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ISSN 2421-0730 NUMERO 1 – GIUGNO 2019 ALICE MARRAS Contro la deriva statalista della Rechtsphilosophie “neohegeliana”: la sovranità dell’ordinamento internazionale in Hans Kelsen ABSTRACT – The paper focuses on Kelsen’s formal interpretation of sovereignty as the core of his Philosophy of International Law and as the most important antidote to the dangerous “Neo-Hegelian” paradigm of State Sovereignty, which – through Treitschke and Lasson’s reflections on International Law –, came to us as the dominant paradigm of the western Theory of Law and State. Following the “Neo-Hegelian” conception, the State is a self-sustaining super organism, whose Willen is superior to every thinkable International Law, because the latter is in fact intended as an external State Law. Such an idea, which projects Hobbes’ bellum omnium contra omnes on the international level, still constitutes the heart of our International Relations and seems to be particularly relevant in the face of the actual and worrying return of nationalisms, sovereignisms and imperialisms, which threaten the peaceful and democratic structure of the Western World. KEYWORDS – Kelsen, Lasson, Sovereignty, Neo-Hegelianism, Pure Theory of Law, International Law.   n. 1/2019 ALICE MARRAS* Contro la deriva statalista della Rechtsphilosophie “neohegeliana”: la sovranità dell’ordinamento internazionale in Hans Kelsen** SOMMARIO: 1. L’inscindibilità di Sein e Sollen: un’ipotesi - 2. Dallo Stato alla sovranità: una nuova definizione - 3. La nuova sovranità nella dimensione internazionale - 3.1 La deriva statalista “neo-hegeliana”: Adolf Lasson - 3.2 Verso lo Stato universale: la sovranità dell’ordinamento internazionale - 4. Alcune conclusioni critiche 1. L’inscindibilità di Sein e Sollen: un’ipotesi Lavorare sul pensiero di Hans Kelsen significa fare i conti con una produzione scientifica sconfinata, la quale, sebbene si basi dichiaratamente sulla rigida separazione tra Sein e Sollen, spazia invero dalla dottrina pura del diritto alla sociologia, dalla filosofia della pace alle opere sulla democrazia, dalla teoria dello Stato al diritto internazionale. In virtù di tale vastità, è possibile per lo studioso pensare all’esistenza di un nesso indissolubile tra gnoseologia, etica, diritto e politica, così enucleabile: ogni epistemologia o teoria della conoscenza che si autodefinisca pura, quindi a-contenutistica, non si presenta mai nella vita di un pensatore priva di un solido assetto politico-valoriale che la avvii e, di converso, ogni filosofia politica rappresenta la ratifica di una precisa teoria della conoscenza che la alimenta. Ciò porta con sé la conseguenza che, nonostante le rigide premesse metodologiche da cui il lettore è                                                                                                                         * Dottore di ricerca in Filosofia, Epistemologia e Storia della Cultura presso l’Università degli Studi di Cagliari. **   Contributo sottoposto a valutazione anonima. 84   ALICE MARRAS generalmente allertato, da un punto di vista scientifico le sfere non riescano a, e in fin dei conti probabilmente non debbano necessariamente, scindersi in via definitiva. È questo un alveare antinomico a cui non sfugge del tutto nessuna trattazione politico-giuridica di Hans Kelsen, che si nutre costantemente della tensione tra purezza normativa e prospettiva politica. Calzante esempio ne è la riflessione sul dogma della sovranità contenuta nel voluminoso manoscritto Das Problem der Souveränität und die Theorie des Völkerrechts: Beitrag zu einer reinen Rechtslehre1. Opera già compiuta nel 1916, ma data alle stampe nel 1920 per via del primo conflitto mondiale,2 essa rappresenta l’apertura kelseniana alla riflessione internazionalista e una vera e propria frattura con la tradizione scientifica dominante. È principalmente su questo testo che si struttura il presente lavoro, nella convinzione che dietro l’ombra della Reinheit si stagli fin da allora un progetto di «pacifismo giuridico»3, che intende opporsi, politicamente, al nefasto ritorno del paradigma statocentrico neohegeliano. Contemporaneamente, si prendono in considerazione l’opera dedicata alla dottrina dello Stato, l’Allgemeine Staatslehre4 e l’articolo del 1929 dal titolo Souveränität5.                                                                                                                         1 H. KELSEN, Das Problem der Souveränität und die Theorie des Völkerrechts. Beitrag zu einer reinen Rechtslehre, Mohr, Tübingen 1920 (1928), trad. it. a cura di A. CARRINO, Il problema della sovranità e la teoria del diritto internazionale. Contributo per una dottrina pura del diritto, Giuffrè, Milano, 1989. 2 3 Cfr., Ivi, VI. Tale è la caratterizzazione che dà della filosofia kelseniana Danilo Zolo, in D. ZOLO, Hans Kelsen: International Peace through International Law, EJIL, 9/1998, 306-324: 319. 4 H. KELSEN, Allgemeine Staatslehre, Springer, Berlin, 1925, tr. it. J. LUTHER, E. DALY (a cura di), Dottrina generale dello Stato, Giuffré, Milano, 2013. Si cita da quest’ultima. 5 H. KELSEN, Souveränität, in «Die neue Rundschau», 40. Jahrgang, 1929, 433-446, ora in ID., Der Wandel des Souveränitätsbegriffes (1931) in «Studi Filosofico-Giuridici dedicati a Giorgio Del Vecchio», Società Tipografica Modenese, Modena, 1931, 1-11. Si cita da quest’ultimo.   85       n. 1/2019 I testi mostrano come il ripensamento della sovranità sia centrale non solo per la strutturazione della dottrina pura del diritto, soprattutto nella prospettiva internazionale, ma soprattutto per la costruzione di una comunità giuridica internazionale pacifica, poi sistematizzata, negli anni americani, con la pubblicazione di Peace through Law6. È noto come Kelsen, nel dichiarato tentativo, di matrice neokantiana, di assicurare la scienza del diritto al solo terreno del Sollen, liberandola dal Sein e restituendole così uno statuto di indipendenza, consacri la sua intera vita intellettuale all’elaborazione di una reine Rechtslehre. La strada viene intrapresa già nel 1911, con gli Hauptprobleme der Staatsrechtslehre entwickelt aus der Lehre vom Rechtssatze7. Il testo presenta una configurazione metodologica e rappresenta il primo tentativo sistematico di costruzione di una teoria priva di elementi extragiuridici, nella quale il diritto viene configurato come norma. Il suo orizzonte di stesura è però limitato allo Stato e, per questo, il problema della sovranità non gode di ampia trattazione scientifica.8 Statale permane anche la prospettiva di                                                                                                                         6 H. KELSEN, Peace Through Law, The University of North Carolina Press, Chapel Hill, 1944, trad. it. L. CIAURRO (a cura di), La pace attraverso il diritto, Giappichelli, Torino, 1990. Per un approfondimento si vedano anche: H. KELSEN, Law and Peace in International Relations. The Oliver Wendell Holmes Lectures, 1940-41, Massachussetts, Cambridge 1942; (1948), tr. it. C. Nitsch (a cura di), Diritto e pace nelle relazioni internazionali. Le Oliver Wendell Holmes Lectures, 1940-41, Giuffrè, Milano 2009; H. KELSEN., Strategy of Peace, «The American Journal of Sociology», 5/1944, XLXI, 381389. 7H. KELSEN, Hauptprobleme der Staatsrechtslehre entwickelt aus der Lehre vom Rechtssatze, Mohr-Siebeck, Tübingen 1911 (1923), tr. it. a cura di A. CARRINO, Problemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico esposti a partire dalla dottrina della proposizione giuridica, ESI, Napoli 1991. 8 Nonostante ciò, si deve riconoscere agli Hauptprobleme der Staatsrechtslehre il merito di offrire, per la prima volta, una trattazione dello Stato inteso unicamente come ordinamento giuridico. La struttura del testo evidenzia, come uno dei suoi risultati più importanti, di fronte alla definizione della Rechtsnorm come unità concettuale dell’ordinamento giuridico, il ritrovamento della sua essenza in un particolare forma di giudizio, la Rechtssatz, paragonandola alla più piccola unità di materia di un elemento o   86   ALICE MARRAS Über Staatsunrecht9, in cui è ormai chiaro come l’oggetto di una dottrina dello Stato sia «die Welt des Sollens und zwar des rechtlichen Sollens»10 e decisa appare la scelta di dedicarsi unicamente alla teorizzazione dello Stato inteso come ordinamento giuridico e non come realtà sociale. Come dichiarerà nella Prefazione a Das Problem der Souveränität, è proprio il progetto di una teoria pura del diritto a stagliarsi sul problema della sovranità, la cui trattazione dominante disvela la necessità di una sua riforma metodologica.11 E sarà proprio quest’ultima a denotare, nel suo impianto internazionale, come il Sollen si intrecci inevitabilmente con quello del Sein.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     di una combinazione di elementi. Diametralmente opposta a proposizioni di forma imperativa, la Rechtssatz o proposizione giuridica è definita la norma oggettivamente valida, il nocciolo del Verpflichtung, l’essenza coercitiva della costruzione giuridica, quindi l’unità di misura del Sollen. La loro unione compone un ordinamento giuridico in cui il nesso normativo è rappresentato dall’imputazione, die Zurechnung, che si configura come principio metodologico adempiente nel campo normativo a ciò che il principio di causalità permette nel campo delle scienze naturali. 9 H. KELSEN, Über Staatsunrecht. Zugleich ein Beitrag zur Frage der Deliktsfähigkeit juristischer Personen und zur Lehre vom fehlerhaften Staatsakt, in «Grünhuts Zeitschrift für das Privat- und öffentliche Recht der Gegenwart», 1913, 1-114, in ID., M. JESTAEDT (Hrsg.), Hans Kelsen Werke, Bd. 3, Veröffentliche Schriften 1911-1917, Mohr Siebeck, Tübingen 2010, 439- 531. 10 11 Ivi, 441. Si legge in Kelsen: «Die Arbeit an einer reinen, insbesondere von soziologisch- psychologischen und politischen Elementen gereinigten Rechtstheorie, die ich in meinen 1911 erschienen „Hauptproblemen der Staatsrechtslehre“ begonnen und seither in verschiedenen Abhandlungen fortgesetzt habe, führe ich in den vorliegenden Untersuchungen an ein Problem heran, dessen Behandlung in der herrschenden Lehre ganz besonders geeignet ist, deren Reformbedürftigkeit zu beweisen.» in H. KELSEN, Das Problem der Souveränität, cit., 3.   87       n. 1/2019 2. Dallo Stato alla sovranità: una nuova definizione Una prima importante traccia della problematizzazione della sovranità è ravvisabile in Reichgesetz und Landesgesetz nach österreichischer Verfassung12, dedicato al conflitto di norme tra ordinamenti giuridici differenti, nello specifico, tra il diritto del Reich e quello dei Länder. Qui Kelsen sostiene come il modo di dirimere il conflitto sia tramite una «Über- und Unterordnungsverhältnis»13, cioè una relazione logicogiuridica di sovra e sub-ordinazione tra gli ordinamenti giuridici. Tale situazione permette di abbracciare il «bloß formalen Charakter»14 del mondo normativo e rende possibile l’uso del principio lex posterior derogat priori, per il quale la norma posteriore deroga la precedente, validando la normazione. Il rapporto gerarchico diviene unicamente formale, mentre scompare il concetto di sovranità come forza materiale legittimante un potere politico. Troviamo, in nuce, l’interpretazione formale della sovranità, la quale viene esplicitata in Die Rechtswissenschaft als Norm- oder als Kulturwissenschaft15 come qualità dell’ordinamento giuridico corrispondente alla positività di quest’ultimo.16 Con queste premesse Kelsen si dedica alla stesura di un’intera opera sulla sovranità, che denunci la teoria dominante come «Frucht eines unzulässigen Methodensynkretismus»17, «für die verhängnisvolle                                                                                                                         12 Cfr. H. KELSEN, Reichsgesetz und Landesgesetz nach österreichischer Verfassung, in «Archiv des öffentlichen Rechts», Band. 32, 1914, 202-245; 390-438. 13 Ivi, 214. 14 Ibidem. 15 H. KELSEN, Die methoden-kritische Rechtswissenschaft als Norm- oder als Kulturwissenschaft. Eine Untersuchung, in «Schmollers Jahrbuch für Gesetzgebung, Verwaktung und Volkswirtschaft im Deutschen Reiche», 40. Jahrgang, 1916, pp.11811239, in Id., M. Jestaedt (Hrsg.), Hans Kelsen Werke, Bd. 3, Veröffentliche Schriften 19111917, pp- 551-606, tr. it. A. CARRINO (a cura di), La giurisprudenza come scienza normativa o culturale. Studio di critica metodologica, in ID., Dio e Stato, op. cit., 73-136. 16 Ivi, 592-593. 17 H.   KELSEN, Das Problem der Souveränität, cit., 2. 88   ALICE MARRAS Vermengung moralisch-politischer und juristischer, aber auch juristischer und soziologischer-psychologischer Betrachtung»18 e ne ricostruisca una teoria conoscitiva che non confonda la sua trattazione giuridica con una considerazione morale o socio-psicologica. Das Problem der Souveränität mostra un evidente impianto neokantiano19 e si divide in due parti principali. Nella prima, dedicata alla teoria gius-statualistica della sovranità, si esaminano i problemi metodologici, il concetto e l’essenza della sovranità, la sua qualificazione in rapporto allo Stato e, quindi, la positività del diritto. Esaminando le questioni metodologiche preliminari, il concetto viene definito in apertura dell’opera come uno dei concetti più controversi della dottrina moderna del diritto pubblico. «Seit das Wort „Souveränität“ in die Terminologie der um die Erkenntnis von Staat und Recht bemühten Wissenschaften Eingang gefunden, ist es nicht nur zu verschiedene Zeiten, sondern auch innerhalb                                                                                                                         18 Ibidem, 2. 19 Per un approfondimento sui rapporti tra Kelsen e il Neokantismo, si vedano: R. ALEXY, L. MEYER, S. L. PAULSON, G. SPRENGER, Neukantianismus und Rechtsphilosophie, Nomos, Baden Baden, 2002; E.W. ORTH, H. HOLZHEY (a cura di), Neukantianismus, Perspektiven und Probleme, Königshausen & Neumann, Würzburg 1994, 136-158, 329-378; H. KLENNER, Kelsens Kant, Reveu international de philosophie, 138, 1981, 539-546; M. PASCHER, Einführung in den Neukantianismus, W. Fink Verlag, München 1997, 151-173; S. L. PAULSON - B. LITSCHEWSKI PAULSON (a cura di), Normativity and Norms. Critical Perspectives on Kelsenian Themes, Clarendon Press, Oxford 1998; S. L. PAULSON, The Neo-Kantian Dimension of Kelsen’s Pure Theory of Law, in Oxford Journal of Legal Studies, 3/1992, XII, 311-332; R. TREVES, Il fondamento filosofico della dottrina pura del diritto di Hans Kelsen, in «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino (193334)», Torino 1934, Vol. LXIX, 52-90; M. LOSANO, Forma e realtà in Kelsen, Edizioni di Comunità, Milano 1981; G. CALABRÒ, Kelsen e il neokantismo, in C. Roehrssen (a cura di), Hans Kelsen nella cultura filosofico-giuridica del Novecento, Treccani, Roma 1983, 8792; S. L. PAULSON, The Neo-Kantian Dimension of Kelsen’s Pure Theory of Law, in « Oxford Journal of Legal Studies, 3/1992, XII, 1992, 311-332.   89       n. 1/2019 derselben Periode in den verschiedensten Bedeutung gebraucht worden.»20 Tale mutamento semantico, che non ha riguardato unicamente il soggetto cui la sovranità è stata attribuita, ma anche i presupposti ad essa collegati e le sue conseguenze, mette in luce come probabilmente non fosse d’interesse scientifico darne una collocazione chiara. La teoria della sovranità è stata infatti utilizzata dal pensiero politico e giuridico nei significati più diversi al solo fine di perseguire scopi politici, presentandosi funzionale al potere contingente. Tale tendenza, nel suo manifestarsi sotto le vesti di una teoria generale dello Stato, viene fatta risalire alla dottrina di Bodin. Nel suo sostenere con forza la fame di indipendenza politica dei re francesi di fronte all’Imperium degli imperatori tedeschi, egli dona alla sua dottrina un fine storico-politico ben definito: l’indipendenza del suo sovrano rispetto al Kaiser e al Papa. La conseguenza della recezione della dottrina bodiniana, dominante ancora il XIX secolo ed equiparata, nel mondo giuridico britannico, alla necessità del Re inglese, nella sua aspirazione assolutistica, e alle mire delle Chiesa cattolica,21 è la supposizione «che lo Stato è per sua essenza sovrano. L’assolutizzazione dello Stato compiuta per mezzo del concetto di sovranità è anzi il segno caratteristico della moderna teoria dello Stato.»22 È proprio questo che caratterizza la storica concettualizzazione della sovranità: la sua considerazione empirico-materiale che porta, come dato stabile, alla sua attribuzione allo Stato, rendendo a buon titolo la                                                                                                                         20 H. KELSEN, Das Problem der Souveränität, cit., 1. 21 Bodin è il principale riferimento kelseniano per la maschera politica della sovranità in tantissime opere. Tra queste: H. KELSEN, Das Problem der Souveränität, cit., 2; ID., Allgemeine Staatslehre, cit., 271; ID., Der Wandel (1931), cit., 2. 22   H. KELSEN, Allgemeine Staatslehre, cit., 274. 90   ALICE MARRAS riflessione kelseniana, con la sua decapitazione23 epistemologica del sovrano tradizionalmente inteso, il punto di rottura rispetto alla riflessione dominante. Se si accetta che la sovranità – passando per la riflessione di Mancuso – sia il tentativo di concettualizzazione politico-giuridica della dialettica diritto – potere,24 allora potremmo affermare come per Kelsen essa si risolva nel diritto come limite all’esercizio del potere sovrano, perché suo presupposto, laddove invece per la tradizione quello stesso diritto è espressione della sovranità, che sia hobbesianamente intesa come potere ab-solutus, o che si palesi nell’imperatività del comando legislativo. Non è solo una questione squisitamente concettuale: è una questione di posizione filosofica del problema. Laddove la dottrina dominante segue un’interpretazione di matrice ‘politico-empirica’ del diritto, egli mira a decostruirla, identificandolo con la validità normativa fondata su principi ideali, sulla natura del diritto come un sistema di idee regolatrici distinte dai processi empirici che soggiacciono ad esso.25 Kelsen descrive il primo punto di vista, quello della dottrina dominante, come una reale e tragica maschera secolare che le scienze sociali utilizzano per nascondere, dietro una presunta oggettività, la volontà politica soggettiva del momento, e prova a superarlo esaminandone il portato concettuale. Derivante dal latino supremitas, la sovranità significa essenzialmente «nicht viel mehr als einen Superlativ                                                                                                                         23 L’espressione è mutuata dalla riflessione di Costa. Cfr. P. COSTA, Il modello giuridico della sovranità: considerazioni di metodo e ipotesi di ricerca, in Filosofia politica, anno V, 1991, 51-69. 24 Cfr. F. MANCUSO, Eguaglianza giuridica degli stati come principio di legalità: Kelsen tra Civitas maxima e sovranità, in A. AMENDOLA– L. BAZZICALUPO, (a cura di), Dopo il nomos del moderno? Uguaglianza, neutralità, soggetto, ESI, Napoli, 2006, 191-192. 25 Cfr. K. WILK, Law and State as Pure Ideas: Critical Notes on the Basic Concepts of Kelsen's Legal Philosophy, in Ethics, Vol. 51, 2/1941), 158-184.   91       n. 1/2019 überhaupt, dass Zuhöchst-Sein»26, il trovarsi nel punto più alto, punto attualmente riconosciuto nello Stato. Lo Stato rappresenta il «fester Kern, als ruhender Pol in der Flucht wechselnder Erscheinungsformen der Souveränitätstheorie»27, cioè il punto più fermo nel turbinio delle mutevoli manifestazioni della teoria della sovranità. Che la sovranità sia accostata allo Stato nella sua tendenza conoscitiva più stabile è considerato un risultato provvisorio, valido solo nell’ottica di una considerazione giuridica dello Stato stesso, cioè di una rappresentazione della relazione spaziale Stato- ordinamento giuridicoalto come ideale. Il problema si presenta quando la dottrina dominante lo considera un rapporto di potere analogo a quello naturalistico di Ursache Wirkung, in cui la volontà di X diventa il motivo della volontà di Y, con X che quindi domina Y. Si ha così una sovranità - causa motivante che, in quanto forza libera, risulta non riconducibile ad altre cause. Se però fosse davvero così, avverrebbe un arresto del processo causa-effetto, e lo Stato sarebbe una fonte di potere ultima del mondo del Sein. Invece, nessuno Stato può ad oggi dimostrarsi davvero indipendente rispetto agli altri.28 La strada verso una considerazione ideale del rapporto Stato-alto implica una lettura nell’ottica di una Verpflichtungsverhältnis, un puro rapporto di obbligazione giuridica, in cui si darebbero della sovranità le dinamiche di “sovraordinazione” e “subordinazione” direttamente connesse alla norma, unico elemento sovrano: «„Unterworfen“ im Sinne von „verpflichtet“ ist man stets nur der Norm, dem Willen eines Menschen aber nur insoferne, als eine Norm solches statuiert, d. h. ein Verhalten als gesollt setzt, zu dessen näherer                                                                                                                         26 Cfr. H. KELSEN, Der Wandel, cit., 1 ss. 27 H. KELSEN, Das Problem der Souveränität, cit., 5. 28 Cfr. Ivi, 6-7.   92   ALICE MARRAS Bestimmung ein Mensch – die durch die Norm eingesetzte Autorität – delegiert wird.»29 Il vincolo dell’obbligazione tra superiore ed inferiore viene connotato in termini unicamente giuridici: sovranità non è più una qualità empirica, bensì, «eine Annahme, eine Voraussetzung im Denken des Staat und Recht erfassenden Betrachters.»30 La sua posizione come ipotesi kantiana dell’osservatore, del soggetto conoscente lo Stato, elimina dal suo orizzonte le dinamiche di potere, sostituendovi il diritto. La sovranità tradizionale è desostanzializzata in favore della sovranità della norma, unità epistemologica del sistema, la cui qualificazione logica consente a Kelsen di spazzare via secoli di riflessione etico-politica che la riconosceva potestas absoluta.31 Chiaramente, l’interpretazione formale della sovranità, che la rende strumento teoretico sempre valido al sistema diritto e non categoria moderna, implica la sua a-storicità.32 Kelsen afferma come nella nuova immagine normativa si celi il rapporto tra universale e particolare, in cui il soggetto che acquista autorità tramite la norma è semplice personificazione dell’ordinamento di cui essa fa parte, il quale, potrebbe avere un ordinamento superiore e, così, qualificarsi al suo cospetto come ordinamento parziale derivato.33 Tale ipotesi avvalla possibilità di diversi ordinamenti giuridici, il ché fa volgere il giurista verso il problema della sovranità in rapporto alla teoria del diritto internazionale, dunque al problema del rapporto tra diversi sistemi di norme. Bisogna capire ora se lo Stato sia per Kelsen l’ordinamento giuridico a cui la nuova sovranità si attribuisce, oppure no. Precisamente:                                                                                                                         29 H. KELSEN, Das Problem der Souveränität, cit., 8. Corsivi miei. 30 Ivi, 14. 31 Cfr. P. COSTA, op. cit; G. SILVESTRI, La parabola della sovranità, in Rivista di Diritto Costituzionale, 1/1996, 3-74; A. CARRINO, Introduzione, in ID. (a cura di), Kelsen e il problema della sovranità, Esi, Napoli, 1990. 32 Cfr. H. KELSEN, Das Problem der Souveränität, cit., 4. 33 Ivi, 9.   93       n. 1/2019 se la sovranità è una caratteristica formale interna al sistema conoscitivo diritto e lo Stato od ordinamento giuridico è, in quanto suo oggetto conoscitivo, altrettanto ideale, lo Stato è sovrano nel senso kelsenianamente inteso? Secondo il filosofo «der souveräne Staat eine höchste, d. h. von keiner höheren Ordnung ableitbar gedachte oder als oberste vorausgesetze Ordnung»34, dunque rimarrà sovrano solo laddove identico alla totalità dell’ordinamento, cioè privo di ordinamenti superiori. Kelsen si appresta allora ad esaminare il rapporto tra ordinamento giuridico interno e diritto internazionale. 3. La nuova sovranità nella dimensione internazionale Nonostante preliminarmente le possibilità relazionali tra i due sistemi di norme siano tre, Kelsen esclude sia un loro rapporto di coordinazione che di indipendenza.35 Rimane dunque la concezione monista, la quale sostiene che ordinamento interno e diritto internazionale facciano parte del medesimo sistema conoscitivo e abbiano, al loro interno, un rapporto caratterizzato dalla dinamica logico-formale di superiore-inferiore. Nell’ottica monista, i due ordinamenti hanno la medesima fonte normativa, la quale è intesa – anticipando la Grundnorm – come «ein letzer, ein höchster, als ein Grund-Satz, […] die als nicht weiter ableitbar vorausgesetzte Norm»36. La loro relazione si struttura tramite la delega o rinvio, regolanti la produzione del diritto nel suo rapporto tra superiore e                                                                                                                         34 35 Ivi, 10. Cfr. Ivi, pp. 120-151; C. H. TRIEPEL, Völkerrecht und Landesrecht, Scientia Verlag, Leipzig, 1899; Per una ricostruzione della critica di Kelsen al dualismo di Triepel, si vedano: J. VON BERNSTORFF, The Public International Law Theory of Hans Kelsen. Believing in Universal Law, Cambridge University Press, Cambridge, 2010, 70-73, M. GARCÌA-SALMONES ROVIRA, The Project of Positivism in International Law, Oxford University Press, New York, 2013, 33-35. 36 Ivi,   106-107. 94   ALICE MARRAS inferiore, facendo in modo che la validità dell’ordinamento inferiore sia derivata da quello superiore. L’ordinamento inferiore viene quindi privato dalla norma superiore della propria sovranità: esso è «eine Ordnung, die ihre Geltung aus einer höheren Norm ableitet, entbehrt der Souveränität»37. Chi è, dunque, sovrano tra i due? Due sono le principali ipotesi metodologiche: il primato del diritto statale, di eco hegeliana, e quello del diritto internazionale, di respiro cosmopolitico. Kelsen approda ad un ‘monismo programmatico’,38 in cui l’unicità della sovranità si riferisce al diritto internazionale, proprio perché rifiuta il dualismo neohegeliano tra sovranità statale e sovranità internazionale,39 in cui la prospettiva della seconda dipende dalle esigenze della prima, relegando il diritto internazionale a diritto statale esterno. Il primato del diritto interno è descritto come un’ipotesi teoretica derivante dalla scelta del punto di vista dell’osservatore, il quale kantianamente sceglie di conoscere il mondo giuridico dal punto di partenza del proprio Stato.40 Sua conseguenza è la considerazione del proprio Stato come unico punto di vista conoscitivo: lo «Stato per antonomasia»41. La visione non comporta, a detta di Kelsen, un problema scientifico se il discorso resta circoscritto a tale Stato che, essendo l’unico ordinamento giuridico presente, è anche l’unico considerabile. Lo diventa quando lo sguardo del ricercatore volge oltre l’ordinamento statale e ad esso «si mostrano oggetti che per un qualche motivo si è costretti a                                                                                                                         37 38 Ivi, 112. Cfr. G. W. F. HEGEL, Grundlinien der Philosophie des Rechts oder Naturrecht und Staatswissenschaft im Grundrisse: mit Hegels eigenhändigen Notizen u. d. mündl. Zusätzen, Werke 7, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1986, 11-29; 398-503: 497, trad. it. V. CICERO (a cura di), Lineamenti di filosofia del diritto, Bompiani, Milano, 2006. 39 Cfr. G. STELLA, Sovranità e diritti, Giappichelli, Torino, 2013, 125-133. 40 Cfr. H. KELSEN, Das Problem der Souveränität, cit., 102 ss; ID., Allgemeine Staatslehre, cit., 282 ss. 41 H. KELSEN, Allgemeine Staatslehre, cit., 283.   95       n. 1/2019 concepire come “diritto”»42, ma che non fanno parte del mondo giuridico interno. Il primo segno tangibile che l’universo giuridico non si limita al proprio Stato è dunque la presenza degli altri Stati. Dapprima rifiutati nella loro esistenza, vengono poi compresi all’interno della comunità giuridica, considerati soggetti con cui dialogare per intraprendere relazioni internazionali commerciali e politiche, tramite la teoria del riconoscimento, la quale è ovviamente strettamente connessa alla teoria dell’auto-obbligazione dello Stato. Lo Stato sovrano si ritrova così superiore all’ordinamento internazionale, che è diritto solo in quanto suo diritto esterno, poiché da oggetto giuridico estraneo diviene diritto valido per tramite del diritto interno a quello Stato. Su tale sentiero, si dà secondo Kelsen alla teoria del diritto il fine e il difficile compito di conciliare la sovranità statale come principio giuridico irrinunciabile con una rappresentazione del diritto internazionale, non del tutto eliminabile alla luce della crescente necessità delle relazioni sovrastatali. Artefice di tale tentativo è Philippe Zorn, il quale già nel 1880, partendo dal fondamentale punto di vista dell’unità giuridica, messo sotto focus tramite la sovranità dello Stato e l’identificazione tra diritto e diritto statale, dichiara come «die Normen des Völkerrechts sind Rechtsnormen insoweit, als sie als Bestandteil des nationalen Rechts»43. Il tentativo prende le mosse da Hegel, considerato dal giurista come colui che più di tutti ha incentrato la sua filosofia del diritto sulla sovranità dello Stato, intesa proprio nel senso che egli intende estirpare, cioè come potere illimitato verso l’esterno. Scrive Kelsen: «Es ist kein Zufall, daß unter diesem Namen des Völkerrecht gerade bei Hegel abgehandelt wird, dessen Rechtsphilosophie die Souveränität                                                                                                                         42 43 Ibidem. Cfr. P. ZORN, Die deutsche Staatsverträge, in Zeitschrift für die gesamte Staatswissenschaft, Bd. 36, 1880, 1-39: 7.   96   ALICE MARRAS des Staaten zum Mittelpunkt hat, ja geradezu in einer Vergöttlichung des Staates gipfelt und folgerichtig jede Vorstellung einer über den Staaten stehendende Völkerrechtsordnung ablehnt. Und ist kein Zufall, daß die Hegelsche Auffassung des Völkerrechts, die im zweiten Drittel des 19. Jahrhundert bereits als überwunden galt, im dritten Drittel, nicht zuletzt unter dem großen Einflusse Treitschkes, wieder zu Geltung kam.»44 Secondo Kelsen non è un caso che sia Hegel, al cui centro filosofico sta non solo la sovranità statale, ma una vera e propria Vergöttlichung dell’istituzione dello Stato, a coniare l’espressione “diritto statale esterno”, ma soprattutto non è un caso che la sua filosofia torni in auge, a fine 1800, per tramite di Treitschke. Egli non era un semplice giurista, e sicuramente non poteva essere unicamente questo agli occhi dell’ebreo Kelsen. Oltre ad essere stato membro, dal 1871 al 1884, del Reichstag, e oltre ad essere stato il più noto e letto storico e giornalista politico dell’epoca, fu anche un convinto antisemita che, tramite le sue pubblicazioni, contribuì notevolmente alla diffusione del sentimento anti-ebraico nel merito della Judenfrage. Egli, assertore della sovranità come natura propria dello Stato,45 che deve rimanere sovrano anche a livello internazionale, detterà l’agenda della dottrina dominante contemporanea a Kelsen in rapporto alla sovranità. E quest’ultima, in quanto Wesen des Staates, non potrà essere annullata dal diritto internazionale, poiché non sarebbe razionale un’esigenza che portasse lo Stato al suicidio. L’ipotesi di un primato del diritto statale, che giunge fino alla negazione del diritto internazionale stesso, promulgata da Treitschke, ha il suo più nefasto apice nell’hegeliano A. Lasson.46                                                                                                                         44 H. KELSEN, Das Problem der Souveränität, cit., 154. 45 Cfr. M. CORNICELIUS (a cura di), H. G. VON TRIETSCHKE, Politik. Vorlesungen gehalten an der Universität zu Berlin, Hirzel, Leipzig, 1897. 46 Cfr. H. KELSEN, Das Problem der Souveränität, cit., 196-202.   97       n. 1/2019 3.1 La deriva statalista “neo-hegeliana”: Adolf Lasson Come per Hegel, lo Stato è per Lasson un soggetto morale e supremo, fine a sé e volontà senza limite. In apertura del suo Prinzip des Völkerrechts47, egli asserisce: «Dass in den Staaten selber das Recht zur Herrschaft bestimmt ist, liegt im Begriffe des Staates selber; ob aber auch ausserhalb des Staates und zwischen den Staaten eine Rechtsordnung möglich ist, ist nicht ebenso ausgemacht, und es würde leicht fraglich erscheinen, ob auch Staaten Unterthanen einer Rechtsordnung zu sein vermögen und ob eine Rechtsordnung möglich ist, wo es keine Unterthanen giebt.»48 Per Lasson, che lo Stato abbia il diritto al potere, al dominio e alla sovranità è già insito nel concetto di Stato stesso. In egual modo non si può stabilire se un ordinamento giuridico sia possibile anche al di fuori dello Stato o tra gli Stati, soprattutto se si considera l’assenza, oltre lo Stato, del monopolio della forza. Polemizzando circa la possibilità di esistenza di un diritto internazionale, o sovranazionale, egli afferma come essa apparirebbe facilmente dubbia e problematica anche se gli Stati fossero in grado di essere sudditi di un certo ordinamento giuridico, ma soprattutto se quest’ultimo fosse davvero possibile, di fronte alla assenza di sudditi. Lasson è talmente persuaso dal suo Stato-persona che gli titola addirittura un paragrafo del suo testo, “Staaten als souveräne moralische Personen können nicht Glieder einer rechtlichen oder sittlichen Gemeinschaft sein49, preannunciandone il contenuto: gli Stati in quanto persone morali                                                                                                                         47 A. LASSON, Prinzip und Zukunft des Völkerrechts, W. Hertz, Berlin, 1871. 48 Ivi, 4. 49 Cfr., Ivi, 12-31.   98   ALICE MARRAS sovrane non possono essere membri di una comunità giuridica o morale internazionale. Vi è in lui il permanere della dottrina dominante sulla sovranità, che pone il suo dogma come una vera e propria teoria del potere e della forza. Sua rappresentazione in Lasson è uno Stato come essere umano violento, che si rapporta agli altri Stati in base ai suoi interessi, creando delle relazioni di potere rispondenti al soddisfacimento della pace, secondo uno ‘stato di natura hobbesiano a livello internazionale’.50 Il diritto internazionale è, in tale ottica, una comunità di interessi in cui i contratti tra Stati rappresentano l’espressione dei conflitti di potere e in cui la guerra si pone essenzialmente come mezzo per siglarli.51 Egli si augura, riflettendo sul futuro del diritto internazionale, che gli Stati custodiscano i propri interessi e che tale egoismo ‘personale’ cresca e si fortifichi, annullando di fatto il ruolo del diritto internazionale.52 Per questo, in Lasson, scrive Kelsen, «das Völkerrecht auf die Formel reduziert: du sollst, was du willst, und die Völkerrechtswissenschaft zu einer Deskription von Interessen und Machtmitteln erniedrigt, in Wahrheit: aufhebt.»53 Alla luce di questa riflessione, lascia perplessi il fatto che la diretta connessione tra dogma della sovranità e teoria della forza in Lasson sia un caso che non mina, secondo Kelsen, la validità logica dell’ipotesi del primato statale, la quale si basa sulla forma di un ordinamento giuridico superiore, fondato sulla sovranità dello Stato, che garantisce l’unità del sistema. E si rimane straniti anche di fronte alla possibilità che tale ipotesi possa davvero essere garante dell’unità. Posto infatti che, tramite la sovranità statale, si escluda l’idea fondamentale di una comunità di Stati                                                                                                                         50 Cfr. L. FERRAJOLI, La sovranità nel mondo moderno: nascita e crisi dello Stato nazionale, Laterza, Roma-Bari, 1997. 51 Cfr. A. LASSON, op. cit., 42-76. 52 Cfr. Ivi, 84-85. 53 H. KELSEN, Das Problem der Souveränität, cit., 202.   99       n. 1/2019 giuridicamente eguali, se anche pensassimo che scientificamente la sovranità di un solo Stato sia coerente, «non vi è infatti, una ragione oggettiva che induca a preferire uno Stato ad un altro, se non entro un’ottica imperialistica. E questo tipo di scelta non è certo quella giusta, atta ad assicurare l’unità della scienza giuridica.»54 L’ipotesi logica va incontro, infatti, ad un ulteriore difficoltà dall’origine etico-politica: «Soll ihre Leistungsfähigkeit beurteilt werden so ist vorweg anzuerkennen, daß sie ihr Erkenntnisziel zu erreichen wohl imstande ist: Die Einheit der Rechtsordnung ist hergestellt. Fraglich bleibt nur, ob der Weg, auf dem das Ziel erreicht wird, nicht zum Verzicht auf wichtige, vielleicht die wichtigsten Werte zwingt. Und da kann es keinem Zweifel unterliegen, daß die Idee einer Gesellschaft gleichberechtigter Gemeinwesen – wie bereits früher bemerkt – mit der konsequent durchgeführten, auf Anerkennungs- und Selbstverpflichtungstheorie gestützten Konstruktion eines Primates der einzelstaatlichen Rechtsordnung unvereinbar ist.»55 Richiamando la legittimità logica dell’ipotesi descritta, Kelsen afferma la possibilità che la sua scelta costringa alla rinuncia a valori importanti, forse “i più importanti”. È facilmente intuibile a quali conseguenze catastrofiche possa portare una estremizzazione del primato del diritto statale che sconfina, dal piano universale a quello particolare, nel Sein, possibilità definita da Riccobono dalle «implicazioni fattualmente assurde ed eticamente discutibili.»56 Non c’è infatti alcun dubbio, secondo l’autore, che l’idea di una comunità di enti statali giuridicamente uguali – la cui eguaglianza giuridica è a buon titolo riconosciuta come principio di legalità, ma soprattutto come principio etico di coesistenza degli Stati in                                                                                                                         54 G. STELLA, op. cit., 148. 55 H. KELSEN, Das Problem der Souveränität, cit., 190. 56 F. RICCOBONO, Riconoscimento e sovranità, in Parole Chiave, 50/2013, 69-80, 78.   100   ALICE MARRAS vista della pace –,57 sia del tutto incompatibile con le teorie del riconoscimento e dell’auto-obbligazione sostenute dal modello del primato dell’ordinamento statale. È però davvero auspicabile che, anche mettendo da parte le teorie di potenza di stampo lassoniano, nella dinamica formale di superiore e inferiore ogni Stato possa essere superiore al diritto internazionale, senza sentirsi tale rispetto agli altri? Quale dinamica si crea nella scelta, che – bisogna ricordarlo – è una scelta politico-pragmatica, di ogni Stato, nell’accoglimento della norma internazionale nel proprio ordinamento, a discapito di altre? Kelsen sembra riferirsi a una sovranità esterna che non concepisce l’uguaglianza tra Stati come un dato giuridico assodato, né come presupposto della sua direzione internazionale. Risulta chiaro come il diritto internazionale tenda, tramite questa ipotesi, a non essere un punto di relazione, ma un terreno di scontro, lasciando spazio ad un diritto più intra-nazionale. Da questo punto di vista, la costruzione kelseniana non appare pronta ad accogliere senza contraddizioni il primato del diritto statale. Dal punto di vista gnoseologico, l’ipotetica situazione giuridica del primato statale è, secondo Kelsen, un’immagine della concezione soggettivistica della conoscenza. Tipico di tale Weltanschauung è il fatto che, nell’atto conoscitivo del mondo, essa parta dal proprio io – nella sua applicazione giuridica rappresentato dallo Stato sovrano – e, percependosi come il centro, ivi rimanga, dimostrandosi incapace di guardare oltre il proprio confine nazionale, se non in termini del proprio io come punto di partenza. Tale teoria soggettivistica, per concepire il mondo, «[V]om eigenen Ich ausgeht und dabei doch niemals über das eigene Ich hinauskommen kann, indem sie die ganze Sinnenwelt, die Natur, nur als die Vorstellung, die ganze Welt der Werte nur als den Willen dieses eigene Ichs verstehen kann, so das eigene souveräne Ich zum Universum                                                                                                                         57 Cfr. F. MANCUSO, op. cit., 181.   101       n. 1/2019 dehnend, dabei aber unfähig, das andere Subjekt, das mit dem gleichen Anspruch auf Souveränität auftretende Nicht-Ich, das auch ein Ich sein wollende „Du” in seiner Eigenart als Zentrum des Universums zu begreifen, weil unfähig, seinem Souveränitätsanspruch zu honorieren; denn steht die Einheit auf dem Ich, ist das Ich einzig!»58 Considerando sé stesso come punto di partenza conoscitivo, l’io comprende il mondo della natura (quindi del Sein), solo come sua rappresentazione e quello dei valori (quindi del Sollen) solo come sua volontà. In tale concezione, lo Stato è l’io che non riesce a comprendere l’altro da sé, gli altri Stati, dimostrandosi incapace di capire la loro – altrettanto valida – pretesa di essere il centro del sistema diritto. Il primato statale corrisponde così al cosiddetto solipsismo del soggettivismo: gli altri oggetti giuridici componenti il ‘sistema conoscitivo diritto’, lungi dall’essere compresi come soggetti, non-io, tu aventi la medesima aspirazione alla sovranità, divengono una funzione del soggetto Stato. Eppure, non sono gli altri soggetti altrettanti io che vogliono soddisfare la propria aspirazione alla sovranità senza il bisogno di essere riconosciuti da un io terzo? Connesso a ciò, vi è nel primato dell’ordinamento interno un preciso significato etico-politico. Qui il nesso tra la conoscenza teoretica e quella pratica, definito un contrasto relativo, non è spiegabile a livello logico, ma stabilito dal soggetto conoscente e volitivo. È l’essere umano che sceglie quindi, sulla base di quelli che sono i fini ultimi e incontrollabili che gli si presentano di fronte, tra le diverse concezioni della vita e del mondo, escludendo dalla sua decisione la scienza oggettiva. Eppure, nonostante questo, esiste per Kelsen «allerdings nur in diesem Sinne»59, cioè unicamente in tal senso, una correlazione certa tra un determinato punto di vista conoscitivo e uno specifico punto di vista etico-politico. Leggiamo:                                                                                                                         58 H. KELSEN, Das Problem der Souveränität, cit, 315. 59 Ivi, 317.   102   ALICE MARRAS «Wie die egozentrische Position einer subjektivistischen Erkenntnistheorie einem ethischen Egoismus (wenn solcher noch als Ethik bezeichnet werden kann) Rechterkenntnishypothese verwandt des ist, Primates so paart eigener sich die staatlicher Rechtsordnung mit dem Staatsegoismus einer imperialistischen Politik. Dem souveränen, dem einzig souveränen Staat sind keine objektiven Rechtsschranken gesetzt, sein territoriales Geltungsgebiet sowie sein sachliche nach Belieben auszudehnen.»60 Sottolineando come il punto di vista egocentrico di una teoria della conoscenza soggettivistica sia connesso a un certo egoismo etico, così come l’ipotesi giuridica di primato statale è appaiato all’egoismo dello Stato che attua una politica imperialista, Kelsen effettua una corrispondenza tra i diversi piani disciplinari delineati: quello gnoseologico giuridico, quello gnoseologico in generale, quello etico e quello politico. Così, la radice soggettivistica generale trova il suo corrispondente etico nell’egoismo etico e quello politico nell’imperialismo statalista. La superiorità dello Stato assume nelle sue corrispondenze i dettagli di una realtà naturale che sta al vertice, dominante altri soggetti inferiori. Lo Stato nazione non ha limiti territoriali di validità, né auto-dati né – essendo sovrano – a lui imposti da terzi. Ma ciò che è peggio è come, in tale situazione, lo Stato non abbia neppure limiti materiali. Ciò significa che la sua estensione, che per Kelsen è la radice del fenomeno politico imperialista, e con essa le sue modalità, sono a sua totale discrezione: dipendono dalla sua volontà, che è anch’essa illimitata. Il ritorno dello spettro della materialità, e la sua vicinanza alla tesi del primato statale, si fa chiaro quando Kelsen riprende Lasson:                                                                                                                         60 Ivi, 317-318.   103       n. 1/2019 «Es ist kein Zufall, daß der prononcierteste Vertreter des Primates staatlicher Rechtsordnung, der bis zur Leugnung des Völkerrechts und bis zur Annahme des Machtstandpunktes konsequente Hegelianer Lasson erklärt: „Das von einem Volke bewohnte Territorium, über welches sich die Macht eines Staates zunächst erstreckt, ist doch keine absolute Schranke für die Staatstätigkeit. Wie jede Abteilung der Menschheit in normaler Entwicklung dahin strebt, ihr Arbeitsgebiet so weit als möglich auszudehnen und die natürlichen Stoffe, welche durch die umformende Arbeit in für menschliche Zwecke brauchbare Dinge umzuwandeln sind, auf dem ganzen Erdkreis zu suchen, so ist es zugleich auch des Staates Streben, seine Untertanen in solcher Ausdehnung ihres Arbeitsgebietes zu schützen, anderseits für sich die Ausdehnung seiner Macht über solche Territorium zu gewinnen, welches durch die dasselbe auszeichnenden Naturgaben irgendeinem Mangel des heimischen Gebietes abzuhelfen imstande ist.»61 Kelsen sostiene come esempio dell’impossibilità di delimitare territorialmente uno Stato sovrano sia la posizione di Lasson, che ritiene lecita la possibilità, da parte di un certo Stato, di procurare ai suoi cittadini le materie prime che nel suo territorio scarseggiano tramite un’espansione globale, la quale prevede anche un’estensione del potere di quello Stato sui nuovi territori. Come si è visto, Lasson ha una concezione totalmente individualistica dello Stato, che politicamente non può che sfociare nella legittimazione dell’imperialismo, della guerra tra gli Stati, qualora l’interesse, che coincide con la volontà, ma soprattutto con il fine dello Stato A, cozzi con l’interesse dello Stato B. Certo, Lasson ribadisce più volte, evocando quasi Hobbes, ma non disdegnando di prendere ad esempio la ragion di Stato di Machiavelli, come l’importanza di rapporti di buon vicinato e l’amicizia tra Stati sia fondamentale in vista della pace. Ma quest’ultima, lungi dall’essere concettualizzata come pace universale                                                                                                                         61   Ivi, 318. 104   ALICE MARRAS kantiana – che infatti critica62 – è chiaramente improntata al benessere di quello Stato e al controllo di chi può potenzialmente disturbarlo, tanto da non disdegnare l’invasione di altrui confini e l’assoggettamento di un certo popolo e territorio, mascherato sotto la necessità – e legittimità – del proprio Stato non solo di sopravvivere, bensì di vivere bene. 3.2 Verso lo Stato universale: la sovranità dell’ordinamento internazionale È di fronte a questo orizzonte che si esamina l’altra ipotesi, quella del primato del diritto internazionale. Kelsen la introduce sostenendo come propria dell’essenza del diritto internazionale generalmente riconosciuta sia l’idea della costruzione di una società di Stati aventi uguali diritti grazie al principio dell’eguaglianza giuridica. Giudicata l’idea etica indiscussa della cultura moderna, in un moto che pare affiancare sempre di più la dimensione teoretico-cognitiva e quella etico-politica,63 la sua realizzabilità è però connessa all’ipotesi giuridica di un primato del diritto internazionale, il quale – ponendosi come sovrano rispetto ai singoli Stati – impedisce loro incontrollate ingerenze, delimitandone le sfere di potere. In tal senso il diritto internazionale si pone come diritto universale, che elimina le singole sovranità. Leggiamo: «Diese Vorstellung ist aber nur möglich mit Hilfe einer juristischen Hypothese: daß über den als Staaten angesehen Gemeinwesen eine Rechtsordnung steht, die die Geltungsbereiche der Einzelstaaten gegenseitig abgrenzt, indem sie Eingriffe des einen in die Sphäre des andern verhindert oder doch an gewisse, für alle gleiche Bedingungen knüpft; eine Rechtsordnung, die das gegenseitige Verhalten dieser                                                                                                                         62 Cfr. A. LASSON, op. cit, 3. 63 Cfr. H. KELSEN, Das Problem der Souveränität, cit., 204.   105       n. 1/2019 Gemeinwesen durch für alle gleiche Normen regelt, bei der Gestaltung der besonderen Rechtsverhältnisse zwischen den einzelnen Staaten grundsätzlich jeden Rechtsmehrwert des einen gegenüber den anderen ausschließt, und die, als eine Universalordnung, die zu besonderen Rechtssubjekten personifizierten einzelstaatlichen Rechtsordnungen aus ihrer Isoliertheit (und damit aus ihrer Höchstwertigkeit oder Souveränität) heraushebt, um sie – nunmehr als Teilordnungen – zu einem Ganzen, zu einer „Gemeinschaft“ zu verbinden.64 L’idea di comunità universale prende spunto dalla wolffiana civitas maxima, della quale Kelsen enuncia le antichissime radici, rinvenibili nell’idea dell’imperium Romanum e, sottolineando come solo «mit dem Durchbruch des Souveränitätsdogma wird der Weltstaat und mit him das Völkerrecht zum Problem»65, afferma entusiasticamente come la Völkerrechtslehre stia riniziando a costruire tale idea. Il primato del diritto internazionale sembra ergersi su pilastri non unicamente logici, mostrando come la dottrina pura si accompagni a principi politici democratici, come quello dell’uguaglianza tra Stati a discapito della loro libertà, e a un’etica cosmopolitica, con le quali Kelsen sembra abbracciare solidamente l’inscindibile nesso tra teoria della conoscenza, politica, etica e diritto. A tal proposito, laddove la concezione soggettivistica aveva il suo contraltare gnoseologico-giuridico nel primato del diritto statale, al contrario, la concezione oggettivistica del mondo si rivela il modello dell’ipotesi del primato internazionale. Essa parte dal mondo per giungere all’io e presuppone l’esistenza di «eine objektive Weltvernunft, einen Weltgeist»66, dei quali ogni soggettivazione è solo una loro effimera apparizione. In quest’ottica, ogni singolo io appartiene all’unico e sovrano                                                                                                                         64 Ivi, 204-205. 65 Ivi, 274. 66 H. KELSEN, Das Problem der Souveränität, cit., 316.   106   ALICE MARRAS Welt-Ich, all’io del mondo, ogni ragione conoscente è solo irradiazione di quella della ragione universale suprema e ogni singolo spirito non è che una parte di quello universale. Kelsen instaura sul mondo giuridico una dinamica basata sul rapporto particolare-universale, in cui ogni Stato è l’io che dipende dal diritto universale, che è la Weltvernunft. In tal senso ogni io-Stato è in un rapporto, tramite il diritto-ragione universale, con il tuStato, e tutti, in quanto personificazioni temporanee di ordinamenti parziali sottostanti alle stesse condizioni e delimitazioni tra di loro, vengono ricompresi dall’unità suprema. Tale concezione universale, scrive Kelsen, è solo l’immagine dell’ipotesi di primato del diritto internazionale: «So ist dies nur das Bild, das Vorbild für die Rechtswelt gültigen Hypothese einer Weltordnung, der auf der Objektivität des Rechts fußenden Theorie vom Primat des Völkerrechts, unter dem die einzelstaatlichen Rechtsordnungen zwar als koordinierte, gleichartige und gleichgeordnete Gemeinwesen, aber – als bloße Teilordnungen – nicht mehr als „Staaten“ im Sinne von Gesamtordnungen von höchsten, souveränen Subjekten zu einer höchsten Einheit, zur Allheit der allein souveränen civitas maxima zusammengefaßt werden.»67 Una tale conformazione pura, in cui i singoli ordinamenti sono solo particolari apparizioni momentanee dipendenti dal diritto universale imperituro, poiché oggettivo, può essere definita non solo logicamente coerente al suo interno con i principi della dottrina pura, ma anche di configurazione umanitarista, perché nella sua unione delle singole unità in un’unità totale, ma non totalizzante, ne delimita i rispettivi ambiti di validità, delineandosi quindi come l’unica via per la salvaguardia della pace. All’unità del diritto, raggiunta tramite il primato del diritto internazionale, corrisponde politicamente l’idea di un organizzazione                                                                                                                         67 Ibidem.   107       n. 1/2019 mondiale, che si basi sul pacifismo, e che rappresenti esattamente l’idea contraria alla tendenza imperialista del primato statale: «Die Rechtseinheit der Menschheit, die nur vorläufig und keineswegs endgültig in mehr oder weniger willkürlich gebildete Staaten gegliedert ist, die civitas maxima als Organisation der Welt: das ist der politische Kern der juristischen Hypothese vom Primare des Völkerrechts, das ist aber zugleich der Grundgedanke des Pazifismus, der auf dem Gebiete der internationalen Politik das Gegenbild des Imperialismus darstellt. So wie für eine objektivistische Rechtstheorie der Begriff des Rechts identisch mit dem des Völkerrechts und gerade darum zugleich ein ethischer Begriff.»68 In queste poche righe emerge come Kelsen sia convinto che la divisione dell’umanità in Stati arbitrariamente formatisi sia unicamente una situazione contingente, della quale l’unità giuridica rappresenta il gheriglio politico dell’ipotesi del primato del diritto internazionale, e quindi la base del suo pacifismo giuridico. In tal senso, il concetto di diritto internazionale, al pari di quello di umanità per l’etica, si rivela per Kelsen un concetto non solo giuridicamente, bensì eticamente e politicamente necessario. Ciò è avallato dal commiato all’opera, in cui l’autore riconosce nella costituzione dello Stato universale il compito infinito che deve essere posto ad ogni sforzo politico, facendo dello spostamento della sovranità dal terreno nazionale a quello sovranazionale l’unica speranza di salvezza. 4. Alcune conclusioni critiche Nonostante risulti evidente come, nella trattazione dei rapporti tra norme, Kelsen abbia una preferenza verso il primato del diritto                                                                                                                         68   Ivi, 319. 108   ALICE MARRAS internazionale, egli dichiara più volte che le due ipotesi gnoseologiche, in quanto presupposti della conoscenza giuridica, detengono pari dignità scientifica. Non sarebbe infatti possibile, su base giuridica, quindi epistemologica, dare una preferenza. Il punto allora diventa filosoficamente il seguente: su quale basi si sceglie un’ipotesi gnoseologica che deve essere pura? Kelsen mantiene davvero il rigido punto di vista della dottrina formale? Oppure è possibile provare a leggere l’intero discorso formale come completamente basato su una visione politica ben precisa, anche nella sua strutturazione logica, che mira alla costruzione di una società internazionale pacifica? Ed è, in tale via, possibile affermare che la stessa interpretazione formale, a-storica e oggettiva della nuova sovranità kelseniana sia funzionale a un progetto di pacifismo giuridico? Se lo stesso Kelsen ammette che una decisione tra le due deve essere presa e ciò avviene da un punto di vista politico,69 sembra chiaro non solo che via sia una preferenza per il primato del diritto internazionale e che essa abbia basi etico-politiche pacifiche e democratiche, ma anche che la scelta abbracci la sola dimensione strutturale non contraddittoria rispetto al progetto che tenga contemporaneamente insieme la reine Rechtslehre e la Peace through Law. Il primato del diritto internazionale consente da una parte l’unità della conoscenza giuridica, in un impianto regolato internamente dalla sovranità dell’ordinamento internazionale come relazione logico-formale di non derivazione e garantito, nella validità della sua produzione, dalla Grundnorm; dall’altra, si mostra funzionale a garantire un equilibrio tra Stati e loro sfere di competenza che ne garantisce l’uguaglianza e la convivenza pacifica e traccia la costruzione di una comunità giuridica universale. Su questa strada, Kelsen pare preferire il valore dell’eguaglianza tra Stati a quello della loro libertà, il che sembra                                                                                                                         69 Cfr. H. KELSEN, Allgemeine Staatslehre, cit., 301-304; ID., Das Problem der Souveränität, cit., 280 ss.   109       n. 1/2019 abbracciare maggiormente un equilibrio d’impianto democratico della sua struttura. Tale ragionamento riporta all’ipotesi di partenza, relativamente all’inscindibilità di Sein e Sollen, e rischia di azzoppare, per lo meno in parte, la purezza della costruzione di Kelsen, che si dimostra basata su una dimensione extragiuridica. Se si riconosce che entrambe le ipotesi, illustrate nelle loro conseguenze più estreme, siano unicamente delle particolari applicazioni dei più generali principi della gnoseologia, che si risolvono nel contrasto tra due differenti Weltanschauungen, il primato del diritto internazionale sembra essere l’unica ipotesi a consentire un equilibrio tra le diverse sfere: quella gnoseologica generale, quella della conoscenza giuridica, quella etica, e quella politica – equilibrio che sembra coerente al presupposto – politico – su cui si basa la scelta tra le due ipotesi monistiche: la salvaguardia della pace, della democrazia. In tale ottica Kelsen pare virare verso la sovranità dell’ordinamento internazionale al fine anche di evitare la deriva statalista che la diffusione dell’interpretazione della Rechtsphilosophie hegeliana di pensatori come Treitschke e Lasson potrebbe comportare. Considerando infatti l’ipotesi della sovranità dell’ordinamento interno emergono ben più gravi criticità e domande. Chi stabilisce, in quella situazione ipotetica, quale io-Stato ha il primato sull’altro, e come fa ad ottenerlo in un mondo in cui ogni Stato è caratterizzato dalla medesima tendenza e non si erge alla comunicazione con l’altro? È forse un terreno d’indipendenza giuridica solipsistica, quella che Kelsen teorizza, in cui tutti gli Stati sono sovrani poiché isolati dagli altri? Significa questo che tra elementi del sistema diritto si deduce l’assenza di qualsiasi rapporto conoscitivo, che delinea un ritorno alla posizione dualista, da Kelsen aspramente criticata, soprattutto nella sua estrema possibilità di negare il diritto internazionale? Kelsen rifiuta tale visione stato-centrica diffusasi a partire dal Neo-Hegelismo e si augura di sradicarla per dare davvero al diritto internazionale statuto giuridico e funzione super partes. Nel suo   110   ALICE MARRAS analizzare il piano gnoseologico e quello empirico, più che una certa corrispondenza, a detta dell’autore “valida solo in un certo senso”, tra i diversi piani d’indagine, sembra esserci una vera e propria identità tra il primato logico del diritto statale e le sue conseguenze reali: uno Stato nazionale forte, sovrano, che attua pratiche imperialiste verso altri popoli, che si pone come soggetto del diritto interno e di quello esterno in diretta opposizione al pacifismo che dovrebbe essere garantito dal diritto internazionale. A più di cento anni dalla stesura di Das Problem der Souveränität la centralità del concetto di sovranità nella discussione odierna rivela l’attualità disarmante della riflessione kelseniana. Di fronte alle continue dichiarazioni di presunto tramonto o morte della sovranità, che invero rivive nelle sempre più pressanti rivendicazioni autonomiste o di secessione, nonché nei rinati sovranismi e nazionalismi, l’età contemporanea sembra presentare il conto del non raccoglimento della sua sfida. Si erge dinanzi allo studioso, oggi come allora, una situazione di profonda crisi degli Stati nazionali, non disposti a rinunciare alla sovranità interna, e tantomeno a quella esterna, in un mondo sempre più fluido, globalizzato, parcellizzato. Emerge l’incapacità singola di gestire un orizzonte interstatale, composto da nuovi organismi sovrastatali che mostrano sì la loro efficienza dal punto di vista economico, ma si presentano sempre più impotenti di fronte alle esigenze politico-sociali dell’umanità. La consapevolezza di vivere un mondo sempre più interdipendente sembra rendere sempre più urgente il superamento di una prospettiva nazionalista e la costruzione di una dimensione giuridica universale. In tale direzione, proprio l’idea di una sovranità che oltrepassi la dimensione statale, che non si caratterizzi come potere supremo del singolo, o come potere in generale, ma come primato formale, potrebbe rappresentare un obiettivo ancora valido per la costruzione di una comunità giuridica internazionale unita dall’ideale della pace.   111       n. 1/2019 In questo anelito cosmopolitico che pare perduto risiede in fondo, oggi, l’attualità di uno studio su Kelsen, in cui il bisogno della creazione di un modello teoretico ideale che risponda al solo criterio dell’oggettività, si dimostra aperto alla sfida della pace.   112