro riverbero in numerose associazioni, anche letterarie, e troveranno spazio nei caffè
e nei salotti femminili nei quali al piacevole conversare seguiva
spesso la lettura ad alta voce.143
Verso il “popolo”
L’acculturazione degli strati meno abbienti, senza inalità di
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
lucro, trasmigra poi nelle biblioteche popolari, che a Bologna
dovranno attendere l’inizio del Novecento per vedere una loro
più compiuta espressione e affermazione. Le biblioteche popolari che si affermano subito dopo l’Unità, e per le quali tutti
gli editori e i tipograi-editori si attrezzano dando luogo a cataloghi o a semplici liste dell’offerta libraria, sono luoghi, come
si sa, volti ad incontrare il lettore-lavoratore nei suoi spazi di
apprendimento, di ricreazione e anche di aggiornamento professionale. Numerosissimi i titoli di questo particolare settore culturale che coinvolge l’utente anche per meglio renderlo
consapevole del suo apporto al processo produttivo. Milano,
Torino e Firenze brillano per i loro cataloghi rivolti a questo
pubblico, oltre che alle donne che, come si è visto, costituiscono un’altra importante fonte di ricezione del libro popolare.
Su questa linea della diffusione del libro a livello popolare si
inserisce a Bologna l’esperienza delle cosiddette «biblioteche
circolanti», i cataloghi di due delle quali sono conservati presso la Biblioteca dell’Archiginnasio. Tali biblioteche, coeve –
entrambe datano il loro inizio nel 1874 – benché di diversa
ispirazione culturale, sono quella laica della Lega Bolognese144
e la cattolica San Tommaso d’Aquino.145 La Lega Bolognese
per l’Istruzione del Popolo fu un’iniziativa culturale di ampio respiro inalizzata all’estensione dell’alfabetizzazione attraverso la cultura popolare, grazie anche all’istituzione di ausili
socio-culturali, come una scuola materna ispirata al froebeliano
Kindergarten, tanto in voga nella seconda metà dell’Ottocento, e questa biblioteca circolante, avviata nel 1872. La Lega si
avvaleva dell’apporto di privati cittadini e di società di mutuo
soccorso o cooperative autonome, come la Società cooperativa
dei Compositori Tipograi e la Società di Mutuo Soccorso fra
i Tipograi ed Arti Afini. Nello studio di questo fenomeno è
bene sottolineare che, per citare D’Ascenzo, «i valori e i contenuti ideologici veicolati attraverso le attività di tale Lega, ed
in particolare della biblioteca popolare circolante, erano consoni alle matrici progressiste, positive e selfhelpiste della cultura
laica del tempo, non solo bolognese» e inoltre che «la Lega
Bolognese nacque proprio negli anni in cui era stata avviata
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Tipografi, editori, lettura
quella complessa opera di riorganizzazione della scolarità secondo il progetto laico e progressista-democratico della Giunta
Casarini».
Per quanto riguarda la biblioteca, l’idea innovativa fu quella di
fondere i patrimoni librari delle varie società appartenenti alla
Lega, di radunarli in un’unica sede, sotto una singola gestione. L’esordio registra la presenza in sede di 2.616 volumi che
poi, nel 1886, diventeranno 3.936, per raggiungere il picco di
5.715 unità nel 1878, anno a partire dal quale il loro numero
iniziò a diminuire senza un motivo apparente. Probabilmente
nel 1886 si pensò di chiudere la biblioteca perché occorreva
destinare i fondi alle istituzioni a favore dell’infanzia.146
Analizzando il catalogo del 1874, si nota che esso comprende in tutto 2.857 opere, fra le quali prevale l’editoria italiana
(soprattutto Bologna è ben rappresentata, ma anche altre città emiliane, oltre ai centri maggiori di produzione Milano e
Firenze) per lo più del sec. XIX, sebbene il Settecento non sia
del tutto assente. Suddividendo il patrimonio per argomento,
appare una massiccia presenza di titoli di «educazione, morale,
religione, ilosoia, politica, giurisprudenza, economia», fra cui
le opere di Muratori, Alieri e D’Azeglio, Gioberti, Gravina,
Marco Minghetti e Pellegrino Farini; non manca la contemporanea presenza della Morale di Confucio (Bologna, 1822) e di
santa Caterina da Siena, Leggenda minore e letture dei suoi discepoli
(Bologna, 1868), della collana «Scienza del Popolo: raccolta
di letture scientiiche popolari in Italia» e di Movimento cooperativo o le banche popolari tedesche e italiane e loro confederazione
dell’economista Francesco Viganò (Milano, 1873), indici di
una certa apertura di pensiero di cui la biblioteca voleva forse
farsi aliere. Piuttosto consistenti si mostrano anche le sezioni «storia, viaggi, geograia, statistica, ecc.» e «letteratura, romanzi, novelle, drammi, ecc.», entro le quali si menzionano
numerosi titoli di storia bolognese, primi fra tutti i lavori di
Salvatore Muzzi, gli Elementi di geograia e storia antica per le
scuole ginnasiali di Bemüller (Vienna, 1855), le opere di Dante,
Petrarca, Pietro Bembo, Ariosto, Fénélon, Alieri, Foscolo,
Paolo Costa, Giordani, Giovanni Marchetti, Pellico, Manzoni,
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
Nievo, Carducci e numerosi altri classici. Poco presenti testi in
lingua francese che a Bologna avevano avuto larga diffusione;
scarsi i classici latini e greci, ad eccezione di Omero, Sallustio,
Virgilio e Ovidio. Decisamente più povere sono invece le sezioni scientiiche e quella relativa ad enciclopedie, dizionari e
periodici: esse si limitano infatti ai nomi famosi di Bombicci,
per la mineralogia, e alla «Rivista bolognese: periodico mensuale di scienze e letteratura, compilato dai professori Albicini,
Fiorentino e Panzacchi» Anno I e II (Bologna, 1867-1868).
Grande assente nell’offerta della biblioteca circolante della Lega
Bolognese è la letteratura religiosa, che costituisce invece la più
consistente delle dieci sezioni in cui è suddiviso il catalogo della biblioteca circolante San Tommaso d’Aquino. In esso, contenente in tutto 2.091 opere, compare ad introduzione una lettera con la benedizione apostolica di papa Pio IX, il quale loda
l’iniziativa dei circoli bolognesi dedicati a San Petronio e San
Stanislao, fondatori della biblioteca, per il loro impegno volto
ad allontanare l’attenzione del pubblico dalle opere oscene allora in circolazione: nello Statuto dei soci è infatti sottolineato
che siccome lo scopo è «procurare al popolo e specialmente
alla gioventù dilettevoli e sane letture, atte a diffondere principii in tutto conformi alla Religione e alla Morale Cattolica»,
«tutti i libri saranno sottoposti alla Revisione Ecclesiastica, che
li munirà di apposito sigillo, oltre a quello della Biblioteca».
L’argomento religioso domina dunque incontrastato. Si va da
I sette dolori di Maria SS.ma che possono servire di considerazione
per ciascun giorno della settimana di mons. Paolo Babini, a Le
ottanta eresie del nostro secolo condannate dalla Chiesa di Roberto
Berlinghieri; da Della Carità Cristiana in quanto essa è amore del
prossimo. Trattato morale del Muratori, ai libri di morale, come
gli Ammonimenti cristiani e preghiere di mons. Giulio Arrigoni, al
manzoniano trattato Sulla morale cattolica e al saggio di Giuseppe
Melandri Il concetto di Maria SS.ma secondo Dante Alighieri.
Anche in ambito letterario si notano prevalentemente opere
ediicanti come moltissimi titoli di San Giovanni Bosco, oltre
ai Promessi Sposi, e a una purgata edizione della Secchia rapita
nel cui sottotitolo si legge: Poema eroicomico castigato ad uso della
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costumata gioventù. Anche gli altri campi del sapere mantengono
il comune denominatore religioso: se ne hanno esempi nella
sezione «viaggi, costumi, geograia» con Lavinio da Hamme,
Guida indicatrice dei Santuari e luoghi storici di Terra Santa, o in
quella di «storia, cronaca, memorie» con la Storia dell’Inquisizione e di alcuni errori alla medesima falsamente imputati del sacerdote Pietro Boccalandro. La linea educativa-moraleggiante si
rinviene pure nella piccola appendice di libri francesi: fra essi
Madame de Broglie, Les vertus Chrétiennes expliquées par des récits
tirés de la vie des Saints. Benché in numero nettamente inferiore, sono presenti anche alcune opere scientiiche fra cui gli
Elementi di chimica generale ed analitica per servire all’introduzione
allo studio dell’Agricoltura di Antonio Selmi.
Le iniziative volte a diffondere il libro in ampi strati della popolazione toccarono anche l’infanzia. Sul inire del secolo, come
peraltro si è visto, a seguito di una più estesa scolarizzazione,
si era assistito ad una esplosione dell’editoria scolastica anche a
Bologna, città nella quale si ridisegnò un circuito di scuole di
ogni ordine e grado.147 Vista la crescente importanza di questo
settore e sulla scia della tradizione delle biblioteche circolanti,
ai primi del Novecento partì da Ferrara per poi raggiungere
anche Bologna l’innovativo esperimento delle “bibliotechine
scolastiche”, nato su intuizione di Clara Archivolti Cavalieri,
di origine livornese.148 Avendo compreso la necessità di alimentare le scuole, in dalla infanzia, con un patrimonio librario
di alto valore morale ad uso dei fanciulli delle elementari, a
partire dal marzo 1905 la Cavalieri rivolse appelli alle donne
italiane al ine di raccogliere volumi destinati ai piccoli lettori,
che, una volta adulti, sarebbero stati in grado di usufruire delle
biblioteche popolari. A seguito della creazione di un Comitato
per le biblioteche circolari gratuite ad uso delle scuole elementari del Regno, che avrebbe dovuto servire il territorio
ferrarese, e dei pieni consensi che l’ispiratrice riscosse a livello
nazionale tanto da meritare il patrocinio della regina Elena,
l’iniziativa si estese in tutta Italia, grazie anche alla disponibilità
di alcune case editrici. Il mondo politico-culturale bolognese
appoggiò il programma della Cavalieri; specialmente Giuseppe
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
Tanari si adoperò perché si costituisse fra i bolognesi il nuovo
Comitato Centrale delle bibliotechine delle scuole elementari del Regno, tanto che nel 1908 l’associazione, formata da
membri residenti a Bologna, approvò un nuovo Statuto.
Nelle “bibliotechine” veniva iltrato il pensiero dei promotori;
è interessante analizzare il Catalogo sistematico per le biblioteche scolastiche, che la stessa Cavalieri aveva pubblicato nel 1906 e che
fu costituito essenzialmente dalla cosiddetta “narrativa pedagogica” contrapposta ai soli testi scolastici: spiccano classici come
i libri di Collodi e De Amicis, Verne e Salgari, ma anche Umili
eroi della patria e dell’umanità del giornalista Ettore Socci, Vite di
personaggi illustri raccontate alla gioventù di Luisa Cittadella Vigo
d’Arzere, riduzioni o estratti di scritti di grandi personaggi come
Mazzini, D’Azeglio e Pellico, quindi qualche titolo di tipo manualistico come Nozioni di igiene del biologo Giotto Bizzarini
e Lezioni di agricoltura moderna di Giovanni Bonsignori. Un secondo e più completo Catalogo ordinato e dimostrativo dei migliori
libri per fanciulli e giovanetti fu quindi pubblicato nel 1914, ancora
dalla Cavalieri che, con le dotazioni delle istituzioni per l’infanzia, intendeva affermare con sempre maggiore vigore l’intento
pedagogico sotteso alle scelte del catalogo.
Bibliofili e collezionisti
Al fermento nel commercio librario fa eco la costituzione di
importanti e a volte specialistiche collezioni private che, se non
è possibile appurare con certezza come e quando siano state
assemblate, sono prova del fatto che a Bologna si legge di tutto
o almeno ci si informa acquisendo materiale proveniente non
solo dalla città o da centri della penisola. È chiaro che diviene
impossibile, in mancanza di documentazione di supporto, riuscire a comprender quanto dei libri appartenga veramente agli
interessi di lettura dei possessori e quanto, invece, rientri nel
“furore” del libro così tipico della formazione di alcune raccolte presso le quali, non va dimenticato, giungevano via dono o
via scambio numerosi volumi per quel crocicchio di relazioni
che è proprio della formazione di molte biblioteche private.
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Tipografi, editori, lettura
Pochi esempi saranno suficienti a provare il complesso delle inclinazioni biblioile manifestatosi in città. Già nella prima
metà dell’Ottocento un personaggio non bolognese ma “trapiantato” a Bologna, e che comunque seppe ben apprezzare
le opportunità che la città offriva a livello culturale, organizzò
qui la sua ricca raccolta, forse in parte già precedentemente
costituita. Si tratta del principe Felice Baciocchi, sposato a Elisa
Bonaparte, sorella di Napoleone, il quale decise di vivere a
Bologna nel 1820, dopo la morte della moglie. Il catalogo della
biblioteca dei Baciocchi, già principi di Lucca e Piombino in
epoca napoleonica, datato 1834 e consistente in 7.374 volumi,
presenta una netta prevalenza di opere umanistiche, con particolare attenzione alle edizioni rare e preziose, alle quali è dedicata una sezione speciica: senza ombra di dubbio Baciocchi
fu un raccoglitore attento di materiale antico. Fra le perle del
suo catalogo si rilevano i Cronica di Eusebio (Venetiis, 1488) e
un Decamerone. Ricorretto in Roma ed emendato secondo l’ordine del
Sacro Concilio di Trento (Fiorenza, Stamperia Giunti, 1573). La
lingua francese domina incontrastata, specialmente in alcune
sezioni tematiche in cui è suddiviso tutto il patrimonio; persino opere e saggi celebri, in edizioni originale, sono conservati
nella loro traduzione francese (è il caso di Tom Jones ou l’enfant trouvé dell’inglese Fielding, pubblicato a Parigi nel 1804);
a questa ricchezza di unità librarie nell’idioma d’oltralpe aveva
contribuito di certo la vicinanza della moglie. All’interno della
cospicua offerta di titoli, si nota il vivo interesse dei Baciocchi,
forse più che di Elisa, per la storia politica d’Europa: troviamo
menzionata una lunga raccolta di storie delle repubbliche e
monarchie contemporanee; notevole doveva essere anche il
desiderio di conoscere terre lontane, indicato dalla presenza
non solo dell’Atlas Générale de Chine (Paris, 1785), ma da moltissimi titoli di Voyages (Terres Australes, Dalmatie, au Pole, Indes
Occidentales, dans les Pyrenées…), che accompagnavano l’amore
per la poesia e la letteratura collocati in una raccolta di certo
non tutta allestita a Bologna, ma quivi arricchita a partire dagli
anni ’20.149
Basta scorrere le donazioni pervenute all’Archiginnasio, biblio-
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
teca divenuta pubblica nel 1801, per trovare risposte che confortano l’assunto dell’importanza del centro emiliano riguardo
all’arricchimento delle suppellettili librarie dei suoi maggiori
esponenti culturali, che sicuramente si rifornivano anche nella piazza di Bologna. Signiicative appaiono le collezioni di
due famosi medici bolognesi, primari all’ospedale Maggiore
e brillanti studiosi presso l’Alma Mater: i professori Michele
Medici (1782-1859)150 e Giovanni Brugnoli (1814-1894),151
raccolte donate interamente o quasi alla Biblioteca pubblica
di Bologna.152 In entrambi i casi i luoghi di edizione dei libri posseduti sono per lo più italiani; fra le località straniere,
prevalgono le edizioni francesi (Parigi, Montpellier, Lione…)
ed anche Amsterdam è ben rappresentata: si rileva nella biblioteca di Medici la traduzione di uno studio di John Locke,
Essai Philosophique concernant l’entendement humain, nell’edizione
di Mortier (Amsterdam, Pierre Mortier, 1742). Dal punto di
vista contenutistico, la netta prevalenza è, ovviamente, di dissertazioni mediche, che vanno dai classici come la seicentina
londinese di proprietà di Medici The Anatomy of Humane Bodies
Epitomized (London, Flesher, 1682) all’Opera medica et anatomica
varia del celeberrimo anatomista Marcello Malpighi (Venetiis,
Andreas Poletti, 1743) posseduta da Brugnoli, all’editoria medico-scientiica più al passo con i tempi ed estremamente specialistica, fra cui le Questioni di medicina legale secondo lo spirito
delle leggi civili e penali veglianti nei Governi d’Italia di Giacomo
Barzellotti (Pisa, Prosperi, 1835) appartenuta a Medici e, addirittura, lo Studio sperimentale sul campo dell’ipnotismo di Krafft
(Milano, Max Kantorowicz, 1893), presente nella collezione
di Brugnoli. In particolare la raccolta di Medici può a buon
diritto essere deinita una biblioteca eclettica: sono rappresentate infatti le scienze naturalistiche (Michele Ferrara, Lettera
sull’analisi della cenere del Monte Vesuvio eruttata nel dì 16-17 e 18
Giugno 1794, Napoli, [1794]) così come la letteratura di molti
autori italiani, quali ad esempio Pietro Giordani, oltre a classici
quale il Decameron pubblicato ad Amsterdam nel 1665, edizione attribuita a Daniel Elzevier, le opere di Machiavelli e di
Giuseppe Parini, mentre, a sorpresa, piuttosto scarso è l’insie-
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me dei classici latini e greci –, con chiaro interesse per la storia
locale, la passione per i viaggi e per i medaglioni di personaggi
illustri. Curioso quanto, forse, rispondente alla cura di Medici
per i propri libri è il lavoro del bibliotecario Pompilio Pozzetti
Pensieri sopra un particolare insetto nocivo ai libri ed alle Carte e sopra
i mezzi da usarsi per liberarne le Biblioteche (Verona, Gambaretti,
1808), la cui presenza in un elenco tanto ben ordinato, fornito
perino di chiare istruzioni per la consultazione e della speciica
del compilatore – «Eseguito da Francesco Maldini e terminato
li 20 Febraio 1844» – di certo non stupisce. Preponderante è
comunque come si è detto l’inclinazione medico-scientiica,
documentata non solo dagli innumerevoli opuscoli contenuti nelle miscellanee, descritte in un catalogo a parte, e di testi già all’epoca datati, quale il trattato De Morbis Venereis del
medico Ioanne Astruc (Lutetiae Parisiorum, Cavalier, 1736),
ino ai dodici volumi del Codex Medicamentarius Europaeus
(Mediolani, Tip. Classicorum, 1823) e l’Elenco degli esercenti le
Arti salutari nella città e provincia di Bologna (Bologna, Tipograia
Governativa alla Volpe, 1846) di chiara utilità pratica.
Meno varia appare la raccolta di Brugnoli, che alla prevalenza
di libri di medicina afianca una forte presenza della cultura
religiosa, espressa in titoli che vanno da L’imitazione di Cristo in
un’edizione veneziana (presso Francesco Niccolò Pezzana del
1782), ino all’Ufizio della Settimana Santa e dell’ottava di Pasqua
(Lodi, tip. Orcesi, 1826). Non mancano, tuttavia, i Prolegomeni
del Primato Morale e Civile degli Italiani di Vincenzo Gioberti
(Lugano, Tipograia della Scienza Italiana, 1846) e le Montagne
e vallate del territorio di Bologna di Luigi Bombicci, nell’edizione bolognese di Fava e Garagnani del 1882. Scorrendo i titoli si ha comunque l’impressione di una biblioteca altamente
specialistica, entro cui la medicina, soprattutto della stagione
ottocentesca, regna incontrastata: dal trattato Des Maladies
Mentales di Esquirol (Paris, chez I.B. Baillière, 1838) a studi
di ginecologia, fra cui il saggio del chirurgo Giuseppe Colucci
Della Endometrite (Napoli, G. De Angelis, 1877), ino alla passione per la ricerca di Marcellino Venturoli, Il Bacillo Virgola
di Koch e la microscopia (Bologna, Tip. Arcivescovile, 1884).
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A testimonianza dell’interesse di Brugnoli per opere antiche e
di pregio, resta una lettera di Olindo Guerrini, direttore della
Biblioteca Universitaria bolognese, il quale nel maggio 1890 lo
ringraziava uficialmente per il dono di un prezioso incunabolo
dove erano riuniti in un solo volume il De veris narrationibus
di Luciano e la Bibliotheca historica di Diodoro Siculo nella traduzione di Poggio Bracciolini, stampato a Venezia da Filippo
Pinzi nel 1493 (IGI 5841), ancora oggi posseduto dalla biblioteca bolognese.153
Se gli spaccati di biblioteche in qui còlti sono quelli che riafiorano, scorrendo un volume sull’Archiginnasio,154 non si può
fare a meno di ricavarvi quanto e come, nell’arco di quasi due
secoli, la biblioteca civica bolognese si sia arricchita prevalentemente con donazioni di raccolte di insigni proprietari, assemblate specialmente nei secoli XVIII e XIX e su molte delle
quali sarebbe auspicabile ritornare: si ricordino i circa 25.000
volumi appartenuti al gesuita Antonio Magnani (1743-1811),
la libreria dell’artista Pelagio Palagi (1775-1860), arricchita di
numerosissimi oggetti d’arte, i 6.000 volumi e altrettanti opuscoli dello storico e archeologo Giovanni Gozzadini (18101887), offerti dalla iglia Gozzadina nel 1889, ma pervenuti alla
biblioteca solo nel 1902, senza scordare gli oltre 15.000 volumi, con pregevole sezione artistica, lasciati dal noto ilantropo
Carlo Alberto Pizzardi (1850-1922), in aggiunta alla rilevante
collezione della sua ava irlandese lady Soia Butler Mariscotti
(1769-1840), già da lui donata nel 1914.155
Appare dunque forte il senso civico avvertito dai bolognesi
volti ad incrementare ed aggiornare le più importanti biblioteche della città. All’Archiginnasio infatti fa da contrappunto
la Biblioteca Universitaria che custodiva la libreria e il museo
del celebre Ulisse Aldrovandi (1522-1605) – giunti come lascito testamentario al Senato di Bologna, che poi li cedette alla
biblioteca nel 1742 –, la donazione settecentesca del cardinale
Filippo Maria Monti (1675-1749) – composta da una libreria
erudita di 12.000 volumi e una preziosa quadreria di 403 ritratti di personaggi illustri – oltre a quella, ricchissima, di papa
Benedetto XIV, il quale volle offrire alla sua città uno spac-
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cato della propria collezione, allo scopo, secondo Di Carlo,
di allestire una «biblioteca universale». Con Motu proprio del 6
settembre 1754, infatti, il ponteice aveva aggiunto la propria
biblioteca privata alle raccolte dell’Istituto delle Scienze – le
cui linee culturali erano già state tracciate da Luigi Ferdinando
Marsili e il cui patrimonio librario avrebbe costituito il nucleo
primo dell’attuale Universitaria – al ine di offrire strumenti
per la ricerca in ogni campo dello scibile; nel 1755 imponeva poi agli stampatori bolognesi di consegnare alla biblioteca
un esemplare di ogni edizione e il 12 novembre 1756 aveva luogo la solenne cerimonia d’inaugurazione per l’apertura
al pubblico.156 Nuovamente arricchita con libri e manoscritti, grazie all’acquisizione di parte del patrimonio delle librerie
conventuali a seguito della soppressione del 1797 e nel 1866,
quando già era divenuta biblioteca dell’Università, l’Universitaria bolognese è anch’essa un ricchissimo deposito di collezioni pervenute per dono. Nel 1857 Pio IX le aveva offerto la
libreria poliglotta del cardinale Giuseppe Gaspare Mezzofanti,
da lui acquistata per 2.000 scudi. Numerose sono poi le raccolte private di docenti che conluirono, per lascito o acquisto,
nell’istituto culturale che più rappresentava il loro impegno e
la loro professione. Fra questi fondi, si menzionano quello di
Cesare Tarufi (1821-1902) di Teratologia e Anatomia patologica, gli oltre 1.000 volumi e 2.000 opuscoli del ilologo classico Vittorio Puntoni (1859-1926), la libreria del glottologo e
accademico d’Italia Alfredo Trombetti (1866-1929), l’archivio
di Pietro Ellero (1833-1933), professore di Diritto e Procedura
penale: spaccati librari che qualiicano ancor oggi il patrimonio
dell’Universitaria.157
Sembra pertanto pertinente chiudere l’excursus con una frase
dell’abate Gioacchino Muñoz (1777-1847), le cui raccolte pervennero alla municipalità bolognese, il quale così si esprimeva nel suo testamento conservato presso l’Archivio di Stato di
Bologna:
Non mancherà chi voglia opporre (ma sarà compatito) che i
libri sono capitali morti, come lo sono tutte le biblioteche; ma
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oltre ad essere un pregio ed onoriica magniicenza alle città e
alle nazioni l’avere copiose biblioteche; è un capitale vivissimo
e fruttifero, perché i libri sono quelli che contribuiscono alla
pubblica istruzione, rende educata ed utile la gioventù, e serve
alla cultura di ogni ceto di persone; e se non vi fossero libri al
mondo, la società sarebbe piena di ignoranti.158
Note
Desidero esprimere un affettuoso ringraziamento ai miei allievi Anna
Bernabè e Ivan Kasal per alcune importanti ricerche.
Ci riferiamo al percorso indicato ripetutamente da Roger Chartier
in numerosi saggi specialistici e, di recente, unitamente a Guglielmo
Cavallo, nella laterziana Storia della lettura in cui metodo e obiettivi di
ricerca sono stati riaffermati per una più vasta fruizione.
2
Sulla borghesia sia veda il saggio di Maria Malatesta.
3
È il caso di Giovanni Aldini, erudito di levatura europea, di Francesco
Orioli e anche del noto esponente della Scuola classica romagnola, Paolo
Costa, che a Bologna ebbe per un solo anno (1831) la cattedra di Scienza
ideologica.
4
Sulla cultura a Bologna nell’Ottocento e sui suoi protagonisti, si vedano: A. Battistini, La cultura umanistica a Bologna e G. Pancaldi, Gli scienziati, i ilosoi, la città, in R. Zangheri, Bologna, Roma-Bari, Laterza, 1986,
rispettivamente alle pp. 317-354 e pp. 355-387.
5
T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia Unita, Roma-Bari, Laterza,
1965, p. 81.
6
A. Alaimo, Le tipograie a Bologna nella seconda metà dell’Ottocento e
il caso della Compositori, in Editoria e Università a Bologna fra Ottocento e
Novecento, Atti del 5° convegno (Bologna, 26-27 gennaio 1990), a cura
di A. Berselli, Bologna, ISB, 1991, pp. 21-60. Si vedano anche i saggi di
Gianfranco Tortorelli ora ripubblicati in Il torchio e le torri: editoria e cultura
a Bologna dall’Unità al secondo dopoguerra, Bologna, Pendragon, 2006.
7
ASB, Notarile, Giuseppe Pedevilla, 14 maggio 1796 e alle date indicate.
8
Si veda in particolare P. Bellettini, Il Tricolore dalla Cispadana alla
Cisalpina: il Triennio Giacobino, Atti del Convegno di studi storici per
la celebrazione del bicentenario del Tricolore (Modena, 6-7 febbraio 1998), Modena, Aedes Muratoriana, 1998, pp. 185-207. Cfr. anche
Stampa periodica dell’età giacobina e napoleonica in Emilia-Romagna (17961815), a cura di A. Pesante, M.G. Tavoni, Bologna, Analisi, 1993.
9
Notizie dei stampatori, e librai per opera dei quali fu esercitata in Bologna la
stampa con il catalogo di molte loro produzioni. Opera di Bernardo Monti cittadino bolognese incominciata l’anno 1793 (BCAB, mss. B 1317-1320).
1
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Tipografi, editori, lettura
ACCB, Brighenti Pietro.
Per le vicende di Leopardi a Bologna rinvio al mio saggio, Un editore
e tre tipograie, in Leopardi e Bologna, Atti del Convegno di Studi per il
Secondo Centenario Leopardiano (Bologna, 18-19 Maggio 1998), a cura
di M.A. Bazzocchi, Firenze, Olschki, 1999, pp. 79-111 e al catalogo della mostra alla Biblioteca dell’Archiginnasio, Giacomo Leopardi e Bologna.
Libri, immagini e documenti, a cura di C. Bersani e V. Roncuzzi RoversiMonaco, Bologna, Pàtron, 2001.
12
La notizia deriva da F. Pasti, Un poliglotta in biblioteca, Bologna, Pàtron,
2006.
13
Al momento della consegna di questo lavoro è uscito il repertorio
Editori italiani dell’Ottocento, a cura di A. G. Marchetti, M. Infelise, L.
Mascilli Migliorini, M.I. Palazzolo, G. Turi in collaborazione con la
Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Angeli, 2004, che è
stato un buon sussidio di confronto per alcune biograie dei protagonisti
del libro bolognesi.
14
Lettera manoscritta di Nobili a Ranzani in data 15 maggio 1817,
BUB.
15
M.G. Tavoni, Un editore e tre tipograie, cit., pp. 97-99.
16
Per uno studio più dettagliato della igura e dell’attività di Annesio
Nobili, cfr. M.G. Tavoni, Lettura, libri e librai nella Bologna della
Restaurazione, in Ead., Libri e lettura da un secolo all’altro, Modena, Mucchi,
1988, pp. 79-162, in particolare pp. 109-120. In appendice al saggio
compare il testo integrale del rogito Cassani del 2 settembre 1824, recante l’intestazione: «Soccietà contratta fra li signori Annesio Nobili,
e Giacinto Fiori per l’esercizio della tipograia sotto la Dita Annessio
Nobili, e Compagno Giacinto Fiori in Bologna».
17
Cfr. M. Infelise, La nuova igura dell’editore, in Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, a cura di G. Turi, Firenze, Giunti, 1997, in particolare
p. 63.
18
AAB, Cancelleria ecclesiastica, cartone 597, n. 1, Minuta di circolare
diretta agli stampatori e tesa al lamento per l’inosservanza del versamento
della copia d’obbligo, a irma Oppizzoni.
19
A. Sorbelli, Storia della Stampa in Bologna, Bologna, Zanichelli, 1929,
p. 203. L’opera è ora disponibile anche nel reprint della casa editrice Forni
di Sala Bolognese (2003), a cura di M.G. Tavoni.
20
A. Alaimo, Le tipograie a Bologna nella seconda metà dell’Ottocento, cit.,
pp. 26-27.
21
G. Tortorelli, Salvatore Muzzi (1807-1884), un mediatore della cultura
nella Bologna dell’Ottocento, in Id., Tra le pagine. Autori, editori, tipograi
nell’Ottocento e nel Novecento, Bologna, Pendragon, 2002, pp. 159-189.
22
La Stampa in Bologna. Sommario storico scritto da Salvatore Muzzi e pubblicato in occasione del II Congresso Tipograico Italiano, Bologna, Società
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Tipograica dei Compositori, 1869, p. 18. Per buona parte delle notizie
relative alle tipograie a Bologna nell’Ottocento e ai primi del Novecento
si rimanda a A. Alaimo, Le tipograie a Bologna nella seconda metà dell’Ottocento, cit. e a A. Sorbelli, Storia della stampa in Bologna, cit. e G. Tortorelli,
Il torchio e le torri, cit.
23
A. Bacchi, Relazione storica ed illustrativa dei prodotti esposti dalla
Tipograia Arcivescovile di Bologna ditta Gamberini e Parmeggiani, Bologna,
Tip. Arcivescovile, 1888, in particolare pp. 15-17.
24
ACCB, Archivio del Registro delle Ditte (1804-1925), Ditta Gamberini
e Parmeggiani: Atto Notarile, Notaio dott. Francesco Blesio, datato 16
maggio 1896 ma riferito al rogito dell’11 aprile 1896.
25
Per queste cifre e per quelle che saranno riportate in seguito si rimanda a Istituto Centrale di Statistica, Sommario di Statistiche Storiche Italiane:
1861-1955, Roma, Istat, 1958, in particolare alle tavole 98-107 (“Prezzi
al consumo” e “Retribuzioni di alcune categorie del personale civile dello Stato”).
26
Da alcuni atti conservati presso la Camera di Commercio di Bologna,
sappiamo che il capitale investito da Brighenti ammontava a 800 lire,
quello di Jacopo Marsigli nel 1813 a 2.000 lire, e quello di Annesio
Nobili nel 1819 a 1.000 lire. Cfr. nell’archivio le rispettive voci.
27
Elenco dei negozianti esistenti nella città e provincia suddetta redatto dalla Camera primaria di Commercio, Bologna, Tipograia Governativa alla
Volpe, 1849, p. 21.
28
A. Sorbelli, Storia della Stampa in Bologna, cit., p. 219.
29
L’unica eccezione è rappresentata da alcune stampe degli anni
1836-38 recanti l’indicazione «Tipograia della Volpe al Sassi», con la
quale si accenna ad un accordo temporaneo fra le due ditte, che poi operarono separatamente.
30
Secondo Congresso tipograico italiano in Bologna (Osservazioni di Gaspare
Gozzi sopra alcuni articoli spettanti all’Università de’ Librai), Bologna, Regia
Tip., [1869].
31
ACCB, Archivio del Registro delle Ditte (1804-1925), Ditta Tinti e
Merlani, Sentenza del R. Tribunale Civile di Bologna, 7 giugno 1900.
32
A. Sorbelli, Storia della Stampa in Bologna, cit., p. 215.
33
E. Bottrigari, Cronaca di Bologna, a cura di A. Berselli, Bologna,
Zanichelli, 1960-61, vol. IV, p. 97.
34
ACCB, Archivio del Registro delle Ditte (1804-1925), Ditta Fava e
Garagnani: Atto di istituzione della società, datato Bologna, 30 Dicembre
1861 e irmato da Camillo Fava, Alfonso Garagnani, Camillo Montanari
e testimoni.
35
ACCB, Archivio del Registro delle Ditte (1804-1925), Ditta Fava e
Garagnani: Certiicato dell’Uficio Provinciale del Commercio e dell’Industria, datato 14 Gennaio 1946 e irmato dal segretario generale.
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C. Sartori, Dizionario degli Editori Musicali Italiani: tipograi, incisori,
librai-editori, Firenze, Olschki, 1958, p. 66.
37
G. Tortorelli, Tra le pagine, cit., in particolare pp. 234-238.
38
M. Facci, Il conte Cesare Mattei: vita e opere di un singolare guaritore
dell’Ottocento, inventore dell’elettromeopatia, costruttore della Rocchetta di Riola,
presentazione di M. Fanti, Porretta Terme, Gruppo di studi Alta Valle del
Reno - Nuetèr: Gruppo di studi Savena Setta Sambro, 2002.
39
A. Sorbelli, Storia della Stampa in Bologna, cit., p. 222.
40
T. Menniello, Sulla origine della Cartoleria e Tipograia di Leonardo
Andreoli, Bologna, coi tipi della propria tipograia, 1900, p. 14.
41
Ibidem, p. 26.
42
La «Gazzetta di Bologna» (22 dicembre 1817) informava che «L’arte
litograica, di cui in Francia si è fatto un oggetto della più grande importanza e che come un’invenzione particolare della nazione è stata a
Parigi privilegiata con un brevetto d’invenzione, si è pure introdotta da
alcuni anni in questa città e mediante le cure del Sig. Carlo Bruera, i Soci
Bertinazzi hanno nel suo negozio in Via Venezia, eretta una stamperia
fornita di tutto il meccanismo occorrente a rendere più facili e perfette
le commesse operazioni». Non bisogna poi trascurare che in una città come Bologna, dove lo studio della musica fu sempre grandemente
considerato, l’arte litograica fu molto utile anche per la pubblicazione
di spartiti musicali, tanto che quello che Sighinoli indica come «il primo
capo d’opera» in litograia dei Bertinazzi fu Sei Ariette coll’accompagnamento
di Pianoforte composte da Benedetto Donelli Accademico Filarmonico di Bologna
e dedicate dal medesimo a Sua Eccellenza la Nobil Donna Signora Contessa
Catterina Pallavicini Ranuzzi, recante l’interessante indicazione tipograica «col nuovo metodo in pietra nella Stamperia della Dita Bertinazzi
e Compagno in Bologna nella Strada detta Venezia al N. 1749». Cfr.
L. Sighinoli, Le origini della litograia a Bologna, Bologna, Stabilimenti
Poligraici Riuniti, 1931.
43
A. Sorbelli, Storia della Stampa a Bologna, cit., p. 207.
44
Per un’ampia trattazione delle vicende e delle caratteristiche della Compositori, v. A. Alaimo, Le tipograie a Bologna nella seconda metà
dell’Ottocento, cit., in particolare pp. 45-57.
45
C. Ratta, Divagazioni stilistiche. Per ricordare sei nomi e tre date, Bologna,
s.e., 1920.
46
Cooperativa tipograica Azzoguidi, Statuto della Società Tipograica
Azzoguidi in Bologna, Bologna, Azzoguidi, 1885, p. 3.
47
«Bologna che dorme, periodico umoristico, letterario, illustrato», «Il
diavoletto, giornaletto allegro, satirico, rimedio economico», e anche «La
rondine, Giornale della Domenica: Letterario, artistico, scientiico», «Il
rospo volante: Giornale teatrale indipendente» e «Il pubblico: Giornale
di Bologna».
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
Per una breve biograia di Giuseppe Civelli, nella quale non è tuttavia
menzionata la stamperia bolognese, v. E. Bottasso, Civelli Giuseppe, in
DBI, XXVI, 1982, pp. 89-91.
49
[Modiicazione ai raccordi metallici nei tubi lessibili del freno a vuoto, (sistema
Hardy), memoria], Bologna, Druckrei von Giuseppe Civelli, 1897.
50
C. Sartori, Dizionario degli Editori Musicali Italiani, cit., pp. 48-49. V. a.
B.M. Antolini, Civelli Giuseppe, in Dizionario degli Editori Musicali Italiani,
1750-1930, a cura di B.M. Antolini, Pisa, Edizioni ETS, 2000, p. 129.
51
Si veda in particolare A. Guarnieri Corazzol, Tristano, mio Tristano,
Bologna, il Mulino, 1988.
52
Parma, Tip. L. Battei, 1888.
53
Fra gli studi relativi alla diffusione e apprezzamento dell’arte musicale a Bologna nei secoli XIX e XX, si ricordino F. Bosdari, La vita
musicale a Bologna nel periodo napoleonico, in «L’Archiginnasio», IX (1914)
e F. Vatielli, Cinquant’anni di vita musicale a Bologna (1850-1900), in
«L’Archiginnasio», XV-XVI (1920-21); si rimanda poi anche al più recente studio di M. Calore, Appunti di vita musicale a Bologna tra ’800 e
’900, in «Strenna Storica Bolognese», 1980. Per un concreto esempio
della passione dei bolognesi dell’Ottocento per il teatro e la lirica, si legga
lo spassoso resoconto dell’avventura bolognese di una celebre cantante
in O. Trebbi, Cronache del Teatro Comunale: Giuditta Pasta, in «Strenna
Storica Bolognese», 1928.
54
C. Sartori, Dizionario degli Editori Musicali Italiani, cit., pp. 140-141.
55
M. Canale Degrassi, F. Licciardi, Schmidl Carlo, in Dizionario degli
Editori Musicali Italiani, cit., pp. 322-325.
56
Ibidem, p. 323. Per una breve bio-bibliograia di Carlo Schmidl e della
sua attività, si veda G. Cesari, Cent’anni di vita di uno stabilimento musicale
triestino. Le origini dello stabilimento “C. Schmidl & Co.”, Trieste, Caprin,
1913.
57
P. Tinti, Tra libri e lettori nella Modena dell’Ottocento. La biblioteca del
conte Luigi Alberto Gandini, in Luigi Alberto Gandini. Proilo biograico e
culturale, a cura di P. Bonacini e F. Piccinini, Formigine, Comune di
Formigine, 2003, pp. 106-152.
58
A. Gigli Marchetti, Le nuove dimensioni dell’impresa editoriale, in Storia
dell’editoria nell’Italia contemporanea, cit., pp. 115-163, in particolare pp.
129-131, e M. Grillandi, Emilio Treves, Torino, UTET, 1977.
59
F. Zambrini, Il cav. Gaetano Romagnoli libraio editore di questo periodico,
in «Il Propugnatore», XVII (1884), pp. 478-480; A. Bacchi della Lega, La
R. Commissione pe’ Testi di Lingua e i suoi presidenti, Bologna, Cooperativa
Tipograica Mareggiani, 1918, pp. 4-5.
60
F. Cristiano, Biblioteche private e antiquariato librario, in Biblioteche nobiliari e circolazione del libro tra Settecento e Ottocento, Atti del Convegno
48
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Tipografi, editori, lettura
nazionale di studio (Perugia, 29-30 giugno 2001), a cura di G. Tortorelli,
Bologna, Edizioni Pendragon, 2002.
61
Ibidem, p. 103.
62
Sono suoi punti di riferimento europeo operatori francesi quali Jean
Demichelis, l’inglese Bernard Quaritch, il tedesco Albert Cohn.
63
Alla BUB è depositata una raccolta di 110 lettere autografe (18501883) di G. Romagnoli ad A. Cappelli e alcune di L. Dall’Acqua (dal 1883
al 1887). Antonio Cappelli (1818-1887) fu socio della Commissione per
i Testi di Lingua, vice segretario e poi vice bibliotecario della Biblioteca
Estense di Modena, socio e poi segretario della Deputazione di Storia
Patria per le Province Modenese e Parmense.
64
Inizialmente in via Borgo Salamo, in seguito in via Toschi.
65
A. Alaimo, Le tipograie a Bologna nella seconda metà dell’Ottocento, cit.
p. 35.
66
BUB, Lettera di L. Dall’Acqua ad A. Cappelli del 1 Dicembre 1883.
67
F. Cristiano, Librai e cataloghi antiquari italiani di ine Ottocento (18801890). Appunti per una bibliograia, in «Nuovi annali della Scuola Speciale
per Archivisti e Bibliotecari», I (1987), pp. 70-71.
68
I. Kasal, Gaetano Romagnoli libraio ed editore a Bologna nell’Ottocento,
tesi di laurea in Biblioteconomia e Bibliograia, Università di Bologna,
relatore prof.ssa M.G. Tavoni, a.a. 2002-2003.
69
Ibidem, p. 137.
70
Per quanto riguarda i rapporti tra Romagnoli e la Commissione per
i Testi di Lingua, le informazioni sono prese da M.E. Francia, Storia della Commissione per i Testi di Lingua in Bologna, tesi di laurea, Facoltà di
Lettere e Filosoia, Università di Bologna, relatore prof. R. Spongano,
a.a. 1955-1956; Archivio della Commissione per i Testi di Lingua in Bologna
(1841-1974), a cura di A. Antonelli e R. Pedrini, Bologna, Comune di
Bologna, 2002; F. Zambrini, Memorie sulla mia vita, a cura di A. Antonelli
e R. Pedrini, Bologna, Commissione per i Testi di Lingua, 1999.
71
Per la Collezione di opere inedite o rare il numero di copie acquistate dalla Commissione è di 50 unità a partire dal 1862, la cifra viene
aumentata a 75 copie nel 1864 su pressione di Romagnoli che minaccia
di interrompere le pubblicazioni.
72
Le dispense della Scelta hanno una tiratura limitata e numerata che va
da 40 a circa 200 copie.
73
Sugli istituti tecnici vedi in particolare F. Bochicchio, I precedenti storici dell’istruzione tecnico-professionale nell’area bolognese. Dalla legge Casati
alla Carta della Scuola, in Istituto per i Beni Artistici e Culturali della
Regione Emilia-Romagna, Manutenzione e sostituzione. L’artigianato,
i suoi modelli culturali, la città storica, Bologna, CLUEB, 1983, ora in
Id., Democratizzazione della scuola italiana. Momenti e problemi, Bologna,
CLUEB, 1991, pp. 203-222.
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
L. De Franceschi, Nicola Zanichelli libraio tipografo editore (1843-1884),
Prefazione di Giorgio Montecchi, Milano, Angeli, 2004. Si vedano anche
i saggi di G. Tortorelli, ora in Il torchio e le torri, cit.
75
Nicola Zanichelli, necrologio, in «Bibliograia Italiana», 31 maggio-15
giugno 1884, parte II, Cronaca, XVIII, n. 10-11, p. 23.
76
M. Pazzaglia, Una vita per la cultura. Nicola Zanichelli, in Le edizioni
Zanichelli 1859-1939, Bologna, Zanichelli, 1984, pp. IX-XXVII.
77
Su Nicola Zanichelli “patriota” si veda L. De Franceschi, Nicola
Zanichelli, cit., in particolare pp. 47-78.
78
D. Zanichelli, La libreria di Nicola Zanichelli, in Le edizioni Zanichelli,
cit., pp. XXXV-LIX, in particolare p. L.
79
Cinquemila copie furono vendute in soli quattro mesi ed ebbe numerose edizioni successive, di cui la seconda, con aggiunte, uscì nello
stesso anno.
80
In una lettera a Lidia del 1875 scriveva: «Zanichelli m’è sempre alle
spalle: mi manda dietro i suoi valletti, con stamponi, da per tutto: a lezione, a desinare, alla bottiglieria, sempre Zanichelli padre, Zanichelli
igli, Zanichelli garzoni. Chi mi salva da Zanichelli?». Vedi G. Tellini,
Le «opere di amena lettura» dell’editore Barbèra, in Editori a Firenze nel secondo Ottocento, Atti del Convegno (13-15 Novembre 1981), a cura di I.
Porciani, Prefazione di G. Spadolini, Firenze, Olschki, 1983, pp. 43-93.
81
M. Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli. Memorie curate e integrate da
Augusto Vicinelli, Milano, Mondadori, 1961, pp. 821 e 827-828.
82
Sulle vicende societarie della casa editrice Zanichelli si rimanda a
B. Dalla Casa, La società anonima Nicola Zanichelli: un’impresa editoriale tra
le due guerre, in Editoria e Università a Bologna tra Ottocento e Novecento,
cit., pp. 89-117 e al recente contributo di L. De Franceschi, La Società
Anonima per Azioni «Nicola Zanichelli»: dalla costituzione alla ine della prima
guerra mondiale (1906-1918), in «Bollettino del Museo del Risorgimento»,
LI-LII (2006-2007), pp. 29-71. Su Bemporad e la casa iorentina vedi
Paggi e Bemporad editori per la scuola. Libri per leggere, scrivere e far di conto, a
cura di C.I. Salviati, Firenze, Giunti, 2007.
83
Papini-Prezzolini: storia di un’amicizia 1900/1924, Firenze, Vallecchi,
1966, p. 148.
84
M. Malatesta, Il Resto del Carlino: potere politico ed economico a Bologna
dal 1885 al 1922, Milano, Guanda, 1978.
85
Già dal 1880 i collaboratori di Treves notavano: «Sono giorni che
Emilio cerca di agganciarsi a Bologna e così transige con la Zanichelli,
accattando una resa di libri», cfr. M. Grillandi, Emilio Treves, Torino,
UTET, 1979, pp. 378-383.
86
AZ, Libro dei Verbali delle Sedute del Consiglio di Amministrazione, 14
giugno 1906, p. 2. Su Bempoard si veda Paggi e Bemporad editori per la
scuola, cit.
74
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Tipografi, editori, lettura
AZ, Libro dei Verbali, 14 giugno 1906, p. 2.
Ibidem, 23 settembre 1906, p. 6.
89
Ibidem, 5 gennaio 1907, p. 9.
90
Ibidem, 10 marzo 1909, p. 32.
91
B. Dalla Casa, La società anonima, cit., p. 95.
92
AZ, Libro dei Verbali, cit., 20 febbraio 1911, p. 51.
93
Le edizioni Zanichelli. 1859-1939, Bologna, Zanichelli, 1984.
94
AZ, Libro dei Verbali, cit., 10 luglio 1912, p. 66.
95
Ibidem, 12 ottobre 1912, p. 68.
96
Ibidem, 2 luglio 1915, pp. 87-88.
97
AZ, Lettere di Enrico Bemporad a Cesare Zanichelli, 6 gennaio 1911.
98
AZ, Libro dei Verbali, cit., 6 settembre 1914, pp. 81-82.
99
A. Tagliavini, Intellettuali e scelte editoriali. Il catalogo Zanichelli fra le due
guerre, in Editoria e Università a Bologna fra Ottocento e Novecento, cit., pp.
119-139, in particolare p. 124.
100
Cfr. S. Linguerri, Al servizio della scienza. L’attività editoriale di Eugenio
Rignano e Federigo Enriques dal 1907 alle leggi razziali, in «Storia in
Lombardia», XXII (2002), 1, pp. 97-147.
101
C. Tagliaferri, Olschki: un secolo di editoria: 1886-1986, I, La libreria
antiquaria editrice Leo S. Olschki (1886-1945), Prefazione di E. Garin, testimonianze di L. Firpo, E. Garin, O. Kristeller, A. Perosa, L.M. Personé,
U. Procacci, R. Ridoli, Firenze, Olschki, 1986, p. 157.
102
Per un proilo della igura di Alberto Bacchi della Lega, v. M.G.
Tavoni, «Quegli antichi compagni de’ miei sogni e de’ miei pensieri», in Ead.,
Libri e lettura da un secolo all’altro, cit., pp. 163-206.
103
BCCR, Carteggio Ricci, II Sala Ricci 2.1.6 / 1577, Lettera di A.
Bacchi della Lega a C. Ricci, Bologna, 31 luglio 1906.
104
BCCR, Carteggio Ricci, II Sala Ricci 2.1.6 / 1581, Lettera di A.
Bacchi della Lega a C. Ricci, Bologna, 26 ottobre 1907.
105
F. Ori, Per l’edizione critica delle Odi di Giovanni Pascoli, tesi di laurea
in Filologia Italiana, Università di Bologna, relatore Prof. C. Mazzotta,
a.a. 2001-2002, p. 22.
106
Lettera di A. Vallecchi a G. Papini, Firenze, 15 novembre 1916, in
G. Papini, A. Vallecchi, Carteggio (1914-1941), a cura di M. Gozzini,
premessa di G. Luti, Firenze, Vallecchi, 1984, pp. 49-50, e in G. Luti, C.
Signorelli, La crisi di ine secolo: verso una nuova editoria, in Editori a Firenze
nel secondo Ottocento, cit., pp. 419-447, in particolare p. 440.
107
Licinio Cappelli Cavaliere del Lavoro. Rocca San Casciano 21-12-1864 Bologna, 10-2-1952, a cura di G. Bonuzzi, Rocca San Casciano, Cappelli,
1953, pp. 50-53.
108
Per la biograia di Licinio Cappelli, v. E. Venturi Nenzioni, Cappelli
Licinio, in DBI, XVIII, 1975, pp. 723-725.
109
Questa e le successive citazioni sono tratte dall’autobiograia dell’editore in L. Cappelli, Sguardo a mezzo secolo di lavoro. 12 luglio 1880 - 20
87
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
settembre 1930, Bologna, Cappelli, 1930; quest’opera è poi in gran parte
conluita in Licinio Cappelli Cavaliere del Lavoro, cit.
110
L’Almanach, che riscosse notevole successo a Parigi, recava in calce
la prestigiosa iscrizione «Achevé d’imprimer le 30 Septembre 1884 sous
les presses de l’établissement typographique Cappelli imprimeur de la R.
Académie Héraldique Italienne Rocca San Casciano (Italie)».
111
Sul rapporto tra Licinio Cappelli e i Crollalanza, v. G.L. Masetti
Zannini, Licinio Cappelli tipografo-editore in Rocca San Casciano, in «Studi
Romagnoli», XLIII (1992), pp. 175-193.
112
S. Favero, Un’impresa editoriale: la storia della casa editrice Cappelli in un
recente passato, in Editoria e Università a Bologna fra Ottocento e Novecento,
cit., pp. 61-87.
113
Ibidem, in particolare pp. 69 e ss.
114
Per la biograia di Jolanda, cfr. M.G. Tavoni, Sulle ali di Ariele. Jolanda
(1864-1917), Cento, Comune di Cento, 1997, riveduto e ampliato e con
il titolo Fortuna e personalità di un nome de plume: Jolanda, in Storie di donne, a cura di P. Boero, Genova, Brigati, 2002, pp. 89-129. Sull’autrice che
venne a costituire un punto di forza del catalogo Cappelli, si veda Jolanda.
Le idee e l’opera, Atti del convegno di studi (Cento, 28 e 29 novembre
1997), a cura di C. Mazzotta, Bologna-Pieve di Cento, Editograica e
Comune di Cento, 1999.
115
C.I. Salviati, «Per voi, giovinette». Jolanda e la scrittura per ragazzi, in
Jolanda: le idee e l’opera, cit., pp. 49-76, in particolare pp. 52-53.
116
Cappelli divulgatore della scienza, in A Licinio Cappelli, maestro del libro –
artiere alacre e probo – nel cinquantesimo anniversario della sua attività editoriale:
1880-1930, Rocca San Casciano, Cappelli, 1930, pp. 89-104.
117
Risveglio librario in Bologna, in «L’Archiginnasio», XXI (1926), 4-6,
pp. 268-269.
118
A. Mondadori, Cappelli e gli editori, in A Licinio Cappelli, maestro del
libro, cit., pp. 17-23, in particolare pp. 20-21.
119
A. Frescura, Cappelli e gli autori, in A Licinio Cappelli, maestro del libro,
cit., pp. 39-51, in particolare pp. 45-46.
120
Lettera di I. Svevo a L. Cappelli, Trieste, 9 Dicembre 1922, in I.
Svevo, Epistolario, Milano, dall’Oglio, 1966, pp. 744-745. In una lettera
ad Attilio Frescura, il giornalista e scrittore padovano a cui Cappelli aveva
afidato la lettura e l’eventuale revisione del manoscritto de La coscienza
di Zeno, Svevo scrive invece frasi di riconoscenza – «le parole Sue sul
mio lavoro riferitemi dal comm. Cappelli e specialmente quelle che da
Bologna mi portò il iglio suo [Umberto Cappelli] a voce furono per me
dei dolci regali» – e dubita del fatto che, vista la levatura culturale del destinatario della sua missiva, dopo la pubblicazione del romanzo potrà godere di «un’altra soddisfazione simile» (Lettera di I. Svevo ad A. Frescura,
s.d. [1922], in I. Svevo, Epistolario, cit., p. 745).
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Tipografi, editori, lettura
Licinio Cappelli Cavaliere del Lavoro, a cura di G. Bonuzzi, cit., p. 59.
Ibidem, p. 56.
123
L. Braida, Il commercio delle idee. Editoria e circolazione del libro nella
Torino del Settecento, Firenze, Olschki, 1995.
124
R. Pasta, Editoria e cultura nel Settecento, Firenze, Olschki, 1997, pp.
140 e ss.
125
E. Fregni, Libri e botteghe di libri, in Produzione e circolazione libraria a
Bologna nel Settecento: avvio di un’indagine, Atti del V colloquio (Bologna,
22-23 febbraio 1985), Bologna, ISB, 1987, pp. 295-310.
126
Su Carlo Trenti si veda M.G. Tavoni, Il banco del libraio e lo scaffale del
giurista. Carlo Trenti nella Bologna di ine Settecento, Bologna, Pàtron, 1993.
127
Cfr. C. Di Carlo, Giuseppe Lucchesini libraio e tipografo a Bologna
(1739-1820), in «Nuovi Annali della Scuola Speciale per Archivisti e
Bibliotecari», VII (1993), pp. 341-378.
128
Su Antonio Marcheselli, la più lucida e attenta biograia è ancora
quella di C. Di Carlo, «…A pianger il perduto onore…»: ascesa e caduta di
un libraio bolognese, in «Rivista di Studi Napoleonici», XXXI (1994), II,
pp. 77-110.
129
Lettera di Cornelia Martinetti a Francesco Rangone (BCAB, ms. B
2837, c. 94). V. A. Bernabè, Vicende bio-bibliograiche della contessa Cornelia
Rossi Martinetti, tesi di laurea in Biblioteconomia e Bibliograia, Università
di Bologna, relatore prof.ssa M.G. Tavoni, a.a. 2001-2002, p. 17.
130
Il catalogo viene deinito parziale perché, come si legge a p. 165,
«Nella stessa Libreria esistono alcuni Libri proibiti, che si rilasciano ai
soli muniti di Licenza Pontiica, resa ostensibile all’atto della compra. Un
elenco di oltre a cento cinquanta Associazioni in corso. Più, un Catalogo
di Libri Scolastici. In ine un Catalogo di opere in numero, per gli oggetti di Cambio». Privo del frontespizio, reca un imprimatur – incollato
in calce al volumetto, quindi probabilmente non autentico – del 1830.
L’esemplare consultato è di mia proprietà.
131
Horae beatissimae Virginis secundum consuetudinem Romanae Curiae.
Septem psalmi poenitentiales cum Letaniis et Orationibus.
132
Catalogo della Libreria di Carlo Ramazzotti libraio in Bologna, Bologna,
Tip. Guidi all’insegna dell’Àncora, 1852-54 (2 voll.).
133
«La Biblioilia: rivista dell’arte antica in libri, stampe, manoscritti,
autograi e legature», XIV (1913), Dispensa 10-11.
134
ACCB, Archivio del Registro delle Ditte (1804-1925), Ditta Carlo
Ramazzotti: Denuncia alla Camera di Commercio di Bologna, datata 28
aprile 1891 e irmata da Domenico e Vincenzo Calori e Ernesto Martelli.
135
S. Corrieri, Il torchio fra «palco» e «tromba». Uomini e libri a Livorno nel
Settecento, Introduzione di M.G. Tavoni, Modena, Mucchi, 2000, pp.
162-164.
121
122
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
136
R. Chartier, Letture e lettori nella Francia di Antico Regime, Torino,
Einaudi, 1987, pp. 162-164.
137
P. Bellettini, Tipograi, librai e pubblicisti a Bologna nel Triennio giacobino, cit., nota 8, p. 187. Così si esprime, in un breve saggio Renato Pasta:
«poco nota, ma presumibilmente diffusa la pratica del noleggio di libri e
giornali». Si veda dell’autore Appunti sul consumo culturale: pubblico, letture
nel ’700, in «La fabbrica del Libro», 2 (2004), pp. 2-9.
138
La letteratura francese sui gabinetti di lettura si è molto arricchita in
questi ultimi anni. Per i dati si rinvia al pionieristico saggio: F. Parent
Lardeur, Les cabinets de lecture. La lecture publique à Paris sous la Restauration,
Paris, Payot, 1982, p. 13.
139
Sui gabinetti di lettura bolognesi si vedano M.G. Tavoni, Lettura, libri
e librai nella Bologna della Restaurazione, cit. e S. Ferrari, Gli empori del letterato. Un itinerario tra conservazione, produzione e commercio del libro a Bologna
nel triennio 1825-1827, in Giacomo Leopardi e Bologna, cit., pp. 187-207, e
il suo medaglione su Francesco Tognetti, nel medesimo volume. Sui luoghi della sociabilità e sulla Società del Casino, P. Morabito, Divertimento
e élites sociali a Bologna nella prima metà dell’Ottocento. La Società del Casino,
in «Cheiron», giugno 1989, pp. 169-191 e le indicazioni alla nota 4, p.
209 del già citato saggio di Ferrari.
140
S. Ferrari, Gli empori del letterato, cit., p. 194. Si veda inoltre F.
Tarozzi, Il tempo libero. Tempo della festa, tempo del gioco, tempo per sé,
Torino, Paravia, 1999.
141
Si vedano, per Napoli, le brevi ma pertinenti osservazioni di V.
Trombetta, Storia e cultura delle Biblioteche napoletane. Librerie private, istituzioni francesi e borboniche, strutture postunitarie, Napoli, Vivarium, 2002,
pp. 419-423.
142
Primo supplemento al catalogo dei libri di lettura di Giuseppe Lanfranchini,
s.n.t. [Bologna, 1824].
143
E. Musiani, Circoli e salotti femminili nell’Ottocento. Le donne bolognesi
tra politica e sociabilità, Bologna, CLUEB, 2003.
144
Catalogo della Biblioteca Circolante San Tommaso d’Aquino in Bologna,
Bologna, dalla Tipograia Felsinea, 1874.
145
Catalogo della Biblioteca Circolante della Lega Bolognese per l’Istruzione del
Popolo, Bologna, Società Tipograica dei Compositori, 1874.
146
M. D’Ascenzo, Istruzione popolare e biblioteche circolanti a Bologna nel
secondo Ottocento. Il caso della Lega bolognese per l’istruzione del popolo, in
Editoria e Lettura a Bologna tra Ottocento e Novecento. Studi e catalogo del
fondo di storia dell’editoria dell’Istituto Gramsci Emilia-Romagna, Bologna,
Istituto Gramsci, 1999, pp. 91-115.
147
A. Gigli Marchetti, Le nuove dimensioni dell’impresa editoriale, cit.
148
Per un’ampia trattazione dell’origine e sviluppo dell’idea della
Cavalieri, v. P.V. Picco, Clara Archivolti Cavalieri: continuità ed innova-
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per l'espletamento delle procedure concorsuali
Tipografi, editori, lettura
zione nelle biblioteche scolastiche, tesi di laurea in Storia del Libro e delle
Biblioteche, Università di Bologna, relatore prof.ssa M.G. Tavoni, a.a.
1993-94. Si veda anche L. De Franceschi, Alle origini delle biblioteche scolastiche: l’iniziativa di Clara Archivolti Cavalieri, in «Ricerche pedagogiche»,
XXVIII (1994), 110, pp. 31-40.
149
Catalogo generale della Biblioteca di S. Altezza il Principe Baciocchi.
Bologna, 1834 (BCAB, ms. B 1973). Fra gli studi sulle personalità di
Felice Baciocchi ed Elisa Bonaparte, v. F. Bartoccini, Felice Baciocchi, in
DBI, V, 1963, pp. 59-61; Il principato napoleonico dei Baciocchi (1805-1814).
Riforma dello Stato e Società, Atti del Convegno Internazionale (Lucca, 1012 Maggio 1984), a cura di V. Tirelli, Lucca, Banca del Monte di Lucca,
Maria Pacini Fazzi, 1986; nel volume Il principato napoleonico dei Baciocchi
(1805-1814): riforma dello Stato e Società, Lucca, Museo di Palazzo Mansi
(9 giugno-11 novembre 1984): catalogo della mostra, a cura di V. Tirelli,
Lucca, Nuova Graica Lucchese, 1984, si vedano in particolare C.M.
Simonetti, Attività tipograica, pp. 121-127, e i due studi di M.L. Moriconi
Carpaneto, Attività di controllo sui tipograi ed i libri, pp. 129-133 e La biblioteca pubblica, pp. 135-137; C. Colitta, Elisa Bonaparte e Felice Baciocchi a
Bologna, in «Strenna Storica Bolognese», 1973, pp. 81-100.
150
Catalogo della Libreria del Prof. Michele Medici (1861) (BCAB, ms. B
2038) e Speciica delle miscellanee esistenti nella libreria del professore Michele
Medici (BCAB, ms. B 2555). Per alcune notizie sulla igura di Michele
Medici, cfr. S. Arieti, Michele Medici e la prima cattedra di Fisiologia nell’Università di Bologna, in «Il Carrobbio», 1996, pp. 153-158, e Sette secoli di vita
ospedaliera in Bologna, Bologna, Cappelli, 1960, pp. 219-222.
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Catalogo della libreria del Prof. Giovanni Brugnoli (1895) (BCAB, ms. B
1996), che fu donato insieme ad altre carte del Brugnoli, secondo quanto
attesta A. Sorbelli, I manoscritti Brugnoli, in «L’Archiginnasio», VI (1911),
fasc. 4-5. Per una biograia di Brugnoli, v. G. Scarano, Brugnoli Giovanni,
in DBI, XIV, 1972, pp. 505-506, e Sette secoli di vita ospedaliera in Bologna,
cit., pp. 222-227.
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In realtà, solamente la Biblioteca di Medici conluì interamente alla
Comunale. Quella del Brugnoli, in base alle disposizioni testamentarie,
inì in parte all’Universitaria, in parte all’Archiginnasio e in parte, per decisione dell’esecutore testamentario, alla Biblioteca di Castel San Pietro.
Nel 1895 furono donati alla Comunale di Bologna anche i manoscritti
del Brugnoli. Si veda A. Sorbelli, I manoscritti Brugnoli, cit. e V. Roncuzzi
Roversi-Monaco, S. Saccone, Per un’indagine sui fondi librari nella Biblioteca
Comunale dell’Archiginnasio. Censimento delle librerie giunte per dono, lascito
e deposito, in «L’Archiginnasio», 1985, pp. 279-350, in particolare p. 313.
Vedi anche M.G. Tavoni, Le collezioni librarie: medici e ingegneri dell’Ottocento, in Atlante delle professioni, a cura di M. Malatesta, Bologna, Bononia
University Press, 2009, pp. 50-54.
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Bologna in età contemporanea (1796-1914)
Lettera di Olindo Guerrini a Giovanni Brugnoli, Bologna, maggio
1890 (BCAB, Ms. Brugnoli, XII, 25).
154
V. Roncuzzi Roversi-Monaco, S. Saccone, con la collaborazione
di A. Riccò, Librerie private nella biblioteca pubblica. Doni, lasciti e acquisti,
in Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio Bologna, a cura di P. Bellettini,
Firenze, Nardini, 2001, pp. 91-117; ancora più approfondito si rivela poi
il saggio di V. Roncuzzi Roversi-Monaco, S. Saccone, Per un’indagine sui
fondi librari nella Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, in ibidem.
155
In merito a gran parte di queste donazioni esistono studi o si ricavano notizie dal Bollettino dell’Archiginnasio. Per i lasciti ricordati, si
vedano, ad esempio: Pelagio Palagi artista e collezionista, Bologna, Grais,
1976; L. Bonora, A.M. Scardovi, Il carteggio di Pelagio Palagi nella Biblioteca
Comunale dell’Archiginnasio, in «L’Archiginnasio», LXXIV (1979), pp. 3968; L. Bonora, Documenti e memorie riguardanti Pelagio Palagi nella Biblioteca
Comunale dell’Archiginnasio, in «L’Archiginnasio», LXXXII (1987), pp.
139-167; Manoscritti Gozzadini, in «L’Archiginnasio», III (1908), p.
162; M. Fanti, La revisione dell’archivio Gozzadini, in «L’Archiginnasio»,
LXXIV (1979), pp. 127-130; La libreria di Lady Butler Mariscotti donata
all’Archiginnasio, in «L’Archiginnasio», IX (1914), p. 113.
156
Cfr. C. Di Carlo, Il libro in Benedetto XIV. Dalla «Domestica Libraria»
alla Biblioteca Universale, Bologna, Pàtron, 2000. Sulla prolusione in occasione dell’apertura della Biblioteca vedi B. Antonino, Una ricorrenza da
celebrare: il 250° anno dall’apertura al pubblico della Biblioteca Universitaria, in
Il libro illustrato a Bologna nel Settecento, Bologna, Alma Mater Studiorum,
Università di Bologna, Dipartimento di Italianistica, 2007, pp. 9-17.
157
F. Arduini, La Biblioteca Universitaria, in I laboratori storici e i musei
dell’Università di Bologna. I luoghi del conoscere, Bologna, Banca del Monte
di Bologna e Ravenna, 1988, pp. 161-169; vedi anche L’erbario di Ulisse
Aldrovandi. Natura, arte e scienza in un tesoro del Rinascimento, a cura di B.
Antonino, Milano, Motta, 2003. Per quanto riguarda i cataloghi, specialmente quelli di fondi speciali, della BUB, si veda anche l’opuscolo
[Biblioteca della R. Università di Bologna] Cataloghi, Bologna, Coop.
Tip. Mareggiani, 1915. Sulla BUB cfr. Tesori della Biblioteca universitaria
di Bologna, a cura di B. Antonino, Bologna, Bononia University Press,
2004.
158
A.M. Selini, Gioacchino Muñoz (1777-1847): un collezionista «accattone»
e la sua ricca raccolta libraria, tesi di laurea in Biblioteconomia e Bibliograia,
Università di Bologna, relatore prof.ssa M.G. Tavoni, a.a. 2001-2002.
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