Il contributo intende presentare i risultati delle ultime campagne di scavo presso la fortezza ossidionale
del Castellazzo di Monte Iato, fortilizio di assedio fatto edificare da Federico II contro parte della
popolazione musulmana residua di Sicilia, assediata nel vicino centro fortificato di Giato. Gli assedi
avvennero tra gli anni 1223-1226 e nel 1246. L’esistenza di questo accampamento fortificato è
attestata da una serie di documenti di Federico II dati in castris in obsidione Iati fra 1222 e 1224
e da un passo di una cronaca, per quanto riguarda l’assedio finale del 1246. Le stutture fortificate
cingono un pianoro posto a quota 700 m s.l.m. con una muro a doppio paramento in pietre legate con
malta di terra argillosa. In modo alternato dalla cinta si aggettano delle torri rettangolari mentre gli
ambienti finora rintracciati risultano addossati alla cinta muraria. Alcuni, di forma quadrata hanno
carattere squisitamente militare mentre altri, rettangolari, sono stati interpretati con funzione ludicoricreativa. Sono stati rinvenuti manufatti dal carattere militare (punte di freccia, quadrelle di balestra,
coltelli) e anche dadi in avorio, fermagli e monete. Unico ingresso ancora noto è una postierla sul lato
nord che conserva gli stipiti, il blocco con il cardine per la porta e parte della pavimentazione originaria
costituita da lastre irregolari allettate rilavorando il piano roccioso naturale. Le indagini
magnetometriche hanno rivelato inoltre l’esistenza, al centro del pianoro circa, di un edificio dotato di
abside semicircolare, forse riferibile ad una cappella per il culto. Le prossime indagini archeologiche,
programmate per la tarda primavera cercheranno di verificare l’ipotesi. Insieme allo studio per il sito del
Castellazzo è stata portata avanti una ricerca sul territorio circostante per la definizione delle realtà
archeologiche e monumentali ancora esistenti. Sono state censite più di 200 UT (Unità Topografiche)
con documenti archeologici che vanno dal Paleolitico Superiore al Basso Medioevo, a significare la
ricchezza storica oltreché paesaggistica dei luoghi.
Antonio Alfano
Il Castellazzo di Federico II a Monte Iato
ed il paesaggio “culturale” tra i fiumi
Jato e Belìce Destro nel medioevo
Antonio Alfano
Introduzione
Il contributo intende presentare i risultati delle ultime campagne di scavo presso la
fortezza ossidionale del Castellazzo di Monte Iato fatto edificare da Federico II contro
parte della popolazione musulmana residua di Sicilia, assediata nel centro fortificato di
Giato. Gli assedi avvennero tra gli anni 1223-1226 e nel 1246. L’esistenza di questo
accampamento fortificato è attestata da una serie di documenti di Federico II dati in
castris in obsidione Iati fra 1222 e 1224 e da un passo di una cronaca, per quanto riguarda
l’assedio finale del 1246. Le stutture cingono un pianoro posto a quota 700 m s.l.m. con
una muro a doppio paramento in pietre legate con malta di terra argillosa. In modo
alternato dalla cinta si aggettano delle torri rettangolari mentre gli ambienti finora
rintracciati risultano addossati alla cinta muraria. Alcuni, di forma quadrata hanno
carattere squisitamente militare mentre altri, rettangolari, sono stati interpretati con
funzione ludico-ricreativa. Sono stati rinvenuti manufatti dal carattere militare (punte di
freccia, quadrelle di balestra, coltelli) e anche dadi in avorio, fermagli e monete. Unico
ingresso ancora noto è una postierla sul lato nord che conserva gli stipiti, il blocco con
il cardine per la porta e parte della pavimentazione originaria costituita da lastre
irregolari allettate rilavorando il piano roccioso naturale. Insieme allo studio per il sito
del Castellazzo è stata portata avanti una ricerca sul territorio circostante per la
definizione delle realtà archeologiche e monumentali ancora esistenti. Sono state censite
più di 240 UT (Unità Topografiche) con documenti archeologici che vanno dal
Paleolitico Superiore al Basso Medioevo, a significare la ricchezza storica oltrechè
paesaggistica dei luoghi (Fig. 1).
124
Archeologia /Il Castellazzo di Federico II a Monte Iato
Fig. 1: L’area di studio con indicazione del Monte Iato e del grado di visibilità al suolo a seguito
delle ricognizioni intensive e sistematiche degli anni 2012-2015 (elaborazione GIS Antonio
Alfano).
Il sito
Monte Iato è una grande e lunga montagna calcarea che si erge, sovrastando le aree
collinari circostanti di 300-500 m., fino a m 852 s.l.m. Dista da Palermo, nei cui confini
provinciali ricade (Fig. 1), solo una trentina di km in direzione sud-ovest. Sui versanti
N, W e S il monte è completamente isolato, congiungendosi soltanto sul lato orientale
alla catena montuosa di Piana degli Albanesi. Il monte si estende per circa 3 Km in
direzione est-ovest. Dal versante settentrionale Monte Iato sovrasta la valle del fiume
omonimo e l’abitato di San Giuseppe Jato, di fondazione settecentesca. Alle sue falde
W e SW si è poi sviluppato l’altro comune di San Cipirello, ancor più recente del primo,
nato per una frana che costrinse parte della popolazione di San Giuseppe a spostarsi in
luogo più sicuro. Gran parte di Monte Iato ed in particolare l’area archeologica
rientrano nei limiti comunali di San Cipirello. Monte Iato è agevolmente raggiungibile
da Palermo percorrendo la strada a scorrimento veloce 624 che dalla capitale isolana
porta a Sciacca e imboccando l’uscita di San Cipirello. Da lì, proseguendo in direzione e
125
Antonio Alfano
di Piana degli Albanesi per quattro km circa, occorre imboccare sulla sinistra una strada
con apposita segnaletica. Si raggiunge un’area di parcheggio con l’edificio di custodia e
poi occorre procedere a piedi per circa 1,5 km fino all’area archeologica. Su Monte Iato,
da oltre 40 anni, svolge ricerche archeologiche l’Istituto di Archeologia dell’Università
di Zurigo. Grazie a queste indagini, sappiamo che la presenza umana sul monte iniziò
già forse 1000 anni prima di Cristo con un villaggio o con vari agglomerati di capanne.
Gli abitanti indigeni cominciarono ad avere rapporti con i greci delle colonie siciliane
verso la fine del VII secolo, come testimoniano le importazioni di ceramiche da varie
zone del mondo greco. Dopo una fase di abbandono nel V secolo, la città venne in
pratica rifondata verso il 300 a. C. secondo i canoni dell’urbanistica e dell’architettura
ellenistica, con la realizzazione di un ampia agorà, di un pretenzioso teatro e di grandi e
ricche dimore private, alcune delle quali sono state completamente scavate dalla
missione svizzera. Questa fase fu la più significativa della storia di Iato nell’antichità.
Poi la presenza umana si affievolì, pur non spegnendosi del tutto. La città risulta in
decadenza fin dalla prima età imperiale romana, così come altri centri d’altura siciliani.
Alla metà del V secolo d. C. crollò il tetto di una casa edificata nell’angolo nord-ovest
della stoà che fiancheggiava l’agorà ellenistica. Forse Iato, o ciò che di essa rimaneva,
venne saccheggiata dai vandali verso la metà del V secolo d. C. Pochi ritrovamenti
archeologici attestano una presenza anche di età bizantina e islamica prenormanna:
allora, verosimilmente, l’area abitata si era contratta nella zona più occidentale del
monte, ancora non toccata dagli scavi archeologici.
Il periodo federiciano e la riscoperta
Dalla morte di Guglielmo II nel 1189 al 1246 la Sicilia, ed in particolare la parte
occidentale dell'isola, fu interessata e a più riprese sconvolta da una grande ribellione
della superstite popolazione musulmana e di lingua araba e berbera. La fine della
dinastia normanna degli Altavilla determinò il crollo quasi repentino di un modello di
convivenza che aveva visto dalla fine della conquista una sostanziale pacifica
convivenza, seppure interrotta da episodi brutali di aggressione ai danni dei saraceni,
come accaduto nel 1161. L'impronta araba e islamica aveva largamente influenzato la
Sicilia normanna, a partire dalla concezione e dalle liturgie del potere alle manifestazioni
artistiche, prima di tutte l'architettura. La morte di Guglielmo II, il breve e convulso
regno di Tancredi, nemico storico dei musulmani di Sicilia, la conquista sveva ed il
vuoto di potere seguito alla morte di Enrico VI e Costanza, la minorità di Federico II,
costituirono lo scenario in cui crebbe e si rafforzò una vera e propria secessione che
vide la costituzione di uno stato islamico ribelle, un “emirato sulle montagne” della
Sicilia occidentale, quasi fin alle porte di Palermo. Tale stato di cose non poteva di certo
essere sopportato da Federico II al suo ritorno nel regno meridionale e nell'isola, dopo
l'incoronazione imperiale del 1220. Dal 1221 Federico II si impegnò nel reprimere la
rivolta musulmana, inizialmente in modo diplomatico ma, davanti all'irreversibilità della
situazione, l'unica opzione possibile fu la prova di forza. Inizio così la guerra fra le
montagne della Sicilia occidentale, in particolare sotto ed attorno Monte Iato, principale
roccaforte della ribellione musulmana e sede dell'emiro Muhammed ibn Abbad. A
partire dal 2011 si sono svolte annualmente campagne di scavo, arrivate alla decima
nell’estate del 2017, presso il sito del Castellazzo di Monte Iato, grazie ad una
126
Archeologia /Il Castellazzo di Federico II a Monte Iato
convenzione fra il Parco Archeologico di Iato e i Gruppi Archeologici d’Italia, sede
“Valle dello Jato”. Le attività dei volontari, sotto la direzione scientifica del professore
Ferdinando Maurici, hanno permesso di riconoscere le strutture superstiti di quello che
fu il grande accampamento fortificato fatto edificare da Federico II contro Iato. Tale
accampamento fortificato, in condizioni certamente migliori di quelle attuali, fu visto
alla metà del XVI secolo dallo storico Tommaso Fazello. Allo stato attuale non è
semplice distinguere fra la fase relativa al primo e quella relativa al secondo assedio
anche per la presenza, negli stessi strati indagati, di monete databili ad entrambi i
periodi, separati solo da una ventina d’anni durante i quali non sappiamo quale fu il
destino del sito. É ipotizzabile che il grosso della struttura fortificata non abbia subito
cambiamenti di grande rilievo fra i due assedi.
Lo scavo
Le strutture occupano un’altura di modestissima altezza ma con ampia sommità
pianeggiante posta di fronte alla porta orientale di Iato a ca. 400 m. in linea d’aria,
separata da un vallone relativamente profondo. La distanza era tale da mettere gli
assedianti al riparo dai tiri di balestra o anche di trabucco e altre macchine da getto
provenienti dalle mura della cittadella assediata. Il profilo del pianoro del Castellazzo
(702 m s.l.m.) è interamente occupato da una doppia cinta muraria che si riconosce
perfettamente anche nelle foto aeree degli anni ‘50 e ‘60 del XX secolo. Abbiamo
definito cinta interna quella che cinge il vero e proprio pianoro, ed esterna quella,
riconoscibile sui lati est, ovest e sud, distante mediamente dalla prima circa 25-30 m.
Fig. 2: Il Pianoro del Castellazzo con le strutture rinvenute (a sinistra) ed un ortofotomasaico
dello scavo.
127
Antonio Alfano
Quella interna, larga oltre due metri, è scandita dalla presenza di torri aggettanti che al
suolo si presentano come accumuli di pietre lavorate in loco (Fig. 2). Oltre al pianoro
sommitale, erano quindi protette quelle aree dove probabilmente era alloggiato
l’accampamento vero e proprio dell’esercito, a debita distanza dai musulmani
asserragliati in città. Prima di intraprendere lo scavo si è operata una ricognizione di
superficie dell’intera area, riscontrando elementi che consentono di apprezzarne l’uso
già dall’età arcaica. Solo uno stipite ed un rocchio di colonna potrebbero far pensare a
qualche struttura abitativa di un certo livello, ma d’altro canto si può immaginare un
loro riutilizzo nel medioevo. Tracce anteriori al periodo federicianosono invece relative
ad alcune sepolture divelte e agli oggetti del presunto corredo. É noto infatti, sebbene
non dalla letteratura archeologica, che il pianoro del «Castellazzo» e le aree
immediatamente adiacenti sono state occupate dalla necropoli (o da una delle necropoli)
di età classica ed ellenistica di Iato. L’attuale configurazione si deve alle opere di
recupero del pianoro come area agricola certamente nel corso dell’ultimo secolo.
Attività di spietramento moderna è documentata dalla tradizione orale fino agli inizi
degli anni’70 del secolo scorso quando Monte Iato fu interessato dall'attività della
missione archeologica dell’Università di Zurigo che continua tutt’ora insieme a quella di
Innsbruck. L’area selezionata per le indagini stratigrafiche è stata quella sommitale, nei
pressi di una struttura moderna, ora dismessa, utile probabilmente per la caccia da
posta. Oltre ad essere di facile accesso, la scelta è stata dettata dal fatto che la zona si
trova in un punto in cui si possono già individuare delle strutture affioranti. Gli strati
archeologici sono immediatamente intercettabili sotto un interro che varia dai 10 ai 20
cm; questo ha favorito la nostra ricerca ed il lavoro dei volontari che si sono susseguiti
nel corso dello studio.
Negli scavi sono stati rinvenuti due tratti della cinta muraria che cingeva il rilievo, tre
torri ed alcuni ambienti addossati alla cinta. La tecnica muraria prevede l’utilizzo di
pietra cavata o raccolta in loco ed utilizzata appena sbozzata usando come legante malta
di terra argillosa. Due degli ambienti hanno pianta quadrata mentre uno è rettangolare;
quest’ultimo si caratterizza per la presenza di due rocchi di colonna antichi con
probabile funzione di arredo mobile. Da questo ambiente vengono poi quattro dadi in
avorio, diversi frammenti di bicchieri in vetro polibugnati, fibbie e fermagli in bronzo
ed ancora ben 25 monete. Nessun reperto riconducibile ad armi. Ciò ha indotto a
ritenerlo un luogo con funzione di riposo e distrazione per gli assedianti o una parte
privilegiata di essi. Durante le campagne di scavo del 2016 è stato approfondito lo
scavo del Saggio III, quello settentrionale. Rimossi i poderosi crolli dovuti al collasso a
seguito dell’abbandono delle strutture, sono stati rintracciati un ingresso e la
pavimentazione originaria. L’ingresso è piccolo, largo appena 1,70 m e perciò viene
interpretato come una postierla difesa da due torri (Fig. 3.1). Si conservano gli stipiti ed
un’unica basola rettangolare che presenta uno scasso per l’alloggio del cardine della
porta. Appena attraversato l’ingresso, si rintraccia parte della pavimentazione ancora in
loco. Si tratta di basole irregolari di medie dimensioni (20x25x5) alternate a frammenti
minuti di calcare, terracotta e malta argillosa quale legante. La pavimentazione si pone a
diretto contatto con il banco roccioso irregolare e semplicemente regolarizzato per
accogliere il piano di calpestio. Fino ad ora sono documentate solo due periodi di
frequentazione nell’area scavata: quello relativo ad una necropoli ellenistica e quello di
età federiciana.
128
Archeologia /Il Castellazzo di Federico II a Monte Iato
Per quanto riguarda la necropoli
ellenistica si è riusciti a documentare
l’esistenza di due riti funerari distinti,
incinerazione ed inumazione, entrambi
a diretto contatto con le strutture
medievali. Nel caso dell’inumazione,
l’individuo
sepolto
è
stato
parzialmente lasciato in loco al
momento della costruzione della cinta
medievale, tanto da conservare in
posizione originaria parte del busto e
delle ossa lunghe superiori. Il cranio, o
quello che resta, e le articolazioni
inferiori sono state distrutte per la
costruzione del muro di cinta e
dell’ambiente annesso. La sepoltura ad
incinerazione si trovava invece al di
sotto del muro di raccordo tra il
Saggio II ed il III; anche qui, l’urna in
piombo integra è stata lasciata al suolo
a diretto contatto con il banco
roccioso ed il muro medievale si è
sistemato sopra di essa (Fig. 3.3). Ciò
lascia immaginare una certa velocità
nella costruzione delle strutture
fortificate che non ha previsto
l’eventuale “pulizia” del sito: questo è
in linea con il carattere militare
dell'insediamento. Dagli ambienti già
scavati, con eccezione di quello già
descritto, provengono in massima
parte armi e oggetti di corredo
militare, oltre che finimenti per
cavallo. Si tratta di quadrelle di
balestra, punte di freccia, fibbie per
bardature, coltelli ed altri oggetti di
Fig. 3: Postierla di ingresso Nord (1), sepoltura chiaro carattere militare. Interessante
parzialmente sconvolta (2), urna cineraria in anche la presenza di una sepoltura,
piombo al di sotto delle strutture medievali (3).
appena fuori da un ambiente, forse
relativa ad un musulmano che avrebbe
potuto far parte della compagine militare agli ordini dell'imperatore (Fig. 3.2). Non
sarebbe strano comunque che facesse parte dell’esercito di Federico II, anche perché in
massima parte composto da mercenari. Oltre ad avere il cranio orientato a Sud-Est,
presentava un elemento di corredo costituito da una piccola borchia in bronzo dorato
ed inciso con la figura di un cavallo alato. Anche la ceramica, ad esclusione di alcuni
reperti di età ellenistica relativi alla necropoli che occupava l’area precedentemente, si
129
Antonio Alfano
ascrive tutta alla prima metà del XIII secolo. Si tratta nel 90% di frammenti relativi a
coppe decorate a spirali in bruno e verde (spiral ware) di produzione campana e di forme
da fuoco invetriate prodotte in area messinese. La prosecuzione delle indagini ha
l’obiettivo di porre in luce il sistema fortificato della parte meridionale del pianoro dove
si nota, anche dalle tracce di microrilievo, la presenza di una torre e di una rampa
d’accesso ricoperta da un lastricato. L’interesse per il sito è inoltre favorito dalla
realizzazione di campi di volontariato regolari organizzati anche nell’ambito dei progetti
di alternanza scuola-lavoro con istituti di istruzione secondaria superiore.
Possiamo anche inquadrare il Castellazzo in un più generale sistema di fortificazioni
volte ad isolare la città di Giato durante la prima metà del XIII secolo . Insieme al
fortilizio oggetto di scavo furono così realizzati il castello su Monte Pagnocco, ad una
quota di 902 m. slm e gli ambienti coperti con volta a botte di Pizzo Mirabella al centro
della Valle dello Jato all’impressionante quota di 1162 m.slm. I materiali archeologici e
le tecniche murarie evidenziano la contemporaneità delle strutture. Il sito del
Castellazzo, vista la posizione favorevole costituitva il punto principale dell’assedio,
mentre i due siti di Pagnocco e Mirabella assicuravano il blocco dei rifornimenti da
Palermo e da Corleone. Le poderose murature ed i resti del Castello su Iato, ancora
visibili per ampi tratti e comunque identificabili con le tracce da microrilievo,
costituivano l’elemento più forte per la difesa della città. Ecco perché le fonti parlano di
assedi e non di battaglie campali; la
natura dei terreni montuosi e scoscesi
non permetteva altre soluzioni che
quelle dello “stallo” in attesa di
comunicazioni o brevi periodi di
pacificazione. È inoltre assolutamente
impensabile che la città musulmana di
Giato abbia avuto le forze e le risorse
necessarie per costruire altre linee di
difesa in avanzamento a quella della
città. L’impressionante fortificazione di
Giato, visibile per gran parte ancora
ora, costituiva l’ultimo baluardo di
difesa contro le fortezze ossidionali
costruite sulla sua fronte .
Il repertorio metallico
Come già sottolineato la natura dello
scavo e dei rinvenimenti ha reso il
Castellazzo un punto fondamentale
negli studi sulla poliorcetica militare
della prima metà del XIII secolo. Le
truppe di Federico II, come la maggior
parte degli eserciti medievali, erano Fig. 4: Rilievo grafico dei reperti metallici (1, 3, 4,
costituite da soldati mercenari che si 5, 6, 11: Chiara Frisio; 2: Adele Germoglio; 7, 8, 9,
spostavano tra le sponde del 10: Federico Marafetti).
130
Archeologia /Il Castellazzo di Federico II a Monte Iato
Mediterraneo a seconda delle necessità. Ciò ha permesso di ritrovare oggetti metallici
che trovano confronti in diversi siti italiani ed europei. Da un punto di vista
cronologico e tipologico gli oggetti confermano il carattere militare del luogo e la
realizzazione delle strutture a partire dal XIII secolo. Le punte di freccia a sezione
romboidale sono note in contesti a partire dal XIII; la grande fibbia “a rouleau”
funzionale alla chiusura dei lacci sottopancia per la bardatura dei cavalli (Fig. 6.5)
anch’essa nota a partire dal XIII; le monete, infine, pertinenti agli anni dei due assedi.
L’armamento offensivo della comunità che qui risiedeva era costituito essenzialmente
da balestre portatili ed archi d’uso bellico. Si tratta di chiodi (Fig. 4.3, 4.11; Fig. 6.6, 6.8,
6.10, 6.11), quadrelli di balestra in ferro (Fig. 5.6, 5.7, 5.8, 5.11, 5.12), punte di freccia in
ferro sia lanceolate (Fig.5. 2, 5.5) che a sezione quadrata (Fig. 5.1, 5.3, 5.4, 5.9), foderi di
coltello o arco in bronzo (Fig. 4.2), elementi di serratura in ferro (Fig. 4, 1; Fig. 6.4),
ferri e bardature per cavallo o mulo (Fig. 6.1, 6.2, 6.3, 6.5), fibbie sia in bronzo (Fig. 6.7,
6.9) che ferro (Fig. 5. 10). Lo stato di conservazione è buono e solo in qualche caso si
rintracciano segni di schiacciamento dovuti al crollo delle strutture (Fig. 5.6).
Fig. 5: Rilievo grafico dei reperti metallici (1, 2, 12: Thea Paparella; 3: Antonio Alfano; 4, 10:
Chiara Frisio; 5: Serena Tonacchera; 6: Gaia Tripepi; 7: Tommaso Teruzzi; 8: Pietro Mari; 9:
Adele Germoglio; 11: Pietro Franchi); Fig. 6: Rilievo grafico dei reperti metallici (1, 9: Serena
Tonaccchera; 2, 7: Adele Germoglio; 3, 4, 10: Thea Paparella; 5, 6: Gaia Tripepi; 8: Pietro
Franchi; 11: Alessandro Ungureanu).
131
Antonio Alfano
Il territorio
Sono state censite più di 240 UT (Unità Topografiche) con documenti archeologici
che vanno dal Paleolitico Superiore al Basso Medioevo, a testimoniare la ricchezza dei
luoghi e la diffusione della presenza umana. Ricchezza e diffusione di insediamenti
possibile grazie ad un’abbondante presenza di acqua e di una rete viaria che univa il
territorio di Iato con la piana costiera di Partinico a Nord e con l’area interna di
Corleone sul versante opposto. Nonostante l’importanza dei ritrovamenti sul sito di
Monte Jato, il territorio circostante non è stato mai studiato in modo estensivo e le
poche testimonianze archeologiche note riguardano soprattutto i periodi più antichi
della storia umana. Viceversa, la mole di informazioni nota a partire dal periodo
normanno non ha mai trovato applicazione in uno studio archeologico tranne nel caso,
purtroppo rimasto inedito, del Monreale Survey di Jeremy Johns. Partendo da questo
presupposto e forti di nuovi dati sia in relazione alle crono-tipologie di numerosi reperti
abbiamo scelto di operare una ricognizione che portasse alla luce, il più possibile, la
varietà del popolamento rurale tra età islamica e sveva. Punto di partenza
imprescindibile per l’analisi di questa porzione della Sicilia occidentale è la ğarīda alḥudūd del territorio dell’Arcidiocesi di Monreale, documento fatto compilare e
trascrivere in arabo e latino da re Guglielmo II nel 1182. Nel documento è riportata la
descrizione dei confini del territorio appartenente alla Chiesa di Santa Maria La Nuova
di Monreale, una vasta area frazionata in numerose divisae il cui dato toponomastico, in
molti casi rimasto invariato nel tempo, aiuta a definire le pertinenze territoriali di
numerosi distretti. Il territorio oggetto della ricerca ricade completamente all’interno
della Magna Divisa Jati, un macro distretto che si estendeva da Partinico ad Altofonte
fino ai confini con Corleone ad est e Calatafimi ad ovest, all’interno del quale sono
segnalati una serie di abitati, rocche, punti di vedetta, mulini e percorsi viari;
parallelamente sono descritte evidenze topografiche particolari quali fiumi, sorgenti,
monti e valli che costituiscono anche i punti di confine tra le varie circoscrizioni o
semplicemente punti di rilievo.
Le fasi centrali dell’altomedioevo (VIII e IX secolo)
Le attestazioni materiali attribuibili ai secoli VIII e IX sono poche, rintracciabili
peraltro in aree che si presentano già abitate e/o che hanno frequentazioni successive.
Se da un lato, l’assenza di stratigrafie anche solo parzialmente complete per questi secoli
non ci aiuta, considerando che si tratta di reperti da ricognizione, dall’altro, la verifica
della scarsa presenza degli stessi sia nei territori della nostra ricerca che in quelli della
Sicilia occidentale può concorrere nello spiegare il dato così negativo sull’incidenza
dell’abitato sparso. Il calo demografico, l’interesse relativamente minore dell’Impero
d’Oriente e la riorganizzazione della difesa a seguito delle scorrerie musulmane, devono
essere combinate insieme per la definizione di un più ampio problema archeologico. In
questi secoli si assiste ad una regionalizzazione delle produzioni ceramiche, che
probabilmente ha inizio già precedentemente e che appare visibile nell’VIII secolo, cioè
subito dopo la fine delle importazioni di sigillata. Con riguardo alla Sicilia centrale e
meridionale è piuttosto evidente alla fine dell’VIII-inizi IX secolo una presenza di
abitati sparsi nelle campagne, relativamente vicini tra loro, in qualsiasi posizione
132
Archeologia /Il Castellazzo di Federico II a Monte Iato
geografica (fondovalle, altura, collina) ed in relazione alle risorse disponibili ed alla
viabilità. Tra le valli dello Jato e del Belìce Destro il dato archeologico relativo a questi
due secoli è legato a manufatti quali anse con il solco mediano, coppi a superficie striata
e dimagrante vegetale nell’impasto e forme da fuoco a superficie annerita che
presentano impasto del tipo Calcitic Ware. Queste ultime produzioni si avvicinano
morfologicamente a quelle rinvenute a Cefalù, Marettimo, nell’area di Entella, nelle
ricognizioni della valle dell’Imera, a Segesta e datate dalla fine del VII al IX secolo.
Unici infine i ritrovamenti di un frammento di ceramica a vetrina pesante del tipo petal
ware databile al IX secolo e di un frammento di lucerna a ciabatta databile al pieno VIII
secolo.
Gli arabo-musulmani ed il ripopolamento del territorio
Grazie ai nuovi studi su alcuni contesti stratigrafici urbani di Palermo, si può tentare
di delineare un nuovo quadro al popolamento rurale in Sicilia centrale ed occidentale
che non appare più legato alla consueta datazione di numerosi siti sorti “a partire dalla
metà del X secolo”. Nel territorio del nostro studio sono tredici gli insediamenti in cui
si raccolgono materiali inquadrabili entro la prima metà del X secolo posti lungo
importanti direttrici viarie e legati ad un insediamento che si protrae per tutto il secolo
XI e spesso anche oltre. Questi materiali sono soprattutto pareti di anfore di
produzione palermitana decorati con motivi circolari o sinusoidali. Se rivolgiamo lo
sguardo all’intera Sicilia occidentale ci accorgiamo che il popolamento rurale già in età
aghlabide e agli inizi di quella fatimide sembra essere in qualche modo strutturato. Il
ruolo di Palermo è eccezionale se consideriamo la diffusione delle ceramiche prodotte
che continuerà per tutto il secolo X con invetriata ed anfore in tutta l’isola ed anche
fuori da essa. L’analisi autoptica dei materiali, esclusivamente per la valle dello Jato e del
Belìce Destro, ha verificato la stretta dipendenza con Palermo in relazione alle
produzioni ceramiche ed una scarsa attestazione di prodotti nord-africani. Da un punto
di vista delle caratteristiche dell’insediamento si tratta di aree poste in luoghi aperti e per
nulla fortificati, alla base di affioramenti calcarei o su colline argillose, vicini a fonti
d’acqua ed in stretta dipendenza con la viabilità; luoghi insomma che testimoniano una
situazione politica più serena, un intenso sfruttamento delle risorse agrarie ed un tessuto
sociale ben articolato. Insieme a queste caratteristiche il territorio presenta diversi
affioramenti rocciosi occupati da fosse per la conservazione dei cereali recentemente
studiate e rilevate (se ne contano fino ad ora 22). La loro forma, quasi sempre a calotta
emisferica, indice a proporre una loro realizzazione tra X ed XI secolo, in concomitanza
proprio con l’incremento demografico e con la conservazione del surplus. In assenza di
scavi stratigrafici non possiamo avanzare ipotesi sulla possibile gerarchia sociale o sulle
articolazioni insediative, ma possiamo spingerci a riconoscere e differenziare zone in cui
sono sorti dei villaggi ed aree con insediamento di piccolo taglio, singole case e/o
piccoli nuclei.
Ciò è possibile grazie alla varietà morfologica ed alla quantificazione del materiale al
suolo, che nelle aree da noi definite villaggio arriva ad un paio di migliaia ca. con una
densità media minima di 8,6 rep. m2 ed una massima di 45,3 rep. m2. Si tratta di
materiali che abbracciano tutto l’orizzonte cronologico per una UT (Unità
Topografica), ma in molti casi i reperti con cronologia X-XII sono i più abbondanti.
133
Antonio Alfano
Sono ben 14 i villaggi a volte formati da più UT, estesi tra 1 e 5 ha posti a relativa
distanza tranne nel caso dell’area di Pietralunga (22-182-183 / 49-186-195) e sulla via
pedemontana verso Palermo, nella valle dello Jato. Qui, l’insediamento medievale si
pone alla base dei rilievi calcarei ed in stretta vicinanza con le sorgenti. Il ruolo del
fiume Jato risulta quindi marginale almeno fino al secolo XII quando le fonti scritte
riportano l’esistenza di alcuni mulini.
Dai Normanni agli Svevi: persistenze ed abbandoni
Con l’arrivo dei Normanni l’assetto territoriale cambia parzialmente; se ancora nel
primo venticinquennio del XII secolo non vi sono cambiamenti significativi nelle
produzioni o nelle tipologie insediative; la seconda parte dello stesso secolo vede
l’abbandono di molti siti sparsi nelle campagne, l’accentramento e la fortificazione verso
luoghi strategicamente difendibili e la nascita, almeno in certe parti dell’isola di
insediamenti religiosi appartenenti ai più vari ordini ecclesiastici. La ğarīda al-ḥudūd del
territorio dell’Arcidiocesi di Monreale costituisce, come abbiamo sottolineato, la
principale fonte sebbene sia stata compilata nel 1182. Moltissimi toponimi ci informano
sull’articolazione del paesaggio e sui suoi abitanti, spesso provenienti da altre parti della
Sicilia e non necessariamente di religione musulmana. La maggior parte delle UT
rinvenute presenta un consistente gruppo di ceramiche ascrivibili al secolo XII quali
anfore di produzione palermitana, catini a calotta ribassata ed orlo ingrossato, invetriata
verde con decorazione solcata ed altre produzioni generalmente ben identificabili.
Le dinamiche dell’insediamento territoriale successivo sono legate alle rivolte della
prima metà del XIII secolo ed al ruolo di Jato come ultima roccaforte islamica di Sicilia.
Questo centro insieme ad Entella, Corleone, Calatrasi, Calathamet, Guastanella e ad
altri non ancora identificati (Celso e Gallo), assunse il ruolo di punto forte degli ultimi
scampoli di popolazione musulmana di Sicilia. Nel nostro territorio i siti di Monte della
Fiera (UT 78), Pizzo Mirabella (UT 215), Monte Pagnocco (UT 187) presentano resti di
fortificazioni che associate alle ceramiche di superficie concorrono in una cronologia
compresa tra la fine del XII e la prima metà del XIII secolo. Dopo la morte di
Guglielmo II (1189) una serie di abitati saranno abbandonati, in favore di una
concentrazione della popolazione nelle rocche appena descritte, segno ineluttabile del
cambiamento sociale ed economico che l’intera Sicilia occidentale si apprestava a
ricevere. Per quanto riguarda il XIII secolo, i pochi reperti rinvenuti ci inducono ad
immaginare un impoverimento dell’insediamento rurale in linea con le ricerche in
Sicilia. In relazione alle produzioni in circolazione tra la fine del XII-XIII secolo si sono
rinvenuti frammenti di importazione quali la “spiral ware” (UT 129, 130, 146, 183, 187),
alcune pentole invetriate di “tipo Messina”, conosciute già nel XII secolo ma che
sembrano trovare la loro massima fortuna nel XIII, graffita arcaica tirrenica (UT 85) e
le invetriate su ingobbio (UT 62, 63, 133). Sarà sotto il regno di Federico II che avverrà
un vero e proprio cambiamento nel paesaggio rurale con la scomparsa di una
percentuale pari al 90% degli abitati ed alla conseguente desertificazione. Di estremo
interesse è tuttavia il ritorno alla terra nei secoli XV e XVI sia in Sicilia centrale che
occidentale che vedrà la nascita di masserie e fattorie fortificate in zone oggi occupate
da aree di dispersione con valenza archeologica e con uno spessore dei dati che
attraversa diversi secoli dalla Preistoria alla Storia.
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Archeologia /Il Castellazzo di Federico II a Monte Iato
Ringraziamenti
Si ringraziano la Direttrice del Parco Archeologico di Monte Iato, Lucina Gandolfo,
la Direttrice del Polo Museale di Palermo per i Parchi e i Musei Archeologici, Francesca
Spatafora, Il professore Ferdinando Maurici e l’architetto Enrico Caruso, per aver
permesso la pubblicazione dei risultati in questa sede (prot. 1663 20.3.2017). Si
ringraziano i soci studenti del Gruppo Archeologico Valle dello Jato e Liceo Classico
Tito Livio di Milano seguiti dalla professoressa Maria Basile per aver partecipato alle
campagne di scavo e realizzato la documentazione grafica qui presentata alle figure 4, 5
e 6.
Bibliografia
Il Castellazzo di Monte Iato ed il territorio vallivo dello Jato e del Belìce Destro sono stati
oggetto di numerose pubblicazioni negli ultimi anni. Limitiamo ai nostri titoli le indicazioni
bibliografiche per questo contributo. Teniamo a sottolineare che l’assenza di note infratesto è
dovuta alla natura del contributo che potrà essere approfondito con l’ampia bibliografia
disponibile oltrechè con i numerosi testi editi puntualmente dalla Università di Zurigo e
Innsbruck.
A. Alfano 2015, I paesaggi medievali in Sicilia. Uno studio di archeologia comparativa: le valli dello Jato e del
Belìce Destro (PA), La Villa del Casale (EN) e Valcorrente (CT), in Archeologia Medievale XLII, 2015.
pp.
A. Alfano, Dalla Villa al Villaggio. L’età romana e tardoantica attraverso la circolazione di merci, prodotti e
manufatti nelle Valli dello Jato e del Belìce Destro (PA), in R. Martorelli, A. Piras, P. G. Spanu (a c.),
Isole e terraferma nel primo cristianesimo. Identità locale ed interscambi culturali, religiosi e produttivi, XI
Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana, Cagliari 23-27 settembre 2014, Cagliari 2015, pp.
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di superficie, in A. Musco, G. Parrino (a c.), Santi, santuari, pellegrinaggi. Atti del Seminario
Internazionale di Studio, San Giuseppe Jato e San Cipirello (31 agosto-4 settembre 2011),
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da un’analisi tecnica, in Opera Ipogea, 2/2016, pp. 43-56.
A. Alfano, S. Muratore, SIT e database. L’esempio dalle ricognizioni nelle Valli dello Jato e dell’alto Belice
Destro, in Archeologia e Calcolatori 24, 2014, pp. 71-91.
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docs/FOLDER-it-2014-309.pdf (ultimo accesso 28 febbraio 2016)
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territorio, http://www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2016-360.pdf (ultimo accesso 01 giugno
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