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2018, VenetoAdapt**. Un’esperienza di convergenza tra adattamento al cambiamento climatico e riduzione del rischio

Le tradizioni disciplinari dei saperi sulla riduzione del rischio di disastro e degli studi sull’adattamento al cambiamento climatico procedono da decenni con difficoltà nella condivisione di strumenti e di percorsi. È possibile costruire un percorso capace di far convergere queste tradizioni considerando il cambiamento climatico come macro-catastrofe in essere, considerando l’espressione catastrofe nell’accezione proposta da René Thom, e gli episodi emergenziali locali come concatenati a questo primo evento globale in corso. Il progetto Veneto Adapt prova ad applicare questo processo alla pianificazione dell’adattamento del quadrilatero del Veneto Centrale a partire da una ridiscussione dei piani in essere, da un’analisi della vulnerabilità che connetta i due mondi e da una formalizzazione delle reti di governance tematiche utilizzate ma non riconosciute dagli enti partner. Il contributo propone una descrizione del modello teorico sviluppato ed i risultati del primo anno di progetto.

VenetoAdapt**. Un’esperienza di convergenza tra adattamento al cambiamento climatico e riduzione del rischio. Mattia Bertin*, Giacomo Magnabosco*, Denis Maragno*, Vittore Negretto*, Carlo Federico Dall’Omo*, Francesco Musco*, Lorenzo Fabian* Due tradizioni parallele si incontrano: il Progetto Veneto Adapt Nonostante la grande coerenza tematica, i settori di ricerca legati all’adattamento al cambiamento climatico ed alla riduzione del rischio di disastro procedono da sempre su binari paralleli. I linguaggi, le metodologie, ed i risultati stessi di queste ricerche spesso procedono lungo percorsi che non riescono a scambiare i propri materiali. (Mercer, 2010; Forino, von Meding, Brewer, 2015) Pur occupandosi entrambi di gestione degli impatti estremi, e pur sovrapponendosi completamente per gli impatti climatici, i due approcci scontano due modelli in contrasto, cosicché i saperi classicamente legati al disastro approfondiscono solitamente i processi propri della gestione dell’evento a scala fortemente locale, mentre quanto finora esplorato dal mondo legato all’adattamento al cambiamento climatico ha sistemi di riferimento più ampi. (Gallopin, 2006; Isenhour, McDonogh, Checker, 2015) La necessità di far coincidere maggiormente questi saperi viene dichiarata da almeno un decennio, (Birkmann, von Teichmann, 2010) e ancora nel 2015 troviamo gli stessi limiti denunciati da loro nel manuale Hazard Mitigation: Integrating Best Practices into Planning, a cura dell’American Planning Association. (Schwab, 2010) Il contributo qui proposto prova a sviluppare un modello di correlazione tra le due culture scientifiche a partire da una loro applicazione congiunta in un caso specifico: il progetto Life Veneto Adapt, dedicato all’adattamento al cambiamento climatico del Veneto Centrale attraverso la collaborazione tra enti amministrativi di livello diverso. Figura 2– Schema di evoluzione di un evento emergenziale considerando il cambiamento climatico come macrocatastrofe primigenia. Il cambiamento climatico come macrocatastrofe Il progetto parte da un assunto teorico, figlio della teoria delle catastrofi di René Thom: il concetto catastrofe, nella produzione del matematico francese, si riferisce al momento in cui una discontinuità rompe il procedere di un sistema in equilibrio, comportando una repentina evoluzione. (Thom, 1980) Nella teoria delle catastrofi ci si sforza di descrivere le discontinuità che si possono presentare nell’evoluzione del sistema. Intuitivamente si ammette che l’evoluzione globale di un sistema si presenti come una successione di evoluzioni continue, separate da bruschi salti di natura qualitativamente differente. Per ogni tipo di evoluzione continua, in linea di principio, sussiste una modellizzazione di tipo differenziale classico; ma i salti fanno sì che si che si passi da un sistema differenziale a un altro (Ivi, p. 110). A differenza delle catastrofi, le crisi, secondo l’autore, sono perturbazioni di un sistema, in cui però non è necessario modificare il modello regolativo. Durante una crisi noi osserviamo un’evoluzione coerente delle relazioni interne del sistema, che non necessitano di un radicale intervento di ridefinizione, ma semplicemente di un aumento dell’attività interna di amministrazione. (Ivi, p. 107) Possiamo descrivere un’emergenza come ciò che viene causato da una catastrofe, a sua volta definita secondo secondo il modello teorico di Thom, considerando come catastrofe un evento che sposti la normale evoluzione del sistema verso uno stato di eccezione, fino al limite di oltrepassare la linea di non sufficienza, normalmente definita come Disastro. (Bertin, 2018, p. 34) Proviamo a questo punto a considerare il modello evolutivo del cambiamento climatico alla luce di questa teoria. Il cambiamento climatico, normalmente trattato come crisi globale da contenere, è in realtà definito dai climatologi, e dai rapporti IPCC, come una trasformazione, potenzialmente inarrestabile, del nostro sistema globale climatico, con ricadute complesse su ogni livello locale. (IPCC 2007; IPCC 2014) Possiamo pertanto inserire il cambiamento climatico nel precedente schema come catastrofe primigenia, che interviene spostando verso uno stato di eccezione il sistema rompendone la stabilità. Se ciò è vero, vedremo come emergenze multi-evento molti episodi catastrofici di grande rilievo recentemente accaduti anche nel nostro Paese, il più noto è sicuramente quello di Rigopiano (2016). Acquisendo questo punto di vista ci siamo chiesti come costruire un sistema coerente di pianificazione dell’adattamento al cambiamento climatico e di riduzione del rischio che una catastrofe evolva in disastro. VenetoAdapt, un progetto per il sostegno dei territori ad alto rischio A questa questione è dedicato il progetto VenetoAdapt1, che ragiona sui gravi impatti climatici già in corso nel Veneto centrale, soprattutto in merito agli impatti causati dal caldo estremo e dal ciclo dell’acqua. special issue - URBANISTICA INFORMAZIONI | 27 Il progetto coinvolge tre grandi comuni della Regione, Vicenza, Padova e Treviso, l’intera Città Metropolitana di Venezia, e un’unione di piccoli comuni ad alto rischio, l’Unione Comuni del Medio Brenta. La scelta degli enti da coinvolgere è stata dettata dalla volontà di rappresentare un territorio più possibile omogeneo, raccogliendo assieme tre dimensioni e tre forme amministrative differenti, per costruire un modello esportabile in tutto il Veneto centrale. Per questo inoltre si è deciso di raccogliere nel gruppo i capoluoghi delle quattro province (il discorso per quanto riguarda Venezia sarebbe più ampio, e dipenderà anche dalle prossime evoluzioni normative, ma per la necessaria brevità di questo saggio basti questo a proposito della scelta di Città Metropolitana anziché del Comune). Le aree scelte hanno subito negli ultimi dieci anni gravi fenomeni alluvionali e di ondate di calore, e dall’inizio del progetto sono state più volte colpite da eventi estremi che hanno causato la necessità di intervenire con pratiche emergenziali, rallentando anche in maniera importante le normali funzioni amministrative. Il progetto è stato strutturato a partire da una rilettura critica della vulnerabilità locale, dei piani vigenti e dei modelli di governance dei diversi fenomeni. L’ipotesi formulata è che molti degli strumenti per la gestione emergenziale e per l’adattamento siano già in dotazione all’ente che deve procedere alla propria pianificazione, o comunque siano desumibili da buone pratiche attivate da enti prossimi sottoposti agli stessi rischi. Il progetto, per permettere agli enti di analizzare criticamente i propri processi ordinari e la propria pianificazione vigente, ha proceduto attraverso un tavolo di confronto convocato bimensilmente, con un ruolo di formazione, direzione del lavoro di confronto e di valutazione continua del risultato per il gruppo di ricerca. Il primo anno di progetto, che ha concluso la fase analitica qui di seguito riportata, ha portato a tre risultati: una mappatura coerente della vulnerabilità ai pericoli legati al ciclo dell’acqua ed agli eventi di ondate di calore per tutto il Veneto centrale, con focus dedicati per ciascun comune partner; una raccolta di 630 misure di adattamento già presenti nei piani vigenti, di cui 365 legate al ciclo dell’acqua, e 265 legate al calore; una mappa della governance dei processi locali di gestione dei fenomeni legati ai due pericoli, rappresentata per comuni e per categorie dei soggetti riconosciuti. Il processo di analisi si è compiuto poi riconoscendo, a partire dall’uso del suolo, una prima stima sull’esposizione dei territori censiti come a maggior vulnerabilità per livelli di pericolosità stabiliti. Figura 4– Vulnerabilità a acqua e calore del Veneto centrale 28 | URBANISTICA INFORMAZIONI - special issue Questa rilettura dei sistemi locali, che tiene assieme gli aspetti di mappatura del rischio, consapevolezza della pianificazione vigente, e descrizione dei modelli amministrativi, è ora una buona base per rideterminare la pianificazione dell’emergenza da un lato, e dell’adattamento dall’altro. Vediamo nel dettaglio la metodologia utilizzata per ciascuno dei tre settori in cui il progetto ha operato. Valutare la vulnerabilità Il punto di maggior divergenza scientifica tra DDR e CCA è nella differenza conoscitiva nei confronti delle variabili individuate per l’analisi della vulnerabilità. I quadri conoscitivi ordinari, da cui dipende la pianificazione classica nella gestione degli eventi e nel dimensionamento di fasce e sistemi di sicurezza, non sono strutturati per confrontarsi con gli eventi climatici in corso. Al fine di valutare la vulnerabilità con lo scopo di identificare quali aree urbane risultino essere maggiormente vulnerabili gli allagamenti urbani e alle isole di calore, il lavoro iniziale si è concentrato nell’implementazione dei quadri conoscitivi urbani. Il progetto ha quindi prodotto per le aree test nuovi livelli informativi vettoriali, utili da un lato allo studio dei servizi ecosistemici in ambito urbano nei momenti di impatto, dall’altro a mutuare un approccio al rischio molto più opportuno per gli eventi potenzialmente prossimi. I nuovi livelli prodotti si integrano coi giacimenti informativi esistenti già in possesso dalle municipalità, arricchendole. Per superare i limiti conseguenti alla scarsa conoscenza a supporto di un processo CCA abbiamo seguito il processo operativo suggerito dal quinto rapporto dell’IPCC (AR5, IPCC, 2014), che definisce un nuovo approccio di valutazione della vulnerabilità avvicinando l’approccio di valutazione di vulnerabilità definito nel “Fourth Assessment Report of the IPCC” (IPCC, 2007) a quello prodotto dall’UNISDR per la riduzione del rischio catastrofe. L’obiettivo è stato accrescere le conoscenze del territorio beneficiando dei dati ottenibili dalle nuove tecnologie e dai dati satellitari in un processo di analisi remote sensing. (Maragno, 2017) Le mappe esito del processo, oltre a supportare la definizione delle strategie e azioni del piano di adattamento, saranno utili nella costituzione di nuovi piani d’emergenza, identificando le aree fragili con maggior cura ed efficacia. Leggere i piani La lettura dei piani e la ricerca della loro efficacia per l’adattamento è stata strutturata come un processo ermeneutico interpretativo (Cfr. Menoni, 2013; Lindell, 2013; Bertin, 2018, pp. 39-54) che, a partire da una rilettura degli strumenti vigenti, e con il supporto di una scheda di analisi rigida, ha permesso di tradurre le specificità di territorio e di strumento in azioni adattive generalizzabili ed indipendenti dallo strumento di origine. La scheda era volta a riconoscere: strategia d’intervento, divisa nelle categorie coping, incremental, transformative; tipo di misura, tra fisica, organizzativa ed economica; l’effetto atteso, tra riduzione dell’impatto, dispersione del fenomeno, intervento in emergenza, autoprotezione dei cittadini, monitoraggio e mappatura; tempi di ritorno, divisi in quattro categorie di ordinario, 5-10 anni, 30-50 anni, 100-300 anni; temi su cui la misura influisce, con cinque categorie non alternative, abitare, lavoro, mobilità, attrattività, salute. Tutti i partner hanno analizzato il PAT, Piano di Assetto Territoriale, ed il Piano degli Interventi conseguente. Essendo questi coordinati con i piani di area vasta abbiamo chiesto ad alcuni partner di analizzare anche il PATI, Piano di Assetto Territoriale Intercomunale, e PTCP. Altri partner hanno approfondito invece i contenuti del Piano d’Emergenza Comunale, del Regolamento di Polizia Idraulica e il Piano Operativo Comunale. Il risultato ci ha portato a mappare in tutto 16 piani, con un totale di 630 misure riconosciute come vigenti. Alcune di queste misure sono ovviamente ripetitive, ed altre sono legate a tempi di ritorno troppo ridotti per risultare realmente efficaci nell’adattamento al cambiamento climatico. Queste seconde sono state comunque prese in considerazione quando modificabili in senso restrittivo portando a risultati potenzialmente efficaci, soprattutto se usate in sovrapposizione con altre misure. In totale sono state riconosciute 276 misure già efficaci per tempi di ritorno superiori ai 30 anni. Formalizzare la governance Per riconoscere i modelli di governance realmente operanti nei territori di progetto abbiamo sviluppato una matrice volta a decostruire la questione, disarticolando la questione del governo locale in 6 aree tematiche: saperi esperti; soggetti autori di ordinamento e pianificazione; corpi ed enti operativi; decisori politici; portatori di interesse; saperi locali non organizzati. (Cfr. Diani, 2015; Lewis, Mioch, 2005; Comfort, 2007; Bonazzi, 2013, p. 273) I saperi esperti sono i soggetti che possiedono conoscenze di alto livello, formalizzate, sulla gestione del fenomeno. I soggetti autori di ordinamento e pianificazione sono quegli enti che, per legge e per compiti, producono piani, regolamenti e regole sulla gestione, sul governo e sull’uso delle aree oggetto del progetto. I corpi e gli enti operativi sono tutti i soggetti chiamati ad agire nella gestione, ordinaria o emergenziale, dell’ambiente oggetto del progetto. I decisori politici sono tutti i soggetti chiamati a esprimere orientamento politico su un territorio. Possono essere riconosciuti attraverso processi elettorali come nominati da enti di altro livello. I portatori di interesse sono l’insieme dei soggetti che possiedono interessi o diritti potenzialmente coinvolti dal progetto. I saperi locali non organizzati si riferiscono a tutte quelle forme di raccolta della conoscenza non formalizzata, orale o comunque non sottoposta a un criterio scientifico, ma che comunque può integrare il sapere formale e orientarlo in relazione ad elementi non ancora approfonditi. Il risultato è stato poi rappresentato con 11 mappe radiali, che raccogliessero i diversi partner per ente (5 mappe) e per area tematica (6 mappe). Conclusioni: replicabilità ed efficacia Il progetto ha portato a raccogliere i due approcci al rischio a partire dalla loro applicazione, nel tentativo di superare le barriere concettuali a partire dal confronto passo passo delle due modalità anziché da una modellazione teorica unitaria. Il percorso ci ha portato ad avere tre strumenti di analisi capaci di sostenere in maniera unitaria la pianificazione dell’adattamento e dell’emergenza, rendendo potenzialmente più coerenti gli strumenti finali. Attraverso l’analisi dei piani, inoltre, il processo stabilisce un modello di connessione tra questi strumenti e la pianificazione ordinaria, sottolineando i punti deboli e forti dei piani vigenti in relazione alle questioni del rischio. In sostanza l’intuizione di considerare il cambiamento climatico come macro-catastrofe in corso ci sembra utile al suo obiettivo, e la metodologia proposta replicabile a prescindere dal sistema normativo di riferimento, purché adattata nella scelta di piani e di soggetti parte delle aree tematiche di governance. Note * Dipartimento di Culture del Progetto, Università Iuav di Venezia ** The LIFE Veneto ADAPT - Central VENETO Cities netWorking for ADAPTation to Climate Change in a multi-level regional perspective (LIFE16 CCA/IT/000090) is a project granted by European Commission within the framework of LIFE Climate Action finalized to supports public authorities, non-governmental organisations and private actors, especially small and mediumsized enterprises, in implementing low-carbon and adaptation technologies and new methods and approaches. For further information please refers to the web page of Life + program: https:// ec.europa.eu/clima/policies/budget/life_en 1 Questo paper è supportato dal progetto LIFE Veneto ADAPT - Central VENETO Cities netWorking for ADAPTation to Climate Change from a multi-level regional perspective (contract LIFE16 CCA/IT/000090). Bibliografia Forino G., von Meding J., Brewer G. J. (2015), A Conceptual Governance Framework for Climate Change Adaptation and Disaster Risk Reduction special issue - URBANISTICA INFORMAZIONI | 29 Integration, International Journal of Disaster Risk Science, 6:372–384. Mercer J. (2010), Disaster Risk reduction or climate change adaption: are we reinventig the whell?, Journal of International Development, 22, 247–264. Gallopin G.C. (2006), Linkages between vulnerability, resilience, and adaptive capacity. Global Environmental Change, 16:3, 293–30. Isenhour C., McDonogh G., Checker M., ed. (2015), Sustainability in the Global City. 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(2017), La gestione del rischio di ondate di calore e allagamenti in ambiente urbano: un modello applicativo, In: Atti della XX Conferenza Nazionale SIU. Urbanistica e/è azione pubblica, pp. 131-140, Planum. Menoni S. (2013), Emergency Planning, in Bobrowsky P. T., a cura di, Encyclopedia of Natural Hazards, Springer. Lindell M. (2013), Emergency management, in Bobrowsky P. T., a cura di, Encyclopedia of Natural Hazards, Springer. Diani M. (2015), The Cement of Civil Society. Studying Networks in Localities, Cambridge University Press, New York. Lewis D., Mioch J., 2005, Urban Vulnerability and Good Governance, in “Journal of Contingencies and Crisis Management”, 13: 2. Comfort K. L. (2007), Crisis Management in Hindsight: Cognition, Communication, Coordination, and Control, in “Public Administration Review”, 7. Bonazzi G. (2007), Storia del pensiero organizzativo, FrancoAngeli, Milano. 30 | URBANISTICA INFORMAZIONI - special issue