VenetoAdapt**.
Un’esperienza di
convergenza tra
adattamento al
cambiamento climatico e
riduzione del rischio.
Mattia Bertin*, Giacomo
Magnabosco*, Denis Maragno*,
Vittore Negretto*, Carlo Federico
Dall’Omo*, Francesco Musco*,
Lorenzo Fabian*
Due tradizioni parallele si incontrano:
il Progetto Veneto Adapt
Nonostante la grande coerenza tematica, i
settori di ricerca legati all’adattamento al
cambiamento climatico ed alla riduzione del
rischio di disastro procedono da sempre su
binari paralleli. I linguaggi, le metodologie,
ed i risultati stessi di queste ricerche spesso
procedono lungo percorsi che non riescono
a scambiare i propri materiali. (Mercer, 2010;
Forino, von Meding, Brewer, 2015)
Pur occupandosi entrambi di gestione degli
impatti estremi, e pur sovrapponendosi completamente per gli impatti climatici, i due
approcci scontano due modelli in contrasto, cosicché i saperi classicamente legati al
disastro approfondiscono solitamente i processi propri della gestione dell’evento a scala fortemente locale, mentre quanto finora
esplorato dal mondo legato all’adattamento
al cambiamento climatico ha sistemi di riferimento più ampi. (Gallopin, 2006; Isenhour,
McDonogh, Checker, 2015)
La necessità di far coincidere maggiormente
questi saperi viene dichiarata da almeno un
decennio, (Birkmann, von Teichmann, 2010)
e ancora nel 2015 troviamo gli stessi limiti
denunciati da loro nel manuale Hazard Mitigation: Integrating Best Practices into Planning, a cura dell’American Planning Association. (Schwab, 2010)
Il contributo qui proposto prova a sviluppare
un modello di correlazione tra le due culture
scientifiche a partire da una loro applicazione congiunta in un caso specifico: il progetto
Life Veneto Adapt, dedicato all’adattamento
al cambiamento climatico del Veneto Centrale attraverso la collaborazione tra enti amministrativi di livello diverso.
Figura 2– Schema di evoluzione di un evento emergenziale considerando il cambiamento climatico come macrocatastrofe primigenia.
Il cambiamento climatico come macrocatastrofe
Il progetto parte da un assunto teorico, figlio
della teoria delle catastrofi di René Thom: il
concetto catastrofe, nella produzione del matematico francese, si riferisce al momento in
cui una discontinuità rompe il procedere di
un sistema in equilibrio, comportando una
repentina evoluzione. (Thom, 1980)
Nella teoria delle catastrofi ci si sforza di
descrivere le discontinuità che si possono
presentare nell’evoluzione del sistema. Intuitivamente si ammette che l’evoluzione
globale di un sistema si presenti come una
successione di evoluzioni continue, separate
da bruschi salti di natura qualitativamente
differente. Per ogni tipo di evoluzione continua, in linea di principio, sussiste una modellizzazione di tipo differenziale classico;
ma i salti fanno sì che si che si passi da un
sistema differenziale a un altro (Ivi, p. 110).
A differenza delle catastrofi, le crisi, secondo
l’autore, sono perturbazioni di un sistema, in
cui però non è necessario modificare il modello regolativo. Durante una crisi noi osserviamo un’evoluzione coerente delle relazioni interne del sistema, che non necessitano
di un radicale intervento di ridefinizione, ma
semplicemente di un aumento dell’attività
interna di amministrazione. (Ivi, p. 107)
Possiamo descrivere un’emergenza come ciò
che viene causato da una catastrofe, a sua
volta definita secondo secondo il modello teorico di Thom, considerando come catastrofe un evento che sposti la normale evoluzione del sistema verso uno stato di eccezione,
fino al limite di oltrepassare la linea di non
sufficienza, normalmente definita come Disastro. (Bertin, 2018, p. 34)
Proviamo a questo punto a considerare il
modello evolutivo del cambiamento climatico alla luce di questa teoria. Il cambiamento
climatico, normalmente trattato come crisi
globale da contenere, è in realtà definito dai
climatologi, e dai rapporti IPCC, come una
trasformazione, potenzialmente inarrestabile, del nostro sistema globale climatico, con
ricadute complesse su ogni livello locale.
(IPCC 2007; IPCC 2014)
Possiamo pertanto inserire il cambiamento
climatico nel precedente schema come catastrofe primigenia, che interviene spostando
verso uno stato di eccezione il sistema rompendone la stabilità. Se ciò è vero, vedremo
come emergenze multi-evento molti episodi
catastrofici di grande rilievo recentemente
accaduti anche nel nostro Paese, il più noto è
sicuramente quello di Rigopiano (2016).
Acquisendo questo punto di vista ci siamo
chiesti come costruire un sistema coerente
di pianificazione dell’adattamento al cambiamento climatico e di riduzione del rischio
che una catastrofe evolva in disastro.
VenetoAdapt, un progetto per il sostegno dei territori ad alto rischio
A questa questione è dedicato il progetto VenetoAdapt1, che ragiona sui gravi
impatti climatici già in corso nel Veneto
centrale, soprattutto in merito agli impatti causati dal caldo estremo e dal ciclo
dell’acqua.
special issue - URBANISTICA INFORMAZIONI
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Il progetto coinvolge tre grandi comuni della
Regione, Vicenza, Padova e Treviso, l’intera
Città Metropolitana di Venezia, e un’unione
di piccoli comuni ad alto rischio, l’Unione
Comuni del Medio Brenta. La scelta degli enti
da coinvolgere è stata dettata dalla volontà
di rappresentare un territorio più possibile
omogeneo, raccogliendo assieme tre dimensioni e tre forme amministrative differenti,
per costruire un modello esportabile in tutto
il Veneto centrale. Per questo inoltre si è deciso di raccogliere nel gruppo i capoluoghi
delle quattro province (il discorso per quanto
riguarda Venezia sarebbe più ampio, e dipenderà anche dalle prossime evoluzioni normative, ma per la necessaria brevità di questo
saggio basti questo a proposito della scelta di
Città Metropolitana anziché del Comune).
Le aree scelte hanno subito negli ultimi dieci
anni gravi fenomeni alluvionali e di ondate
di calore, e dall’inizio del progetto sono state
più volte colpite da eventi estremi che hanno causato la necessità di intervenire con
pratiche emergenziali, rallentando anche in
maniera importante le normali funzioni amministrative.
Il progetto è stato strutturato a partire da una
rilettura critica della vulnerabilità locale,
dei piani vigenti e dei modelli di governance dei diversi fenomeni. L’ipotesi formulata
è che molti degli strumenti per la gestione
emergenziale e per l’adattamento siano già
in dotazione all’ente che deve procedere alla
propria pianificazione, o comunque siano
desumibili da buone pratiche attivate da enti
prossimi sottoposti agli stessi rischi.
Il progetto, per permettere agli enti di analizzare criticamente i propri processi ordinari e la propria pianificazione vigente, ha
proceduto attraverso un tavolo di confronto
convocato bimensilmente, con un ruolo di
formazione, direzione del lavoro di confronto e di valutazione continua del risultato per
il gruppo di ricerca.
Il primo anno di progetto, che ha concluso la
fase analitica qui di seguito riportata, ha portato a tre risultati: una mappatura coerente
della vulnerabilità ai pericoli legati al ciclo
dell’acqua ed agli eventi di ondate di calore
per tutto il Veneto centrale, con focus dedicati per ciascun comune partner; una raccolta
di 630 misure di adattamento già presenti nei
piani vigenti, di cui 365 legate al ciclo dell’acqua, e 265 legate al calore; una mappa della
governance dei processi locali di gestione dei
fenomeni legati ai due pericoli, rappresentata per comuni e per categorie dei soggetti
riconosciuti. Il processo di analisi si è compiuto poi riconoscendo, a partire dall’uso del
suolo, una prima stima sull’esposizione dei
territori censiti come a maggior vulnerabilità per livelli di pericolosità stabiliti.
Figura 4– Vulnerabilità a acqua e calore del Veneto centrale
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| URBANISTICA INFORMAZIONI - special issue
Questa rilettura dei sistemi locali, che tiene
assieme gli aspetti di mappatura del rischio,
consapevolezza della pianificazione vigente,
e descrizione dei modelli amministrativi,
è ora una buona base per rideterminare la
pianificazione dell’emergenza da un lato, e
dell’adattamento dall’altro. Vediamo nel dettaglio la metodologia utilizzata per ciascuno
dei tre settori in cui il progetto ha operato.
Valutare la vulnerabilità
Il punto di maggior divergenza scientifica
tra DDR e CCA è nella differenza conoscitiva
nei confronti delle variabili individuate per
l’analisi della vulnerabilità. I quadri conoscitivi ordinari, da cui dipende la pianificazione
classica nella gestione degli eventi e nel dimensionamento di fasce e sistemi di sicurezza, non sono strutturati per confrontarsi con
gli eventi climatici in corso.
Al fine di valutare la vulnerabilità con lo scopo di identificare quali aree urbane risultino
essere maggiormente vulnerabili gli allagamenti urbani e alle isole di calore, il lavoro
iniziale si è concentrato nell’implementazione dei quadri conoscitivi urbani. Il progetto
ha quindi prodotto per le aree test nuovi livelli informativi vettoriali, utili da un lato
allo studio dei servizi ecosistemici in ambito
urbano nei momenti di impatto, dall’altro a
mutuare un approccio al rischio molto più
opportuno per gli eventi potenzialmente
prossimi. I nuovi livelli prodotti si integrano
coi giacimenti informativi esistenti già in
possesso dalle municipalità, arricchendole.
Per superare i limiti conseguenti alla scarsa
conoscenza a supporto di un processo CCA
abbiamo seguito il processo operativo suggerito dal quinto rapporto dell’IPCC (AR5,
IPCC, 2014), che definisce un nuovo approccio di valutazione della vulnerabilità avvicinando l’approccio di valutazione di vulnerabilità definito nel “Fourth Assessment
Report of the IPCC” (IPCC, 2007) a quello
prodotto dall’UNISDR per la riduzione del rischio catastrofe. L’obiettivo è stato accrescere
le conoscenze del territorio beneficiando dei
dati ottenibili dalle nuove tecnologie e dai
dati satellitari in un processo di analisi remote sensing. (Maragno, 2017)
Le mappe esito del processo, oltre a supportare la definizione delle strategie e azioni del
piano di adattamento, saranno utili nella costituzione di nuovi piani d’emergenza, identificando le aree fragili con maggior cura ed
efficacia.
Leggere i piani
La lettura dei piani e la ricerca della loro efficacia per l’adattamento è stata strutturata come
un processo ermeneutico interpretativo (Cfr.
Menoni, 2013; Lindell, 2013; Bertin, 2018, pp.
39-54) che, a partire da una rilettura degli strumenti vigenti, e con il supporto di una scheda
di analisi rigida, ha permesso di tradurre le
specificità di territorio e di strumento in azioni
adattive generalizzabili ed indipendenti dallo
strumento di origine. La scheda era volta a riconoscere: strategia d’intervento, divisa nelle
categorie coping, incremental, transformative;
tipo di misura, tra fisica, organizzativa ed economica; l’effetto atteso, tra riduzione dell’impatto, dispersione del fenomeno, intervento in
emergenza, autoprotezione dei cittadini, monitoraggio e mappatura; tempi di ritorno, divisi in
quattro categorie di ordinario, 5-10 anni, 30-50
anni, 100-300 anni; temi su cui la misura influisce, con cinque categorie non alternative, abitare, lavoro, mobilità, attrattività, salute.
Tutti i partner hanno analizzato il PAT, Piano di
Assetto Territoriale, ed il Piano degli Interventi
conseguente. Essendo questi coordinati con i
piani di area vasta abbiamo chiesto ad alcuni
partner di analizzare anche il PATI, Piano di Assetto Territoriale Intercomunale, e PTCP. Altri
partner hanno approfondito invece i contenuti
del Piano d’Emergenza Comunale, del Regolamento di Polizia Idraulica e il Piano Operativo
Comunale.
Il risultato ci ha portato a mappare in tutto
16 piani, con un totale di 630 misure riconosciute come vigenti. Alcune di queste misure sono ovviamente ripetitive, ed altre sono
legate a tempi di ritorno troppo ridotti per
risultare realmente efficaci nell’adattamento
al cambiamento climatico. Queste seconde
sono state comunque prese in considerazione quando modificabili in senso restrittivo
portando a risultati potenzialmente efficaci,
soprattutto se usate in sovrapposizione con
altre misure. In totale sono state riconosciute
276 misure già efficaci per tempi di ritorno
superiori ai 30 anni.
Formalizzare la governance
Per riconoscere i modelli di governance realmente operanti nei territori di progetto abbiamo sviluppato una matrice volta a decostruire
la questione, disarticolando la questione del governo locale in 6 aree tematiche: saperi esperti;
soggetti autori di ordinamento e pianificazione;
corpi ed enti operativi; decisori politici; portatori di interesse; saperi locali non organizzati. (Cfr.
Diani, 2015; Lewis, Mioch, 2005; Comfort, 2007;
Bonazzi, 2013, p. 273)
I saperi esperti sono i soggetti che possiedono
conoscenze di alto livello, formalizzate, sulla
gestione del fenomeno. I soggetti autori di ordinamento e pianificazione sono quegli enti
che, per legge e per compiti, producono piani,
regolamenti e regole sulla gestione, sul governo e sull’uso delle aree oggetto del progetto. I
corpi e gli enti operativi sono tutti i soggetti
chiamati ad agire nella gestione, ordinaria o
emergenziale, dell’ambiente oggetto del progetto. I decisori politici sono tutti i soggetti
chiamati a esprimere orientamento politico
su un territorio. Possono essere riconosciuti
attraverso processi elettorali come nominati
da enti di altro livello. I portatori di interesse sono l’insieme dei soggetti che possiedono
interessi o diritti potenzialmente coinvolti
dal progetto. I saperi locali non organizzati
si riferiscono a tutte quelle forme di raccolta della conoscenza non formalizzata, orale
o comunque non sottoposta a un criterio
scientifico, ma che comunque può integrare
il sapere formale e orientarlo in relazione ad
elementi non ancora approfonditi.
Il risultato è stato poi rappresentato con 11
mappe radiali, che raccogliessero i diversi
partner per ente (5 mappe) e per area tematica (6 mappe).
Conclusioni: replicabilità ed efficacia
Il progetto ha portato a raccogliere i due approcci al rischio a partire dalla loro applicazione, nel tentativo di superare le barriere
concettuali a partire dal confronto passo
passo delle due modalità anziché da una modellazione teorica unitaria. Il percorso ci ha
portato ad avere tre strumenti di analisi capaci di sostenere in maniera unitaria la pianificazione dell’adattamento e dell’emergenza, rendendo potenzialmente più coerenti gli
strumenti finali. Attraverso l’analisi dei piani, inoltre, il processo stabilisce un modello
di connessione tra questi strumenti e la pianificazione ordinaria, sottolineando i punti
deboli e forti dei piani vigenti in relazione
alle questioni del rischio.
In sostanza l’intuizione di considerare il
cambiamento climatico come macro-catastrofe in corso ci sembra utile al suo obiettivo, e la metodologia proposta replicabile a
prescindere dal sistema normativo di riferimento, purché adattata nella scelta di piani
e di soggetti parte delle aree tematiche di governance.
Note
* Dipartimento di Culture del Progetto, Università Iuav di Venezia
** The LIFE Veneto ADAPT - Central VENETO
Cities netWorking for ADAPTation to Climate Change in a multi-level regional perspective
(LIFE16 CCA/IT/000090) is a project granted by
European Commission within the framework of
LIFE Climate Action finalized to supports public
authorities,
non-governmental
organisations
and private actors, especially small and mediumsized enterprises, in implementing low-carbon
and adaptation technologies and new methods
and approaches. For further information please
refers to the web page of Life + program: https://
ec.europa.eu/clima/policies/budget/life_en
1 Questo paper è supportato dal progetto LIFE
Veneto ADAPT - Central VENETO Cities netWorking for ADAPTation to Climate Change from a
multi-level regional perspective (contract LIFE16
CCA/IT/000090).
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