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Il “fatto” delle stimmate di San Francesco. Riflessioni a margine del libro: “Vita di un uomo: Francesco d’Assisi”, di Chiara Frugoni Riassunto La medievalista Chiara Frugoni ha più volte esposto – in alcuni volumi editi negli ultimi 25 anni - la teoria di una “invenzione” delle “sacre stimmate” di San Francesco a partire dal suo “sogno” e dall’illuminazione interiore che ebbe a La Verna, con la volontà, di Elia dapprincipio, di Buonaventura e della Chiesa “ufficiale” poi di normalizzare e di incanalare verso vette irraggiungibili la sua santità, con l’intento di recuperare le tensioni che il suo insegnamento, specie in merito alla povertà, potevano creare nell’ordine nascente e in tutta la chiesa. Individua quindi, analizzando nello specifico le fonti letterarie e quelle iconografiche, una netta separazione fra quelle precedenti, che non accennerebbero se non in modo metaforico alle piaghe e alle malattie del corpo martoriato del santo e quindi anche al “Serafino” della Verna - da separare dal crocefisso - con quelle più tardive che vedono una contestualità fra la visione e l’impressione delle stimmate. L’analisi di entrambe le fonti tuttavia non ammette questa separazione e una invenzione siffatta crea molti più problemi di quelli che vorrebbe spiegare, al netto di alcune contraddizioni, senza considerare che le testimonianze dirette sono molto autorevoli. In breve ed a sostegno si riportano anche le considerazioni di alcuni studiosi raccolte dagli atti della tavola rotonda: “il fatto delle stimmate” del 1996 alla Porziuncola di Assisi. L’approfondimento della visione e del segno – per quanto arduo da credere – nel loro significato teologico conferma la prospettiva di un fatto concreto, che creò come tale sconcerto anche ai contemporanei. The "fact" of the stigmata of St. Francis. Reflections on the book: "Life of a man: Francesco d 'Assisi," by Chiara Frugoni Summary The mediaevalist Chiara Frugoni has repeatedly exposed in some volumes published in the last 25 years her theory of an "invention" of the "sacred stigmata" of St. Francis. She says that the "dream" and the inner enlightenment he had in La Verna were distorted by the will of Elia, Buonaventura and the "official" Church to normalize and channel his sanctity towards unreachable heights to recover the tensions that his teaching, especially regarding poverty, could create in the nascent order and in the whole church. She then identifies, analyzing specifically the literary and iconographic sources, a clear separation between the previous ones, which would only hint metaphorically about the wounds and diseases of the saint's tortured body and therefore also the "Serafino" della Verna (to be separated from the crucifix) with the later ones that see a contextuality between the vision and the impression of the stigmata. However, the analysis of both sources does not allow for this separation and such an invention creates many more problems than those that it would like to explain, net of some contradictions, without considering that the direct testimonies are very authoritative. In support of this, we also report the considerations of some experts gathered from the proceedings of the symposium: "the fact of the stigmata" of 1996 held at the Porziuncola in Assisi. The deepening of the vision and the signs - however hard to believe - in their theological meaning confirms the prospect of a concrete fact, which created confusion and scandal even to contemporaries. Premesse Chiara Frugoni scrisse diverso tempo fa un ampio volume illustrato dal titolo “Francesco e l'invenzione delle stimmate. Una storia per parole e immagini fino a Bonaventura” edito da Einaudi nel 1993, più recentemente ripreso dal ben più agevole “Vita di un uomo: Francesco d’Assisi” del medesimo editore, ribadendo la sua tesi della “invenzione” (non nel senso dei latini) delle “sacre stimmate” di San Francesco. La studiosa medievalista ha recentemente pubblicato nel 2015 un volume più iconografico “Quale Francesco? Il messaggio nascosto negli affreschi della Basilica superiore ad Assisi”. I francescani a loro volta risposero all’impegnativo e dotto volume – quello edito per primo - con la tavola rotonda tenuta alla Porziuncola il 17 settembre 1996: “Il fatto delle Stimmate di San Francesco”, i cui atti furono in seguito pubblicati, e di cui si dirà. La tesi non suscita sorpresa, perché l’argomento risulta da sempre abbastanza controverso: non dobbiamo dimenticare che già alla metà del secolo XIV i seguaci del santo di Assisi scrissero le “considerazioni delle stimmate”, insieme ai “fioretti” e come loro seguito1; il trattato aveva appunto la finalità di consolidare, già allora se ne sentiva l’esigenza, questo aspetto della vita del santo di Assisi. La tesi della Frugoni può essere esposta in pochi punti: Elia raccontando la morte di Francesco avrebbe interpretato appunto come “stimmate”, cioè piaghe simili a quelli del crocefisso, i segni sul suo corpo, che erano solo una conseguenza delle penitenze e delle malattie del santo, e quindi segni generici di sofferenza e privazioni, in analogia con quelle di cui parla San Paolo nella sua lettera ai Galati: “io porto le stimmate di Gesù nel mio corpo”. Paolo di Tarso in essetti parlava allora probabilmente delle cicatrici che le persecuzioni innumerevoli a motivo della predicazione di Cristo gli avevano procurato. Anche frate Leone a sua volta, secondo l’autrice, avrebbe scritto di questi segni a margine dell’autografo a lui lasciato da Francesco solo in senso metaforico e spirituale. Vi sarebbero quindi due tradizioni da distinguere nettamente: quella originaria relativa alla visione del Serafino –più probabilmente in un sogno - che sarebbe venuto a confortare Francesco sul futuro dell’Ordine e a rassicurarlo circa la sua adesione piena sulla volontà divina, da separare dalla comparsa delle stimmate, e una seconda e successiva più ufficiale “inventata” da Elia, secondo cui il Serafino mostrando il sembiante di Cristo Crocifisso – non solo quindi un Serafino come in origine – avrebbe direttamente impresso le stimmate come conseguenza diretta ed immediata della visione; la qual cosa non si trova – sempre secondo l’autrice - nelle testimonianze originali e nemmeno nelle rappresentazioni pittoriche più antiche, ma compare invece in modo consolidato da Bonaventura in poi, e viene alfine consacrata nelle raffigurazioni di Giotto. Vi sarebbe stata quindi una volontà “ufficiale” della Chiesa con il teologo di Bagnoregio di rendere in un qualche modo unica - ma anche “inaccessibile” - la santità di Francesco, e perciò anche irraggiungibile il suo stile di vita, con l'intento non dichiarato di incanalare il fenomeno francescano verso schemi più collaudati e devozionali, nei quali gli insegnamenti più difficili ed inconsueti - in particolare quelli riguardo alla povertà, alla letizia e all’atteggiamento nei confronti dell’Islam potevano essere almeno in parte rivisitati; trasformazione funzionale a contenere i fermenti ancora ben accesi nell’ordine e rappresentati dagli “spirituali”. Leggendo la vita prima del Celano Ma leggiamo al proposito il capitolo terzo della vita prima di Tommaso da Celano ai paragrafi 94 95 e 962, una delle fonti più antiche al riguardo e sicuramente, a detta degli esperti, anche la più certa. I fatti debbono essere letti in tutta la loro consequenzialità: dapprima Francesco vide un uomo in forma di Serafino conflitto a una croce, si trattava dell'uomo e non del serafino. Invaso da viva gioia per la bellezza e la dolcezza del suo sguardo, ma anche da amarezza per la sua croce, egli cercava di scoprire il significato di quella visione, che in effetti starà tutto nel comparire delle 1 BUR ne ha pubblicato una versione nel 1920, ma si trova in Fonti Francescane (di seguito FF) pagg. 1577 ss. 2 FF pag. 487 ss. stigmate nelle sue mani e nel sui piedi così come erano state viste in quel misterioso uomo crocifisso. Si forza molto il racconto perciò quando si suppone che la visione sia avvenuta durante il sonno solo perché Tommaso da Celano qui – a differenza dei racconti seguenti – è reticente nella spiegazione della circostanze. O quando si vuole che essa fosse solo una illuminazione interiore, da cui il Santo fu consolato delle sue tribolazioni fisiche e spirituali. Dopo la descrizione delle Sacre stimmate - che sembra correggere effettivamente quella di frate Elia che le abbozza solo come perforature – il biografo infatti si dilunga a spiegare perché Francesco tendeva a nascondere questi segni visibili a tutti e non solo agli estranei, ma anche agli intimi, temendo: “che la stima degli uomini gli potesse rubare la grazia divina, e perciò si industriava il più possibile di tenerla celata agli occhi di tutti”.3 Il timore del Santo, in altre parole, era che anche gli amici non resistessero alla tentazione di divulgarle e che la gloria sua personale in questi mirabili, inauditi ed inconsueti segni che lo ha accostavano così immediatamente a Gesù Cristo potesse portargli una diminuzione di grazia. Timore che sarebbe stato del tutto incongruo se le stigmate non fossero state del tutto reali e ben visibili. Tommaso prosegue facendoci sapere che nel versetto del salmo “nel mio cuore ho riposto tutte le tue parole, per non peccare dinanzi a te” (Salmo 118,11) stava il segnale d’intesa pronunziando il quale tutti i visitatori avrebbero dovuto essere allontanati da lui, affinché, con la loro curiosità ed ammirazione, a cui il fatto delle stimmate non era affatto estraneo, non lo portassero in superbia ed orgoglio. Se la ferita del petto in Francesco veniva da lui coperta dalla sua mano sinistra4, essa doveva in effetti essere impressa a destra, e l'iconografia quindi attesta qualcosa che è fondato nella storia e non solo nella pittura e nonostante il fatto che il cuore stia dalla parte opposta: anche qui il riferimento è direttamente al crocefisso. Il colpo, ben noto ai soldati romani, sferrato nella parte destra del costato - quella non coperta dallo scudo ed esposta nel brandire la spada - attraversava il petto fra la quinta e la sesta costola e raggiungeva direttamente il cuore; serviva, nel caso dei crocefissi, per attestare la morte o dare il colpo di grazia.5 Tommaso da Celano quindi corregge frate Elia nella descrizione delle stimmate che quello fece in modo affrettato ed impreciso: non forature, ma corpi scuri che si erano formati nella carne e che spuntavano da una parte all’altra delle mani e dei piedi, simili a chiodi ribattuti che qualcuno, come è tramandato anche se più tardivamente, davanti al suo corpo non più in vita, non ebbe scrupolo di tentare di rimuovere dalla loro sede.6 Ma se fossero state del tutto del tutto “inventate”, in base a che cosa o a quali elementi Celano corresse frate Elia? Se avesse attinto solo alla testimonianza di questi avrebbe assunto in toto la sua descrizione; se invece non vi avesse creduto o se comunque fosse stato scettico si sarebbe limitato a non accennarvi o anche solo a trincerarsi sommessamente dietro quella testimonianza così autorevole. L’invenzione di Elia L'autrice citata vorrebbe quindi addebitare a Elia “sollecito compagno nel vegliare le ultime malattie e presente alla fine del Santo” la decisione di tramutare in miracolo il compianto dei fratelli sul corpo morto martoriato di Francesco, le piaghe finalmente visibili in stimmate, e di divulgare il prodigio con la massima risonanza possibile.7 Questa “invenzione” pone in ogni caso seri problemi, assai di più che se non lo fosse: perché Elia avrebbe diffuso a tutto l'ordine e con la massima risonanza possibile il fatto raccontando che esse 3 FF, pag. 488. 4 Cfr capitolo CLXII della Vita Seconda; FF pag. 724 5 Il racconto del vangelo, testimoniato in modo molto solenne da colui che lo ha scritto, narra che da quella ferita uscirono “sangue ed acqua” , che diventeranno il simbolo dei sacramenti della chiesa, della redenzione compiuta. 6 Cfr. Leggenda Maggiore, Capo XV; FF pag. 961: si trattava di un tale di nome Gerolamo. 7 C. Frugoni, “L’invenzione…” o. c. pag. 82. erano visibili nel corpo morto di Francesco quando questo stesso corpo fu visto da innumerevoli persone come raccontano diverse fonti e come attestano documenti a noi pervenuti?8 Non sarebbe stato meglio inventarsi qualcosa di meno facilmente suscettibile di essere confutato? Perché tirare fuori dal cappello qualcosa di così inaudito e tanto inaspettato da poter essere in un qualche modo addirittura scambiato per blasfemo, come infatti poi vediamo che avvenne? Ce n'era forse bisogno quando i miracoli di Francesco tramandati erano già così numerosi e capaci da soli di destare meraviglia presso qualsiasi uditorio? Può Elia avere abusato in modo così grave della sua autorità senza timore di essere smentito, quando conosciamo bene che l'ordine Francescano all'inizio era tutt'altro che una compagine uniforme e compatta, e che anche gli altri ordini religiosi – i domenicani in primis - erano sul piede di guerra contro ogni esagerazione della santità di Francesco rispetto ai loro fondatori? Dal momento che Elia aveva descritto le stigmate solo al momento del transito di Francesco, che bisogno c’era di inventarsi anche una visione per giustificare quelle, delle quali lo stesso Tommaso si suppone dubitasse? Per il primo biografo francescano le stigmate sono concretamente sempre supposte come segno esteriore di una identificazione del santo al Cristo crocifisso talmente concreta e potente da manifestarsi nella sua carne. Egli poteva così affermare che vivesse in Francesco questo scambio del tutto paradossale: da una parte le gioie e le delizie mondane erano per lui una croce e cioè un qualcosa da cui fuggire, fossero pure le cure più elementari nei confronti del suo corpo martoriato; d’altro canto le sofferenze sue, unite alle privazioni e alle penitenze, essendo congiunte a quelle del Cristo per la redenzione del mondo, suscitavano in lui la speranza di una grandissima ricompensa della quale essere felici e gioiosi. “Esulta dunque - concluse il Signore parlandogli una notte - perché la tua infermità è caparra del mio regno e per il merito della pazienza devi aspettarti con sicurezza e certezza di avere parte allo stesso regno. Il Celano conclude: “Le delizie del mondo erano per lui una croce, perché portava radicata nel cuore la croce di Cristo. E appunto per questo le stimmate rifulgevano all'esterno nella carne: perché dentro la sua radice gli si allungava profondissima nell'animo”. Non quindi generiche piaghe dovute alle malattie, ma qualcosa di più puntuale e che si manifestava all'esterno e la cui radice interiore stava radicata nel suo cuore: la croce di Cristo.9 Un “fatto” dunque ben concreto, e non il frutto di una convinzione tardiva o di una suggestione da parte di confratelli o di superiori autorevoli. Il Celano, per di più, non sembra affatto forzato a doverne scrivere per compiacere a superiori e confratelli; nel “trattato dei miracoli” vi è tutta una sessione, il capitolo secondo, in cui vuole dimostrare la loro concretezza: esse furono toccate dalla mano di Ruffino e molti frati vivo Francesco le poterono osservare. La parte seconda della sua “vita prima” non è che un seguito necessario alla comparsa delle stigmate, che imprimono uno sviluppo determinante agli ultimi due anni della vita di Francesco. Le contraddizioni dei racconti Si vorrebbero individuare contraddizioni nelle versioni successive della visione del Serafino riportate sempre da Tommaso, ma la connessione fra la visione del Serafino e le stigmate era già sufficientemente consolidata anche nella “vita prima”; la differenza rimane piuttosto solo nel colloquio, fra il Serafino e Francesco: “di cose importantissime che il santo non volle mai rivelare nessuno”, particolare che qui manca. L'illuminazione interiore di Francesco, e quindi il superamento del suo sconforto in merito al futuro dell'ordine e del suo stato di grave prostrazione e di malattia, non può che essere dipesa da un fatto oggettivo e rivelato a Francesco dall'esterno, fatto che ha potuto far nascere in lui quel sentimento di lode e di adorazione che vediamo attestato nello scritto a frate Leone, le Laudes, il cui testo è giunto 8 Presso il Municipio di Assisi vi è un documento che porta la firma di una cinquantina di testimoni. 9 II Celano par. 160 e 161; FF pag. 722 ss. fino a noi autografo10 dopo essere stato conservato accuratamente dal frate unico testimone della visione: «Tu sei santo, Signore solo Dio, che compi meraviglie. Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei altissimo. Tu sei onnipotente. Tu, Padre santo, Re del cielo e della terra. Tu sei trino e uno, Signore Iddio degli dèi. Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene, Signore Dio vivo e vero. Tu sei amore e carità. Tu sei sapienza. Tu sei umiltà. Tu sei pazienza. Tu sei bellezza. Tu sei sicurezza. Tu sei quiete. Tu sei gaudio e letizia. Tu sei la nostra speranza. Tu sei giustizia e temperanza. Tu sei tutto, ricchezza nostra a sufficienza. Tu sei bellezza. Tu sei mansuetudine. Tu sei protettore. Tu sei custode e difensore. Tu sei fortezza. Tu sei rifugio. Tu sei la nostra speranza. Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità. Tu sei tutta la nostra dolcezza. Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore» Lasciamo concludere lo stesso biografo: “Chi mai sano di intelletto non direbbe che ciò appartiene alla Gloria di Cristo? Non vi sia alcuna incertezza! Nessun dubbio sorga sul dono di questa eterna bontà!11 Le testimonianze oggettive Vi sono poi testimonianze esterne oggettive che confermano la realtà della stigmate. 12 Agli atti di una sorta di processo, conservati in municipio ad Assisi, vi è un documento controfirmato da una cinquantina di persone che si presentano come testimoni diretti di esse. Papa Gregorio IX fu da principio fra coloro che non credevano alla oggettività delle stimmate, nonostante avesse canonizzato Francesco in soli due anni, e ciò durò alquanto, fino a quando – narrano le cronache - Francesco medesimo in sogno gli apparve nell’episodio più volte raffigurato, e se ne fece poi difensore. Mentre il nipote, nominato dopo di lui col nome di Alessandro IV, nella bolla “Benigna operatio” del 1255 parla di segni che una “mano celeste impresse nel corpo del nostro Santo”. Egli li aveva constatati direttamente: occupandosi dei servizi privati del suo predecessore lo aveva incontrato di persona. E non sembra affatto una tradizione “orale” suggerita dallo zio. Francesco volle sempre dissimulare le sue stimmate e perciò nessuna meraviglia se anche la “leggenda dei tre compagni”, per esempio, descrive il prodigio solo nel momento in cui era stato possibile constatarlo, al momento cioè della sua morte. Un curioso episodio ci è tramandato da Tommaso da Celano nella vita seconda:13 non possiamo non crederlo veritiero per la gustosa e saporita scenetta ivi raffigurata tanto distante dal costruito a tavolino: da essa emerge quella semplice ed immediata arguzia in cui c’è tutto Francesco. A un fratello petulante che gli chiedeva insistentemente riguardo al sangue di cui era macchiata la sua tonaca disse: “Pensa ai fatti tuoi!” Alla successiva domanda impertinente mette un dito all'occhio e gli risponde “domanda cosa sia questo se non sai che è un occhio!”. Ne deduciamo agevolmente che, ancora in vita il santo, i suoi intimi conoscessero bene il “fatto” delle stimmate per quanto misterioso: di esso non era opportuno parlare per il motivo evidente che non erano semplici ferite o piaghe. La risposta piccata e ironica di Francesco infatti vuole dare a intendere: sai bene cosa sono, perché chiedi? La risposta dei francescani La tavola rotonda intitolata “il fatto delle stimmate”14, fornisce ulteriori e importanti argomenti presentati da studiosi come Entico Menestò per la letteratura medioevale, Giovanni Miccoli e Stanislao da Campagnola, storici della chiesa, Paolo Maria Marianeschi, docente e chirurgo, Elvio Longhi, esperto di storia dell’arte. 10 Lodi di Dio Altissimo, FF n. 261 pag. 176. 11 Trattato dei Miracoli, par. 5 FF pag. 741 12 E’ costretta a riportarle, per metterle in dubbio, la stessa Frugoni in “Francesco e l’invenzione ecc.”, o. c. pag. 68 13 Capitolo 98, par. 136, FF pag. 662) 14 Cfr. Il fatto delle stimmate di san Francesco edizioni Porziuncola 1996 atti della tavola rotonda tenuta alla Porziuncola di Assisi Miccoli15 afferma che le fonti antiche non permettono in alcun modo l’interpretazione che il corpo di Francesco fosse così martoriato da potersi dire che sembrasse un uomo crocifisso senza che questo supponesse la visione diretta delle sue stigmate nei cinque punti del suo corpo. Per Stanislao da Campagnola il fatto delle stimmate è testimoniato da tutta una serie di documenti: questi confermano che il santo è stato caratterizzato da cinque segni rappresentanti le cinque ferite di Cristo Crocifisso. Altri particolari possono apparire discordanti, ma non questo nucleo originario16: il fatto in sé era del tutto inaudito fino ad allora, e la grande reticenza di Francesco ha dato adito a letture non sempre congruenti, oltre alla del tutto comprensibile deriva agiografica che accompagna, giocoforza, i racconti successivi. Elvio Lunghi descrivendo l'iconografia Francescana fin da principio – una tavola perduta della Chiesa di San Miniato al Tedesco datata 1228 e quindi dipinta ancora prima della prima narrazione della Verna di Tommaso da Celano - fino a Giotto, mostrano l’apparizione del Serafino e l’impressione delle stimmate, mentre sia i cicli pittorici che la rappresentazione del poverello morto sono progressivamente incentrate sulla manifestazione delle stigmate sul corpo del defunto a partire dalle bolle papali che ne approvavano la divulgazione, e che il parallelismo ricercato e voluto tra Francesco e Cristo crocefisso si spinge in seguito fino ad accostare in parallelo – come nel ritratto della Porziuncola - la loro “scoperta” alla sua morte con l'episodio di Cristo risorto quando viene riconosciuto dai discepoli di Emmaus: una rivelazione. La stessa iconografia, peraltro, con la Legenda Maior, abbandonò progressivamente le immagini di Francesco taumaturgo, predicatore e vero amante del crocefisso, per assumere quelle di alter Christus e di “angelo del sesto sigillo”.17 Marianeschi esamina, enumerandole, le svariate spiegazioni di carattere “naturalistico” o scientifico che nella storia sono state date al fenomeno delle stigmate, che a partire da Francesco hanno interessato oltre lui alcune centinaia di cristiani, quasi tutti i cattolici, uomini e donne, fra i quali una sessantina già insigniti con titolo di Beato o di Santo. Una di quelle più in voga che Marianeschi riporta è la teoria “psicosomatica”, già anticipata addirittura dal Petrarca, la quale – espressa in termini moderni - sostiene il trasferimento dell'informazione ideale ed emotiva attraverso canali neuroendocrini mente-corpo già utilizzati per le somatizzazioni indotte dallo stress emotivo quando non dall’isteria. Queste ultime tuttavia non hanno mai connotati simbolici né il soggetto è capace di localizzarle ad libitum. Le caratteristiche evidenti delle stigmate escludono perciò categoricamente anche quest'ipotesi.18 A questo proposito non si può fare a meno di non citare la pungente ironia di San Pio verso i dubbiosi delle sue: “pensino forte forte di essere dei buoi, a vedere se gli spuntano le corna!”. Le stigmate sono qualcosa di concreto e ben constatato nel corpo di Francesco; la loro interpretazione è qualcosa di univoco nel francescanesimo delle origini; le differenze sono esclusivamente sul modo, ignoto almeno in parte, in cui esse sarebbero comparse, e, volendo, su quale aspetto esteriore esse effettivamente avessero. Un “fatto” ostico da accogliere I racconti suppongono che l'apparizione del Serafino non fosse né un sogno né il riflesso di un particolare stato d'animo di Francesco, ma piuttosto una visione da parte di Dio che lo pone di fronte all'accettazione della sua imminente fine, e quindi del dono che avrebbe dovuto fare a breve di se stesso per l'ordine e per l'umanità tutta. La sua conformazione perfetta a Cristo - di cui le stimmate sono il segno esteriore - suggella gli ultimi due anni della sua vita e Francesco, portando i segni di Cristo crocefisso conclude la sua vicenda terrena. 15 “Il Fatto delle Stimmate…” o. c. pag. 25, 33 16 “Il Fatto delle Stimmate…” o. c. pag. 43 17 Cfr. Ap 7,2: l’angelo trattiene i quattro venti della distruzione fino a che non è impresso sulla fronte dei servi il “sigillo del Dio vivente”, la TAU di Ezechiele 9,4. 18 “Il Fatto delle Stimmate…” o. c. pag. 73 ss. Frugoni vorrebbe cogliere nell’insistenza delle biografie, specie quelle ufficiali, sulle stimmate – che a lei pare tardiva – un indizio chiaro di progressiva artificialità della narrazione e quindi (ma anche questa è solo una ulteriore supposizione) di voluta interpolazione di dati fittizi introdotti dalla Chiesa e da Bonaventura per “normalizzare” il corso francescano. Ma la difficoltà nel cogliere in modo oggettivo dai contemporanei l'apparizione della Verna e più in generale il fenomeno delle stimmate sta piuttosto altrove. Queste, apparse per la prima volta nel serafico padre, allora come oggi – e non stupiscono le difficoltà di storici anche appassionati e competenti - dovevano e debbono essere un “fatto” ben ostico da credere. Non solo costituiscono una sorta di miracolo permanente e del tutto evidente nella loro fisicità manifesta, ma, come segni del Gesù crocefisso, “staccano” lo stigmatizzato in modo netto e lo sovraespongono - in una certa misura addirittura in modo apparentemente blasfemo - a tutti gli altri mortali, rendendolo talmente assimilato al redentore - nell’atto medesimo di redimere da costituire un certo scandalo e sconcerto anche ai credenti. Con due esempi celebri illustriamo questa difficoltà: abbiamo già accennato come il pontefice Gregorio IX non ne parlasse affatto nella prima bolla di canonizzazione, ma se ne convinse solo dopo, forse dieci e più anni, facendosene poi portavoce ufficiale. Anche Padre Agostino Gemelli, molto più recentemente, sebbene francescano e dottissimo, fece la sua diagnosi più clamorosamente sbagliata senza nemmeno esaminare lo stigmatizzato, dopo aver visto innocua tintura di iodio nella cella del frate da Pietralcina. Il serafino, specchio della luce divina e dell’amore di Dio Come già indica la ben documentata Frugoni, si deve assumere che il serafino fosse trasformato totalmente in luce dalla stessa vicinanza con Dio, e che apparve a Francesco in modo da suscitare in lui un “eccesso d'amore” e di carità tale che lo confermò del tutto a Cristo, che per eccesso d'amore si è donato sulla croce. L’interpretazione dell’apparizione del serafino di Etienne Henry Gilson19, che costituisce il fulcro della tesi della Frugoni, è però da rigettare: “il Serafino Crocifisso non può ricevere un senso che a questo prezzo: una passione che sia allo stesso tempo una gioia non potrebbe mai essere un martirio doloroso della carne, ma una trasformazione d'amore secondo l'immagine dell'oggetto amato”. Sì, invece, non solo lo può essere, ma lo è: le stimmate sono il segno esteriore donato da Dio di questo eccesso, ma non senza la sofferenza. Non vi è solo contiguità fra l'apparizione del Serafino ed i segni dei chiodi impressi, ma perfetta e compiuta coincidenza. In altre parole: non si possono cogliere due episodi diversi nella apparizione del Serafino e nell’impressione delle stimmate, perché essi sono i due aspetti della medesima storia, dello stesso mistero. L'apparizione con il colloquio mistico rende ragione del fatto che alla Verna la mano di Dio fu sopra San Francesco e lo illuminò sulla sua imminente donazione di amore per l’ordine e per tutto il mondo. E le stimmate sono esattamente l'effetto e il segno visibile di questa consacrazione: per quanto strano possa sembrare il “beneficio” che Dio ha conferito Francesco – citato nello scritto di Leone sul retro delle “Laudi al Dio Altissimo” - è quello stesso “eccesso d’amore” appartenuto al crocefisso, e che lo porta a soffrire nella carne con Lui e per Lui, e dal quale Francesco trae occasione per le sue lodi di ringraziamento. L’immagine del Serafino, specchio dell’ardente slancio d'amore di Francesco (che leggiamo nell'affresco di Assisi o nella tavola del Louvre) e che nell’evolversi dell’iconografia diventa progressivamente l'immagine reale del Crocefisso che si pone davanti a Francesco e gli dona le stimmate, non rappresenta un tradimento o uno svisamento, ma piuttosto è l’approfondimento del senso di quella apparizione. 19 Revue d’histoire franciscaine, BD 2 (1925), 476-479. Il riferimento è in o. c. “L’invenzione” pag 179. Il presepio, l’orto ed il crocefisso La tribolazione spirituale di Francesco, quando incontra il Serafino che lo conforta, si trasforma in una specie di esaltazione mistica che si coglie nelle “laudes Dei altissimi” scritte contestualmente, che è esattamente il frutto della rivelazione dell’offerta d'amore di Cristo “Angelo del Gran Consiglio” da parte di Dio Padre: l’incarnazione come atto di amore del Padre, di consolazione per gli uomini e promessa di vita eterna, come vissuta da lui - ad esempio - nella esperienza mistica esaltante a Greccio, colta nel suo intuito spirituale acuto e sensibile. Ma nel Poverello questa “offerta” è perfettamente anche il contenuto della Croce, da lui dipinta molte volte nella TAU, e che rappresenta, in atto compiuto e non solo potenziale, l’offerta di Cristo da parte di Dio e di Cristo medesimo agli uomini e degli uomini a Lui. In questo atto ci sono tutte le sofferenze del poverello. ma non disgiunte dalla consolazione, dalla “perfetta letizia” per la ricompensa della salvezza attuale e futura. L’orto degli ulivi, che iconograficamente è parallelo in tanti cicli pittorici alla impressione delle stimmate, e nel quale il Cristo si abbandona alla volontà del Padre e viene consolato da un angelo, non sostituisce la concretezza del fatto della croce, ma piuttosto ne è il presupposto e l'anticipo interiore. Di certo la visione è un'illuminazione, ma che proviene del Cristo Crocifisso del quale Francesco porterà i segni in modo evidente e fino alla sua morte, per altri due anni. Non c’è serafino, specchio della dolcezza e dell’amore di Dio, senza rivelazione dell’uomo crocefisso, e non c’è croce portata in lui senza partecipazione “serafica” a quell’eccesso di amore per gli uomini che redime il mondo. E da qui, da questo mistero, scaturisce la lode “al Dio Altissimo”. Giuseppe Piacentini