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Francesco Astone Roberto Cavallo Perin Anna Romeo Mario Savino IMMIGRAZIONE e DIRITTI FONDAMENTALI con il coordinamento redazionale di Manuela Consito e Vittoria Berlingò ATTI DEI CONVEGNI Siracusa 4 maggio 2017 Torino 27 ottobre 2017 Università di Torino ISBN: 9788875901356 Il presente volume è stato preliminarmente sottoposto a un processo di referaggio anonimo con valutazione affidata a esperti del tema trattato. Anno di pubblicazione: 2019 Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. IMMIGRAZIONE E DIRITTI FONDAMENTALI a cura di Francesco Astone, Roberto Cavallo Perin, Anna Romeo, Mario Savino Con il coordinamento redazionale di Manuela Consito e Vittoria Berlingò ATTI DEI CONVEGNI SIRACUSA 4 maggio 2017 TORINO 27 ottobre 2017 Prefazione Relazioni Antonio Ruggeri, I diritti fondamentali degli immigrati e dei migranti, tra la linearità del modello costituzionale e le oscillazioni dell’esperienza 10 Giuseppe Ugo Rescigno, Migranti, stati, diritti umani 30 Vittoria Berlingò, La problematica tutela della dignità dei migranti nelle fasi del “rimpatrio’’ 41 Maria Immordino e Loredana Giani, I diritti fondamentali degli immigrati tra emergenza rifugiati e crisi economico/finanziaria: quale ruolo per le amministrazioni? 74 Nicoletta Parisi, La tutela dei diritti del migrante tramite la prevenzione della corruzione: la prassi dell’Autorità Nazionale Anticorruzione 93 Mario Savino, Per una visione non irenica del diritto dell’immigrazione 113 Alessandra Venturini e Claudia Villosio, La politica d’integrazione nel nuovo contesto migratorio 126 Roberto Cavallo Perin, Migrazioni, diritti dell’uomo e circolazione tra ordinamenti giuridici 135 Interventi Parte I – Oltre la cittadinanza Alessandra Albanese, Non discriminazione, uguaglianza e ragionevolezza nella garanzia dei diritti sociali degli immigrati. L’approccio della Corte EDU e della Corte Costituzionale 144 Rossana Caridà, L’integrazione sociale dello straniero tra sussidiarietà orizzontale ed effettiva partecipazione 164 Manuela Consito, L’accoglienza dei richiedenti asilo tra emergenza ed esternalizzazione della gestione 182 Alessio Rauti, Diritto degli stranieri e modelli di cittadinanza 198 Parte II – Modelli di coesione sociale e d’integrazione dello straniero Marco Calabrò, L’amministrazione di fronte all’immigrato regolare: tra inclusione, esclusione e integrazione 220 Valeria Marcenò, Lo straniero e il pubblico impiego tra “privilegio’’ del cittadino e dignità del lavoro 234 Francesco Martines, Politiche di inclusione ed amministrazione consensuale. Il caso dell’Accordo di integrazione (art. 4 bis del d.lgs. n. 286/1998) 253 Roberto Medda, Il contributo degli ombudsman alla tutela e alla promozione dei diritti fondamentali delle persone migranti 264 Claudio Panzera, Immigrazione e diritti nello Stato regionale. Spunti di riflessione 273 Renato Rolli, La tutela della persona umana nella gestione delle politiche di immigrazione. Il progetto Riace 306 Parte III – L’immigrazione di fronte all’ordine e alla sicurezza pubblica Stefano Agosta, La disciplina in tema di protezione internazionale e contrasto all’immigrazione illegale (osservazioni a prima lettura) 330 Roberto Cherchi, Immigrazione, relazioni internazionali e sicurezza nazionale negli Stati Uniti: la sospensione degli ingressi degli stranieri di alcune nazionalità negli atti dell’amministrazione Trump 348 Nicola Gullo, Prevenzione del terrorismo ed espulsione degli stranieri dopo il ‘‘decreto sicurezza’’ del 2018 370 Ilenia Ruggiu, Migrazioni per cause climatiche e impatti sulla sicurezza a livello locale 399 Livio Scaffidi Runchella, I ‘‘Trump’s travel bans’’ e l’applicazione extraterritoriale della Convenzione di Ginevra del 1951 e del Protocollo del 1967 sullo status dei rifugiati 411 Donato Vese, Lo “stato di eccezione’’ del migrante. Note critiche sulla condizione dello straniero nel diritto amministrativo 430 Parte IV – La tutela dello straniero tra giurisdizione e interpretazione Ada Caldarera, Osservazioni sul riparto di giurisdizione in materia di tutela giuridizionale del migrante 460 Giovanni Cocozza, Giudice amministrativo e tutela dei minori stranieri non accompagnati 487 Silia Gardini, L’effettività della tutela dello straniero extracomunitario dinnanzi al giudice amministrativo 499 Parte V – Gli obiettivi e il metodo del progetto di ricerca “La disciplina e la tutela dell’asilante” del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino Roberto Cavallo Perin e Manuela Consito, Gli obiettivi e il metodo del progetto di ricerca ‘‘La disciplina e la tutela dell’asilante’’ del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino 524 Prefazione Prefazione  Il volume nasce dalla volontà dei Curatori di unire i contributi offerti con la rielaborazione delle relazioni e degli interventi a due Convegni, tenuti a Siracusa e Torino tra il maggio e l’ottobre 2017, ove studiosi e rappresentanti delle istituzioni si sono confrontati sul fenomeno della circolazione delle persone straniere negli Stati Membri dell’Unione Europea, sulla disciplina del loro ingresso, soggiorno e allontanamento da un territorio, il tutto alla luce dei differenti ordinamenti e tenuto conto dei punti di vista delle diverse discipline giuridiche, sociologiche, economiche e politologiche. La circolazione può dirsi il tratto che accomuna ogni scritto che ora viene a comporre quest’opera sui flussi migratori e il loro governo, che è analizzato con attenzione prima ai doveri e poi ai diritti che possono essere riconosciuti a ciascuna persona, indicando le inevitabili limitazioni che sono a essi coessenziali: sia a motivo di prevenzione e financo di contrasto dei flussi medesimi; sia come spunto d’inclusione e di coesione che valgono gradi diversi nel processo d’integrazione; sia come chiave d’interpretazione del dato normativo che qui più che altrove si rivela quanto mai mutevole. Una per tutti è la linea di confine che segna il rapporto tra le giurisdizioni, sul fronte interno degli Stati o su quello sovranazionale, che evoca in questo come in altri una circolazione della disciplina delle libertà che seguono le persone che si spostano tra ordinamenti giuridici. Seguire le persone e le differenti libertà, seppure declamate come universali da oltre due secoli, significa interrogarsi su come possa cambiare il concetto di cittadinanza; come si declinino i diritti della persona umana dello straniero, ancora prima quale adempimento dei doveri possa convalidare una richiesta di cittadinanza agli Stati membri e per l’effetto all’Unione europea; quali fatti o atti possano contribuire a segnare la democrazia rappresentativa o di governo e perciò quali modelli di gestione dei flussi migratori possano risultare compatibili con tali definizioni, a cominciare dall’esperienza italiana soprattutto del Sud-Italia, verificando quale impatto economico e quali misure di sicurezza possono consentire di governare il fenomeno. La migrazione è infatti essenzialmente circolazione delle persone e può apparire paradossale che della globalizzazione sia stato l’evento che ne ha rivelato la maggiore crisi. La migrazione è dunque fenomeno che più di altri impone una continua ricerca della sintesi della sovranità con le persone che vi appartengono (cittadini) e con quelle che sono di altri ordinamenti (stranieri), ove ciascuno ritrova definite le libertà proprie e altrui, cioè diritti e doveri, obblighi e poteri su cui il presente lavoro vuole offrire una riflessione. Non a caso s’apre il presente lavoro con le Relazioni che intendono toccare il fenomeno immigrazione nel suo complesso (Antonio Ruggeri, Ugo Rescigno, Vittoria Berlingò, Maria Immordino e Loredana Giani, Nicoletta Parisi, Mario Savino, Alessandra Venturini e Claudia Villosio, Roberto Cavallo Perin) cui fanno da cornice gli Interventi, che sono stati raccolti in Parti distinte, dedicate ciascuna a un profilo in cui la migrazione trova declinazione: Oltre la cittadinanza, Modelli di coesione sociale e d’integrazione dello straniero, L’immigrazione di fronte all’ordine e alla sicurezza pubblica, La tutela dello straniero tra giurisdizione e interpretazione. Riflessioni che tengono conto, si diceva, del mutevole diritto positivo che – a partire dal Testo Unico delle disposizioni concorrenti la disciplina dell’immigrazione e norme sul6 la condizione dello straniero (d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286) – ha riconosciuto allo straniero la garanzia dei diritti fondamentali della persona umana e la parità di trattamento con il cittadino in ordine alla tutela giurisdizionale e all’accesso ai pubblici servizi, in ragione della sua sola presenza sul territorio nazionale, dove molte sono state le innovazioni, anche di sistema, progressivamente orientate a obiettivi di sicurezza. A soli quattro anni di distanza è intervenuta la “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo” (l. 30 luglio 2002, n. 189), che prevede l’espulsione per lo straniero clandestino, seguita dalle “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” (l. 15 luglio 2009, n. 94), contenente misure di contrasto alla criminalità e all’immigrazione clandestina e di salvaguardia della salute dei cittadini, sino alla più recente decretazione d’urgenza in materia, tra l’altro, di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica (d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, conv. in l. 1 dicembre 2018, n. 132), che ha inciso sulla disciplina della cittadinanza, dell’accoglienza dei richiedenti asilo e limitato il riconoscimento di protezione per motivi umanitari. Fa seguito negli ultimi giorni la pubblicazione di un nuovo decreto sicurezza (d.l. 14 giugno 2019, n. 53, “Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica”) in tema di soccorso in mare e di misure di potenziamento delle operazioni sotto copertura per contrasto all’immigrazione clandestina. In tali condizioni i Curatori hanno valutato attentamente l’opzione di un’ulteriore attesa, pur avendo già richiesto agli Autori di procedere all’aggiornamento e a un’integrazione dei propri contributi alla luce delle intervenute modificazioni della normativa. Una ragione di rinvio cui ne sarebbe seguita sicuramente altra e poi altra ancora, senza soluzione di continuità. L’Opera ha perciò inteso cogliere lo stato attuale delle mutazioni della disciplina sulla migrazione e sulla condizione giuridica dello straniero, offrendo un punto di riferimento anche temporale per quanti vorranno affrontare con completezza e profondità d’indagine i molti spunti che i contributi degli Autori offrono. Siracusa – Torino, giugno 2019 F.A. R.C.P. A.R. M.S. 7 Relazioni Relazioni  I DIRITTI FONDAMENTALI DEGLI IMMIGRATI E DEI MIGRANTI, TRA LA LINEARITÀ DEL MODELLO COSTITUZIONALE E LE OSCILLAZIONI DELL’ESPERIENZA ~ Antonio Ruggeri ~ 1. COSA SONO I DIRITTI FONDAMENTALI, IL LORO RICONOSCIMENTO PER IL TRAMITE DI CONSUETUDINI CULTURALI DIFFUSE E RADICATE NEL CORPO SOCIALE, IN LINEA CON UNA SOLIDA INDICAZIONE TEORICA DATA AGLI ALBORI DELLA FONDAZIONE DELLA SCIENZA GIUSPUBBLICISTICA • 2. LE IMPLICAZIONI DISCENDENTI DALLA IMPOSTAZIONE QUI ADOTTATA: a) LA STRUTTURALE APERTURA DELLA COSTITUZIONE ALL’ESPERIENZA E LA IDONEITÀ DI QUESTA A PORTARE ALLA INCESSANTE RICONFORMAZIONE SEMANTICA DI QUELLA; b) IL RAPPORTO DI COMPLEMENTARIETÀ NECESSARIA CHE SI INTRATTIENE TRA LA SCIENZA GIURIDICA E LE ALTRE SCIENZE UMANO-SOCIALI; c) IL CRUCIALE RILIEVO DELLA COMPARAZIONE AL FINE DELLA OPPORTUNA MESSA A PUNTO DEGLI ISTITUTI COSTITUZIONALI • 3. GLI IMMIGRATI, IL PECULIARE E STRETTO RAPPORTO CHE ESSI HANNO COL TERRITORIO DELLO STATO, LA SOLLECITAZIONE CHE NE VIENE ALLA REVISIONE DELL’IDEA TRADIZIONALE DI CITTADINANZA, CON I CONSEGUENTI RIFLESSI PER CIÒ CHE, IN PARTICOLARE, ATTIENE AL GODIMENTO DEI DIRITTI POLITICI • 4. VERSO UNA PROFONDA RICONSIDERAZIONE CRITICA DI SCHEMI INVETERATI RIGUARDANTI LA RAPPRESENTANZA POLITICA, LE DINAMICHE DELLA FORMA DI GOVERNO, LE STESSE COMPLESSIVE MOVENZE DELLA FORMA DI STATO • 5. GLI SCOSTAMENTI DELL’ESPERIENZA DAL MODELLO E IL BISOGNO DI FAR LUOGO AD UN COMPLESSIVO RIPENSAMENTO DEL COMPLESSO RAPPORTO INTERCORRENTE TRA I DIRITTI FONDAMENTALI DA UN CANTO, I PRINCIPI DI EGUAGLIANZA, SOLIDARIETÀ E, IN ULTIMA ISTANZA, FEDELTÀ ALLA REPUBBLICA DALL’ALTRO. 1. Cosa sono i diritti fondamentali, il loro riconoscimento per il tramite di consuetudini culturali diffuse e radicate nel corpo sociale, in linea con una solida indicazione teorica data agli albori della fondazione della scienza giuspubblicistica. Il titolo di questa succinta riflessione rimanda a termini bisognosi di essere spiegati, correndosi altrimenti il rischio di aggravare la oscurità e confusione attorno ad essi ancora oggi esistenti. Le maggiori e più gravi questioni si pongono, ab antiquo, attorno alla nozione di diritto fondamentale: un autentico, irrisolto, punctum crucis della teoria generale della filosofia del diritto, delle discipline giuspositivistiche (tra le quali, appunto, quella a me più familiare); ed è di tutta evidenza che, fintantoché non si fa su di esso chiarezza, a soffrirne è la stessa idea di Costituzione, perlomeno nella sua accezione di liberale memoria, che ha nel rico10 Antonio Ruggeri I diritti fondamentali degli immigrati… noscimento e nella tutela dei diritti in parola il suo cuore pulsante, il tratto più immediatamente e genuinamente espressivo e qualificante1. Non ho, ovviamente, qui la pretesa di riprendere ab ovo la vessata questione, che da sola richiederebbe uno spazio di cui ora non dispongo né ho la presunzione di poter chiudere una volta per tutte una discussione che resta (e, a mia opinione, resterà) sempre aperta, non foss’altro che a motivo del fatto che i diritti fondamentali si trasformano nella loro stessa struttura col tempo2, così come anche in ordinamenti appartenenti alla medesima “famiglia”, quali sono appunto quelli di tradizione liberale, si contestualizzano assumendo forme e connotati complessivi varî da luogo a luogo, al punto di potersene (e doversene) dare definizioni e descrizioni non comuni. Non escludo, ovviamente, che il sintagma “diritto fondamentale” si presti a studi con profitto condotti dalla prospettiva giusfilosofica o teorico-generale o da altri angoli visuali ancora e per le esigenze ricostruttive a ciascuno di essi congeniali3. Come studioso di diritto positivo, però, non posso non pormi la domanda circa ciò che i diritti in parola sono per il nostro ordinamento, quali i cambiamenti (perlomeno, quelli maggiormente vistosi) che essi hanno avuto e, soprattutto, quali potrebbero avere, specie nel presente contesto segnato da fenomeni assolutamente sconosciuti ancora in un recente passato. Dico subito che proprio quest’ultimo è il punto su cui desidero specificamente soffermarmi, ponendo in rapporto l’idea di diritto fondamentale col fenomeno in continua e, a quanto pare, inarrestabile crescita delle migrazioni di massa: un fenomeno che, a mia opinione, in realtà obbliga ad un complessivo ripensamento di tutte le categorie giuridiche di base (per ciò che più da presso mi tocca, di quelle costituzionalistiche), a partire da quella di diritto soggettivo (e, per converso, di dovere giuridico), di sovranità, eguaglianza4, solidarietà5. Ambientato lo studio in prospettiva di stretto diritto positivo e andando perciò alla ricerca di ciò che è o che fa un diritto fondamentale per la Costituzione italiana, a me pare6 che si disponga di una nutrita serie di indicazioni allo scopo sfruttabili, a partire da quelle 1 Avverto che non intendo qui rimettere in discussione l’idea di Costituzione e verificare se (e fino a che punto) possa appropriatamente farsi utilizzo del termine al di fuori del campo in cui sono maturate le complessive vicende degli ordinamenti liberali. Rimango dunque fermo alla nozione affermatasi presso tali ordinamenti, mirabilmente espressa nella nota formula dell’art. 16 della Dichiarazione del 1789, e ragiono su alcuni dei suoi possibili sviluppi, interrogandomi in particolare in merito all’incidenza esercitata dall’imponente fenomeno migratorio in corso sui più salienti sviluppi degli ordinamenti stessi. 2 Cambia, cioè, il modo di essere della “fondamentalità” dei diritti, così come cambia il modo di essere della loro “inviolabilità”, di cui è parola nell’art. 2 della Carta, che va caricandosi col tempo di inusuali accezioni e valenze. 3 V., di recente, il confronto che è in Dir. um. dir. int. 3, 2016, e ivi la introduzione di A. Pisanò, Cosa (non) sono i diritti umani. Un dibattito tra diritto, filosofia e politica, 645 ss. 4 Tra gli altri e di recente, M. Losana, “Stranieri” e principio costituzionale di eguaglianza, in www.rivistaaic.it 1, 2016, 29 febbraio 2016. 5 Alla solidarietà, in stretta correlazione alla dignità, hanno fatto insistiti ed opportuni riferimenti molti contributi al nostro incontro, tra cui quello di V. Berlingò, La problematica tutela della dignità dei migranti nelle fasi del “rimpatrio”, in questo Volume. 6 Riprendo ora gli esiti raggiunti in precedenti studi (e, part., in Cosa sono i diritti fondamentali e da chi e come se ne può avere il riconoscimento e la tutela, in www.giurcost.org, II, 2016, 30 giugno 2016, 263 ss.). 11 Relazioni  offerte dagli artt. 2 e 3 della Carta, componenti quella che si è altrove chiamata la coppia assiologica fondamentale, dal momento che, senza nulla togliere alla potenza espressiva e qualificatoria dei principi fondamentali diversi da quelli enunciati negli artt. ora richiamati, pochi dubbi mi pare che possano residuare a riguardo del fatto che i principi stessi sono stati pensati e riconosciuti giusto al fine di dar modo alla coppia in discorso di potersi affermare al meglio di sé, alle condizioni oggettive complessive di contesto. Tutti i principi fondamentali – è ormai provato – si fanno mutuo rimando e si sorreggono l’un l’altro, al punto che nessuno di essi ha alcun senso, teorico e pratico, al di fuori della correlazione necessaria in cui versa con gli altri, tutti assieme facendo appunto “sistema”: un sistema dai tratti peculiari ed irripetibili, secondo quanto è proprio delle vicende di ciascun ordinamento rispetto a quelle di ogni altro, anche il più contiguo per caratterizzazione culturale, origini, svolgimenti. Ciò posto, tuttavia, è fuori discussione che il nostro ordinamento, al pari degli altri rifondati dalle Carte costituzionali venute alla luce dopo l’immane tragedia della seconda grande guerra, ha nella centralità della persona umana il perno attorno al quale incessantemente ruota e si rinnova, restando nondimeno fedele alla ispirazione di fondo che ne ha dato (e dà) la giustificazione e l’identità. Un ordinamento che, dunque, nella coppia suddetta ha il suo costante ed obbligato punto di riferimento, il punto fermo dal quale si tiene e grazie al quale può trasmettersi integro nel tempo, a beneficio anche delle generazioni che verranno. Libertà ed eguaglianza, però, come si sa, sarebbero vuoti termini senza la garanzia del lavoro, non a caso insistentemente richiamato da una delle voci più nobili e genuine al servizio dell’intera umanità, Papa Francesco, e indicato quale sostegno della dignità, che priva di quello si smarrisce, soffrendo un vulnus non riparabile7. Non è a caso, d’altronde, che sul lavoro convergano – ed è un unicum – ben due principi fondamentali, il primo dei quali (anche questo non per mero accidente) è posto a contenuto dell’articolo di esordio della Carta. La cosa ha uno speciale significato nella ricerca qui nuovamente condotta di ciò che è, in nuce, un diritto fondamentale. Il disposto, infatti, che più direttamente dà specificazione-attuazione al principio del riconoscimento e della salvaguardia del lavoro, allo stesso tempo prestandosi alla definizione dei diritti di cui qui si discorre, è quello dell’art. 36, I c., col riferimento in esso fatto al carattere libero e dignitoso della esistenza del lavoratore e della sua famiglia. 7 Ad es., all’udienza generale del 15 marzo 2017, Francesco – come riferisce L’Avvenire dello stesso giorno – ha dichiarato: “Il lavoro ci dà dignità. Chi per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari chiude fabbriche, chiude imprese e toglie il lavoro agli uomini fa un peccato gravissimo”. Nell’udienza generale del 14 ottobre 2015, il Papa ha efficacemente affermato che il lavoro “fa parte del piano di amore di Dio” ed “è un elemento fondamentale per la dignità di una persona. Il lavoro, per usare un’immagine, ci ‘unge’ di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre; dà la capacità di mantenere se stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della propria Nazione” (mia la sottolineatura). E così via in innumerevoli altre occasioni. 12 Antonio Ruggeri I diritti fondamentali degli immigrati… Come si è tentato di mostrare altrove8, diritto fondamentale è, dunque, ogni bisogno elementare dell’uomo il cui appagamento è condizione di un’esistenza siffatta9. È chiaro che, così stando le cose, il problema non può dirsi di certo risolto ma solo spostato in avanti, per un verso dovendosi fare chiarezza circa il significato del riferimento alla libertà ed alla dignità contenuto nel disposto in parola e, per un altro, trattandosi di stabilire in cosa propriamente consista (e si risolva) il rapporto di strumentalità necessaria che s’intrattiene tra i bisogni che reclamano riconoscimento e tutela e il modo di essere dell’esistenza umana, il suo rispondere ai parametri suddetti. Le notazioni ora succintamente svolte non hanno, ovviamente, la pretesa di abbozzare neppure un inizio di risposta a quesiti di così rilevante portata e impegno teorico, rimandando a complesse verifiche ed analisi i cui luoghi elettivi non possono che essere, di tutta evidenza, diversi da questo. Desidero, nondimeno, qui richiamare un ulteriore passaggio argomentativo ripreso da mie precedenti riflessioni a riguardo del modo con cui possono riconoscersi i bisogni elementari della persona umana idonei a convertirsi in autentici diritti fondamentali. Il problema è di centrale rilievo con riferimento ai c.d. nuovi diritti. I vecchi, infatti, dispongono di già di esplicite indicazioni nella Carta, hanno peraltro radici assai risalenti nel tempo, sono riconosciuti (sia pure in termini non coincidenti) da molte altre Carte di tradizioni liberali e – ciò che più importa – dispongono di numerosi e corposi materiali normativi e giurisprudenziali ai quali è possibile fare capo al fine della loro complessiva caratterizzazione. La questione, invece, si pone principalmente per i diritti nuovi (o, addirittura, nuovissimi), di ultima generazione, il cui riconoscimento richiede, a mio modo di vedere, di poggiare su delle vere e proprie consuetudini culturali diffuse e profondamente radicate nel tessuto sociale. L’opera qualificatoria del diritto viene sempre dopo, quanto meno con riguardo ad istituti o a beni della vita di rilevanza costituzionale. È un insegnamento, questo, che, con specifico riguardo alle esperienze costituzionalmente rilevanti, affonda le sue radici nel terreno in cui è sorta la scienza del diritto pubblico in genere e che ha da noi avuto la sua più limpida espressione negli studi pionieristici di V.E. Orlando e S. Romano. Mi sembra degna della massima considerazione la circostanza per cui, ad avviso di entrambi, le Carte costituzionali valgono se (e in quanto) danno espressione e forma ai mores invalsi nel corpo sociale, ed anzi – come ebbe a precisare il primo nella sua famosa prolusione dell’89 (e in altri scritti) – le leggi in genere hanno vigore unicamente in quanto si dimostrino idonee a dare svolgimento a principi desunti dal corpo sociale, specie per il tramite della 8 Ancora nel mio scritto sopra cit. 9 Sul diritto a un’esistenza dignitosa come “diritto (pregiudiziale) a poter usufruire dei diritti”, v. i pertinenti rilievi di M. Ruotolo, Sicurezza, dignità e lotta alla povertà, Napoli 2012, 200 ss. Su Il diritto di avere diritti, v., con questo titolo, la densa riflessione di S. Rodotà (Roma-Bari 2013). 13 Relazioni  scienza giuridica, la quale così – ed è una conclusione della massima importanza – precede, non segue, la posizione del diritto scritto in genere e legislativo in ispecie10. Orlando in tal modo pagava il suo debito nei riguardi della scienza privatistica, diretta discendente e custode del patrimonio romanistico frutto della incessante, infaticabile elaborazione dei giureconsulti. Era però questo – come Egli stesso ebbe a riconoscere – un passaggio obbligato, senza il quale una scienza del diritto pubblico non avrebbe potuto essere costruita. Il discorso fatto da Orlando e dai suoi epigoni era dotato di formidabile capacità espansiva, sì da potersi distendere per l’intero campo costituzionale, pur valendo specificamente per l’organizzazione e, ulteriormente specificando, per la forma di governo. Non è, d’altronde, casuale che il Maestro si esprimesse in termini sprezzanti verso la c.d. “razionalizzazione” del regime parlamentare, la cui affermazione e il complessivo assetto dovessero piuttosto essere rimessi all’esperienza. Il discorso stesso, però, possiede generale valenza; e vale perciò anche per la parte sostantiva della Carta. Non posso qui tacere di riconoscermi solo in parte nella impostazione orlandiana e della sua Scuola. Per ragioni che non possono trovare qui la loro compiuta illustrazione, il rapporto tra norme e fatti (e, segnatamente, tra norme costituzionali e fatti ricadenti nella “materia” costituzionale) non ha mai uno sviluppo monodirezionale. La Costituzione – per ciò che qui specificamente importa – non si alimenta mai parassitariamente dall’esperienza ma, nel momento in cui ad essa attinge e la fa propria, avvia processi inusuali volti alla trasformazione dell’esperienza stessa, secondo valore. I disposti che emblematicamente in sé racchiudono ed esprimono questo rapporto di dare-avere sono quelli di cui all’art. 3, I e II c., che a un tempo sollecitano la conformazione delle norme al fatto e la trasformazione di quest’ultimo. Per ciò che specificamente riguarda i diritti fondamentali, se, dunque, da un canto, non può farsi a meno del riferimento a consuetudini culturali diffuse nel corpo sociale al fine di aversene il riconoscimento e la messa a fuoco, da un altro canto non resta esclusa l’evenienza che proprio grazie alla loro positivizzazione11 possano attivarsi processi inusuali 10 V., part., V. E. Orlando, I criteri tecnici per la ricostruzione giuridica del diritto pubblico, in Arch. giur., 1889, ora in Id., Diritto pubblico generale. Scritti varii (1881-1940) coordinati in sistema, Milano 1940, spec. 18; a questo suo pensiero, espressivo di un autentico e radicato indirizzo metodico, il Maestro palermitano è rimasto fedele fino alla fine della sua lunga ed operosa esistenza [lo ribadisce, ad es., in Studio intorno alla forma di governo vigente in Italia secondo la Costituzione del 1948, in Riv. trim. dir. pubbl. 1, 1951, ora in Scritti giuridici varii (1941-1952), Milano 1955, 19]. Di S. Romano, v., poi, tra gli altri suoi scritti, Le prime carte costituzionali, in Annuario dell’Università di Modena, 1907, ora in Id., Lo Stato moderno e la sua crisi, Milano 1969, 163, e Il diritto costituzionale e le altre scienze giuridiche, ora in Id., Prolusioni e discorsi accademici, Modena 1931, 21 ss. e, pure ivi, Diritto e correttezza costituzionale, 51 ss. 11 Questo passaggio argomentativo, che non posso qui svolgere come pure sarebbe opportuno, porta naturalmente a dire che il riconoscimento di certi diritti, oggi a gran voce da alcuni reclamati (ad es., il matrimonio tra persone dello stesso sesso), può aversi – a mia opinione, nel modo più lineare a mezzo di una nuova disciplina di rango costituzionale – unicamente alla condizione che si consideri essere sorretto da una delle consuetudini culturali suddette, ponendosi altrimenti l’atto che dovesse farvi luogo quale espressione di pura autorità non dotata del necessario consenso in seno al corpo sociale. Discorso diverso, che esso pure deve però restare estraneo a questa riflessione, è quello riguardante il modo con cui il riconoscimento in parola può aver luogo: se, 14 Antonio Ruggeri I diritti fondamentali degli immigrati… all’esito dei quali si assista alla formazione di nuove consuetudini: con un processo – come si vede – di mutua implicazione ed alimentazione tra norma e fatto, mores e ius, esteso all’intero campo costituzionale e, perciò, coinvolgente a un tempo organizzazione e diritti, dinamiche della forma di governo (e, più ancora, della forma di Stato) e vicende della parte sostantiva della Carta, a conferma peraltro della sostanziale unitarietà del sistema12. Non potrebbe, d’altronde, essere diversamente, sol che si ripensi alla formula che, nel modo più sintetico ed efficace, definisce l’essenza della Costituzione e dello Stato costituzionale, di cui al già richiamato art. 16 della Dichiarazione del 1789. Una formula che idealmente rimanda alle due parti in cui si articola il dettato costituzionale, allo stesso tempo in modo inequivoco precisando che l’organizzazione, disciplinata all’insegna del principio della separazione dei poteri, si pone in rapporto servente nei riguardi della parte sostantiva, e segnatamente degli enunciati che danno il riconoscimento dei diritti fondamentali. Separazione dei poteri e libertà sono le due gambe con le quali cammina e si porta avanti un ordinamento autenticamente costituzionale; ciascuna di esse ha, perciò, bisogno dell’altra. È però chiaro che la prima è stata pensata essenzialmente in funzione della seconda: per dare, appunto, senso all’idea di persona umana, della sua dignità. La positivizzazione dei diritti, poi, prende oggi corpo soprattutto a mezzo delle Carte internazionali dei diritti, che si affiancano alla Costituzione e, nel vivo dell’esperienza, fanno tutt’uno con essa, oltre che ovviamente a mezzo di leggi. Come ha chiarito la Consulta in una sua risalente ma non perciò inattuale decisione, la n. 388 del 1999, la Costituzione e le altre Carte dei diritti “si integrano reciprocamente nella interpretazione”. La pluralità delle Carte, poi, se per un verso rafforza il riconoscimento in parola, specificamente laddove tra le stesse si diano ampie e marcate convergenze, per un altro verso complica non poco le cose con riguardo ai casi in cui le previsioni delle Carte stesse divergano tra di loro o addirittura entrino in aperto conflitto (o, meglio, tali si rivelino nel loro farsi “diritto vivente”, a mezzo degli orientamenti delle Corti che ne sono istituzionalmente garanti). Di tutto ciò non è tuttavia possibile ora dire, neppure con la rapidità imposta a questa riflessione. come si diceva, a mezzo di legge costituzionale ovvero di legge comune, mentre prendo qui nuovamente le distanze dall’idea, pure diffusamente circolante, che possa a ciò provvedere omisso medio la giurisprudenza. Il carattere plurale ed oscillante, casistico, di quest’ultima ripugna, a mio modo di vedere, a che possano darsi diritti fondamentali solo in talune circostanze e solo ad alcuni riconosciuti, e non pure in altre e ad altri. Che poi, perdurando il colpevole ritardo del legislatore nel dar voce a consuetudini ormai radicatesi nel corpo sociale, i giudici si trovino obbligati ad un’opera faticosa e sofferta di “supplenza” – come suole essere chiamata – è una evenienza che, ovviamente, non può essere scartata. Di tutto ciò, dei vantaggi come pure degli inconvenienti, rilevanti gli uni e non poco gravi gli altri, ad ogni buon conto, in altri luoghi. 12 Il carattere largamente approssimativo della separazione (e della stessa distinzione) tra parte e parte della Costituzione è ampiamente e da tempo rilevato dalla più sensibile dottrina (per tutti, M. Luciani, La “Costituzione dei diritti” e la “Costituzione dei poteri”. Noterelle brevi su un modello interpretativo ricorrente, in Scritti in onore di V. Crisafulli, II, Padova 1985, 497 ss.). 15 Relazioni  2. Le implicazioni discendenti dalla impostazione qui adottata: a) la strutturale apertura della Costituzione all’esperienza e la idoneità di questa a portare alla incessante riconformazione semantica di quella; b) il rapporto di complementarietà necessaria che si intrattiene tra la scienza giuridica e le altre scienze umano-sociali; c) il cruciale rilievo della comparazione al fine della opportuna messa a punto degli istituti costituzionali. Mi limito, dunque, a tirare le somme dalle considerazioni sopra svolte, per ciò che è di diretto interesse per lo studio che vado ora facendo. Dagli esiti ricostruttivi appena raggiunti possono infatti trarsi rilevanti implicazioni: una volta che gli stessi siano portati (ovviamente, in luoghi diversi da questo) ai loro opportuni svolgimenti, possono infatti esprimere plurime e significative valenze. In primo luogo, il riferimento al centrale rilievo posseduto dalle consuetudini culturali invalse nel corpo sociale rende testimonianza del modo di essere della Costituzione, strutturalmente aperta all’esperienza nelle sue più radicate e rilevanti espressioni, offrendo allo stesso tempo indicazioni preziose a riguardo del rapporto tra norma e fatto, proprio in alcune delle sue più emblematiche manifestazioni. In secondo luogo, si ha così conferma della condizione di complementarietà necessaria in cui versa la scienza giuridica in relazione alle altre scienze umano-sociali, a partire dalla sociologia e dall’antropologia13. È ovvio che ciascuna disciplina ha un suo proprio statuto scientifico; tutte nondimeno hanno bisogno di darsi sostegno a vicenda. Le stesse soluzioni adottate per via legislativa o giurisprudenziale, riguardate dall’angolo visuale della sociologia o di altre discipline ancora, possono essere con profitto utilizzate al fine della complessiva conoscenza delle dinamiche sociali in genere, nella stessa misura in cui – come si è veduto – il diritto in genere (e, per ciò che qui maggiormente importa, il diritto costituzionale) ha bisogno di appoggiarsi ad altre discipline. In terzo luogo, balza agli occhi il centrale rilievo della comparazione con esperienze (positive e non) di altri ordinamenti al fine della opportuna messa a punto degli istituti propri dell’ordinamento di appartenenza14. Un rilievo crescente, specie nel presente conte- 13 Non è caso, d’altronde, se una sensibile dottrina si è dichiarata dell’idea che il giudice debba oggi essere provvisto di nozioni di antropologia (v., dunque, I. Ruggiu, Il giudice antropologo. Costituzione e tecniche di composizione dei conflitti multiculturali, Milano 2012, e, della stessa, ora, Il giudice antropologo e il test culturale, in www.questionegiustizia.it 1, 2017, 216 ss.). I problemi che oggi si pongono nella società multiculturale hanno costituito oggetto, non molto tempo addietro, di un animato confronto in occasione del XXX Convegno AIC su La scienza costituzionalistica nelle transizioni istituzionali e sociali (Roma, 6-7 novembre 2015). 14 Interessanti notazioni sono al riguardo svolte da R. Scarciglia, Diritto globale e metodologia comparativa: verso un approccio verticale, in Dir. pubbl. comp. eur. 4, 2015, 1011 ss., e, più di recente, da A. Morelli, Come lavora un costituzionalista? Per un’epistemologia della scienza del diritto costituzionale, in Quad. cost. 3, 2016, 513 ss. e, dello stesso, Comparazione e ipotesi scientifiche: appunti per uno studio sulle forme di governo, in www.federalismi.it, 1, 2017, 11 gennaio 2017, nonché dai contributi di G. de Vergottini, V. Varano e R. Tarchi, dedicati all’apporto 16 Antonio Ruggeri I diritti fondamentali degli immigrati… sto segnato da una integrazione sovranazionale avanzata e da vincoli viepiù stringenti discendenti dalla Comunità internazionale. E poiché per effetto dell’una e in conseguenza degli altri possono venire alla luce norme dotate persino di rango costituzionale15, norme che perciò fanno corpo con quelle di diritto interno, se ne ha che della loro considerazione non è possibile fare a meno al fine della stessa puntuale messa a punto delle previsioni della Carta costituzionale e delle altre da esse discendenti. La più probante conferma del rilievo della comparazione, nondimeno, si ha sul terreno sul quale maturano le vicende delle c.d. “tradizioni costituzionali comuni” che vengono a formarsi proprio al fine del riconoscimento e dell’ottimale tutela dei diritti fondamentali16. Tradizioni che si pongono perciò quale il frutto, originalmente prodotto dalla Corte dell’Unione, direttamente discendente dallo (e poggiante sullo) strumento illuminante della comparazione, così come è solo facendo congruo utilizzo di quest’ultima che la dottrina può sottoporre a verifica i risultati raggiunti dal giudice eurounitario, come pure gli altri cui perviene la Corte di Strasburgo, specificamente laddove fa richiamo delle “tradizioni” nazionali al fine di stabilire se siano o no in linea con le indicazioni della Convenzione17. Tutto ciò posto, un punto è, nondimeno, da tenere fermo: che i bisogni elementari evocati dalla formula dell’art. 36 cost., qualunque cosa significhi un’esistenza “libera e dignitosa”, fanno capo all’uomo in quanto tale, non già restrittivamente al cittadino. Dal disposto appena richiamato, nel suo porsi quale filiazione diretta di quelli di cui agli artt. 2 e 3, discende dunque una precisa direttiva d’azione per i pubblici poteri in genere, in ambito centrale come pure in sede periferica18, nel momento in cui sono chiamati a dare tutela ai diritti fondamentali, nel senso della inclusione sociale e giuridica, proprio perché in sé dato da A. Pizzorusso alla comparazione, che sono in www.dpceonline.it 2, 2017. Avverte dei rischi derivanti da usi impropri dello strumento della comparazione L. Pegoraro, Ruolo della dottrina, comparazione e “legal tourism”, in Diálogos de Saberes, 43, 2015, 219 ss. Dell’uso della comparazione nella giurisprudenza costituzionale riferisce P. Passaglia, Il diritto comparato nella giurisprudenza della Corte costituzionale: un’indagine relativa al periodo gennaio 2005 - giugno 2015, in www.giurcost.org II, 2015, 13 luglio 2015, 589 ss. 15 … quali le norme alle quali fa rinvio l’art. 10, I c., le norme concordatarie, di cui all’art. 7, e quelle dell’Unione europea, le quali ultime sono provviste – per riconoscimento ormai indiscusso – di “copertura” nell’art. 11. 16 Ne ha, tra gli altri, rimarcato il rilievo O. Pollicino, Corte di giustizia e giudici nazionali: il moto “ascendente”, ovverosia l’incidenza delle “tradizioni costituzionali comuni” nella tutela apprestata ai diritti dalla Corte dell’Unione, in Crisi dello Stato nazionale, dialogo intergiurisprudenziale, tutela dei diritti fondamentali (a cura di L. D’Andrea, G. Moschella, A. Ruggeri, A. Saitta),Torino, 2015, 93 ss., e, dello stesso, Della sopravvivenza delle tradizioni costituzionali comuni alla Carta di Nizza: ovvero del mancato avverarsi di una (cronaca di una) morte annunciata, in La Carta dei diritti dell’Unione Europea e le altre Carte (ascendenze culturali e mutue implicazioni) (a cura di L. D’Andrea, G. Moschella, A. Ruggeri, A. Saitta), Torino, 2016, 91 ss. 17 L’utilizzo che in concreto si fa del margine di apprezzamento riconosciuto a beneficio degli Stati, d’altronde, implica un intenso e fecondo ricorso alla comparazione, pur se alle volte circoscritta unicamente ad alcuni ordinamenti, selettivamente considerati. 18 In particolare, quanto al ruolo che le Regioni e gli enti territoriali in genere possono giocare a salvaguardia dei diritti fondamentali in genere, v. i contributi che sono in I diritti di cittadinanza dei migranti. Il ruolo delle Regioni (a cura di L. Ronchetti), Milano, 2012 e Diritti e autonomie territoriali (a cura di A. Morelli, L. Trucco), Torino, 2014 (con numerosi scritti dedicati alla condizione degli stranieri); in prospettiva comparata, v. P. Masala, La tutela dei diritti sociali negli ordinamenti di tipo composto tra uniformità e differenziazione. Decentramen- 17 Relazioni  “inclusiva” è la nozione di diritto costituzionale19. Ove così non fosse, si smarrirebbe il senso stesso della solidarietà20, che è il vincolo etico-giuridico che tiene unita ogni persona alle altre e tutte assieme le rende partecipi della stessa comunità. Questa conclusione – come si vedrà meglio a momenti – è messa sotto stress nel campo dei rapporti politici, laddove si pongono peculiari esigenze legate al rapporto parimenti peculiare che si intrattiene tra lo Stato e i suoi cittadini in siffatto campo. Quale che sia, tuttavia, il modo con cui si vedano al riguardo le cose, in ambiti diversi da quello politico i primi risultati appena raggiunti, seppur ovviamente bisognosi dei loro opportuni svolgimenti, sono da tener fermi; e ad essi occorre dunque far ora riferimento nel momento in cui si mette a fuoco la condizione degli immigrati e dei migranti. 3. Gli immigrati, il peculiare e stretto rapporto che essi hanno col territorio dello Stato, la sollecitazione che ne viene alla revisione dell’idea tradizionale di cittadinanza, con i conseguenti riflessi per ciò che, in particolare, attiene al godimento dei diritti politici. Al pari del sintagma “diritti fondamentali”, anche il termine “immigrazione” – come si diceva all’inizio di questa riflessione – richiede di essere spiegato. Possono (e devono) al riguardo farsi alcune precisazioni; avverto, nondimeno, subito che qui lo intendo in larga accezione, comprendendovi coloro che instaurano un rapporto permanente col territorio in cui si stabiliscono (gli immigrati) come pure gli altri che vi si trovano di passaggio (i migranti), puntando a stabilirsi altrove21. to e diritti sociali in Italia, Germania e Spagna, I e II, Pisa, 2014. Con specifico riguardo ai diritti degli immigrati, tra gli altri, i contributi che sono nella parte terza de La governance dell’immigrazione. Diritti, politiche e competenze (a cura di E. Rossi, F. Biondi Dal Monte, M. Vrenna), Bologna, 2013 (e, part., ivi, M. Vrenna, Le regioni di fronte all’immigrazione: linee di tendenza degli ultimi anni, 397 ss.) e, ora, l’intervento al nostro incontro di C. Panzera, Immigrazione e diritti nello Stato regionale. Spunti di riflessione, in questo Volume. 19 Pertinenti rilievi sul punto, di cruciale rilievo, in A. Lollo, Eguaglianza e cittadinanza. La vocazione inclusiva dei diritti fondamentali, Milano, 2016. V., inoltre, utilmente, S. Bonfiglio, Costituzionalismo meticcio. Oltre il colonialismo dei diritti umani, Torino, 2016, spec. 85 ss. 20 Come ha, non molto tempo addietro, efficacemente rilevato L. Carlassare, Solidarietà: un progetto politico, in www.costituzionalismo.it 1, 2016, 56, “solidarietà significa non escludere nessuno, non far sentire nessuno estraneo e diverso”. 21 Alcune persone, però, come i richiedenti asilo, potrebbero stabilirsi a tempo indeterminato sul territorio (sulla loro condizione si è soffermato, in occasione del nostro incontro, F. Croce, Il fenomeno migratorio come variabile dell’organizzazione amministrativa. Il caso degli S.P.R.A.R, in corso di stampa. Sui profili costituzionali del diritto di asilo tra gli altri, v. M. Benvenuti, Il diritto di asilo nell’ordinamento costituzionale italiano. Un’introduzione, Padova, 2007; F. Rescigno, Il diritto di asilo, Roma, 2011; F. Scuto, I diritti fondamentali della persona quale limite al contrasto dell’immigrazione irregolare, Milano, 2012, 311 ss.; G. Scaccia, D. De Lungo, Il diritto di asilo, in Immigrazione e integrazione. Dalla prospettiva globale alle realtà locali, I (a cura di F. Rimoli), Napoli, 2014, 605 ss.; P. Bonetti, I diritti dei non cittadini nelle politiche dell’immigrazione e dell’asilo dell’Unione europea, in Metamorfosi della cittadinanza e diritti degli stranieri (a cura di C. Panzera, A. Rauti, C. Salazar, A. Spadaro), Napoli, 2016, 143 ss.; R.S. Birolini, Riflessioni in merito alle procedure di riconoscimento del diritto di asilo in Italia alla luce dei più re- 18 Antonio Ruggeri I diritti fondamentali degli immigrati… La condizione è chiaramente diversa; si tratta, però, qui di stabilire se possano aversi trattamenti discriminatori per ciò che attiene al godimento dei diritti fondamentali. Il rapporto col territorio ha comunque centrale rilievo, vuoi perché è da esso che discendono (e ad esso si legano) le manifestazioni di sovranità dello Stato e di potestà di normazione e di amministrazione degli enti in genere che compongono la Repubblica e vuoi perché il territorio, quale centro di emersione di interessi, si pone quale punto costante di riferimento tanto per ciò che attiene ai diritti vantati da coloro che in esso, seppur ad tempus, si trovano quanto, specularmente, in merito ai doveri gravanti sui pubblici poteri in genere22. Il rapporto col territorio esprime, dunque, plurime valenze e possiede una capacità riconformativa delle situazioni giuridiche soggettive ad oggi non compiutamente esplorata anche in profili di primario rilievo. È stato detto da una sensibile dottrina23 che i diritti fondamentali si presentano, nel presente contesto istituzionale e costituzionale, quali “agenti dissolutori degli status”; ed è vero. A me pare tuttavia che sia l’idea di persona umana, nel suo porsi al centro del disegno costituzionale, a portare naturalmente a quest’esito, nel mentre il territorio sollecita per la sua parte ad offrire protezione e tutela a quanti in esso a qualunque titolo si trovano. La qual cosa, peraltro, non sgrava lo Stato dell’onere di dare il proprio fattivo concorso con altri Stati ed organizzazioni in genere per la risoluzione dei problemi esistenziali delle persone maggiormente vulnerabili ed esposte ovunque si trovino24, anche (e soprattutto) in Paesi distanti dal nostro ed afflitti da guerre, carestie e da quant’altro non consente a coloro che in essi vivono di condurre una esistenza “libera e dignitosa”25. È questa, infatti, una delle proiezioni, verso l’esterno, del dovere di solidarietà, di cui è parola nell’art. 2 della centi interventi normativi, in www.osservatoriocostituzionale.it 2, 2016, 18 luglio 2016. In prospettiva storico-teorica, F. Mastromartino, Il diritto d’asilo. Teoria e storia di un istituto giuridico controverso, Torino, 2012; da altro angolo visuale ancora, v. A. Sciurba, Misrecognizing Asylum: Causes, Modalities, and Consequences of the Crisis of a Fundamental Human Right, in Riv. fil. dir. 1, 2017, 141 ss.). 22 Sul rilievo del territorio nelle complessive vicende storico-politiche dello Stato e sulle prospettive che possono aversene per i suoi ulteriori sviluppi, v., part., A. Di Martino, Il territorio: dallo Stato-nazione alla globalizzazione. Sfide e prospettive dello Stato costituzionale aperto, Milano, 2010, e I. Ciolli, Il territorio rappresentato. Profili costituzionali, Napoli, 2010. 23 C. Camardi, Diritti fondamentali e “status” della persona, in Riv. crit. dir. priv. 1, 2015, 7 ss. 24 Sul concetto di “vulnerabilità”, v., ora, l’ampio ed argomentato saggio di S. Rossi, Forme della vulnerabilità e attuazione del programma costituzionale, in www.rivistaaic.it 2, 2017, 5 aprile 2017, con specifico riferimento ai soggetti disabili. 25 Si è, ancora non molto tempo addietro, con opportuni rilievi riferito all’amore per i lontani A. Spadaro, L’amore dei lontani: universalità e intergenerazionalità dei diritti fondamentali fra ragionevolezza e globalizzazione, in www.forumcostituzionale.it. L’autore si è molte volte ed a varie finalità di ricerca intrattenuto sul dovere di solidarietà, facendosi portatore di una sua accezione “forte”: ad es., in Dai diritti “individuali” ai doveri “globali”. La giustizia distributiva internazionale nell’età della globalizzazione, Soveria Mannelli, 2005, e I diritti sociali di fronte alla crisi (necessità di un nuovo “modello sociale europeo”: più sobrio, solidale e sostenibile), in www.rivistaaic.it 4, 2011, 6 dicembre 2011. Sulla proiezione esterna del dovere di solidarietà, v., inoltre, A. Apostoli, Il consolidamento della democrazia attraverso la promozione della solidarietà sociale all’interno della comunità, in www.costituzionalismo.it 1, 2016, spec. 13 ss. 19 Relazioni  Carta, del quale non può darsene – come, invece, sovente si fa – una riduttiva rappresentazione, circoscritta al solo ambito interno. È, poi, chiaro che, a seconda del modo di essere del legame tra persona e territorio, possono determinarsi conseguenze dell’una o dell’altra natura e dalla varia intensità in ordine al godimento dei diritti fondamentali. Così, la stabilità della residenza nel territorio dello Stato mette sotto stress la nozione tradizionale di cittadinanza26, che ha – come si sa – la sua roccaforte al piano dei diritti politici, laddove ugualmente nondimeno soffre una graduale erosione27. Non saprei dire quanto tempo ancora resisteranno alcune antiche e, per vero, ad oggi radicate credenze, che nondimeno stanno portando ad un complessivo ripensamento dell’idea tradizionale di cittadinanza28, alla sua conversione – sollecitata dalla più sensibile dottrina29 – dal modello della cittadinanza-appartenenza a quello della cittadinanza-partecipazione30. Una spia di una maggiore attenzione verso un problema che tarda nondimeno a 26 … a riguardo della quale faccio qui richiamo solo delle dense riflessioni teoriche di M. Luciani, Cittadini e stranieri come titolari dei diritti fondamentali, in Riv. crit. dir. priv., 1992, 203 ss.; M. Cuniberti, La cittadinanza. Libertà dell’uomo e libertà del cittadino nella costituzione italiana, Padova, 1997; E. Castorina, Introduzione allo studio della cittadinanza, Milano, 1997; E. Grosso, Le vie della cittadinanza. Le grandi radici. I modelli storici di riferimento, Padova, 1997, del quale, v., inoltre, Cittadinanza e territorio. Lo ius soli nel diritto comparato, Napoli, 2015, e Una cittadinanza funzionale. Ma a cosa? Considerazioni sull’acquisto della cittadinanza iure soli, a partire da una suggestione di Patricia Mindus, in Mat. st. cult. giur., 2, 2015, 477 ss.; C. Salazar, “Tutto scorre”: riflessioni su cittadinanza, identità e diritti alla luce dell’insegnamento di Eraclito, in Pol. dir. 3, 2001, 373 ss.; R. Caridà, La cittadinanza, in www.forumcostituzionale.it, 7 febbraio 2008. Studi recenti di particolare interesse sono quelli L. Ronchetti, La Costituzione come spazio della cittadinanza, in Mat. st. cult. giur. 2, 2015, 441 ss.; A. Morrone, Le forme della cittadinanza nel Terzo Millennio, in Quad. cost. 2, 2015, 303 ss., e, nella stessa Rivista, M. Savino, Lo straniero nella giurisprudenza costituzionale: tra cittadinanza e territorialità, 1, 2017, 41 ss. Riferimenti di ordine storico-teorico, con specifico riguardo all’ordinamento francese, possono, poi, aversi da C. Corneli, Liberté, egalité, citoyenneté. L’evoluzione di un modello di cittadinanza tra storia, modernità e post-modernità, in www.forumcostituzionale.it, 2 novembre 2016; pure ivi, per un raffronto tra Italia e Francia, v. S. Fabianelli, Fenomenologia dello ius soli: riflessioni tra Francia e Italia (... in attesa di un futuro esame del Senato), 6 novembre 2016. Infine, se si vuole, anche i miei Note introduttive ad uno studio sui diritti e i doveri costituzionali degli stranieri, in www.rivistaaic.it 2, 2011, 3 giugno 2011, e I diritti dei non cittadini tra modello costituzionale e politiche nazionali, in, Metamorfosi cit., 25 ss., spec. 38 ss., nonché in www.giurcost.org I, 2015, 1 aprile 2015, 132 ss. e 140 ss. Sull’incidenza esercitata dal legame stabile col territorio in ordine al modo di essere della cittadinanza si è già espressa, con varietà d’impostazione e di esiti teorico-ricostruttivi, una nutrita schiera di autori. Il punto è, poi, stato toccato anche da molti contributi al nostro incontro, tra i quali quelli di V. Arata, Dalla cittadinanza alla residenza. Il principio dell’effetto utile nella giustizia amministrativa, in corso di stampa, e A. Rauti, Diritti degli stranieri e modelli di cittadinanza, in questo Volume. 27 Basti solo pensare ai passi in avanti fatti in sede di Unione al fine di pervenire alla meta del riconoscimento dei diritti politici, quanto meno nelle assemblee elettive locali. 28 … tanto più se si considera l’incidenza esercitata ab extra sulla disciplina nazionale della cittadinanza, di cui un tempo non si aveva invece traccia (in argomento, dopo L. Panella, La cittadinanza e le cittadinanze nel diritto internazionale, Napoli, 2008, v., part., ora, E.A. Ferioli, La cittadinanza “oltre” lo Stato. Interferenze internazionali e sovranazionali nell’acquisto e conservazione della cittadinanza statale, in www.rivistaaic.it 1, 2017, 15 febbraio 2017). 29 Riferimenti, ora, nel contributo offerto al nostro incontro da V. Marcenò, Una politica di coesione sociale attraverso il pubblico impiego, in questo Volume. 30 Con specifico riguardo alla nozione di “cittadinanza amministrativa”, di recente, v. M. Timo, Cittadinanza amministrativa e democrazia partecipativa, in www.osservatoriocostituzionale.it 3, 2016, 8 novembre 2016. 20 Antonio Ruggeri I diritti fondamentali degli immigrati… trovare adeguata soluzione può vedersi nei progetti di legge col tempo presentati (ed alcuni ad oggi pendenti), coi quali si punta all’esito di riconoscere lo status di cittadino ai figli degli immigrati nati nel territorio dello Stato (ecco una delle più salienti testimonianze del legame col territorio), sia pure a certe condizioni, sul merito delle quali nondimeno nulla posso ora dire31. Colgo, poi, l’opportunità oggi offertami per rinnovare le mie forti perplessità, già in altri luoghi32 manifestate, a riguardo della distinzione che si fa tra la rappresentanza in seno alle assemblee elettive locali e quella che invece prende corpo nelle assemblee nazionali, la quale ultima dovrebbe restare comunque categoricamente esclusa dall’apertura fatta agli stranieri stabilmente residenti in Italia33. Ad onor del vero, si danno due argomenti molto forti a sostegno di siffatta preclusione. Per un verso, infatti, attraverso la presenza nelle assemblee nazionali si rende possibile concorrere alle attività di direzione politica in genere e, per ciò pure, alla assunzione delle scelte specificamente riguardanti l’immigrazione, condizioni e limiti dell’apertura e quant’altro attiene alla sua definizione e gestione. Per un altro verso, poi, si può prendere parte alla formazione delle leggi costituzionali e delle leggi di revisione costituzionale e, perciò, al rifacimento dell’atto che sta a fondamento della Repubblica. Nessuno dei due argomenti sembra tuttavia irresistibile; e a darne conferma basti solo por mente alla circostanza per cui, da un canto, il condizionamento nei riguardi dell’indirizzo politico può comunque aversi, in molti modi e sedi anche diverse da quella parlamentare34. D’altro canto, sono molti i non cittadini italiani cui è data la possibilità di incidere, di diritto o di traverso, sul dettato costituzionale, secondo quanto è ancora una volta 31 … e rimando, pertanto, ad alcune ricerche accurate, tra le quali quella i cui esiti ci sono stati rappresentati nel corso del nostro incontro da A. Rauti, Diritti cit. Alcune previsioni – segnalo qui per incidens –, come quella che rinvia il riconoscimento in parola al compimento del diciottesimo anno, mi lasciano perplesso sotto lo specifico aspetto della loro rispondenza a ragionevolezza. Ancora nello scritto ora cit., § 4, si fa opportunamente notare la stranezza costituita dal fatto che chi nasce nel nostro territorio dev’attendere diciotto anni per l’acquisto della cittadinanza, diversamente dallo straniero che, nato altrove, può acquisirla dopo dieci anni. 32 … fra i quali, I diritti dei non cittadini tra modello costituzionale e politiche nazionali, in Metamorfosi cit., spec. 38 ss., nonché www.giurcost.org I, 2015, 1 aprile 2015, 140 ss.; nell’op. coll. ora cit., v., inoltre, E. Laganà, La questione aperta dei diritti politici degli “stranieri” (con particolare riguardo al diritto di voto a livello locale), 415 ss., e P. Colasante, L’attribuzione del diritto di voto ai non cittadini: prospettive di riforma e fonte competente, in www.rivistaaic.it 2, 2016, 15 maggio 2016, seppur in una cornice teorica distante da quella in cui s’inscrive la mia riflessione. Torna ora a soffermarsi sul punto A. Rauti, Diritti cit., spec. al § 2. 33 La partecipazione alla vita pubblica, nondimeno, non si esaurisce – com’è chiaro – nel mero fatto elettorale, potendosi realizzare in forme plurime, alcune delle quali (come le Consulte) già sperimentate (sia pure con risultati complessivamente deludenti), mentre altre ancora potrebbero aversi, anche con connotati inusuali e per iniziativa sia dell’apparato centrale che dei poteri locali (si è intrattenuta su alcuni aspetti della complessa questione, in occasione del nostro incontro, V. Prudente, L’integrazione dello straniero attraverso la partecipazione alla vita pubblica locale, in corso di stampa). 34 Ricordo solo a me stesso che più volte alcuni stranieri (a partire da J. Fabre, obiettore di coscienza belga, fino a D. Traoré, avvocato maliano) sono stati eletti ai vertici della segreteria politica dei radicali, determinandosi non lievi problemi in alcune circostanze, quale quella che si ebbe in occasione di una crisi di governo, nel corso della quale il Presidente della Repubblica non intese ricevere il segretario quale componente della delegazione del partito in sede di consultazioni. 21 Relazioni  per tabulas testimoniato dalle modifiche che possono aversi della Carta ad opera di atti o fatti aventi origine esterna, quali le consuetudini internazionali, le norme eurounitarie e quelle concordatarie. Qui, il discorso ci porta naturalmente ad intravvedere un legame assai stretto tra l’apertura della Carta al diritto internazionale e sovranazionale per un verso, il riconoscimento dei diritti fondamentali per un altro verso. Quest’ultimo non discende necessariamente ed esclusivamente dalla prima, la quale nondimeno può offrire (ed effettivamente offre) un contributo di prima grandezza a quello (specie per il servizio al riguardo prestato ai diritti dalle Carte aventi origine esterna). Ci si intenda. Nessuno qui nega che la Costituzione distingua – piaccia o no – la condizione del cittadino da quella del non cittadino, alla quale fa esplicito riferimento uno dei principi di base dell’ordinamento, iscritto nell’art. 10, II c. Il punto è, però, se, in forza di quest’ultimo, si giustifichi o no (e, se sì, dove e fino a che punto) un diverso trattamento per ciò che ha riguardo al godimento dei diritti fondamentali. Nulla, tuttavia, autorizza a trarre dal laconico disposto ora richiamato, col rimando in esso fatto a norme di diritto internazionale cui le leggi e gli atti di diritto interno in genere sono obbligati a prestare osservanza35, una conclusione siffatta che, a tacer d’altro, equivarrebbe ad ammettere che si dia una rottura della Costituzione rilevante al piano dei rapporti tra principi, l’art. 10 in tesi negando ciò che invece affermano gli artt. 2 e 336. Se, di contro, si conviene – come a me pare si debba – che si dà una comunanza di esperienze di vita tra cittadini e non cittadini, una comunanza peraltro con riguardo alle persone stabilmente residenti consolidata dalla diuturnitas dei rapporti intrecciati nel corpo sociale e che in alcuni ambiti materiali si presenta particolarmente vistosa (dalla sanità al lavoro o all’istruzione, e ad altri ambiti ancora), ebbene la diversificazione nel godimento dei diritti costituzionali verrebbe allora a manifestarsi in tutta la sua cruda evidenza, esibendo il volto arcigno di una discriminazione odiosa, intollerabile, ripugnante a Costituzione. Una discriminazione – come si viene dicendo – particolarmente grave con riferimento a coloro che stabilmente vivono ed operano in Italia, concorrendo non meno dei cittadini residenti alle esigenze dell’erario37 e che possono persino essere chiamati all’adempimento del dovere per antonomasia un tempo considerato proprio dei soli cittadini, 35 Il vincolo, dopo la revisione costituzionale del 2001, è ribadito nel I c. dell’art. 117. La illustrazione del rap- porto, particolarmente complesso, intercorrente tra quest’ultimo disposto e quelli di cui al I e II c. dell’art. 10 non può tuttavia trovare ora spazio per essere fatta, neppure con la speditezza imposta a questa riflessione. 36 Le rotture della Costituzione si hanno, come si sa, in presenza di deroghe recate da una regola della stessa Carta ad uno dei principi fondamentali, quale quello di eguaglianza, mentre qui si avrebbe una deroga nei rapporti tra principi; ciò che solleva non poche riserve di ordine teorico. 37 Sta proprio qui, infatti, una delle ragioni che maggiormente depongono per il riconoscimento dei diritti politici anche agli stranieri stabilmente residenti, in linea con una indicazione risalente – com’è noto – ad una delle più salde tradizioni della rappresentanza politica, e segnatamente al principio no taxation without representation. Un grave vulnus per la democrazia, dunque, si consuma fintantoché non dovesse porsi rimedio a questa grave, perdurante carenza. 22 Antonio Ruggeri I diritti fondamentali degli immigrati… quello di difesa della patria38; e, però, una discriminazione che non cessa di esser tale anche per i non residenti in modo stabile e persino per gli irregolari, laddove si tratti di assicurare loro almeno le condizioni minime di un’esistenza “libera e dignitosa”. 4. Verso una profonda riconsiderazione critica di schemi inveterati riguardanti la rappresentanza politica, le dinamiche della forma di governo, le stesse complessive movenze della forma di Stato. Che questa situazione non resti priva di conseguenze al piano dei rapporti politici è testimoniato da un dato sul quale, a mia opinione, non si è ad oggi prestata la dovuta attenzione e che, per la sua parte, concorre esso pure ad un complessivo ripensamento di alcuni schemi inveterati riguardanti la cittadinanza e la rappresentanza politica. Nel presente contesto segnato da rapporti internazionali e sovranazionali idonei – come si è segnalato – ad esprimere vincoli particolarmente intensi, i rappresentanti (specie quelli operanti in seno alle assemblee nazionali) sono chiamati a dar voce anche a coloro dai quali non dipende la loro elezione, a farsi cioè carico delle aspettative, specie le più diffuse ed avvertite, di cui sono portatori gli stranieri, immigrati o migranti che siano, oltre che – come si è veduto – a quelle dei partners europei e dei mercati internazionali. Emblematica di questa crescente tendenza la vicenda che ha portato alla nascita del Governo Monti, similmente peraltro a ciò che si è avuto anche in altri Paesi particolarmente esposti al vento impetuoso della crisi (molti – com’è noto – i Governi caduti a causa di quest’ultima)39. Qui, si ha forse la più lampante riprova della strutturale apertura della Costituzione all’esperienza. Nel diritto vivente, il dettato costituzionale è stato dunque riscritto e va soggetto a mai finito mutamento, confermandosi così essere la Costituzione, più che un atto, un processo, che è appunto nel suo fieri 40. 38 Si rammentino, al riguardo, le indicazioni date da Corte cost., sent. 18 maggio 1999, n. 172 (con le note di E. Grosso, Sull’obbligo di prestazione del servizio di leva da parte degli apolidi. Spunti di riflessione verso possibili nuove concezioni della cittadinanza, e G. Moschella, Sul mantenimento dell’obbligo del servizio militare di leva per gli apolidi: un’interpretazione discutibile della Corte, entrambi in Giur. cost., 1999, rispettivamente, 1705 ss. e 1728 ss.) e 119 del 2015 (coi commenti di S. Penasa, Verso una “cittadinanza costituzionale”? L’irragionevolezza del requisito della cittadinanza italiana per l’accesso al servizio civile volontario, in www.rivistaaic.it 3, 2015, 18 settembre 2015; nella stessa Rivista, A. Rauti, Il diritto di avere doveri. Riflessioni sul servizio civile degli stranieri a partire dalla sent. cost. n. 119/2015, 4, 2015, 16 ottobre 2015, e G. Monaco, L’istituzione del servizio civile universale e la sua apertura allo straniero regolarmente soggiornante in Italia, 4, 2016, 12 novembre 2016). Anche per quest’aspetto – come si vede – viene a cadere una delle obiezioni maggiormente penetranti mosse avverso il riconoscimento dei diritti politici agli stranieri residenti nel suolo italiano. 39 Ho commentato questa vicenda nel mio Art. 94 della Costituzione vivente: “Il Governo deve avere la fiducia dei mercati” (nota minima a commento della nascita del Governo Monti), in www.federalismi.it 23, 2011, 30 novembre 2011. 40 Su ciò, part., A. Spadaro, Dalla Costituzione come “atto” (puntuale nel tempo) alla Costituzione come “processo” (storico). Ovvero della continua evoluzione del parametro costituzionale attraverso i giudizi di costituzionalità, in Quad. cost. 3, 1998, 343 ss. Sul moto della Costituzione, v., inoltre, la densa riflessione di M. Luciani, Dottrina del moto delle Costituzioni e vicende della Costituzione repubblicana, in www.rivistaaic.it 1, 2013, 1 marzo 2013. 23 Relazioni  Come mi sono sforzato di mostrare in altro luogo, la disposizione-base sulla relazione fiduciaria, l’art. 94, I c., si è così trovata costretta a soffrire una sua profonda trasformazione. Il Governo, infatti, non è tenuto a godere solo della fiducia delle Camere; accanto (e, forse, persino più ancora di questa) sta la fiducia dei partners europei e dei mercati internazionali. Nei fatti, a dirla tutta, gli ultimi, i diseredati, i più bisognosi di cura stanno fuori di questo scenario. Ma la direttiva d’azione che vigorosa viene ai rappresentanti e ai governanti in genere, ancora prima che da precetti di organizzazione, dai principi fondamentali, a partire da quelli espressivi di libertà ed eguaglianza, è nel senso di dare ascolto alla voce delle persone maggiormente deboli ed esposte, alla loro pressante richiesta di tutela delle loro condizioni minime di vita. Ora, se il rapporto di rappresentanza subisce una profonda trasformazione della sua stessa struttura e funzione, se cioè i rappresentanti non devono dar conto unicamente a coloro dai quali dipende la loro elezione, come tener ferma quale era (ed è) la cittadinanza, coi suoi connotati tipici? E come tener fermi gli antichi schemi in tema di rapporti tra comunità governata ed apparato governante, il cui svolgimento connota e qualifica le movenze della forma di Stato? Tutto è ormai cambiato, perché è cambiato il mondo. La sovranità appartiene al popolo, ci dice il primo articolo della Carta; e sappiamo che il popolo, per la tesi tradizionale, è composto dai cittadini. Il punto è però che la sovranità non appartiene ormai più solo al popolo e neppure allo Stato, per riprendere i termini essenziali di un’antica querelle che sempre più stancamente si trascina. L’esperienza di una sovranità “condivisa” tra Unione e Stati sta tutta qui, in tutta la sua lampante evidenza, sotto i nostri occhi a testimoniarci che è l’intera Carta, a partire proprio dal suo primo articolo, a dover essere caricata di significati inusuali per effetto della sua apertura al diritto internazionale e sovranazionale, nonché per effetto di dinamiche che prendono corpo extra moenia e che risultano incontrollabili (o solo in minima parte controllabili) dallo Stato. Questo contesto può piacere come non piacere ma non possono chiudersi gli occhi davanti alla sua corposa evidenza. Non è di qui, ovviamente, l’approfondimento di questioni, pure di cruciale rilievo, riguardanti il modo di essere della forma di governo e della stessa forma di Stato, le loro più salienti vicende, gli scostamenti registratisi rispetto alle scarnificate indicazioni di un modello costituzionale ormai largamente recessivo. La qual cosa, poi, dovrebbe spingere vigorosamente verso un aggiornamento a tutto campo della Carta, che tuttavia – com’è noto – da noi non si riesce a portare a buon fine, per ragioni plurime e complesse, la cui illustrazione ci porterebbe troppo oltre l’hortus conclusus in cui questa riflessione a tenuta a contenersi41. 41 Della necessità di più o meno ampie ed organiche revisioni costituzionali si discorre da noi – come si sa – da tempo, circoscrivendone tuttavia, per un’assiomatica chiusura, il raggio di escursione di campo alla sola parte dell’organizzazione. Di contro, il processo riformatore dovrebbe muovere proprio dalla prima parte (ad es., aggiornandosi il catalogo dei diritti fondamentali) per poi coerentemente e linearmente portarsi sulla seconda. Sta di fatto, però, che nessuna riforma di un certo respiro – eccezion fatta di quella del 2001 relativa al Titolo V – è riuscita a giungere in porto; e questo, tra l’altro, spiega le innovazioni per via d’interpretazione… abrogans operate dalla giurisprudenza e dalla pratica giuridica in genere, con più o meno scoperte, e tuttavia continue ed incisive, torsioni del modello. 24 Antonio Ruggeri I diritti fondamentali degli immigrati… Restando all’ordine tematico qui di specifico interesse, alla luce delle considerazioni svolte e avuto specifico riferimento alle aperture fatte dalla Carta costituzionale tanto nei riguardi dell’esperienza sottostante quanto verso altre Carte nelle quali pure si dà il riconoscimento dei diritti fondamentali, può dunque tenersi fermo il risultato sopra raggiunto, secondo cui anche agli immigrati ed ai migranti dev’essere assicurata ogni tutela necessaria a salvaguardare la loro esistenza “libera e dignitosa”. 5. Gli scostamenti dell’esperienza dal modello e il bisogno di far luogo ad un complessivo ripensamento del complesso rapporto intercorrente tra i diritti fondamentali da un canto, i principi di eguaglianza, solidarietà e, in ultima istanza, fedeltà alla Repubblica dall’altro. L’esperienza sembra tuttavia essere, dove in maggiore e dove in minore misura, discosta dal modello costituzionale. Si sono, per vero, fatti considerevoli passi in avanti per avvicinarvisi ma il tratto di strada da compiere prima di pervenire alla meta è ancora lungo. Basti qui solo considerare solo alcune tra le molte manifestazioni dell’esperienza stessa che testimoniano ora perduranti resistenze, di mentalità o di metodo dell’azione statale ancora prima che di contenuti e tratti complessivi, ora forti oscillazioni tra il polo dell’accoglienza e della solidarietà e l’altro della chiusura e dell’indifferenza, quando non dell’aperta ostilità. La stessa giurisprudenza non si sottrae alla tentazione di far luogo a pronunzie pilatesche, gravate da inspiegabili incognite e aporie interne di costruzione. Si pensi, ad es., all’indirizzo di cui si è fatta portatrice Corte cost. n. 61 del 2011, con riguardo al diritto alle cure, riconosciuto agli stranieri irregolari unicamente nel suo “nucleo duro”42: formula, al pari dell’altra di “contenuto essenziale” dei diritti con cui è sovente identificata43, dalle origini – come si sa – risalenti, di cui si è fatto largo uso negli ambiti materiali più varî e che però risulta connotata da una ineliminabile opacità concettuale e seguita da sue frequenti, imperfette e complessivamente insoddisfacenti realizzazioni; e una formula che – ciò che qui più importa –, al tirar delle somme, alimenta ed incoraggia le discriminazioni. 42 Sul diritto alle cure dello straniero irregolare, di recente, v. G. Vosa, ‘Cure essenziali’. Sul diritto alla salute dello straniero irregolare: dall’auto-determinazione della persona al policentrismo decisionale, in Dir. pubbl. 2, 2016, 721 ss.; i contributi al Convegno su I sistemi sanitari alla prova dell’immigrazione, organizzato dalla Fondazione CESIFIN Alberto Predieri, Firenze 7 aprile 2017, e, da ultimo, alcuni interventi al nostro incontro, tra i quali, part., quello di M. Immordino, L. Giani, I diritti fondamentali degli immigrati tra emergenza rifugiati e crisi economico/finanziaria:quale ruolo per le amministrazioni?, in questo Volume. 43 Su quest’ultima formula, v., per tutti, D. Messineo, La garanzia del “contenuto essenziale” dei diritti fondamentali. Dalla tutela della dignità umana ai livelli essenziali delle prestazioni, Torino, 2012. Sulla varietà di significati del termine “essenziale”, di recente, E. Balboni, “Essenziale”: was ist wesentlich?, in Quad. cost. 2, 2015, 389 ss.; v., inoltre, M. Luciani, Diritti sociali e livelli essenziali delle prestazioni pubbliche nei sessant’anni della Corte costituzionale, in www.rivistaaic.it 3, 2016, 25 luglio 2016, e, con specifico riguardo ai LEA, ora, M. Bergo, I nuovi livelli essenziali di assistenza al crocevia fra la tutela della salute e l’equilibrio di bilancio, in www.rivistaaic.it 2, 2017, 19 maggio 2017. 25 Relazioni  E ancora si pensi alle resistenze avutesi per ciò che concerne l’accesso ai pubblici uffici degli stranieri, laddove parimenti si è assistito a vistose oscillazioni, puntualmente rilevate dalla più attenta dottrina44. Il vero è che occorre porre urgentemente mano ad una riconsiderazione complessiva del rapporto intercorrente tra i diritti fondamentali in genere da un canto, i principi di eguaglianza, solidarietà e, in ultima istanza, fedeltà alla Repubblica dall’altro: un rapporto messo sotto stress e gravato da non poche ipoteche per effetto di un’esperienza che – come si è venuti dicendo – in alcune sue espressioni tarda ancora oggi a ricongiungersi a pieno al modello e a tenersi da esso saldamente. Dove il fenomeno appare maggiormente vistoso non è, per vero, con riguardo alla condizione degli stranieri regolarmente soggiornanti ormai pressoché per intero assimilata a quella dei cittadini (con la sola, rilevante, eccezione, sopra accennata, relativa al campo politico)45, bensì per ciò che attiene ai diritti dei migranti, persino in alcune loro minime espressioni ad oggi rimasti sguarniti di tutela. 44 Tra gli altri, M. Centini, L’accesso degli stranieri non comunitari al pubblico impiego: un problema costituzionale, in Le nuove frontiere del diritto dell’immigrazione: integrazione, diritti, sicurezza (a cura di F. Angelini, M. Benvenuti, A. Schillaci, Napoli 2011), 187 ss.; A. Rauti, Stranieri e pubblico impiego, in Metamorfosi cit., 329 ss. e, ora, V. Marcenò, Una politica cit. 45 Sui diritti sociali degli stranieri, v., tra i molti altri, G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali. L’esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee, Napoli 2007, spec. 266 ss.; B. Pezzini, Una questione che interroga l’uguaglianza: i diritti sociali del non-cittadino, in, Lo statuto costituzionale del non cittadino, Napoli 2010, 163 ss.; A. Ciervo, I diritti sociali degli stranieri: un difficile equilibrio tra principio di non discriminazione e pari dignità sociale, in Le nuove cit., 367 ss.; G. Bascherini - A. Ciervo, I diritti sociali degli immigrati, in Esclusione sociale. Politiche pubbliche e garanzie dei diritti (a cura di C. Pinelli), Firenze 2012, 17 ss; F. Biondi Dal Monte, Dai diritti sociali alla cittadinanza. La condizione giuridica dello straniero tra ordinamento italiano e prospettive sovranazionali, Torino, 2013; C. Corsi, Immigrazione e diritti sociali: il nodo irrisolto del riparto di competenze tra Stato e regioni, in La governance dell’immigrazione. Diritti, politiche e competenze (a cura di E. Rossi, F. Biondi Dal Monte, M. Vrenna), Bologna 2013, 229 ss. e, della stessa, Stranieri, diritti sociali e principio di eguaglianza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in www.federalismi.it, Focus Human Rights, 3, 2014, 24 ottobre 2014; Immigrazione cit.; spunti anche nei contributi di E. Catelani, R. Tarchi (a cura di), I diritti sociali nella pluralità degli ordinamenti Napoli 2015; Gambino S. (a cura di) Diritti sociali e crisi economica. Problemi e prospettive, Torino 2015 (e part., ivi, N. Pérez Sola, La incidencia de la crisis económica en las políticas de integración de la inmigración, 217 ss., e D. Loprieno, Le prestazioni socio-assistenziali a favore dei migranti tra presunte esigenze di contenimento, crisi economica e paura dello straniero, 239 ss.); C. Panzera, A. Rauti, C. Salazar, A. Spadaro (a cura di), Metamorfosi cit., nonché negli altri che sono in La Carta sociale europea tra universalità dei diritti ed effettività delle tutele (a cura di C. Panzera, A. Rauti, C. Salazar, A. Spadaro), Napoli 2016; e, ancora, M. Losana, “Stranieri” cit.; S. Bonfiglio, Costituzionalismo cit.; A. Lollo, Eguaglianza cit.; M. Savino, Lo straniero cit., 41 ss.; P. Chiarella, Il terzo incluso: problemi del fenomeno migratorio in Europa, in www.federalismi.it 7, 2017, 5 aprile 2017; A. Albanese, Non discriminazione, uguaglianza e ragionevolezza nella garanzia dei diritti sociali degli immigrati. L’approccio della Corte EDU e della Corte costituzionale, Intervento al nostro incontro di oggi, in questo Volume; pure ivi, R. Caridà, L’integrazione sociale dello straniero tra sussidiarietà orizzontale ed effettiva partecipazione. Con specifica attenzione alla giurisprudenza della Corte dell’Unione, R. Palladino, ‘Ravvicinamento’ dello status di immigrato regolare e di cittadino europeo nella recente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, in Dir. um. dir. int. 3, 2016, 728 ss. Infine, in prospettiva di diritto comparato, E.V. Zonca, Cittadinanza sociale e diritti degli stranieri. Profili comparatistici, Padova 2016. Un’accreditata dottrina (S. Cassese, I diritti sociali degli “altri”, in Riv. dir. sicurezza soc. 4, 2015, 9) ha, al riguardo, paventato il rischio che, attraverso una indiscriminata parificazione dello straniero regolare al cittadino nel godimento dei diritti sociali, possa assistersi ad una sorta di “turismo sanitario” o “assistenziale”. È questa una evenienza alla quale comunque non possiamo sottrarci, se abbiamo a cuore di mantenere integro il fondamento primo dell’ordinamento che fa rimando alla centralità della persona umana ed alla salvaguardia della sua dignità. 26 Antonio Ruggeri I diritti fondamentali degli immigrati… Non può invero, al riguardo, tacersi quanto si è fatto, specie col quotidiano e faticoso apporto di una sensibile giurisprudenza, al fine di ripristinare condizioni di una seppur parziale eguaglianza tra gli irregolari da un canto, i regolari e i cittadini dall’altro46. Un lungo tratto di strada, però, come si diceva, rimane ancora da percorrere, specie da parte del legislatore, che pure non ha trascurato di adottare, ancora di recente, alcuni provvedimenti normativi richiesti dalle imponenti migrazioni di massa, i quali nondimeno non si sono sottratti ad argomentate riserve e puntuali rilievi critici47. Le maggiori carenze, nondimeno, si rendono palesi, più ancora che in ambito nazionale, al piano degli interventi di competenza dell’Unione, laddove i vincoli di solidarietà e mutua cooperazione che dovrebbero stare a base dei rapporti sia degli Stati inter se che di questi verso l’Unione e, però, pure viceversa, tardano a prendere forma in misure efficaci, seppur non pienamente risolutive48. Ulteriori e forse ancora più gravi carenze poi si riscontrano in merito all’effettiva e compiuta implementazione delle misure in parola nella 46 Un solo esempio per tutti, peraltro a tutti noto: la cancellazione ad opera della Consulta, con sent. n. 249 del 2010, dell’aggravante di clandestinità, che alimentava la singolare presunzione di maggiore pericolosità dell’immigrato irregolare. 47 Così, ad es., per ciò che concerne il decreto Minniti (d.l. n. 13/2017, conv. con modifiche dalla l. n. 46/ 2017), su cui, tra gli altri, i commenti di L. Masera, I centri di detenzione amministrativa cambiano nome ed aumentano di numero, e gli hotspot rimangono privi di base legale: le sconfortanti novità del decreto Minniti, in www.penalecontemporaneo.it, 10 marzo 2017; C. Panzera, Emergenza immigrazione, regimi speciali, diritti fondamentali: prime notazioni sul decreto «Minniti-Orlando», in Quad. cost. 3, 2017, nonché gli interventi al nostro incontro di S. Agosta, La disciplina in tema di protezione internazionale e contrasto all’immigrazione illegale (osservazioni a prima lettura), e S. Gardini, L’effettività della tutela dello straniero extracomunitario dinnanzi al giudice amministrativo, in questo Volume. Lo stesso Ministro Minniti – secondo notizie di stampa diffuse il 6 luglio 2017 – starebbe valutando l’opportunità di aggiungere altri sei hotspot (due in Sicilia, a Palermo e Siracusa, uno a Cagliari e tre in Calabria, a Reggio, Crotone e Corigliano) ai quattro già in funzione (Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Taranto). Non si dimentichi poi che – come è stato da molti fatto notare (per tutti, A. Ciervo, Ai confini di Schengen. La crisi dell’Unione europea tra “sistema hotspot” e Brexit, in www.costituzionalismo.it 3, 2016, 10 gennaio 2017, 85 ss., spec. 92 ss.) – la gestione degli hotspot si è avuta al di fuori delle garanzie previste dalla Carta per i diritti di libertà (segnatamente, della riserva di legge e della riserva di giurisdizione), oltre che di quanto in via generale disposto al II c. dell’art. 10, per ciò che concerne la disciplina legislativa della condizione degli stranieri. 48 Tra i molti che ne hanno variamente trattato, v. A. Apostoli, Il consolidamento cit., 32 ss.; B. Gornati, Le nuove forme di trattenimento dello straniero irregolare in Italia: dall’‘evoluzione’ dei CIE all’introduzione dei c.d. hotspot, in Dir. um. dir. int., 2, 2016, 471 ss.; pure ivi, con specifico riferimento alle esperienze maturate in materia di asilo, F. Munari, The Perfect Storm on EU Asylum Law: The Need to Rethink the Dublin Regime, 3, 2016, 517 ss.; inoltre, R.S. Birolini, Riflessioni cit.; A. Ciervo, Ai confini cit., 79 ss.; M.I. Papa, Crisi dei rifugiati e principio di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri dell’Unione europea, in www.costituzionalismo.it 3, 2016, 29 gennaio 2017, 287 ss. e, nella stessa Rivista, E. Rinaldi, L’Unione europea e le deroghe alla libertà di circolazione in funzione di governo dei flussi migratori, 29 gennaio 2017, 325 ss.: più di recente, P. Chiarella, Il terzo intruso: problemi del fenomeno migratorio in Europa, in www.federalismi.it 7, 2017, 5 aprile 2017, spec. 7 ss., e S. Penasa, L’approccio ‘hotspot’ nella gestione delle migrazioni: quando la forma (delle fonti) diviene sostanza (delle garanzie). Efficientismo e garantismo delle recenti politiche migratorie in prospettiva multilivello, in www.rivistaaic.it 2, 2017, 17 maggio 2017. Assai eloquente il titolo dell’Editoriale di R. Cadin, L’insostenibile solitudine dell’Italia davanti ai flussi incontrollati di migranti ridotti in Libia in stato di schiavitù, in www.federalismi.it 13, 2017, 28 giugno 2017. V., poi, il paper su Diritti, immigrazione, sicurezza, a cura di E. De Capitani ed E. Paciotti, in www.astrid-online.it, 21 aprile 2017; pure ivi, il piano predisposto dalla Commissione e reso noto in data 4 luglio 2017, dal titolo Action plan on measures to support Italy, reduce pressure along the Central Mediteranian route and increase solidarity. Utili indicazioni anche dal paper su Europa e migranti, con introduzione di A.M. Nico, in www.osservatoriocostituzionale.it 2, 2017, 3 luglio 2017. 27 Relazioni  prassi49. È sufficiente vedere le immagini che, ahimè ormai quotidianamente, sono trasmesse dalla televisione e che testimoniano il disumano trattamento al quale i migranti seguitano ad andare soggetti50, malgrado l’encomiabile sforzo prodotto da quanti senza risparmio di forze si spendono per dare loro un pur minimo sollievo. Nessuno ovviamente contesta le difficoltà cui va incontro una disciplina positiva chiamata a farsi carico di plurimi e potenzialmente confliggenti valori costituzionali, l’appagamento delle aspettative nutrite dai migranti dovendosi ad ogni buon conto conciliare con altri interessi, tra i quali principalmente quello della sicurezza51: un bene, individuale e collettivo a un tempo, quest’ultimo, che in molti casi della vita si trova a soggiacere a complesse e sofferte ponderazioni con altri beni o interessi (ad es., con quello al ricongiungimento familiare, su cui è venuta – come si sa – a formarsi una ormai nutrita e però essa pure oscillante giurisprudenza52). 49 Si è fatto il punto su come vanno al riguardo le cose in Fact Checking: Migrazioni, a cura dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, in www.ispionline.it, 29 giugno 2017. 50 Come ha in modo crudo ma efficace rilevato P. Chiarella, Il terzo intruso cit., “l’intruso, come tale, è un sog- getto sgradito, un ‘problema in persona’ (piuttosto che una persona con dei problemi), la cui soggettività è degradata al valore delle ‘vite di scarto’” (3, con richiamo di un noto scritto di Z. Bauman). 51 Sul concetto costituzionale di sicurezza, v. i puntuali rilievi che sono in M. Ruotolo, Sicurezza cit., 16 ss. In argomento, utili spunti ricostruttivi sono offerti, tra gli altri, da A. Pace, La sicurezza pubblica nella legalità costituzionale, in www.rivistaaic.it 1, 2015, 6 febbraio 2015; T. Fenucci, Quanto spazio c’è per un diritto individuale alla sicurezza nell’ordinamento costituzionale italiano? Brevi osservazioni, in www.federalismi.it 22, 2015, 25 novembre 2015; E. Grosso, Lotta al terrorismo e funzione pedagogica della politica: l’anima perduta dell’ Europa, in Dir. pubbl. comp. eur. 2, 2016, 285 ss., e, nella stessa Rivista, J. De Vivo, Sicurezza e diritti fondamentali: la risposta italiana e francese al terrorismo 3, 2016, 715 ss.; G. De Minico, Costituzione emergenza e terrorismo, Napoli 2016; M. Rubechi, Sicurezza, tutela dei diritti fondamentali e privacy: nuove esigenze, vecchie questioni (a un anno dagli attacchi di Parigi), in www.federalismi.it 23, 2016, 30 novembre 2016; C. Bassu, I diritti umani e le nuove sfide della sicurezza, in www.forumcostituzionale.it, 27 marzo 2017; G. de Vergottini, Guerra, difesa e sicurezza nella Costituzione e nella prassi, in www.rivistaaic.it 2, 2017, 4 aprile 2017. In prospettiva comparatistica, A. Torre, Costituzioni e sicurezza dello Stato (a cura di A. Torre), Rimini 2014. Infine, i contributi al nostro incontro di N. Gullo, Prevenzione del terrorismo ed espulsione degli stranieri dopo il “decreto sicurezza” del 2018; F. Rota, La condizione giuridica dello straniero tra diritti umani, garanzie e potere coercitivo, e, con specifico riguardo ai c.d. migranti “climatici”, I. Ruggiu, Migrazioni per cause climatiche e impatti sulla sicurezza a livello locale, in questo Volume. Con riferimento alle misure adottate a livello di Unione, v., ora, la direttiva 2017/54 (e, su di essa, la nota di S. Santini, L’Unione europea compie un nuovo passo nel cammino della lotta al terrorismo: una prima lettura della direttiva 2017/541, in www.penalecontemporaneo.it, 4 luglio 2017). 52 Riferimenti, se si vuole, possono aversi dal mio Eguaglianza, solidarietà e tecniche decisorie nelle più salienti esperienze della giustizia costituzionale, in www.rivistaaic.it 2, 2017, 18 maggio 2017, spec. al § 2. Nella dottrina anteriore, con specifico riguardo al diritto al ricongiungimento, E. Fiorini, Il ricongiungimento familiare. L’esperienza dell’avvocato, in Immigrazione e diritti umani nel quadro legislativo attuale (a cura di P. Costanzo, S. Mordeglia, L. Trucco), Milano 2008, 45 ss.; F. Angelini, Il diritto al ricongiungimento familiare, in Le nuove cit., 159 ss.; R. Palladino, Il ricongiungimento familiare nell’ordinamento europeo. Tra integrazione del mercato e tutela dei diritti fondamentali, Bari 2012; A.A. Genna, Il diritto al ricongiungimento familiare dello straniero tra diritto dell’immigrazione e diritto di famiglia: una chiave di lettura costituzionalmente orientata, in Immigrazione e garanzie dei diritti fondamentali (a cura di G. Verde, A.A. Genna), Torino 2012, 1 ss.; C. Ragni, Il diritto al ricongiungimento familiare nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: riflessioni a margine del caso Pajić, in Dir. um. dir. int. 2, 2016, 454 ss. 28 Antonio Ruggeri I diritti fondamentali degli immigrati… Sta di fatto, tuttavia, che non si è ancora riusciti – come si diceva – a cogliere fino in fondo e, soprattutto, a tradurre in pratiche conseguenti le molteplici, mutue implicazioni che si intrattengono tra i principi fondamentali più direttamente evocati in campo dall’imponente fenomeno migratorio, sì da potervi far fronte, perlomeno fin dove possibile. Il vero è che, non si è ancora avuta piena consapevolezza del carattere complesso della relazione intercorrente tra solidarietà ed eguaglianza: termini inseparabili, se si conviene che – come si è tentato di mostrare altrove53 – la prima presuppone, sì, la seconda ma allo stesso tempo può concorrere (ed effettivamente concorre) alla sua ulteriore affermazione ed al radicamento nel corpo sociale. Solidarietà ed eguaglianza, specie nella sua declinazione sostanziale, sono poi – come pure si è argomentato in altro luogo – la fedeltà alla Repubblica in action: questa apprezzandosi fino in fondo unicamente all’effettivo ricorrere di quelle, così come però – una volta di più, circolarmente – è pur sempre in nome del dovere sancito nell’art. 54 della Carta che rinvengono la loro più persuasiva giustificazione le prestazioni di solidarietà fatte alle persone che maggiormente ne hanno bisogno54, nell’intento di realizzare – perlomeno, fintantoché sia possibile – l’effettiva eguaglianza coi più fortunati55. È chiaro che quanto si viene dicendo, da un certo punto di vista, va oltre la summa divisio tra cittadini e non cittadini (in ispecie, appunto, se migranti). Le notazioni da ultimo svolte riguardano – com’è chiaro – anche i cittadini maggiormente bisognosi di cure. Stranamente, infatti, alle volte si dimentica che le maggiori discriminazioni non si hanno in base alla cittadinanza o unicamente per effetto di questa bensì in forza di tutti quei fattori che scavano solchi incolmabili tra persone benestanti e persone cui manca il minimo per sopravvivere con dignità. Qui, ovviamente, il discorso dovrebbe portarsi alla ricerca delle cause cui sono da addebitare i gravi squilibri in merito alla distribuzione della ricchezza, alla lotta, che parrebbe essere ormai definitivamente persa, all’evasione fiscale ed alla corruzione. Chiaramente, a tutto ciò non può qui farsi neppure un cenno. Ci si deve pertanto contentare di aver messo in evidenza che quello degli immigrati e, soprattutto, dei migranti è solo una parte – di certo, tra le più importanti – del problema di ordine generale riguardante lo scarto tra un’esperienza ad oggi afflitta da molte contraddizioni e gravi ingiustizie sociali ed un modello costituzionale che vorrebbe invece le une e le altre, una volta per tutte, debellate e rimosse. (4 maggio 2017) 53 Ancora nel mio scritto da ultimo cit. 54 Cure speciali (materiali e soprattutto psicologiche) vanno, al riguardo, somministrate ai minori non accompagnati, secondo quanto è opportunamente rimarcato da molti studi, alcuni dei quali illustrati in occasione del nostro incontro. 55 Sulle implicazioni esistenti tra i doveri di solidarietà e quello di fedeltà, v., ora, pure, utilmente, A. Morelli, sub art. 54, in La Costituzione italiana. Commento articolo per articolo, Prima parte (a cura di F. Clementi, L. Cuocolo, F. Rosa, G.E. Vigevani), Bologna 2018. 29 Relazioni  MIGRANTI, STATI, DIRITTI UMANI ~ Giuseppe Ugo Rescigno ~ 1. IL TEMA: MIGRANTI E PRINCIPI COSTITUZIONALI • 2. DUE PUNTI FERMI: A) IL MONOPOLIO STATALE DELLA FORZA NEL PROPRIO TERRITORIO. B) LA DISTINZIONE TRA CITTADINI E STRANIERI • 3. ENTRA IN SCENA UN NUOVO ATTORE: I DIRITTI UMANI • 4. PROBLEMI SPECIFICI DEI MIGRANTI E SPECIFICI DIRITTI UMANI • 5. CHE COSA SI INTENDE PER DIRITTI UMANI • 6. LA LOTTA NEL DIRITTO PER (O CONTRO) I DIRITTI UMANI • 7. CONCLUSIONI GIURIDICHE • 8. POSTILLA: LA CONTRADDIZIONE INSANABILE TRA DIRITTI UMANI E STATI. 1. Il tema: migranti e principi costituzionali. La tematica oggetto della nostra discussione muove dai massicci fenomeni migratori che riempiono le drammatiche e amare cronache di questi anni e arriva ai principi massimi che almeno a parole caratterizzano il nostro ordinamento giuridico (e in generale quello di altri Paesi simili o uguali al nostro per questo aspetto); la domanda che riassume questa tematica procede in due direzioni complementari: da un lato l’analisi della realtà delle attuali immigrazioni chiede se la strumentazione giuridica esistente è in grado di rispondere oppure esige mutamenti più o meno radicali, dall’altro le risposte che gli Stati e le società stanno dando ai problemi posti da tali immigrazioni chiedono di verificare se e in che misura vengono messi in discussione i principi fondamentali dei nostri ordinamenti. 2. Due punti fermi: A) il monopolio statale della forza armata nel suo territorio; B) la distinzione tra cittadini e stranieri. Vi sono alcuni punti fermi che, per quanto sgradevoli, vanno ricordati. Due in particolare. A) Gli Stati sono organizzazioni che monopolizzano la forza armata entro i propri confini: se le cose stanno in tal modo (se cioè ci troviamo di fronte a Stati effettivi che riescono a vivere come tali1) constatiamo, come immediata controprova della esistenza di tali organizzazioni, una delimitazione maniacale dei confini di ciascuno Stato verso gli altri e all’interno dei confini il potere di comando dello Stato, senza che nessuna altra forza possa ostacolarlo, cosicché in principio lo Stato, usando se necessario la sua forza 1 Non mi occupo quindi dei casi in cui le cose non stanno affatto in tal modo, come è possibile e come accade continuamente (ad es. in caso di guerra o di guerra civile). 30 Giuseppe Ugo Rescigno Migranti, stati, diritti umani armata, può ordinare e portare a compimento tutto ciò che è umanamente possibile; mettete insieme le due cose, e diventa immediatamente comprensibile quello che accade sotto i nostri occhi (o è accaduto o potrebbe accadere): ad es. uno Stato che vieta sia l’emigrazione dei propri cittadini, sia l’ingresso degli stranieri (così ha fatto il Giappone per secoli fino a metà dell’ottocento). È vero che esistono oggi Stati nei quali si pratica la democrazia costituzionale, e cioè un modo di vivere nel quale lo Stato è subordinato alla costituzione, e quindi il suo potere di comando non è assoluto, ma anche in uno Stato del genere restano i confini ed i poteri di comando dello Stato entro i suoi confini. B) Tutti gli Stati distinguono con rigorosa nettezza tra cittadini e non cittadini, cioè tra persone che fanno parte dello Stato e persone che non ne fanno parte (ed in generale, salvo gli apolidi, fanno parte di un altro Stato). Non discuto per ora del perché esiste questa distinzione: mi limito a constatare la sua esistenza, per quanto ne so in tutti gli Stati. Egualmente mi limito per ora a constatare che per definizione i cittadini hanno il diritto di risiedere entro il territorio dello Stato e di rientrare nel territorio se per una qualche ragione ne sono usciti (ma lo Stato potrebbe vietare ai suoi cittadini di uscire dal territorio, o subordinarlo a limiti più o meno stringenti), mentre gli stranieri, per definizione, non hanno il diritto assoluto di entrare nello Stato straniero e di risiedervi, mentre in principio hanno il diritto di uscire dallo Stato straniero e rientrare nel proprio Stato. Gli stranieri possono entrare e rimanere in uno Stato straniero sulla base delle leggi di tale Stato, e quindi, sempre sulla base delle leggi di tale Stato (ma anche sulla base soltanto delle decisioni assolutamente libere di alcune autorità se così prevedono le leggi di tale Stato), possono essere impediti dall’entrare nel territorio dello Stato ed essere espulsi da tale territorio. Anche per quanto riguarda lo status di cittadino si diventa cittadini sulla base delle leggi dello Stato, ma l’acquisto della cittadinanza ha senso se e solo se comporta come elemento essenziale il diritto di vivere nel territorio dello Stato che riconosce o concede tale cittadinanza. Resta beninteso la possibilità che lo Stato privi una persona dello status di cittadino, e quindi possa per tale ragione scacciare dal suo territorio tale persona, ma non avrebbe senso conservare ad una persona lo status di cittadino e cacciarlo dal territorio dello Stato2. Del tutto diverso il tema della condizione del cittadino all’interno dei confini del suo Stato: fermo restando che tutti i cittadini, proprio perché cittadini, hanno diritto di rimanere entro il territorio dello Stato e, finché cittadini, non possono essere scacciati, i cittadini possono essere divisi in categorie, e venire trattati in modi molti diversi (ad es. alcuni hanno il diritto di voto, ed altri no; tutto dipende rispetto a queste questioni interne dalla costituzione vigente e dalle leggi che la attuano). 2 La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’ONU prevede esplicitamente come diritto dell’uomo quello di avere una cittadinanza e cioè il diritto di essere riconosciuto come cittadino da almeno uno Stato: si presuppone che la cittadinanza dia il diritto di stare e rimanere in un territorio, nel proprio territorio, individuato mediante la cittadinanza, e quindi mediante i confini dello Stato di cui si è cittadini. 31 Relazioni  Anche in questo caso non mi pongo la domanda sul perché le cose stanno così: mi limito a constatare che dicendo cittadinanza (o nazionalità: meglio, cittadinanza nel significato di nazionalità3) si dice necessariamente e automaticamente diritto del cittadino a vivere nel territorio dello Stato e dicendo straniero si dice possibilità che il diritto dello Stato vieti l’ingresso ed il soggiorno dello straniero nel suo territorio oppure, se così lo Stato decide, possibilità di ingresso e soggiorno solo a determinate condizioni (ma anche, sempre che così decida lo Stato, possibilità in astratto per lo straniero di entrare e risiedere a tempo indeterminato senza limitazioni, alla pari del cittadino: a parte il fatto che non conosco alcuno Stato che abbia oggi4 regole così liberali e dubito che avverrà mai una tal cosa finché esisterà la forma Stato, resta la essenziale differenza che questa ipotizzata parificazione per quanto riguarda l’ingresso ed il soggiorno potrebbe essere revocata dallo Stato che in ipotesi l’aveva introdotta). 3. Entra in scena un nuovo attore: i diritti umani. Date queste due premesse non eludibili, la conclusione è che i flussi migratori attuali non cambiano nulla rispetto a quelle due caratteristiche essenziali degli Stati prima descritte: tutti i nostri principi costituzionali in materia restano fermi perché essi già comprendono la possibilità di trattare diversamente i cittadini dagli stranieri. Si tratta di vedere che cosa sul punto consente, o vieta, o limita la nostra Costituzione per quanto riguarda l’attribuzione dello status di cittadino, e quindi la definizione di straniero, e per quanto riguarda l’ingresso ed il soggiorno dello straniero, sempre che la Costituzione disciplini almeno per alcuni principi i due temi (non v’è dubbio ad es. che, in base al terzo comma dell’art. 10 lo straniero il quale rientri nella condizione descritta abbia il diritto di asilo e cioè di entrare e restare nel territorio italiano, come del resto chiariscono le parole usate: “diritto di asilo nel territorio della Repubblica”; nello stesso tempo però la medesima disposizione aggiunge “secondo le condizioni stabilite dalla legge”). Sembra che il tema che dovevo introdurre si chiuda rapidamente con la conclusione che esso in realtà non esiste, sarebbe per i giuristi (per i giuristi, nota bene) un falso problema: non ci sarebbero vere novità giuridiche di ordine costituzionale e di teoria generale del diritto da prendere in considerazione. 3 In alcune lingue (ad es. in inglese: Nationality e Citizenship; in francese: Nationalité e Citoyenneté; in tedesco: StaatsAngehorigkeit, che vuol dire alla lettera appartenenza allo Stato, e Burgerschaft) viene fatta una chiara distinzione tra l’appartenenza ad uno Stato (la nazionalità appunto, come si legge nei passaporti) e la qualità di cittadino; in italiano purtroppo, anche se esiste la parola nazionalità, la legge chiama cittadinanza anche quella che in altri paesi viene chiamata nazionalità, costringendo chi vuole mantenere chiarezza a distinguere tra cittadinanza-appartenenza e cittadinanza-condizione o cittadinanza-partecipazione; al di là delle parole usate, la distinzione è chiara e necessaria quando si parla di stranieri e cittadini. 4 Nella mia memoria figura la informazione che l’URSS nei primi anni della sua esistenza attribuiva a tutti i lavoratori dipendenti del mondo il diritto di diventare cittadini dell’URSS; tale diritto venne abolito dalla successiva costituzione; trattandosi di un mio ricordo la notizia andrebbe verificata e controllata. 32 Giuseppe Ugo Rescigno Migranti, stati, diritti umani Non è così; entra in scena un nuovo attore, oltre la novità del tipo di immigrazione col quale l’ordinamento deve confrontarsi: i diritti umani. Entra in scena come portatore di contraddizioni insanabili e come agente di lotte in direzioni opposte. Da un lato la sola esistenza degli Stati manifesta con una evidenza maggiore rispetto al recente passato una insuperabile contraddizione con i diritti umani, quali che siano la estensione, la portata, l’articolazione di tali diritti: se diritti umani vuol dire per definizione diritti di ciascun essere umano per il solo fatto di esistere, la esistenza degli Stati nega la universalità dei diritti umani, perché comunque ne esiste uno (quello di stare e rimanere entro un determinato territorio) che non spetta a tutti gli esseri umani, ed anzi spetta soltanto ad una minoranza, più o meno ampia, ma comunque sempre molto inferiore al totale degli esseri umani: un diritto che spetta ai cittadini, e non spetta agli stranieri. Nello stesso tempo però i diritti umani, senza per ora entrare nel merito di che cosa essi sono, per il solo fatto di essere evocati ed invocati da qualcuno, esigono una qualche applicazione ai cittadini come agli stranieri, e cioè in termini giuridici esigono un c.d. bilanciamento col diritto degli Stati, ed intorno a questo bilanciamento si scatena una lotta tra gli Stati e all’interno di ciascuno Stato, tra le correnti che intendono potenziare all’estremo i poteri e la natura degli Stati contro gli stranieri, e coloro che intendono sostenere ed ampliare per quanto possibile i diritti umani. 4. Problemi specifici dei migranti e specifici diritti umani. Per capire perché e come entrano in scena i diritti umani e qual è nel nostro caso il fondamento, la consistenza e la portata di tali diritti, è necessario ricostruire la situazione normativa che si è creata in Italia (ed in altri Stati) a partire da circa trenta anni. Le vere e proprie ondate migratorie, costituite anche da migliaia di persone al giorno e centinaia di migliaia in un anno, provenienti per lo più dal mare con precari mezzi di trasporto che hanno provocato migliaia di morti annegati, hanno posto problemi pratici (e quindi giuridici, mediante le regole via via introdotte per fronteggiare tali problemi pratici) che possono ordinarsi in tre grandi gruppi: 1) il soccorso ai migranti (praticamente tutti) e quindi, concettualmente e praticamente, anche il rifiuto o le limitazioni nei soccorsi; 2) le misure per portare a compimento l’espulsione di quelli entrati e soggiornanti illegalmente; 3) le misure per il soggiorno di quei migranti che hanno chiesto e ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato o asilo oppure sono in attesa che venga loro riconosciuto tale status dalle autorità italiane (e che quindi potrebbero venire espulse se tale status venisse loro negato). Se teniamo ferma tale realtà di fatto che crea, dà vita ai tre gruppi di problemi (realtà che si impone comunque proprio perché realtà), risulta evidente che il testo costituzionale italiano non prescrive nulla di specifico che risponda agli specifici problemi creati dai tre gruppi di problemi prima indicati. In questi casi non si discute delle regole che consentono o vietano l’ingresso ed il soggiorno degli stranieri, ma di regole intorno a questioni pratiche che riguardano persone non per caso chiamate migranti (cioè stranieri caratterizzati da aspetti molto specifici i quali con la loro sola presenza pongono problemi pratici che 33 Relazioni  esigono comunque risposte: anche la decisione di non rispondere è una forma di risposta). Si viene così a creare un nuovo spazio nella realtà sociale, fatto di persone che comunque hanno bisogni, chiedono aiuto, talvolta hanno diritti da far valere (ad es. le persone che hanno diritto a veder riconosciuto il loro status di rifugiati in base ad atti internazionali riconosciuti dal nostro Stato) ed in ogni caso comportano la mobilitazione di persone, mezzi materiali e finanziari, regole per costruire e far funzionare l’insieme delle misure mediante le quali dare risposta agli specifici problemi che stanno dentro i tre gruppi prima elencati. Per fare qualche esempio chiarificatore relativamente a ciascun gruppo: 1) quando, da chi e come va prestato il soccorso in mare? È legittimo che un sindaco con ordinanza punisca i privati che danno da mangiare per strada a persone che sono in realtà migranti, come ho letto? 2) sono ammissibili in principio i centri di detenzione amministrativa per i migranti espulsi in attesa di pratica esecuzione della espulsione, e, se in principio ammissibili, secondo quali regole essi debbono funzionare? 3) mediante quali strumenti sia gli irregolari sia i rifugiati tutelati in principio da norme nazionali o internazionali possono difendere la propria specifica situazione giuridica? In particolare: è costituzionalmente legittimo, e comunque è conforme ai diritti umani il recente decreto-legge 17 febbraio 2017 n. 13, convertito con modificazioni in legge n. 46/2017, che ha istituito una giurisdizione speciale per coloro che chiedono il riconoscimento di rifugiati, diminuendo drasticamente le possibilità di difesa rispetto alle comuni giurisdizioni? Da un lato, dati i problemi pratici sinteticamente evocati, ci vogliono leggi o atti con forza di legge, e innumerevoli altri atti normativi ed amministrativi sulla base di tali leggi, oltre che attività ed operazioni materiali, dall’altro la specificità dei problemi e delle soluzioni da introdurre nelle leggi e negli atti e operazioni in attuazione delle leggi non trovano né nel testo costituzionale né nei trattati internazionali agganci specifici sulla cui base misurare la legittimità o illegittimità delle soluzioni escogitate dal legislatore (una cosa è dire che tali leggi non debbono essere contrarie a Costituzione o ai trattati internazionali, altra cosa è dire che esse debbono essere conformi a Costituzione o ai trattati; che non debbono essere contrarie in principio è corretto, ma da questo a dire che debbono essere conformi ce ne corre, proprio perché mancano specifici principi e regole costituzionali nelle specifiche questioni prima elencate: è importante non perdere di vista tale specificità, e non annegarla nella generica materia “disciplina dell’ingresso e soggiorno degli stranieri”). Ma anche se in costituzione o nei trattati internazionali si trovassero risposte specifiche agli specifici problemi prima evocati, il tema dei diritti umani si ripresenterebbe se e quando si decide se tali specifiche regole positivamente poste sono conformi ai diritti umani. Come si vede è a questo punto che vengono sulla scena i diritti umani. Se essi esistono, se si sostiene e si accetta che esistano, essi, proprio perché diritti degli esseri umani in quanto esseri umani, diventano immediatamente diritti che riguardano i migranti, se e quando i migranti si presentano come esseri umani da trattare come tali. Sembra una risposta: in realtà è appena l’inizio di una problematica complessa e fortemente controversa, a livello mondiale; problematica che non sta nelle parole ma nei comportamenti molto diversi e continuamente mutevoli degli Stati e delle persone e nelle idee mediante le quali Stati e persone giustificano i loro comportamenti. 34 Giuseppe Ugo Rescigno Migranti, stati, diritti umani 5. Che cosa si intende per diritti umani. Punto di partenza e nodo cruciale è la domanda: che cosa sono i diritti umani? Diritti umani è da sempre, sia per chi ne nega l’esistenza sia per chi la riconosce, una espressione convenzionale che tende ad individuare diritti che spettano (spetterebbero) agli esseri umani in modo assoluto e che quindi per questa ragione debbono (dovrebbero) essere riconosciuti da chiunque, Stati compresi, superando qualsiasi regola di diritto positivo che dica il contrario o comunque non sia conforme ai diritti umani. Che comunque l’espressione “diritti umani” sia convenzionale secondo il significato che chi parla o scrive attribuisce ad essa, mi pare facile da dimostrare, purché sia chiaro che “convenzionale” non vuol dire affatto universale o condiviso da tutti o dalla grande maggioranza, ma appunto fatto proprio da chi parla o scrive, cosicché in principio i significati della espressione diventano innumerevoli ed obbligano di chi parla o scrive ad esplicitare il significato che egli assume. In tutti gli ordinamenti, e comunque in quello italiano, le leggi ordinarie prevedono diritti che possono essere esercitati da chiunque: non è questo il significato della espressione diritti dell’uomo o diritti umani; diritti dell’uomo o diritti umani, per quasi tutti e comunque qui, non vuol dire semplicemente diritti attribuiti dal diritto positivo a chiunque. Nella Costituzione italiana sono previsti alcuni diritti, che proprio per questa ragione meritano la qualificazione di diritti fondamentali: alcuni di questi sono riservati solo ai cittadini (che non vuol dire che gli stranieri non potrebbero goderne: vuol dire che gli stranieri sul punto sono tutelati dalla legge ordinaria e non dalle norme costituzionali); per altri il testo dice espressamente “Tutti” (ad es. art. 19, libertà religiosa, art. 21, libertà di manifestazione del pensiero), per altri, dove non viene detto espressamente nulla, si discute. Però anche in questo caso i diritti costituzionali che spettano a tutti talvolta sono qualificabili diritti umani, ma altre volte sono diritti costituzionali di tutti in quanto previsti espressamente nel testo costituzionale, ma non diritti umani nel senso convenzionale che cercherò di chiarire tra breve. La evocazione di questa distinzione sta nello stesso art. 2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Secondo la lettera di tale articolo sono possibili in astratto due interpretazioni radicalmente diverse di esso (interpretazioni radicalmente diverse che sono state affermate da alcuni contro altri): per alcuni l’art. 2 introduce riassuntivamente quei diritti inviolabili dell’uomo e solo quelli che vengono successivamente elencati e disciplinati nel testo costituzionale; per altri i diritti inviolabili dell’uomo (di tutti gli uomini) successivamente elencati e disciplinati nel testo costituzionale sono una esemplificazione dei diritti inviolabili dell’uomo, ma non li esauriscono: ve ne possono essere innumerevoli altri, e l’art. 2 non si limita a ricordare l’insieme finito dei diritti umani successivamente trattati nella Costituzione, ma si riferisce all’insieme indeterminato che va oltre l’elenco positivo. Come sempre in casi del genere, non esiste il misuratore oggettivo della correttezza della interpretazione: una volta enunciata la dicotomia prima riportata, a ciascun operatore giuridico o osservatore non resta che deci35 Relazioni  dere, se accetta la prima o la seconda interpretazione (o altra ancora se ne è capace), e spiegare perché, come si richiede secondo ragione, ma senza illudersi ed illudere che le ragioni addette siano incontestabili. Il fatto che vi siano autorità che decidono nei casi concreti non impedisce che la controversia sul punto possa ripresentarsi continuamente (e dar luogo magari a decisioni divergenti). La duplice interpretazione dell’art. 2 della Costituzione precedentemente enunciata ne nasconde in realtà un’altra, molto più radicale: secondo questa seconda dicotomia diritti umani, per alcuni, sono quelli ai quali rinvia la costituzione ma vigenti se e perché fondati sulla costituzione, e dipende da una interpretazione entro tale interpretazione se sono soltanto quelli elencati in costituzione o anche quelli non elencati nel testo ma ricavabili aliunde sulla base del rinvio del testo, e quindi validi ed esistenti in forza di tale rinvio positivamente scritto, cioè nei limiti di tale rinvio (una legge costituzionale potrebbe, ad esempio, in base a questa interpretazione, togliere il rinvio a diritti umani non elencati nel testo); per altri i diritti umani vigono indipendentemente dal rinvio che ad essi fanno le costituzioni; le costituzioni, se e quando ne trattano, riproducono diritti già esistenti e validi di per sé: questa seconda posizione è ben conosciuta e porta il nome tradizionale di giusnaturalismo (o talvolta, e più correttamente se viene escluso ogni fondamento religioso, giusrazionalismo). Questa seconda dicotomia va riscritta in modo da chiarire senza ambiguità il punto di rottura (e quindi come e dove il giusnaturalismo emerge): da un lato la tesi delle costituzioni che scrivono e praticano il principio secondo cui tutti i diritti soggettivi sono soltanto quelli previsti e tutelati dallo Stato (spettino essi a tutti o soltanto ad alcuni, secondo quanto prevede lo Stato col suo diritto oggettivo); dall’altro lato la tesi delle costituzioni che scrivono e praticano il principio secondo cui vi sono diritti umani (salvo specificare quali essi sono) che la costituzione riconosce in quanto validi di per sé. La tesi che sembra intermedia a proposito della interpretazione dell’art. 2 Cost., secondo cui è la stessa Costituzione italiana che rinvia a diritti umani ricavabili aliunde non dice affatto che tali diritti nascono perché previsti dalla Costituzione, sia pure indirettamente mediante un rinvio, ma che essi esistono prima e indipendentemente dalla costituzione, perché soltanto così ragionando è possibile andare oltre il testo della costituzione: la Costituzione italiana cioè, per chi segue questa interpretazione dell’art. 2, non fa che ammettere che essa rispetto ai diritti umani si limita a prendere atto che esistono e debbono essere tutelati per come esistono. In altre parole o si interpreta l’art. 2 come una disposizione che si limita a riassumere i diritti che successivamente vengono elencati nel testo e dunque non dice nulla di nuovo e di diverso da quanto positivamente prescritto nel testo (salva sempre come ovvio la necessità di interpretare il testo), oppure si interpreta l’art. 2 come un rinvio aperto ad innumerevoli diritti umani da ricavare aliunde: in tal modo il giusnaturalismo entra direttamente nello stesso testo costituzionale italiano. Qualcuno può in prima battuta pensare di evitare la conclusione ora tratta sostenendo che l’art. 2 si riferisce a quei diritti umani che non sono previsti dal testo costituzionale ma da trattati e norme internazionali vincolanti; questa riposta non evita che il problema di scegliere e schierarsi si ripresenti se e quando da un lato vi sono comunque persone e forze sociali che invocano diritti umani preesisten36 Giuseppe Ugo Rescigno Migranti, stati, diritti umani ti ai trattati e alle stesse norme internazionali e validi indipendentemente dal loro riconoscimento da parte degli Stati, e dall’altro si scopre che vi sono trattati ed atti di diritto internazionale che muovono apertamente dal riconoscimento che essi esprimono, danno forma esteriore mediante parole e dichiarazioni a diritti umani che esistono prima e indipendentemente dal loro riconoscimento. Come si vede una scelta ineludibile, per me, per voi, per chiunque. È anche possibile che vi siano persone che non vedono la dicotomia, hanno le idee confuse, e ora praticano una tesi ora un’altra, secondo impulsi non consapevoli e non coerenti nel tempo: ma allora è dai loro comportamenti che ricaviamo i principi impliciti in base ai quali essi si comportano volta per volta, e volta per volta vedremo che essi o negano sempre la esistenza di diritti umani oltre quello che positivamente è previsto dal loro diritto oggettivo, oppure ammettono sempre che esistono diritti umani oltre quanto previsto positivamente dal loro diritto, oppure oscillano tra le due posizioni, e dunque per il giurista, se vuole essere razionale e scientifico come si pretende, si impone l’obbligo di chiarire il punto e scegliere. La necessità di scegliere e schierarsi nel caso qui descritto non dipende da capriccio o da fantasia individuale: nasce dalla società, dal mero fatto che la società umana oggi si trova davanti al problema perché posto da alcuni contro altri, e chiunque, magari di fatto senza esserne consapevole, sceglie comunque tra le due opzioni. Notare che fin qui non è stato minimamente affrontato il tema di quali sono i diritti umani e come vanno riconosciuti: ho soltanto posto il tema intorno alla esistenza o meno dei diritti umani, ed ho concluso che esiste oggettivamente una alternativa tra due corni uno dei quali va scelto inevitabilmente al posto dell’altro: o viene negata l’esistenza di diritti umani oltre quanto il diritto oggettivo di uno Stato prevede, o la loro esistenza viene riconosciuta prima e indipendentemente dal riconoscimento degli Stati, traendone le conseguenze. 6. La lotta nel diritto per (o contro) i diritti umani. Il ragionamento intorno a quali sono i diritti umani e come essi vanno riconosciuti mi aiuta a decidere intorno alla esistenza e validità dei diritti umani indipendentemente da quanto prevede il diritto positivo degli Stati. Tutti conoscono la gloriosa distinzione tra diritti dell’uomo e del cittadino, risalente al 1789 nella Francia rivoluzionaria e ripresa nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite nel 1948. Chi rilegge la Dichiarazione del 1789, la colloca nel suo tempo, e si chiede quanta influenza essa ha avuto da allora in poi e perché, arriva rapidamente a rendersi conto che anzitutto quella dichiarazione (in cui già il titolo “dichiarazione” denuncia la sua natura di atto di riconoscimento e non di imposizione) fu preceduta da una battaglia politica e culturale durata decenni nella Francia del 1700; che gli uomini in carne ed ossa che l’hanno scritta ed approvata erano profondamente convinti di stare enunciando qualcosa che aveva valore non in quanto da essi voluta, ma in quanto corrispondente a ragione ed umanità; che da allora ad oggi tutti coloro che hanno richiamato con consenso e convinzione quella dichiarazione l’hanno sempre ricordata come 37 Relazioni  qualcosa che non è soltanto un documento storico ma la enunciazione di principi universali giusti, validi per tutti e per sempre, da migliorare ed integrare, ma mai passibili di abbandono e arretramento5. Un punto fermo irreversibile nella storia degli uomini. Lo stesso può dirsi della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti, nella quale la matrice giusnaturalistica è enunciata apertamente, e nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dalla Assemblea delle Nazioni Unite del 1948. In particolare in questo atto colpisce anzitutto la dizione “Diritti dell’uomo” senza più distinguerli dai diritti del cittadino; di nuovo la parola Dichiarazione, a ribadire che si trattava della scrittura di qualcosa che valeva di per sé, veniva semplicemente dichiarato, non se e in quanto voluto; il fatto che non si tratta di un trattato tra gli Stati, ma di un atto della organizzazione delle Nazioni, e cioè di una Comunità: l’atto non è riconducibile alla volontà dei singoli Stati, e quindi non dipende da tale volontà, ma è la manifestazione di una comunità che riconosce ciò che sta come suo fondamento. Nello stesso tempo era e resta evidente che qualsiasi dichiarazione dei diritti umani è la enunciazione di principi generalissimi che indicano la direzione e lo scopo di ulteriori necessarie enunciazioni capaci di rispondere in modo specifico a specifici problemi che l’umanità incontra nei rapporti tra tutti gli uomini. Questa continua articolazione e sviluppo non può avere mai un termine, per la banale ragione che la storia umana non ha termine (a meno di prevedere la fine della umanità, che sarebbe comunque fatto eventuale al di là dei nostri orizzonti). Chi parla di diritti umani si lega immediatamente a questa storia lunga e complessa che ha almeno duecentocinquanta anni, storia che è fatta non solo di quelle grandi dichiarazioni prima ricordate, ma di innumerevoli altre, e di leggi ancora più numerose in attuazione di quei principi, e di elaborazioni dei giudici che nelle loro decisioni hanno applicato i diritti umani, magari contro e al di là di quanto previsto positivamente nelle leggi scritte degli Stati ai quali essi appartenevano. A tutti questi soggetti vanno aggiunte le innumerevoli organizzazioni specifiche che si propongono di tutelare i diritti umani, di denunciare le loro violazioni, di organizzare campagne di opinione pubblica su tali temi. È impossibile farne un elenco esaustivo: ricordo qui solo per darne una idea la Commissione sui diritti umani dell’ONU, Amnesty International, la commissione sui diritti umani del Parlamento italiano, e così via. I diritti umani però non vivono in un cielo astratto e unitario: entrano nei concreti ordinamenti; in particolare si scontrano come già detto con la natura degli Stati. Da qui una serie continua di lotte dentro il diritto (non dunque la lotta per il diritto, come diceva von Jhering, ma una lotta all’interno del diritto, tra cittadini e cittadini, autorità ed autorità, giudici e giudici) intorno addirittura alla stessa esistenza e validità dei diritti umani (per quelle persone e quegli Stati che ammettono soltanto il loro diritto positivo), ma anche, una volta ammessi, intorno a quali essi sono e come vanno bilanciati col diritto positivo degli Stati. 5 Vale la pena di ricordare che in base al bloc de constitutionalité il Conseil constitutionnelle usa tutti i diritti dell’uomo e del cittadino proclamati dalle diverse costituzioni della Francia come criterio per giudicare la legittimità delle leggi. 38 Giuseppe Ugo Rescigno Migranti, stati, diritti umani 7. Conclusioni giuridiche. In conclusione la problematica delle migrazioni non può ridursi alla alternativa secca e semplificatrice ingresso-divieto di ingresso, soggiorno- divieto di soggiorno ed espulsione: come già detto, la realtà quotidiana si è incaricata da tempo di sollevare una miriade di problemi diversi, interni al fenomeno migratorio, problemi che evocano immediatamente il tema dei diritti umani. Il punto di partenza è la constatazione di un fenomeno che comunque accade e che non possiamo ignorare (qualcosa bisogna fare; anche non fare nulla sarebbe un modo di fare qualcosa, probabilmente il peggiore). Migliaia, diecine di migliaia, centinaia di migliaia di persone, da alcuni anni tentano comunque di entrare nel territorio italiano e di stabilirsi in esso, o di attraversarlo per stabilirsi nel territorio di altri Stati europei. È un fatto. Questo fatto crea due problemi collegati ma distinti, rispetto ai quali la Costituzione non dice nulla (i costituenti non avevano alcuna ragione di precedere questo fatto, almeno per quanto riguarda l’Italia, terra da un secolo di emigrazione): a) queste persone versano in condizioni disperate, e dunque esiste il problema del soccorso, della assistenza (possono annegare in mare, hanno fame e sete, abbisognano di cure mediche, non hanno tetto sotto cui ripararsi, e così via); b) come trattarli in attesa che in qualche modo la loro condizione da precaria diventi stabile: se in principio chi entra illegalmente nel territorio italiano deve essere espulso, è necessari stabilire il come e il quando, che cosa bisogna fare nel periodo nel quale, quale che sia la ragione, la persona sta nel territorio italiano in attesa di essere espulso, che cosa fare se non si riesce ad espellere la persona (vale la pena di notare che nessuno, mi pare, tranne qualche esagitato leghista, sostiene che possano essere uccisi). È a questo punto che entrano in scena i diritti umani. Entrano in scena come attori drammatici che portano scompiglio e laceranti conflitti. Lo scompiglio e il conflitto lacerante comincia proprio sull’uscio, per di così, non appena vengono evocati tali diritti; due questioni preliminari e fondamentali si pongono necessariamente: 1) quale il rango di tali diritti umani nella scala giuridica? 2) Quali sono questi asseriti diritti umani? Sul primo punto si scontrano, per quello che leggo e vedo, le seguenti tesi: a) i diritti umani sono semplicemente quei diritti che la Costituzione attribuisce a qualunque uomo (cioè in sostanza non esiste una specifica categoria “diritti umani” distinta da diritti costituzionali); b) è la stessa Costituzione italiana che rinvia ai diritti umani e li fa propri, così come accade per altri rinvii che la Costituzione fa a norme poste da altre fonti (ad es. le consuetudini internazionali generalmente riconosciute; il diritto dell’Unione europea; i trattati internazionali); c) la Costituzione non solo rinvia ai diritti umani, ma questi per loro natura prevalgono sulla stessa Costituzione; d) tutte le costituzioni, e quindi anche la nostra, sono subordinate ai diritti umani, cosicché essi vanno applicati indipendentemente da quanto dicono i testi costituzionali. Queste diverse tesi non sempre sono esplicitate con nettezza, ma si ricavano implicitamente dai ragionamenti in base ai quali qualcuno sostiene che questa o quell’altra norma di legge è illegittima sul piano costituzionale. Per quanto riguarda la seconda questione, da un lato è pacifico che non esiste un elenco ufficiale e riconosciuto dei diritti umani, anche se numerosi sono i trattati e i documenti 39 Relazioni  che ne parlano; dall’altro si riconosce, come è in generale dei principi, che essi da soli, nella loro formulazione astratta e generale, non sono sufficienti a tutelare i diritti che essi dichiarano inviolabili, ma abbisognano di articolazioni normative spesso molto analitiche, che siano coerenti con i principi e ne costituiscano un appropriato sviluppo e attuazione. È proprio il nostro caso: sarebbe vano e impraticabile pretendere che i documenti internazionali o sovranazionali sui diritti umani dicano come deve essere prestata l’assistenza ai migranti in stato di bisogno, e come vanno trattati i migranti illegali in attesa di espulsione. È ovvio che per questi problemi e tutti gli altri ad essi collegati ci vogliono le leggi ordinarie e spesso tutti gli altri atti ed operazioni che implementano le leggi ordinarie. I diritti umani cioè, quale che sia la tesi sulla loro natura e collocazione nella scala gerarchica, costituiscono il criterio per valutare la legittimità o illegittimità degli atti normativi che attuano i principi, ma non possono sostituire le leggi e gli altri atti normativi necessari. 8. Postilla: la contraddizione insanabile tra diritti umani e Stati. A questo punto potrebbe e in principio dovrebbe cominciare una diversa e più ravvicinata analisi: dati i problemi posti dai migranti e le risposte previste e praticate dallo Stato italiano (o da altro Stato se si intende analizzare questo altro Stato), ipotizzare quali dovrebbero essere le risposte giuste secondo i diritti umani, se le risposte in atto sono oppure non sono conformi ai diritti umani, e così via. Finisce cioè la mia introduzione e comincia il merito della giornata di studi e riflessioni. Prima però di chiudere sento il bisogno di esprimere una ultima e più grave considerazione. A me pare evidente la insanabile contraddizione che esiste e si manifesta ogni giorno, ora più grave e drammatica, ora meno secondo gli Stati, tra i diritti umani e la esistenza degli Stati. Possiamo cercare di applicare al massimo i diritti umani, ma non potremo liberarci del limite insuperabile e drammatico che gli Stati, per il solo fatto di esistere, infliggono ai diritti umani. I migranti di oggi sono anche una ribellione senza armi, mediante i nudi corpi indifesi, contro le diseguaglianze; le ribellioni contro le diseguaglianze alla fin fine si risolvono temporaneamente, salvo il ripetersi delle ribellioni, solo in due modi: o con la repressione dei ribelli o con la loro accettazione come eguali. A questo punto si aprono, credo, i veri grandi problemi del mondo di oggi, ed i giuristi su di essi, come giuristi, hanno poco o nulla da dire6. 6 Va oltre le questioni esaminate nel testo, ma vale la pena di ricordare che la recente legge 145 del 2016 sulle missioni militari all’estero solleva rovesciati gli stessi problemi posti dai migranti, con la enorme differenza che noi, spesso in nome della difesa dei i diritti umani, andiamo nel territorio altrui con le armi, ed i migranti vengono da noi con i loro corpi nudi. 40 LA PROBLEMATICA TUTELA DELLA DIGNITÀ DEI MIGRANTI NELLE FASI DEL “RIMPATRIO’’ * ~ Vittoria Berlingò ~ 1. IL DIBATTITO SUI DIRITTI FONDAMENTALI DEI MIGRANTI • 2. IMMIGRAZIONE IRREGOLARE E DETENZIONE AMMINISTRATIVA • 2.1. HOTSPOT • 2.2. CENTRI DI PERMANENZA PER IL RIMPATRIO • 3. ‘DIRITTI DEGLI ALTRI’ E POTERE AMMINISTRATIVO • 4. LA ‘FONDAMENTALITÀ’ DEL ‘DIRITTO’ E LA FORZA VITALE DELLA HUMANITAS. ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE. 1. Il dibattito sui diritti fondamentali dei migranti. Il rapporto tra potere amministrativo e diritti degli ‘altri’ 1 e, quindi, il ruolo che l’amministrazione dovrebbe avere per tutelare in capo ai migranti, anche irregolari, la dignità della persona umana, rappresenta un tema di grande interesse, soprattutto alla luce delle più recenti tendenze dottrinali volte a fare convergere la categoria dei ‘diritti fondamentali’ 2 con quella dei diritti umani inviolabili3. * Il testo è una rielaborazione integrata e aggiornata del saggio L’humanitas e la fondamentalità del diritto: il ‘trattamento’ degli immigrati irregolari, pubblicato in Dir. amm. 3, 2017, 529 ss. 1 Si rinvia, sul punto, a quanto sostenuto da M. Savino, Le libertà degli altri. La regolazione amministrativa dei flussi migratori, Milano 2012. Più in generale, sul tema, cfr. V. Cerulli Irelli, Politica dell’immigrazione e tutela dei migranti (una disciplina positiva in corso di evoluzione), in Nuove Autonomie, 2013, 519 ss.; E. Codini, Immigrazione e Stato sociale, in Dir. pubbl., 2012, 599 ss.; G. Corso, Straniero, cittadino, uomo. Immigrazione ed immigrati nella giurisprudenza costituzionale, in Nuove Autonomie, 2012, 377 ss.; F. G. Scoca, Protection of diversity and legal treatment of the foreigner: the Italian model, in Dir. econ., 2013, 15 ss.; M. Consito, La tutela amministrativa del migrante involontario. Richiedenti asilo, asilanti e apolidi, Napoli 2016; F. Cortese, G. Pelacani (a cura di), Il diritto in migrazione. Studi sull’integrazione giuridica degli stranieri, Napoli 2017; M. Savino (a cura di), La crisi migratoria tra Italia e Unione europea. Diagnosi e prospettive, Napoli 2017; P. Morozzo della Rocca (a cura di), Immigrazione, asilo e cittadinanza, Rimini 2017. 2 Al riguardo G. Azzariti, Multiculturalismo e costituzione, in Pol. dir., 2016, 3 ss. registra una ricorrente alternativa tra aperture irriflessive, espressione di un ‘multiculturalismo irenico’, come tale solo teoricamente ipotizzabile, e chiusure identitarie, espressione invece di un colonialismo culturale indotto pure da incombenti istanze di sicurezza. 3 Sull’argomento la letteratura è molto ricca. Con le denominazioni di ‘diritti fondamentali’, ‘diritti umani’, ‘diritti dell’uomo’ e ‘diritti costituzionali’, utilizzate spesso come sinonimi, la dottrina tende a esprimere il concetto dell’inviolabilità delle posizioni soggettive. Si rinvia, per le classificazioni più comunemente adottate, a P.F. Grossi, Introduzione ad uno studio sui diritti inviolabili nella Costituzione italiana, Padova 1972; A. Barbera, Commento all’art. 2 Cost., in Commentario alla Costituzione, Bologna 1975, 50 ss.; P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna 1984; A. Baldassarre, voce Diritti inviolabili, in Enc. giur., vol. XI, Roma 1989, 1 ss., 41 Relazioni  Movendo dal postulato secondo cui i ‘diritti umani’ non possono più identificarsi con i diritti naturali nella loro generica accezione illuministica ed individualistica4, essi sono ridefiniti (e per certi versi, già si atteggiano) secondo i paradigmi di «un’antropologia relazionale [..] basata sul riconoscimento dell’universalità (intesa come elemento che accomuna tutti gli esseri umani) del concetto normativo di persona umana»5. L’analisi dell’evoluzione degli interventi normativi e dei pronunciamenti delle Corti in materia, condotta all’insegna di detta prospettiva, deve però mettere in conto una «torsione della natura propria dei diritti umani, ‘usati’ sempre più come diritti nostri, e non riconosciuti come diritti degli altri»6. Pertanto, pur convenendo sulla circostanza che, a ben guardare, almeno in teoria, si tende a sostenere la più ampia coestensione fra diritti umani e diritti fondamentali, all’interprete tuttavia tocca rilevare, in pratica, una biforcazione, sostanzialmente ricondotta dalla dottrina a due indirizzi7. nonché, per tutti, ai sei volumi curati da M. Flores, Diritti Umani. Cultura dei diritti e dignità della persona nell’epoca della globalizzazione, Torino 2009. Per la prospettiva seguita nel testo, cfr. G. Palombella, L’autorità dei diritti, Bari 2002, la cui ricostruzione è ripresa e sviluppata da M. Tigano, L’«assolutezza» del diritto all’istruzione religiosa, Milano 2004, in ispecie 49 ss.; ma soprattutto si tengono in conto V. Baldini, La classificazione dei diritti fondamentali. Profili storico-teorici-positivi, in www.gruppodipisa.it, 2016, 6 ss., con richiami a M. Mahlmann, Grundrechtstheorien in Europa – Kulturelle Bestimmtheit und universeller Gehalt, EuR, 2011, come pure, per i profili strettamente relativi alle problematiche migratorie: A. Algostino, I diritti fondamentali alla prova: migranti e beni vitali, in www.gruppodipisa.it, 2016, 18 ss.; A. Giorgis - E. Grosso - M. Losana (a cura di), Diritti uguali per tutti? Gli stranieri e la garanzia dell’uguaglianza formale, ne I diritti negati, a cura di G. Zagrebelsky, M. D’Amico, Roma 2017; G.F. Ferrari, La questione migratoria tra prospettive ireniche e realismo occidentale, in Dir. pubbl. compar. e eur., 2015, 943 ss.; G. Moschella, La parabola dei diritti umani nella legislazione italiana sull’immigrazione, in Immigrazione e diritti fondamentali fra Costituzioni nazionali, Unione europea e diritto internazionale (a cura di S. Gambino, G. D’Ignazio), Milano 2010, 481 ss.; e, sui rapporti tra status civitatis e status personae: L. Ferrajoli, Dai diritti del cittadino ai diritti della persona, in La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti (a cura di D. Zolo), Roma-Bari 1994, 263 ss.; G.U. Rescigno, Cittadinanza: riflessioni sulla parola e sulla cosa, in Riv. dir cost., 1997, 41; Id., Note sulla cittadinanza, in Dir. pubbl., 2000, 755 - 756. Cfr., infine, S. Crespi, Diritti fondamentali, Corte di Giustizia e riforma del sistema UE di protezione dei dati, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2015, 819 ss.; D.U. Galletta, La tutela dei diritti fondamentali (in generale, e dei diritti sociali in particolare) nel diritto UE dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ivi, 2013, 1175 ss.; K. Stern, La carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Riflessioni sulla forza vincolante e l’ambito di applicazione dei diritti fondamentali codificati nella Carta, ivi, 2014, 1235 ss.; G.M. Flick, L’elogio della dignità, Roma 2015. 4 Cfr. A. Simoncini, Contro il diritto ‘ad una dimensione’. Cosa i diritti umani non sono, in Dir. um. e dir. intern., 2016, 677 ss. a proposito di I. Trujillo, F. Viola, What Human Rights Are Not (Or Not Only). A Negative Path to Human Rights Practice, New York 2014. Si v., da ultimo, A. Sangiovanni, Humanity without Dignity: Moral Equality, Respect and Human Rights, Cambridge U.S.A. 2017; nonché P. Parolari, Culture, diritto, diritti. Diversità culturale e diritti fondamentali negli stati costituzionali di diritto, Torino 2016; C.W. Mills, Black rights, white wrongs: the critique of radical liberism, Oxford 2017; V. Scalisi, L’ermeneutica della dignità, Milano, 2018. 5 Cfr. A. Pisanò, Cosa i diritti umani (non) sono. Un dibattito tra diritto, filosofia e politica, in Dir. um.e dir. intern., 2016, 648 - 649. 6 Così B. Pastore, Le ragioni dei diritti, i diritti come ragioni, in Dir. um. e dir. inter., 2016, 689 ss.; Id., Per un’ermeneutica dei diritti umani, Torino 2003, 42 - 45; nonché A. Ruggeri, I diritti dei non cittadini tra modello costituzionale e politiche nazionali, in Metamorfosi della cittadinanza e diritti degli stranieri, Napoli 2016, 25 ss.; A. Saitta, Il concetto di “noi” e di “altri” nella Costituzione e nella C.E.D.U., in www.consultaonline.it, 2014. 7 Cfr. R. Cherchi, I diritti dello straniero e la democrazia, in www.gruppodipisa.it, 2016, 6 ss., ma altresì M. Savino, Lo straniero nella giurisprudenza costituzionale, in Quad. cost., 2017, 58 ss., secondo cui i contrapposti indirizzi possono riconoscersi l’uno nel «paradigma della cittadinanza» e l’altro nel «paradigma della territorialità». 42 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… Secondo un primo indirizzo, in prevalenza attento ai modelli adottati nei sistemi di common law, la piena coincidenza della titolarità (insieme) dei diritti umani e/o dei diritti fondamentali varrebbe solo per i cittadini, in forza del ‘contratto sociale’ che appresta il ‘fondamento’, appunto, del sistema di higher rights invalso in quegli ordinamenti. È ben vero che negli stessi ordinamenti si rinvengono attenuazioni di detto criterio introdotte da pronunzie e norme intese a regolare il rapporto tra lo Stato e lo straniero già presente nel territorio nazionale, sulla base di interventi che definirebbero i contenuti di una sorta di ‘patto’ tra lo Stato e lo straniero medesimo, secondo le ‘clausole generali’ proprie del diritto del popolo stanziale8. E tuttavia, la presenza di un accordo, necessario per ‘doppiare’ il ‘contratto sociale’ dei cittadini, esclude che tali diritti possano essere invocati dallo straniero giunto sul territorio nazionale senza “invito”, in quanto irregolarmente presente. Secondo un contrapposto indirizzo, allo straniero, anche se irregolarmente soggiornante, andrebbero riconosciuti tutti i diritti ‘inviolabili’ e/o ‘fondamentali’ sanciti dalle Costituzioni (ad es., per l’Italia, ex art. 2 Cost.), oltre ai diritti previsti dalle disposizioni transnazionali, che assurgono al rango di norme interposte (per l’Italia, in forza degli artt. 10, comma 2, e 117, comma 1, Cost.)9. Lo straniero irregolare potrebbe, però, fruire, soprattutto in Italia10, di una declinazione dei diritti variamente graduata, perché il «paradigma della territorialità» − che comporterebbe un pieno riconoscimento della inviolabilità dei diritti in capo a tutti i migranti – sembra ricevere un avallo inequivoco da parte della Consulta solo per quanto concerne l’ambito dei diritti sociali11. Al riguardo, non può, certamente, non essere considerato il rilievo attribuito alla ‘cittadinanza sociale’, in relazione all’auspicata integrazione dell’immigrato in seno alle collettività nella quale aspira ad essere incluso indipendentemente dal suo status civitatis 12. Si ha, tuttavia, l’impressione che si 8 Cfr. M. Pifferi, L’espulsione e la detenzione dello straniero tra Otto e Novecento, in Quad. cost. 4, 2016, 846-853 e Id., Respingere, detenere, espellere:la costruzione del diritto dell’immigrazione tra Otto e Novecento, in appendice a M. Bosworth, La «galera amministrativa» degli stranieri in Gran Bretagna. Un’indagine sul campo, trad. it., con prefazione di Mauro Palma, Napoli 2016, 343-352. 9 Sul punto, M. Savino, Lo straniero cit., 65 s. 10 In vero, l’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (da ora TUI), afferma che «allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti». Il testo, nel riecheggiare la formulazione utilizzata nell’art. 2 della nostra Carta costituzionale, sembrerebbe, quindi, potenzialmente ricomprendere sia i ‘diritti umani’, quale categoria assoluta, riguardante l’uomo indipendentemente da qualsiasi contesto e specificazione, sia i ‘diritti fondamentali’ stricto sensu intesi. Per altro, non può trascurarsi che – a parte l’enumerazione più o meno esauriente e comprensiva di seguito operata dal TUI – tali diritti vengono appunto riconosciuti solo «allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato», espressione connotata da un’ambigua genericità, solo in parte, come si dirà (si v. infra, in corrispondenza di nt. 43) risolta da una intervenuta novella legislativa. 11 Cfr. ancora M. Savino, Lo straniero cit., 63 ss. 12 Sul tema cfr. M. Immordino, Pubbliche amministrazioni e tutela dei diritti fondamentali degli immigrati, in www. federalismi.it, che, molto efficacemente, sottolinea come «L’era del multiculturalismo, caratterizzata dalla pre- 43 Relazioni  tratti di un riconoscimento parziale ed inadeguato, in quanto finisce col relegare l’immigrato irregolare in una condizione di disuguaglianza, non solo rispetto al cittadino, ma anche rispetto allo straniero regolarmente soggiornante. E difatti, per quel che concerne i diritti umani di garanzia, la Corte costituzionale e la legislazione italiane stentano a porsi all’unisono con quanto prefigurato dalle Corti e dalla normativa europee13, in specie con riguardo agli immigrati soggetti a detenzione amministrativa14. A tal proposito, avendo presente il profilo della effettività, la dottrina si sforza di enucleare la ricorrenza di «diritti fondamentali potenzialmente più forti, grazie ad un radicamento sociale più ampio e culturalmente trasversale, ma anche diritti che alla prova della loro estensione concreta rischiano di dimostrare di essere null’altro che privilegi, arroccandosi nella comunità ristretta dei titolari “storici”, contrapponendo una fortezza dei diritti a non-luoghi senza diritti»15. Il pensiero corre subito ad alcune realtà proprie anche dell’esperienza siciliana, come quelle degli hot-spot e dei centri di identificazione e di espulsione, possibili destinazioni dei 4.245 migranti – la maggior parte giunti sulle coste siciliane (3.861) – che, secondo i dati dell’UNHCR di gennaio 2017, sono arrivati in Italia, via mare, nonostante le condizioni meteo avverse16. Quale conseguenza dell’affermarsi di tali derive riduzioniste, i diritti fondamentali di questi ultimi migranti si presenterebbero dimidiati di quella humanitas, che pure è in essi senza nello stesso ambito territoriale di diversità di culture, credenze e pratiche religiose, costumi, convenzioni sociali, che costituiscono il bagaglio che lo straniero porta con sé dal Paese d’origine, ha imposto un ripensamento non soltanto della nozione classica di cittadinanza, basata sul concetto di appartenenza e di identità, concetti che, per il fatto di presupporre un bagaglio culturale comune, stentano a radicarsi nell’era della globalizzazione, ma anche della tradizionale nozione di comunità, da intendersi ormai in senso più ampio, come “comunità di diritti e doveri” che “accoglie e accomuna tutti coloro che … ricevono diritti e restituiscono doveri”, prescindendo dal vincolo di cittadinanza». In particolare, per una cittadinanza fondata sulla residenza e sull’adesione ai doveri costituzionali, cfr. P. Carrozza, Diritti degli stranieri e politiche regionali e locali, in Metamorfosi, cit. 57 ss. 13 Cfr. M. Savino, Lo straniero, cit., 52 ss., in specie 66, nonché, per un’aggiornata disamina della situazione europea, M. D’Alberti, L’Unione Europea e i diritti, in Riv. trim. dir. pubbl., 2016, 767 ss. Si v. anche A. Pajno, Rapporti tra le Corti. Diritti fondamentali e immigrazione, in www.federalismi.it, 2017. Sulle pronunce volte a contenere la radicalizzazione e l’estremismo, cfr., da ultimo, V.A. De Gaetano, Autonomy of religious associations in contemporary Europe from the perspective of the European Court of Human Rights, in Annual Meeting of the European Consortium for Church and State Research (ECCSR), Tallin 2017, draft. 14 Cfr. A. Pugiotto, La «galera amministrativa» degli stranieri e le sue incostituzionali metamorfosi, in Quad. cost., 2015, 588, 594 ss., riedito ora in appendice a M. Bosworth, La «galera amministrativa» degli stranieri in Gran Bretagna, cit., 363-392, con il titolo Di qua dalla Manica: la «galera amministrativa» degli stranieri in Italia. 15 Così A. Algostino, I diritti cit., 11. Sulla ‘sospensione’ dei diritti umani dei migranti in non-luoghi in cui «sopravvivono in condizioni subumane», cfr. G. Zagrebelsky, Diritti per forza, Torino 2017, 38. 16 Da ultimo, cfr. F. De Vittor, Il diritto di traversare il Mediterraneo... o quantomeno di provarci, in Dir. um. e dir. intern., 2014, 63 ss. Anche se il trend degli sbarchi ha registrato un netto decremento a seguito delle misure volte a favorire la chiusura dei porti, i fenomeni connessi registrano comunque sia implicazioni assai rilevanti. Sulle più recenti vicende, cfr. A. Morelli, Principio di legalità vs. preminente interesse pubblico? Il caso Diciotti e le sue conseguenze, in Quad. cost., 2018, 895 ss. 44 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… geneticamente insita, in quanto intrinseco «anelito alla felicità propria di ogni essere umano»17, e della quale non possono essere privati se si intende presentarli come connotato di una società che aspiri a costituirsi in ordinamento aperto e inter-culturale18. 2. Immigrazione irregolare e detenzione amministrativa. A seguito di quanto sin qui illustrato, pare opportuno procedere ad una serie di verifiche in concreto19, sui diversi ambiti in cui, volta per volta, si realizza la tutela multilivello20 delle varie categorie di migranti21, dedicando particolare attenzione all’ambito della detenzione amministrativa, che maggiormente rileva per la sua ‘flessibilità’, ma anche per la sua ‘porosità’22. In Italia, la fenomenologia dei luoghi di permanenza obbligata o di trattenimento coatto degli stranieri irregolari – nonostante la diversa funzione che detti luoghi sono chiamati a svolgere nella veste di Centri di primo soccorso ed accoglienza (CPSA), Centri di accoglienza (CDA), Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA), Centri di identificazione ed espulsione (CIE)23 – ne spiega, in qualche misura, l’assimilazione al con- 17 Francesco, Accogliere e integrare gli immigrati. Ai partecipanti al VI Forum internazionale ‘Migrazioni e pace’, Roma 21-22 febbraio 2017, in Il Regno-doc., 2017, 199 ss., nel dare conto dell’istituzione di un apposito Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, all’interno del quale una sezione si occupa specificamente di quanto concerne i migranti, i rifugiati e le vittime della tratta, muove le sue riflessioni dall’assunto che «migrare è espressione dell’intrinseco anelito alla felicità proprio di ogni essere umano». Ad un analogo tenore risulta improntata la Dichiarazione sui rifugiati e i migranti, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 19 settembre 2016. 18 In tale prospettiva cfr. M. Savino, L’Italia, l’Unione europea e la crisi migratoria, in il Mulino, 2017, 273 ss., anticipazione del capitolo che introduce la ricerca IRPA, pubblicata in La crisi migratoria tra Italia e Unione europea: diagnosi e prospettive, Napoli 2017. Sul tema si v. anche A. Spadaro, La “cultura costituzionale” sottesa alla carta dei diritti fondamentali dell’UE, fra modelli di riferimento e innovazioni giuridiche, in Metamorfosi, cit., 473 ss., in ispecie 493. 19 E. Stradella, I diritti fondamentali nelle Corti. Primi spunti per una definizione della “fondamentalità” dei diritti nel diritto comparato, in www.gruppodipisa.it, 2016, 46. 20 Cfr., al riguardo, V. Baldini, La classificazione dei diritti fondamentali, ivi. 21 Cfr. A. Algostino, I diritti, cit., 18 ss.; R. Cherchi, I diritti, cit., 18, 28 e anche 38. 22 V. Baldini, La classificazione dei diritti fondamentali, cit., 25 ss. 23 Circa l’accoglienza nei CPSA, la Corte EDU ricorda che né la qualificazione giuridica data dal diritto interno a una misura privativa della libertà, né il dichiarato scopo delle autorità di intervenire per la protezione del migrante o per la tutela della sua sicurezza, possono alterare la valutazione sulla natura costrittiva delle misure imposte, perché nessuna forma di detenzione de facto sottratta a controllo giurisdizionale è compatibile con lo scopo dell’art. 5 CEDU, anche in una crisi migratoria. In dottrina si vedano: A. Pugiotto, La «galera amministrativa» degli stranieri, cit., 573; G. Bascherini, A proposito delle più recenti riforme in materia di tratte­nimento dello straniero nei centri di identificazione ed espulsione, in www.rivistaaic.it 1, 2012; M. Bellina, voce Straniero (detenzione amministrativa dello), in Enc. Giur., Aggiornamento XVII, Roma, 2009; M. Borraccetti, La prima assistenza ai migranti in arrivo tra diritti fonda­mentali e zone franche, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 2014, 13 ss.; G. Campesi, La detenzione amministrativa degli stranieri. Storia, diritto, politica, Roma 2013; C. Celone, La “detenzione amministrativa” degli stranieri irregolari nell’ordinamento italiano e dell’Unione europea ed il diritto fondamentale di ogni persona alla libertà ed alla tutela giurisdizionale, in Nuove autonomie, 2013, 300. Per approfondimenti su questi temi e per ulteriori riferimenti bibliografici si rinvia a: M. Bossworth, La “galera amministrati- 45 Relazioni  finamento, formale o informale, in un «campo», stabile o provvisorio, con tutte le assonanze, che pure il concetto di «campo» porta con sé, quale sede tipica di sospensione dei diritti fondamentali in nome dei cc. dd., presunti, «stati di eccezione»24. Nel procedere alla disamina della disciplina di tali ‘luoghi’, si ritiene opportuno anticipare che non si seguirà l’impostazione, piuttosto ricorrente, secondo cui una più intensa tutela dei migranti ‘detenuti amministrativamente’ dovrebbe essere perseguita svelando e denunziando apertamente i tratti di fatto sostanzialmente detentivi, ancorché occultati dalle forme amministrative delle procedure e delle misure cui sono sottoposti25. Si reputa, infatti, che, nel contesto dell’indagine seguente, l’urgenza maggiore consista nel segnalare va”, cit.; G. Cornelisse, Immigration Detention and Human Rights. Rethinking Territorial Sovereignty, Leiden 2010; D. Wilsher, Immigration Detention. Law, History, Politics, Cambridge 2012; nonché a: R. Bin- G. Brunetti – A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Stranieri tra i diritti. Trattenimento, accompagnamento coattivo, riserva di giurisdizione, Torino 2001; P. Bonetti, Espulsione, accompagnamento e trattenimento dello straniero di fronte alla riserva di giurisdizione prevista dalla Costituzione, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 2000, 11 ss.; G. Campesi, La libertà degli stranieri. La detenzione amministrativa nel diritto internazionale e dell’Unione europea, in Pol. dir., 2012, 339 ss.; R. Cherchi, Il trattenimento dello straniero nei Centri di identificazione e di espulsione: le norme vigenti, i motivi di illegittimità costituzionale e le proposte di riforma, in www.questionegiustizia.it, 2014, 43 ss.; A. Corrisi, Cambio di stagione? Rilevanti novità in tema di detenzione amministrativa degli stranieri, in Quad. cost., 2015, 430 ss., Id., L’integrazione negata. Il fattore linguistico nell’allontanamento e nella detenzione amministrativa degli stranieri in condizione di irregolarità, in Il fattore linguistico nel settore giustizia. Profili costituzionali (a cura di G. Di Cosimo), Torino 2016, 83 ss.; F. Vassallo Paleologo, Dall’accoglienza alla detenzione amministrativa: gli effetti di uno stato di emergenza permanente, in www.meltingpot.org; Id., La direttiva comunitaria sui rimpatri e i diritti fondamentali dei migranti tra norme di attuazione e prassi applicative, in Immigrazione e garanzie dei diritti fondamentali (a cura di G. Verde, A. A. Genna), Torino 2012, 231. 24 A. Di Martino, Centri, campi, Costituzione. Aspetti d’incostituzionalità dei CIE, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 2014, 17 ss. In altri Paesi europei, del resto, il trattenimento è eseguito (anche) in strutture penitenziarie: cfr. le informazioni reperibili in www.detention-ineurope.org; G. Agamben, Che cos’è un campo, in Id., Mezzi senza fine. Note sulla politica, Torino 1996, 38; Id., Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino 1995, 129 ss.; e, da ultimo, G. le Blanc, F. Brugére, La fin de l’Hospitalité. Lampedusa, Lesbos, Calais…jusqu’où irons-nous?, in Documents et essais, Paris, 2017, 240 ss. Sulle criticità della Pacific Solution adottata dal sistema australiano per coloro che irregolarmente, via mare, giungono sul territorio australiano con il loro trasferimento in un Centro di permanenza fisicamente collocato nel territorio di un Paese terzo, selezionato discrezionalmente dal Ministro per l’immigrazione e la cui cooperazione è assicurata dalla conclusione di accordi di natura economica, v. D. Bacis, Immigrazione irregolare e tutela dei diritti: il caso australiano degli offshore detention centers, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 2018, 6 ss. 25 Si tratta di una chiave di lettura di recente approfondita con riguardo ai profili di c.d. ‘crimmigration’, neologismo utilizzato per alludere alla «sovrapposizione/intersezione (overlap/intersection) o, addirittura, alla fusione (merger) tra diritto penale e diritto dell’immigrazione», da ultimo presi in esame in G. L. Gatta, La pena nell’era della ‘crimmigration’: tra Europa e Stati Uniti, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2018, 675 ss., nonché verificati alla luce del ‘decreto Salvini’ da L. Risicato, Il confine e il confino: uno sguardo d’insieme alle disposizioni penali del “Decreto Sicurezza”, in Dir. pen. e proc., 2019, 15 ss.; Id., Diritto alla sicurezza e sicurezza dei diritti: un ossimoro invincibile?, Torino, 2019. Più in generale, Sul fenomeno della crimmigration, si veda J. Stumpf, The crimmigration crisis: immigrants, crime, and sovereign, in American University Law Review LII, 2006, 367 ss. A. Pahladsingh - J. Waasdorp, Crimmigration Law in the European Union (The Return Directive and the Entry Ban; The Return Directive: Return Decision and Detention), con la prefazione in italiano di M. Balboni, Bologna 2017, e la recensione di F. Ferri, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 2018. Sul versante della tutela giurisdizionale, si v. F. Astone, Immigrazione e diritti fondamentali: aspetti problematici della effettività della tutela giurisdizionale, in Immigrazione e condizione giuridica dello straniero (a cura di G. Moschella, L. Buscema), Ariccia (Roma) 2016, 143 ss.; nonché G. Tropea, Homo sacer? Considerazioni perplesse sulla tutela processuale del migrante, in Dir. amm., 2008, 839 ss. 46 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… le fasi in cui, allo stato, i poteri della pubblica amministrazione sono peculiarmente sollecitati ad esplicare un vieppiù costruttivo impegno26. A tal fine saranno prese in esame – tra i più recenti interventi normativi e giurisprudenziali sia pure oggetto di giustificate censure da parte di chi ha lamentato la sopravvivenza di non rimosse criticità o la sopravvenienza di ulteriori problematiche27– alcune delle novità introdotte con il d.l. n. 13/2017 (“Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”), come convertito dalla l. n. 46/2017 ed altre che sono state apportate dal d.l. n. 113/2018 (“Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”), come convertito dalla l. n. 132/2018 a proposito della regolamentazione sulle varie fasi di ‘contatto’ (e a prescindere da qualsiasi forma di ‘contratto’) dell’immigrato irregolare con il nostro ordinamento. Si tratta, infatti, del soggetto che, «rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare»28, può essere ricondotto alla figura dello «straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato», al quale non è riconosciuta la titolarità di alcuno dei permessi elencati nei disposti del vigente TUI. 2.1. Hot-spot. Anzitutto, una fase che veniva considerata de facto detentiva – ossia quella anteriore al trasferimento degli immigrati irregolari nei centri appositamente dedicati, come i Centri di identificazione e espulsione, e coincidente con il loro trattenimento negli hot-spot – oggi 26 Per corrispondere alla prospettiva promozionale delineata sulla base delle riflessioni condotte nel testo, gli amministratori dovrebbero attenersi ad un metodo interdisciplinare, aperto ad un confronto non solo con le competenze proprie di altri operatori del diritto, spesso attenti principalmente ai profili di tutela delle libertà negative o formali – su cui si è, peraltro, da ultimo, attestata una pronunzia della Grande Camera CEDU – ma anche con gli apporti ed i contributi tipici delle indagini dei sociologi, degli antropologi, dei cultori di comunicazione sociale e delle molteplici declinazioni delle humanities. Esemplare, da questo punto di vista, D. M. Cananzi, A. Salvati, Dei confini, dell’identità e di altri demoni. La diversità tra letteratura e diritto. Atti del Festival della letteratura e del diritto, Torino 2017. Per un primo commento alla pronuncia della Corte europea dei diritti umani, Grande Camera, Khlaifia e altri c. Italia, ricorso n. 16483/12, sentenza del 15 dicembre 2016, adottata a seguito della richiesta di rinvio formulata dal Governo italiano avverso la sentenza resa dalla Camera tra le stesse parti il 1° settembre 2015, cfr. A. Giliberto, La pronuncia della Grande Camera della Corte Edu sui trattenimenti (e i conseguenti respingimenti) di Lampedusa del 2011, in www.dirittopenalecontemporaneo. it; ma, v. pure, da ultimo, M. Savino, Lo straniero, cit., 66. 27 Cfr., per tutti, L. Masera, I centri di detenzione amministrativa cambiano nome ed aumentano di numero, e gli hotspot rimangono privi di base legale: le sconfortanti novità del Decreto Minniti, in www.dirittopenalecontemporaneo.it. Le modifiche, introdotte con la conversione in legge del c.d. Decreto Minniti (l. n. 46/2017), non sembrano avere attenuato le critiche mosse al decreto, ed, anzi, per alcuni aspetti, ne hanno indotto di nuove, come pure si avrà modo di accennare di seguito. 28 Incipit dell’art. 10 ter del T.U.I., come inserito dall’art. 17 del d.l. n. 13/2017. 47 Relazioni  potrebbe intendersi per alcuni versi espunta o per altri versi rimodellata con l’introduzione di misure volte a ridurre l’ampiezza dei suoi limiti temporali29 o a delinearne più chiaramente la funzione. Giova, al riguardo, precisare che in sede dottrinale – ma anche da parte di autorevoli esponenti della Magistratura e del mondo del volontariato30 – si sono sollevati seri dubbi sulla circostanza che il ‘decreto Minniti’ abbia comportato un superamento delle criticità rilevabili a fronte dei principi sanciti dall’art. 13, Cost.31 E si è anzi rilevato che le norme da esso introdotte potrebbero avere, addirittura, indotto ulteriori criticità in ordine ad altri principi costituzionali, come ad esempio quelli riconducibili all’art. 111 Cost.32 Ciò non toglie, tuttavia, che dall’art.10 ter del d.lgs. 286 del 1998 (introdotto da ultimo con l’art. 17 del cit. decreto legge n.13 del 2017) possano trarsi spunti per ridisegnare il ruolo delle amministrazioni in termini funzionali-procedurali nel contesto di una nuova fase che si svolge presso gli hotspot, dotata, così, per la prima volta, di una disciplina normativa di rango primario33. Le operazioni di soccorso e di prima assistenza, nonché di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico – anche ai fini di cui agli articoli 9 e 14 del Regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 – vengono ora presidiate da 29 Cfr. infra, par. 2.2. 30 Cfr. Osservatorio Giuridico Legislativo (della Conferenza Episcopale Italiana), 4/XXIII (aprile 2017), 2 s. 31 Da ultimo, v. M. Benvenuti, Gli hotspot come chimera. Una prima fenomenologia dei punti di crisi alla luce del diritto costituzionale, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it 2, 2018, 13 ss. 32 Non sembra, ad esempio, che risultino sufficienti a rimuovere i dubbi di costituzionalità per lesione dei principi posti a presidio delle garanzie proprie di un giusto procedimento, le previsioni relative all’aumento del numero delle nuove sezioni di tribunale specializzate in materia di immigrazione e protezione internazionale, né l’ampliamento delle competenze di dette sezioni o l’innesto di (limitate) ipotesi di contraddittorio in sede di udienza dibattimentale, in deroga alle speciali procedure da svolgere in camera di consiglio: si tratta di un’implementazione di tutele insufficiente e che, soprattutto, rischia di risultare inefficace per l’inadeguatezza delle risorse umane, materiali e finanziarie con cui occorre fare i conti (per ampi riscontri in tal senso: A. Pugiotto, Di qua dalla Manica: La «galera amministrativa» degli stranieri in Italia, cit., in specie 376 ss.). Di un analogo limite soffrono le previsioni della l. n. 47/2017 ( “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati”) che, in combinato disposto con la cit. l. n. 46/2017, esclude tali soggetti dalle norme sui respingimenti, e che pure introduce una serie di interventi apprezzabili per la presa in considerazione della particolare fragilità dei destinatari delle previste misure. 33 Nel sottolineare la polisemia del termine «hotspot», C. Leone, La disciplina degli hotspot nel nuovo art. 10 ter del d.lgs. 286/98: un’occasione mancata, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it 2, 2017, (ora) rivista online, riconduce allo stesso Ministero dell’interno, Procedure operative standard (Sop) applicabili agli hotspot italiani, marzo 2016, in www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it, l’individuazione di due diverse accezioni: una strutturale e una organizzativa. La dimensione funzionale-procedimentale, valorizzata, nei termini di cui al testo, dal nuovo art. 10 ter del TUI, sembra coincidere non tanto con la definizione strutturale, quanto piuttosto con il profilo organizzativo, secondo cui «l’hotspot rappresenta un metodo di lavoro in team, attraverso il quale le autorità italiane, ovvero il personale delle Forze di polizia, il personale sanitario e le organizzazioni internazionali e non governative che lavorano a stretto contatto ed in piena cooperazione con i team europei di supporto, composti da personale incaricato da Frontex, Europol, EASO (Ufficio europeo di supporto per l’asilo), lavorano al fine di assicurare una gestione procedimentalizzata delle attività, standardizzata e pienamente efficiente, avendo di mira l’interesse a garantire le soluzioni più sostenibili per le persone in ingresso». 48 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… una esplicita previsione sugli obblighi informativi volti a rendere edotto lo straniero irregolare della possibilità di accedere non solo alla procedura di protezione internazionale ed al programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea (all’insegna di ciò che dovrebbe dar vita ad una rete di rapporti solidali tra i membri dell’Unione), ma anche alla «possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito». Tra gli elementi di novità, tale ultimo riferimento è forse quello finora meno sottolineato dalle chiavi di lettura maggiormente utilizzate, mentre appare importante accordare ad esso un più spiccato rilievo nell’ambito dell’indagine che si sta svolgendo. In quella sede, infatti, come si avrà modo di esplicitare di seguito – in forza del combinato disposto dell’art. 10 ter con l’art. 14 ter e con l’art. 13, comma 5, del TUI – all’amministrazione non solo è prescritto di risparmiare allo straniero trattamenti degradanti, ma altresì di preservarne l’umanità, che gli è propria, in termini propositivi, dandogli la scelta di una prospettiva ‘progettuale’, più consona con la sua dignità di persona34. Non si intende trascurare che la disposizione dell’art. 17 del ‘decreto Minniti’ ribadisce l’esigenza di procedere alla distinzione tra irregolari richiedenti protezione internazionale (o ricollocazione) e irregolari ‘economici’, come già emersa nella prassi avviata con l’adozione delle “Procedure operative standard” (SOP)35. Ed invero, i soli richiedenti protezione internazionale continuano ad essere ammessi alla partecipazione, su base volontaria, ad attività di utilità sociale in favore delle collettività locali, promosse dai Prefetti d’intesa con i Comuni e con le Regioni e le Province autonome, anche nell’ambito delle iniziative dei Consigli territoriali per l’immigrazione, ed in collaborazione con le organizzazioni del terzo settore, così come previsto dall’art. 22 bis dello stesso decreto. 34 Rimovendo ogni ‘velo’ di cui si ammantano ipocrite ambiguità semantiche e considerando che «la giurispru- denza dei giudici europei riconduce alla materia penale misure coercitive che, anche se qualificate diversamente dal diritto statale, hanno in concreto i connotati tipici della pena» (A. Pugiotto, Di qua dalla Manica, cit., 381), possono senz’altro applicarsi ai detenuti amministrativi gli asserti di G. Silvestri, La dignità umana dentro le mura del carcere, in Dir. pubbl., 2014, 3 ss., secondo cui non sono vietati solo i trattamenti «contrari al senso di umanità» (aspetto negativo, coperto da un divieto), ma si è giuridicamente tenuti ad apprestare tutte le misure utili al recupero del senso di umanità di ciascun carcerato con trattamenti positivamente personalizzati. A questo principio, ricavabile dal terzo comma dell’art. 27, Cost., corrispondono sia l’art. 3 CEDU, che vieta la tortura e le pene che consistano in trattamenti inumani e degradanti, sia la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, oggi incorporata nel Trattato di Lisbona. La ‘disumanità’ della pena deve ritenersi in radicale contrasto con il rispetto della dignità umana e non può essere in alcun caso ammessa o tollerata. La Corte costituzionale italiana, circa cinquant’anni addietro, ha dichiarato che la doppia prescrizione di cui all’art. 27, comma 3, Cost. deve essere intesa in senso unitario, posto che «un trattamento penale ispirato a criteri di umanità è necessario presupposto per un’azione rieducativa del condannato» (Corte Cost., sent. 4 febbraio 1966, n. 12), cit. 35 Così già F. Cortese, La difficile “classificazione” dei migranti, in La crisi, cit. (a cura di M. Savino), 141 ss. Finora le Decisioni adottate in materia di ‘Hotspot Approach’ dal Consiglio dell’Unione Europea nel mese di Settembre 2015 (Decisione 2015/1523/UE del Consiglio dell’Unione Europea del 14 settembre 2015 e Decisione 2015/1601/UE del Consiglio dell’Unione europea del 22 settembre 2015), richiamate nel documento redatto dal Ministero dell’interno contenente le SOP, non potevano essere ritenute basi legali per provvedimenti amministrativi nazionali, come le circolari ministeriali o le ultime SOP in materia di Hotspots. Difatti, la Circolare adottata dal Ministero dell’interno, Dipartimento libertà civili ed immigrazione, l’8 gennaio 2016, ridimensionava la portata applicativa della circolare precedentemente adottata nel 2015 ( Circolare n.14106 del 6 ottobre 2015 ), nel quadro della cd. Roadmap italiana. 49 Relazioni  A quest’ultima norma, se singolarmente considerata, potrebbe quindi imputarsi l’effetto di relegare, ancora una volta, ad uno stato di ‘confinamento’ gli irregolari ‘economici’ o quanti, in ogni caso, risultano destinatari di un decreto di respingimento o di espulsione, che non è possibile eseguire immediatamente con accompagnamento alla frontiera «a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento»36. Tuttavia, seguendo l’itinerario interpretativo prima delineato, il d.l. n. 13/2017 – nella parte in cui innova, come già segnalato, il TUI, inserendovi l’art. 10 ter –, può essere letto in combinato disposto con l’art. 2, comma 1, del medesimo Testo unico, per farlo funzionare da leva che consenta all’amministrazione sia di operare un ribaltamento della prospettiva sinora utilizzata, sia conseguentemente di attribuire un rilievo ‘fondamentale’ alla condizione della ‘persona’ nella fase di ‘contatto’ con il nostro ordinamento. Oltre a quanto già disposto per coloro che sono destinati a diventare ‘inclusi’ con il loro inserimento in un sistema bifasico di accoglienza (S.P.R.A.R.), può essere in tal modo offerta, anche agli irregolari ‘economici’, una possibilità alternativa alla semplice esclusione, favorendone l’accesso effettivo alle procedure di rimpatrio volontario assistito. Se la novella legislativa venisse così interpretata ed applicata, essa conformerebbe in modo vincolante il vigente sistema istituzionale e normativo sul potere di rimpatrio, dando attuazione a quanto sollecitato, da ultimo, con la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio “Per una politica dei rimpatri più efficace nell’Unione europea - Un piano d’azione rinnovato”, adottata il 2 marzo 2017 e seguita dalla Raccomandazione (UE) 2017/432 della Commissione del 7 marzo 2017, per la messa a regime di un approccio integrato e coordinato, in materia37. 36 L’art. 14 TUI individua la ratio di tale discrimine nelle esigenze di contrastare il pericolo di fuga, di prestare soccorso, di svolgere accertamenti supplementari in ordine all’identità o alla nazionalità dello straniero e di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo. Ai soggetti che versano in tali condizioni sono accostati i cittadini di Stato membro e i loro familiari, anche non di Stato membro, destinatari di un provvedimento di allontanamento adottato per ragioni di sicurezza dello Stato, altre ragioni imperative di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, così come ai soggetti appena individuati sono assimilati i richiedenti la protezione internazionale e gli stranieri destinatari di un ordine di trasferimento in un altro Stato membro dell’Unione europea competente per l’esame della domanda di protezione internazionale. Tutti costoro, ai sensi all’articolo 6 del d.lgs. n. 142/2015, dovrebbero usufruire, in ogni caso, di appositi spazi detentivi: M.Veglio, La riduzione del danno. Radiografia del trattenimento amministrativo dopo la l. 161/14, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 2014, 97 ss. 37 Detta Comunicazione individua quale obiettivo generale quello di «migliorare ulteriormente la diffusione delle informazioni sul rimpatrio volontario assistito ai migranti irregolari al fine di garantire che questi ultimi abbiano accesso a informazioni accurate, anche quando è più probabile che facciano affidamento soprattutto sulle fonti di informazioni informali in seno alle loro comunità, ma anche quando si rifiutano di ottemperare a una misura di rimpatrio e/o non si fidano delle autorità preposte all’immigrazione». In particolare, la richiamata Raccomandazione prevede, a sua volta, al punto 2, lett. b), il coordinamento con «le autorità giudiziarie, le autorità competenti per il trattenimento, i sistemi di tutela, i servizi sanitari e sociali, al fine di garantire risposte rapide e adeguate, all’insegna della multidisciplinarità, da parte di tutte le autorità coinvolte nelle procedure di rimpatrio». Lo stesso documento, poi, ai sensi dei successivi punti 22-23, statuisce che entro «il 10 giugno 2017 gli Stati membri dovrebbero predisporre programmi di rimpatrio volontario assistito in linea con le norme comuni in materia di programmi di rimpatrio volontario assistito e di reintegrazione messe a punto dalla Com- 50 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… La Commissione europea riprende e sviluppa, per tal via, le Conclusioni del Consiglio sul rimpatrio assistito e la riammissione dei cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, adottate il 9 e 10 giugno 2016. Il Consiglio, pur sollecitando l’approntamento di «misure necessarie per prevenire ed evitare l’abuso dei diritti dei migranti o delle procedure in materia di asilo e migrazione allo scopo di impedire il processo di rimpatrio», raccomanda di «farlo con umanità e, se necessario, in modo armonizzato e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità»38. Inoltre, può farsi rinvio alle “Linee guida sull’utilizzo di programmi di rimpatrio volontario assistito e di reinserimento”, sviluppate nell’ambito del Gruppo di esperti sul rimpatrio e del Gruppo ‘Integrazione, migrazione e espulsione’. In esse si rinvengono preziosi orientamenti circa il sussidio di reintegrazione, funzionale alla realizzazione del piano, comprensivo dell’assistenza alla fase di pre-partenza, organizzazione del viaggio di ritorno, assistenza in loco e monitoraggio ex post della reintegrazione, da coordinare su scala europea per ridurre il fenomeno, pure possibile, del c.d. “return shopping”, ossia la propensione dei Paesi di origine a favorire solo i rimpatri dagli Stati membri dell’Unione che offrano aiuti più generosi al reinserimento dei rimpatriati39. Va da sé che se si volesse dare effettivamente un seguito concreto alle indicazioni provenienti dalla Raccomandazione sopra richiamata, dovrebbe offrirsi un’alternativa ben più plausibile e rispettosa dell’umanità delle persone di quanto non siano le procedure facenti perno sui CIE (ora CPR). Né lo Stato italiano dovrebbe ritenersi soddisfatto di avere fornito a questa materia una copertura legislativa con la disciplina di cui all’art. 14 ter del TUI, missione in collaborazione con gli Stati membri e sottoscritte dal Consiglio. Gli Stati membri dovrebbero adoperarsi per migliorare le procedure di diffusione delle informazioni sul rimpatrio volontario e i programmi di rimpatrio volontario assistito per i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in cooperazione con i servizi nazionali di istruzione e i servizi sociali e sanitari». 38 Sul punto v. M. Borraccetti, L’Italia e i rimpatri: breve ricognizione degli accordi di riammissione, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 2016, 33 ss.; M. Marchegiani - L. Marotti, L’accordo tra l’Unione europea e la Turchia per la gestione dei flussi migratori: cronaca di una morte annunciata?, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 2016, 59 ss. 39 In Italia, i primi programmi di Rimpatrio Volontario Assistito (RVA) sono stati sviluppati a partire dagli anni ‘90 quando, a seguito della situazione di crisi venutasi a creare nella Regione Balcanica, un grande numero di immigrati e richiedenti asilo ha iniziato a riversarsi sulle coste italiane. Successivamente, a livello comunitario, nell’ambito del Programma europeo Solidarity and Management of Migration Flows (SOLID), nel 2007, è stato istituito il Fondo Europeo per i Rimpatri, con Decisione 575/2007/CE del 23 maggio 2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, in GU L 144 del 6 giugno 2007. Con il Fondo Europeo per i Rimpatri 2008-2013 sono stati finanziati, in Italia, circa 60 progetti relativi a interventi di rimpatrio volontario assistito, iniziative di comunicazione e sensibilizzazione sul rimpatrio volontario assistito ed anche operazioni di rimpatrio forzato e corsi di formazione per il personale di scorta. La materia in esame è attualmente regolata dal Fondo Asilo Migrazione e Integrazione (FAMI), istituito con Regolamento UE n. 516/14, onde contribuire allo sviluppo di una politica comune dell’Unione in materia di asilo e immigrazione e al rafforzamento dello spazio di libertà sicurezza e giustizia alla luce della applicazione dei principi di solidarietà e ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri e della cooperazione con i Paesi terzi. Il Regolamento incoraggia gli Stati membri a dare la preferenza al rimpatrio volontario in relazione al quale è opportuno prevedere incentivi quali un trattamento preferenziale sotto forma di una maggiore assistenza al rimpatrio. Il Fondo sostiene pertanto misure specifiche a beneficio dei rimpatriati al fine di assicurare il rimpatrio effettivo ed allo scopo di favorire il reinserimento nella comunità di origine. Poiché peraltro i rimpatri volontari e quelli forzati sono interconnessi e si rafforzano reciprocamente, gli Stati membri, nella gestione dei rimpatri, dovrebbero incentivarne la complementarietà. 51 Relazioni  introdotto nel Testo Unico dall’articolo 3, comma 1, lett. e), del decreto-legge 23 giugno 2011, n.89, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n. 129, anche se tale disposto ha avuto un seguito nel Decreto del Ministro dell’Interno del 27 ottobre 2011 contenente le “Linee guida per l’attuazione dei programmi di rimpatrio volontario assistito e le modalità di ammissione degli stranieri a tali programmi” 40. Occorre inaugurare, al più presto, una nuova stagione per estendere ed implementare detti programmi: sia con l’adozione da parte del nostro ordinamento di ‘pratiche sociali’ proattive verso i Paesi di origine – tali da favorire il riassorbimento da parte di quelle collettività dei rimpatriati nel proprio tessuto socio-economico – secondo un modello di flussi migratori circolari che facciano applicazione del corridor approach; sia con una maggiore attenzione ed un più costruttivo ed adeguato impegno da riservare alla promozione del profilo valoriale di ciascuna persona immigrata. Quanto al primo aspetto è significativo tenere presente che – come emerge dalla Relazione al Parlamento, datata 25 febbraio 2017, del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale – i programmi di rimpatrio volontario assistito, fin qui finanziati dal Fondo Asilo Migrazione e Integrazione (FAMI), vengono accostati, per la ‘buona rotta’ da essi inaugurata, ai progetti denominati ‘corridoi umanitari’, interamente finanziati dal privato sociale. Essi sono gestiti sulla base di protocolli d’intesa siglati con il Ministero dell’Interno e la Direzione per le politiche migratorie del Ministero degli Esteri. Questa modalità di ingresso nel nostro Paese, da un lato, garantisce ai richiedenti la ‘protezione internazionale’, che li preserva dai pericoli del viaggio in mare e dallo sfruttamento dei trafficanti di esseri umani; dall’altro lato, prevede l’attivazione di percorsi di integrazione socio-lavorativa, oltre all’ospitalità. I ‘corridoi umanitari’ concretizzano una ‘pratica sociale’, che va favorita ed assistita dall’amministrazione, impegnata per tal guisa in una forma di tutela attiva della fondamentale dignità dei migranti, che potrebbe estendersi gradualmente e ponderatamente anche ai migranti economici ‘richiedenti’ un reinserimento tale da ritenersi adeguato alle condizioni esistenziali in cui si cimenta la loro ‘umana’ personalità41. 40 Il suddetto decreto ha fissato i criteri per l’individuazione delle organizzazioni, degli enti e delle associazioni che collaborano nell’attuazione dei programmi stessi, nonché le specifiche attività di verifica che la Questura competente deve espletare in ordine a ciascuno straniero, comunicandone gli esiti alla Prefettura. Con lo scopo di incentivare il sistema dei rimpatri volontari assistiti, rendendo operative le citate linee guida, è stato inoltre elaborato un sistema informatico integrato di gestione dei rimpatri volontari assistiti volto a strutturare un agevole e corretto dialogo inter-istituzionale per via telematica. Attraverso questo sistema si è attuata la decentralizzazione delle fasi procedurali ed il coinvolgimento di Prefetture e Questure nella gestione ordinaria delle richieste di adesione ai programmi di rimpatrio volontario assistito. A livello centrale viene riservata al Dipartimento per le Libertà Civili del Ministero dell’Interno la pianificazione delle attività per la attuazione dei programmi, nonché un ruolo di coordinamento, supervisione e monitoraggio dell’intera procedura di attuazione degli stessi. Di contro, si segnala che con l’art. 6 del Decreto ‘Salvini’ (d.l. n. 113/2018, cit.) «b) al fine di potenziare le misure di rimpatrio, il [solo] Fondo di cui all’articolo 14-bis, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è incrementato di 500.000 euro per il 2018, di 1.500.000 euro per il 2019 e di 1.500.000 euro per il 2020;». 41 Come è dato evincere dalla Relazione del Garante al Parlamento, richiamata nel testo, grazie a un Protocollo d’intesa sottoscritto tra il Ministero degli esteri, il Ministero dell’interno, la Comunità di Sant’Egidio e la 52 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… Al rigurdo, non può tuttavia tacersi la recente presa di posizione critica della dottrina rispetto al marcato livello di informalità, che caratterizza – a fianco del treaty-making power riconosciuto anche dal Trattato di Lisbona all’UE ed ai suoi Stati in materia di conclusione di accordi di riammissione – le forme di cooperazione di tipo amministrativo per l’allontanamento dei migranti irregolari presenti nel territorio degli Stati UE.. In particolare, i Mobility Partnerships (o partenariati di mobilità), adottati sotto forma di dichiarazioni congiunte (Joint Declarations) tra la Commissione europea, i Paesi membri interessati e lo Stato terzo, da un lato, e le Agende comuni su migrazione e mobilità, entrambi espressione del Global approach in materia di migrazione e mobilità, finirebbero, a loro volta, per incentivare, secondo una logica ‘a cascata’, l’informalità perseguita dagli Stati membri nelle proprie relazioni bilaterali42. Non manca, a sua volta, chi evidenzia, quale profilo di criticità di tali accordi, più che l’informalità, il mancato sforzo di individuare e valorizzare un effettivo interesse da parte dei Paesi di origine nelle politiche di riammissione43. In proposito, l’attenzione è rivolta a recenti studi americani verso forme di agreement, le c.d. Global Skill Partnerships, finalizzata alla creazione di abilità e alla mobilità delle competenze da realizzare in modo reciprocamente vantaggioso ed equo. Si tratta di una partnership bilaterale pubblico-privato volta a predisporre, a corredo di quote di stranieri ammessi a lavorare nei Paesi di destinazione in risposta alla loro crescente domanda di determinati servizi, il finanziamento della formazione presso il Paese d’origine secondo modalità preordinate ad evitare le conseguenze negative del brain drain44. Il tratto caratteristico di questo schema si rinviene nell’accordo pre-migrazione tra due Paesi e tutti i partner del settore privato con cui si individuano: l’istituzione che a destinazione contribuirà a finanziare la formazione dei migranti; quale parte della formazione si verificherà nel Paese di origine e secondo quali standards; chi offrirà lavoro a destinazione e a quali condizioni; i benefici che di riflesso tale ‘migrazione specializzata’ produrrà pure per la formazione dei non migranti. Lo schema appena de- Federazione delle Chiese evangeliche e la Tavola valdese, è stato possibile varare un progetto pilota consistente nell’attivazione di un ‘corridoio umanitario’ per l’ingresso in Italia di 1.000 soggetti vulnerabili provenienti dal Libano (siriani), dall’Etiopia (eritrei) e dal Marocco (sub-sahariani). Ai 1.000 selezionati viene garantito l’ingresso legale in Italia con visto umanitario con la possibilità di presentare successivamente la domanda d’asilo. Lo scorso 12 gennaio il Ministero dell’interno e la Direzione per le politiche migratorie del Ministero degli esteri hanno firmato un nuovo Protocollo d’intesa con la Conferenza episcopale italiana (che agirà attraverso Caritas Migrantes e la Comunità di Sant’Egidio) per l’apertura di un corridoio umanitario a favore di 500 profughi eritrei, somali e sud-sudanesi fuggiti dai loro Paesi per i conflitti in corso. I ‘corridoi umanitari’ concretizzano una prassi di cui è auspicabile uno sviluppo perché in grado di tutelare la dignità e i diritti dei migranti. Sul punto v. P. Bonetti, I diritti dei non cittadini nelle politiche dell’UE, in Metamorfosi, cit., 195. 42 F. Casolari, L’interazione tra accordi internazionali dell’Unione europea ed accordi conclusi dagli Stati membri con Stati terzi per il contrasto dell’immigrazione irregolare, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it 1, 2018; v. anche E. Olivito, Il cul-de-sac costituzionale degli accordi in forma semplificata: iniziativa legislativa parlamentare ed esternalizzazione delle politiche migratorie, in Dir. pubbl., 2018, 435 ss. 43 G. Amato, Intervento al convegno ‘Ripensare il diritto dell’immigrazione’, Viterbo, 29-30 novembre 2018, diffuso via canale web YouTube ADiM. 44 M. A. CLEMENS, Global Skill Partnerships: a proposal for technical training in a mobile world, in IZA Journal of Labor Policy, 2015, 1 ss. 53 Relazioni  scritto sembra, in qualche modo, confermare la validità dell’implementazione dei progetti di rimpatrio volontario assistito, se adeguatamente ponderata e articolata. Quanto al secondo aspetto concernente le prospettive che si aprono ad un rinnovato e più mirato impegno dell’amministrazione nei riguardi dei migranti, è da rilevare come esse comportino la necessità di rivedere le Procedure operative standard (SOP), sopra richiamate45. Oltre allo screening medico preordinato al fine di accertare immediatamente eventuali problemi sanitari di ogni singolo individuo, sarà indispensabile affiancare ai funzionari degli uffici immigrazione46 ed ai funzionari dell’EASO (l’Agenzia Europea per il Supporto all’Asilo) – deputati ad informare i migranti circa le modalità e gli effetti delle procedure di protezione internazionale e di ricollocazione (relocation) – il personale proprio e specializzato delle organizzazioni coinvolte nei programmi di rimpatrio assistito47, che verrebbe così ad aggiungersi alle già previste e generiche figure dei mediatori culturali. 45 Cfr. Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Senato della Repubblica, Rapporto sui centri di identificazione ed espulsione - febbraio 2016, con commento di A. Mangiaracina, Hotspots e diritti: un binomio possibile?, in www.dirittopenalecontemporaneo.it. È da evidenziare che nell’“Agenda europea sulla migrazione” manca una definizione di hotspot, essendo piuttosto descritte le modalità con le quali ‘l’approccio hotspot’ deve essere attuato. Nello specifico, il personale distaccato dalle agenzie dell’UE – Frontex, l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo-EASO ed Europol – presente nei porti caratterizzati da un considerevole arrivo di migranti, sia economici sia in cerca di protezione internazionale, ha avuto finora il compito di offrire il proprio supporto operativo, in conformità alle funzioni di ciascun organismo, al fine di procedere allo screening sanitario, alla pre-identificazione, alla registrazione, al foto-segnalamento e ai rilievi dattiloscopici di detti migranti nel termine di 48 ore dal loro arrivo. Queste operazioni assumono ora particolare importanza perché sono preliminari alla ‘differenziazione’ delle diverse categorie di migranti, processo che incide sul destino di queste persone. All’esito delle descritte procedure, infatti, i richiedenti asilo saranno trasferiti nei regional hubs presenti sul territorio nazionale, per la formalizzazione della domanda di asilo con l’assistenza dell’EASO; mentre coloro che possono accedere al sistema di ricollocamento saranno trasferiti in appositi hubs. I migranti ‘irregolari’ e non richiedenti protezione internazionale saranno, invece, trasferiti nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE), ora Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR), per poi essere rimpatriati, con la collaborazione di Frontex, attraverso il rimpatrio volontario assistito (art. 13, co. 5, d.lgs. n. 286/1998), se sono disponibili a collaborare, o il rientro “forzato” (mediante il provvedimento di cui all’art. 10, co. 1 e 2 o 13, co. 2, d.lgs. n. 286/1998). In questo contesto di migrazioni “miste”, Europol ed Eurojust assistono lo Stato membro ospitante per assumere informazioni utili nelle indagini contro le reti della tratta e del traffico di migranti. Il coordinamento del lavoro dei diversi esperti coinvolti nell’approccio hotspot, lo scambio di informazioni e la messa in atto di azioni coordinate dal momento dello sbarco fino alla canalizzazione di queste persone attraverso la procedura di asilo o di rientro, spetta alla Task Force regionale dell’UE (EURTF), con sede a Catania. Sulla situazione antecedente l’assetto attuale, cfr. M. Borraccetti, La prima assistenza cit.; E. Mitzman, Il rimpatrio dei migranti irregolari, in La crisi migratoria, cit. (a cura di M. Savino), 109 ss. 46 Si tratta dei funzionari finora impegnati nella compilazione del cd. foglio-notizie contenente le generalità, la foto e le informazioni di base della persona, nonché l’indicazione circa la sua volontà o meno di richiedere la protezione internazionale. 47 Da questo punto di vista le previsioni contenute nella già richiamata l. n. 47/2017, sulle misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati, sembrano, quanto meno in astratto, più attente, rispetto ai disposti dalla L. n. 46/2017, di conversione del ‘Decreto Minniti’, alla predisposizione di sussidi in grado di affiancare e sostenere i migranti nelle loro scelte; e questo sia in termini di più comprensive competenze e responsabilità del personale preposto alle strutture di prima accoglienza, sia in termini di requisiti più esigenti nella preparazione e formazione del personale deputato all’assistenza (oltre che legale, anche psico-emotiva e culturale), sia ancora in termini di maggiore coinvolgimento e di più mirata selezione del privato-sociale impegnato nelle varie iniziative progettuali previste. Tuttavia, come si è già avuto modo di anticipare, anche per queste previsioni legislative non risulta apprestata una copertura finanziaria adeguata. 54 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… In tal modo, la ‘chiusura fisica’ degli spazi dedicati ai punti di crisi, pure imputabile alla Roadmap italiana sulle migrazioni, verrebbe attenuata e, per certi versi, riequilibrata dall’‘apertura’ di quei luoghi al personale delle istituzioni, pubbliche e private, impegnato – come detto – nei programmi di rimpatrio assistito, e quindi più idoneo ad assicurare il fondamentale rispetto e la valorizzazione dell’humanitas propria della dignità tipica di ciascuna persona immigrata. Sembra potersi affermare che risulterebbero così soddisfatti quanto meno i presupposti perché, nel contraddittorio (colloquio) con l’interessato, si pervenga ad una più mirata verifica della situazione individuale del migrante, oggetto della motivazione specifica che, di seguito, deve essere fornita, per un effettivo esercizio del due process48, circa le diverse forme di rimpatrio adottate nel singolo caso. Tale tipo di trattamento personalizzato del migrante – la cui obbligatorietà è desumibile, peraltro, anche dall’art. 4, prot. n. 4, della CEDU – si scontra tuttavia con alcune criticità non sempre adeguatamente risolte, come è messo in luce dai rilievi indotti da una recente pronuncia della Grande Camera sul divieto di espulsioni collettive49. Peraltro, le criticità rilevate in materia potrebbero essere avviate in parte a soluzione proprio dall’itinerario interpretativo ed applicativo dei richiamati artt. 10 ter e 14 ter del TUI, come sopra delineato, pure in virtù del combinato disposto con l’art. 13, comma 5, del medesimo Testo Unico50. 48 Cfr. M. Savino, L’«amministrativizzazione» della libertà personale e del due process dei migranti: il caso Khlaifia, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 2016, 50 ss. 49 Si v. P. Bonetti, Khlaifia contro Italia: l’illegittimità di norme e prassi italiane sui respingimenti e trattenimenti degli stranieri, in Quad. cost., 2017, 176 ss., secondo cui «La Grande Camera ritiene di per sé non decisivi per poter accertare l’espulsione collettiva vietata altri argomenti valorizzati dalla sezione semplice (omogeneità e genericità dei provvedimenti espulsivi; grande quantità di espulsioni simultanee) e infine osserva che i ricorrenti non avevano fornito concreti elementi per dimostrare che, qualora sentiti, avrebbero potuto ottenere la sospensione dell’espulsione e la permanenza in Italia. Così la sentenza finisce per sindacare l’utilità in concreto dell’esame individuale. Tale interpretazione appare opinabile sia perché riduce il divieto previsto dall’art. 4, prot. 4, CEDU al divieto di refoulement ricavabile dagli artt. 2 e 3 CEDU, sia perché trasferisce sullo straniero l’onere di far emergere le peculiarità del proprio caso innanzi alle medesime autorità che lo stanno illegittimamente trattenendo, anche allorché egli non abbia alcuna possibilità di conoscere le ragioni della propria detenzione e di contestare la legittimità di tale misura innanzi a un organo imparziale, il che rende difficile che possa avanzare argomenti contro il proprio rimpatrio». L’A. fa discendere dalle considerazioni, ora riportate, che «nelle norme italiane manca una disciplina precisa di questa preventiva valutazione della situazione individuale dello straniero che si trovi in situazione di soggiorno irregolare, che è ineludibile per dare effettività ai diritti fondamentali coinvolti, il che esige anche di trovare le necessarie risorse organizzative e finanziarie». 50 In base a quest’ultimo disposto «Lo straniero, destinatario di un provvedimento d’espulsione, qualora non ricorrano le condizioni per l’accompagnamento immediato alla frontiera di cui al comma 4, può chiedere al prefetto, ai fini dell’esecuzione dell’espulsione, la concessione di un periodo per la partenza volontaria, anche attraverso programmi di rimpatrio volontario ed assistito, di cui all’articolo 14-ter. Il prefetto, valutato il singolo caso, con lo stesso provvedimento di espulsione, intima lo straniero a lasciare volontariamente il territorio nazionale, entro un termine compreso tra 7 e 30 giorni. Tale termine può essere prorogato, ove necessario, per un periodo congruo, commisurato alle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno nel territorio nazionale, l’esistenza di minori che frequentano la scuola ovvero di altri legami familiari e sociali, nonché l’ammissione a programmi di rimpatrio volontario ed assistito, di cui all’articolo 14-ter [..]». 55 Relazioni  L’attivazione di una prassi ispirata ai suddetti criteri interpretativi, costituzionalmente orientati, escluderebbe, ad esempio, che si possa far leva sull’art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990, per sostenere l’irrilevanza dell’obbligo procedimentale di un contraddittorio con l’interessato. Ed invero, come è stato sottolineato, «il contraddittorio con l’interessato – nella forma più immediata e garantista del colloquio orale, alla presenza di personale qualificato e di un traduttore – è indispensabile all’amministrazione per procedere a un accurato accertamento dei fatti (relativi alla situazione personale del migrante) dai quali dipendono l’an e il quomodo del rimpatrio»51. L’obbligatorietà di questi accertamenti discende dalla circostanza che solo per tal via possono, del resto, concretizzarsi i tratti della personalizzazione delle misure da adottare, con il ricorso a colloqui condotti da figure qualificate e dotate di una spiccata motivazione ed empatia nel cogliere la dimensione e i bisogni ‘relazionali’ dei migranti; figure – si ribadisce – che possono prevalentemente rinvenirsi negli organismi del privato-sociale e/o del terzo settore, purché accreditate per il tramite della loro ammissione al finanziamento a valere sul Fondo Asilo Migrazione e Integrazione (FAMI), e quindi adeguatamente selezionate e scrupolosamente vagliate prima di essere coinvolte dall’Amministrazione nelle procedure di che trattasi52. 2.2. Centri di permanenza per il rimpatrio. Un analogo angolo prospettico può essere altresì assunto nell’interpretazione della disciplina dettata con riguardo alla vera e propria detenzione presso i c.d. Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR), denominazione che l’articolo 19 del ‘decreto Minniti’ ha adottato per qualificare quelli che precedentemente costituivano i Centri di identificazione ed espulsione (CIE). Il mutamento di denominazione vorrebbe corrispondere all’intento di una rivisitazione della stessa detenzione amministrativa, quale possibile manifestazione di esercizio del potere di rimpatrio, quanto meno tendenzialmente conforme a regole coerenti con lo scopo di apprestare una tutela fondamentale della dignità tipica di ogni umana persona, non esclusa la persona dello straniero privo (o privato) di qualsiasi prospettiva di integrazione. 51 «Per essere completa, infatti, l’istruttoria procedimentale deve consentire all’amministrazione una piena conoscenza delle circostanze fattuali dalle quali dipende l’applicazione dei divieti di espulsione o delle modalità personalizzate di rimpatrio (a loro volta, condizionate da situazioni personali che devono essere, appunto, “debitamente accertate”)». Così M. Savino, L’«amministrativizzazione», cit., 58-67. 52 Si verrebbe per tal modo incontro ad una delle sollecitazioni rivolte al nostro Paese nella relazione speciale del 2017 della Corte dei conti europea, La risposta dell’UE alla crisi dei rifugiati: il “sistema basato sui punti di crisi” (hotspot approach), presentata in ottemperanza all’art. 287, paragrafo 4, secondo comma, del TFUE, consultabile in www.eca.europa.eu, 7. Va da sé che l’ osservanza di tali obblighi da parte dell’Amministrazione procedente andrebbe perseguita, anche ai sensi dell’art 13 CEDU, provvedendo ad un adeguato presidio legale delle garanzie in capo ai migranti ed ammettendo in giudizio in sede di giurisdizione amministrativa le associazioni di tutela, analogamente a quanto previsto, per i minori stranieri non accompagnati dalla l. n. 47/2017 (cfr. artt. 16 e 19 della legge ora richiamata). 56 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… Deve, preliminarmente, segnalarsi come, in forza delle nuove previsioni, il Questore possa disporre, anche prima dell’emanazione del provvedimento espulsivo, il trasferimento e conseguente trattenimento presso i Centri di permanenza per il rimpatrio degli stranieri che rifiutino reiteratamente di sottoporsi negli hot-spot alle operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico; ciò dovrebbe comportare un effetto deflattivo sul prolungamento della permanenza dei migranti presso gli stessi hot-spot, in uno stato detentivo de facto. Perché tale effetto si realizzi in concreto, il legislatore non ha potuto evitare di confrontarsi con i problemi connessi alla scarsa capienza (e capillarità) dei CIE (ora CPR), anche a fronte delle eccezionali situazioni legate alle emergenze degli sbarchi53. Queste circostanze hanno sovente posto l’autorità di pubblica sicurezza di fronte a un’alternativa insoddisfacente: prolungare l’illegittimo trattenimento nel CPSA/hotspot, nell’attesa che il rimpatrio divenga realmente eseguibile (perpetuando quanto è accaduto nel 2011 ai ricorrenti tunisini nel caso Khlaifia); oppure rinunciare al rimpatrio, limitandosi ad adottare nei confronti dei migranti irregolari, rimessi in libertà, un ordine di allontanamento destinato a rimanere inosservato. Sembra volersi fare carico di questa problematica l’art. 19 del ‘decreto Minniti’, nella parte in cui prevede «d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze (…) iniziative 53 Come rilevato da P. Bonetti, Osservatorio italiano, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it 2, 2017, in forza della lettura dei dati rinvenibili dalla relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione (S. 2705), sussistono non poche difficoltà di effettivo reperimento e adattamento dei locali, nonché quelle insite nell’esigenza di provvedere ad una davvero efficiente organizzazione dei Centri. Infatti «l’ampliamento della rete dei Centri di permanenza per i rimpatri dovrebbe incrementare la capienza attuale (che è di fatto di circa 360 posti) fino a 1.600 posti. Si tratta dunque di un incremento di 1.240 posti. Le spese complessive stimate per tali lavori sono pari a 13 milioni di euro, secondo quanto previsto dallo stesso comma 3. A tali spese per lavori si aggiungono, in base alla medesima disposizione, quelle di gestione dei Centri, che sono stimate in 3,84 milioni di euro per il 2017 (nel quale si prevede un primo incremento di 500 posti), in 12,4 milioni di euro per il 2018 (nel quale si prevede un secondo «scaglione» incrementale di 600 posti), in 18,22 milioni di euro dal 2019 (anno nel quale si prevede un terzo ed ultimo incremento di 140 posti, fino all’obiettivo di un incremento complessivo di 1.240 posti, raggiungendosi così il totale perseguito di 1.600 posti). A sua volta, il comma 4 autorizza la spesa di 19,12 milioni per il 2017, onde garantire le espulsioni, i respingimenti e gli allontanamenti degli stranieri irregolari. Tali risorse (a valere sul Fondo asilo, migrazione ed integrazioni, programma FAMI, cofinanziato dall’UE nell’ambito del periodo di programmazione 2014/2020) sono in particolare destinate – specifica la relazione tecnica – a far fronte agli oneri conseguenti alla predisposizione dei voli di rimpatrio (sono ipotizzati diciassette voli charter) e correlative spese del personale, per un lasso temporale che copre dieci mesi del 2017 (posto che i primi due mesi dell’anno erano trascorsi al momento della entrata in vigore del decreto-legge)». Da ultimo, cfr. anche A. Di Martino, La doppia dimensione dei diritti fondamentali, in www.gruppodipisa.it, 2016, 31 ss., con una estensione di quanto riferito nel testo anche al diritto di difesa e alla libertà personale, che esigono l’istituzione di tribunali e carceri, l’assunzione di personale e il regolare funzionamento dell’ordinamento giudiziario. Con particolare riguardo alla dignità delle persone detenute, l’A. sottolinea che «l’art. 27 comma 3 Cost. contiene sia una libertà negativa, che vieta allo stato l’inflizione di trattamenti inumani e degradanti nei confronti del detenuto, sia il compito dei poteri pubblici di intervenire positivamente, e di farlo in una doppia direzione: da un lato, approntando gli strumenti processuali adeguati per la tutela del diritto a un trattamento conforme al principio di umanità della pena, dall’altro predisponendo complessi architettonici idonei e rimodulando le politiche penali, al fine di evitare un cronico sovraffollamento carcerario. Tutto ciò implica la configurabilità, anche per i più tradizionali diritti civili, di obblighi di prestazione in capo ai poteri pubblici e la necessaria destinazione di risorse economiche per la loro tutela, inducendo a mettere in discussione la divaricazione, quantomeno dal punto di vista strutturale, tra diritti civili e diritti sociali». 57 Relazioni  per garantire l’ampliamento della rete dei centri, di cui all’articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in modo da assicurare la distribuzione delle strutture sull’intero territorio nazionale». Al fine di assicurare la tempestiva esecuzione dei lavori per la costruzione, il completamento, l’adeguamento e la ristrutturazione dei centri in oggetto, l’art. 2 del successivo D.l. n. 113 del 2018 prevede, peraltro, al secondo comma, che, «per un periodo non superiore a tre anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, e per lavori di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, è autorizzato il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara di cui all’articolo 63 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza e rotazione, l’invito contenente l’indicazione dei criteri di aggiudicazione è rivolto ad almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei». La medesima disposizione assegna, poi, all’Autorità nazionale anticorruzione il compito di vigilanza collaborativa ai sensi dell’articolo 213, comma 3, lettera h), del Codice degli appalti54. Al riguardo, va, in primo luogo, sottolineato come l’utilizzo di una disposizione legislativa in materia di dislocazione di strutture ‘detentive’ appare rispettoso del principio secondo cui «la garanzia contro le limitazioni della libertà è, prima ancora che una garanzia espressa in termini di controllo giurisdizionale, una garanzia che si traduce in una riserva di fonte, e con specifici attributi modali: qualunque dispositivo tale da produrre l’effetto di limitazione della libertà può legittimamente farlo – e cioè aspirare ad essere esso stesso costituzionalmente legittimo – solo se i “casi” e i “modi” della sua operatività sono stabiliti dalla legge»55. Quanto alle prescrizioni modali che devono accompagnare la previsione normativa dei casi in cui si verifica una qualche limitazione della libertà personale, l’art. 14, comma 1, ultima parte, TUI, rinviava a suo tempo, per l’individuazione e la costituzione dei CIE, ad un «decreto del Ministero dell’interno, di concerto con i Ministri per la solidarietà sociale 54 Cfr., in tal senso, Ministero dell’Interno, circolare 27 dicembre 2018, ‘Profili applicativi. Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, della legge 1° dicembre 2018, n. 132’. Per un primo commento della disciplina dei fenomeni migratori contenuto nel decreto, di cui al testo, v. M. Daniele, La detenzione come deterrente dell’immigrazione nel decreto sicurezza 2018, in Diritto penale contemporaneo, 2018, 95 ss. 55 Cfr. A. Di Martino, Centri cit., 23, che sul punto richiama la Corte Cost., sent. 10 aprile 2001, n. 105. La prospettiva, di cui al testo, sembra consentire di non prendere posizione rispetto alla non appagante interpretazione promossa dalla Corte EDU di ammettere, sia pure incidentalmente, solo ‘simulacri’ di diritti fondamentali, come quelli conseguiti in sede di disapplicazione dei regimi nazionali che prevedono pene detentive per la repressione dell’immigrazione irregolare, in nome dei risultati ascrivibili al superiore intento dell’ ‘efficienza’ del sistema dei rimpatri, il cui primario obiettivo, sintetizzato dall’espressione ‘Purchè se ne vadano!”, viene ricondotto al celere allontanamento dello straniero: si v. A. Pugiotto, La tutela giurisdizionale (assente o carente) nei meccanismi di allontanamento dello straniero, in Dir. soc., 2009, 481 ss. Sul punto, cfr. pure F. Spitaleri, L’interpretazione della direttiva rimpatri tra efficienza del sistema e tutela dei diritti dello straniero, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 2013, 15 ss. Sui margini per l’applicazione di una sanzione penale, M.E. Bartoloni, La direttiva rimpatri, il reingresso irregolare e la pena detentiva: una triangolazione dagli esiti ...molto incerti, in Dir. um. e dir. intern., 2016, 264 ss., osserva che, allo stato attuale, gli Stati membri conservano la facoltà di qualificare il soggiorno irregolare alla stregua di reato e di prevedere sanzioni penali per scoraggiare e reprimere questo tipo di condotta. Essi non possono tuttavia applicare la pena detentiva prima di aver esaurito gli strumenti amministrativi (anche di natura coercitiva) che la direttiva prevede per procedere all’espulsione. 58 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica». Tale previsione, come è noto, ha trovato svolgimento in una sequenza di fonti secondarie56, da cui possono evincersi, via via, e sia pure nell’ambito dei ristretti confini offerti dal rapporto tra le Prefetture e gli enti aggiudicatari della gestione dei Centri, numerose disposizioni volte a disciplinare altresì gli aspetti modali della detenzione. Per converso, lo scopo, di cui prima si è detto, del perseguimento di una tutela ‘fondamentale’ rispettosa e promotrice della dignità tipica di ogni umana persona, ivi compresa quella degli immigrati irregolari destinati ad essere rimpatriati, postula la predisposizione di un ‘ordinamento’ specifico della detenzione amministrativa, che, al pari dell’assetto normativo previsto per l’esecuzione di qualsiasi pena detentiva, non può che essere rinvenuto, per rispetto del secondo comma dell’art. 13 Cost., in seno ad una fonte di rango legislativo. In linea con tale postulato sembra doversi interpretare la legge di conversione del ‘decreto Minniti’, con riguardo a quelle previsioni che consentono di fare emergere, sia pure in via del tutto embrionale, aspetti della regolamentazione dei ‘casi’ e dei ‘modi’ della detenzione amministrativa finora relegati nell’ambito di prassi definite ‘opache’ e ‘occulte’ a motivo della loro collocazione in fonti normative di rango secondario57. Anzitutto, la legge individua alcuni parametri, sia pure di carattere generale ed orientativo, per l’esercizio della discrezionalità del Ministero circa l’allocazione dei Centri già esistenti esclusivamente in «strutture immobiliari». Inoltre, la «dislocazione dei centri di nuova istituzione avviene, sentito il Presidente della Regione o della Provincia autonoma interessata, privilegiando i siti e le aree esterne ai centri urbani che risultino più facilmente raggiungibili e nei quali siano presenti strutture di proprietà pubblica che possano essere, anche mediante interventi di adeguamento o ristrutturazione, rese idonee allo scopo, tenendo conto della necessità di realizzare strutture di capienza limitata idonee a garantire condizioni di trattenimento che assicurino l’assoluto rispetto della dignità della persona»58. 56 Tra gli atti di detta sequenza (v. infra in corrispondenza delle note 57-60) particolare rilevanza assume il decreto del Ministro dell’interno del 20.10.2014, con cui si è approvato il Regolamento recante «Criteri per l’organizzazione e la gestione dei Centri di identificazione ed espulsione», diffuso con circolare del 25.11.2014 del Capo Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione dello stesso Ministero. Sul regolamento suddetto, cfr. G. Savio, Lo stato di attuazione della direttiva rimpatri e il nuovo regolamento unico per i CIE, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 2014, 64 ss. 57 Cfr. I. Gjergji, Circolari amministrative e immigrazione, Milano 2013. In particolare, questo profilo attiene al tema più generale affrontato nelle trattazioni giuspubblicistiche di E. Silvestri, L’attività interna della pubblica amministrazione, Milano 1950; M.S. Giannini, voce Circolare, in Enc. dir., Milano 1964, vol. VII, 1 ss.; A. Ruggeri, Circolari amministrative e circolari di indirizzo politico, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, 1758 ss.; A. Catalani, Le circolari della pubblica amministrazione, Milano 1984; M.P. Chiti, voce Circolare, in Enc. giur., Roma 1988, vol. VI, 3 ss.; C. Tubertini, voce Circolari amministrative, in Dizionario di diritto pubblico, Milano 2016, vol. II, 858 ss. 58 La XIV Commissione permanente (politiche dell’Unione Europea) nell’esprimere parere favorevole sul Disegno di legge n. 4394, «giudicate favorevolmente le misure di cui all’articolo 19, che reca disposizioni per rafforzare l’effettività delle espulsioni e potenziare una rete di centri di permanenza per i rimpatri, prevedendo un ampliamento ed una distribuzione sull’intero territorio nazionale di tali centri; rilevato in proposito che le iniziative relative a tali centri sono assunte dal Ministro dell’interno d’intesa con il Ministro dell’economia e finanze e che la loro dislocazione – per i centri di nuova istituzione – è disposta sentito il Presidente della regione o della provincia autonoma interessata», auspica sul punto che la misura proposta consenta «un ampio ed effettivo coinvolgimento degli enti interessati in ordine alla ubicazione di tali strutture, al fine di garantirne 59 Relazioni  Emerge, quindi, come, a differenza dell’art. 14, comma 1, TUI, sopra esaminato, la legge n. 46 abbia inteso esplicitamente ispirare all’«assoluto rispetto della dignità della persona» le regole conformatrici del potere di ‘organizzazione’ della detenzione amministrativa all’interno dei centri, assegnando rilevanza, peraltro, al coinvolgimento degli enti locali, di recente riconosciuti, da parte della giurisdizione ordinaria, titolari della pretesa risarcitoria nei confronti dell’amministrazione statale per violazione dei diritti inviolabili dei soggetti trattenuti nei Centri ricadenti sul proprio territorio, sub specie di danno all’immagine per quegli enti, «i cui statuti testimoniano anche sul piano normativo quali siano i riconosciuti e radicati principi di accoglienza cui si ispira la comunità locale, storicamente permeata da una singolare apertura sociale, culturale ed economica nei confronti dello straniero»59. I tratti più marcatamente rilevatori della prefigurazione di un ‘ordinamento’ della detenzione amministrativa si evincono, poi, dalla caratura multidimensionale dei diritti riconosciuti ai soggetti in regime di ‘confinamento’. La legge di conversione sembra apparentemente limitarsi ad arricchire l’elenco delle scarne libertà fin qui riconosciute dal TUI60, prevedendo: «Nei centri [..] si applicano le disposizioni di cui all’articolo 67 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale esercita tutti i poteri di verifica e di accesso di cui all’articolo 7, comma 5, lettera e), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10». Invero, ad un esame più approfondito, la norma, con i richiami in essa contenuti, si presta – se rettamente intesa ed applicata – ad assicurare una tutela additiva di fondamentali bisogni connessi alla condizione umana e personale dei migranti. La nuova disciplina delle visite ai centri di permanenza per il rimpatrio è ricavabile dal rinvio all’art. 67 dell’Ordinamento penitenziario, con la conseguente caducazione delle omologhe disposizioni, di cui al Regolamento in vigore dal 2014. Essa consente, per il tramite dell’individuazione dei soggetti cui è consentito accedere senza alcuna autorizzazione, più ampie possibilità di interlocuzione con il migrante detenuto, funzionali non solo all’assolvimento dei compiti di controllo e sicurezza, ma anche alla promozione delle istanze di progettualità insite nel nucleo indefettibile della sua persona61. la migliore integrazione e compatibilità con le esigenze dei territori circostanti», anche se, come sottolineato dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, «la costituzione e l’individuazione dei C.I.E. attengono ad aspetti direttamente riferibili alla competenza legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera b), della Costituzione, in quanto le suddette strutture sono funzionali alla disciplina che regola il flusso migratorio dei cittadini extracomunitari nel territorio nazionale» (Corte Cost., sent. 15 aprile 2010, n. 134). 59 Così Trib. Bari,10 agosto 2017, n. 4089, con commento di F. Cortese, Se un CIE non funziona bene, l’immagine della comunità locale è danneggiata, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 1 ss. 60 Secondo il Testo Unico «è assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno» (art. 14, co. 2) e «ai fini della comunicazione allo straniero dei provvedimenti concernenti l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, gli atti sono tradotti, anche sinteticamente, in una lingua comprensibile al destinatario» o comunque in una delle lingue “veicolari” (art. 2, comma 6). 61 Secondo l’art. 67 dell’Ordinamento penitenziario, che disciplina le visite agli istituti «Gli istituti penitenziari possono essere visitati senza autorizzazione da: a) il presidente del Consiglio dei Ministri e il presidente della 60 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… Più in particolare, il richiamo alla disposizione dell’Ordinamento penitenziario, per quanto indicativo dell’intento di non volere apprestare un ‘ordinamento’ proprio della detenzione amministrativa, nella forma organica adottata per quello carcerario, potrebbe comunque essere inteso come indizio di un primo passo verso la predisposizione di un ordinamento specifico. L’indirizzo così perseguito si fa, quindi, apprezzare non solo e non tanto per la copertura legislativa, per tal via offerta alla disciplina di questo aspetto della fase detentiva, quanto come sollecita (seppure tendenziale) osservanza del ‘vincolo di scopo’ dettato con riguardo all’humanitas della tutela da riconoscere in capo agli immigrati irregolari coinvolti nell’esercizio del potere di rimpatrio. Se a tale indirizzo si desse un seguito interpretativo ed attuativo nel senso da ultimo auspicato, l’‘amministrativizzazione’ della detenzione potrebbe non essere strumentalizzata in funzione elusiva delle garanzie giurisdizionali e del fine rieducativo cui le pene devono tendere ai sensi dell’art. 27, comma 3, Cost.; e potrebbe, invece, mettere in campo prassi mirate alla risocializzazione del detenuto amministrativo, rendendolo destinatario di trattamenti personalizzati, concretizzabili per il tramite di regole e strumenti tipici di un ordinamento simile a quello penitenziario62. Al perseguimento di questa auspicabile ‘umanizzazione’ del trattamento dei detenuti immigrati, può invero concorrere il previsto intervento del Garante, i cui poteri di verifica e di accesso vanno letti alla luce del ruolo che, nell’ambito delle politiche europee, questa figura è, da ultimo, chiamata ad assolvere, quale responsabile del monitoraggio del sistema di rimpatrio forzato63. Corte costituzionale; b) i ministri, i giudici della Corte costituzionale, i Sottosegretari di Stato, i membri del Parlamento e i componenti del Consiglio superiore della magistratura; c) il presidente della Corte d’appello, il procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello, il presidente del tribunale e il procuratore della Repubblica presso il tribunale, il pretore, i magistrati di sorveglianza, nell’ambito delle rispettive giurisdizioni; ogni altro magistrato per l’esercizio delle sue funzioni; d) i consiglieri regionali e il commissario di Governo per la regione, nell’ambito della loro circoscrizione; e) l’ordinario diocesano per l’esercizio del suo ministero; f) il prefetto e il questore della provincia; il medico provinciale; g) il direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena e i magistrati e i funzionari da lui delegati; h) gli ispettori generali dell’amministrazione penitenziaria; i) l’ispettore dei cappellani; l) gli ufficiali del corpo degli agenti di custodia; l-bis) i garanti dei diritti dei detenuti comunque denominati. L’autorizzazione non occorre nemmeno per coloro che accompagnano le persone di cui al comma precedente per ragioni del loro ufficio e per il personale indicato nell’art. 18-bis. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono accedere agli istituti, per ragioni del loro ufficio, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Possono accedere agli istituti, con l’autorizzazione del direttore, i ministri del culto cattolico e di altri culti». 62 Da ultimo, D. Galliani, Eguaglianza e rieducazione fanno il trattamento penitenziario, il resto è incostituzionale, in Quad. cost., 2018, 911 ss. 63 Il 21 ottobre 2014 la Commissione europea aveva inviato al nostro Ministro degli esteri una lettera di «costituzione in mora ex articolo 258 del TFUE» per varie questioni, tra cui il fatto che l’Italia, a norma del citato articolo della Direttiva, avrebbe dovuto istituire un sistema di monitoraggio effettivo dei rimpatri forzati. La Presidenza del Consiglio dei ministri, i rappresentanti del Dipartimento delle politiche europee e del Ministero dell’interno hanno ritenuto di poter individuare nel Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (già istituito, presso il Ministero della giustizia, dall’art. 7, d.l. n. 146/2013, convertito in l. n. 10/2014) l’organo di monitoraggio dei rimpatri forzati, in grado di soddisfare i requisiti di efficacia e indipendenza richiesti dalla Commissione europea. Con la nomina del Collegio del Garante Nazionale (febbraio - marzo 2016) e con l’avvio dell’operatività dell’Ufficio del Garante Nazionale il 25 marzo del 2016, questo organismo indipendente ha potuto concretamente iniziare a esercitare il suo ruolo di Autorità nazionale di monitoraggio dei rimpatri forzati. 61 Relazioni  L’approccio integrato e coordinato – di recente ribadito, nel marzo 2017, dalla Commissione europea – per l’implementazione delle politiche di rimpatrio, spinge ad individuare nella figura del Garante l’istanza maggiormente titolata non solo per raccogliere le segnalazioni relative alla violazione dei diritti fondamentali, ma anche per promuovere, con un metodo multidisciplinare, le modalità più ‘sostenibili’ per garantire efficienza al sistema dei rimpatri. In questa direzione, può costituire oggetto di un rinnovato interesse il Regolamento di attuazione del TUI, di cui al d.P.R. n. 394/1999, che conferisce ai Prefetti il potere di allestire e gestire i centri «anche mediante la stipula di apposite convenzioni con l’ente locale o con soggetti pubblici o privati che possono avvalersi dell’attività di altri enti, di associazioni del volontariato e di cooperative di solidarietà sociale» (art. 22, comma 2, d. P. R. n.394/1999). Tale previsione, ricondotta al contesto delle disposizioni di rango primario sopra richiamate, che ampliano il catalogo delle garanzie e delle aspettative dell’immigrato detenuto oltre lo spettro delle situazioni giuridiche inerenti ai beni primari, quali l’inviolabilità della persona e la salute – gli unici fin qui riconosciuti dal TUI –, può essere ora adeguatamente valorizzata. Per il suo tramite può concretizzarsi un trattamento individualizzato e flessibile del migrante anche presso i Centri di permanenza per il rimpatrio, quale proiezione del riconoscimento, asseverato dalla presenza e dalle visite del Garante, di una più specifica e differenziata dimensione assiologica in capo alla persona di ciascun soggetto. Un ulteriore e non scontato impegno ermeneutico postulava l’inserimento nella ricostruzione, fin qui proposta, del recente Decreto del Ministro dell’interno 20 novembre 201864, recante lo Schema di capitolato di gara di appalto, riguardante la fornitura di beni e servizi per la gestione e il funzionamento dei centri di prima accoglienza, di cui al decreto legge 30 ottobre 1995, n.451, convertito dalla legge 29 dicembre 1995 n. 563, nonché dei centri di accoglienza di cui agli articoli 9 e 11 del d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142 e dei centri di cui all’articolo 10 – ter e 14 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni, con relativi allegati, che tiene luogo del precedente decreto del Ministro dell’interno 7 marzo 2017, quale primo strumento diretto a garantire l’uniformità dell’accoglienza sul territorio nazionale e la trasparenza della gestione. Di detti disposti, si è sottolineata la portata di vere e proprie «Linee guida operative per la gestione» dei Centri65, che, nonostante rilevino all’interno del (solo) rapporto tra i singoli Uffici di Prefettura e gli aggiudicatari dell’appalto, si ritiene opportuno illustrare nei loro aspetti più significativi. Come sottolineato dalla Circolare ministeriale 15 gennaio 2019, il decreto ha inteso offrire «uno strumento flessibile di impiego meglio adattabile alle effettive potenzialità delle rispettive province, anche alla luce delle diverse esperienze maturate e delle realtà complesse e diversificate emerse nelle attività gestorie dei centri presenti sul territorio 64 Il testo ha incontrato il parere favorevole del Consiglio dell’Autorità nazionale Anticorruzione nella seduta del 30 ottobre 2018 e sono state acquisite le valutazioni del Tavolo di coordinamento nazionale. 65 Per un commento al decreto cfr. P. Bonetti, Osservatorio italiano, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza. it 2, 2017. 62 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… nazionale, rimodulando i modelli prestazionali e differenziandoli in ragione della dimensione e tipologia dei centri, sempre nella salvaguardia del livello qualitativo dei servizi resi, prevedendo altresì costi medi di riferimento per la determinazione del prezzo a base d’asta per ciascun bando di gara», aggiungendo un richiamo al comma 9 dell’art. 1 del Decreto secondo cui l’organizzazione dei servizi « è improntata al pieno rispetto dei diritti fondamentali della persona anche in considerazione della sua provenienza, della sua fede religiosa, dello stato di salute fisica e psichica, della differenza di genere nonché a garantire misure idonee a prevenire forme di violenza, ed assicurare ove possibile l’unità dei nuclei familiari». Fanno seguito disposizioni che, solo apparentemente, attengono al piano privatistico, potendosi rinvenirvi piuttosto le tracce di un apparato normativo che regolamenta la disciplina degli istituti di detenzione e la loro organizzazione, pur non attingendo il livello della norma di rango primario. Al fine di dare un seguito congruo alla previsione di schemi di bando-tipo, specificamente predisposti dall’ANAC, e differenziati in base alle diverse dimensioni delle strutture e alle differenti esigenze del territorio, vengono previsti specifici bandi, fra cui quelli relativi ai centri di cui all’art. 10 ter del d.lgs. 286/1998 (cd. hotspot), sino ad oggi non regolamentati, ed ai centri di permanenza per il rimpatrio di cui all’art. 14 del d.lgs. 286/1998. La richiamata Circolare ribadisce che alcune problematiche prospettate dai livelli territoriali, approfondite in sede tecnica anche con il fattivo contributo di alcune Prefetture, hanno indotto a distinguere le strutture di accoglienza, articolate in singole unità abitative, come previsto dall’art. 1, comma 2, lett. a), dai centri collettivi, caratterizzati dalla messa in comune di tutti i servizi, come previsto dall’art. 1, comma 2, lett. b). Questa distinzione prelude ad una diversa modalità di gestione di taluni servizi. Servizi comuni, assicurati in tutte le strutture nel rispetto della vigente normativa comunitaria, sono, oltre al vitto e all’alloggio, la cura dell’igiene, l’assistenza generica alla persona, la tutela sanitaria e un piccolo sussidio per le spese giornaliere (cd. pocket money), non ricomprendendosi più quelli diretti a supportare l’integrazione, quali i corsi di lingua italiana e l’orientamento al territorio, che erano previsti dal D.M. 7 marzo 2017. Nelle singole unità abitative con capacità fino ad un massimo di 50 posti complessivi, è prevista un’autonoma gestione da parte degli ospiti dei servizi di preparazione dei pasti, di lavanderia, di pulizia ed igiene dei locali, attraverso la distribuzione ai migranti di derrate alimentari da cucinare per proprio conto, nonché la fornitura di beni per il lavaggio degli indumenti e per l’igiene e la pulizia degli ambienti. Sempre la Circolare suddetta richiama l’art. 1, comma 3, del Decreto secondo cui «i restanti servizi di gestione amministrativa, di assistenza generica alla persona e di assistenza sanitaria, sono erogati con modalità “in rete”, ossia con condivisione delle unità di personale destinate agli stessi, qualora insistano nel medesimo comune, ovvero in comuni contigui la cui distanza consenta, in ogni caso, un tempo di percorrenza, di norma, non superiore a 30 minuti; in tal caso, la dotazione minima di personale viene considerata con riferimento non alla singola unità abitativa ma a tutte le unità abitative che concorrono al numero complessivo dei posti destinati all’accoglienza». L’art. 1, comma 2, prima parte, prevede, invece, che nei centri collettivi, quali ad es. alberghi o strutture similari, co63 Relazioni  stituiti da una o più strutture immobiliari, indipendentemente dalla relativa capienza (anche inferiore a 50 posti), l’erogazione di tutti i servizi sia prestata in modo differenziato – sotto il profilo del contenuto e delle modalità prestazionali – in relazione alle diverse tipologie e dimensioni del centro secondo le specifiche tecniche allegate. Si sollecitano gli organi competenti a prestare particolare attenzione ai «servizi di gestione amministrativa, che contemplano adempimenti di fondamentale importanza in quanto obbligano il gestore alla tenuta di una definita documentazione, [..] utile per i successivi controlli e l’accertamento della rispondenza prestazionale». Un ulteriore aspetto che la Circolare raccomanda di curare è rappresentato dal servizio complementare di assistenza sanitaria, che, in conformità a quanto disposto dall’art. 2, lett. C, comma 1 e ss. del Decreto, è ora modulato in ragione della dimensione del centro. In linea generale è previsto, a carico del gestore, l’obbligo dell’effettuazione della visita medica d’ingresso e degli interventi di primo soccorso sanitario finalizzati all’accertamento di situazioni di vulnerabilità ovvero di eventuali patologie che richiedano misure di isolamento o visite specialistiche o percorsi terapeutici, da svolgersi nelle strutture sanitarie pubbliche; inoltre, il gestore dovrà immediatamente attivare le necessarie procedure per l’iscrizione degli ospiti al servizio sanitario nazionale. Si ribadisce che «nei centri di accoglienza collettivi con capienza superiore a 50 ospiti, negli hotspot e nei centri di permanenza per il rimpatrio è previsto anche un presidio medico fisso situato all’interno della struttura che deve non solo provvedere ad effettuare la visita medica d’ingresso del migrante e gli interventi di primo soccorso sanitario ma anche, in caso di necessità, adottare le misure di profilassi, sorveglianza e soccorso sanitario disponendo l’eventuale trasferimento dell’ospite presso le strutture ospedaliere», di cui agli Allegati 3 bis, 4 bis, 5 bis, 6 bis e tab. A. Mentre nei «centri di accoglienza con capienza inferiore a 50 ospiti, tale servizio è ora assicurato, per quattro ore giornaliere, da un medico in ‘pronta disponibilità’ il quale, in caso di necessità, adotta le succitate misure di profilassi, sorveglianza e soccorso sanitario. Inoltre, allo scopo di garantire l’espletamento di tutte le attività connesse alle cennate visite mediche di ingresso e primo soccorso sanitario, si prevede la presenza del medico in struttura per una media di 4 ore all’anno per ciascun migrante e per un monte ore complessivo annuo di 200 ore su chiamata», di cui all’Allegato 1 bis, Allegato 2 bis e tab.A). Relativamente all’assistenza generica alla persona, infine, si evidenzia che l’assistenza psicologica continuerà ed essere assicurata agli stranieri ospiti negli hotspot, ai sensi dell’All. 6 bis, e nei centri di permanenza per il rimpatrio, di cui all’All. 5 bis, in ragione della necessità di intercettare possibili situazioni di vulnerabilità e di disagio. Quanto alla tipizzazione di una ipotesi di trattenimento nei casi di resistenza da parte degli stranieri a sottoporsi alle operazioni di identificazione, svincolata dall’adozione di un decreto di espulsione, essa rende, a sua volta, ancora più attuale l’ambito di operatività dell’art. 14 ter TUI, da cui si desume che possibili destinatari di programmi di rimpatrio volontario assistito sono anche stranieri trattenuti nei Centri di identificazione ed espulsione. In questo quadro, è opportuno segnalare, come l’art. 1 delle già richiamate “Linee guida per l’attuazione dei programmi di rimpatrio volontario assistito e le modalità di ammissione degli stranieri a tali programmi” includa, fra le altre specifiche attività, la divulgazione delle infor64 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… mazioni sulla possibilità di usufruire di sostegno al rimpatrio e sulle modalità di partecipazione ai relativi programmi, oltre all’assistenza nella fase di presentazione della richiesta e negli adempimenti necessari per il rimpatrio, nonché per la collaborazione con i Paesi di destinazione del cittadino straniero, al fine di promuovere adeguate condizioni di reinserimento. Inoltre, ai sensi del successivo art. 4, lett. d), i programmi di rimpatrio volontario e assistito, promossi ed attuati dal Ministero dell’Interno – anche avvalendosi della cooperazione delle organizzazioni internazionali e intergovernative esperte nel settore dei rimpatrio, delle Regioni, degli Enti locali, delle associazioni qualificate in materia di rimpatri – hanno «con priorità» come destinatari, gli stranieri trattenuti nei Centri di identificazione ed espulsione in forza dell’art. 14, comma 1, del TUI. Fatte sempre salve, anche nella materia da ultimo trattata, le riserve e i pre-condizionamenti sopra formulati a proposito della messa in atto e dello sviluppo dei programmi di rimpatrio volontario assistito66, dalla ricostruzione fin qui compiuta si ricava la possibilità di prefigurare quanto meno le linee di tendenza di un ‘ordinamento’, utile per una, auspicabilmente effettiva, rimodulazione delle prassi da adottare anche nei Centri di permanenza per il rimpatrio. L’‘apertura’ di queste sedi detentive, per il tramite dello strumentario tipico delle amministrazioni (quali regolamenti, circolari, convenzioni, protocolli di intesa), è da attivare all’interno di una rinnovata cornice ermeneutica costituzionalmente orientata e volta a valorizzare la dimensione relazionale della condizione umana anche con il coinvolgimento delle organizzazioni del privato sociale. Con ciò si potrebbe offrire allo straniero l’opportunità di liberarsi dalla ‘prigionia’ di una coatta imposizione di esclusione, e di giovarsi delle misure alternative connesse all’esercizio di un potere di rimpatrio, non più (e/o non solo) conformato secondo i connotati tipici del suo topos originario (quello della ‘sovranità nazionale’), ma ‘permeato’, piuttosto, da attitudini di dialogo con le diverse culture e con gli stessi Paesi di origine degli stranieri da riammettere. 3. ‘Diritti degli altri’ e potere amministrativo. Quanto fin qui esposto evidenzia come il ‘giurista studioso’, che si propone di rilevare e di approfondire i problemi sollevati dal fenomeno dei flussi migratori, si trovi dinanzi contrastanti e/o poco componibili spinte interpretative e ricostruttive, destinate a ripercuotersi sulla loro messa a ‘sistema’67. 66 Cfr. supra, in specie nt. 38. 67 Sulla necessità di una messa a ‘sistema’, v. C. Barbati, La disciplina dei flussi migratori: debolezze di sistema e debolezze di contesto, in Cittadinanza inclusiva e flussi migratori (a cura di F. Astone, F. Manganaro, A. Romano Tassone, F. Saitta), Soveria Mannelli, 2009, 23 ss. Sui compiti del ‘giurista studioso’ si segnalano le avvertenze metodologiche di G. Clemente di San Luca, Il ruolo del giurista studioso nel processo di modernizzazione della pubblica amministrazione, in Dir. pubbl., 2016, 1019, ss. Si consenta, altresì, il rinvio a V. Berlingò, La rilevanza dei fatti di sentimento nel diritto amministrativo: i fattori relazionali nella tutela dei diritti sociali, in Dir. amm., 2012, 171, nt. 58. 65 Relazioni  Invero, al fine di conseguire un reale potenziamento delle misure di salvaguardia atte a riscattare i migranti dalle condizioni inumane in cui spesso versano, si è osservato come «il due process amministrativo dei migranti è destinato ad acquisire rilievo costituzionale autonomo e a escludere la legittimità di qualsiasi automatismo nel rimpatrio degli irregolari dopo il loro arrivo via mare»68; ma si è pure lamentato, al contempo, come in Italia la legge, anziché privilegiare – quanto meno a livello di principio – «il diritto ad un trattamento giuridico conforme a … equal protection, proportionality e due process»69, continua in modo inequivoco a dar voce prevalentemente all’interesse ‘securitario’ dei soli cittadini70. La tensione che si consuma fra legislatore e giudice71, emersa pure nei paragrafi precedenti, forse è fuorviata dall’«illusione» – per utilizzare l’efficace stigma invalso in dottrina – di poter «amministrare … senza amministrazione»72. In una qualche misura si rischierebbe di rimanere invischiati in tale «illusione» se, a legislazione e giurisprudenza invariate, si considerassero a priori inidonei, allo scopo di sovvenire ad un miglioramento delle condizioni dei soggetti amministrativamente detenuti, gli strumenti comunemente maneggiati dalla stessa amministrazione, ossia, come prima accennato, i regolamenti, le istruzioni, le circolari, le ordinanze et similia. Siffatte misure, ove si rendessero direttamente e fedelmente attuatrici delle previsioni costituzionali, potrebbero rivelarsi strumenti non trascurabili ai fini di una resa operativa ed efficace della ‘fondamentalità’ dei principi in quelle previsioni contemplate. Nell’ambito di un diritto amministrativo che non si limiti più a svolgere un limitato ruolo di garanzia73, ed una volta chiarito che è preferibile rinunziare ad un giusnaturalismo ‘enfatico’ o di maniera, proclive a scadere nel suo esatto opposto, e cioè nel giusformalismo più radicale74, possono individuarsi gli spazi per conseguire la fondamentalità (o l’assolu- 68 M. Savino, Lo straniero cit., 53. 69 Cfr. ancora M. Savino, Lo straniero cit., 66 ss., 69. 70 M. D’Alberti, L’Unione Europea, cit., 768. 71 Emblematiche al riguardo le sentenze della Corte costituzionale italiana richiamate da M. Savino, Lo straniero, cit., 49 s. (dal prototipo rinvenibile nella sent. Corte Cost., 24 febbraio 1994, n. 62, alle successive pronunzie Corte Cost., sent. 17 marzo 2006, n. 106, Corte Cost., sent. 16 maggio 2008, n. 148, Corte Cost., sent. 6 luglio 2012, n. 172, Corte Cost. sent. 18 luglio 2013, n. 202, Corte Cost., sent. 12 dicembre 2014, n. 277). 72 M. Cammelli, Amministrare senza amministrazione, in il Mulino, 2016, 578 ss. e Id., Amministrazione e mondo nuovo: medici, cure, riforme, in Dir. amm., 2016, 9 ss. 73 Questa tendenza ad un minore formalismo, soprattutto negli interventi del potere giurisdizionale, il cui compito è di concretizzare il diritto, è un dato ormai acquisito nel settore che qui interessa, quale il diritto amministrativo, ed in particolare il diritto processuale amministrativo, come si desume dalla norma dell’art. 34 del Codice del processo amministrativo, che, superando la rigida distinzione tra sentenze dichiarative e costitutive (sul piano pratico ed applicativo, v. già prima A. Tigano, In tema di accertamento nel giudizio di annullamento, in Annali dell’Università di Economia e Commercio dell’Università di Messina, Milano 1981, 5 ss.), ha consentito al giudice amministrativo di modellare la sua pronuncia in relazione allo scopo pratico da perseguire, identificato con la realizzazione piena e sostanziale dell’interesse in lite. 74 Per più ampi rilievi, cfr. V. Berlingò, La rilevanza, cit., 149, anche nelle note. In termini ancora più marcati si esprime R. Cavallo Perin, Intervento alla Tavola rotonda, in Dalla cittadinanza amministrativa alla cittadinanza globale (a cura di F. Manganaro, A. Romano Tassone), Roma, 2005, 214, secondo cui «Qualsiasi tentativo di creare una cittadinanza globale o si afferma come altro rispetto alla radice storica della parola cittadinanza, 66 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… tezza) della tutela anche per il tramite di tecniche diverse da quella dei diritti (più o meno fondamentali) tradizionalmente o tralatiziamente intesi. La plausibilità di tale diversa prospettiva sembra potere essere ribadita sulla scorta di alcune tendenze in atto, specie nel diritto amministrativo, messe in luce da chi evoca una ‘ridrammatizzazione dell’interesse legittimo’75. A fronte dell’ormai incontestata riduzione delle distanze tra diritto soggettivo ed interesse legittimo – in forza anche dell’assimilazione delle tecniche di tutela accordate da un giudice (amministrativo) sempre meno considerato come ‘speciale’ – la categoria del diritto fondamentale – stricto sensu intesa e non adeguatamente rivisitata 76 – si rivela non più adeguata – se non nei limiti di un riconoscimento meramente ‘enfatico’ dell’enunciato77 – a fronteggiare da sola la complessità dei fenomeni. E ciò anche sulla scorta della casistica elaborata dalla giurisprudenza con riguardo ad ambiti ascrivibili ad un modello di amministrazione ‘per prestazioni’. Come è dato evincere sempre dalla giurisprudenza78, alla fondamentalità della situazione giuridica soggettiva – comunque la si voglia individuare – può essere attribuito un ruolo diverso e /o ulteriore, rispetto a quello riservatole dall’angusta logica binaria dei diritti incomprimibili, mero contraltare del potere. Essa può fungere da riferimento essenziale per l’elaborazione del ‘complesso di regole’ da impiegare nella conformazione del potere amministrativo79; regole che, nell’ordinamento italiano trovano il loro input principale nel combinato disposto degli artt. 2 e 3, comma 2, Cost., ma che risultano esplicitate in diverse altre previsioni costituzionali, indipendentemente dalla loro collocazione fra i cc. dd. “Principi fondamentali”, come, ad esempio, avviene con l’art. 111, e − per quanto può qui soprattutto interessare − con il comma 2 dell’art. 117 in materia di livelli essenziali delle prestazioni, o anche con l’ultimo comma dell’art. 118 della Cost. sul principio di sussidiarietà80. Inoltre, per assicurare una maggiore consistenza e precettività effettiva alle Costituzioni programmatiche, intessute, al pari della nostra Carta repubblicana, di ‘norme di scopo’, è ormai opinione condivisa come non basti più che tutti i giudici asseverino la conformità oppure lo status di privilegio che alle persone fisiche si intende attribuire con tale qualità giuridica, si risolve – al di là delle distinzioni territoriali – in differenze che paiono assumere il sapore della discriminazione, in violazione dell’uguaglianza formale tra le persone che è stato uno dei principi su cui si è fondata storicamente la nozione della cittadinanza nello Stato moderno. Forse occorre riconoscere che il “privilegio” dei diritti fondamentali, una volta accordato a tutti, debba cessare come tale [..], cioè determini il venire meno di uno status giuridico differenziato delle persone a suo fondamento, lasciando così l’idea di una “cittadinanza globale”…come punto di caduta della nozione stessa di cittadinanza, quantomeno nell’accezione sinora conosciuta». 75 Così A. Pioggia, Per una ‘ridrammatizzazione’ dell’interesse legittimo, in Dir. pubbl., 2016, 113 ss. Per la più recente ed autorevole ricostruzione della situazione giuridica richiamata nel testo, cfr. F.G. Scoca, L’interesse legittimo. Storia e teoria, Torino, 2017. 76 Così come segnalato supra in corrispondenza della nota 4. 77 M.S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano 1981, 539. 78 Ex multis, cfr. Cons. St., 2 settembre 2014, n. 4460. 79 Così A. Pioggia, Giudici e legislatore. Interventi, in Dir. pubbl., 2016, 540 ss. 80 Sulla funzione promozionale del diritto, a integrazione di quella repressiva e di quella protettiva, v., per tutti, gli insuperati contributi di N. Bobbio, La funzione promozionale del diritto (1969), in Id., Dalla struttura alla funzione, Roma, Bari 2007, 3 ss., ed ivi, in specie 13-14. 67 Relazioni  del tessuto normativo di livello inferiore alle disposizioni fondamentali; occorre altresì che gli stessi apparati amministrativi si facciano carico di ‘custodire’ detta ‘fondamentalità’, non già in senso meramente statico, bensì pure dinamico, coinvolgendo in quest’opera i diretti interessati, mediante strumenti e procedure di partecipazione attiva e responsabile81. Sull’esempio di quanto avvenuto in altri rami del diritto, in cui si è riconosciuta la necessità di implementare la categoria dei beni vitali assumendo le correlate pretese a punto di intersezione e di convergenza di una molteplicità di distinti diritti fondamentali82, anche il processo di giuridificazione dei bisogni e delle aspettative degli immigrati irregolari in stato di detenzione amministrativa, ulteriori rispetto a quelli primari, esige uno sforzo altrettanto impegnativo da parte degli interpreti83. 4. La ‘fondamentalità’ del ‘diritto’ e la forza vitale della humanitas. Alcune considerazioni conclusive. In particolare, con riferimento alla specifica problematica, oggetto dell’indagine svolta in questa sede, lo sforzo dell’interprete (‘giurista studioso’) è tanto più urgente se è vero che – come è rilevato – la tutela dei diritti fondamentali dei migranti amministrativamente detenuti continua «ad essere in balia della politica e delle ragioni contingenti che ne informano e condizionano le scelte»84. In tale contesto l’obiettivo di individuare linee guida utili al processo di enucleazione delle regole idonee al governo della mobilità globale85, ha reso imprescindibile il ricorso ai 81 Cfr. A. Romano Tassone, Il “nuovo cittadino” di Feliciano Benvenuti tra diritto ed utopia, in Dir. amm., 2008, 316, richiamandosi al risalente apporto di F. Benvenuti, Il nuovo cittadino. Tra libertà garantita e libertà attiva, Marsilio, Venezia, 1994. Per uno sviluppo di questo fondamentale contributo, si v. A. Romeo, Amministrazione democratica e diritti del privato: verso un nuovo modello di cittadinanza, in Scritti in memoria di Antonio Romano Tassone, Napoli, 2241 ss. In un’analoga, anche se diversa, prospettiva, ritengono che la valorizzazione della personalità dei singoli cittadini possa incidere sul buon funzionamento della democrazia G.V. Caprara, M. Vecchione, Personalizing Politics and Realizing Democracy, Oxford, 2017. 82 L’implementazione, di cui si fa cenno nel testo, si è registrata con riferimento alla nozione di mere res corporales (funzionali alla fisica sopravvivenza), ed ha riguardato, ad esempio, la categoria del bene ‘vitale’ cibo con le sue proiezioni culturali o, più specificamente, religiose. Cfr., sul tema, A. Algostino, I diritti cit. 18 ss.; 18 ss.; B. Vimercati, Il diritto ai beni vitali, in www.gruppodipisa.it, 2016. 83 Al riguardo, si è avuto modo di segnalare, altrove e ad altri fini, la mancata valorizzazione, nell’affrontare la c.d. ‘quarta fase’ del sistema di welfare, delle sinergie virtuose della sussidiarietà orizzontale con la solidarietà: un incrocio che potrebbe risultare fecondo anche al fine di sovvenire ad una più adeguata rivisitazione della condizione degli immigrati irregolari, rispettosa, a pieno e positivamente, della loro umana dignità. Si consenta il rinvio a V. Berlingò, La rilevanza cit., 173; ma v. pure A. Ruggeri, Il principio di solidarietà alla prova del fenomeno migratorio, in www.consultaonline.it, 2017. 84 Cfr. T. Mazzarese, Diritti dei cittadini e diritti dei migranti nelle democrazie costituzionali, in A.A. Cassi (a cura di), Ai margini della civitas. Figure giuridiche dell’altro tra medioevo e futuro, Soveria Mannelli, 2013, 307, cit., da ultimo, in M. Pifferi, L’espulsione, cit., 855. 85 Cfr. D. Rinoldi, N. Parisi, Mobilità globale? Migrazioni e altri movimenti incidenti sull’integrazione europea al tempo delle libertà e dei conflitti, in L. Panella (a cura di), Le sfide dell’Unione europea a 60 anni della Conferenza di Messina, Napoli, 2016, 201 ss.; M. Savino, La crisi dei confini, in Riv. trim. dir. pubbl. 3, 2016, 758, suggerisce di «addomesticare» le pretese di sovranità degli Stati nazionali «attraverso regimi che sappiano preservare le 68 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… presidi metodologici proposti dall’insegnamento secondo cui il carattere peculiare del diritto è quello di essere una ‘scienza pratica’86, cui risulta connesso l’impegno a non trascurare gli elementi, che, pur “sommersi” o “occulti”, incidono indubbiamente nella governance delle migrazioni87. L’acquisizione della consapevolezza della ricorrenza di questi fattori ha implicato uno scrutinio dello stato dell’arte alla luce della logica giuridica e dei principi e valori fondamentali dell’ordinamento, attesa la capacità di questi ultimi di evidenziare aspetti rilevanti del ‘diritto vivente’ 88. È venuto così alla luce come all’interno del rapporto tra potere amministrativo e diritti degli ‘altri’, l’amministrazione sia sollecitata a concorrere, in una posizione specifica rispetto a quella degli altri poteri, all’implementazione delle iniziative e delle garanzie, che, nel loro insieme, costituiscono la base della «fondamentalità» dell’intero ordinamento89, capace, in ragione dei valori e principi cui si ispira, di imprimere una connotazione umana anche al rapporto di inclusione/esclusione coi migranti: ivi compresi, nei termini prima indicati, gli stranieri ‘amministrativamente detenuti’. competenze statali e, al contempo, orientarle alla soddisfazione di interessi (non solo nazionali, ma) comuni», mediante il ricorso ad una «concertazione» europea. Da ultimo, cfr. G. Sciortino, Rebus immigrazione, Bologna, 2017. 86 Il riferimento non può che essere al magistrale insegnamento di S. Pugliatti, La giurisprudenza come scienza pratica, in Riv. it. scienze giur., 1950, ora riedito in Id., Scritti giuridici, VI, Milano, 2012, 3 ss. 87 Si tratta di espressioni impiegate in senso figurato, come da I. Gjergji, Sulla governance delle migrazioni. Sociologia dell’underworld del comando globale, Roma, 2016. 88 A. Ruggeri, I diritti dei non cittadini tra modello costituzionale e politiche nazionali, in Metamorfosi, cit., 26, in nota, opportunamente invita a «prendere in considerazione anche le pratiche amministrative effettivamente invalse, per il tramite delle quali si fa e incessantemente rinnova, in modo compiuto, il “diritto vivente”». Secondo A. Romano Tassone, Metodo giuridico e ricostruzione del sistema, in Dir. amm., 2002, 17 ss., i principi cui si perviene con l’impiego della logica giuridica vanno assoggettati, perché si traducano, appunto, in ‘diritto vivente’, «ad un processo di convalidazione, che si articola, almeno nella giurisprudenza, in un momento di confronto ‘interno’ (verifica della concordanza dei principi indotti con i principi già accolti) e, per il giurista positivo, in un momento di confronto ‘esterno’ (deduzione, dai principi enucleati, della positiva soluzione di altri problemi giuridici che si pongono nell’ordinamento di riferimento)». Per altro, poco più avanti (p. 20), si legge come «l’unità di metodo nella giurisprudenza possa essere mantenuta anche nella pluralità delle tecniche interpretative. Queste ultime, infatti, operano essenzialmente all’interno della fase della traduzione del dato fenomenico in dato problematico, là dove consentono di compiere tale riduzione in base a diverse tavole di valori»; consentendo quindi (p. 21) «un’ampia apertura della scienza giuridica verso la realtà sociale». 89 La prospettiva del presente lavoro muove dall’insegnamento che ricava il valore preminente del rapporto amministrazione-funzionario-persona da una chiave assiologica non limitata ai valori procedimentali della celerità e simili, ma estesa ai valori costituzionali prevalenti, perché volti a realizzare la fondamentale tutela della dignità umana, come da ultimo ribadito in A. Tigano, Il “provvedimento semplificato” fra accelerazione del procedimento e obbligo di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, in Scritti in memoria di Antonio Romano Tassone, Napoli, 2697 ss. Si è, per tanto, andati oltre le prospettazioni incardinate su di una idea di diritto, e non solo del diritto fondamentale, declinata in senso principalmente soggettivo, rielaborando nei termini della fondamentalità l’attuazione/concretizzazione in senso oggettivo dell’intero ordinamento, secondo gli indirizzi per cui la funzione di ‘servare societatem’ non deve esaurirsi in meri compiti conservativi, ma deve evolvere piuttosto secondo dinamiche propulsive, del pari necessarie oggigiorno non solo per lo sviluppo ma per la sopravvivenza stessa della comunità in tutte le sue componenti. Sul punto non può che rinviarsi a A. Romano Tassone, voce Situazioni giuridiche soggettive (Dir. amm.), in Enc. dir., Agg. II, Milano 1998, 984 ss., ma anche, da ultimo, a G. Zagrebelsky, Diritti, cit., 125 s. 69 Relazioni  In questa prospettiva è emerso come quanto più s’innalza il tasso di fondamentalità proprio di ogni diritto in senso oggettivo(o ordinamento), tanto più è elevata la misura in cui si realizza, nella pratica dell’esperienza giuridica concreta, il senso di umanità, inteso come l’insieme dei valori sostantivi tipici, formalizzati nella trama dei principi posti a base dello stesso ordinamento. In termini ancora più espliciti si può dire: tocca ai diritti fondamentali di dotarsi della caratura di umanità «generata»90 dal tipo di ordinamento considerato, e non viceversa. Dall’esame fin qui svolto si delinea un contesto segnato da un deficit di tutela, soprattutto con riguardo allo straniero irregolare, solo in parte colmato dal legislatore con gli interventi fin qui posti in essere. Si può, comunque sia, rilevare ormai che alcune situazioni giuridiche soggettive − in specie quelle riconducibili alla comprensiva categoria del substancial due process of law 91, conformate in forza di un principio, quale quello dell’humanitas, strettamente legato alla impreteribile condizione vitale e personale del soggetto in quanto persona92 − non possono non essere estese allo straniero irregolare, sottoposto a detenzione amministrativa. Si tratta, infatti, di situazioni – come, ad esempio, i già richiamati diritti all’informazione ed alla partecipazione − funzionali ad un trattamento personalizzato, che trovano (o meglio: dovrebbe trovare) nelle correlate sedi di esercizio del potere amministrativo (non solo procedimentale, ma anche organizzativo e ‘prestazionale’), il luogo elettivo della loro soddisfazione. D’altra parte, se i diritti, avente i tratti fisionomici del c.d. ‘diritto al bene della vita’, si muovono adesso in direzione di una sempre più accentuata fondamentalità, di questi diritti non si può più accogliere un’accezione meramente negativa e minimale, quale quella di una pura e semplice tutela giurisdizionale. Fra l’altro, quest’ultima, per la sua intrinseca modulazione prevalentemente ‘autoritaria’ e formalistica, può trasformarsi per incidens in una misura ulteriormente regressiva rispetto alle libertà (specie quelle di segno positivo) dell’immigrato. Perché si possa pervenire in concreto alla sua effettiva implementazione anche il diritto di difesa va configurato in primo luogo alla stregua di un vero e proprio diritto al contraddittorio, rispetto al quale risulta previa la pretesa ad un dialogo tra pari da svolgere già in sede procedimentale93. 90 G. Silvestri, Valori, illusioni e finzioni, in Principi Costituzionali (a cura di L. Ventura, A. Morelli), Milano, 2015, 48. 91 Cfr., per le opportune referenze, R. Cherchi, I diritti, cit., 6 ss., in nota; M. Savino, L’«amministrativizzazione», cit., 58-67. 92 Secondo A. Romano Tassone, Situazioni cit., 985, la disciplina procedimentale dettata dalla l. n. 241/1990 non sembra infatti riconducibile, sempre ed in ogni caso, ad un’unica finalità, ma pare piuttosto che essa risponda ad una duplice funzione: quella, immancabile, di tutelare la dignità del cittadino e quella, eventuale, di consentirgli di difendere nel procedimento un suo interesse materiale indirizzando il potere della pubblica amministrazione. Sul punto, da ultimo, A. Tigano, Il “provvedimento semplificato”, cit.; F. Manganaro, Dal rifiuto di provvedimento al dovere di provvedere: la tutela dell’affidamento, in Dir. amm., 2016, 93 ss. 93 Quest’ultimo risultato è condizionato però dal riconoscimento al detenuto ‘amministrativo’ degli strumenti di accesso e di fruizione/produzione di un itinerario procedimentale prima ancora o più ancora che processuale. Al proposito, di ‘diritti procedimentali’ parla, infatti, F. Cortese, Cittadinanza e liberalizzazioni, in Dallo status di cittadino ai diritti di cittadinanza (a cura di F. Cortese, G. Santucci, A. Simonati), Napoli, 2014, 18. 70 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… La persona umana, come soggetto-in-relazione presenta, infatti, una intrinseca giuridica consistenza, che addirittura precede (e non si esaurisce nel)l’ambito che viene usualmente preso a riferimento per la positivizzazione dei diritti fondamentali94. Anzi: per la persona umana, nella condizione, sopra indicata, di «essere in relazione [..] assumono rilevanza i contesti comunicativi e l’insieme dei beni e delle opportunità messe a disposizione dalla società»95, fin dal momento in cui qualsiasi soggetto, in quanto persona, entra con essa in ‘contatto’, nelle varie fasi e vicende della sua esistenza, anche in quelle in cui non si prefigura (ancora) alcun ‘patto’ o ‘contratto’ e quindi ‘diritto’ di cittadinanza96. Il tralatizio costrutto della civitas – a meno che non si apra alla visuale della cittadinanza amministrativa 97 – rischia, infatti, di ‘internare’ al chiuso di un ordinamento limitato l’articolazione ‘multidimensionale’ ed universale dell’humanitas. Siffatta imprescindibile configurazione corrisponde alle diverse situazioni della vita di ogni persona, postulando, pertanto, una nuova e più flessibile declinazione della fondamentalità, secondo una prospettiva che si ricolleghi non solo agli stati di carenza, dipendenza e finitezza, ma altresì alla vulnerabilità, ed insieme alla ‘capibilità’ 98 della condizione umana. Lungo la linea che la prospettazione prima indicata individua e nel solco del più generale dibattito sulle ragioni della crisi dell’idea stessa di giustizia, quale emerge nei sistemi democratici odierni99, sembra, dunque, potersi ritenere che la valorizzazione della componente ‘umana’ trovi alimento nella tesi secondo cui il diritto deve inverarsi nella realtà concreta di una ‘pratica sociale’ 100. 94 Da ultimo, sull’enucleazione di una libertà di aiutare gli altri (la liberté d’aider autrui), secondo un fine uma- nitario, dal principio-matrice della fraternité di cui all’esperienza francese, cfr. F. Pizzolato, La fraternité matrice della «liberté d’aider autrui», in Quad. cost., 2018, 914 ss. 95 Si v. B. Pastore, Le ragioni, cit., 689 ss.; Id., Per un’ermeneutica, cit., 42-45. 96 Si v. Francesco, Accogliere e integrare gli immigrati, cit., 201-202, secondo cui, tenendo presente quanto già enunciato dal magistero di Giovanni Paolo II, e cioè che «la irregolarità legale non consente sconti sulla dignità del migrante, il quale è dotato di diritti inalienabili, che non possono essere violati né ignorati», le azioni da intraprendere sono riconducibili a «quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare». In sintonia con il magistero pontificio si orienta anche la Conferenza Episcopale Italiana: si v. per tutti N. Galantino, L’accoglienza dei migranti forzati oggi nella Chiesa in Italia, in Il Regno-att., 2017, 195 ss. 97 Cfr. R. Cavallo Perin, La configurazione della cittadinanza amministrativa, in Dir. amm., 2004, 201 ss.; nonché F. Saitta, Cittadinanza, partecipazione procedimentale e globalizzazione (Appunti preliminari sulle funzioni dell’istituto partecipativo nell’era del diritto globale), in Codice delle cittadinanze. Commentario dei rapporti tra privati e amministrazioni pubbliche (a cura di R. Ferrara, F. Manganaro, A. Romano Tassone), Milano, 2006, 331 ss. Per una nuova ipotesi ricostruttiva della civitas, cfr. anche F. Giglioni, Forme di cittadinanza legittimate dal principio di sussidiarietà, in Dir. e soc., 2016, 305 ss. 98 A. Sen, Diritti personali e capacità, in Id., Risorse, valori, sviluppo, trad. it., Torino, 1992, 133; H. Arendt, Le origini del totalitarismo, trad. it., Milano, 1996, 415; M. Nussbaum, Creare capacità. Liberarsi dalla dittatura del PIL, trad. it., Bologna, 2012; M. H. Bacque - C. Biewener, L’empowerment, une pratique émancipatrice, Paris, 2013. Secondo S. Žižek, Contro i diritti umani, Milano, 2005, come ripreso da N. Colaianni, La lotta per la laicità. Stato e Chiesa nell’età dei diritti, Bari, 2017, 141, «Vengo privato dei diritti umani proprio nel momento in cui sono ridotto a un essere umano ‘in generale’». Più in particolare, dal punto di vista strettamente giuridico, cfr. B. Pastore, Le ragioni, cit., 694-695. 99 Si v. A. Pioggia, Giudici, cit., 540 ss. 100 Una ‘pratica sociale’, secondo A. Simoncini, Contro, cit., 686, è definita «non solo dal complesso delle fonti giuridico-normative che quella società pone in essere, ma anche dal complesso di atti di interpretazione ed argomentazione che costituiscono la vita concreta del diritto». 71 Relazioni  La complessità sempre più accentuata del vissuto societario quotidiano deve trovare il suo correlato in una vieppiù avanzata ed ‘affinata’ articolazione dei diritti umani fondamentali, e, più in generale, della fondamentalità del ‘diritto’ 101. L’operatività, infatti, di istituti, quali quelli esaminati, non può esaurirsi nella loro formalizzazione al livello delle Carte o di altre norme fondamentali, ma deve implementarsi e completarsi con un’attuazione di pari rilevanza ed impreteribilità (quindi ad un livello sostanzialmente costituzionale e fondamentale) mediante il ricorso pure a fonti normative diverse, di rango gerarchicamente inferiore102. In questo quadro, il potere amministrativo può manifestarsi, oltre che nello svolgimento delle iniziative connesse alle realizzazioni dei bisogni essenziali, nella instaurazione con e fra gli amministrati del confronto di plurali visioni del mondo e della vita: uno scenario proclive al formarsi delle cc.dd. ‘consuetudini culturali’, e cioè delle norme-fatto, che, come avviene in ogni vicenda di ‘costituzionalizzazione’ dei diritti, risultano prodromiche rispetto alle norme-atto in cui i diritti medesimi si ‘fondamentalizzano’ 103. Si viene, in tal modo, ad individuare un processo ‘incrementale’ di work in progress, o di WandelVerfassung104, teso al riconoscimento sempre più ampio ed all’esercizio sempre più concreto ed effettivo delle situazioni giuridiche soggettive ‘fondamentali’, perché ‘vitali’ per le persone umane, per qualsiasi persona umana : nel caso di specie per le persone umane dei migranti, di ogni tempo e di ogni tipo105. Più in generale ed in estrema sintesi: come per ogni soggetto, così per i migranti, per i migranti tutti, non si può fare a meno dell’intervento (e men che mai sottovalutare la rilevanza) di un’amministrazione aperta ed inclusiva, se si vuole davvero assicurare una concreta, vitale, quotidiana e sempre nuova fondamentalità alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive. Abstract Il saggio si propone di rilevare e di approfondire i problemi sollevati dal fenomeno dei flussi migratori. L’indagine, prendendo le mosse dall’esame delle novità introdotte sia con il D.L. 17 febbraio 2017, n. 13 (Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale), come convertito dalla legge 13 aprile 2018, n. 46, sia con il d.l. n. 113/2018 (“Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno 101 Questo aspetto può emergere dai vigenti istituti in tema di rimpatrio volontario e assistito dei migranti, se scrutinati sulla base di un indirizzo costituzionalmente orientato. 102 Il rinvio non può che essere a A. Ruggeri, Gerarchia, competenza e qualità nel sistema costituzionale delle fonti normative, Milano, 1977. 103 Così A. Ruggeri, Cosa sono i diritti fondamentali, cit., 9 ss., che riprende e sviluppa la ricostruzione teorica di cui al testo in Id., I diritti fondamentali degli immigrati e dei migranti, tra la linearità del modello costituzionale e le oscillazioni dell’esperienza, in www.consultaonline.it, 2017. 104 Sul punto R. Cherchi, I diritti, cit., 42 ss., 51. 105 Cfr. A. Algostino, I diritti, cit., 25. 72 Vittoria Berlingò La problematica tutela della dignità… e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”), come convertito dalla l. n. 132/2018, analizza il ruolo che l’amministrazione ha (o dovrebbe avere) nel riconoscere in capo ai soggetti migranti, anche irregolari, la dignità di ogni persona nelle varie e complesse declinazioni della loro ‘umanità’. In un contesto segnato da un deficit di tutela, che solo in parte il legislatore è riuscito a colmare, si rileva, comunque sia, che alcune situazioni giuridiche soggettive, in specie riconducibili alla comprensiva categoria del substancial due process of law, conformate in forza di un principio, quale quello dell’humanitas, strettamente legato alla impreteribile condizione esistenziale del soggetto in quanto persona, non possono non essere estese allo straniero irregolare. Si tratta, infatti, di situazioni – come, ad esempio, i diritti all’informazione ed alla partecipazione − funzionali ad un trattamento personalizzato, che trovano (o meglio: dovrebbe trovare) nelle correlate sedi di esercizio del potere amministrativo (non solo procedimentale, ma anche organizzativo e ‘prestazionale’), il luogo elettivo della loro soddisfazione. 73 Relazioni  I DIRITTI FONDAMENTALI DEGLI IMMIGRATI TRA EMERGENZA RIFUGIATI E CRISI ECONOMICO/FINANZIARIA: QUALE RUOLO PER LE AMMINISTRAZIONI? ~ Maria Immordino e Loredana Giani  1 ~ 1. DIRITTI FONDAMENTALI DEGLI IMMIGRATI TRA DIGNITÀ UMANA ED EGUAGLIANZA • 2. IL DIRITTO ALLA SALUTE DEGLI IMMIGRATI NELLA MORSA DELLE ATTUALI CRISI • 3. IL DIRITTO ALLA SALUTE DEGLI IMMIGRATI TRA LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE • 4. LA GARANZIA DEGLI ALTRI DIRITTI SOCIALI E GLI INCERTI CONFINI DEI “BISOGNI PRIMARI” • 5. QUALE RUOLO PER LE AMMINISTRAZIONI? • 6. SPUNTI SULLE POSSIBILI APERTURE NEL QUADRO EUROPEO. 1. Diritti fondamentali degli immigrati tra dignità umana ed eguaglianza. L’immigrazione costituisce una sfida di ricerca per i giuristi e ad oggi rappresenta un capitolo fondamentale degli studi anche sul ruolo dell’amministrazione. Infatti, questo tema per l’amministrativista si presta ad essere analizzato da una molteplicità di prospettive, da quelle immediatamente correlate all’esercizio di poteri connessi alla gestione del fenomeno migratorio relativi alla fase di ingresso del soggetto all’interno del territorio nazionale, a quelle relative alla gestione del contenzioso che ne può derivare e più in generale a quelle relative all’impatto che il fenomeno può avere sui sistemi di welfare. Arretrando per un attimo da una prospettiva così specifica di cui si dirà nel prosieguo di queste riflessioni, e utilizzando la lente secondo cui l’amministrazione si pone quale principale garante dei diritti e delle libertà fondamentali dell’individuo – una prospettiva speculare ad una proiezione del potere amministrativo in un contesto governato dal principio democratico e dalle sue declinazioni – il primo passo da compiere è rappresentato da un esame del fenomeno funzionale alla individuazione del ruolo che in concreto l’amministrazione dovrebbe avere nel processo di garanzia dei diritti fondamentali dei migranti ed in particolare dei diritti sociali; cioè il ruolo dell’amministrazione per evitare che la dinamica dei diritti umani si traduca in una “vuota narrativa”. 1 I paragrafi 1, 4 e 6 sono di L. Giani, i paragrafi 2, 3 e 5 sono di M. Immordino. Il presente saggio è frutto di una riflessione congiunta delle Autrici che, da diverse prospettive, hanno approfondito il tema, avviando il confronto in occasione della relazione presentata dalla Prof.ssa Maria Immordino nel corso del Convegno sul tema “Immigrazione e diritti fondamentali”, tenutosi a Siracusa il 4 maggio 2017. 74 Maria Immordino e Loredana Giani I diritti fondamentali degli immigrati… In questa prospettiva le coordinate di contesto entro le quali muoversi sono rappresentate, dunque, da un lato dalla individuazione dei “diritti fondamentali” degli immigrati (regolari e non), e in particolare dei diritti sociali loro riconosciuti, dall’altro dalla specificazione degli ambiti nei quali l’amministrazione deve muoversi nel suo ruolo di garante, cercando di individuare delle possibili vie per far fronte a quella crisi di effettività dei diritti determinata dalla scarsezza delle risorse economiche. E proprio il tema della effettività impone che si rifletta sulle sue precondizioni, connesse al profilo prestazionale che implica, da un lato, il logico bilanciamento col profilo della sostenibilità economica, dall’altro, la considerazione, o meglio un ulteriore (contro)bilanciamento con i costi sociali che la mancata o ridotta garanzia di tali diritti comporta. Il dato iniziale per tentare un inquadramento delle complesse problematiche che ruotano attorno alla definizione dei possibili ruoli dell’amministrazione non può che essere rappresentato, a mio avviso, dalla considerazione del dato reale in cui si assiste ad un continuo confronto/scontro tra complessità e ordine, dove quest’ultimo, una volta costituitosi, lotta per auto-conservarsi e per auto-riprodursi. Un confronto/scontro ancor più evidente in un contesto dove il multiculturalismo (o meglio, dato lo stato embrionale in cui siamo, la confluenza di diverse culture in un medesimo territorio) pone al sistema giuridico una sfida complessa, imponendogli di ergersi a strumento di soluzione e gestione dei conflitti, di riconduzione ad unità del sistema. La premessa concettuale che, ove non condivisa, rivela la sostanziale inutilità delle osservazioni che seguono, è rappresentata dalla necessaria identificazione di quel “nucleo duro” di diritti che ciascun individuo porta con sé per il solo fatto di esistere. Data tale premessa, il passo successivo non può che essere rappresentato da un vero e proprio ripensamento (ben illustrato dalla più attenta dottrina) della stessa relazione tra ethnos e demos secondo regole (i diritti) la cui garanzia superi la cittadinanza quale esclusivo parametro di riconduzione ad unità, in favore di elementi di sistematizzazione che non dissolvano l’uno nel molteplice, né il molteplice nell’uno, ma che garantiscano una unitas multiplex (secondo gli insegnamenti di Edgar Morin2), consentendo una lettura della complessità del sistema attraverso un ripensamento della stessa soggettività, e in primo luogo di quella individuale dei diritti, tradizionalmente legata al concetto di cittadinanza. In questo contesto è chiaro che lo stesso richiamo alla teorica dei diritti fondamentali palesa l’inevitabile superamento dell’idea ottocentesca che attribuiva allo Stato, in via esclusiva, il potere di stabilire le condizioni di accesso alla propria cittadinanza, e al correlato corredo di diritti, secondo una visione che contrasta con la dimensione universalistica delle libertà civili e dei diritti fondamentali. Un passaggio che è chiaro dalla lettura che una parte della dottrina3 ha offerto dello stesso art. 2 della Costituzione italiana che, nel riconoscere i diritti inviolabili dell’uomo, palesa l’intenzione di slegare i diritti fondamentali della persona dallo status civitatis. 2 E. Morin, La sfida della complessità, Le lettere, Firenze 2001. 3 Sul punto la dottrina è assai ampia. Sia consentito in questa sede richiamare lo scritto che più ha segnato le coordinate di questa interpretazione: A. Barbera, Commento all’art. 2 Cost., in Commentario della Costituzione (a cura di Branca), Bologna-Roma 1975, 59 ss. 75 Relazioni  Non è ovviamente possibile in questa sede ripercorrere il vasto e complesso dibattito sviluppatosi in quest’ambito. Ma certamente è significativo che la richiamata impostazione ha superato i confini delle sole sedi dottrinali per essere condivisa anche in quelle giurisprudenziali. È assai significativo, infatti, che la giurisprudenza delle Corti costituzionali dei paesi europei sembra aver operato nella direzione di un ampliamento della sfera dei diritti fondamentali riconosciuti dentro i confini nazionali ai non cittadini attraverso una loro lettura come consacrata nelle Costituzioni democratiche, nelle Carte internazionali e, non da ultimo, nella lettura che di esse hanno offerto le Corti supreme nel secondo dopoguerra, che assume quale cardine delle proprie ricostruzioni i valori della “dignità umana”, della “eguaglianza” e della “solidarietà”. Un percorso che ha portato a un inevitabile naturale rovesciamento dell’istituto della cittadinanza rispetto ai diritti, nel senso che non è più (e non potrebbe più essere) la cittadinanza a tracciare i confini giuridici entro i quali sono garantiti e tutelati i diritti fondamentali ma, al contrario, sono i diritti fondamentali della persona umana a rappresentare il punto di partenza di qualsiasi discorso che voglia affacciarsi al tema, e questo anche ove si cerchi di valutare il ruolo delle pubbliche amministrazioni nell’adempimento di quei doveri politici di cui tali diritti sono all’origine. Delineato così il quadro di riferimento, è possibile spostare l’attenzione su quei diritti connessi a bisogni primari della persona quali salute, abitazione, assistenza sociale, istruzione, lavoro, la cui soddisfazione dipende da una prestazione pubblica e che per questo risentono più degli altri dei condizionamenti economici maggiormente evidenti in situazioni di crisi. Sebbene muovendo dalle coordinate di contesto appena delineate in astratto sia possibile concordare sul fatto che il profilo dei costi non incida sulla natura inviolabile dei diritti sociali fondamentali, e che conseguentemente l’amministrazione non può esimersi dal prendere sul serio (per usare la formula di Dworkin) questi diritti, è evidente che la loro inviolabilità (la loro effettività) non sembra possa svilupparsi al di fuori di qualsiasi attenzione al profilo economico, intercettando così il binomio (dolente) effettività/sostenibilità (economica) di questi diritti “finanziariamente condizionati”, “figli di un Dio minore”, per seguire la prospettazione della Corte costituzionale. 2. Il diritto alla salute degli immigrati nella morsa delle attuali crisi. In questo contesto parlare di diritti fondamentali degli immigrati, indipendentemente dal loro status, e, in particolare, di diritto alla salute, appare quasi anacronistico, così come “avulso dalla realtà” sembra qualsiasi tentativo volto a porre rimedio a quella crisi di “effettività” che ha colpito i diritti sociali connessi a bisogni essenziali della persona, compreso il diritto alla salute, nonostante il riconoscimento della loro dimensione “multilivello”. Una volta vinta la battaglia per il riconoscimento del diritto alla salute degli immigrati, compresi quelli c.d. irregolari, come diritto fondamentale garantito nel suo “nucleo duro”, si apre infatti il problema del suo rispetto, della sua efficacia, o meglio dell’effettività del suo esercizio e, dunque, del godimento da parte del titolare (Rodotà). 76 Maria Immordino e Loredana Giani I diritti fondamentali degli immigrati… Il riconoscimento di un diritto, osservava S. Romano già nel lontano 1907, non è “retorica” fine a se stessa, ma rappresenta il primo passo in direzione della sua effettività e tutela che ne postula il relativo esercizio nei confronti di chiunque e l’azionabilità nelle apposite sedi politiche, amministrative e giurisdizionali di ogni ordine e grado. Si parla oggi molto di crisi di effettività dei diritti sociali degli immigrati, le cui “molteplici” cause sono rintracciabili, in primo luogo, nell’attuale entità di un fenomeno senza precedenti, dalle dimensioni bibliche, divenuto ormai incontrollabile, che si preannuncia di lunga e difficile soluzione, poiché le guerre, le oppressioni e le persecuzioni spingono e spingeranno ancora migliaia di disperati verso l’Europa. Del resto, si sono rivelati di scarsa efficacia i rimedi fino ad oggi approntati dall’Europa, non potendosi al riguardo parlare di una vera e propria “terapia”, ma di semplici “cerotti” improvvisati, inidonei a porre rimedio ad un problema che viene da lontano, trova linfa in fatti destabilizzanti di natura internazionale, esterni quindi a tali Paesi, ma che ormai rischiano di diventare fattori di destabilizzazione interni alla stesa Europa, dove ormai il fenomeno oltre che assumere contorni drammatici, sollevando problemi di identità e di equilibri socio – economico nei Paesi membri, compresa l’Italia, ha favorito l’ascesa di movimentirazzisti, antieuropei e xenofobi, mettendo all’angolo i partiti tradizionali, e rendendo precari i Governi in carica. Altrettanto incidente sull’effettività dei diritti sociali degli immigrati è l’attuale crisi economico/finanziaria che attanaglia ormai da tempo l’Europa e, in particolare, il nostro Paese. Crisi che ha fatto emergere lo scarto esistente tra bisogni reali e risorse disponibili, e ha portato inevitabilmente a tagliare la spesa pubblica e, in particolare proprio quella concernente i diritti sociali a “prestazione”. Diritti che, è noto, hanno, più degli altri, un costo economico, a volte molto elevato come quello alla salute, oggi sul banco degli imputati quale causa, tra le principali, dell’attuale crescita esponenziale del debito pubblico. Tagli che hanno interessato, in primo luogo, proprio le politiche per gli immigrati, soprattutto se irregolari. La tendenza al ridimensionamento delle politiche sociali a favore degli immigrati emerge con estrema chiarezza dai bilanci pubblici approvati negli ultimi anni, “divenuti” il “terminale di riferimento” per selezionare l’accesso ai diritti sociali e ridurre al minimo essenziale i servizi offerti agli immigrati, soprattutto se irregolari. Tendenza nella quale è possibile scorgere una “forma surrettizia” di controllo dell’immigrazione, nel senso, cioè, che la riduzione dell’offerta dei servizi sociali avrebbe dovuto costituire un deterrente all’arrivo di nuovi immigrati, se non un espediente per indurre quelli già presenti ad abbandonare il Paese. Tentativo completamente fallito, se si guarda all’odierna entità dei fenomeni migratori che ha costretto i governi europei, compreso il nostro, a mediare la politica dell’accoglienza, in un primo momento stimolata da alcuni Paesi, come la Germania, con una politica del rigetto, intesa come tendenza a tenere lontani dalle frontiere i nuovi aspiranti immigrati, anche attraverso cinici accordi politici con altri Paesi di transito, come la Turchia, ma i cui risultati sono ben lontani da quelli auspicati. L’odierna entità del fenomeno migratorio; la crisi economico/finanziaria che ha colpito l’Europa proprio nel momento in cui con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, si era finalmente consolidato un rinnovato spazio per i diritti sociali; il fallimento delle tera77 Relazioni  pie anticrisi dell’ “Eurozona”, hanno non soltanto portato alla ribalta l’incapacità dell’Europa di promuovere e sostenere, all’interno dei Paesi membri, sistemi di protezione sociale egualitari e omogenei e, dunque, non discriminatori nei confronti degli extracomunitari (e degli stessi cittadini europei), come sancisce l’art. 14 della Convenzione, ma ha fatto altresì emergere i nodi irrisolti del rapporto tra costituzione economica e costituzione sociale e, per certi versi, il fallimento dell’idea di un nuovo “universalismo” dei diritti patrocinato dall’Europa. La scarsezza delle risorse economiche disponibili, è venuta così ad incidere sull’effettività di un diritto, quale è quello alla salute degli immigrati, costituzionalmente garantito nel suo “nucleo duro”, e indipendentemente dal loro status. Con la conseguenza che “il fondamento dei diritti sociali non è più … nella carta costituzionale” come afferma Antonio Ruggeri “ma nelle risorse disponibili”. Il che significa, detto in altri termini, che se è vero che il diritto alla salute, anche quello degli immigrati, è un diritto inviolabile, e che su tale inviolabilità non incide, ovvero non dovrebbe incidere, il profilo dei costi, costituendo proprio il “nucleo duro” individuato dalla Corte una diga ai condizionamenti economici, è altrettanto vero che l’effettività di tale diritto non può prescindere dalla relativa sostenibilità economica, trattandosi di un diritto rientrante tra quelli “finanziariamente condizionati”, come ha chiarito da tempo la Corte costituzionale, nonché dalla disponibilità della collettività a contribuirvi. Si è invece attenuato l’ostacolo all’effettività di questi diritti rappresentato dal rispetto dei vincoli discendenti dal principio del pareggio di bilancio. Alleggerimento dovuto all’introduzione della c.d. flessibilità del Patto di stabilità, che nella valutazione dei deficit pubblici, tiene conto dei costi eccezionali e imprevisti che molti Paesi dell’unione devono sobbarcarsi per far fronte all’emergenza immigrati. Infine, ma non per importanza, l’effettività, ossia il godimento, dei diritti sociali, e del diritto alla salute in particolare, è condizionata anche dalla presenza e dal funzionamento nell’ordinamento di una apposita organizzazione pubblica deputata ad erogare la prestazione oggetto del diritto stesso. Il concreto esercizio del diritto alla salute garantito dalla Costituzione e, in una certa misura anche dalla legislazione in materia di immigrazione, in quanto al se, è condizionato anche dalla predisposizione di apposite strutture e servizi, necessari perché questi diritti siano presi sul serio, per usare la formula di Dworkin, in assenza dei quali infatti il loro riconoscimento rimarrebbe sulla carta. Questa crisi di effettività, con le sue molteplici cause, si colloca, a sua volta, nell’ambito di un tema, quello dell’immigrazione, che presenta un elevato grado di complessità giuridica, aggravata oltre che della ricordata entità del fenomeno, anche dalle crude implicazioni del terrorismo internazionale ed al connesso senso di impotenza a farvi fronte in tempi di globalizzazione. Il terrorismo ha di certo accresciuto nel Governi e nelle popolazioni locali la percezione del fenomeno dell’immigrazione come “public risk”, tout court, che come tale va regolato, spingendo, da un lato, i legislatori a considerare l’immigrato, soprattutto se irregolare, un soggetto penalmente perseguibile, una questione di pubblica sicurezza, nell’accezione liberale di mantenimento dell’“ordine pubblico”. Si pensi, per fare un esempio a noi vicino, 78 Maria Immordino e Loredana Giani I diritti fondamentali degli immigrati… alla introduzione in Italia del reato di clandestinità, ora abrogato, o al tentativo, non riuscito – portato avanti in occasione del dibattito sul “Pacchetto sicurezza” nel 2009 – di abrogazione del comma 5, dell’art. 35 del T.U. sull’immigrazione, che contiene – a conferma del favor per la salute degli immigrati che connota, come rilevato dal Giudice costituzionale (C. cost. sent. n. 252/2001) che caratterizza tutta la disciplina – il divieto per i medici di segnalazione dell’immigrato clandestino che accede all’erogazione di prestazioni terapeutiche. Si pensi da ultimo ai decreti Minniti. Del resto, non c’è bisogno di scomodare Ranelletti per ricordare il potere universalmente riconosciuto agli Stati, quale precipitato della loro sovranità, di sottoporre ad alcune limitazioni l’entrata e il soggiorno nel proprio territorio degli stranieri, ma, e qui è il nocciolo del ragionamento, soltanto di quelli ritenuti pericolosi e temibili per l’ordine pubblico, evidenziando il Maestro infatti i “vantaggi sociali” del riconoscimento allo straniero della libertà di circolazione e di scelta del domicilio, in funzione della cooperazione tra i popoli per il raggiungimento del benessere dell’umanità. Ciò che oggi è cambiato, rispetto al momento in cui scriveva Ranelletti, è non soltanto il rifiuto, prevalente in certi movimenti politici ed ampi strati della società civile, di riconosce i vantaggi culturali e socio/economici di cui sono portatori gli immigrati, ma anche il modo arbitrario o, meglio, l’abuso costante, che si fa sempre più spesso della nozione di ordine pubblico, già di per se stessa di incerta definizione, per politiche, come vedremo, chiaramente restrittive anche dei diritti sociali degli immigrati. E ciò, va segnalato, in contrasto con la tendenza affermatasi a livello eurounitario ad accogliere una nozione restrittiva di “ordine pubblico”, anche nei confronti degli irregolari, nonostante il suggerimento degli Stati membri per una nozione più ampia. Dall’altro gli atti di terrorismo, che quasi giornalmente funestano le città, soprattutto europee, sono alla base anche di nuovi populismi e nazionalismi, che facendo leva su paure, egoismi e interessi più o meno reali, spingono i Paesi membri a rompere le fila, ad arroccarsi sulla loro posizione di Stati nazionali sovrani, con conseguente innalzamento di muri, steccati, chiusura delle frontiere. Per non parlare dell’apertura di centri di accoglienza e di smistamento, cui si aggiungono in Italia, con i decreti Minniti, i nuovi Centri di permanenza per il rimpatrio, istituiti in ogni Regione in luogo dei famigerati CIE, che si configurano come veri e propri lager, in quella che una volta era la civilissima Europa una Comunità fondata sulla cultura della solidarietà, con conseguente disconoscimento in capo all’immigrato di qualsiasi posizione giuridica tutelabile ed un arretramento dei principi dello Stato di diritto a favore delle vie di fatto. È questa, come ci ricorda Mazzamuto, la sfida cui sono chiamati i giuristi, vale a dire la lotta per l’affermazione del diritto nella materia dell’immigrazione che ondeggia ormai tra diritto e non diritto, con una netta preferenza per il ricorso alle vie di fatto nella politica dell’immigrazione, finalizzata a disciplinare le condizioni per l’ingresso, il respingimento, il soggiorno, il rimpatrio, degli immigrati extracomunitari nel territorio dei Paesi membri, compresa l’Italia, dove i più volte già ricordati decreti Minniti, approvati recentemente, e aspramente criticati dai giuristi democratici, sono chiaramente volti alla instaurazione di un “diritto diseguale” per i poveri, per gli emarginati e gli stranieri, dalla 79 Relazioni  portata enormemente e ingiustamente discriminatoria. Decreti le cui disposizioni, almeno alcune di esse, sono palesemente in contrasto con i principi della nostra Costituzione, in quanto viene limitata con atto amministrativo la libertà di circolazione di talune categorie di persone, violando in questo modo, sia il principio di uguaglianza, sia la presunzione d’innocenza. E viene, altresì, ridotto il sistema delle garanzie esistenti per i richiedenti asilo, cui, è stato sottratto, unici fra i soggetti sottoposti alla giurisdizione italiana, un grado di giurisdizione. Il rischio reale è che l’entità del fenomeno, la crisi economico/finanziaria, la perdita della cultura della solidarietà e dell’accoglienza, possa rappresentare una “china scivolosa” per i diritti degli immigrati, e in particolare per i diritti sociali e, dunque per il diritto alla salute. 3. Il diritto alla salute degli immigrati tra diritto interno, fonti sovranazionali e giurisprudenza costituzionale. La questione dell’effettività rinvia al tema dell’individuazione e del connesso riconoscimento di diritti fondamentali in capo agli immigrati, anche se non in regola con il permesso di soggiorno. Si parla ormai da tempo di uno Statuto costituzionale dei diritti dello straniero basato sui valori e principi che costituiscono la trama più profonda della nostra Costituzione, caratterizzata per la centralità riconosciuta alla “persona” e per l’elevazione della “dignità umana” a valore fondante del regime costituzionale dei diritti, pure degli immigrati, a prescindere dal loro status. Anche la Carta di Nizza, a testimonianza che la dimensione dei diritti fondamentali è ormai una dimensione “multilivello”, riconosce nella “dignità umana”, nella “solidarietà”, nell’“uguaglianza” e nella “libertà” i valori fondanti dell’Unione europea, e ne pone la “persona” al centro della relativa azione. La Costituzione fornisce, fin dall’art. 2, le coordinate di tale Statuto, entro le quali va collocata e letta la posizione giuridica del non cittadino. Nel riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo Barbera rinveniva la volontàdel legislatore di slegare i diritti fondamentali dallo status civitatis, essendo irrilevante nella costruzione del catalogo dei loro diritti il dato meramente testuale del riferimento in Costituzione al cittadino o a “tutti”. Prospettiva che ha portato la Corte costituzionale a chiarire che, nonostante l’art. 3 della Cost., riferisca il principio di uguaglianza ai cittadini, “tutti”, e quindi anche gli immigrati, possono invocarlo. Una prospettiva “inclusiva” del diverso, del non cittadino, che vieta discriminazioni in base alla razza, alla religione, alla lingua, al sesso, alle opinioni politiche. E che si è affermata anche nell’attuale sistema multilivel, come emerge da alcune fonti sovranazionali: dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, dalla CEDU e dal Protocollo n. 12, con il quale si è introdotto nel contesto della Convenzione di Strasburgo del 1992 per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, un generale principio di “non discriminazione”. Come osservato dalla Corte EDU, ancorché la Convenzione non obblighi gli Stati membri alla realizzazione di un sistema di protezione sociale, una volta che le prestazioni 80 Maria Immordino e Loredana Giani I diritti fondamentali degli immigrati… assistenziali vengano concesse, entra in gioco il divieto di “trattamenti discriminatori” (art. 14) tra cittadini e non cittadini, la cui applicazione rinvia al principio di ragionevolezza (C. g. 11/11/2014, C -333/13). Quello che va sottolineato, in altri termini, è che nel momento in cui l’ordinamento dispone prestazioni strumentali al soddisfacimento di beni primari, come la salute, tutelati da diritti sociali, entra in gioco il rispetto della persona umana e della sua dignità, “valore generale non frazionabile” la cui promozione non tollera discriminazioni tra cittadini e non cittadini. Affermazione, questa, che non deve comunque indurci a pensare che sia stata superata la connotazione soggettiva della materia, ossia del diritto dell’immigrazione, il quale ha una sua autonomia giuridica, proprio nella misura in cui rileva la distinzione, o meglio un certo grado di distinzione, tra cittadino e non cittadino. Distinzione che, va ribadito, fa comunque salvo quel “nucleo duro” di diritti fondamentali che ciascun individuo porta con sé per il fatto stesso di esistere come persona, con la garanzia della sua dignità di “uomo” e che è alla base della nozione di “cittadinanza sociale”. Nozione che, nella prospettiva dell’“inclusione” dell’immigrato nella comunità cui aspira ad essere inserito, appare più consona della nozione di “cittadinanza politica”, quale esclusivo parametro per l’attribuzione di un determinato fascio di diritti e doveri politici. L’inclusione interseca naturalmente quello che è un tema cardine del diritto dell’immigrazione, ossia la questione dell’integrazione, vale a dire dell’ambientazione dell’immigrato nel territorio del Paese dove aspira a trovare stabile residenza. A questo riguardo ricordiamo che un impulso verso l’integrazione degli immigrati, nonché uno sforzo al miglioramento delle politiche dell’integrazione, emerge da numerosi fonti eurounitarie. Sono state prospettate in dottrina diverse soluzioni e modelli di integrazioni, richiamandosi, in particolare, i principi di uguaglianza e di tolleranza. Ma io credo che il modello più adeguato al trattamento giuridico dell’integrazione sia quello proposto da Fracchia, modello che si basa sul principio solidaristico di cui all’art. 2 della Cost., il quale postula l’attivazione di “impegni reciproci” tra le parti del rapporto, nel senso che chi chiede di essere integrato non è titolare soltanto di diritti ma anche di “doveri inderogabili”. L’integrazione, nella prospettiva solidaristica, richiede che gli uni si preoccupino degli altri, e consente, nell’ambito di un dialogo continuo, di individuare più agevolmente forme possibili e flessibili di convergenza tra valori e culture diverse. Con conseguente superamento della nozione tradizionale di comunità, da intendersi in questa prospettiva come “comunità di diritti e doveri” che accoglie e accomuna tutti coloro che … ricevono diritti e restituiscono doveri”, prescindendo dal vincolo di cittadinanza. L’art. 4-bis del T.U. prevede la sottoscrizione di un “Accordo di integrazione”, quale condizione per il rilascio del permesso di soggiorno. Il che fa emergere profili di “doverosità” dell’integrazione che, se da un lato sono diretti ad evitare l’emarginazione dell’immigrato a favore del pieno inserimento nella comunità, dall’altro presentano il rischio concreto che l’integrazione possa condurre ad una forma di prevaricazione dell’identità originaria dell’immigrato, il quale magari aspira a conservarla. Ritornando per un attimo alla Costituzione e, in particolare, allo Statuto costituzionale dei diritti dell’immigrato le coordinate di tale Statuto si rinvengono, in primo luogo 81 Relazioni  nell’art. 2, che riferisce all’ “uomo” i diritti inviolabili che la Costituzione riconosce a “tutti”, senza distinzione tra cittadino e non cittadino. Prima del cittadino c’è in Costituzione l’“uomo”. Quell’“uomo vivo” che deve essere tenuto sempre presente, secondo l’insegnamento di Calamandrei, nello “studio del diritto”, se non si vuole che tale studio sia soltanto “sterile astrazione”. E tra questi diritti inviolabili, patrimonio di “tutti”, la Corte costituzionale ha già da tempo incluso il “diritto alla salute”, quale diritto fondamentale della persona, come tale indifferente alla distinzione tra cittadini e stranieri. Allo stesso modo l’art. 32, che configura il diritto alla salute come diritto fondamentale, lo riferisce non al cittadino, ma all’ “individuo”, il cui sinonimo è “uomo”, “persona”, ed alla “collettività”, categoria inclusiva della pluralità di “individui” che la compongono. Nel nuovo art. 117 della Cost., due disposizioni sono al riguardo particolarmente indicative: quella contenuta nel comma 2, lett. m), che ha attribuito alla competenza esclusiva dello Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni” (LEP) “concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, a garanzia del principio di uguaglianza e della realizzazione, oltre che di quelli civili, anche dei diritti sociali. Al legislatore statale spetta, dunque, non definire i “diritti sociali” o il loro contenuto, ma fissare i livelli essenziali delle prestazioni necessari ad assicurarne il godimento. Con il decretodel Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 12 gennaio 2017, sono stati fissati i nuovi Livelli essenziali di assistenza – LEA, con riferimento (artt. 62 e 63) ai cittadini non appartenenti all’Unione Europea, con una importante previsione relativa ai minori stranieri presenti illegalmente sul territorio nazionale, per i quali è previsto che vengano iscritti al Servizio sanitario nazionale ed usufruiscono dell’assistenza sanitaria in condizioni di parità con i cittadini italiani (articolo 63, comma 4). L’altra disposizione contenuta nel citato art. 117 Cost., indicativa della tendenza inclusiva della nostra Costituzione, si trova nel successivo comma 7 (parte prima) che impegna le leggi regionali a rimuovere ogni ostacolo che impedisce la parità degli “uomini” e delle “donne” – indipendentemente, quindi, dallo status civitatis – nella vita sociale, culturale ed economica. Non è, dunque, un caso se la Corte costituzionale ha già da tempo chiarito la “valenza generale” del principio di uguaglianza, nonostante l’art. 3 Cost. lo riferisca ai soli cittadini, sicché “tutti”, e quindi anche gli stranieri, sia pure irregolari, possono invocarlo a tutela dei loro diritti inviolabili, garantiti in conformità dell’ordinamento internazionale. Quanto alla legislazione ordinaria anche il T.U. (n. 286/1998) sull’immigrazione si muove chiaramente in direzione di forme tendenzialmente “inclusive” dello straniero, anche se irregolare, nel sistema sanitario italiano, improntato al principio di “universalità” dei destinatari e “completezza” delle prestazioni sanitarie e più in generale delle prestazioni di sicurezza sociale. Principi, per la verità, non più sostenibili, come più volte sottolineato dalla stessa Corte costituzionale, scontrandosi con l’attuale limitatezza delle risorse finanziarie. Limitatezza, comunque, che non può incidere su quel “nucleo essenziale” del diritto alla salute, riconosciuto dalla Corte anche agli immigrati irregolari, il quale non può subire limitazioni, in nome delle esigenze di bilancio, tali da ledere l’ambito inviolabile della dignità umana. 82 Maria Immordino e Loredana Giani I diritti fondamentali degli immigrati… Il T.U., a partire dall’art. 2, esprime con chiarezza quella connotazione soggettiva che caratterizza, come ho ricordato prima, la materia dell’immigrazione, dove rileva la posizione del non cittadino, ossia dello straniero, del quale distingue la posizione di quelli regolari, assimilata a quella dei cittadini, da quella degli irregolari, ai quali riconosce (art. 35) il diritto “alle cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia e infortunio”, nonché l’accesso ai programmi di medicina preventiva, a titolo gratuito, se privi di risorse economiche sufficienti, fatte salve le quote di partecipazione alle spese che spettano parimenti ai cittadini italiani.Si tratta, in questo caso di prestazioni che vanno garantite in quanto costituiscono quel “nucleo essenziale” e incomprimibile di cure medico-sanitarie che l’art. 32 Cost. garantisce con il massimo di cogenza. Trattasi di quelle legate alla tutela della maternità e della gravidanza, compresa l’interruzione volontaria della gravidanza, alla tutela della salute del minore, alle vaccinazioni, alla profilassi per malattie infettive, alla cura e riabilitazione per tossicodipendenza, per indicarne alcune. Prescrizioni, queste, che sono state riprese, essenzialmentenegli stessi termini, nell’Accordo del 2012 tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome. La formulazione sia nel T.U. che nell’Accordo è, inoltre, meramente esemplificativa e non tassativa, ed è stata intesa in modo estensivooltre che nella pratica amministrativa anche nell’interpretazione della giurisprudenza di legittimità e del Giudice delle leggi. Secondo la Corte costituzionale, infatti, pur nel silenzio della legge, il riconoscimento di questo “nucleo duro” del diritto alla salute, implica un principio di continuità, ed il connesso divieto di espulsione dello straniero irregolare che deve portare a termine trattamenti terapeutici essenziali. Indicativa è anche la più recente giurisprudenza della Cassazione che ha riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni conseguenti alla lesione dell’integrità personale dello straniero, indipendentemente dalla sussistenza della condizione di reciprocità. Non potendosi richiedere tale condizione (prevista dall’art. 16 delle preleggi) allorché vengono in rilievo diritti fondamentali della persona, che vanno tutelati indipendentemente dalla cittadinanza comunitaria o extracomunitaria4. La stessa legge Bossi - Fini del 2002 (n. 189), pur muovendosi in un’ottica securitaria, per quanto riguarda il riconoscimento all’immigrato del diritto alla salute e all’assistenza sanitaria non si discosta dal T.U. Anche le norme del c. d. “Pacchetto sicurezza” del 2009 hanno lasciato inalterato per questi aspetti, il quadro precedente. Norme restrittive dei diritti sociali degli immigrati sono invece contenute in alcune successive leggi finanziarie ed in diverse leggi concernenti specifiche prestazioni sociali. Ma, per vero, anche i decreti c. d. Minniti che pur contengono norme che sono palesemente in contrasto con i principi di uno Stato di diritto, non hanno intaccato il “nucleo duro” del diritto alla salute. Quanto alla legislazione regionale, anche questa oscilla tra una tendenza chiaramente inclusiva – espressione di quel ruolo che nella tutela dei diritti fondamentali riconosciuti alla persona le regioni rivendicano, in quanto enti esponenziali di interessi e valori delle comunità di riferimento – e posizioni contrarie, condizionate vuoi dalla scarsezza delle 4 Cass.civ. (sezione III), 3 dicembre 2009, n.10504; Cass.civ. (sezione III), 1 dicembre 2011, n. 1453. 83 Relazioni  risorse, vuoi da una visione più restrittiva condizionata dal concetto di cittadinanza. Trattasi di una legislazione che trova, a sua volta, il fondamento nello stesso T.U., il cui art. 3, comma 5, impegna le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti locali, nei limiti delle rispettive competenze e delle dotazioni di bilancio, ad adottare provvedimenti finalizzati alla rimozione di tutti quegli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi riconosciuti agli “stranieri” nel territorio dello Stato. Ed una tendenza dichiaratamente volta ad escludere gli stranieri da determinati benefici ancorati a titoli di legittimazione quale, per fare un esempio, la carta di soggiorno, o la residenza nel territorio della regione interessata per un certo numero di anni quale requisito per l’accesso alla prestazione socio/sanitaria. Legislazione non di rado ritenuta illegittima dal Giudice delle leggi. Con il già richiamato Accordo tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome del 2012 sul diritto alla salute degli immigrati si era fatto un primo consistente tentativo volto ad armonizzare le leggi regionali e assicurare che l’accesso e la fruizione alle cure sanitarie a tutela del diritto alla salute, anche degli immigrati irregolari, avvenisse in condizioni di parità a livello regionale. Tale accordo tuttavia non è stato attuato da tutte le Regioni, tranne alcune eccezioni, tra le quali la Sicilia, persistendo così nell’ambito dei sistemi sanitari regionali situazioni di diseguaglianza, per non parlare di vere e proprie condizione di discriminazioni. Nella giurisprudenza della Corte, che in questa sede può essere solo richiamata per grandi linee, si coglie la tendenza a distinguere gli interventi che attengono alla soddisfazione di bisogni primari, quali la salute nel suo “nucleo duro”, per i quali non rilevano condizionamenti finanziari e interventi o meglio prestazioni che non risultano “essenziali” in quanto non collegati a bisogni primariincomprimibili dell’immigrato. Orbene sono proprio il richiamo alla valutazione “sull’essenzialità” della prestazione e le incertezze sulla delimitazione dei confini del “nucleo duro” del diritto alla salute, a palesare i profili di incertezza circa l’effettività, ovvero la garanzia di godimento di tale diritto da parte dei titolari, ossia anche degli immigrati, soprattutto se irregolari. Al quadro delle qualificazioni soggettive che connotano il diritto dell’immigrazione, in cui rileva la distinzione tra cittadino, non cittadino, cittadino europeo, si sono aggiunti un quarto ed un quinto genus rappresentati rispettivamente, dai minori stranieri irregolari, i quali, come ho prima ricordato, con il D.P.C.M. che ha fissato i nuovi LEA, sono stati assimilati ai minori cittadini italiani quanto all’accesso all’assistenza sanitaria; e dallo straniero richiedente protezione internazionale, per il quale il d.lgs. n. 142/2015 (l. d. n. 154/2014), in attuazione della direttiva 2013/33/UE, relativa all’accoglienza del richiedente protezione internazionale, ha previsto (art. 1) che le misure sull’accoglienza trovino applicazione fin dal momento della manifestazione della volontà di richiedere la protezione internazionale. La ricevuta rilasciata al momento della verbalizzazione della domanda costituisce permesso di soggiorno provvisorio che dà diritto all’iscrizione obbligatoria dello straniero richiedente protezione internazionale al SSN e, quindi all’assistenza sanitaria, in condizione di parità con i cittadini, nelle more del riconoscimento della protezione internazionale. 84 Maria Immordino e Loredana Giani I diritti fondamentali degli immigrati… 4. La garanzia degli altri diritti sociali e gli incerti confini dei ‘‘bisogni primari.’’ Superato, con le ipoteche che si sono viste, il piano delle garanzie del “nucleo duro” del diritto alla salute, è interessante ampliare la prospettiva di indagine per verificare se, e in quali termini, gli altri diritti sociali sono garantiti, e in che termini l’eventuale loro ridotta garanzia viene inquadrata nel contesto del principio di eguaglianza e nel principio solidaristico. Come si vedrà nel contesto delle interpretazioni fornite dalla Corte costituzionale, e non solo da quella, l’eguaglianza, all’esito del bilanciamento con il profilo economico, trova nella ragionevolezza l’ulteriore limite, donde l’incompatibilità di quelle restrizioni (operate in sede politica) che vanno ad incidere in senso negativo sulla garanzia di “alcuni” diritti fondamentali. Il discorso sulla garanzia della effettività dei diritti fondamentali, nel passaggio dal profilo astratto alla concreta individuazione e specificazione di quali diritti rientrino in questo ambito (comunque garantito), si fa più complesso e articolato, cogliendosi una sorta di distinzione presupposta tra quei diritti connessi alla stessa “esistenza” dell’individuo, e quelli correlati alla “qualità” della sua esistenza. Si tratta di una distinzione che emerge con chiarezza nel contesto delle decisioni rese negli ultimi anni dalla Corte costituzionale che, nella prospettiva del richiamato bilanciamento con i profili economici (di sostenibilità), differenzia le prestazioni essenziali per il sostentamento di una persona da quelle provvidenze che si pongono al di sopra dei livelli minimi essenziali (che però, come si dirà, non sono definiti a priori), cioè quelle prestazioni che in relazione alle stesse funzioni (sociali) ad esse riconducibili non sono destinate a soddisfare un bisogno primario della persona; una distinzione tra quei livelli minimi tesi a garantire la stessa essenza del diritto fondamentale e per i quali non è giustificato alcun condizionamento neanche economico – quali quelle prima richiamate in relazione al diritto alla salute – e le “altre” prestazioni per le quali l’accesso generalizzato può ragionevolmente essere limitato facendo ricorso a criteri quali la residenza stabile su un territorio. Sicuramente si tratta di un approccio lontano da quello proposto sul finire degli anni Sessanta del secolo scorso dalla Corte che, facendo leva sulla distinzione tra titolarità e godimento aveva legittimato trattamenti differenziati in base alla constatazione secondo cui «la riconosciuta eguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarità dei diritti fondamentali non esclude affatto che, nelle situazioni concrete non possano presentarsi, fra soggetti uguali differenze di fatto che il legislatore può apprezzare e regolare nella sua discrezionalità, la quale non trova altro limite se non nella razionalità del suo apprezzamento» (1969). Se in linea generale emerge che il dato della cittadinanza viene ad essere valutato in maniera non escludente, si palesa come esso sia stato gradualmente contestualizzato attraverso il richiamo ai valori della solidarietà ed eguaglianza riferiti alla persona umana, tanto da ritenere che «le differenze non devono essere create dalla legge, ma devono sussistere in base a condizioni materiali riconducibili ad elementi che la struttura costituzionale consente di prendere in considerazione». Dunque, non un accesso basato sulla cittadinanza, ma la possibilità di limitare, per alcune prestazioni sociali, l’accesso in base a criteri ulteriori che comunque sono 85 Relazioni  in ultima analisi riconducibili alla cittadinanza, stabiliti dal legislatore anche regionale. E in questo contesto l’iter argomentativo della Corte si è affinato in particolare in materia di prestazioni assistenziali rispetto alle quali la regolamentazione dell’accesso è stata valutata alla luce dei criteri di adeguatezza, pertinenza, proporzionalità, coerenza interna della stessa disciplina. E così è stata ritenuta irragionevole una scelta condizionante l’attribuzione di una prestazione assistenziale, quale l’indennità di accompagnamento, al possesso di un titolo legittimante quale la carta di soggiorno che prevede, tra le condizioni per il suo rilascio, il possesso di un reddito (Corte cost. 36/2008; in senso analogo 11/2009, 40/2013, 22/2015, 78/2015), mentre ad analoghe conclusioni non si è giunti per prestazioni ritenute non essenziali. Si pensi, ad esempio, agli assegni a sostegno della natalità, per i quali il criterio del radicamento territoriale è stato ritenuto legittimo, poiché nel caso di specie il legislatore, non ha riscontrato a base delle stesse la soddisfazione di un “bisogno primario dell’individuo che non tollera un distinguo correlato al radicamento territoriale”. Dalla lettura delle decisioni del giudice costituzionale emerge come il discrimine venga rintracciato come anticipato, nella valutazione operata dalla Corte in ordine alla natura della prestazione assistenziale, nel senso che la valutazione della “legittimità” della restrizione alla luce dei criteri richiamati, viene effettuata nella misura in cui essa (la prestazione) sia considerata come tesa a soddisfare i bisogni unitari inerenti la sfera di tutela della persona umana, ponendosi, così, in contrasto, tra l’altro con l’art. 14 CEDU, e più in generale con una dimensione costituzionale orientata verso la solidarietà, ove si assuma, come in alcuni casi è accaduto, la posizione “mitigata” fatta propria dalle diverse Corti, nel tentativo di non gravare gli Stati dell’onere di garantire la copertura economica di questi diritti. Dunque, il problema evidentemente si sposta sul piano della “valutazione sulla essenzialità” della prestazione che, in assenza di parametri certi e definiti, rischia senza dubbio di tradursi in una ipoteca sulla garanzia della effettività. Del resto, è lo stesso contesto normativo di riferimento a consentire l’assunzione di posizioni defilate, tese a garantire il raggiungimento di una soglia minima di protezione, senza di fatto toccare quella dicotomia di difficile conciliazione. Sul punto di estremo interesse la stessa impostazione seguita dalla CEDU (Carlson v Regno Unito, app. 42184/05) nella quale si è evidenziato che «la più diretta realizzazione del principio di solidarietà sociale, per il quale la persona è chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione di una autorità, e la partecipazione a tali forme di solidarietà deve essere ricompresa tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal costituente. Ne consegue che deve essere riconosciuta anche agli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio italiano la possibilità di partecipare al servizio sociale volontario, quale espressione del principio solidaristico». Ma se da un lato la giurisprudenza europea sembra prospettare delle aperture, se si guarda al quadro normativo di riferimento la situazione si fa certamente più complessa. Infatti, sebbene l’immigrazione sia contemplata in esordio del trattato di Lisbona che all’art. 3 parla di «misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima» (§2), essa rileva 86 Maria Immordino e Loredana Giani I diritti fondamentali degli immigrati… nella prospettiva del legislatore comunitario principalmente nel contesto della garanzia di una delle originarie quattro libertà. E poco incisiva, ai fini considerati in queste pagine, la previsione contenuta al § 3 dello stesso art. 3 del Titolo V del TFUE nel quale è previsto che l’Unione sviluppi una «politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà degli stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi» (art. 67 §2). Titolo che contempla uno specifico capo (II, artt. 77-80) dedicato alle politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione delle quali sono definiti principi direttivi, obiettivi e modalità di esercizio. Ne è testimonianza l’assenza, ad esempio, di politiche specifiche sulla salute dei migranti. Ma nel momento in cui si abbandona il dato meramente testuale delle singole politiche, in favore di una visione sistematica, incentrata sul quadro valoriale recepito nel Trattato di Lisbona, che pone il principio democratico e il rispetto dei valori fondamentali al centro dello sviluppo sostenibile dell’Unione, si intravvede una diversa prospettiva che non scarso rilievo può avere nel contesto della delineazione di un quadro che garantisca l’effettività dei diritti sociali anche con riferimento alle c.d. prestazioni non essenziali. E una apertura nel senso appena indicato può essere rinvenuta nel dato testuale anche nel § 4 dell’art. 79 TFUE che prevede la possibilità di definire misure dirette «a incentivare e sostenere l’azione degli stati membri al fine di favorire l’integrazione dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti nel loro territorio, affidata alle istituzioni europee», e nel successivo art. 80 che in relazione al c.d. burdensharing richiama i principi di responsabilità, «di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità tra gli stati membri anche sul piano finanziario». 5. Quale modello di amministrazione? Si è detto prima come il tema dell’ “effettività” e “garanzia” dei diritti fondamentali degli immigrati chiami in causa la pubblica amministrazione, cui spetta gestire sia la politica dell’immigrazione, quanto al momento dell’ingresso del soggetto nel territorio nazionale, dell’espulsione con il connesso contenzioso, di competenza esclusiva dello Stato; sia le politiche per gli immigrati di competenza delle regioni; sia l’erogazione e la gestione dei servizi sociali di spettanza degli enti locali. Come tutti i diritti a prestazione, ma forse più degli altri, il diritto alla salute postula, quindi, l’assunzione di responsabilità pubbliche, essendo infatti rimesse alle pubbliche amministrazioni l’organizzazione e l’erogazione delle relative prestazioni, in un quadro di risorse finanziarie limitate. Proprio su questo terreno si misura la capacità delle amministrazioni di gestire la metamorfosi multirazziale in atto, di garantire l’integrazione, ossia, l’ambientazione dell’immigrato c. d. regolare nel territorio in cui aspira stabilirsi; ma all’amministrazione spetta anche garantire l’effettività del diritto alla salute e degli altri diritti fondamentali quali l’istruzione, anche degli immigrati c. d. irregolari, dei minori soprattutto se non accompagnati, dei richiedenti protezione internazionale, trattandosi di un diritto inviolabile, che pur “finanziariamente condizionato”, come tutti i diritti a prestazione, si caratterizza, va ribadito, per la presenza di un “ nucleo duro” che costituisce quel contenuto minimo che 87 Relazioni  non tollera lesioni giustificate dagli eventuali costi, pena la violazione della “dignità umana”, valore “non negoziabile” e, quindi “non bilanciabile” con istanze economico finanziarie, ed alla cui difesa e garanzia i diritti sociali, compreso il diritto alla salute, sono funzionalizzati. Le pubbliche amministrazionisono, dunque, istituzionalmente chiamate alla realizzazionedi quelle strutture ed all’approntamento di quei servizi necessari per tradurre il diritto alla salutein concreta soddisfazione dei bisogni di questa particolare multiforme categoria di utenza. Trattasi di una vera e propria obbligazione pubblica, il cui corretto adempimento può risultare, in alcuni casi, complicato, oltre che dalla cronica carenza di risorse finanziarie,dalla specificità delle problematiche che connotanola popolazione immigrata, in cui convergono più “debolezze” che nascono, soprattutto per gli irregolari, dalla condizione stessa di clandestinità, da fattori di ordine culturale, religioso, morale, che incidono anche sul modo stesso di percepire la malattia, sia da parte degli immigrati, sia da parte degli operatori sanitari. La questione dell’effettività dei diritti sociali fondamentali degli immigrati interseca, per vero, anche campi particolari, quali quello dell’informazione, dell’educazione, del rispetto delle diversità culturali e religiose di cui sono portatorigli immigrati, nonché della piena consapevolezza degli stessi di essere, in quanto “persona”, titolari di quei diritti. Il profilo dell’informazione, ad esempio, assume un ruolo centrale nella dinamica tra titolarità ed effettività di un diritto. Può dirsi realmente garantito il diritto alla salute se l’immigrato non è messo in condizione di apprendere pienamente la necessità del trattamento e le sue conseguenze?L’assenza o insufficienza di informazioni, in una con le difficoltà linguistiche, determina spesso nell’immigrato difficoltà nella comprensione delle regole e delle prassi burocratiche sottese all’assistenza sanitaria, con la conseguenza che la paura di rimanere impigliati nelle maglie del sistema è, a volte, più forte della paura della stessa malattia. L’immigrato irregolare, non va dimenticato, proprio in ragione del suo status, ha pure difficoltà ad accedere ai centri ISI (Informazione salute immigrati), nati con lo scopo precipuo di assicurare agli immigrati nonsoltanto l’informazione socio - sanitaria, ma anche di agevolarne l’accesso ai servizi sanitari pubblici. Accesso che non di rado trova ostacoli, a volte insuperabili, in credenze e pratiche religiose, prassi e culture, convinzioni radicate delle quali dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, comunque tenersi conto nelle modalità di erogazione delle relative prestazioni. Si pensi, per fare esempi concreti e drammaticamente attuali, all’immigrata che per ragioni legate al suo credo religioso, o alla morale sottesa ai suoi comportamenti, rifiuta di farsi visitare da personale medico o paramedico di sesso maschile. Con conseguenze per la tutela della propria salute a volte molto gravi e irrimediabili. I fattori di ordine culturale, religioso, morale, possono a volte essere talmente radicati nell’immigrato da indurlo a non esercitare diritti che pur gli sono riconosciuti dalla legge. Indicazioni si colgono al riguardo dalledisposizioni emanate dal legislatore nazionale a tutela delle straniere in gravidanza, o a quelle che vietano in Italia le pratiche volontarie dell’infibulazione. Le statistiche al riguardo sono impietose è rilevano lo scarso ricorso da 88 Maria Immordino e Loredana Giani I diritti fondamentali degli immigrati… parte delle immigrate ai controlli prenatali ed ai consultori, prima, e, di contro, l’aumento progressivo del ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza da parte delle donne migranti, in assoluta controtendenza rispetto a quanto avviene per le cittadine italiane. Quanto alle pratiche dell’infibulazione, particolarmente lesive della dignità umana della donna, nonostante le strutture sanitarie offrano interventi chirurgici di de-infibulazione, volte alla ricostruzione dell’integrità fisica, la mancata richiesta da parte delle immigrate straniere che hanno subito tale menomazione, rende nei fatti inutile la stessa previsione dell’accesso alla prestazione sanitaria. È evidente, da questi esempi, l’importanza di una organizzazione dei servizi sanitari che sia tale da garantire l’effettività del diritto alla salute venendo incontro alle esigenze di questa particolare categoria di utenti. Il problema, di natura giuridica per le implicazioni che ne discendono, comeè stato ben sottolineato da Zito, è allora quello di capire se, in una con l’obbligazione pubblica di prestazione, cui prima accennavo, sia configurabile, con specifico riferimento agli immigrati, un’ “obbligazione aggiuntiva” in forza della quale l’organizzazione e la gestione delle prestazioni socio - sanitarie deve essere realizzata, per quanto possibile, in modo tale da renderla compatibile con il bagaglio culturale e religioso che ogni immigrato porta seco dal suo Paese d’origine. Anche perché spesso tale obbligazione non comporta costi aggiuntivi, ma richiede semplicemente una cultura dell’accoglienza da parte degli operatori sanitari e sociali, aliena da pregiudizi, improntata al principio solidaristico, che postula il dialogo trai soggetti del rapporto, rispettoso dei valori religiosi e culturali dei quali l’immigrato è portatore. In questa direzione, pienamente conforme alle istanze del multiculturalismo, militanooltre all’intrinseco legame intercorrente tra tutela dei diritti sociali e tutela della dignità della persona, anche la configurazione costituzionale dell’amministrazione come funzione di servizio nei confronti delle persone, indipendentemente dal loro status. Ciò detto, uno sguardo a quella che è la drammatica situazione di affollamento dei famigerati CIE dislocati soltanto in alcune regioni italiane, alle regole che presiedono al loro funzionamento, agli scandali continui sulla loro gestione economica, alle infiltrazioni della criminalità organizzata, testimoniano dinamiche amministrative benlontane da quell’obiettivo di integrazione degli immigrati che si gioca proprio sui diritti sociali e sull’organizzazione e l’erogazione delle relative prestazioni. Né sembra, almeno allo stato attuale, ci siano le condizioni per un miglioramento di tale situazione, con la previsione al loro posto, con i decreti Minniti, di Centri di permanenza per il rimpatrio dei migranti, da istituirsi presso ogni regione, preferibilmente fuori dai centri urbani e vicino ad infrastrutture di trasporto, con esclusione delle persone «in condizioni di vulnerabilità». Come detto, i decreti non sembrano toccare quel nucleo duro riconosciuto al diritto alla salute, proprio perché legato al valore della dignità umana. Tuttavia, è netta la sensazione, avvalorata dal procedere schizofrenico del nostro legislatore e dal bassissimo grado di effettiva realizzazione in concreto del diritto alla salute degli immigrati, soprattutto se irregolari, anche nel suo nucleo duro, che sia meramente utopistico parlare di una obbligazione aggiuntiva a carico delle strutture amministrative, finalizzata 89 Relazioni  a rendere effettivi i diritti e le aspettative di questa particolare categoria di utenti. Il quadro che si presenta agli occhi di un osservatore, neppure particolarmente attento, è di un degrado culturale che lambisce, con lodevoli eccezioni, quasi tutti i settori della società, nonché le istituzioni ormai sempre più impegnate ad assecondare i populismi e le pulsioni della peggiore destra xenofoba. Un degrado in pieno contrasto oltre che con quel modello di solidarietà e di accoglienza delineato dalla Costituzione e seguito, almeno in un primo tempo, dal Legislatore, soprattutto regionale, con quel ruolo di servizio che la Costituzione assegna alla pubblica amministrazione. Il dubbio è che la grave crisi economica che attanaglia il Paese, l’entità del fenomeno, con conseguente allargamento della platea dei potenziali beneficiari di servizi sociosanitari sui quali si è abbattuta, in generale, la scure dei tagli, abbiano corrotto alla base lo spirito solidaristico e, messo in crisi, rilevandone i limiti, l’ideologia della solidarietà senza frontiere. 6 Spunti sulle possibili aperture nel quadro europeo. Se, dunque, quello appena descritto è il quadro generale di riferimento, ritorna imperante l’ipoteca “finanziaria” sul profilo della effettività dei diritti sociali. In questo senso, anche per cercare di dare una risposta sul profilo della sostenibilità economica delle prestazioni, un attento e costruttivo sguardo all’Europa può senza dubbio essere d’ausilio. Sebbene, come si è già avuto modo di evidenziare in precedenza, l’approccio globale dell’Unione in materia di migrazione e mobilità sia abbastanza blando, ove esaminato nella prospettiva della armonizzazione delle legislazioni nazionali, con specifico riferimento alla garanzia dei diritti sociali (finanziariamente condizionati) in esso (ordinamento dell’Unione) si trovano numerosi appigli utili soprattutto se si usa la lente di Europa 2020 (e ora 2030) che propone una crescita inclusiva, intelligente e solidale. Si tratta di una prospettiva che impone all’amministrazione, anche nazionale, di ripensare non solo il proprio ruolo, ma anche le sue stesse modalità operative, assumendo una prospettiva orientata verso orizzonti più ampi. In altri termini, se l’amministrazione deve farsi garante della effettività dei diritti fondamentali, non si può pensare che possa, assieme allo stesso legislatore, celarsi dietro il dito della scarsezza delle risorse, o quanto meno, prima di fare ciò, prima di invocare la scarsezza delle risorse, dovrebbe percorrere tutte le vie possibili per l’acquisizione delle risorse necessarie. Dunque, non solo utilizzando appieno le risorse specifiche ma anche utilizzando le “altre” risorse che l’unione mette a disposizione che, se sfruttate con un intelligente grado di progettualità, possono certamente essere utili a colmare, anche se non del tutto, le risorse scarse. Sul piano delle risorse specifiche rileva in primo luogo il Fondo asilo, migrazione e integrazione che sostituisce i programmi del periodo di programmazione 2007-2013 (fondo europeo per l’integrazione dei cittadini dei paesi terzi; il fondo europeo per i rifugiati e il fondo europeo per i rimpatri). Si tratta di un fondo il cui obiettivo generale è contribuire alla gestione efficace dei flussi migratori e all’attuazione, al rafforzamento e allo sviluppo della politica comune di asilo, protezione sussidiaria e protezione temporanea e della poli90 Maria Immordino e Loredana Giani I diritti fondamentali degli immigrati… tica comune dell’immigrazione, nel pieno rispetto dei diritti e dei principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali UE. Nell’ambito di questo obiettivo generale vengono poi declinati alcuni obiettivi specifici comuni che vanno dal rafforzamento e sviluppo di tutti gli aspetti del sistema comune di asilo, compresa la sua dimensione esterna; al sostegno la migrazione legale verso gli stati membri in funzione del loro fabbisogno economico e sociale, come il fabbisogno del mercato del lavoro preservando al contempo l’integrità dei sistemi di immigrazione degli stati membri, e promuovere l’effettiva integrazione dei cittadini di paesi terzi; alla promozione di strategie di rimpatrio eque ed efficaci negli stati membri, che contribuiscano a contrastare l’immigrazione illegale, con particolare attenzione al carattere durevole del rimpatrio e alla riammissione effettiva nei paesi di origine e di transito; al miglioramento della solidarietà e la ripartizione delle responsabilità fra gli Stati membri, specie quelli più esposti ai flussi migratori e di richiedenti asilo anche attraverso la cooperazione pratica. Tra i vari interventi e progetti che il fondo finanzia vi sono proprio quelli volti a migliorare le condizioni di accoglienza e le procedure di asilo (azioni: fornitura di aiuti materiali, compresa l’assistenza alle frontiere, istruzione, formazione, servizi di sostegno, cure mediche e psicologiche; fornitura di servizi di sostegno, come la traduzione e l’interpretariato, l’istruzione e la formazione, compresa la formazione linguistica ecc.); e le infrastrutture di alloggio e i sistemi di accoglienza (azioni: miglioramento e manutenzione delle infrastrutture e dei servizi di alloggio esistenti; potenziamento e miglioramento delle strutture e dei sistemi amministrativi; informazioni per le comunità locali; formazione del personale). Il fondo poi sostiene anche azioni in favore di persone temporaneamente soggiornanti, azioni condotte in un paese terzo sui cittadini di paesi terzi in relazione alle “misure prima della partenza”, nonché azioni tese a favorire lo sviluppo di misure per l’integrazione quali ad esempio azioni riguardanti la consulenza e l’assistenza in settori quali l’alloggio, i mezzi di sussistenza, l’orientamento giuridico e amministrativo, le cure mediche e psicologiche, l’assistenza sociale, l’assistenza all’infanzia e il ricongiungimento familiare; misure di accompagnamento delle procedure di rimpatrio e le stesse misure di rimpatrio. Ma proprio nel quadro della ricostruzione di un possibile ruolo dell’amministrazione, il discorso necessariamente non può limitarsi ai fondi specifici, ma deve orientarsi verso un orizzonte diverso. Il richiamo è, evidentemente, a quegli strumenti tesi a garantire la coesione economica e sociale e che proiettano le amministrazioni in una dimensione diversa, chiamandole ad una progettualità che oltre a prendere le mosse dalle esigenze del territorio, intercetta più competenze pubbliche, assecondando processi di governance multilivello. Una strategia caratterizzata da una progettualità composta e che, anche grazie all’approccio dei tre no (no nuovi fondi, no strutture formali dell’unione, nessuna nuova normativa dell’UE), trova nella programmazione partecipata bottom-up il suo strumento chiave. Le amministrazioni vengono così poste di fronte a uno scenario del tutto nuovo in cui confrontarsi con le esigenze manifestate dai territori per trovare soluzioni nuove e partecipate. Dunque, una nuova progettualità che richiede la ideazione e realizzazione di progetti integrati che si inseriscono a pieno titolo, o meglio che rappresentano lo stru91 Relazioni  mento principe attraverso cui garantire quel modello di sviluppo (integrato, intelligente e sostenibile) che, se letto in una prospettiva di sistema, senza dubbio si riconduce nel quadro di garanzie della effettività dei diritti sociali, anche in favore di quegli individui che sono legati al nostro territorio non da uno status civitatis ma da quei diritti di cittadinanza che sono connaturati al loro essere, assumendo così un approccio improntato non già sull’individualismo volontaristico, ma su un personalismo contemperato dalle istanze di solidarietà cui lo stato costituzionale è chiamato a dare consistenza per la costituzione di una “società decente”. 92 LA TUTELA DEI DIRITTI DEL MIGRANTE TRAMITE LA PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE: LA PRASSI DELL’AUTORITÀ NAZIONALE ANTICORRUZIONE 1 ~ Nicoletta Parisi ~ 1. LA CONNESSIONE FRA DIRITTI FONDAMENTALI DELLA PERSONA, MIGRANTI E CORRUZIONE • 2. LA PRASSI IN MATERIA DI ESERCIZIO DELL’ATTIVITÀ DI VIGILANZA • 2.1. QUALI GLI ESITI DELL’ATTIVITÀ DI VIGILANZA • 3. L’ATTIVITÀ DI REGOLAZIONE DEL SETTORE TRAMITE LINEE GUIDA. • 3.1. IL “TERZO SETTORE” NELLE LINEE GUIDA ANAC DI INTERPRETAZIONE DELLA DISCIPLINA CODICISTICA • 3.2. LA TRASPARENZA AMMINISTRATIVA NELL’ATTIVITÀ REGOLATORIA DI ANAC • 3.3. L’ATTIVITÀ REGOLATORIA ESPRESSA TRAMITE L’ADOZIONE DEL P.N.A. E LA COLLABORAZIONE CON LE ISTITUZIONI E GLI ENTI COINVOLTI NEL SETTORE DELL’IMMIGRAZIONE • 4. L’ATTIVITÀ CONSULTIVA • 4.1. IL CONSORZIO “CALATINO TERRE DI ACCOGLIENZA” E IL CARA DI MINEO • 4.2. L’ACCOGLIENZA DI STRANIERI MIGRANTI NELLA PROVINCIA DI • 5. UN UTILE INTRECCIO FRA ATTIVITÀ REGOLATORIA E ATTIVITÀ CONSULTIVA: LA COLLABORAZIONE CON IL MINISTERO DELL’INTERNO • 6. ALCUNE POCHE CONSIDERAZIONI A PARTIRE TREVISO DALLA PRASSI DESCRITTA. 1. La connessione fra diritti fondamentali della persona, migranti e corruzione. Uno studio indirizzato a coniugare la tematica del rispetto dei diritti fondamentali della persona con lo statuto dei migranti può trovare un utile collegamento anche con la questione del contrasto alla corruzione. Si tratta di un collegamento certamente non originale se si pone mente al preambolo di tante convenzioni internazionali che prendono atto della «minaccia che la corruzione costituisce per la stabilità e la sicurezza delle società, minando le istituzioni e i valori democratici, i valori etici e la giustizia e compromettendo (…) lo stato di diritto»2. È indubbio, 1 Si ringraziano in particolare la dottoressa Daniela Cardullo, la dottoressa Alessia Labbadia, l’ingegnere Maurizio Ciccone e il dottor Alessandro Obino (dell’Autorità Nazionale Anticorruzione) per il contributo di informazioni generosamente dato, contributo che ha reso possibile tracciare il quadro presentato in questo studio. 2 A titolo meramente esemplificativo si è riportato il testo del 1° cpv. del preambolo della United Nations Convention against Corruption, che, per essere una convenzione stipulata da centottantasei Parti contraenti e un’organizzazione di integrazione regionale (l’Unione europea), manifesta il comune sentire della Comunità internazionale. Essa è stata aperta alla firma a Merida, 9-11 dicembre 2003 e ratificata dall’Italia a seguito della legge 93 Relazioni  peraltro, che il primo più apprezzabile ed evidente effetto negativo discendente dalle condotte di corruzione consiste nella violazione dei principi di non discriminazione e di solidarietà sociale3: esse sono infatti anzitutto un furto di opportunità compiuto a danno di chi non sia coinvolto nel patto. Si consideri inoltre che le condotte di corruzione sono valutate tanto pervasive e pregiudizievoli per le garanzie individuali da determinare certa dottrina a rilevare l’attuale esistenza di una norma internazionale di ius cogens che le qualificherebbe come crimine contro l’umanità4: tesi peraltro alla quale non si reputa di poter aderire, se non altro a motivo della difficoltà di enucleare a livello universale una fattispecie penale tassativa sulla quale abbia potuto coagularsi l’opinio iuris rafforzata della comunità internazionale, presupposto che consente di rilevare l’esistenza di una norma consuetudinaria di portata imperativa, inderogabile5. Tuttavia la questione dell’istituzione di una corte penale internazionale competente a reprimere certe qualificate condotte di corruzione (la cd. grand corruption) – iniziata nel corso dell’International Legal Forum di San Pietroburgo del 20126 – è d’attualità nel dibattito giuridico internazionale e va arricchendosi di contributi favorevoli e contrari, animato da studiosi7, istituzioni pubbliche8 e private9. I migranti, peraltro, sono portatori di diritti fondamentali tanto nel Paese dal quale si allontanano, quanto nello Stato che su di loro esercita a diverso titolo la propria giurisdi- portante Ratifica ed esecuzione della Convenzione ecc., del 3 agosto 2009, n. 116 (traduzione non ufficiale tratta dalla G.U. n. 188 del 14 agosto 2009). In modo analogo recitano i preamboli di altri accordi, in particolare della Criminal Law Convention on Corruption (27 gennaio 1999) e della Civil Law Convention on Corruption (4 novembre 1999) adottate nell’ambito del Consiglio d’Europa. 3 Sul collegamento fra condotte di corruzione e violazione dei diritti della persona si veda anzitutto Greco, Go for zero corruption, (2017); G. Racca, R. Cavallo Perin, Corruptionas a violation of fundamental rights: reputation risk as a deterrent against the lack of loyalty, in Integrity and Efficiency in Sustainable Public Contracts. Balancing Corruption Concerns in Public Procurement Internationally (a cura di G. Racca, C. Yunkin), Bruxelles 2014, 23 ss. 4 Mi riferisco in particolare a S. Starr, Extraordinary crimes at ordinary times: international justice beyond crisis situations, in Northwestern University Law Review 2007, 1257 ss.; e a N. Swami, Black money case, Treaty and International law (Jus Cogens), 16 luglio 2016, www.pgurus.com/black-money-case-treaty-and-international-lawjus-cogens. 5 A. Cassese, Diritto internazionale (a cura di Gaeta), Bologna 2006, 199 ss. 6 Il dibattito fu suscitato da Mark L. Wolf, magistrato statunitense: v. dello stesso The Case for an International Anti-Corruption Court, Brookings Institution-Governance Studies at Brookings, July 2014; An International Court to Fight Corruption: A Federal Judge Makes the Case (conference 2017-11-04); Statement: An International Anti-Corruption Court for Grand Corruption, pronunciata nel London Anti-Corruption Summit del 2016. 7 Il progetto è sostenuto in particolare dalla Harvard Kennedy School of Government e dall’American Academy of Arts and Science, contrastato invece dall’Heritage Foundation (B.D. Schaefer, S. Groves, J.M. Roberts, Why the U.S. Should Oppose the Creation of an International Anti-Corruption Court, Backgrounder No. 2958, October 2014); R. Goldstone (magistrato del Sud Africa e procuratore capo nel Tribunale penale internazionale per la ex Yugoslavia e il Ruanda) sostiene il progetto nell’ambito dell’attività svolta nell’ III (Integrity Initiatives International), organizzazione non governativa fondata nel 2016 con lo scopo di contrastare la “grand corruption”. 8 Fra le tante a sostegno di questa iniziativa si ricordano Global Witness e Human Rights Watch. Della III già si è brevemente accennato in nota 7. 9 Il GOPAC (Global Organization of Parliamentarians Against Corruption) ha per esempio adottato la Yogyakarta Declation (8 ottobre 2015) che, al proprio punto 6, raccomanda alle Nazioni Unite di considerare l’adozione di un protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Merida del 2003 indirizzato a istituire una corte penale internazionale per il contrasto delle condotte di grand corruption. 94 Nicoletta Parisi La tutela dei diritti del migrante… zione a partire dal loro (anche solo tentato) ingresso10. Certamente si può parlare invece di crimini contro l’umanità a proposito di talune violazioni che intervengono nei confronti dei migranti, come da ultimo per esempio accertato dal Tribunale permanente dei popoli11. Dunque, le condotte corruttive che eventualmente intervengano a pregiudicare il godimento dei diritti fondamentali hanno rilievo a proposito dell’argomento che qui si vuole affrontare. Ciò tanto più accade oggi, in un momento storico in cui si assiste a ondate migratorie progressivamente in aumento dal sud del mondo verso Paesi di democrazia classica, europei e non europei: è un periodo in cui la necessità di adottare sia decisioni circa l’accoglienza o il respingimento del migrante sia misure relative al suo trattamento fanno venire in rilievo non risolte valutazioni sul bilanciamento fra garanzie individuali e pretese esigenze di sicurezza interna e internazionale. L’attualità del collegamento fra statuto del migrante e corruzione sta anche nella crescente prassi relativa all’infiltrazione di condotte illecite nell’azione pubblica impegnata a gestire il trattamento (inteso in senso lato) dello straniero. Non è un caso che il Report of the fact-finding mission to Italy on migration and refugees, adottato dall’Ambasciatore Tomáš Boček - Special Representative of the Secretary General (del Consiglio d’Europa)12 segnali, in una delle proprie raccomandazioni, la necessità «[to] provide guidance to the Italian authorities about the mechanisms that need to be in place to prevent corruption in the context of handling the refugees and migration flow». Il Rapporto sottolinea pure che questo tema dovrebbe in particolare essere tenuto presente nell’ambito del «GrECO’s 5th evaluation round [that] will cover agencies responsible for border control»13. Si tratta peraltro di una prassi che ben si apprezza da un osservatorio privilegiato, quello dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, a motivo del ruolo di governance a lei attribuito tanto nel settore dei contratti pubblici quanto in quello più generale del contrasto alla corruzione tramite la prevenzione. È una prassi che costringe a registrare come anche un ambito reputato a lungo immune da questa patologia, poiché vede principalmente implicati enti del cosiddetto terzo settore (sia associazioni di volontariato che cooperative sociali), sia invece stato violentato (la parola è forte, ma non viene qui utilizzata a sproposito proprio a motivo della dimensione 10 In termini riassuntivi sulla questione dello statuto dei migranti (distinguendo fra le diverse tipologie di essi) ci si permette di rinviare a N. Parisi, I limiti posti dal diritto internazionale alle scelte di penalizzazione del legislatore interno in materia di immigrazione irregolare, in Il contrasto penale dell’immigrazione irregolare: esigenze di tutela, tentazioni simboliche, imperativi garantistici (a cura di R. Sicurella), Torino 2012, 55-94. Specificamente sul sistema della protezione internazionale e sulla sua dimensione nel 2017 si veda Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2017, a cura di ANCI, Caritas, Cittalia, Fondazione Migrantes, Servizio Centrale dello SPRAR, in collaborazione con UNHCR, Roma, 2017; per un’attualizzazione dei dati v. il XXVII Rapporto Immigrazione a cura di Caritas-Migrantes, 2018. 11 Sentenza 18-20 dicembre 2017, Sessione sulla violazione delle persone migranti e rifugiate (2017-2018). 12 Consiglio d’Europa, Information Documents SG/Inf(2017)8 del 2 marzo 2017. 13 Ottava raccomandazione, in doc. ult. cit., 21. Il quinto ciclo di valutazione del GrECO riguarda la prevenzione della corruzione nelle strutture amministrative centrali dello Stato, quindi anche nelle agenzie di law enforcement. 95 Relazioni  del fenomeno) da condotte di corruzione, tanto da richiedere l’adozione di norme e l’applicazione di procedure che in qualche modo tentino di abbassare il rischio di infiltrazione da parte della criminalità, organizzata e non, a presidio di una sua maggior integrità. Poiché il piano amministrativo è il “luogo” fisiologico di tutela dei diritti individuali, di questi strumenti appunto amministrativi qui s’intende dare sinteticamente conto riportando le prassi in materia, maturata dall’attività di un’autorità amministrativa preposta al contrasto alla corruzione tramite la prevenzione. 2. La prassi in materia di esercizio dell’attività di vigilanza. La prassi a disposizione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione è assai ampia. È pervenuta alla sua attenzione in virtù dell’essere essa titolare di poteri di vigilanza14, esercitati su impulso delle non poche segnalazioni giunte da privati cittadini, da associazioni della società civile, da persone preposte a funzioni pubbliche, da anonimi, nonché da esponenti del mondo politico nei settori che a diverso titolo sono coinvolti nella “gestione” dei migranti15. Si darà qui conto di alcune soltanto delle questioni affrontate e delle soluzioni volta a volta proposte. a) Sul fronte delle procedure di gara, e specificamente in relazione a profili di illegittimità contenuti nel bando di gara, sulla base di esposti presentati da un consigliere comunale del M5S, l’Autorità ha avviato un’attività di vigilanza sul bando per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati nello SPRAR situato nel territorio del Comune di San Giorgio a Cremano. L’ANAC ha rilevato criticità in ordine alla selezione dei soggetti attuatori perché avvenuta senza confronto concorrenziale16. L’assenza di confronto concorrenziale è stata rilevata dall’ANAC anche per quanto riguarda l’affidamento dei servizi rientranti nel sistema SPRAR per il triennio 2014-2016 da parte del Comune di Muro Lucano17. Nel caso del Progetto territoriale aderente al sistema SPRAR per gli anni 2016-2017 del 14 Nel settore dei contratti pubblici la norma attributiva della competenza è l’art. 213.3 cod. contr. pubb.; nei tre restanti settori di attività dell’Autorità (misure anticorruzione, trasparenza, integrità del dipendente pubblico) la norma si rintraccia nella “Legge Severino” (specific. art.1, co.2, lett. f, co. 3; co. 15; co. 32) e nei decreti delegati di essa, di cui si dirà nel prosieguo. 15 L’Autorità ha adottato quattro regolamenti di vigilanza – ciascuno relativo a ognuno dei campi di attività dell’Autorità – con le delibere del 29 marzo 2017, n. 328 (Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi nonché sul rispetto delle regole di comportamento dei pubblici funzionari), n. 329 (Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza sul rispetto degli obblighi di pubblicazione di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013 n. 33), n. 330 (Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di prevenzione della corruzione); e con delibera del 15 febbraio 2017 (Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di contratti pubblici). A questi strumenti si affianca il Regolamento sulla vigilanza collaborativa, approvato nell’adunanza del 28 giugno 2017. 16 Il procedimento è stato definito in forma semplificata, ai sensi dell’art. 21 del regolamento di vigilanza del 15 febbraio 2017, a motivo della cessazione dell’esecuzione degli affidamenti, con nota del 5 giugno 2017. 17 Il procedimento è stato definito con delibera Anac n. 1089 del 26 ottobre 2016. 96 Nicoletta Parisi La tutela dei diritti del migrante… Comune di Mesagne, oltre ai profili di anomalia inerenti le forme di pubblicità adottate per un bando sopra soglia comunitaria, sono state rilevate criticità riguardanti i ridotti tempi assegnati per la ricezione delle offerte, l’assenza della previsione di corrispettivi per le prestazioni oggetto dell’affidamento e di una disciplina dei controlli in fase esecutiva18. La frequente prassi di procedere ad affidamenti senza alcuna procedura ad evidenza pubblica, anche di rilevante importo e sopra soglia comunitaria, nel caso di servizi di assistenza ed accoglienza di soggetti svantaggiati tra cui i migranti, ivi compresi i minori non accompagnati, è stata rilevata nel corso di un’indagine ispettiva svolta nel 2015 dall’Autorità nell’ambito dell’attività contrattuale di Roma Capitale19. Sempre con riferimento al servizio di accoglienza l’attività ispettiva ha consentito di accertare anche altre criticità tra cui la mancata verifica dei requisiti di carattere generale e speciale posseduti dall’operatore economico prima di procedere all’aggiudicazione definitiva del servizio. Di particolare gravità appare l’omissione pressoché generalizzata della verifica in grado di attestare la sussistenza di una delle cause di decadenza, di sospensione o divieto previste dall’art. 67 del d.lgs. 159/2011 o di tentativo di infiltrazione mafiosa e la carenza di verifica dei casellari giudiziali dei soggetti rappresentanti l’operatore economico. L’attività ispettiva ha inoltre consentito di accertare l’esistenza di immobili adibiti all’accoglienza privi delle necessarie certificazioni (a titolo esemplificativo edilizio-urbanistiche, abbattimento barriere architettoniche, igienico-sanitarie) che devono essere acquisite prima dell’entrata in esercizio di qualsiasi immobile utilizzato da persone. A seguito di una segnalazione introdotta da un esponente politico è stata valutata la gestione da parte del Comune di Taranto, sulla base di convenzioni con la Prefettura, dell’area attrezzata denominata Hotspot, sia per quanto riguarda le procedure di gara che l’affidamento dei servizi relativi. Sul primo fronte è stato accertato: l’improprio frazionamento degli appalti di servizi e fornitura affidati, ciascuno, con procedure diverse per di più negoziate e parametrate (in violazione tanto dell’art. 29.4 del pregresso Codice dei contratti pubblici che dell’art. 35.6 del vigente Codice) sugli importi risultanti dal frazionamento; l’improprio utilizzo delle proroghe. Sul fronte dell’affidamento dei servizi di assistenza generica alla persona e di gestione amministrativa si è rilevata la carenza o, alternativamente, il difetto di motivazione dei presupposti di estrema urgenza per il ricorso alla procedura negoziata. L’Autorità ha deliberato l’invio delle propria decisione di accertamento alle persone e agli enti coinvolti, nonché alla Procura generale della Corte dei Conti20. b) Sul versante dell’affidamento e della gestione di finanziamenti pubblici destinati all’accoglienza e all’assistenza di migranti il Consiglio di ANAC ha deliberato in relazione al 18 Il procedimento è stato definito in forma semplificata, ai sensi dell’art. 7 del regolamento di vigilanza del 9 dicembre 2014, con nota del 6 dicembre 2016. 19 Il procedimento è stato definito con delibera Anac n. 207 del 2 marzo 2016. 20 Delibera del Consiglio n. 199 del 1° marzo 2018. 97 Relazioni  Centro di accoglienza richiedenti asilo (CARA) di Castelnuovo di Porto, rilevando profili di criticità relativamente ai sistemi di controllo sulla rendicontazione dei pagamenti effettuati sulla base del numero dei migranti ospitati e dei giorni implicati21. La questione è in verità assai complessa, come rileva la stessa Corte dei Conti22, poiché lo svolgimento dei controlli in concreto è assai difficile quando si abbia a che fare con persone che nella grande maggioranza dei casi sono analfabeti, la cui firma dunque con è in grado di garantire l’identificazione certa dell’ospite. A proposito di Isola Capo Rizzuto è emersa la problematica dell’infiltrazione mafiosa nell’esecuzione del bando e, dunque, anche della tempestività con cui si fronteggia la situazione ricorrendo all’interdittiva antimafia. Nell’audizione che il Presidente dell’Autorità, Dottor Cantone, ha sostenuto di fronte alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione della Camera dei Deputati è stata suggerita una possibile soluzione a lungo termine, quella dell’albo dei fornitori: non si tratterebbe nel caso «necessariamente di fare contratti aperti, ma contratti con procedure che consentano, per esempio, di far fare offerte mediante albi di fornitori che siano tendenzialmente ampi e che siano monitorati prima, per esempio, attraverso i sistemi delle white list»23. c) Si sono presentati poi casi in cui problemi si prospettavano sul fronte tanto del bando di gara quanto dell’esecuzione del servizio affidato. È stato per esempio questo il caso sottoposto all’Autorità da una segnalazione anonima, presa in considerazione nonostante questa sua caratteristica a motivo del fatto che in essa si evidenziano fatti gravi, circostanziati e verificabili circa l’esistenza di un collaudato sistema di appropriazione (illecita) e di gestione di finanziamenti erogati dal Ministero dell’Interno. Il caso riguardava il finanziamento di opere finalizzate alla realizzazione di progetti SPRAR nel Comune di Conza Campania. Le criticità rappresentate erano relative (oltre che all’affidamento senza procedura di selezione a evidenza pubblica) al vero obiettivo dell’iniziativa (quello di un’assegnazione di fondi finalizzata a costituire un bacino di voti elettorali); a profili importanti della gestione delle risorse di personale (nella maggior parte privo di adeguati requisiti, competenze e titoli; in misura ridotta scelto fra persone “affidabili a garantire la continuità del sistema); a subappalti irregolari e fatture “gonfiate” (tali da consentire la restituzione di parte degli importi a favore degli organizzatori del progetto); al trattamento inumano e degradante riservato ai beneficiari ultimi del progetto di accoglienza (tenuti in ambienti fatiscenti, igienicamente malsani, privati dei pur irrisori benefici economici loro riconosciuti dalla legge). L’Autorità ha deliberato la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica e alla competente sezione regionale della Corte dei Conti24. 21 Delibera n. 803 del 20 luglio 2016. Gli atti sono stati anche inviati alla Procura della Repubblica. 22 V. il doc. cit. infra, nota 25. 23 Audizione del 18 maggio 2017, 15 del resoconto stenografico. 24 Decisione del Consiglio del 27 aprile 2017. Si è chiusa (con delibera del Consiglio di ANAC del 13 marzo 2019) la controversa questione relativa al bando di gara del Comune di Cogoleto per l’affidamento a enti del 98 Nicoletta Parisi La tutela dei diritti del migrante… 2.1. Quali gli esiti dell’attività di vigilanza. L’attività di vigilanza ha dunque permesso di far emergere problemi importanti: l’enfasi è posta sul settore dei contratti pubblici, in particolare essendo emerse criticità in ordine al frequente ricorso ad affidamenti diretti e alle proroghe dei contratti in corso, a un elevato numero di procedure negoziate, spesso con unico partecipante, alla diffusione di fenomeni di lock-in derivanti dalla difficoltà di interrompere il rapporto contrattuale con il gestore uscente che fosse anche proprietario della struttura in cui erano ospitati i destinatari del servizio. Si tratta di criticità, tuttavia, che hanno determinato direttamente, congiuntamente alla distrazione illecita di finanziamenti pubblici, una scarsa (per non dire di peggio) qualità delle prestazioni rese dall’affidatario del servizio che ha reso molto difficile, quando non addirittura indegna, la vita delle persone destinatarie ultime del servizio e della fornitura di beni, oltre al ricorrere di modalità improprie di lavoro assai contigue al fenomeno del caporalato, quando non di asservimento a prostituzione. È tra l’altro anche intervenuta una relazione della Corte dei Conti su La prima accoglienza degli immigrati: la gestione del fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, che – nel dettare Linee di indirizzo – enfatizza la necessità che gli affidamento siano oggetto di procedure di evidenza pubblica, il ruolo centrale delle verifiche in tema di corretto adempimento delle previsioni contrattuali relative all’esecuzione dei bandi di affidamento, l’esigenza di un continuo e stretto monitoraggio delle persone in accoglienza, la corretta tenuta della contabilità secondo le regole ordinarie25. Anche al fine di dar corso a un’attività di vigilanza contrassegnata da minor episodicità e frammentarietà, l’Autorità ha avviato, tramite la propria Banca dati nazionale sui contratti pubblici, una rilevazione di informazioni relative agli appalti del terzo settore nella gestione dei flussi migratori per importi superiori ai quarantamila euro, ricavandone importanti indicazioni relative alla distribuzione dei finanziamenti pubblici (nel periodo compreso fra il 2012 e il mese di aprile 2017) fra lavori, servizi e forniture, alla tipologia delle stazioni appaltanti, al tipo di procedure utilizzate, al numero delle imprese coinvolte. In sintesi, gli elementi emersi da questa prima rilevazione indicano una spesa per il settore individuato pari a 5,9 miliardi di euro (con un volume doppio nel primo quadrimestre 2017 rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente); il 73% del valore degli appalti è affidato dal Ministero dell’Interno e dalle Prefetture; il maggior volume economico degli appalti affidati da Comuni riguardano nell’ordine Roma, Milano e Firenze; il ribasso medio è contenuto entro il 2% (dato rilevante se confrontato con il dato emerso dalla precedente rilevazione negli appalti per servizi per il periodo 2008-2016, attestato fra l’11 e il 12%); nel 72% dei casi (per un valore monetario pari al 28%) vi è stato il ricorso terzo settore dell’attività di co-progettazione finalizzata all’accoglienza di richiedenti asilo, per un valore monetario di due milioni e cinquantottomila euro. Sono state riscontrate gravi criticità, quali tra l’altro la violazione del Codice dei contratti pubblici in materia di trasparenza dei requisiti richiesti per la partecipazione alla gara, di decorrenza della prestazione, di mancato rispetto dell’obbligo di affidarsi a una centrale di committenza o ad altra stazione appaltante a motivo dell’importo dell’appalto. 25 Deliberazione del 7 marzo 2018, n. 3/2018/G. 99 Relazioni  all’affidamento diretto e alle procedure negoziate; scarso il numero di operatori economici coinvolti (pari a 5.940 soggetti fra partecipanti e aggiudicatari); 32% di casi contraddistinti da carenza di informazioni sull’aggiudicazione26. Ne è conseguita anche la decisione da parte dell’Autorità di contribuire con i dati contenuti nella banca da essa detenuta ad alimentare un osservatorio (gestito da associazioni della società civile27) tramite la raccolta progressiva di dati e alla loro messa a disposizione in funzione di dare trasparenza a un’attività che utilizza ingenti risorse pubbliche e che, per questo motivo, deve essere indirizzata a conseguire il fine al quale quelle risorse sono preordinate: l’accoglienza e il trattamento di persone in attesa che, alternativamente, venga loro riconosciuto lo status di protezione internazionale ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 e della normativa dell’Unione europea; ne venga determinato il rimpatrio, ovvero l’indirizzamento verso altro Paese. 3. L’attività di regolazione del settore tramite linee guida. A valle dell’attività di vigilanza, e traendo anche spunto da essa, l’Autorità ha esercitato poteri di regolazione, variamente graduati, secondo quanto la legge le attribuisce. 3.1. Il ‘‘terzo settore’’ nelle Linee guida ANAC di interpretazione della disciplina codicistica. Si tratta, anzitutto, dell’esercizio di poteri che trovano un inquadramento nella disciplina primaria stabilita dal Legislatore nazionale e che nel settore in oggetto si è concretata nell’adozione del Codice dei contratti pubblici 28, che fa propria una ben diversa prospettiva rispetto all’assetto precedente: i servizi sociali – fra i quali sono comprese anche le attività svolte a favore dei migranti – non sono più considerati settore escluso come stabilito nel decreto legislativo n. 163/2006. Il nuovo Codice – adempiendo alla direttiva 2014/24/UE – colloca questi servizi nel Titolo VI, nella rubrica “Regimi particolari di appalto”, assoggettandoli alle disposizioni in materia di affidamento dei contratti pubblici quando d’importo superiore ai 750.000 euro (art. 35), disponendo in caso contrario un regime speciale (semplificato) in materia di pubblicazione dei bandi di gara e degli avvisi (art. 142), contemplando anche la possibilità che le stazioni appaltanti riservino alcuni appalti a organizzazioni che rispettino determinati requisiti (art. 143). Quanto alle cooperative di tipo B si tratta di imprese a tutti gli effetti: imprese che mettono a disposizione servizi e personale specializzato, e che svolgono attività produttive fi- 26 Delibera del 3 maggio 2017 in cui, tra l’altro, si prende atto dei contenuti (sopra espressi) contenuti nell’Ap- punto del competente Ufficio dell’Autorità. 27 V. l’intesa trilaterale fra ANAC, Openpolis e Actionaid, firmata il 21 febbraio 2018. 28 D.lgs. n. 50/2016 (“Codice dei contratti pubblici”), come integrato dal “correttivo” adottato con d.lgs. n. 56/2017 (“Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”) e da ultimo modificato con l. 55/2019. 100 Nicoletta Parisi La tutela dei diritti del migrante… nalizzate all’inserimento nel mondo del lavoro delle persone con svantaggi fisici o psichici. Esse sono regolamentate dalla legge 8 novembre 1991, n. 381, come rivista dal decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112 che dispone in tema di impresa sociale, tali essendo le cooperative finalizzate a creare opportunità di lavoro per persone svantaggiate. Questa disciplina va a regime con il Codice dei contratti pubblici, ai sensi del quale le stazioni appaltanti possono riservare il diritto di partecipare alle procedure di appalto e a quelle di concessione, o possono riservarne l’esecuzione, a siffatti operatori economici (quando siano costituite da almeno il 30% di persone con disabilità o di lavoratori svantaggiati). In linea con il diritto dell’Unione europea, la ratio di una disciplina particolare in materia di affidamenti pubblici agli enti del terzo settore risiede nella limitata rilevanza transfrontaliera dei servizi in questione, essendo essi in via pressoché generale prestati in ambiti territoriali limitati, in quanto connotati da particolari caratteristiche socio-culturali e legati alla tradizione storica e culturale di realtà territoriali specifiche. Tutto il regime codicistico spinge, comunque, il terzo settore verso l’aggregazione e l’apertura delle associazioni di volontariato alle regole della libera concorrenza oltre che verso il conseguimento del fine al quale le risorse pubbliche sono preordinate. Nello stesso arco temporale il Legislatore è intervenuto a mettere ordine in una disciplina frammentaria relativa al regime giuridico delle attività svolte in questo settore con l’adozione del cosiddetto Codice del terzo settore 29, che ha introdotto, dalla prospettiva che qui interessa, l’obbligo di programmazione da parte del decisore pubblico, la gratuità delle prestazioni di volontariato, l’effettivo conseguimento del fine sociale, e dunque un maggior controllo sul collegamento fra finanziamento pubblico e risultati dell’attività finanziata. Hanno trovato così conferma i contenuti delle Linee guida adottate dall’Autorità Nazionale Anticorruzione con la determinazione n. 32/2016 (precedenti alle due ricordate codificazioni)30, che ha dedicato un apposito paragrafo ai servizi di accoglienza dei richiedenti e titolari di protezione internazionale, in considerazione del considerevole aumento della domanda registrato negli ultimi anni e, appunto, delle criticità riscontrate nei relativi affidamenti. Per far fronte ad esse le Linee guida hanno fornito alcuni suggerimenti operativi alle stazioni appaltanti, con lo scopo di ampliare la concorrenza e migliorare la qualità delle prestazioni. Con riferimento alla prima accoglienza, è stato precisato che, laddove la stessa non sia garantita direttamente dalle Prefetture, deve essere affidata all’esito di procedure di evidenza pubblica volte a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e trasparenza e ad assicurare la selezione di soggetti in possesso di adeguati requisiti soggettivi e capacità tecnica e professionale. Con riferimento all’accoglienza di secondo livello nell’ambito del sistema SPRAR, è stato specificato che la scelta degli enti attuatori partner dei Co- 29 A seguito della Legge 29 giugno 2016, n. 106, v. il d.lgs. n. 117/2017, il cui art. 5 (in particolare) indica gli strumenti di partenariato pubblico – privato in materia di attività di interesse generale, indicando fra quest’ultime«accoglienza umanitaria e integrazione sociale dei migranti» (co. 1, lett. r). 30 Determinazione del 20 gennaio 2016, n. 32, Linee guida per l’affidamento dei servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali. 101 Relazioni  muni nella gestione dei servizi di accoglienza deve avvenire nel rispetto dei principi del diritto dell’Unione europea, dai quali discendono: il vincolo di predeterminazione dei criteri selettivi nell’ambito dell’offerta economicamente più vantaggiosa; l’obbligo di una pubblicazione a livello comunitario quando il valore dell’appalto sia superiore alla soglia comunitaria; l’individuazione del soggetto privato affidatario dei servizi mediante confronto concorrenziale in caso di utilizzo di risorse pubbliche, nell’ambito della co-progettazione. Le Linee guida hanno voluto specificare quale debba essere l’oggetto della prestazione da richiedere ai soggetti affidatari, richiamando le indicazioni già fornite dal Ministero dell’Interno31. A tal proposito, al fine di favorire la massima partecipazione alle procedure di affidamento, nelle Linee guida dell’ANAC è stato chiarito che l’obbligo dell’accoglienza integrata ricade non sull’erogatore del servizio bensì sulle Prefetture e sui Comuni, i quali devono garantire la soddisfazione del bisogno in tutte le sue sfaccettature. Pertanto, le stazioni appaltanti sono invitate a prevedere la suddivisione degli appalti in lotti e a consentire la partecipazione in forma aggregata, il ricorso all’istituto dell’avvalimento per la dimostrazione dei requisiti di capacità economica, tecnica e professionale oppure la possibilità di subappaltare una parte del servizio. Sempre in un’ottica di apertura alla concorrenza e di favor partecipationis, alle amministrazioni è suggerito di assicurare la separazione della struttura dalla gestione del servizio, prevedendo che le infrastrutture necessarie all’accoglienza siano preventivamente individuate in fase di programmazione tra le strutture di proprietà dell’ente o del demanio (ad esempio ex-caserme o ospedali dismessi) o messe a disposizione mediante la locazione di fabbricati che non richiedano notevoli adeguamenti, l’edificazione ex novo o la ristrutturazione/riconversione di fabbricati esistenti (ad esempio caserme, scuole, strutture sportive). In tal modo sarebbe possibile assicurare che la selezione dei gestori sia indipendente dalla proprietà della struttura e avvenga valutando esclusivamente l’effettiva capacità di esecuzione della prestazione dedotta in contratto. Si potrebbero in tal modo evitare anche fenomeni di lock-in. Per risolvere il problema delle proroghe delle convenzioni in atto e degli affidamenti diretti, giustificati dall’esigenza di fronteggiare situazioni di estrema urgenza o emergenza, è stata sottolineata l’importanza di una corretta programmazione che tenga conto anche di possibili situazioni di eccezionale emergenza o urgenza, individuando preventivamente i 31 Ci si riferisce al Manuale operativo per l’attivazione e la gestione dei servizi di accoglienza e integrazione per richie- denti e titolari di protezione internazionale e alle Linee guida per la presentazione delle domande di contributo per il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. In particolare, con tali documenti il Ministero ha fornito indicazioni operative a garanzia della qualità delle prestazioni, prevedendo che la prestazione oggetto dell’affidamento deve essere l’accoglienza integrata dei beneficiari, finalizzata alla riconquista dell’autonomia individuale degli stessi e, pertanto, deve prevedere la messa in atto di interventi materiali di base (vitto e alloggio), contestualmente a servizi volti al supporto di percorsi di inclusione sociale (servizi minimi garantiti). Inoltre, ha individuato le modalità di attuazione dei progetti (presa in carico, équipe multidisciplinare, condizioni dell’accoglienza, strutture di accoglienza), nonché le procedure di monitoraggio delle attività e di verifica del raggiungimento degli obiettivi e del mantenimento dei livelli di prestazione concordati (relazioni, schede di monitoraggio e presentazione dei rendiconti finanziari, modalità di raccolta, archiviazione e gestione dati). 102 Nicoletta Parisi La tutela dei diritti del migrante… mezzi per farvi fronte efficacemente. Lo strumento più adeguato a garantire il rispetto dei principi di concorrenza, parità di trattamento e trasparenza, anche nell’urgenza, è individuato negli accordi-quadro: essi consentono di selezionare preventivamente, mediante procedure a evidenza pubblica, i possibili erogatori dei servizi con i quali sottoscrivere specifici accordi nel momento in cui si concretizza l’esigenza dell’accoglienza. Per risolvere le criticità riscontrate con riferimento alla qualità delle prestazioni, è richiamata l’attenzione delle amministrazioni sull’importanza e sulla necessità del monitoraggio dell’esecuzione del contratto, in relazione agli esiti e agli scostamenti tra quanto preventivato e quanto fornito. A tal fine è indicata l’opportunità che il servizio di accoglienza si concluda con un momento di sintesi e di verifica che, anche con il supporto di appositi strumenti (es. questionari di rilevazione), miri a ricevere un primo riscontro dall’utente in merito al gradimento e alla soddisfazione nei confronti del servizio erogato, verificando l’efficacia, l’efficienza e la qualità delle prestazioni fornite e il raggiungimento degli obiettivi di accoglienza, assistenza, recupero e integrazione. Sull’impianto descritto l’Autorità sta intervenendo nuovamente con una successiva generazione di linee guida32 che, nel recepire l’impianto descritto, stanno contribuendo a mettere a regime le criticità emerse dalla necessità di applicare congiuntamente i nuovi Codici dei contratti pubblici e del terzo settore, così che ciascuno di questi trovi applicazione nell’ambito suo proprio. Si è infatti determinato il radicarsi di prassi applicative di essi disomogenee, se non anche irregolari e illegali a motivo del mancato raccordo fra i due Codici. Quello del terzo settore (nonostante quanto richiesto dalla legge delega) aveva infatti mancato di determinare i criteri e le modalità per l’affidamento agli enti no profit di servizi di interesse generale e non ha fatto alcun riferimento alla normativa europea e italiana in materia di procedure di affidamento da parte di enti pubblici. Tra l’altro in materia, e proprio su sollecitazione dell’Autorità33, è anche intervenuto il Consiglio di Stato con un parere del 26 luglio 2018, secondo il quale «si devono ritenere estranee al Codice [dei contratti pubblici] unicamente le procedure di accreditamento c.d. libero e le procedure di co-progettazione e partenariato finalizzate a rapporti puramente gratuiti (…)», specificando che «salve (…) le esposte eccezioni, le procedure previste dal Codice del terzo settore (….) configurano, in ottica europea, appalti di servizi sociali e, pertanto, sono sottoposte anche alla disciplina del Codice dei contratti pubblici, che si affianca, integrandola, a quella apprestata» dall’altro Codice34. Nel condividere a grandi linee quanto espresso dal Consiglio di Stato, l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha accolto un’interpretazione un poco meno rigida35, secondo la quale alcune fattispecie di affidamento di servizi no profit sono estranee al Codice dei contratti 32 Progetto di Linee guida recanti “Indicazioni in materia di affidamenti di servizi sociali”, sulle quali è stata chiusa il 5 luglio 2019 la consultazione pubblica; esse non sono ancora vigenti dovendosi attendere il parere del Consiglio di Stato e la successiva delibera dell’Autorità. 33 Delibera del Consiglio ANAC del 6 luglio 2018. 34 Cons. St., Commissione speciale, parere del 26 luglio 2018, n. 1382, 14. 35 V. il testo del progetto delle linee guida citt. in nota 32, specific. punto 4 della Parte Prima, in fine. 103 Relazioni  pubblici: le procedure prive di carattere selettivo; quelle che non tendano, nemmeno prospetticamente, all’affidamento di un servizio sociale; quelle relative all’affidamento di prestazioni totalmente gratuite (dando anche una definizione di essa originale rispetto alle indicazione del Consiglio di Stato); le concessioni di beni a titolo gratuito aventi ad oggetto beni confiscati alla criminalità organizzata36. Sono viceversa esclusi dall’applicazione del Codice dei contratti pubblici (come anche affermato da costante giurisprudenza europea) i servizi di ambulanza. 3.2. La trasparenza amministrativa nell’attività regolatoria di ANAC. Il settore dell’accoglienza dei migranti rileva non soltanto sul fronte della contrattualistica pubblica ma pure sul fronte della trasparenza amministrativa; ciò a motivo anche dell’intervento del Legislatore avvenuto con decreto legislativo n. 97/2016 sulla disciplina stabilita con il decreto legislativo n. 33/2013, dal quale discendono importanti conseguenze relative agli obblighi di pubblicazione di dati e informazioni che coinvolgono i soggetti pubblici che affidano il servizio di accoglienza, i soggetti gestori e i soggetti attuatori. Anche in questo caso occorre fare riferimento all’attività regolatoria dell’Autorità nazionale anticorruzione per chiarire il portato normativo, non sempre immediatamente comprensibile. Quanto alle istituzioni pubbliche che affidano il servizio di accoglienza, viene anzitutto in rilievo il Ministero dell’Interno, quando assegni risorse agli enti locali per progetti di accoglienza della rete SPRAR, traendole dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. Secondo le linee guida dell’ANAC sugli obblighi di trasparenza37 nel terzo settore – che interpretano gli articoli 26, 27 e 37 del d.lgs. n. 33/2013 – il Ministero è tenuto all’osservanza degli obblighi di trasparenza. Anche le Prefetture – nella misura in cui contribuiscono all’affidamento del servizio di accoglienza sia direttamente sia tramite convenzione con enti, associazioni e cooperative – sono tenute ad osservare le misure di trasparenza che discendono dall’art. 1.32 della “Legge Severino”, dall’art. 37 del d.lgs. n. 33/2013 e dal Codice dei contratti pubblici. Medesimo regime si applica ai Comuni, quando affidino a soggetti attuatori i servizi di accoglienza di migranti traendo le risorse dal Fondo nazionale di cui sopra. Anche gli enti e le società controllate (di diritto o di fatto) sono soggetti agli obblighi di pubblicazione stabiliti nell’art. 26 del d.lgs. n. 33/2013, in virtù dell’intervenuta Legge (124/2017)38, dunque pure quando condividono le attività in questione. Quanto ai soggetti gestori, sono implicati nel sistema italiano gli enti locali, ai quali si applicano le norme sulla trasparenza in quanto qualificati pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 1.2 del d.lgs. n. 165/2001. 36 V. il testo del progetto delle linee guida citt. in nota 32, specific. punti 2 e 3 della Parte Prima. 37 In partic. par. 15, determinazione n. 32/2016, cit., v. anche Determinazione n. 1310/2016, Prime linee guida recanti indicazione sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/2016, del 28 dicembre 2016. 38 L. n. 24/2017 (“Legge annuale per il mercato e la concorrenza”), art. 1.126. 104 Nicoletta Parisi La tutela dei diritti del migrante… Quanto ai soggetti attuatori, e cioè gli enti privati che dispongono di strutture di accoglienza migranti, alcuni di essi sono associazioni, fondazioni o enti comunque denominati (anche privi di personalità giuridica) che vedono la concorrenza di due presupposti: un «bilancio superiore a cinquecentomila euro, con un’attività finanziata in modo maggioritario per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell’ultimo triennio da pubbliche amministrazioni»; e «la totalità dei titolari o dei componenti dell’organo di amministrazione o di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni»39. Ove ricorrano questi presupposti, l’ente è tenuto ad osservare le misure di trasparenza sia nella propria organizzazione che nelle attività svolte40. Vi sono poi altri enti privati (fondazioni, associazioni, enti di diritti privato, società a partecipazione pubblica) che svolgono attività definibili «di pubblico interesse» (come certamente è qualificabile l’accoglienza di migranti), i quali hanno il solo presupposto del bilancio superiore a cinquecentomila euro41: in questa ipotesi l’ente è tenuto alla trasparenza soltanto relativamente all’attività, a motivo del fatto che essa è, appunto, di pubblico interesse42. Essi non devono applicare le misure di trasparenza in virtù del d.lgs. n. 33/2013, né le norme in materia di prevenzione della corruzione contemplate dalla “Legge Severino”. Ma a motivo del fatto che svolgono un’attività istituzionale di interesse pubblico, l’Autorità ritiene43 che ricorra l’interesse generale alla prevenzione della corruzione. Con specifico riguardo alle attività di pubblico interesse, l’orientamento già espresso dall’Autorità con la determinazione n. 8/2015 è nel senso di valorizzare la stipulazione di protocolli di legalità: l’Autorità, infatti, ritiene che «sia compito delle pubbliche amministrazioni partecipanti promuovere l’adozione di protocolli di legalità che disciplinino specifici obblighi di prevenzione della corruzione in relazione all’attività di pubblico interesse svolta e ulteriormente calibrati e specificati anche in base alla eventuale tipologia di poteri (di vigilanza, di regolazione, di controllo sull’attività), che l’amministrazione esercita»44. Occorre infine ricordare che la già richiamata Legge n. 124/2017 stabilisce che a partire dal 2018 le associazioni, le onlus e le fondazioni che intrattengono rapporti economici con la pubblica amministrazione45 sono tenute a pubblicare (entro il 28 febbraio di ciascun anno) le informazioni relative a contributi, sovvenzioni, incarichi retribuiti, vantaggi economici di qualsiasi tipo ricevuti da essa nel precedente anno. Dunque una situazione di traspa- 39 Tali enti sono individuati dall’art. 2bis.2, lett. c, d.lgs. n. 33/2013. 40 La determinazione ANAC n. 1134 dell’8 novembre 2017, “Nuove Linee guida per l’attuazione della norma- tiva in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti economici” detta le modalità di attuazione degli obblighi di pubblicazione. 41 Tali enti sono individuati dall’art. 2bis.3 del d.lgs. n. 33/2013. 42 Determinazione ANAC n. 1134/2017, cit. 43 Determinazione n. 1134/2017, cit. 44 Determinazione n. 1134/2017, cit., par. 3.4.1 ult. cpv. 45 Intesa in senso lato: infatti sono assimilati ad essa gli enti di cui all’art. 2bis del d.lgs. n. 33/2013, le società controllate (di diritto o di fatto) direttamente o indirettamente dalla a. (anche quotate in mercati regolamentati) e le loro partecipate. 105 Relazioni  renza nella gestione delle risorse pubbliche viene in qualche modo garantita per altra via. Peraltro il citato parere del Consiglio di Stato del 26 luglio 2018 ha condiviso l’approccio dell’Autorità in materia di estensione degli standard di trasparenza adottati in materia di contratti pubblici ai contratti a titolo oneroso stipulati con enti del terzo settore. 3.3. L’attività regolatoria espressa tramite l’adozione del P.N.A. e la collaborazione con le istituzioni e gli enti coinvolti nel settore dell’immigrazione. Sempre all’attività di regolazione deve essere ascritta la decisione di dedicare un capitolo del Piano Nazionale Anticorruzione (P.N.A.) 2018-2020 al settore dell’amministrazione che si fa carico dell’accoglienza e della gestione dei migranti. Con decisione del 21 febbraio 2018, il Consiglio dell’ANAC aveva conseguentemente stabilito di aprire un “tavolo tecnico” di consultazione con istituzioni, enti del terzo settore ed esperti che fossero in grado dicontribuire all’individuazione degli snodi critici nelle diverse procedure amministrative relative al trattamento dei migranti a fronte del rischio corruzione. A motivo dell’intervenuta incertezza normativa dovuta alla volontà espressa dalla nuova compagine governativa di modificare tanto la disciplina del Codice dei contratti pubblici quanto quella dell’immigrazione, i lavori del tavolo sono stati sospesi, per essere ripresi nella primavera del 2019 in funzione della redazione del P.N.A. 2019-2021. Si è però dovuto prendere atto nuovamente dell’impossibilità di tener conto della problematicità del settore amministrativo “immigrazione” nel nuovo P.N.A.: la legge 1 dicembre 2018, n. 13246 è troppo recente per aver potuto originare una consistente prassi applicativa utile a consentire la rilevazione delle aree a rischio corruzione e, conseguentemente, a prevedere misure di contrasto di esso, finalità che è propria del P.N.A. Il “tavolo tecnico” si è dunque sciolto prendendo atto dell’inutilità di un lavoro in questa settore, almeno per il momento. Occorre anche osservare che si va aggiungendo una ormai costante criticità originata dall’applicazione della legge n. 132/2018: i bandi per l’affidamento dei servizi di accoglienza migranti vanno deserti (si sta infatti provvedendo in regime di proroga dei preesistenti affidamenti) poiché la disciplina vigente è diffusamente reputata dagli enti no profit non idonea a consentire l’accoglienza della persona straniera in condizioni dignitose e qualificate47. 4. L’attività consultiva. Tramite l’esercizio dell’attività consultiva l’Autorità è stata richiesta di intervenire in diverse situazioni che sembravano (e hanno dimostrato di poter) manifestare elementi di criticità dalla prospettiva tanto della regolarità amministrativa che del rispetto della legge penale. 46 “Conversione in legge del d.l. 113/2018 recante disposizioni urgenti in materia di protezione internaziona- le, immigrazione, sicurezza pubblica, ecc.” 47 V. al riguardo F. Riccardi, Terzo settore e Caritas. Accoglienza svuotata, lo Stato si prenda la responsabilità, in Avvenire, 20 aprile 2019, p. 32. 106 Nicoletta Parisi La tutela dei diritti del migrante… 4.1. Il Consorzio ‘‘Calatino Terre di Accoglienza’’ e il CARA di Mineo. La C.O.T. Società Cooperativa ha inoltrato all’Autorità istanza di parere per la soluzione di una controversia (ai sensi dell’allora art. 6.7, lett. n, del pregresso Codice dei contratti pubblici48) relativa a una procedura di gara per l’affidamento su base triennale della gestione del Centro di accoglienza per richiedenti asilo nel Comune di Mineo, secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Si ricorda senz’altro che dall’apertura di questa vicenda di fronte ad ANAC derivò il procedimento penale denominato “mondo di mezzo”, pervenuto a un primo “giro di boa” con le sentenze di condanna emesse (a seguito di patteggiamento) dal GIP di Roma e dal GUP di Catania, rispettivamente il 3 novembre 2016 e il 18 aprile 2017 nei confronti di alcune delle persone implicate nello stretto intreccio illecito fra mondo politico, amministrazione pubblica e criminalità, mentre il procedimento penale prosegue con il rinvio a giudizio di altri imputati. Il parere reso dall’Autorità49 ha affrontato per la prima volta la questione relativa alla scelta della stazione appaltante di bandire una gara per l’affidamento a un unico operatore economico di una vasta ed eterogenea serie di attività (afferenti ai settori del lavoro, dei servizi e delle forniture) con una sola procedura, senza introdurre il criterio della suddivisione in lotti né adeguatamente motivando questa decisione e ricorrendo all’individuazione di requisiti speciali di partecipazione assai restrittivi, tanto da complessivamente rendere impossibile l’accesso delle piccole e medie imprese. L’Autorità ritenne illegittima la procedura perché in contrasto con i principi di concorrenza, trasparenza, proporzionalità, imparzialità ed economicità. Essa deliberò altresì la trasmissione degli atti alle diverse Procure della Repubblica competenti per territorio, rilevando appunto il fumus di fatti penalmente rilevanti, oltreché delle menzionate illegittimità amministrative. Da questo procedimento scaturì anche la proposta del Presidente di ANAC al Prefetto di Catania50 di adottare la misura della straordinaria e temporanea gestione prevista dall’art. 32.1, lett. b, del decreto legge n. 90/2014, nei confronti del Consorzio delle Cooperative sociali “Casa della Solidarietà” (mandataria) e de “La Cascina Global Service srl” (mandante), sempre con riferimento alla medesima procedura di appalto. A partire dai seguiti penali discendenti dalla vicenda, la Prefettura di Catania ha chiesto (e ottenuto) la stipulazione con l’Autorità (il 9 agosto 2017) di un Protocollo di vigilanza collaborativa, sulla base dell’art. 213.3, lett. h, del Codice dei contratti pubblici: ciò al fine di far fronte alle procedure di gara relative all’affidamento (di rilevante importo economico) dei servizi di gestione del CARA di Mineo. Il nuovo bando di gara per l’affidamento del servizio di accoglienza – nel frattempo pubblicato e sul quale è intervenuta una richiesta di parere ad ANAC da parte della Prefettura di Catania51 – ha visto l’aggiudicazione di tutti i 48 Ora art. 211 del nuovo Codice dei contratti pubblici. 49 Parere del 25 febbraio 2015, n. 15. Sulla vicenda si rinvia anche all’audizione del Presidente Cantone, cit. supra, nota 19, specific. 5 ss. 50 Lettera del Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione al Prefetto di Catania del 19 giugno 2015. 51 La richiesta di parere è pervenuta il 30 marzo 2018; l’Autorità ha dato risposta l’11 aprile 2018. A questa prima richiesta ne sono succedute altre, che hanno consentito alla gara di procedere celermente e ai contratti 107 Relazioni  propri lotti. Tuttavia la struttura è stata infine chiusa (dal 2 luglio 2019): certo essa si era rivelata una modalità iniqua di gestione dell’accoglienza52; ma certo essa non rispondeva più agli indirizzi politici del Governo e, inoltre, non era più utile a motivo delle sue dimensioni, in un momento storico in cui l’arrivo dei migranti non rappresenta più nei fatti un fenomeno numericamente emergenziale per l’Italia. 4.2. L’accoglienza di stranieri migranti nella Provincia di Treviso. Con parere del 21 novembre 201553 l’Autorità ha dato risposta alla richiesta della Prefettura di Treviso relativamente a certe questioni relative alla documentazione della gara indirizzata all’affidamento del servizio di accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale, da gestire nel territorio trevisano in una struttura demaniale. Nel caso di specie la legittimità del bando è stata accertata ed anzi dichiarata una best practice. Sebbene la scelta compiuta dalla Prefettura non appaia lesiva della concorrenza, tuttavia l’Autorità ha preferito ancora una volta sottolineare l’orientamento maturato nell’ambito del caso “Cara di Mineo” e riaffermare l’opportunità della suddivisione in lotti funzionali degli appalti quando presentino una certa complessità e di grande entità economica. 5. Un utile intreccio nell’esercizio dell’attività consultiva e regolatoria: il contributo di ANAC alla redazione del capitolato di gara del Ministero degli interni per il funzionamento dei ‘‘centri migranti’’, comunque denominati. Dalla prassi dell’Autorità emerge un’interessante prassi di esercizio congiunto dei suoi diversi poteri. Ciò è avvenuto, anzitutto, nell’occasione della richiesta sottoposta ad ANAC dal Ministero dell’Interno sullo schema di Capitolato di gara di appalto per la fornitura di beni e servizi relativi al funzionamento dei centri di primo soccorso e accoglienza, dei centri di prima accoglienza, delle strutture temporanee di accoglienza, dei centri di identificazione ed espulsione54, con richiesta di vagliarne il contenuto alla luce degli orientamenti espressi dall’ANAC. di essere assegnati. All’atto della risposta all’ultimo quesito (relativo alla fornitura del servizio di pulizia ed igiene ambientale, inoltrato il 27 maggio 2019 ed evaso il 7 giugno dello stesso anno) il Ministero degli Interni (tramite la Prefettura di Catania) ha comunicato di aver ritenuto necessario procedere al recesso dei contratti di affidamento stipulati con i quattro operatori economici aggiudicatari della gara per giusta causa, consistente nell’imprevedibile mutamento della situazione di fatto e di diritto. Situazione che ha determinato, come si dirà appena oltre, la chiusura del centro di accoglienza. 52 MEDU (Medici per i diritti umani), Cara di Mineo: un modello di accoglienza incompatibile con la dignità della persona, Rapporto, maggio 2015. 53 Parere n. AG 77/15/A 54 Previsti dal d.l. n. 451/1995 (“Disposizioni urgenti per l’ulteriore impiego del personale delle Forze armate in attivita’ di controllo della frontiera marittima nella regione Puglia”), conv., senza modifiche, nella l. 563/1995, dagli articoli 9 e 11 del d.lgs. 142/2015 (“Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme re- 108 Nicoletta Parisi La tutela dei diritti del migrante… L’esame della documentazione ha riguardato precipuamente il capitolato tecnico e gli allegati relativi alla struttura dell’offerta, nella parte in cui essi forniscono specifiche indicazioni in ordine al disegno d’asta, ivi comprese le modalità di presentazione e valutazione dell’offerta, nonché la gestione del rapporto contrattuale. L’ANAC ha fornito il proprio contributo al Ministero dell’Interno supportandolo nell’esatta individuazione di precise clausole del Capitolato. Sono stati oggetto di particolare attenzione le clausole riguardanti: la suddivisione dell’appalto in lotti, su cui l’Autorità si è espressa per la massima tutela delle micro, piccole e medie imprese, suggerendo, altresì una suddivisione per lotti dimensionali, individuati sulla base del numero massimo di migranti per i centri fino a 300 migranti; la precisa ed esatta formulazione della clausola sociale, a tutela dei livelli occupazionali; l’aggiudicazione dell’appalto con particolare riferimento alle formule utilizzate, sia per quanto riguarda la componente economica dell’offerta che per quella tecnica, fornendo specifiche indicazioni in modo da allineare le previsioni del capitolato ai consolidati orientamenti giurisprudenziali e alle indicazioni già fornite dall’ANAC con le proprie Linee guida; la possibile aggiudicazione, con particolare attenzione alla disciplina dell’aggiudicazione contestuale dei tre lotti in sede di prima applicazione, con tutte le conseguenze (da evitare) in termini di necessaria proroga del contratto con il fornitore uscente; la disciplina della sospensione degli effetti del contratto stipulato con l’aggiudicatario e le eventuali modifiche del medesimo, su cui l’ANAC ha fornito i più opportuni suggerimenti per tutelare i principi di trasparenza, imparzialità e tutela della concorrenza55. Una seconda occasione si è proposta a seguito della sottoscrizione del Protocollo di collaborazione tra l’Autorità Nazionale Anticorruzione e il Ministero dell’Interno, avvenuta il 23 luglio 2018 ai fini della riformulazione del menzionato Capitolato. A questo fine all’ANAC è richiesta una collaborazione in termini di «assistenza e ausilio tecnico-giuridico al Ministero, nella predisposizione del Capitolato-tipo e dei relativi allegati volti a dettare la disciplina di gara» per l’affidamento di contratti di fornitura di beni e servizi utili a consentire il funzionamento dei centri di accoglienza di migranti56. Si tratta di un contributo appunto tecnico – che prescinde dalle scelte di merito in materia di politica migratoria – che ha lo scopo di consentire una corretta gestione delle procedure di gara. Alla stipulazione di questo Protocollo è poi seguita l’adozione della già ricordata legge n. 132/2018 di conversione del “Decreto sicurezza”, la quale interviene anche ad attribuire all’Autorità Nazionale Anticorruzione il compito di svolgere vigilanza collaborativa sugli affidamenti dei lavori relativi ai centri per il rimpatrio57. lative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale”) e dall’articolo 14 del d.lgs. 286/1998 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”). 55 V. la Nota del Presidente di ANAC del 1° febbraio 2017 sullo schema di capitolato, poi adottato con Decreto del Ministro degli Interni del 7 marzo 2017. 56 Art. 2 Protocollo cit. 57 Art. 2, co. 2bis, legge cit. 109 Relazioni  A parte ogni considerazione sulla mutata connotazione che assume in questo contesto la vigilanza collaborativa58 poiché indubbiamente la citata previsione normativa ne appanna – limitatamente allo specifico settore – la dimensione volontaristica, v’è ancora da osservare che da questa collaborazione intessuta a cavallo fra regolazione e vigilanza è nata pure l’esigenza di stabilire una “cabina di regia” (insediatasi il 10 gennaio 2019) che consenta al Protocollo e a suoi seguiti di funzionare in modo ordinato. 6. Alcune poche considerazioni a partire dalla prassi descritta. Per usare le espressioni impiegate dalla Commissione parlamentare di inchiesta costituita per fare il punto sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse impiegate 59, le tre criticità presenti nel modello sperimentato in Italia – che ha visto nella situazione del centro di Mineo di cui si è detto60 «un caso emblematico»61 –, si manifestano nel produrre «ambienti spesso invivibili e lesivi dei diritti e della dignità umana; (…) genera[re] (….) allarme sociale e problemi di sicurezza; presta[rsi] ad opacità ed episodi di illegittimità, se non ad aprire il varco a vere e proprie infiltrazioni mafiose»62. Si spera che da questa, per certi aspetti, assai sintetica rassegna delle funzioni esplicate dall’Autorità Nazionale Anticorruzione nel settore dell’immigrazione siano emerse le modalità di lavoro messe in campo per tentare di trovare soluzione a siffatte criticità così da prevenirne il ripetersi. Dalla prospettiva della tutela della dignità della persona – prospettiva che in questa sede principalmente interessa – l’intervento dell’Autorità (insieme a quello delle altre istituzioni nazionali che si sono associate nell’esercizio delle rispettive competenze) ha determinato la volontà di procedere, seppure non in tempi rapidi ma con gradualità, al definitivo abbandono a livello nazionale italiano63 di un modello di gestione nell’accoglienza dei migranti che è stato descritto, tra le altre criticità evidenziate, «decisamente negativo per quanto riguarda la qualità dell’accoglienza [, la quale non è riuscita] a garantire la cura e l’assistenza di cui avrebbero bisogno i richiedenti asilo ospitati, spesso provenienti da esperienze particolarmente traumatiche»64. In particolare, nella struttura di Mineo «le 58 Al proposito è pertinente il rinvio all’art. 4 del Regolamento in materia di attività di vigilanza e di accerta- menti ispettivi, adottato il 9 dicembre 2014 L’art. 213.3, lett. h), del Codice dei contratti pubblici del 216 ne ha cristallizzato l’esistenza, determinando con ciò anche la necessità dell’adozione (il 28 giugno 2017) di un nuovo Regolamento esclusivamente dedicato a questa forma di vigilanza. 59 Relazione presentata al Parlamento il 21 giugno 2017. 60 Supra, par. 4.1. 61 Doc. ult. cit., 56. 62 Doc. ult. cit., 58-59. 63 Ci si riferisce alle dichiarazioni (e alle conseguenti azioni) circa l’abbandono di siffatto modello, oltre alla decisione di chiusura dello stesso Centro di Mineo (doc. ult. cit., 59). V. anche supra, par. 4.1, in fine. 64 Doc. ult. cit., 56. 110 Nicoletta Parisi La tutela dei diritti del migrante… condizioni igienico-sanitarie (…) sono precarie, gli appartamenti spesso fatiscenti, (…) il servizio medico è deficitario, con screening superficiali, prese in carico dei pazienti frammentarie e ambulatori scarsamente attrezzati. È insufficiente rispetto al numero degli ospiti la disponibilità di figure professionali adeguate e sono deficitari i servizi di mediazione linguistico-culturale, consulenza legale, sostegno psicologico, le attività di formazione e orientamento all’integrazione»65. Si aggiunge che «la mancanza di spazi di socialità costringe gli ospiti a vagare per il villaggio costretti di fatto all’inattività forzata, spesso per mesi, e questo produce uno stato alienante di attesa, di isolamento fisico e morale (…)»66. Insomma, l’uso accorto di tutti gli strumenti che il sistema di prevenzione della corruzione predispone per il settore della pubblica amministrazione ha permesso di portare in rilievo situazioni che si sono dimostrate una «ghiotta occasione di business per alcuni (…)», occasione nella quale «gli interessi che vi ruotano intorno finiscono per prevalere su ogni altro elemento di valutazione (…). Il risultato diventa fatalmente quello di strutture inadeguate ai bisogni dei migranti, di un uso discutibile delle risorse, di episodi di arbitrio e di corruzione»67. Sul fronte della prevenzione della corruzione che potrebbe derivare dall’uso di risorse pubbliche da parte di enti privati un grande contributo sembra essere stato dato anche dall’esercizio da parte di ANAC della funzione regolatoria, indirizzata a garantire l’adozione da parte di questi, in misura diversa, di misure di trasparenza68. Si deve invece ancora valutare se potranno emergere dati positivi dalla prassi applicativa del decreto legislativo n. 254/2016, di adempimento della direttiva dell’Unione europea 2014/9569. Quest’ultima ha infatti imposto agli Stati membri di introdurre una disciplina che obbliga le grandi imprese «di interesse pubblico»70 a includere nella propria relazione annuale di gestione anche «una dichiarazione di carattere non finanziario contenente almeno informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva(…)»71. Si è consapevoli che nel terzo settore le imprese di grandi dimensioni rappresentano un fatto eccezionale; tuttavia questa disciplina manifesta uno sviluppo positivo per l’affermazione di standard alti di responsabilità sociale d’impresa, in linea con le misure anticorruzione e di trasparenza introdotte dal decreto legislativo n. 97/2016 per tutti gli enti privati controllati e per gli enti partecipati o anche solo privati tout court quando svolgano funzioni di rilievo pubblicistico. 65 Doc. ult. cit., 57. 66 Doc. loc. ult. cit. 67 Doc. ult. cit., 59. 68 Supra, par. 3.2. 69 Dir. 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014 recante modifica della direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni, in GU L 330 del 15 novembre 2014. 70 Dall’art. 19bis della direttiva sono qualificate tali le imprese che presentano un numero di dipendenti occupati in media durante ciascun esercizio annuale pari a 500. 71 Art. ult. cit. (corsivi aggiunti). 111 Relazioni  Tuttavia le criticità emerse in sede di vigilanza esercitata da ANAC, ma soprattutto rilevate “a valle” delle decisioni governative in materia nonché a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 132/2018 suscitano alcune conclusive riflessioni e valutazioni in materia di impatto sul rispetto dei diritti della persona migrante. Anzitutto v’è da interrogarsi sul se la strategia politica che si va manifestando sul piano giuridico con l’adozione dei provvedimenti normativi e delle prassi amministrative in materia di sicurezza e ordine pubblico sinteticamente rassegnati consentano una prassi applicativa in materia di trattamento del migrante (in tutte le diverse dimensioni in cui esso si articola) rispettosa degli obblighi internazionali anche in materia di diritti della persona: la questione – di portata generale, dunque non limitata al contesto del contrasto alla corruzione – è oggetto di un nutrito dibattito a livello tanto nazionale che internazionale72; ma già si è detto in apertura degli effetti perversi che la corruzione ha sul rispetto delle garanzie individuali. In secondo luogo occorre valutare le conseguenze derivanti da una così limitata adesione degli enti no profit alle procedure di affidamento di servizi pubblici per l’accoglienza e la gestione dei migranti. Poiché il vuoto in natura non esiste, questo spazio non occupato dal terzo settore deve poter essere riempito da attori capaci di non offrire ulteriore ingresso dell’economia illecita entro un settore così delicato dell’economia pubblica lecita. Già è stato descritto in questo saggio come sia in atto da tempo una prassi che strumentalizza «il mondo della solidarietà e della cooperazione per coprire meccanismi criminali»73. Ciò significa che «bisogna fare attenzione due volte. Da un lato per bloccare l’espansione degli affari illegali; dall’altro per salvaguardare le attività indipendenti da Stato e mercato, in modo da preservarne l’immagine e la missione»74: missione che può essere preservata anche attraverso il controllo diffuso esercitato da loro stessi, così da garantire l’esercizio del proprio ruolo sussidiario costituzionalmente riconosciuto, secondo standard di dignità internazionalmente accettati nei confronti di chi è persona e non merce. 72 Si rinvia sinteticamente – per il dibattito interno all’ordinamento italiano – a: ItaliaStatodiDiritto, Qualche ragione di incostituzionalità del Dl 14 giugno 2019 n. 53 c.d. “sicurezza bis”, nonché al lavoro ivi citato di Natale, A proposito del decreto sicurezza-bis, in Questione Giustizia, 7/7/2019; nonché alla lettera del Capo dello Stato Sergio Mattarella, indirizzata al presidente del Consiglio il 4 ottobre 2018, all’atto della firma del decreto legge in materia di sicurezza e immigrazione. Per il dibattito internazionale si richiamano: la posizione espressa dall’UNHCR il 19 giugno 2019 (nell’occasione della presentazione del Rapporto Global Trends 2018); e dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa (il 15 novembre 2018 e il 18 giugno 2019, nonché con lettera del 7 febbraio 2019 indirizzata al Presidente del Consiglio italiano. 73 G. Bianconi, Cantone (Anac). Infiltrazioni del non profit? Lo Stato vigili, in Corriere della sera, 7 maggio 2019, p. 7, che riporta una dichiarazione del Presidente di ANAC. 74 Op. loc. ult. cit. Sul ruolo del terzo settore nell’ordinamento italiano v. da ultimo F. de Bortoli, Ci salveremo. Appunti per una riscossa civica, Garzanti, Milano, 2019. 112 PER UNA VISIONE NON IRENICA DEL DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE ~ Mario Savino ~ 1. PREMESSA • 2. OLTRE L’APPROCCIO INDIVIDUALISTA: LA DIMENSIONE COMUNITARIA/NAZIONALE • 3. OLTRE L’APPROCCIO ANTI-DISCRIMINATORIO: LA DIMENSIONE RE(DIS)TRIBUTIVA DELLA REGOLAZIONE DEI CONFINI • 4. OLTRE L’APPROCCIO POSITIVISTICO: LA DIMENSIONE DELL’EFFETTIVITÀ DEI DIRITTI • 5. CONCLUSIONI 1. Premessa. Il diritto dell’immigrazione è un diritto asimmetrico, perché democrazia e diritti non vanno di pari passo, ma sono, anzi, in tensione tra loro. La legge è espressione della volontà della maggioranza dei cittadini-insiders. E questa volontà plasma le libertà degli altri, gli immigrati, che, non avendo diritto di voto, sono esclusi dalle decisioni che li riguardano. Pur essendo tra coloro che da tempo invocano la necessità di compensazioni per questa asimmetria, a partire da un sindacato stringente della Corte costituzionale sulle scelte legislative che toccano le libertà fondamentali dei non cittadini1, in questo scritto tenterò di evidenziare alcuni limiti dell’atteggiamento “universalista” che pervade la letteratura scientifica sul tema e che identificherò, semplificando, con la “retorica dei diritti umani”2. Il problema si pone con particolare urgenza nel contesto attuale, giacché alla propensione universalista, che domina il dibattito accademico e spinge per una tendenziale equiparazione del trattamento giuridico di cittadini e stranieri, si contrappone un dibattito politico dominato dalla retorica nazionalista, che esalta l’esclusività dei diritti di cittadinanza e punta a una netta divaricazione tra lo status privilegiato del cittadino e lo status dimidiato dello straniero-migrante. La recente ascesa dei nazional-populismi in Italia e in Europa produce una legislazione che rinvigorisce l’antico paradigma dell’appartenenza nazionale, maturato nella seconda metà dell’Ottocento e che l’esperienza dei due conflitti mondiali aveva delegittimato e – si credeva – definitivamente archiviato. Invece, in tempi di crisi delle finanze pubbliche e dei 1 M. Savino, Le libertà degli altri. La regolazione amministrativa dei flussi migratori, Milano, 2012, e, più di recente, Id., Lo straniero nella giurisprudenza costituzionale: tra cittadinanza e territorialità, in Quaderni costituzionali, 1 2017, 41 ss. 2 Sulla distinzione tra “diritti umani” e “diritti fondamentali”, per tutti, G. Palombella, Diritti fondamentali. Per una teoria funzionale, in Sociologia del diritto, 1 2000, 51 ss. 113 Relazioni  sistemi di welfare, si torna a esigere un godimento (più) esclusivo dei diritti politici e sociali, simbolo di appartenenza e coesione della comunità nazionale. Si rinnova la percezione di un radicale antagonismo tra “noi” e gli “altri”, che si intreccia con quello tra élite e popolo: la prima pronta a solidarizzare con i migranti che fuggono da guerre e povertà (gli “ultimi”dell’approccio universalista); il secondo più propenso, invece, a solidarizzare con i concittadini in difficoltà (i “penultimi” che l’universalismo liberale avrebbe da tempo colpevolmente dimenticato). Così, in Italia come nel resto dell’Europa, i legislatori statali paiono sempre più propensi a sfidare il principio di eguaglianza nel godimento dei diritti umani pur di sfruttare l’asimmetria strutturale sopra indicata per comprimere le libertà dei migranti e rinsaldare il primato delle identità e degli interessi nazionali. Il risultato? Un diritto dell’immigrazione sempre più “speciale” e sempre più divergente sia rispetto al resto del diritto pubblico, sia rispetto ai postulati dello Stato di diritto sui quali gli ordinamenti europei e l’idea stessa di Europa si fondano. La pervasività della retorica dei diritti umani nel discorso giuridico sull’immigrazione si spiega così: come un tentativo di stigmatizzare questa deriva e di risvegliare le coscienze circa i rischi che il tradimento della rule of law in questa area del diritto può produrre sull’intero ordinamento. Di qui, dunque, l’abbondare, nella letteratura giuridica dei nostri giorni, di moniti e richiami al legislatore “fazioso” e liberticida e l’accorato invito affinché i giudici si ergano a inflessibili garanti di quei valori universali – i diritti umani – che oggi più che mai dovrebbero operare come presidio invalicabile della dignità umana. Il problema scientifico di questa retorica – a prescindere dalla condivisibilità o meno delle opzioni ideologiche ad essa sottese – è che essa tende ad appiattire la complessità del fenomeno giuridico in questione, ri(con)ducendolo a un formato “anti-discriminatorio”. Propugnare il rispetto delle libertà fondamentali, degli “altri” oltre che nostre, è una prospettiva consonante con lo slancio universalistico della Dichiarazione sui diritti umani del 1948 e con il modello politico liberale consolidatosi nella seconda metà del Novecento in Europa. Quel paradigma universalistico liberale finora imperante – ben raffigurato dall’ascesa, dopo la caduta del muro di Berlino, di una Comunità (poi Unione) senza confini, aperta all’adesione dei paesi dell’Est, fondata sulla promozione della democrazia e su un elevato livello, appunto, di protezione dei diritti umani – è ormai in crisi. Non si tratta soltanto di prenderne atto, ma anche di constatare che il nostro specifico oggetto di studio, l’immigrazione, costituisce l’epicentro dal quale quella crisi promana3. Di seguito, per dare maggiore concretezza al discorso, si esaminano tre tendenze della riflessione giuridica sull’immigrazione che, ad avviso di chi scrive, sono eccessivamente (o unilateralmente) condizionate dalla retorica dei diritti umani. 3 I. Krastev, After Europe, Philadelphia, 2017. 114 Mario Savino Per una visione non irenica… 2. Oltre l’approccio individualista: la dimensione comunitaria/nazionale. L’idea di derivazione anglo-americana secondo cui i diritti fondamentali si radicano direttamente nella persona è stata decisiva ai fini del superamento della prospettiva statalista imperante nella prima metà del Novecento. Secondo la nota teorizzazione dei c.d. diritti pubblici subiettivi, importata dalla pan-pubblicista tedesca di fine Ottocento, la titolarità di pretese giuridiche azionabili nei confronti dello Stato dipendeva dalla qualità di membro di quello Stato: al di fuori di questa appartenenza, l’individuo era titolare di mere libertà naturali, non di diritti4. Questa piena riconduzione dei diritti di libertà alla cittadinanza e, in via mediata, alla sovranità statale ha avuto ampio seguito nella cultura giuridica italiana, grazie a Santi Romano5, ma anche grazie a Oreste Ranelletti, che, nell’applicarla alla disciplina dell’immigrazione, ne ha tratto tre implicazioni: i) l’attitudine del criterio della cittadinanza a giustificare qualsiasi disparità di trattamento tra cittadini e stranieri; ii) l’anteposizione dell’interesse pubblico o statale (sicurezza o controllo delle frontiere) al rispetto delle libertà individuali dello straniero; iii) l’ampia libertà di scelta del legislatore circa i fini o interessi pubblici suscettibili di determinare una compressione delle libertà dei non cittadini6. Dopo la seconda guerra mondiale, la ribalta dei diritti umani ha incrinato quella concezione statalista, individuando nella presenza fisica della persona sul territorio – e non più nella cittadinanza – il criterio (non esclusivo, ma) primario di riconoscimento dei diritti e dei correlativi obblighi in capo alle autorità statali. La sostituzione del “vecchio” paradigma della cittadinanza con il “nuovo” paradigma della territorialità (o presenza fisica nel territorio) è consonante con l’idea universale del radicamento dei diritti umani non nella sovranità statale, ma direttamente nella persona umana e al contempo aiuta a sdrammatizzare il problema della specialità del diritto dell’immigrazione. Non è l’assenza della qualità di cittadino a rendere qualitativamente diversa e, dunque, speciale la dialettica tra autorità (dello Stato) e libertà (dello straniero). In questo, come in altri ambiti del diritto pubblico, si fronteggiano interessi pubblici più o meno rilevanti (controllo delle frontiere, coesione sociale, ordine pubblico, relazioni internazionali) e libertà individuali più o meno fondamentali (libertà personale, di ingresso e soggiorno, di accesso a prestazioni sociali). Si tratta, perciò, di una branca del diritto pubblico connotata da una contrapposizione tra autorità e libertà “ordinaria”, che pone problemi di controllo del potere forse meno studiati e più condizionati dai retaggi del paradigma della cittadinanza, ma non nuovi, né qualitativamente diversi. 4 G. Jellinek, Sistema dei diritti pubblici subbiettivi (1905, II ed.), Milano 1912, 92 ss. 5 S. Romano, La teoria dei diritti pubblici subiettivi, in Primo trattato di diritto amministrativo italiano, vol. I (a cura di V.E. Orlando), Milano 1900, 111 ss. 6 O. Ranelletti, La polizia di sicurezza, in Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, vol. IV, pt. 1 (a cura di V.E. Orlando), Torino 1904, 999 ss. 115 Relazioni  Basti pensare alle tante misure di limitazione dell’ingresso e del soggiorno degli extracomunitari fondate su motivi di ordine pubblico: si tratta di misure che, pur essendo riconducibili all’ambito della prevenzione ante e post delictum, continuano ad essere sottratte allo statuto legislativo e costituzionale riservato a quelle categorie di atti, sulla base di una presunzione di specialità, spesso implicita, difficile da giustificare sul piano giuridico7. È vero che la prospettiva dei diritti umani, riconosciuti come fondamentali dalla carta costituzionale, costituisce la premessa necessaria di qualsiasi analisi sul livello di tutela che una certa branca del diritto pubblico assicura al singolo nei confronti del pubblico potere. Tuttavia, è anche vero che il protagonista del discorso sui diritti non è l’ordinamento in quanto tale, bensì l’individuo8; e che, quindi, quel discorso poggia su una logica – individualista, appunto – che non è affatto neutrale, perché è potenzialmente in tensione con la logica comunitaria. Gli interessi del singolo, sia esso cittadino o straniero, possono non coincidere con quelli del gruppo sociale del quale il primo fa parte o diviene membro. Se l’Europa, popolata da circa mezzo miliardo di persone, decidesse di accogliere, oltre ai due milioni di rifugiati che hanno raggiunto le coste italiane e greche dal 2014 ad oggi, tutti gli altri rifugiati dell’Africa e del Medio Oriente – potenzialmente decine di milioni di persone9 – il riconoscimento a quelle masse di migranti del diritto alla protezione internazionale (e degli altri diritti civili e sociali che al primo si ricollegano in base alla Convenzione di Ginevra del 1951) comporterebbe, in molti Stati europei, una crisi della capacità redistributiva dello Stato, che non sarebbe più in grado di farsi carico dei bisogni essenziali dei cittadini appartenenti alla “sua” comunità nazionale. Come questo esempio iperbolico aiuta a chiarire, il diritto dell’immigrazione chiama in causa, esasperandola forse più di quanto avvenga in ogni altro ambito del diritto pubblico, proprio questa dialettica tra i diritti individuali (del migrante) e la coesione sociale (dalla quale l’idea stessa di comunità non può prescindere). La logica individualista dei diritti umani, applicata meccanicamente in un contesto di sempre più accentuata mobilità umana, ha in sé la capacità di corrodere le fondamenta sulle quali poggiano le comunità locali e nazionali. La specialità del diritto dell’immigrazione non attiene alla natura delle libertà e degli interessi pubblici in gioco, bensì alla legalità, cioè allo squilibrio – richiamato in premessa – tra le decisioni (della maggioranza) dei cittadini, orientate a salvaguardare gli interessi della comunità nazionale, e le libertà sulle quali quelle decisioni incidono, che sono le libertà, appunto, degli stranieri. Come evidenziato altrove10, non si tratta solo della “tirannia” che le maggioranze esercitano sulle minoranze. In materia di immigrazione, vi è qualcosa di più, perché i non cittadini, a differenza di altre minoranze, sono privi del diritto di voto e 7 M. Savino, L’incostituzionalità del c.d. automatismo espulsivo, in Diritto, immigrazione e cittadinanza 3, 2013, 37 ss. 8 P. Costa, Dai diritti naturali ai diritti umani: episodi di retorica universalistica, in Il lato oscuro dei diritti umani. Esigenze emancipatorie e logiche di dominio nella tutela giuridica dell’individuo (a cura di M. Meccarelli, P. Palchetti e C. Sotis), Madrid 2014, 80. 9 Secondo l’UNHCR, Global Trends 2016, Geneva, 2017, alla fine del 2016 vi erano nel mondo 22,5 milioni di rifugiati e oltre 40 milioni di sfollati rimasti all’interno di paesi in conflitto. 10 M. Savino, Lo straniero nella giurisprudenza costituzionale, cit., 43-45. 116 Mario Savino Per una visione non irenica… dunque formalmente esclusi dal circuito democratico. Alla dicotomia maggioranza/minoranza, fisiologica in un regime democratico, si sostituisce la dicotomia insiders/outsiders, che della democrazia marca piuttosto i limiti. Viene meno, così, la possibilità stessa di conciliare, in termini coerenti con i postulati di fondo delle liberal-democrazie, l’autodeterminazione collettiva con quella individuale, la democrazia con la libertà. La retorica dei diritti umani trascura – o, quanto meno, relega in secondo piano – questa tensione tra diritti e democrazia, con due conseguenze: la prima è non considerare che proprio dal modo in cui viene gestita quella tensione dipende in misura decisiva il futuro dello Stato nazionale; la seconda è la rinuncia a esplorare gli ambiti di vera specialità di questo ramo del diritto pubblico, che non è semplicemente un altro dei tanti capitoli della lotta contro le discriminazioni, ma un ambito nel quale sono gli stessi limiti della democrazia ad essere sfidati, con conseguenze per il complessivo assetto dei poteri pubblici e, in particolare, per il rapporto tra legislatore e giudici. 3. Oltre l’approccio anti-discriminatorio: la dimensione re(dis)tributiva della regolazione dei confini. Una parte considerevole delle riflessioni giuridiche sull’immigrazione è focalizzata sul tema dei diritti sociali. Si pensi alle prestazioni “personalissime” – come l’istruzione dei minori o le prestazioni riconducibili al nucleo irriducibile del diritto alla salute – che si distinguono, appunto, per la essenzialità dei beni in gioco e per la irreparabilità del pregiudizio alla persona che deriverebbe da una loro violazione. Oppure alle altre prestazioni “primarie” – collegate al diritto a un alloggio e alle misure di integrazione sociale, o all’assistenza a invalidi e inabili – che sono dirette a soddisfare «bisogni primari inerenti alla sfera di tutela della persona umana». O, infine, alle prestazioni esterne all’area della doverosità costituzionale, in quanto non rientranti nei «livelli essenziali» di cui all’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost. La notevole attenzione degli studiosi del diritto dell’immigrazione per queste tematiche ha diverse spiegazioni. La prima è riconducibile alla prevalenza dell’approccio non discriminatorio sopra evocato. L’idea egalitaria su cui esso poggia è solida. La coesistenza, nel medesimo territorio, di persone con uno status giuridico diverso – alcuni con pieni diritti, altri senza, altri ancora con una soggettività giuridica dimidiata – riproduce una logica dei dislivelli di giuridicità compatibile con il sistema cetuale dell’ancien régime e con la “cittadinanza degli antichi”, ma non con il DNA costituzionale degli ordinamenti liberal-democratici, che riposa, al contrario, sul principio della eguale libertà e dignità degli individui11. Per non tradire tale principio, questi ordinamenti possono riservare ai cittadini-membri alcuni diritti politici, ma non possono accettare che questo differenziale politico si traduca in un diseguale godi- 11 Sulla distinzione tra cittadinanza degli antichi e cittadinanza dei moderni, si vedano i saggi raccolti in G. Shafir (ed.), The Citizenship Debate, Minneapolis, 1998. 117 Relazioni  mento degli altri diritti, da quelli civili (meno frequentemente messi in discussione) a quelli, appunto, sociali. La seconda ragione è rappresentata dalla ricchezza della giurisprudenza costituzionale in materia: una giurisprudenza che, pur con oscillazioni, ha ormai superato il paradigma escludente della cittadinanza, aderendo all’opposto criterio della territorialità, che porta al tendenziale riconoscimento dei diritti (civili e sociali) a quanti vivano stabilmente nel territorio. Nella giurisprudenza delle corti che lo adottano, questo principio di eguaglianza “territoriale” non implica, ovviamente, l’assoluta parità di trattamento, bensì un vaglio sulla ragionevolezza delle disparità, effettuato in base a due variabili principali – la regolarità e la durata del soggiorno – che talora si cumulano a quello della presenza fisica nel territorio e, insieme ad esso, soppiantano il criterio della nazionalità. Da un lato, dalla regolarità della presenza dipende il peso che assume, nel bilanciamento tra interessi pubblici e privati, il controllo delle frontiere: un interesse che, ai fini del (mancato) godimento dei diritti (anche fondamentali) dello straniero può risultare dirimente, giacché ad esso si riconnette quel che resta della capacità statale di governare i flussi in entrata. Dall’altro, il criterio della durata del soggiorno – il c.d. attaccamento sociale, che identifica il complesso dei vincoli lavorativi, culturali, familiari e sociali che l’immigrato contrae e consolida durante il suo soggiorno – serve a individuare un punto di equilibrio tra l’interesse dello Stato a privilegiare nella distribuzione i suoi membri (interesse nazionale anche di ordine finanziario), e l’interesse dello straniero stabilmente residente a vedere rispettata la sua dignità «sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità». Il punto di equilibrio è riassunto nella formula anglo-americana «the longer the stay, the stronger the claim», cioè in un principio di proporzionalità temporale che tempera il nesso tra diritti e presenza nel territorio. Al di là dei problemi di “dosaggio” di volta in volta riscontrabili, il paradigma della territorialità consente, in questa area, di instaurare un controllo di costituzionalità adeguato al carattere multinazionale della comunità statali del XXI secolo: un controllo che, da un lato, è convergente con il postulato – largamente prevalente nel patrimonio costituzionale europeo – della priorità assiologica delle libertà individuali; e, dall’altro, impone alla legge di istituire una correlazione ragionevole e proporzionale tra inclusione giuridica e integrazione sociale. In questo quadro, il problema della regolazione del confine finisce per restare maggiormente in ombra negli studi giuridici dedicati al settore. Di permessi di soggiorno, visti, espulsioni, detenzione amministrativa e delle altre misure di accoglienza e coercitive, che rappresentano una quota sempre più rilevante del contenzioso amministrativo, si occupano quasi esclusivamente gli avvocati e i pochi specialisti di settore, sia perché questo versante della materia presenta una maggiore complessità tecnica, sia perché la nostra “Corte dei diritti” di questi aspetti si è occupata meno e in modi meno convincenti, data la sua tendenza a reiterare, in modo più o meno inconsapevole, l’usurato paradigma della cittadinanza e a disconoscere il carattere fondamentale delle pretese del migrante “al confine”. L’esito è a suo modo paradossale, proprio per la correlazione che la regolazione del 118 Mario Savino Per una visione non irenica… confine ha con il tema dei diritti sociali. In un contesto nel quale in materia di diritti sociali prevale una logica territoriale (sia pure temperata da altri criteri, a cominciare alla durata del soggiorno), le scelte distributive principali si scaricano sulla regolazione del confine: un confine che giuridicamente si introflette, per dimezzare la personalità giuridica del clandestino, e che aspira a selezionare i nuovi membri di fatto della comunità nazionale. Questo limitato interesse è un secondo punto di debolezza della riflessione giuridica sul tema. Non solo perché l’idea di una netta distinzione tra esterno e interno è illusoria, essendovi ampie aree di sovrapposizione tra disciplina del confine e disciplina dei diritti sociali. Ma anche e soprattutto perché è proprio la disciplina del confine che segnala in modo più intenso l’arretramento dello Stato di diritto, essendo questa l’area nella quale si scaricano le tensioni politiche attuali. Qui più che altrove, si assiste al potenziamento della dimensione autoritativa del diritto, a detrimento di diritti e libertà individuali anche di rilievo costituzionale. Basti pensare alla mancata riconduzione dei tradizionali strumenti di tipo obbligatorio – le autorizzazioni dell’ingresso e del soggiorno e le misure ablatorie del respingimento alla frontiera e dell’espulsione – al modello costituzionale delle misure di prevenzione e di sicurezza. Su un versante, resiste una nozione di ordine pubblico che non si è tecnicizzata, come nel caso delle misure di prevenzione ordinarie, ma continua ad essere intesa come clausola di riserva all’amministrazione di un potere ampiamente discrezionale, marginalmente sindacabile (la mancata transizione di quella nozione dalla discrezionalità pura alla discrezionalità tecnica accomuna i visti d’ingresso e i permessi di soggiorno negati o revocati per motivi di ordine pubblico, l’espulsione prefettizia che ne consegue e l’espulsione ministeriale). Sul versante opposto, vi è invece un azzeramento della discrezionalità dell’amministrazione (e del giudice) ad opera di un legislatore che predetermina integralmente la fattispecie. Cosicché, mentre per le ordinarie misure di sicurezza penali vale il principio dell’accertamento in concreto della pericolosità dell’autore di un reato, per le misure di prevenzione post delictum dello straniero regolate dal diritto amministrativo (si pensi al diniego vincolato del visto e del permesso o alle varie fattispecie di automatismo espulsivo), basta una presunzione legislativa di pericolosità formulata, una volta per tutte, ex ante. Si assiste, cioè, in materia di immigrazione, a una rinnovata tendenza alla “amministrativizzazione”, che si associa all’ascesa delle esigenze di difesa sociale, e che tuttavia soffre di un deficit di analisi giuridica. 4. Oltre l’approccio positivistico: la dimensione dell’effettività dei diritti. Con le costituzioni liberali del secondo dopoguerra, i diritti dell’uomo sono divenuti condizione di legittimità e di legittimazione degli ordinamenti democratici in Europa: non più mere pretese morali o, come nelle costituzioni flessibili dell’Ottocento, enunciazioni normative non esigibili, ma diritti proclamati da costituzioni rigide, disciplinati sul piano legislativo e tutelati dalle corti. L’avvenuta positivizzazione, però, non annulla “la distanza tra 119 Relazioni  l’enunciazione e la realizzazione”12. Piuttosto, la riproduce su un diverso piano, al quale l’amministrativista più di ogni altro dovrebbe guardare: il piano della concreta attuazione del dettato normativo tramite attività che vanno dalla programmazione dei flussi all’organizzazione dell’accoglienza, dalla promozione di politiche di integrazione alla erogazione delle prestazioni sociali, dall’efficacia della politica dei rimpatri al mantenimento dell’ordredans la rue e della sicurezza interna necessaria per l’esercizio dei diritti. Sul piano dell’effettività amministrativa dei diritti, degli altri come dei nostri, si gioca una parte importante delle condizioni di pacifica convivenza in società multiculturali come quella italiana. Gli esempi di questo deficit amministrativo sono numerosi e sono in larga parte riconducibili a tre fattori. Il primo è di ordine istituzionale ed attiene alla concentrazione delle competenze in materia di immigrazione in capo al Ministero degli interni. Questa concentrazione, sia pure temperata dal ruolo importante che altri ministeri svolgono – dal Ministero degli affari esteri e al Ministero del lavoro – ha l’effetto di ridurre un fenomeno sociale complesso, con importanti implicazioni redistributive per le società del XXI secolo, a problema di ordine pubblico e sicurezza. Questo squilibrio istituzionale è esacerbato dalla primazia di cui i ministri dell’interno godono anche a livello europeo, dove è il Consiglio della giustizia e degli affari interni a dominare i processi decisionali riguardanti questa politica. Il secondo fattore, in apparente contraddizione con il primo, è la carenza di un coordinamento efficace tra le funzioni “securitarie” di gestione dei flussi e le altre funzioni a torto considerate “ancillari”. Basti pensare alla funzione di rappresentanza esterna, cioè alle relazioni diplomatiche e amministrative con i paesi terzi di origine e transito, la cooperazione dei quali è imprescindibile per promuovere una gestione ordinata degli arrivi e dei rimpatri. Oppure alla promozione dei percorsi di integrazione, per i quali non basta il riconoscimento astratto dei diritti sociali, trattandosi di un tassello fondamentale per garantire la coesione delle comunità di accoglienza e la stessa sicurezza interna. Il terzo fattore è il disallineamento tra la penuria di risorse e competenze delle amministrazioni chiamate alla gestione del fenomeno migratorio e il crescente peso che tali funzioni hanno ormai assunto a livello centrale e territoriale. A questi deficit l’Italia supplisce con la duplice delega all’Unione europea e al terzo settore: una delega che lascia insoddisfatte ora le istanze di sovranità nazionale, ora quelle di legalità (si pensi alla ricorrenza dei fenomeni corruttivi che si associano a quelle deleghe e che sono il frutto di una abdicazione, più che di una riorganizzazione delle amministrazioni). Il risultato del non governo del fenomeno è la constatazione che esso ha un impatto redistributivo forte (tanto più forte perché non governato), che ricade sulle fasce sociali più vulnerabili e in difficoltà. Esemplare è il tema dell’accoglienza dei richiedenti asilo in attesa della determinazione del loro status. Negli anni della crisi migratoria, la risposta delle amministrazioni italiane alla crisi aveva fatto registrare importanti progressi. Da una iniziale concentrazione degli oneri di accoglienza nelle regioni di sbarco (Sicilia in particolare) si era passati a una più 12 P. Costa, Dai diritti naturali ai diritti umani, cit., 75. 120 Mario Savino Per una visione non irenica… equa distribuzione dei richiedenti asilo sul territorio nazionale13. Inoltre, la capacità complessiva del sistema nazionale, articolato in centri governativi di prima accoglienza (CPA, ex CARA) e strutture di seconda accoglienza ordinarie (centri SPRAR) e straordinarie (i Centri di accoglienza straordinaria – CAS), era stata notevolmente potenziata, passando dai 22 mila migranti del 2013 ai 200 mila del 201714. Infine, sebbene una parte preponderante dei richiedenti asilo fosse ospitata nella rete “emergenziale” dei Centri di accoglienza straordinaria (CAS), coordinata dal Ministero dell’interno, la rete di gestione “ordinaria” costituita dai centri dello SPRAR era andata gradualmente rafforzandosi, con conseguenze positive per i processi di integrazione, favoriti dal modello dell’accoglienza diffusa15. Tuttavia, proprio su questa parte più virtuosa del sistema nazionale di accoglienza si è abbattuto il c.d. decreto sicurezza, che ridisegna le modalità di accoglienza, ridimensionando fortemente lo SPRAR e, con esso, l’effettività del diritto all’accoglienza dei richiedenti asilo16. Un altro esempio di inefficienza del sistema, che contribuisce allo svuotamento dei diritti dei migranti, attiene alla estrema debolezza della politica dei rimpatri. Da un lato, la quota di presenze irregolari in Italia, ridottasi a 300 mila nel 2013, è risalita nel 2018 oltre il mezzo milione, a causa dell’incremento degli sbarchi e della inefficacia delle procedure di rimpatrio: nel periodo 2014-2018, l’Italia non è mai riuscita a effettuare più di 6 mila rimpatri all’anno, per via dei costi elevati e soprattutto della riluttanza degli Stati di origine a collaborare all’attuazione di una politica europea di puro contenimento. Dall’altro, però, l’Italia continua a non investire le sue risorse amministrative e diplomatiche né nella direzione di un rafforzamento della sua capacità operativa (in attesa, forse, che si possa un giorno delegare all’agenzia europea Frontex le operazioni di rimpatrio17), né nella instaurazione, insieme ai partners europei, di un dialogo più costruttivo e paritario con le controparti africane, che sappia collegare l’ordinata gestione dei flussi al processo di sviluppo economico e politico di quei paesi. In un quadro già segnato da una evidente sproporzione tra clandestinità e capacità di rimpatrio, il c.d. decreto sicurezza ha introdotte novità – co- 13 Ministero dell’interno, Presenze dei migranti nelle strutture di accoglienza in Italia, marzo 2016 (www.interno. gov.it/sites/default/files/accoglienza_al_31_marzo_2016.pdf). 14 ANCI et al., Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2017, Roma, 2017, 11 (www.sprar.it/wp-content/ uploads/2017/11/2-Sintesi-Rapporto-Protezione-2017.pdf). 15 ANCI et al., Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2017, 11 ss. Si veda anche F.V. Virzì, La seconda accoglienza, in La crisi dei migranti tra Italia e Unione europea (a cura di M. Savino), Napoli, 2017, 63 ss. 16 Art. 12, d.l. n. 113/2018 (“Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche’ misure per la funzionalita’ del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita’ organizzata”), conv., con modifiche, nella l. n. 132/2018. 17 Commissione europea, Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla Guardia di frontiera e costiera europea e che abroga l’azione comune n. 98/700/GAI del Consiglio, il Reg. (UE) n. 1052/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2013, che istituisce il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (Eurosur), in GU L 295 del 6 novembre 2013 e il Reg. (UE) 2016/1624 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 settembre 2018 che istituisce un sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (ETIAS) e che modifica i regolamenti (UE) n. 1077/2011, (UE) n. 515/2014, (UE) 2016/399, (UE) 2016/1624 e (UE) 2017/2226, in GU L 251 del 16 settembre 2016. 121 Relazioni  me l’abolizione della protezione umanitaria – che sono inevitabilmente destinate ad accrescere il numero degli immigrati irregolari18. La prima conseguenza è che, anche immaginando l’azzeramento completo degli arrivi non autorizzati, occorrerebbero ben 90 anni per rimpatriare, ai ritmi attuali, tutti i migranti irregolari nei loro paesi di origine19. La seconda conseguenza è che il menzionato squilibrio innesca la reazione difensiva degli Stati europei confinanti, che ripristinano i controlli alle frontiere interne, formalmente o in via di fatto, per evitare la circolazione in Europa dei migranti irregolari che l’Italia non è riuscita ad allontanare. Il rischio prevedibile è, nel medio termine, la messa in discussione della partecipazione dell’Italia allo spazio Schengen. Un ulteriore dato è l’assenza di una adeguata politica di programmazione dei flussi migratori fondata su canali regolari di ingresso. Sul punto, il caso italiano è particolarmente istruttivo, perché ben evidenzia come, nelle condizioni esistenti (traffico illecito fiorente e rimpatri inefficaci), una politica di accesso al mercato del lavoro eccessivamente restrittiva finisca per tradursi non in un blocco dei flussi di migranti, bensì in una rinuncia a selezionare quei flussi all’origine. Dai dati raccolti in una recente ricerca emerge, ad esempio, che, tra i tredici principali paesi europei di destinazione dei lavoratori stranieri, l’Italia è il paese nel quale la proporzione di migranti senza diploma è in assoluto più alta e la proporzione di migranti con laurea è in assoluto più bassa20. E tuttavia, mentre la Germania, ad esempio, per il 2017 ha stimato un fabbisogno di 300 mila lavoratori extracomunitari, il governo italiano, nei decreti flussi annuali continua a prevedere un fabbisogno dieci volte inferiore, di appena 30 mila lavoratori extracomunitari. Il risultato è un circuito vizioso per il quale, in assenza di vie di accesso legale, i migranti economici sono indotti a richiedere asilo pur di acquisire un titolo di soggiorno; e questo abuso dell’asilo genera, a sua volta, la reazione legislativa dei paesi di destinazione, che tende a ridurre i costi, gli standard e le possibilità stesse di accoglienza. Una politica restrittiva nell’accesso di stranieri al territorio italiano e al suo mercato del lavoro di per sé non basta a disincentivare l’arrivo di migranti, ma anzi dà luogo ad effetti controproducenti. Nei paesi di origine, non incentiva la costruzione di percorsi di selezione e formazione (mentre incentiva l’azzardo morale dei migranti economici, sul quale lucrano i trafficanti). Nei paesi di destinazione, alimenta clandestinità, mercato del lavoro nero, dumping sociale, insicurezza. Si ripropone, perciò, con rinnovata urgenza il problema della programmazione, su base nazionale e, se possibile, europea, dei flussi di migranti 18 Secondo una stima dell’Istituto per gli studi di politica internazionale – ISPI (M. Villa, I nuovi irregolari in Italia, 18 Dicembre 2018, www.ispionline.it/it/pubblicazione/i-nuovi-irregolari-italia-21812), entro il 2020, per effetto dell’abolizione della protezione umanitaria gli immigrati irregolari aumenteranno di 70 mila unità e il totale di presenze irregolari toccherà quota 670 mila: si tratta del secondo dato più elevato dopo quello del 2002 (750 mila irregolari), che portò il governo Berlusconi II a praticare la principale regolarizzazione della storia italiana (il d.l. n. 195/2002 (“Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari”), conv., con modifiche, nella l. n. 222/2002, sanò la posizione di 630 mila immigrati sine titulo). 19 M. Villa, I nuovi irregolari in Italia, cit. 20 S. Collignon et al., Employment, Migration and Growth, Rapporto CER n. 1/2016. 122 Mario Savino Per una visione non irenica… economici a partire da una seria valutazione del fabbisogno nazionale e degli interessi europei e nazionali di medio-lungo periodo, collegati alla dinamica demografica e alla sostenibilità dei sistemi di welfare, oltre che all’andamento del ciclo economico. 5. Conclusioni. Un quinquennio di intensi sbarchi non autorizzati dal Nord Africa e, nel 2015, la combinazione tra gli attentanti terroristici di matrice islamista e l’afflusso incontrollato di oltre un milione di profughi nel cuore dell’Europa hanno lasciato segni profondi nelle opinioni pubbliche nazionali. Pressoché ovunque il processo democratico, da strumento di inclusione sociale e di riduzione delle disparità, va convertendosi in strumento di esclusione e protezione degli interessi autoctoni. Prioritario, per la maggioranza dei cittadini europei, è salvaguardare le opportunità di lavoro, la sicurezza interna e le identità dei “nazionali”, rispetto alle quali l’arrivo di migranti economici e rifugiati è percepito come una minaccia. In un simile contesto, è senza dubbio importante individuare e denunciare i dislivelli di giuridicità, talora macroscopici, che attraversano questa materia. Ma occorre anche ricordare che quello dell’astratto riconoscimento dei diritti e delle libertà fondamentali non è l’unico punto di osservazione valido per studiare un fenomeno socialmente e giuridicamente così complesso. Come si è tentato di evidenziare in questa pagine, il dominio della “retorica dei diritti umani” sugli studi giuridici in materia di immigrazione ha generato tre vizi di prospettiva. Il primo attiene alla insufficiente problematizzazione della tensione tra la logica individualista, che privilegia la prospettiva dei diritti e delle libertà fondamentali, e la logica comunitaria, che privilegia i valori meta-individuali della coesione e della sicurezza delle comunità locali e nazionali. Il secondo è la sproporzione tra l’attenzione prestata al tema dei diritti sociali, molto frequentato da costituzionalisti e pubblicisti in generale, e la penuria di analisi dedicate alla regolazione del confine, che in genere viene lasciata agli specialisti, benché sia proprio in quell’area che più emerge la componente autoritativa del diritto dell’immigrazione e la sua refrattarietà ai principi dello Stato di diritto. Il terzo “vizio” è la limitata attenzione prestata alla dimensione della effettività dei diritti e cioè all’esercizio delle funzioni amministrative di programmazione, accoglienza e rimpatrio, che condiziona in misura decisiva gli standard di tutela dei diritti astrattamente riconosciuti. Oggi più che mai, l’utilizzo della lente universalistica, così come di quella nazionalista, rischia di costringere il discorso giuridico in una visione monoculare, fortemente riduttiva: si può insistere sul carattere assoluto dei diritti fondamentali o sulla loro appartenenza alla “sfera dell’indecidibile”21, ma è non meno importante prestare attenzione alla loro concreta attuazione sul piano amministrativo e alla dimensione del conflitto che sta dietro la silenziosa redistribuzione che avviene nel momento i cui si procede al riconoscimento di 21 L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, in Teoria politica 2, 1998, 15 ss. 123 Relazioni  quei diritti ai nuovi componenti della comunità nazionale22. Non si può dimenticare, infatti, che l’impegno all’universale riconoscimento dei diritti di libertà e sociali, assunto dalle liberal-democrazie europee, determina, in condizioni di elevata mobilità umana, un poderoso impatto distributivo, foriero di inevitabili tensioni tra categorie di diritti e tra gruppi sociali. Queste tensioni richiederebbero interventi pubblici correttivi che, in un contesto di finanze pubbliche magre, sono sempre più difficili da realizzare, con pregiudizio per la stessa capacità redistributiva che ha fatto la fortuna dello Stato nazionale23. Per questo, si può e si deve insistere sul connubio tra immigrazione e diritti umani, ma nella consapevolezza che è proprio quel connubio a rappresentare una sfida esistenziale, prima che giuridica, per gli Stati nazionali e per l’ordine europeo che su di essi si fonda24. 22 Sul nesso tra i diritti umani e la dimensione del conflitto, si veda ancora P. Costa, Dai diritti naturali ai diritti umani, cit., 27 ss. 23 G. Ardant, Politica finanziaria e struttura economica degli stati nazionali moderni, in La formazione degli stati nazionali nell’Europa occidentale (a cura di C. Tilly), Bologna, 1984, spec. 213-6. 24 Cfr. P. Weil (avec N. Truong), Le sens de la République, Paris, 2015, Z. Bauman, Strangersat Our Door, Cambridge, 2016 e S. Cassese, Territori e potere. Un nuovo ruolo per gli Stati?, Bologna 2017. 124 Relazioni Relazioni  LA POLITICA D’INTEGRAZIONE NEL NUOVO CONTESTO MIGRATORIO ~ Alessandra Venturini, Claudia Villosio ~ 1. INTEGRAZIONE DEGLI IMMIGRATI: UN PROBLEMA GENERALIZZATO • 2. INTEGRAZIONE ECONOMICA IN ITALIA • 3. CANALI DI ACCESSI ED INTEGRAZIONE • 4. LE POLITICHE DI INTEGRAZIONE NEL CONTESTO DELLA POLITICA MIGRATORIA. L’integrazione economica degli stranieri nel paese di destinazione – intesa come diminuzione nel tempo delle differenze rispetto ai nazionali con caratteristiche simili, relativamente alla probabilità di essere occupati e al salario percepito– è l’obiettivo finale del progetto migratorio. Essa, infatti, contribuisce anche all’integrazione sociale degli stranieri nel tessuto sociale del paese ospitante perché una maggiore integrazione economica favorisce un minor utilizzo del welfare del paese di destinazione e una minor competizione con i lavoratori nazionali. Entrambi questi aspetti rendono il fenomeno migratorio più accettato dai cittadini del paese di destinazione che possono quindi più facilmente apprezzare il contributo che gli stranieri danno alla crescita economica e sociale. 1. Integrazione degli immigrati: un problema generalizzato. Nella quasi totalità dei paesi europei esiste un differenziale tra nazionali e stranieri nella probabilità di essere occupati, anche quando si confrontano gruppi simili in termini di caratteristiche individuali quali genere, età e istruzione. Tale differenziale è più ampio all’ingresso dello straniero nel paese ospitante e tende a ridursi con il crescere della permanenza nel paese di destinazione, ma senza scomparire del tutto nella maggior parte dei paesi. Inoltre tale differenziale risulta particolarmente pronunciato nel caso di migranti provenienti da paesi extra-UE (third country nationals). All’interno di questo panorama, sono soprattutto le donne migranti a trovare le maggiori difficoltà nel mercato del lavoro in quanto sommano due condizioni di svantaggio, essere donne ed essere migranti. Come illustrato dalla Figura1, l’Italia si distingue dalla maggior parte dei paesi europei a più lunga tradizione migratoria, come Francia e Germania, per l’assenza di differenza nei tassi di occupazione tra nazionali e stranieri maschi e per un differenziale piuttosto contenuto per quel che riguarda le donne. Questo risultato è strettamente connesso con la caratteristica della migrazione italiana, tradizionalmente costituita da migranti impiegati nell’agricoltura, nell’edilizia e nella manifattura per quel che riguarda gli uomini mentre le 126 Alessandra Venturini, Claudia Villosio La politica d’integrazione… migranti donne sono impiegate prevalentemente nel settore dei servizi familiari come risposta alla carenza di manodopera nazionale in questi settori. Come evidenziato da diversi autori1, gli immigrati in Italia sono sempre stati complementari ai nazionali piuttosto che in competizione. Questo aspetto, ha contribuito sin dagli anni ’90, e anche durante il periodo di crisi economica, a mantenere il tasso di occupazione degli stranieri in linea – e durante gli anni ’90 perfino superiore – con quello degli Italiani. Figura 1  Differenziale nazionali e stranieri di tasso di occupazione tenendo conto delle caratteristiche individuali per tutti i paesi Europei Uomini Donne AT BE BG CY CZ DE DK EE ES FI FR GR HR HU IE IT LT LU LV MT NL PL PT RO SE SI SK UK 50% 70% 90% Migranti EU 50% Migranti extra EU 70% 90% Nazionali Tratto da: 2017 Medam Assessment report on Asylum and Migration Policies, section 3.1, pp.46 1 Per citarne solo alcuni: A. Gavosto, A. Venturini, C. Villosio, Do Immigrants Compete with Natives?, in Labour 13 1999, 603 ss.; M. Ambrosini, La fatica di integrarsi in Immigrati e lavoro in Italia Bologna, Il Mulino 2001; A. Venturini, C. Villosio Are migrants an asset in recession? Insights from Italy Journal of Ethnic and Migration Studies 44, 2017, 2340 ss.; E. Reyneri, G. Fullin, New Immigration and Labour Markets in Western Europe: A Trade-off Between Unemployment and Job Quality in Transfer: European Review of Labour and Research 14 (4), 2008, 573 ss. 127 Relazioni  Il secondo aspetto che viene preso in considerazione quando si parla di integrazione economica è il salario, o meglio l’esistenza o meno di un differenziale salariale tra italiani e stranieri e il suo andamento al permanere del lavoratore straniero nel paese di destinazione. Per esemplificare questo aspetto si confronta la probabilità, per nazionali e stranieri, di essere rispettivamente nel primo e nell’ultimo decile della distribuzione dei salari, cioè la probabilità di avere un salario basso o alto nei due gruppi nei vari paesi europei. Gli stranieri, tranne pochissime eccezioni, sono concentrati nelle occupazioni meno retribuite, in particolare le donne, (si veda Fig.2) mentre sono assenti nella maggior parte dei casi nel decile più alto. Figura 2 Differenziale di probabilità di essere nel primo o nell’ultimo decile della distribuzione dei salari per le donne Primo decile Ultimo decile BE BG DE DK EE FI FR GR HR HU IE IT LT LU LV NL PL PT RO SI SK UK 0% 10% 20% 30% Migranti EU 0% Migranti extra EU 10% 20% 30% Nazionali Tratto da: 2017 Medam Assessment report on Asylum and Migration Policies, section 3.1, pp.47 Questi dati mostrano la complessità del processo di integrazione e spiegano la spasmodica ricerca di buone pratiche che risolvano le cause della mancata integrazione. La ricerca empirica, tuttavia, ha sottolineato l’importanza delle variabili istituzionali. Guzi, Kahanec, Kurekova (2016)2 per esempio confrontando il differenziale salariale tra lavoratori stranieri e nazionali nei paesi Europei utilizzando i dati (EUROSTAT) delle forze di lavoro rivelano un ruolo estremamente importante ricoperto dalle variabili istituzionali quali il sistema di welfare presente nel paese, il ruolo del sindacato, il funzionamento delle istitu- 2 M. Guzi, M. Kahanec, L. M. Kurekovà, How Immigration Grease Is Affected by Economic, Institutional and Policy Contexts: Evidence from EU Labor Markets in Kyklos, 71(2), 2018, 213 ss. 128 Alessandra Venturini, Claudia Villosio La politica d’integrazione… zioni che governano il mercato del lavoro e facilitano l’incontro tra la domanda e l’offerta e, il sistema scolastico e quello della formazione professionale. Gli autori mostrano come i differenziali salariali tra lavoratori nazionali e stranieri dipendano per circa l’80% dalle variabili istituzionali. Questi risultati sembrano suggerire che la filosofia di esportare buone pratiche di un paese in altri contesti non sia applicabile in larga scala. Ossia che le politiche che sono utilizzate con successo in Germania o in Svezia per integrare i richiedenti asilo non siano esportabili tout court in Italia. A meno che siano applicate con una profonda contestualizzazione che deve modellarle alle caratteristiche del contesto istituzionale. È questa la strada seguita ad esempio nei progetti locali finanziati dal FAMI (Asylum and Migration Integration Fund) della Comunità Europea e gestiti da imprese del terzo settore. 2. Integrazione economica in Italia. Guardando specificamente al caso italiano, analisi esistenti, per esempio l’analisi di Venturini, Villosio, (2017)3, mostra che i tassi di occupazione degli immigrati, storicamente superiori a quelli dei nazionali, si sono ridotti significativamente durante il periodo di crisi economica in quanto maggiormente sensibili all’andamento del ciclo economico, pur rimanendo superiori ai tassi di occupazione dei nazionali. Infatti il tasso di occupazione maschile straniera che era superiore all’80% nel periodo pre-crisi è ora attestato attorno al 70%, comunque superiore di qualche punto percentuale a quello italiano. Questi andamenti, che possono risultare sorprendenti, sono il risultato del diverso tasso di partecipazione al mercato del lavoro, che è maggiore per gli stranieri, ma sono anche influenzati dalla diversa composizione per età, istruzione ed esperienza lavorativa dei due gruppi. Per rappresentare un confronto più oggettivo dell’integrazione degli immigrati, nella figura 3 è utilizzato il salario quale indice sintetico di integrazione in quanto unisce la probabilità di occupazione alla remunerazione del capitale umano tenendo conto dell’esperienza lavorativa che riflette la continuità del lavoro. In un lavoro recente4, utilizzando i dati di fonte amministrativa WHIP che sono in grado di seguire i lavoratori nel tempo, gli autori hanno confrontato il profilo salariale di un lavoratore straniero che entra nel mercato del lavoro a 18 anni che lavora nel NordOvest nel settore manifatturiero con un lavoratore nazionale con le stesse caratteristiche. Alle tradizionali variabili individuali utilizzate in questo tipo di analisi: età, istruzione esperienza sul lavoro e fuori del lavoro, settore di occupazione, area territoriale e variabili di ciclo economico regionale, è stata introdotta la distanza linguistica tramite un indice 3 A. Venturini, C. Villosio, Are migrants, cit. 4 S. Strøm, D. Piazzalunga, A. Venturini, C. Villosio, Wage assimilation of immigrants and internal migrants: the role of linguistic distance in Regional Studies 52:10, 2018, 1423 ss. 129 Relazioni  costruito dal Max Plank Institute. Quest’ultimo indicatore è stato utilizzato non come effetto fisso che, quindi, coglierebbe solamente l’effetto sul salario delle diverse nazionalità di origine degli immigrati ma è stato interagito con l’esperienza sul lavoro in modo da cogliere la diversa evoluzione salariale per gruppi di lavoratori con maggior o minor distanza linguistica. Figura 3 Profilo salariale dei nazionali e degli stranieri a seconda della distanza linguistica rispetto all’Italiano al crescere della presenza nel mercato del lavoro Salario settimanale in logaritmo 5.5 5.0 4.5 4.0 0 1 2 Nazionali 3 4 5 6 7 8 9 Anni di esperienza nel mercato del lavoro Stranieri con minima distanza linguistica 10 11 12 13 Stranieri con massima distanza linguistica Fonte: Adattato da Strøm, Piazzalunga, Venturini and Villosio (2018) cit. pag. 1429 La figura 3 mostra chiaramente come la distanza linguistica rappresenti un driver importante della mancata integrazione degli stranieri in particolare degli stranieri che parlano una lingua particolarmente distante dall’italiano. Questo importante risultato permette di concludere come sia importante dedicare una particolare attenzione alle politiche che rinforzano la conoscenza linguistica degli stranieri utilizzando anche modalità flessibili che permettono più facilmente la convivenza tra lavoro e formazione linguistica. Se approfondiamo l’analisi della limitata integrazione salariale degli stranieri ed analizziamo le occupazioni a cui sono collegati i salari più bassi ossia quelle con remunerazioni nel primo quartile della distribuzione dei redditi, cui fanno capo il 70% degli stranieri, scopriamo uno scenario diverso. Ossia chi entra nel mercato del lavoro in queste occupazioni a basso salario (occupazioni Low Wage ) sia che sia nazionale o che sia straniero ha un profilo salariale molto più basso della media dei nazionali, e la distanza tra le due retribuzioni cresce con l’esperienza. La presenza di segmentazione nel mercato del lavoro italiano, se da un lato favorisce l’occupazione degli stranieri, dall’altro limita le loro possibilità occupazionali in settori con pochissime probabilità di crescita (si veda la figura 4). 130 Alessandra Venturini, Claudia Villosio La politica d’integrazione… Figura 4 Profilo salariale dei nazionali e degli stranieri a seconda del tipo di occupazione Salario settimanale in logaritmo 5.5 5.0 4.5 4.0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Anni di esperienza nel mercato del lavoro Nazionali MAI in occupazioni a basso salario 10 11 12 13 Nazionali SEMPRE in occupazioni a basso salario Stranieri SEMPRE in occupazioni a basso salario Fonte: Adattato da Strøm, Piazzalunga, Venturini and Villosio (2018) cit. pag. 1431 L’analisi svolta mostra inoltre che nell’ambito delle occupazioni a basso salario la distanza linguistica sia ininfluente nel determinare il profilo salariale, che resta inferiore alla media sia per gli stranieri che per i nazionali. Sembrerebbe, quindi, ad una prima analisi che l’apprendimento della lingua non sia così rilevante come evidenziato in precedenza. Tuttavia analisi più approfondite mostrano come la probabilità di uscita da questi lavori che implicano pochissima integrazione economica, lavori così detti “trappola”, la minor distanza linguistica sia un elemento determinante. E quindi si ritorna all’attenzione alle politiche di formazione linguistica come prerequisito alla possibilità di integrazione economica ed a sottolinearne l’importanza. 3. Canali di accessi ed integrazione. L’integrazione economica è inoltre strettamente legata al canale di accesso al paese di destinazione. Come gli andamenti sottolineano, chi entra per motivi di lavoro ha una maggior integrazione economica di chi entra come familiare ricongiunto o richiedete asilo (si veda Figura 5). Chi entra per motivi di lavoro in genere è stato selezionato secondo le esigenze del mercato del lavoro o almeno ha un’idea del tipo di domanda di lavoro del paese di destinazione, a volte la selezione è avvenuta nel paese di origine ove spesso vengono svolti anche corsi di “pre-departure training” per favorire l’inserimento lavorativo e sociale. Nel caso dei familiari ricongiunti che rappresentano il gruppo più numeroso dei flussi in entrata (oscilla tra 40-50%) la poca integrazione è da ricondursi in parte alle motivazioni ed in parte 131 Relazioni  alla mancanza di politiche specifiche che favoriscano la motivazione e l’acquisizione di professionalità’ indispensabili. Nei paesi di origine dove esiste come nel caso delle Filippine un pre- departure training che insegna anche come si cerca lavoro e che forma per i lavori disponibili anche i familiari ricongiunti, questi ultimi hanno una probabilità di occupazione poco diversa dagli entrati per motivo di lavoro. Negli altri paesi la maggior parte dei corsi di formazione prima della partenza sono solo corsi di educazione civica per evitare uno spaesamento totale del familiare in assenza di una comunità forte che possa gradualmente integrarlo. L’assenza spesso di contatti col mondo del lavoro da parte dei familiari ricongiunti che spesso sono donne che hanno contatti solo attraverso i figli, rende molto difficile un loro accesso al mercato del lavoro anche quando potrebbe offrire posizioni a loro adatte. Figura 5 Tassi di occupazione in Europa nel 2014 a seconda del tipo di permesso di soggiorno e della sua durata (valori %) 80 Employment rate (%) 70 60 50 40 30 20 10 0 <05 5 to 9 Employment or study 10 to 14 Years of residence Family 15 to 19 Refugees 20 Native-bom Fonte: Dati Forze di lavoro Europee 2014, modulo ad-hoc,Tratto da ESPAS 2018 p.14 Nel caso dei richiedenti asilo la ricerca a livello Europeo ha mostrato tassi di occupazione inferiori a quelli degli stranieri che entrano per motivo di lavoro e le cause sono da ricondurre alle diverse motivazioni che hanno spinto lo straniero ad emigrare ed alle diverse protezioni che permettono per esempio in Svezia periodi più lunghi di disoccupazione ma anche e forse ad una non chiara comprensione del corretto timing e sequenza delle politiche di integrazione. Se da una lato l’inserimento tempestivo del richiedente asilo nel mercato del lavoro, aumentando la sua autostima e senso di integrazione rafforza e facilita il suo progetto migratorio, dall’altro una inadeguata formazione linguistica rende difficile l’accesso a corsi di formazione ed una sua vera formazione e limita la possibilità di skill-assessment. Ritardare l’entrata nel mercato del lavoro con una importante formazione nella lingua del paese di destinazione 132 Alessandra Venturini, Claudia Villosio La politica d’integrazione… sembra, tuttavia, egualmente non ottimale mentre le soluzioni flessibili come formazione in azienda, formazione settimanale specifica alle esigenze lavorative e sociali sembrano le soluzioni più idonee ad affrontare e risolvere le esigenze dei lavoratori stranieri. La soluzione “one size fits all” sfortunatamente non funziona ed anche in Germania ove il mercato del lavoro con il 4% di tasso di disoccupazione ha mostrato una grande capacità di job matching e nonostante l’apparato organizzativo centralizzato estremamente potente e con grandi finanziamenti, si sono dovute mobilitare le associazioni di volontariato per risolvere l’emergenza con programmi specifici disegnati sulle esigenze dei lavoratori stranieri. 4. Le politiche di integrazione nel contesto della politica migratoria. La politica di integrazione degli immigrati interviene nell’ultima fase del processo migratorio che è stato influenzato dalla politica migratoria che il paese di origine e di destinazione intraprendono5. Le politiche che influenzano l’integrazione degli immigrati nel paese di destinazione possono essere distinte in quattro tipi o fasi. Nella prima fase vi sono gli accordi bilaterali con i paesi di partenza che spesso intervengono sui futuri emigranti con training specifici prima della partenza o con quote di ammissione; continuano, dopo l’arrivo dell’emigrato, nel paese di destinazione con la selezione e le norme che regolano l’accesso al paese e definiscono chi può entrare e restare sul territorio ed a che condizioni. Nella terza fase altre politiche sono estremamente rilevanti per l’integrazione degli immigrati ossia quelle che definiscono il funzionamento del mercato del lavoro che a sua volta determina la domanda di lavoratori ed i posti di lavoro disponibili, i canali di accesso e come la selezione viene realizzata; e si conclude infine a livello locale ove vengono specificati le policies che vengono utilizzate per favorire l’integrazione sia economica che sociale degli stranieri. Le differenze delle politiche migratorie come per esempio le quote, l’accesso preferenziale agli stranieri con un titolo di studio elevato e le differenze dei contesti economici nazionali – basti confrontare i tassi di disoccupazione tra paesi: 4% in Germania, circa 12% in Italia – per capire che è difficile trovare soluzioni generali che possano andare bene in ogni contesto economico e sociale. Per combattere i bassi salari degli stranieri in Svezia viene proposto l’innalzamento del salario minimo, soluzione che se applicata in Italia porterebbe ad una crescita della disoccupazione. Forse un consenso generale può riscontrarlo la formazione linguistica, che costituisce un prerequisito all’integrazione sia economica che sociale. La sua modularizzazione deve essere flessibile ed adattarsi alle necessità specifiche degli stranieri che includono membri della famiglia non attivi ma anche persone occupate. In quest’ultimo caso la formazione linguistica si deve adattare alle caratteristiche del tessuto produttivo magari organizzando 5 A. Venturini, Immigrant Assimilation in the Labour Market: What Is Missing in Economic Literature, in Migrant Integration Between Homeland and Host Society Volume 1 Where does the country of origin fit (a cura di A. Weinar, A. Unterreiner, P. Fargues), Springer 2017. 133 Relazioni  corsi direttamente sul posto di lavoro, e nel caso dei membri non attivi si possono trovare luoghi vicini ad aree frequentate abitualmente e che permettano un facile accesso. La conoscenza linguistica non deve essere considerata in senso stretto e limitata ai lavoratori perché essa costituisce un canale estremamente importante per l’integrazione. Essa infatti veicola anche la conoscenza della cultura del paese di destinazione ed in tale modo presenta esternalità al di fuori dello stretto ambito lavorativo ma che hanno ripercussioni importanti anche nel campo del lavoro creando contatti ed opportunità di mobilità verticale. La vicinanza linguistica di un gruppo etnico anche se costituito da una grande comunità (per es. rumeni in Italia) non rallenta l’integrazione lavorativa mentre la rallenta per nazionalità più distanti linguisticamente. Diventa quindi ancora più rilevante estendere la conoscenza linguistica anche ai membri non attivi proprio per favorire l’integrazione dei membri attivi. 134 MIGRAZIONI, DIRITTI DELL’UOMO E CIRCOLAZIONE TRA ORDINAMENTI GIURIDICI ~ Roberto Cavallo Perin ~ 1. LA MIGRAZIONE COME DIRITTO DELL’UOMO • 2. LE DECLINAZIONI DEL DIRITTO A MIGRARE • 3. LA MIGRAZIONE E IL DIRITTO COLONIALE • 4. DIRITTO ALL’ASILO E LIBERTÀ DALL’OPPRESSIONE • 5. LA CITTADINANZA COME IDENTITÀ E NUOVA APPARTENENZA ALLA COMUNITÀ OSPITE. 1. La migrazione come diritto dell’uomo. Se si assumono i diritti dell’uomo e la protezione degli stessi come limite giuridico (assunto o posto) agli ordinamenti degli Stati nazionali si deve riconoscere che la parola “migrazione” diventa uno dei campi di prova della proclamata universalità, intangibilità e fondamento in quel diritto di ragione o naturale, che è tale perché ritenuto una protezione giuridica che spetta – e perciò è connaturata – a ciascun individuo. Protezione dei diritti dell’uomo che proprio perché proclamata come universale, come protezione minima di ogni ordine giuridico, non può concettualmente trovare ostacolo nei confini di Stati, dal cui ordinamento trova conferma direttamente o per vincolo dei trattati internazionali; una protezione giuridica che in quanto connaturata segue l’uomo, che si afferma dunque a prescindere dai differenti flussi che le popolazioni hanno avuto nello spazio e nel tempo, a cominciare da quelle “migrazioni di popoli” di cui è figlia la stessa Europa medievale1. Lo ius peregrinandi, che è alla radice del diritto fondamentale degli individui a circolare liberamente nello spazio geografico, protegge il peregrinare dell’uomo non solo inteso come individuo ma dei popoli «come soggetti dinamici, che agiscono sulla base dello ius societatis et communicationis 2», un diritto degli individui a relazionarsi e a creare rapporti so- 1 F. Cardini, Alle radici della cavalleria medievale, Bologna 2014, 229 “anche se v’è ancora chi si ostina a qualifi- carle con l’imprecisa espressione di “invasioni barbariche”. 2 Sul diritto naturale o di ragione i riferimenti non sono affatto univoci. S. Langella, Teologia e Legge naturale. Studio sulle lezioni di Francisco de Vitoria, Genova 2007, 183 e s.; F. de Vitoria, De iure belli, Roma-Bari 2005. V. inoltre Benedetto XVI, I diritti umani vanno radicati nella giustizia (Discorso all’ONU del 18 aprile 2008), in L’Osservatore Romano, 20 aprile 2008, 6; M. Panebianco, Ius communicationis totius orbis: il riproporsi dello ius gentium fra continuità e novità, in Roma e America. Diritto romano e comune, 19-20, 2005, 403 e s.; per un contributo approfondito sul rapporto tra ius peregrinandi e ius migrandi: M. Consito, La tutela amministrativa del migrante involontario. Richiedenti asilo, asilanti e apolidi, Napoli 2016, 14 e s. 135 Relazioni  ciali, economici, giuridici e politici, che si ritiene preesista 3 al potere politico, costituendone la ragion d’essere, in specie il diritto a emigrare è perciò connaturato al «diritto stesso di vivere4». Intesa come ius gentium naturalis la libertà di circolazione è definita non solo verso lo Stato di appartenenza (diritto a emigrare, diritto di incolato5) ma anche verso gli Stati terzi. Con l’avvento degli Stati moderni e del liberalismo il diritto a migrare ritorna ad essere nella natura delle cose o la cultura dominante6, sino ad affermarsi come diritto scritto delle legislazioni nazionali, del diritto sovranazionale e delle convenzioni internazionali. L’ordinamento internazionale riconosce la libertà di ogni individuo «di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese» e «il diritto di cercare e di godere in altri paesi di asilo dalle persecuzioni» (Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, New York, 1948, art. 13, co. 2, art. 14, cit.)7. In tal senso non si può sottacere che hanno contribuito all’elaborazione in occidente dei diritti dei migranti come diritti universali almeno due differenti ragioni: l’una è la protezione del diritto all’espatrio per la ricerca di un lavoro (art. 35, co. 4°, Cost.), l’altra fonda il diritto d’asilo per l’impossibilità di professare nello Stato d’origine la propria fede religiosa e (in seguito) l’effettivo esercizio dei diritti garantiti dalle costituzioni democratiche (art. 10, Cost.). 3 M. Meccarelli, P. Palchetti, C. Sotis (a cura di), Ius peregrinandi. Il fenomeno migratorio tra diritti fonda- mentali, esercizio della sovranità e dinamiche di inclusione, Macerata 2012, 9. 4 V. Grossi, voce Emigrazione, in Primo Trattato completo di Diritto amministrativo (a cura di V.E. Orlando), vol. IV, pt. II, 1905, 123 e J. B. Say, Corso completo d’Economia politico-pratica, trad. dal francese, parte VI, cap. VI, Conseguenza del principio della popolazione, Torino 1873. 5 Si veda in tal senso già la Magna Charta (1215), ove agli artt. 41 e 42 si riconoscono il diritto dei mercanti di entrare e uscire dal territorio e quello di chiunque di uscire e ritornare sano e salvo nel Regno: «Omnes mercatores habeant salvum et securum exire de Anglia, et venire in Angliam, et morari, et ire per Angliam, tam per terram quam per aquam, ad emendum et vendendum, sine omnibus malis toltis, per antiquas et rectas consuetudines, (…)» (art. 41); «Liceat unicuique decetero exire de regno nostro, et redire, salvo et secure, per terram et per aquam, salva fide nostra, nisi tempore gwerre per aliquod breve tempus, propter communem utilitatem regni, exceptis imprisonatis et utlagatis secundum legem regni, et gente de terra contra nos gwerrina, et mercatoribus, de quibus fiat sicut predictum est». Sul diritto di incolato quale diritto politico indissolubilmente connesso allo status di cittadinanza: G. Buniva, Dei diritti civili e del loro godimento, in Archivio giuridico (a cura di P. Ellero), vol. III, Bologna 1869, 73; più di recente: cfr. R. Brubaker, Citizenship and nationhood in France and Germany (1992), trad. it. Cittadinanza e nazionalità in Francia e Germania, Bologna 1992, 53; C. Amirante, Cittadinanza (teoria generale), in Enc. giur., vol. VI, Roma 2003, 8; G.U. Rescigno, Note sulla cittadinanza, in Dir. pubbl., 2000, 756-757; M. Mazziotti, Espatrio (libertà di), in Enc. dir., vol. XV, Milano 1966, 729 ss. 6 «Non vi è più savia pretesa ritenere gli uomini prigionieri in un paese di quello che volerveli far nascere. Tutte le leggi contro le emigrazioni sono inique: ciascuno ha il diritto di andare dove si lusinga di respirare più a suo agio; e si respira più a suo agio dove si sussiste più facilmente. Si vuole per avventura con questo conservare quel numero d’uomini che il paese può nutrire? Lo si conserverà senza questo mezzo. Se ne vuole forse avere più di quanti il paese ne possa nutrire? Non vi si riuscirà. Quando s’impedisce una popolazione sovrabbondante di uscire per la via delle frontiere, essa esce per la via delle tombe». J. B. Say, Corso completo d’Economia politico-pratica, cit., 610. 7 Poi il Patto internazionale sui diritti civili e politici, per il quale «Ogni individuo è libero di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio» (art. 12, co. 2) e la CEDU (Protocollo n. 4, art. 2, § 2). 136 Roberto Cavallo Perin Migrazioni, diritti dell’uomo… 2. Le declinazioni del diritto a migrare. Dal punto di vista dello Stato del cittadino emigrante, il diritto all’espatrio (cfr. 16, co. 2°, Cost.) è specificamente protetto come diritto individuale del lavoratore e della sua famiglia all’emigrazione (art. 35, co. 4°, Cost.), secondo un enunciato che supera la stessa libertà nazionale d’iniziativa economica delle imprese (art. 41, Cost.), che non a caso trova la propria unitaria protezione sovranazionale nella libertà di circolazione del lavoratore e del datore di lavoro, entrambe costitutive del Mercato comune e poi dell’Unione Europea (artt. 45 TFUE)8. Non sempre si ricorda che tra le pietre miliari della difesa dei diritti soggettivi avanti al giudice ordinario il caso Laurens aveva proprio ad oggetto il diritto dell’armatore d’imbarcare migranti da porti esteri e indirettamente il diritto degli stessi emigranti italiani a fruire di tale attività d’interesse economico generale, con una prospettazione che ricorda la rilevanza di una protezione simmetrica – e nel caso addirittura cointeressenza – tra libertà d’iniziativa economica dell’imprenditore e diritto all’espatrio dei lavoratori italiani. Il diritto nazionale a emigrare (art. 35, co. 4°, Cost.) protegge anzitutto nell’essere lasciato libero di espatriare per ragioni di lavoro, che manca di effettività se lo Stato ospite non protegge il reciproco diritto dello straniero a entrare, circolare e a rimanere stabilmente nel suo territorio9, così come avviene per i cittadini europei che possono circolare e soggiornare liberamente oltre i tre mesi nel territorio degli Stati membri purché abbiano un “lavoro subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante”10, mentre i cittadini di paesi terzi autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati membri godono dei trattamenti dei lavoratori che sono cittadini dell’Unione11. 8 Sulla libertà di circolazione dei lavoratori da ultimo: C. Barnard, The Substantive Law of the EU, The Four Freedoms, USA, 2016, 237 ss.; R.C.A. White, Revising Free Movement of Workers, in Fordham International Law Journal, vol. 33, Issue 5, 2011, art. 10, 1565; P. Minderhoud and N. Trimikliniotis (eds.), Rethinking the Free Movement of Workers: the European Challenges Ahead, Nijmegen, The Netherlands 2009, 87 ss.; S. O’leary, Free Movement of Persons and Services, in The Evolution of EU Law, edited by P. Craig and G. de Búrca, Oxford 2011, 499 ss.; E. Spaventa, Free Movement of Persons in the European Union, Barriers to Movement in their Constitutional Context, The Netherlands 2007, 113 ss.; S. Giubboni - G. Orlandini, La libera circolazione dei lavoratori nell’Unione europea. Principi e tendenze, Bologna 2007, 65 ss.; M. Condinanzi - B. Nascimbene, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle persone, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. Chiti e G. Greco, Milano 2007, 108 ss.; P. Van Der Mei, Free Movement of Persons Within the European Community, Oxford-Portland Oregon 2003, 43 ss. 9 Il riferimento generale per l’ordinamento italiano è al TU Immigrazione (d.lgs. n. 286/1998, art. 2, co. 1 e 2), che riconosce allo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato i diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l’Italia e il presente testo unico dispongano diversamente (art. 2, co. 2). 10 Per periodi superiore a tre mesi: Dir. 38/2004/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, art. 7. 11 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 15: 1. Ogni individuo ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata. 2. Ogni cittadino dell’Unione ha la libertà di cercare un lavoro, di lavorare, di stabilirsi o di prestare servizi in qualunque Stato membro. Per periodi superiori a tre mesi per frequentare corsi di studio o professionali o per svolgervi un’attività economica sia come lavoratore 137 Relazioni  Il diritto a migrare per ragioni di lavoro è stato oggetto di molte norme internazionali: dal Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali, alla Convenzione OIL sui lavoratori migranti o ancora alla Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. 3. La migrazione e il diritto coloniale. Il flusso migratorio verso le colonie determina l’affermarsi di quel particolare diritto che è detto coloniale, anche se la ragione essenziale del flusso migratorio resta il lavoro, comprensivo dell’impiego nell’amministrazione pubblica delle colonie. Il carattere del diritto coloniale è dato dall’occupazione di territorio delle colonie che è rappresentata come sbocco per il lavoro dei cittadini dei paesi coloniali, con speciale definizione di diritti e doveri di coloni e d’indigeni, mentre il cittadino dello Stato coloniale dominante mantiene sempre – anche nelle colonie – il privilegio della cittadinanza dello Stato origine. L’interesse generale del paese coloniale è la messa a frutto delle colonie, mentre controversa è la rilevanza giuridica della “civilizzazione” dei sudditi coloniali. L’idea di una “civiltà delle colonie meno progredita di quella europea”12 non è sempre condivisa; da alcuni svilita nella sua portata, poiché la stessa va intesa “in modo del tutto relativo e con grande discrezione: anzi non è da escludersi che esso, per quanto informi il diritto positivo possa non corrispondere alla realtà delle cose”. L’espansione della civiltà può essere intesa più esattamente come “un effetto”, non come “lo scopo della colonizzazione”. “Questa principalmente avviene nell’interesse del paese colonizzatore; non è opera di tutela e di carità verso popoli inferiori: è invece affermazione di forza e di dominio”. Piuttosto fin tanto che “la metropoli spende la sua attività e i suoi capitali nella colonia deve riconoscersi legittima la pretesa dello Stato colonizzatore di ritrarre benefici pari alle energie impiegate”13. I rapporti tra il diritto coloniale e le prime “corporations” delle Compagnie delle Indie Orientali è noto, in entrambi la “civilizzazione” è l’effetto di un’operazione economica di cui l’armonizzazione della disciplina degli affari (mercato comune; world trade, ecc.) è presentata come il naturale effetto di razionalizzazione dei rapporti tra Stato dominante e territori degli Stati di influenza, secondo una configurazione che riemerge nell’opera dei diversi Trattati sul commercio delle differenti regioni del mondo (TTIP, CETA, TTP). autonomo sia subordinato; Direttiva 2003/109/Ce, 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, artt. 4 e 14; per l’Italia v. d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo; d.lgs. n. 286 del 1998, TU Immigrazione, art. 9. Per il riconoscimento dei titoli professionali si è soggiornanti di lungo periodo (5 anni di residenza legale e ininterrotta in uno Stato Ue). 12 Accenti espliciti d’essenziale superiorità della civiltà dello Stato coloniale: A. Brunialti, Le colonie degli italiani, Torino 1897, 249 e s.: “L’emigrazione è una necessità, un fenomeno naturale collegato alla legge del progresso e al perfezionamento della specie umana, e spetta allo Stato governare tali movimenti di popolazione e farne strumento della propria espansione coloniale” (formazione di “Nuove Italie”). 13 Santi Romano, Corso di diritto coloniale, Roma 1918, 107. 138 Roberto Cavallo Perin Migrazioni, diritti dell’uomo… 4. Diritto all’asilo e libertà dall’oppressione. Oltre all’espatrio come libertà di circolazione dei lavoratori, la migrazione ha avuto come altro ceppo storico il diritto d’asilo (art. 10, Cost.) come riconoscimento al genere umano di uno spazio di libertà dall’oppressione, ove è possibile esercitare i diritti dell’uomo il cui effettivo esercizio non è garantito nello Stato d’origine del cittadino14. Nella Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza gli Stati sono chiamati a rispettare «il diritto del fanciullo e dei suoi genitori di abbandonare ogni paese, compreso il loro e di fare ritorno nel proprio» (art. 10, co. 2), per confluire nel più generale principio del non refoulement, che impedisce l’allontanamento, l’espulsione e il respingimento dello straniero verso uno Stato ove egli andrebbe incontro al rischio di tortura o di trattamento inumano e degradante (Convenzione di Ginevra sullo Statuto dei rifugiati; Convenzione di New York contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti; CEDU, art. 3) e si sostanzia nel diritto di asilo (art. 10, Cost.; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea15). Talora la questione sembra diversamente declinata come libertà dall’oppressione sociale, cioè dal disagio derivante da anti-conformismo e in tal senso il migrante è nel paese di origine un “disadattato sociale”, non importa se come richiedente asilo (art. 10, Cost.) o come protetto umanitario seppur nei nuovi limiti posti dal legislatore (d.lgs. n. 286 del 1998, cit., art. 18, 18-bis, 20-bis, 22, co. 12-quater, e 42-bis e per altri permessi per motivi di protezione speciale). La libertà dall’oppressione è ancora declinata come libertà da condizioni naturali avverse (alluvioni, tsunami, ecc.) o provocate dall’uomo (disastri ambientali) che giunge a 14 Non si vogliono qui sottacere i dibattiti circa la crisi dell’asilo e conseguente crisi dell’effettività della sua tutela sottese al parallelo dibattito circa la crisi migratoria: A. Sciurba, Misrecognizing Asylum: Causes, Modalities, and Consequences of the Crisis of a Fundamental Human Right, in Rivista Fil. Dir., VI, 1, 2017, 141 e s.; M. Savino (a cura di), La crisi migratoria tra Italia e Unione europea: diagnosi e prospettive, Napoli 2017; Constitutional Dimensions of the Refugee Crisis, German Law Journal, 2016, Numero speciale, vol 17, n. 6; D. Fassin, The Precarious Truth of Asylum, in Public Culture, 2013, 25, 39 e s.; OECD, Is Migration Really Increasing, in Migration Policy Debates, 3, May 2014; V. Chetail, Are Refugee Rights Human Rights? An Unorthodox Questioning of the Relations between Refugee Law and Human Rights Law, in R. Marin (editor), Human Rights and Immigration, Collected Courses of the Academy of European Law, Oxford 2014, 30. Si vuole sottolineare in ogni caso il carattere fondamentale del diritto in parola come intrinseco all’essere umano e perciò a esso connaturato, secondo la lettura che lo vuole come unico diritto che sempre ha campeggiato nelle relazioni internazionali come simbolo dei diritti umani nella sfera delle relazioni internazionali: H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Torino ried. 2004, 374; N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino 1990; L. Ferraioli, I diritti fondamentali come dimensione delle democrazie costituzionali, in Ricerche giuridiche 3, n. 2, 2012, 214 e s. 15 La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea garantisce il diritto di asilo «nel rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra [...] e a norma del Trattato sull’Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea […]»: art. 18, e del pari vieta di riportare un soggetto in uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti (principio di non respingimento): art. 19; A. Cassese, I diritti umani oggi, Roma-Bari 2005, 78, 82; A. Manzella, P. Melograni, E. Paciotti, S. Rodotà, Riscrivere i diritti in Europa. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Bologna 2001. 139 Relazioni  declinare per taluno forme di genocidio culturale e di crimine contro l’umanità idonei a fondare l’autonoma categoria del rifugiato “ambientale”16. In ogni caso allo “straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti” (d.lgs. n. 286 del 1998, art. 2, co. 1). 5. La cittadinanza come identità e nuova appartenenza alla comunità ospite. L’accento sui diritti umani dello straniero e sul diritto di quest’ultimo a poter accedere – infine – alla cittadinanza dello Stato ospite, pare oscurare in parte la semplice considerazione che ogni appartenenza a una comunità segna uno status in ragione del quale sorgono in capo agli individui diritti, poteri, obblighi e doveri, che si affermano tra i medesimi, verso l’organizzazione comune, verso i terzi. È l’enunciazione di ciascuna categoria a invocare normalmente l’altra: in particolare nessun diritto assoluto si afferma erga omnes senza la reciproca definizione del dovere erga omnes di rispettarlo; nessun diritto di credito si afferma inter partes senza la reciproca definizione del debitore di adempiere alla prestazione che ne è oggetto. È il comportamento del debitore e del titolare del dovere a soddisfare e dare effettività al diritto di credito o assoluto d’altri. Ancora prima si deve riconoscere che ogni definizione di diritti, doveri, obblighi, poteri e status, contribuisce alla redistribuzione della ricchezza tra la popolazione, ma in definitiva alla Ricchezza delle Nazioni 17. Analogamente è l’adempimento dei doveri di solidarietà e l’accettazione dell’identità di un popolo sovrano a consentire alla comunità di riferimento di percepire il sorgere di nuove appartenenze alla comunità, prima come residenza poi come cittadinanza. È la residenza – e non la cittadinanza – a rendere attuale e far insorgere i doveri di solidarietà18 verso tutti (erga omnes) gli appartenenti alla comunità di riferimento, sia essa un comune, una regione e infine una nazione. 16 S. Behrman, A. Kent, Climate refugees. Beyond the legal impasse?, Londra 2018; B. Mayer, C. Cournil, Climate Change, Migration and Human Rights: Towards Group-Specific Protection?, in Climate change and human rights. An international and comparative law perspective (a cura di O. Quirico, M. Boumghar), New York 2015, 173. 17 A. Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nation, 1776. 18 D’obbligo è il richiamo al dovere di contribuzione alle spese pubbliche, che come noto prescinde dalla cittadinanza: art. 53 Cost.; L. Del Federico, voce Tassa, in Dig. comm., vol. XV, Torino 1998, 32; A. Fedele, voce Tassa, in Enc. Giur., Roma 1993; C. Sacchetto, voce Tassa (in generale), in Enc. dir., vol. XLIV, Milano 1992, 3; A. Viotto, voce Tributo, in Dig. comm., vol. XVI, Torino 1999, 221; A. Di Pietro, voce Tributi (tributi comunali), in Enc. Giur., vol. XXX, Roma 1994,; G. Lorenzon, voce Tributi locali, in Enc. dir., Giuffrè, Milano, 1992, vol. XLV, 131; A. Fedele, voce Prestazioni imposte, in Enc. Giur., vol. XXIV, Roma 1991; N. D’Amati, voce Rapporto giuridico d’imposta, in Enc. Giur., vol. XXV, Roma 1991; S. Sammartino, voce Prestazione di servizi (diritto tributario), in Enc. Giur., vol. XXI, Roma 1991; C. Bafile, voce Imposta, in Enc. Giur., vol. XVI, Roma 1989. 140 Roberto Cavallo Perin Migrazioni, diritti dell’uomo… Se all’adempimento dei doveri di solidarietà segue la volontà del residente di essere fedele alla nuova identità sovrana19, allora s’apre la vicenda d’acquisto della relativa cittadinanza e dei diritti politici che sono ad essa peculiari. 19 Sul dovere di fedeltà alla Repubblica che s’impone ai cittadini (art. 54, co. 1°, Cost.): G. Lombardi, Fedeltà, in Enc. dir., vol. XVII, Milano, 1968, 171 ss.; Id., Contributo allo studio dei doveri costituzionali, Milano 1967, 129 ss.; A. Cerri, Fedeltà (dovere di), in Enc. giur., vol. XIV, Roma 1989, 4; C. Pinelli, Il 1° comma dell’art. 98, Il vincolo dei funzionari al «servizio esclusivo della Nazione», in La Pubblica Amministrazione, Art. 97-98, Commentario della Costituzione, fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Bologna-Roma 1994, 420-421; L. Ventura, La fedeltà alla Repubblica, Milano 1984; Id., Giuramento nel diritto costituzionale, in Dig. disc. pubbl., vol. VII, Torino 1991, 308; G. Galante, La fedeltà nei rapporti di diritto pubblico tra morale, politica e diritto, in Riv. Ass. it. cost. (AIC), n. 00 del 2.7.2010; Id., Fedeltà alla Repubblica e libertà di coscienza, in I diritti costituzionali, a cura di R. Nania e P. Ridola, vol. III, Torino 2006, 1131 ss.; I. Massa Pinto, Doveri e formazioni sociali. il dovere di fedeltà alla repubblica come dovere di non rompere l’armistizio tra gruppi portatori di fini non negoziabili (ovvero il dovere di comprendere le ragioni degli altri), in I doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi, a cura di R. Balduzzi, M. Cavino, E. Grosso e J. Luther, Torino 2007, 52 ss.; A. Morelli, I paradossi della fedeltà alla Repubblica, Milano 2013; Id., Il dovere di fedeltà alla Repubblica, ivi, 140 ss.; G.M. Salerno, Il dovere di fedeltà tra simbolismo costituzionale e patriottismo repubblicano, in Scritti in onore di Gianni Ferrara, vol. III, Torino 2005, 511 ss. 141 Interventi Parte I Oltre la cittadinanza Interventi  Parte I NON DISCRIMINAZIONE, UGUAGLIANZA E RAGIONEVOLEZZA NELLA GARANZIA DEI DIRITTI SOCIALI DEGLI IMMIGRATI. L’APPROCCIO DELLA CORTE EDU E DELLA CORTE COSTITUZIONALE ~ Alessandra Albanese ~ 1. AMBITO DELL’ANALISI • 2. PREMESSA: LA DIMENSIONE “COLLETTIVA” E LA DIMENSIONE INDIVIDUALE DEI DIRITTI SOCIALI E IL LORO POTENZIALE CONFLITTO • 3. DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE E PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA NELLA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO E NELLA COSTITUZIONE ITALIANA • 4. IL DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO IN MATERIA DI DIRITTI SOCIALI DEGLI IMMIGRATI • 5. LA TUTELA DEI DIRITTI SOCIALI DEGLI IMMIGRATI SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE • 5.1. EGUAGLIANZA E RAGIONEVOLEZZA • 5.2. IL CONTENUTO INVIOLABILE DEI DIRITTI SOCIALI • 5.3. LA TUTELA DEI DIRITTI SOCIALI DEGLI IMMIGRATI FRA DIMENSIONE INDIVIDUALE E DIMENSIONE “COLLETTIVA” NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE. 1. Ambito dell’analisi. Le pronunce giurisdizionali delle Corti nazionali e sovranazionali relative alla protezione dei diritti sociali dei migranti sono sensibilmente aumentate negli ultimi dieci anni. Ciò è dovuto in primo luogo al massiccio incremento dei flussi migratori dell’ultimo decennio, ma anche alla crisi finanziaria iniziata nel 2008, che ha significativamente ridotto le risorse finanziarie disponibili per sostenere l’impatto del fenomeno migratorio sui sistemi di welfare1. Gli Stati europei (e al loro interno le loro articolazioni territoriali) hanno cercato e tuttora cercano di mettere in atto politiche di limitazione dell’accesso da parte degli stranieri alle prestazioni sociali, attraverso la previsione normativa di requisiti, quali la titolarità del permesso di soggiorno di lungo periodo o il tempo di permanenza sul territorio, volti a ridurre l’ambito dei soggetti ammessi a fruire dei benefici e delle prestazioni sociali. 1 Cfr. F. Costamagna, Riduzione delle risorse disponibili e abbassamento dei livelli di tutela dei diritti sociali: il rispetto del nucleo minimo quale limite all’adozione di misure regressive, in Diritti umani e diritto internazionale, 2014, 371 ss. cfr. inoltre A. Albanese, European case studies: Italy, in: Social rights in Europe in an age of austerity (a cura di S. Civitarese Matteucci, S. Halliday), London 2017; nonché G. Guiglia, Italian Costitutional Court and social rights in times of crisis: in search of a balance between principles and values of contemporary constitutionalism, in www.rivistaaic.it 3, 2018. 144 Alessandra Albanese Non discriminazione, uguaglianza… Conseguentemente, le Corti nazionali e sovranazionali, soprattutto quelle preposte in modo specifico o prevalente a tutelare i diritti fondamentali, sono state chiamate sempre più spesso a giudicare se tali disposizioni siano discriminatorie o lesive del principio di uguaglianza. Come è evidente, l’applicazione del divieto di discriminazione, così come quella del principio di uguaglianza, si collega imprescindibilmente alla verifica della ragionevolezza delle differenziazioni previste dalle norme potenzialmente lesive dei diritti degli stranieri, vale a dire alla verifica dell’esistenza di ragioni adeguate, che consentano di giustificare un trattamento differenziato. I principi di non discriminazione, uguaglianza e ragionevolezza, tuttavia, per la pluralità di valenze e di sfaccettature insite nella loro struttura logica e concettuale, si prestano ad essere declinati ed applicati in modi diversi da parte dei giudici chiamati a verificarne la violazione. L’obiettivo che ci si pone in questo studio è analizzare in modo specifico come la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la nostra Corte Costituzionale hanno interpretato ed utilizzato tali principi nelle decisioni relative ai diritti sociali degli immigrati, per verificare quali siano le analogie e quali le differenze nelle argomentazioni giuridiche svolte dai due giudici. Si è ritenuto di non estendere il raffronto anche alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non perché essa non faccia applicazione del principio di non discriminazione o di quello di ragionevolezza, ma piuttosto perché l’analisi delle pronunce della CGUE ha evidenziato come nell’impiego di tali principi essa sia fortemente condizionata dall’applicazione del diritto dell’Unione, che ricollega nettamente l’ampiezza di molti diritti sociali attribuiti ai cittadini extraeuropei allo status di cui essi sono titolari nel paese ospitante (status, a propria volta, strettamente dipendente dal tipo di permesso di soggiorno di cui essi dispongono2). Ciò rende inevitabilmente frammentario l’approccio del giudice di Lussemburgo nell’applicazione di tali principi e rende meno agevole e meno certa l’individuazione dei canoni ermeneutici generali adottati. Il ruolo del principio di ragionevolezza ed il suo rapporto con quello di uguaglianza è stato oggetto di ampi studi e di significative riflessioni di teoria generale3, su cui non è il caso di soffermarsi in questa sede. Lo studio che si intende svolgere, infatti, ha un approccio più pragmatico ed un obiettivo più delimitato: provare a comprendere se e come (il modo 2 Cfr. F. Biondi dal Monte, Dai diritti sociali alla cittadinanza. La condizione giuridica dello straniero tra ordinamento italiano e prospettive sovranazionali, Torino 2013, 36; C. Panzera, Stranieri e diritti nel sistema della Carta Sociale europea, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2016, 48, nonché A. Albanese, I sistemi sanitari alla prova dell’immigrazione: il quadro normativo europeo, in www.rivistaaic.it 4, 2017. 3 L. Paladin, voce Ragionevolezza (Principio di), in Enc. Dir. Aggiornamento 1, Milano 1997, 899 ss; Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Atti del seminario svoltosi a Roma, Palazzo della Consulta, 13-14 ottobre 1992, Milano 1994; A. Morrone, Il Custode della ragionevolezza, Milano 2001; M. La Torre e A. Spadaro (a cura di) La ragionevolezza nel diritto, Torino, 2002; La ragionevolezza nella ricerca scientifica ed il suo specifico nel sapere giuridico, (a cura di A. Cerri), Atti del Convegno di Studi, Roma 2-4 ottobre 2006, Quaderno monografico di Nova Juris Interpretatio in hodierna gentium communione, Roma 2006. 145 Interventi  Parte I in cui) le due Corti applicano il principio di ragionevolezza nelle controversie in cui il divieto di discriminazione o il principio di uguaglianza possano incidere sull’ampiezza e sulla effettività della tutela accordata ai diritti sociali degli immigrati. L’approccio descritto inoltre può contribuire a fornire elementi di riflessione anche sulla complementarietà (o sulla circolarità4) dei principi e delle tecniche di protezione dei diritti, che – sia pur con qualche discontinuità – sempre più sembra caratterizzare il rapporto fra le due Corti. 2. Premessa: la dimensione ‘‘collettiva’’ e la dimensione individuale dei diritti sociali e il loro potenziale conflitto. Credo che sia opportuno muovere da alcune premesse, certamente note, ma che ritengo necessario rendere esplicite per chiarire fin da subito la chiave di lettura che utilizzerò per analizzare le pronunce delle due Corti. I diritti sociali possono essere considerati da due diversi punti di vista. Il primo riguarda la loro dimensione che potremmo definire “collettiva”, riferita al loro necessario collegamento con la società e agli effetti che la loro protezione determina sugli equilibri della comunità sociale. Li chiamiamo, appunto, “sociali” perché la loro tutela necessita del supporto della società: sono sociali in quanto fondati sul principio di solidarietà, così come su quello di uguaglianza5. L’erogazione di prestazioni sociali (in particolare di quelle non contributive) a persone in stato di bisogno, sostenuta da fondi pubblici, ha infatti evidentemente un effetto redistributivo della ricchezza della collettività6. Il secondo punto di vista è riferito alla dimensione individuale dei diritti sociali: sono diritti fondamentali della persona, appartengono alla sfera giuridica di ogni individuo e, in particolare, sono strettamente correlati al rispetto della dignità umana. La dimensione collettiva prima richiamata conduce a collegare la possibilità di beneficiare delle prestazioni volte a garantire i diritti sociali all’appartenenza degli individui alla collettività che ne sopporta i costi, vale a dire alla loro integrazione in quest’ultima e alla loro partecipazione alla vita della comunità. Su tale base, come si è anticipato, le norme di 4 Cfr. A. Ruggeri, Sei tesi in tema di diritti fondamentali e della loro tutela attraverso il “dialogo” tra Corti europee e Corti nazionali, in www.federalismi.it, ottobre 2014. 5 Il fondamento dei diritti sociali e il loro complesso rapporto con i principi di uguaglianza, solidarietà e con i diritti di libertà (o almeno con alcuni di essi) è stato a lungo dibattuto: cfr. A. Baldassarre, voce Diritti inviolabili, in Enc. Giur. Treccani, vol. XI, 1989; M. Luciani, Sui diritti sociali, in La tutela dei diritti fondamentali davanti alle Corti costituzionali, (a cura di R. Romboli), Torino 1994; A. Giorgis, La costituzionalizzazione dei diritti all’uguaglianza sostanziale, Napoli 1999; F. Giuffrè, La solidarietà nell’ordinamento costituzionale, Milano 2002; si veda inoltre il recente saggio di A. Ruggeri, Eguaglianza, solidarietà e tecniche decisorie nelle più salienti esperienze della giustizia costituzionale, in www.rivistaaic.it 3, 2017. 6 Sul tema e sulle sue implicazioni si veda H. Caroli Casavola, Giustizia ed eguaglianza nella distribuzione dei benefici pubblici, Milano 2004. 146 Alessandra Albanese Non discriminazione, uguaglianza… legge hanno spesso condizionato l’accesso alle prestazioni sociali al possesso di requisiti come la cittadinanza o la residenza protratta per un determinato periodo di tempo nel territorio o alla titolarità di particolari tipologie di permesso di soggiorno. Lo scopo di tali norme è infatti quello di assicurare le prestazioni soltanto agli stranieri che hanno un radicamento stabile nel contesto territoriale in cui vivono e al cui sviluppo (anche economico) contribuiscono, evitando che essi divengano un onere finanziario per il paese che li ospita. Il fondamento di tali politiche risiede nell’idea che la coesione sociale si basi sull’esistenza di una comunità che condivide non soltanto i diritti, ma anche gli obiettivi e i doveri. L’altra dimensione dei diritti sociali, quella individuale, conduce nella direzione opposta: il collegamento dei diritti sociali alla dignità umana legittima ogni persona ad accedere, in relazione ai propri bisogni, alle prestazioni che consentono di godere effettivamente dei diritti stessi, senza che alcun requisito (primo fra tutti la cittadinanza) possa o debba costituire un limite alla loro accessibilità, in quanto tali prestazioni sono necessarie a condurre un’esistenza dignitosa. Le due dimensioni dei diritti sociali appena ricordate, riferite agli immigrati, descrivono ciò che Sheyla Benhabib7 chiama “il dilemma delle democrazie liberali” di fronte alle migrazioni transnazionali. Da un lato gli Stati affermano il proprio diritto di autodeterminazione nella gestione dei flussi migratori e nelle proprie politiche economiche e sociali, dall’altro riconoscono i diritti umani, aderendo ad organizzazioni sovranazionali create per assicurarne ed estenderne la garanzia ad ogni uomo. Tale “dilemma” spiega anche la ontologica contraddizione insita nella regolazione dell’accesso dei migranti ai servizi sociali da parte degli Stati: garantire prestazioni sociali ai migranti in base ad una logica di tipo universalistico, infatti, può produrre al tempo stesso inclusione ed esclusione8. Inclusione, perché il godimento dei diritti sociali è uno strumento essenziale per poter dare agli stranieri effettive possibilità di integrazione e di partecipazione alla vita del paese in cui hanno deciso di vivere (si pensi al ruolo della scuola e del diritto all’istruzione per l’integrazione dei bambini stranieri e indirettamente dei loro genitori); esclusione, perché la riduzione delle risorse finanziarie disponibili per assicurare prestazioni e benefici sociali ai cittadini crea una reazione difensiva di ostilità e di rifiuto nei confronti degli immigrati, considerati prevalentemente come un indebito peso economico, che “usurpa” le possibilità dei cittadini di fruire delle prestazioni sociali (si pensi alle reazioni diffuse di insofferenza dei cittadini rispetto alla concessione di alloggi sociali agli immigrati). A partire da tali premesse, esaminerò il modo in cui la Corte EDU e la Corte Costituzionale hanno utilizzato i principi di uguaglianza, di non discriminazione e, soprattutto, di ragionevolezza, cercando di evidenziale se e come la loro applicazione incida sulla definizione, o quanto meno sulla ricerca, di un possibile equilibrio fra le aporie appena descritte. 7 S. Benhabib, I diritti degli altri. Stranieri residenti cittadini, Milano 2006 (in originale: The rights of the others, Cambridge University Press, 2004). 8 Si veda sul tema, E. Menichetti, Accesso ai servizi sociali e cittadinanza, in Diritto Pubblico, 2000, 849 ss. 147 Interventi  Parte I 3. Divieto di discriminazione e principio di uguaglianza nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e nella Costituzione Italiana. L’art. 14 della CEDU vieta ogni discriminazione, basata su una pluralità di possibili cause che lo stesso articolo esemplifica in un analitico elenco, che comprende, fra le altre ipotesi, anche la nazionalità. Il divieto è concepito come strumentale alla garanzia dei diritti fondamentali protetti dalla Convenzione, che sono essenzialmente diritti di libertà e non diritti sociali. Tuttavia già da molto tempo la Corte di Strasburgo ha interpretato estensivamente il testo della Convenzione e dei suoi Protocolli, individuando uno stretto legame fra i diritti civili e politici sanciti dalla Convenzione stessa e altri diritti di tipo economico e sociale, che ai primi sono connessi in modo indivisibile9. Il legame fra diritti tutelati dalla Convenzione e diritti sociali è stato fondato prevalentemente sull’art. 2 (diritto alla vita), sull’art. 3 (divieto di trattamenti disumani e degradanti), sull’art. 8 (diritto alla vita privata e familiare) della CEDU, nonché sull’art. 1 del Protocollo 1 sul diritto di proprietà, in relazione al diritto a benefici sociali di tipo economico. I diritti sociali sono quindi tutelati di riflesso rispetto ai diritti sanciti nella Convenzione10. Il divieto di discriminazione ha costituito in molti casi nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo uno strumento importante11 per garantire il godimento di diritti sociali anche ai migranti12. 9 Corte Europea dei diritti umani, Airey c. Irlanda, ricorso n. 6289/73, sentenza del 9 ottobre 1979. 10 Sulla tutela par ricochet del diritto alla salute nella giurisprudenza della Corte EDU cfr. F. Biondi dal Monte, Dai diritti cit., 159 ss. 11 L’ampiezza della tutela antidiscriminatoria in tale materia è stata ulteriormente ampliata attraverso la no- zione di discriminazione indiretta elaborata dalla Corte di Strasburgo, una discriminazione che può essere prodotta da norme apparentemente non mirate ad escludere gli stranieri dal godimento di alcuni diritti, ma che, nella loro applicazione, finiscono di fatto con lo svantaggiarli in modo preponderante rispetto ai cittadini. Occorre inoltre precisare che la Corte di Strasburgo in vari casi ha fatto direttamente applicazione delle norme della Convenzione per garantire diritti sociali agli immigrati, anche a prescindere dalla violazione del divieto di discriminazione. Ciò è accaduto, in particolare, in relazione al diritto alla salute, attraverso l’applicazione del divieto di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, previsto dall’art. 3 della CEDU; sul punto sia consentito rinviare a A. Albanese, I sistemi sanitari cit. 12 L’applicazione dell’art. 14 alla tutela di diritti sociali degli immigrati si può far risalire al caso Gaygusuz c. Austria, ricorso n. 17371/90, sentenza del 19 settembre 1996. La decisione della Corte si riferisce ad un cittadino turco, lavoratore in Austria da un certo numero di anni, a cui era stato rifiutato, in quanto straniero, il sussidio corrisposto a chi si trovi in condizioni di grave disagio economico. La Corte ha affermato che l’unica ragione del rifiuto al lavoratore turco del beneficio economico era la sua nazionalità e ha ritenuto che le argomentazioni svolte dal Governo austriaco per motivare la differenziazione di trattamento, in presenza di tutte le altre condizioni richieste ai cittadini austriaci, non fossero “oggettive e ragionevoli”, per cui risultavano discriminatorie. Il Governo austriaco infatti giustificava il trattamento differenziato esclusivamente con la maggiore responsabilità dello Stato verso i propri cittadini. 148 Alessandra Albanese Non discriminazione, uguaglianza… Per le ragioni precedentemente esposte circa l’ambito di tutela offerto dalla Convenzione, la Corte di Strasburgo ritiene applicabile l’art. 14 solo quando la situazione rappresentata dal ricorrente trovi un fondamento giuridico, pur se non specifico, in un diritto sancito dalla CEDU. La Corte esprime tale principio affermando che è sufficiente che la fattispecie “ricada nell’ambito di una o più previsioni della Convenzione”13. L’art. 14, in altri termini, è una norma che offre una tutela strumentale rispetto a quella sancita dalle altre disposizioni convenzionali. Ciò inevitabilmente rende meno agevole la possibilità di tutela dei diritti sociali. Nella nostra Costituzione, come è noto, il principio di non discriminazione non ha invece una propria autonoma formulazione, ma costituisce tuttavia il contenuto più immediato dell’uguaglianza davanti alla legge, che secondo l’art. 3 deve essere garantita “senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. È altrettanto noto che l’art. 3 riferisce il principio di uguaglianza testualmente ai “cittadini”, che “hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge”, e, conseguentemente nell’elenco delle cause di possibile discriminazione, a differenza dall’art. 14 della Convenzione EDU, non è compresa la nazionalità. Tuttavia, la Corte costituzionale ha da tempo interpretato la norma come necessariamente riferita ad ogni uomo, almeno in relazione alla titolarità dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti alla persona14, valorizzando l’imprescindibile collegamento fra principio di uguaglianza e diritti inviolabili dell’uomo. Il divieto di discriminazione fra cittadini e stranieri nel nostro ordinamento è invece espressamente previsto dalla legge ordinaria che disciplina la condizione degli immigrati (TU 286/1998), che ha introdotto un’apposita azione giudiziaria civile antidiscriminazione (art. 44)15. 13 Cfr., fra le tante, Corte Europea dei diritti umani, Fr. Van Raalte c. Paesi Bassi, ricorso n. 20060/92, sentenza del 21 febbraio 1997. 14 Cfr. Corte Cost., sent. 23 novembre 1967, n. 120, nonché sent. 24 febbraio 1994, n. 62; tuttavia, nella sua giurisprudenza più risalente la Corte ha temperato tale affermazione, ritenendo ammissibili differenziazioni di trattamento fra cittadini e stranieri fondate sulla distinzione fra titolarità delle libertà fondamentali e diversità nelle loro modalità di esercizio, cfr. Corte Cost., sent. 26 giugno 1969, n. 104. Sul punto si veda: M. Luciani, Cittadini e stranieri come titolari dei diritti fondamentali. L’esperienza italiana, in Riv. crit. dir. priv., 1992, 225. Il tema dell’interpretazione dell’art. 3 in relazione alla sua riferibilità anche agli stranieri è stato approfonditamente indagato di recente da M. Losana, “Stranieri” e principio costituzionale di uguaglianza, in Diritti uguali per tutti. Gli stranieri e la garanzia dell’uguaglianza formale (a cura di A. Giorgis, E. Grosso, M. Losana), Milano 2017, 67 ss. Sulla giurisprudenza costituzionale relativa agli stranieri e sul ruolo che in quest’ultima ha avuto il concetto di cittadinanza, si vedano le interessanti riflessioni di M. Savino, Lo straniero nella giurisprudenza costituzionale: tra cittadinanza e territorialità, in Quaderni Costituzionali 1, 2017, 41 ss. 15 Per una recente applicazione da parte del giudice ordinario del divieto di discriminazione in materia di diritti sociali (limitazione della concessione dell’assegno per il nucleo familiare ai soli stranieri soggiornanti di lungo periodo dal 2013) si veda Cass., Sez. Lav. 8 maggio 2017, n. 11166. 149 Interventi  Parte I 4. Il divieto di discriminazione nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo in materia di diritti sociali degli immigrati. Come si è anticipato, la Corte EDU ha fatto ripetutamente applicazione del divieto di discriminazione di cui all’art. 14 della Convenzione per giudicare sulla legittimità dell’esclusione degli stranieri dal godimento di benefici sociali concessi ai cittadini (o concessi solo ad alcune categorie di immigrati). Secondo la Corte di Strasburgo, in termini generali, affinché un trattamento differenziato (anche in base alla nazionalità) possa essere ritenuto non discriminatorio non soltanto deve sussistere “una giustificazione oggettiva e ragionevole” per la differenziazione, ma quest’ultima deve essere riconducibile al perseguimento di “uno scopo legittimo” da parte dello Stato. Deve sussistere inoltre una “ragionevole relazione di proporzionalità fra i mezzi impiegati e il fine che deve essere realizzato”16 (attraverso la previsione del trattamento differenziato). L’applicazione del divieto di discriminazione ai diritti sociali chiama quindi inevitabilmente in causa il raffronto (e la tensione) fra le due diverse connotazioni di tali diritti ricordate in precedenza. Infatti, la valutazione della ragionevolezza della differenziazione – che si traduce nella esclusione del migrante dall’accesso ad una prestazione sociale il cui costo grava sulla collettività – porta necessariamente a confrontare la rilevanza degli interessi della collettività stessa rispetto a quelli dell’individuo, laddove i primi sono quelli cui il legislatore, nel restringere l’ambito di godimento dei diritti sociali dei migranti, ha dato valore prioritario. È in tale contesto che la Corte si trova a valutare la “legittimità” dello scopo perseguito (legitimate aim), in grado di limitare il diritto individuale. Per stabilire se e fino a che punto le differenze fra situazioni per altro verso simili giustifichino un trattamento differenziato, la Corte – come spesso essa stessa ha affermato17 – deve tenere conto del “margine di apprezzamento” di cui lo Stato dispone nel definire l’assetto degli interessi generali. Si tratta in realtà di uno spazio che varia a seconda delle circostanze, della fattispecie concreta e del contesto in cui esso si inserisce. Secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, infatti, la previsione di trattamenti differenziati non viene considerata discriminatoria solo se lo Stato è in grado di rappresentare alla Corte “ragioni oggettive e ragionevoli” che giustifichino il trattamento differente18. 16 Per l’affermazione di tali principi si veda, fra le tante, Corte Europea dei diritti umani, Dhabi c. Italia, ricorso n. 17120/09, sentenza dell’8 aprile 2014, su cui infra. 17 Cfr. Corte Europea dei diritti umani, Rasmussen c. Danimarca, ricorso n. 8777/79 sentenza del 28 novembre 1984, 18 Corte Europea dei diritti umani, Efe c. Austria, ricorso n. 9134/06, sentenza dell’8 gennaio 2013, relativa al diniego ad un cittadino turco, residente in Austria per motivi di lavoro, degli assegni familiari per i figli a suo carico, ma non residenti in Austria. La violazione dell’art. 14 era stata prospettata in relazione alla discriminazione fondata sulla previsione del requisito della residenza dei figli. La Corte ha accolto le argomentazione del Governo, che aveva evidenziato come la norma rispondesse alla necessità di rispettare il patto intergenerazionale che lega coloro che fanno parte della collettività presente sul territorio nazionale, specificando inoltre come lo scopo della esclusione dal beneficio dei minori non residenti fosse quello di garantire uno standard minimo ai bambini che vivono in Austria, attraverso una condivisione sociale dei costi per la loro formazione. 150 Alessandra Albanese Non discriminazione, uguaglianza… In ultima analisi è la Corte stessa che, nel valutare la ragionevolezza della differenziazione del trattamento, definisce i confini del “margine di apprezzamento” lasciato agli Stati e finisce col determinare il punto di equilibrio fra le esigenze imprescindibili della tutela dei diritti individuali e degli interessi della collettività di cui si è fatto portatore il legislatore. La Corte di Strasburgo peraltro sottopone ad uno “scrutinio stretto” di ragionevolezza, particolarmente rigoroso, le differenziazioni di trattamento fondate sulla nazionalità. Nel delineare l’ampiezza del margine di apprezzamento di cui gli Stati dispongono in relazione alla previsione di condizioni più sfavorevoli per gli stranieri, infatti, la Corte ha costantemente affermato che “solo considerazioni molto serie possono portare a ritenere compatibile con la Convenzione una disparità di trattamento esclusivamente basata sulla cittadinanza.” 19 Fra le ragioni giustificative addotte dagli Stati per motivare le limitazioni dell’accesso ai benefici sociali per gli stranieri, le esigenze finanziarie e le politiche di bilancio hanno avuto un peso sempre più rilevante, soprattutto dopo la crisi economica iniziata nel 2008. Le esigenze di bilancio sono considerate in astratto dalla Corte di Strasburgo uno “scopo legittimo” di differenziazione; tuttavia, la loro idoneità a costituire un argomento “oggettivo e ragionevole” di diversificazione del trattamento degli stranieri da quello dei cittadini, calata nel contesto delle situazioni di fatto rappresentate (determinante ai fini della definizione del “margine di apprezzamento” lasciato allo Stato), ha portato ad esiti non sempre omogenei. Nella pronuncia Dhabi c. Italia del 201420, infatti, la limitatezza delle risorse finanziarie non è stata ritenuta una ragione sufficiente a giustificare l’esclusione dello straniero dal godimento del diritto agli assegni familiari previsto per le famiglie numerose italiane, poiché la Corte non ha ravvisato “un rapporto ragionevole di proporzionalità fra mezzi impiegati e scopo perseguito” tale da rendere la disparità contestata conforme alle esigenze dell’articolo 14, posto che l’unico criterio di differenziazione era dato dalla cittadinanza. Lo specifico riferimento al principio di proporzionalità induce a pensare che la Corte abbia raffrontato il risparmio ottenuto dallo Stato con lo svantaggio causato allo straniero, in comparazione con il beneficio accordato ai cittadini italiani che versano in condizioni analoghe; nelle argomentazioni della sentenza tuttavia non è presente alcuna riflessione esplicita relativa all’incidenza della esclusione dalla prestazione sociale sullo straniero e sulle sue esigenze di vita.21 19 Corte Europea dei diritti umani, Dhabi c. Italia, cit.; Corte Europea dei diritti umani, Gaygusuz c. Austria, ri- corso n. 17371/90, sentenza del 19 settembre 1996; Corte Europea dei diritti umani, Koua Poirrez c. Francia, ricorso n. 40892/98, sentenza del 30 settembre 2003; Corte Europea dei diritti umani, Andrejeva c. Lettonia, ricorso n. 55707/00, sentenza del 18 febbraio 2009. Su questa giurisprudenza si veda W. Chiaromonte, Prestazioni sociali familiari e discriminazione per nazionalità. La posizione della Corte di Strasburgo, in Rivista Italiana di Diritto del lavoro, 2014, 900 ss. 20 Corte Europea dei diritti umani, Dhabi c. Italia, cit.. 21 Analogamente, in Corte Europea dei diritti umani, Koua Poirrez c. Francia, cit., la Corte ha ritenuto inconsistente l’argomentazione del Governo francese, che giustificava il rifiuto di corrispondere ad uno straniero adulto gravemente disabile l’indennità di disabilità per mancanza della cittadinanza con la necessità di bilanciare le entrate e le spese del sistema di welfare. 151 Interventi  Parte I Tutt’altro peso ha assunto la valutazione della scarsità di risorse nella pronuncia Bah c. UK22, del 2011. Il caso nasceva dalla richiesta di assegnazione di un alloggio pubblico da parte di una straniera, titolare di permesso di soggiorno di lunga durata, ma con a carico un figlio minore titolare di un permesso di soggiorno temporaneo23. L’autorità amministrativa inglese aveva ritenuto di non poter dare rilievo alla condizione di urgente bisogno connessa alla presenza del figlio minore, proprio perché quest’ultimo era titolare di un permesso di soggiorno precario e la norma che prevedeva il beneficio ne subordinava la concessione alla titolarità di un permesso di soggiorno di durata illimitata. La Corte ha ritenuto legittima la disposizione, in quanto in materia di alloggi sociali, data la scarsità di risorse abitative, lo Stato è chiamato a compiere scelte generali di tipo socio economico, in ordine alle quali dispone di un elevato margine di apprezzamento24. Su tale presupposto, è stata ritenuta “ragionevole e giustificata” la scelta normativa di dare priorità a chi sia titolare di un diritto stabile di residenza, escludendo dal beneficio gli stranieri che, ancorché versino in condizioni di bisogno analoghe a quelle di altre categorie di soggetti, abbiano uno “status” di soggiorno meno saldo. In definitiva, il più forte radicamento sociale nel paese ospitante, dato dalla stabilità della permanenza sul territorio, è stato ritenuto dalla Corte una giustificazione ragionevole e proporzionata per la differenziazione del trattamento, così come è stato considerato legittimo lo scopo della necessità di allocazione delle risorse abitative (ed economiche) scarse. Più in generale, anche in altre decisioni la Corte ha affermato “che uno Stato può avere ragioni legittime per limitare l’accesso a servizi pubblici ad alto costo – quali programmi di assistenza, benefici economici, servizi sanitari – per gli immigrati irregolari o di breve periodo, che presumibilmente non hanno contribuito al loro finanziamento25. Analogamente, in alcuni casi lo Stato può legittimamente differenziare fra tipologie di stranieri, ad esempio privilegiando i cittadini dei paesi dell’Unione Europea rispetto a quelli extraeuropei. La Corte EDU ha infatti ritenuto ragionevole e legittima una differenziazione fondata sulla “oggettiva” considerazione che l’UE costituisce un ordinamento giuridico speciale, i cui cittadini sono soggetti anche ad uno specifico regime di cittadinanza26. 22 Corte Europea dei diritti umani, Bah c. UK, ricorso n. 56328/07, sentenza del 27 settembre 2011. 23 L’immigrata, titolare di permesso di soggiorno illimitato, aveva ottenuto il ricongiungimento del figlio mi- nore, al quale era stato rilasciato però un permesso di soggiorno temporalmente limitato e soggetto alla condizione di non gravare su fondi pubblici. Lo status del figlio, derivante dal suo permesso di soggiorno, aveva impedito che la sua minore età fosse presa in considerazioni ai fini della assegnazione “prioritaria” di un alloggio pubblico. 24 In questo stesso senso cfr. anche Corte Europea dei diritti umani [GC], Stec e Altri c. United Kingdom, ricorsi nn. 65731/01 e 65900/01, sentenza del 6 giugno 2005. 25 Cfr, Corte Europea dei diritti umani, Ponomaryov c. Bulgaria, ricorso n. 5335/05, sentenza del 21 giugno 2011; si veda tuttavia in senso opposto Corte Europea dei diritti umani Niedzwiecki c. Germania, ricorso no. 58453/00, sentenza del 25 ottobre 2005, in materia di diniego degli assegni familiari per i figli, ad un cittadino polacco residente in Germania. 26 Cfr. Corte Europea dei diritti umani, Moustaquim c. Belgio, ricorso n. 12313/86, sentenza del 18 febbraio 1991. 152 Alessandra Albanese Non discriminazione, uguaglianza… In conclusione, come si evince dai casi descritti, la Corte di Strasburgo applica il divieto di discriminazione essenzialmente secondo la struttura triangolare del principio di uguaglianza da cui esso deriva, cioè attraverso il raffronto fra situazioni analoghe rispetto ad un tertium comparationis. Il criterio della ragionevolezza, in tale contesto, è utilizzato esclusivamente per valutare il peso delle motivazioni poste alla base della differenziazione del trattamento fra cittadini e stranieri (o fra diverse “categorie di stranieri”), ai fini del giudizio sulla legittimità dello scopo della differenziazione stessa e della proporzionalità delle misure adottate per raggiungerlo. Occorre peraltro notare come tale scrutinio diventi ancora più rigoroso quando siano in gioco valori particolarmente rilevanti ai fini della integrazione dello straniero e delle sue possibilità di sviluppo personale. È il caso della garanzia del diritto all’istruzione, rispetto alla quale l’argomento della scarsità delle risorse è stato valutato dalla Corte in modo decisamente più severo e restrittivo27. Inoltre, in relazione a tale diritto– non a caso l’unico diritto sociale espressamente preso in considerazione dalla Convenzione, pur se all’interno di un allegato28 – la Corte EDU ha ravvisato l’esistenza di una correlazione fra la ragionevolezza della limitazione dell’accesso (gratuito) al servizio scolastico per gli stranieri e il livello di istruzione cui è riferito, considerando giustificata la differenziazione di trattamento (per gli stranieri o per alcune categorie di stranieri) in relazione all’accesso ai livelli più elevati di istruzione e non invece quella relativa ai livelli scolastici basilari, senza i quali è sostanzialmente vanificata ogni possibilità di sviluppo e realizzazione individuale. Pur con i limiti intrinsecamente legati al testo normativo utilizzato come parametro di riferimento, che non tutela espressamente i diritti sociali, – e tanto più in considerazione di questo – certamente la giurisprudenza della Corte di Strasburgo fondata sull’applicazione del divieto di discriminazione ha contribuito in modo significativo ad ampliare la tutela dei diritti sociali degli immigrati, imponendo agli Stati un’attenta valutazione delle ragioni di differenziazione introdotte. Ne fornisce ulteriore riprova il fatto che il giudizio “triangolare” derivante dal divieto di discriminazione ha portato la Corte a considerare violato l’art. 14 della Convenzione anche quando il trattamento più favorevole, accordato ad una categoria ed irragionevolmente negato ad un’altra, era volto ad assicurare un livello di protezione volontariamente attribuito dallo Stato29. Il divieto posto dall’art. 14 secondo la Corte, per la sua stessa struttura logica, implica infatti che in ogni caso in cui uno Stato 27 Si veda ancora sul punto Corte Europea dei diritti umani Ponomaryov c. Bulgaria, cit. (e la giurisprudenza ivi richiamata) (§ 56). 28 Il diritto all’istruzione è tutelato dall’art. 2 del Protocollo 1 allegato alla Convenzione. 29 Ciò ha riguardato in particolare la previsione di benefici di tipo economico, che la Corte ha considerato ri- cadenti nell’ambito di applicazione della Convenzione perché riconducibili al protocollo 1 che tutela la proprietà (e per questo scrutinabili rispetto alla violazione del divieto di discriminazione), ma che non garantisce di per sé il diritto ad alcuna prestazione sociale, così come non tutela il diritto a divenire proprietario di un bene, pur non limitando la libertà degli Stati di introdurre volontariamente misure di protezione sociale e di definirne il livello: cfr. G. Bascherini, A. Ciervo, L’integrazione difficile: il diritto alla salute e all’istruzione degli stranieri nella crisi del welfare state, in L’evoluzione costituzionale delle libertà e dei diritti fondamentali (a cura di R. Nania), Torino 2012, 365 ss. 153 Interventi  Parte I decida di prevedere un beneficio economico o una prestazione sociale debba farlo in modo non discriminatorio (in particolare nei confronti degli stranieri).30 Si può, tuttavia, conclusivamente notare come la Corte non sia mai intervenuta per affermare la necessità di garantire un livello minimo di protezione dei diritti sociali, nelle decisioni in cui ha fatto applicazione del divieto di discriminazione per ragioni legate alla nazionalità31. 5. La protezione dei diritti sociali dei migranti secondo la Corte Costituzionale italiana. Anche la Corte Costituzionale italiana nelle controversie relative ai diritti sociali degli immigrati si è ripetutamente confrontata con la violazione del principio di uguaglianza32. Dall’analisi della sua giurisprudenza emergono molte analogie con l’approccio adottato dalla Corte di Strasburgo, che la Corte italiana ha in più di una occasione espressamente richiamato e riproposto33. Emergono tuttavia anche alcune differenze, che vale la pena di evidenziare. 30 Cfr. Corte Europea dei diritti umani, Carson e altri c. Regno Unito, ricorso n. 42184/05, sentenza del 4 novembre 2008, ma anche Ponomaryov c. Bulgaria, cit. 31 La Corte Costituzionale, nella sentenza 26 maggio 2010 n. 187, parrebbe invece desumere dalla decisione della Corte di Strasburgo Stec c. Altri, precedentemente citata, il divieto di qualunque differenziazione in relazione alle provvidenze destinate a far fronte al sostentamento della persona. Secondo la Corte Costituzionale infatti “la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha sottolineato come, «in uno Stato democratico moderno, molti individui, per tutta o parte della loro vita, non possono assicurare il loro sostentamento che grazie a delle prestazioni di sicurezza o di previdenza sociale». Sicché, «da parte di numerosi ordinamenti giuridici nazionali viene riconosciuto che tali individui sono bisognosi di una certa sicurezza e prevedono, dunque, il versamento automatico di prestazioni, a condizione che siano soddisfatti i presupposti stabiliti per il riconoscimento dei diritti in questione» (la già citata decisione sulla ricevibilità del 6 luglio 2005, Stec ed altri contro Regno Unito). Ove pertanto, si versi in tema di provvidenza destinata a far fronte al “sostentamento” della persona, qualsiasi discrimine tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi dalle condizioni soggettive, finirebbe per risultare in contrasto con il principio sancito dall’art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, avuto riguardo alla relativa lettura che, come si è detto, è stata in più circostanze offerta dalla Corte di Strasburgo”. Le argomentazioni svolte dalla Corte EDU nella pronuncia richiamata tuttavia, lette nel contesto della decisione stessa, non sembrano giungere a tanto e paiono piuttosto avere la più limitata finalità di riportare nell’ambito di applicazione del Protocollo 1 della Convenzione anche i benefici economici non contributivi (e non solo quelli contributivi), rendendo così ammissibile il giudizio sulla eventuale violazione del divieto di discriminazione, ai sensi dell’art. 14, quando la normativa statale preveda requisiti differenziati per la loro attribuzione. 32 Sulla giurisprudenza costituzionale relativa ai diritti sociali degli immigrati in rapporto ai principi di uguaglianza, non discriminazione e ragionevolezza si vedano: M. Consito, Gli stranieri di fronte al diritto alla salute e all’assistenza, in A. Grosso, E. Losana (a cura di) Diritti uguali per tutti? Gli stranieri e la garanzia, cit., 155; A. Iurato, La ragionevolezza dei limiti al riconoscimento dei diritti sociali a favore degli stranieri: una questione ancora aperta, in www.federalismi.it, luglio 2015; C. Corsi, Stranieri, diritti sociali e principio di uguaglianza nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, testo disponibile al sito: www.federalismi.it, ottobre 2014; della stessa Autrice si veda inoltre L’accesso degli stranieri ai diritti sociali, in Cittadinanze amministrative (a cura di A. Bartolini e A. Pioggia), FUP, 2017, 133; D. Fiumicelli, L’integrazione degli stranieri extracomunitari alla luce delle più recenti decisioni della Corte costituzionale, in www.federalismi.it, settembre 2013; A. Lollo, Prime osservazioni su eguaglianza e inclusione, in Consultaonline, in www.giurcost.org, 2012; M.C. Locchi, Facta sunt servanda: per un diritto di realtà in tema di uguaglianza degli stranieri, in Quaderni costituzionali, 2010, 571; B. Pezzini, Una questione che interroga l’uguaglianza: i diritti sociali del non cittadino, in Lo statuto costituzionale del non cittadino, Atti del XXIV 154 Alessandra Albanese Non discriminazione, uguaglianza… Pur non potendo entrare nel dettaglio, indicherò i principali ambiti in cui si è svolto il giudizio della Corte e gli orientamenti cui ha dato luogo. Dovrò inevitabilmente schematizzare gli elementi più significativi di un percorso che, in realtà, non è sempre stato omogeneo né lineare, nel quale tuttavia si possono individuare alcuni principi che si possono ritenere consolidati. 5.1 Eguaglianza e ragionevolezza. La Corte si è trovata a dover decidere della violazione del principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 Cost. in relazione all’esclusione dei migranti dall’accesso a benefici sociali non solo in ragione della cittadinanza, ma anche in base ad altri criteri di diversificazione del loro trattamento, introdotti tanto da norme nazionali che regionali, quali il tipo di permesso di soggiorno posseduto o la durata della residenza o permanenza sul territorio nazionale o su quello della regione erogatrice delle prestazioni. In tali casi, il giudice costituzionale, pur affermando che la limitatezza delle risorse finanziarie può legittimamente consentire al legislatore di introdurre regimi differenziati nel trattamento di determinate categorie di consociati, ha tuttavia costantemente ribadito, analogamente alla Corte EDU, che egli non può farlo in modo “irrazionale o arbitrario”34. Anche la Corte Costituzionale, pertanto, per valutare la sussistenza di un trattamento discriminatorio fra cittadini e stranieri, ha fatto sistematicamente ricorso principio di ragionevolezza, che ha da sempre collegato nella propria giurisprudenza al principio di uguaglianza, ma che è ormai dotato di una propria autonomia rispetto al divieto di discriminazione contenuto nello stesso art. 3 Cost.35 Convegno annuale AIC, Cagliari, 16-17 ottobre 2009, Napoli 2010, 163; F. Biondi dal Monte, I diritti sociali degli stranieri tra frammentazione e non discriminazione. Alcune questioni problematiche, in Le Istituzioni del Federalismo, 2008, 557, della stessa Autrice, Dai diritti sociali cit., passim; G. Brunelli, Welfare e immigrazione: declinazioni dell’uguaglianza, in Le Istituzioni del Federalismo, 2008, 541; G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali: l’esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettiva europea, Napoli 2007. Sul confronto fra giurisprudenza costituzionale e della Corte EDU cfr. A. Guazzarotti, Giurisprudenza CEDU e giurisprudenza costituzionale sui diritti sociali a confronto, in Convegno annuale dell’Associazione “Gruppo di Pisa”, Trapani 8-9- giugno 2012, testo disponibile al sito: www.gruppodipisa.it. 33 Cfr. Corte Cost., sent. 26 maggio 2010, n. 187, relativa all’assegno mensile di invalidità che la norma sottoposta al suo vaglio (art. 80 della legge 388/2000) condizionava al possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo. In tale pronuncia la Corte dichiara la norma illegittima per violazione del divieto di discriminazione, riprendendo puntualmente le argomentazioni svolte dalla Corte di Strasburgo nell’applicazione dell’art. 14 CEDU, ricordate nel paragrafo precedente. Il riferimento ai principi enunciati dall’art. 14 e dall’art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione, come interpretati dalla Corte EDU, si rinvengono anche nelle sentenze Corte Cost., 12 dicembre 2011, n. 329 e 11 marzo 2013, n. 2013, su cui infra, nonché in due ordinanze 3 luglio 2013, n. 197 e 21 giugno 2016, n. 180, relative all’assegno sociale subordinato al requisito temporale di dieci anni di permanenza legale sul territorio, ritenuto in questo caso dalla Corte Costituzionale non discriminatorio. 34 Cfr. Corte Cost., sent. 28 novembre 2005, n. 432. È una pronuncia molto nota, con cui la Corte Costituzionale ha ritenuto illegittima per violazione dell’art. 3 Cost. la norma di una legge regionale lombarda che limitava ai soli “cittadini” totalmente invalidi la possibilità di usufruire gratuitamente del trasporto sui mezzi pubblici. Su tale caso si veda infra n. 39. 35 Cfr. M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, Roma, Palazzo della Consulta, 24-26 ottobre 2013, Conferenza trilaterale delle Corti Costituzionali italiana, portoghese 155 Interventi  Parte I È interessante notare, tuttavia, come la Corte Costituzionale si sia rapportata all’analisi delle differenziazioni di trattamento fra cittadini e stranieri (o fra tipologie di stranieri) nell’accesso a prestazioni o a benefici sociali in modo parzialmente diverso dalla Corte EDU. Il giudice costituzionale italiano, infatti, in molte decisioni non ha effettuato soltanto un giudizio di tipo relazionale (il giudizio ternario, secondo lo schema classico del giudizio di uguaglianza/ragionevolezza, svolto mediante il raffronto di due situazioni rispetto ad un tertium comparationis), né si è limitato a valutare esclusivamente la “serietà” dei motivi posti alla base della differenziazione dei trattamenti operata dal legislatore. Applicando lo schema proprio del giudizio costituzionale di ragionevolezza, ormai abitualmente svincolato da un necessario rapporto con il giudizio di uguaglianza di tipo ternario36, la Corte ha infatti focalizzato sempre più la propria attenzione sulla valutazione della coerenza “intrinseca” delle scelte effettuate dal legislatore, intesa non solo come logicità interna al dettato normativo, ma anche (e soprattutto) come relazione fra le norme derogatorie al trattamento più favorevole e gli obiettivi perseguiti dalla normativa esaminata37. Quanto al primo aspetto, la Corte ha dichiarato illegittima una legge che consentiva, oltre che ai cittadini, solo agli stranieri titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo di poter ricevere un beneficio economico (la pensione di inabilità) destinato alle persone in stato di invalidità totale. Tale beneficio economico per legge è precluso a coloro che sono titolari di un reddito superiore ad un certo ammontare. Per ottenere il permesso di soggiorno di lungo periodo, tuttavia, è necessario che lo straniero dimostri di disporre di un determinato livello di reddito (pari all’importo annuo dell’assegno sociale) e ciò rende evidente l’incongruenza del requisito della titolarità di tale tipo di permesso di soggiorno con il presupposto della ridotta disponibilità economica, richiesto dalla legge per poter beneficiare della pensione di inabilità38. La norma quindi appariva innanzitutto intrinsecamente contraddittoria sul piano logico; ma, ciò che la Corte maggiormente sottolinea è il fatto che essa risultasse decisamente contrastante con le finalità di assistenza che il legisla- e spagnola, in www.cortecostituzionale.it; A. Morrone, Corte Costituzionale e principio di ragionevolezza, in La ragionevolezza cit. 239 ss, nonché G. Scaccia, Sul rapporto fra principio di uguaglianza e principio di non discriminazione, ibidem, 287 ss. Si veda inoltre M. Militello, Principio di uguaglianza e di non discriminazione tra Costituzione italiana e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Artt. 3 Cost. e art. 20 e art. 21 Carta di Nizza, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” INT, in www.csdle.lex.unict.it 77, 2010. 36 Sul tema cfr. M. Losana, “Stranieri” cit., 92, che critica tale modalità di operare della Corte in relazione ai diritti degli stranieri, in base alla considerazione che la dimensione antidiscriminatoria costituisce il “nucleo forte” del principio di uguaglianza e per questo dovrebbe “rappresentare il primo (se non l’unico) parametro costituzionale utilizzabile dalla Corte”, che dovrebbe applicarlo “prima di avventurarsi per i sentieri impervi (e molto spesso scivolosi) del giudizio di ragionevolezza”. 37 A. Morrone, Corte cit., distingue tre forme di giudizio costituzionale di ragionevolezza: il giudizio di “eguaglianza-ragionevolezza”, quello di “razionalità-ragionevolezza” e infine il giudizio sul “ragionevole bilanciamento degli interessi”: il giudizio sulla coerenza teleologica rientra nella seconda tipologia di giudizi elaborata dalla giurisprudenza costituzionale. Sul giudizio di ragionevolezza svolto dalla Corte Costituzionale come indagine sul “fine obiettivo” cfr. inoltre A.S. Agrò, Commento all’art., 3 1° comma Costituzione, in Commentario della Costituzione (a cura di G. Branca), Principi Fondamentali, Bologna-Roma 1975, 142. Per una analisi critica della struttura trilaterale del giudizio di eguaglianza si veda R. Bin, Ragionevolezza, cit., 59 e ss. 38 Corte Cost., sent. 14 gennaio 2009, n. 11. 156 Alessandra Albanese Non discriminazione, uguaglianza… tore intendeva raggiungere con l’intervento normativo stesso, volto a supportare proprio le persone che si trovano in condizione di disabilità totale, prive di un reddito sufficiente per poter sopperire ai propri bisogni. Anche in altre sentenze la Corte Costituzionale ha evidenziato come la ragionevolezza della norma che limita l’accesso degli stranieri a prestazioni sociali, condizionandolo al possesso di determinati requisiti, vada valutata proprio in relazione alle specifiche finalità cui l’intervento normativo è complessivamente volto. Tale schema applicativo del principio di ragionevolezza si è dimostrato particolarmente rilevante con riferimento specifico alle finalità “eminentemente sociali” perseguite da molte delle leggi sottoposte al vaglio della Corte in relazione alle discriminazioni lamentate dagli immigrati, finalità fondate evidentemente su valori di solidarietà. Su tale base, il giudice costituzionale ha ripetutamente dichiarato la irragionevolezza di differenziazioni basate su criteri disomogenei rispetto a quelli collegati alla diversità “delle condizioni personali e dei bisogni degli individui”, a cui le norme di legge si proponevano di fornire sostegno. Per tale ragione, ad esempio, ha considerato discriminatorio il requisito della cittadinanza, richiesto da una legge regionale lombarda per ammettere i disabili gravi, residenti sul territorio, ad usufruire gratuitamente del servizio di trasporto sugli autobus di linea39. Analogamente ha dichiarato illegittima una legge friulana che limitava l’accesso al sistema dei servizi sociali “ai cittadini comunitari residenti da almeno 36 mesi nella regione”: la normativa, non soltanto operava una doppia discriminazione nei confronti dei cittadini extracomunitari e di quelli comunitari residenti da un tempo inferiore ai 36 mesi, ma, soprattutto, produceva l’effetto (paradossale, e quindi irragionevole) di “escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che le prestazioni e i servizi sociali si propongono di superare, perseguendo una finalità eminentemente sociale”.40 In entrambi i casi richiamati, infatti, secondo la Corte Costituzionale le norme introducevano un requisito non correlabile alla prestazione sociale prevista e del tutto disomogeneo dagli altri requisiti necessari ad ottenerla, tutti relativi a condizioni di bisogno o di disagio riferibili alla persona in quanto tale, risultando pertanto irragionevole (e quindi 39 Corte Cost., sent. 28 novembre 2005, n. 432, già precedentemente citata. In tale pronuncia il Giudice costitu- zionale ha ritenuto discriminatoria la norma che escludeva i disabili stranieri dal beneficio sociale previsto, poiché ha giudicato irragionevole ed arbitraria la differenziazione fondata sul solo requisito della cittadinanza, del tutto disomogeneo rispetto agli altri requisiti di accesso al beneficio (le condizioni personali di disabilità), che definiscono la ratio della norma, ispirata a ragioni di solidarietà sociale. A tale profilo più schiettamente “discriminatorio” si aggiunge la considerazione precedentemente ricordata della incongruenza teleologica della disposizione. 40 Corte Cost., sent. 7 luglio 2011, n. 40. 41 G. Scaccia, Ragionevolezza cit. pone l’accento sui rischi insiti in un giudizio costituzionale che utilizza il principio di ragionevolezza in modo pervasivo e autonomo rispetto al giudizio di eguaglianza, incentrandolo sempre più nettamente sulla verifica della coerenza teleologica dei testi normativi e sul bilanciamento degli interessi: secondo l’Autore citato ciò porta a disancorare sempre più l’argomentazione giuridica dai vincoli e dai parametri testuali insiti nella Carta costituzionale, indebolendone la forza ed espandendo gli spazi di “scelta politica” del giudice delle leggi. Al riguardo, tuttavia, occorre precisare come il giudizio teleologico sulla ragionevolezza delle norme che escludono gli stranieri dalle prestazioni sociali sia sempre stato utilizzato nella giu- 157 Interventi  Parte I discriminatoria) anche in quanto non compatibile con gli obiettivi che il legislatore si era proposto di raggiungere41. In altre decisioni la Corte ha inoltre sottolineato come non sia possibile presumere in termini assoluti che gli stranieri immigrati da minor tempo in un certo territorio, ma pur sempre ivi stabilmente residenti o dimoranti, versino in uno stato di bisogno minore rispetto a chi vi risiede o dimora da più anni. Da qui il contenuto discriminatorio di varie disposizioni che avevano introdotto come requisito per poter usufruire di prestazioni sociali la residenza sul territorio protratta per un lungo periodo42. Se infatti la previsione di un certo periodo di residenza sul territorio (statale o regionale), a differenza dalla cittadinanza, può essere legittimamente richiesta dal legislatore per privilegiare coloro che possano vantare un maggior radicamento nella comunità sociale, tuttavia ciò deve essere fatto in modo ragionevole e non discriminatorio43. In altri termini, secondo la Corte deve comunque sussistere una correlazione fra tale presupposto e “gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio”, ossia la “causa normativa”. La mancanza di tale correlazione, infatti, “determina il venir meno della ragionevolezza della previsione di un requisito differenziato (e, nella specie, pesantemente aggravato), che, lungi dal trovare giustificazione nella essenza e finalità del beneficio, contraddittoriamente potrebbe portare ad escludere soggetti altrettanto (se non risprudenza della Corte come criterio che rafforza il valore normativo delle specifiche disposizioni costituzionali che tutelano i diversi diritti sociali, nonché ricondotto alla portata precettiva che da esse deriva, per specificarne o rinforzarne l’incidenza. 42 Si vedano: Corte Cost., sent. 11 giugno 2014, n. 168, che considera sproporzionato il periodo di residenza sul territorio richiesto da una legge valdostana a cittadini e stranieri per poter accedere all’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, poiché causa di discriminazione indiretta per gli stranieri; Corte Cost., sent. 14 gennaio 2013, n. 2 riferita ad una legge della Provincia Autonoma di Bolzano che subordinava per i cittadini di paesi non dell’UE l’accesso alle prestazioni sociali di natura economica al requisito della residenza quinquennale ininterrotta sul territorio; Corte Cost., sent. 14 gennaio 2013, n. 4 relativa alla legge della Regione Calabria per il sostegno alle persone non autosufficienti, che per i cittadini di paesi non dell’UE subordinava la possibilità di accedere al beneficio al possesso della carta di soggiorno (divenuta poi permesso di soggiorno di lungo periodo). 43 Il principio è stato affermato fin dalla sentenza Corte Cost., sent. 28 novembre 2005, n. 432 ed è stato nuovamente applicato per escludere la illegittimità della norma impugnata anche in Corte Cost., ord. 11 febbraio 2008, n. 32. Si vedano inoltre Corte Cost., sent. 14 gennaio 2013, n. 2, cit; sent. 3 giugno 2013, n. 133 nonché sent. 1 luglio 2013, n. 172. La sentenza Corte Cost. 16 luglio 2013, n. 222 ha invece ritenuto illegittima la previsione del requisito della residenza protratta nel tempo (piuttosto che quello della mera residenza) per poter accedere ad un contributo economico straordinario in caso di emergenza, mentre ha ritenuto non irragionevole il medesimo requisito per l’assegnazione dell’assegno a sostegno della natalità, in cui esso appare coerente con lo scopo normativo di “valorizzare il contributo offerto alla comunità dal nucleo familiare”. Considerazioni analoghe a quelle dell’ultima pronuncia ricordata sono state svolte dalla Corte Costituzionale anche in relazione al cosiddetto “bonus bebè” nella sent. 19 maggio 2014, n. 141. La Corte è tornata nuovamente di recente sul requisito della residenza prolungata, in relazione ad una legge regionale ligure che subordinava la possibilità di assegnazione di alloggi di ERP ai cittadini di paesi extraeuropei alla residenza regolare sul territorio nazionale da almeno dieci anni consecutivi, affermando che la (eccessiva) durata del periodo richiesto è illegittima, poiché contrasta con i principi di ragionevolezza e proporzionalità e si risolve in “una forma dissimulata di discriminazione nei confronti degli extracomunitari” (Corte Cost., sent. 10 aprile 2018, n. 106). Su tale ultima pronuncia si vedano le notazioni di A. Guariso, Le sentenze della Corte Costituzionale 106,107 e 166 del 2018: diritto alla mobilità e illegittimità dei requisiti di lungo residenza per l’accesso all’alloggio e alle prestazioni sociali, in Diritto, immigrazione e cittadinanza 3, 2018, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it. 158 Alessandra Albanese Non discriminazione, uguaglianza… più) esposti alle condizioni di bisogno e di disagio (che il censurato sistema di prestazioni e servizi si propone di superare perseguendo una finalità eminentemente sociale).”44 5.2. Il contenuto inviolabile dei diritti sociali. C’è un ulteriore aspetto della giurisprudenza costituzionale in materia di diritti sociali degli stranieri che è opportuno segnalare, perché introduce un elemento di significativa specificità rispetto alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo. La Corte ha individuato una sfera di diritti sociali per i quali non è ammissibile alcuna distinzione fra cittadini e stranieri, poiché essi attingono all’essenza stessa dei diritti fondamentali della persona. Anzi, per meglio dire, sta progressivamente definendo specifici contenuti di alcuni diritti sociali, intangibili e inviolabili per ogni individuo, quindi anche per gli stranieri45. In molte sentenze, infatti, la Corte ha dichiarato l’illegittimità di leggi statali e regionali che richiedono requisiti volti ad escludere gli stranieri regolarmente residenti sul territorio dall’accesso a prestazioni sociali che il giudice ha qualificato come “necessarie a rispondere a bisogni primari della persona”. Si tratta di prestazioni finalizzate a garantire il sostentamento, oppure di prestazioni volte a dare risposta a bisogni indifferibili e urgenti della persona, come quelli connessi al diritto alla salute. Neanche le esigenze di contenimento della spesa – che pure, secondo la giurisprudenza della Corte, possono consentire al legislatore di porre limitazioni al godimento dei diritti sociali46, purché ragionevoli (fondate su requisiti coerenti fra loro e coerenti con gli scopi 44 Così Corte Cost., sent. 14 gennaio 2013, n. 2, cit., riferita ad una legge della Provincia Autonoma di Trento che per l’attribuzione dell’assegno di cura richiedeva per gli stranieri il possesso della carta di soggiorno, nonché tre anni continuativi di residenza nella Provincia stessa, in aggiunta ai requisiti personali riferibili alla non autosufficienza. Su tale ordine di argomentazioni torna con maggiore forza e chiarezza la recente pronuncia Corte Cost., sent., 25 maggio 2018, n. 107, in materia di asili nido, che ha dichiarato incostituzionale una legge veneta che prevedeva come requisito preferenziale per l’accesso dei bambini alle strutture socio educative per la prima infanzia la residenza o l’attività lavorativa quindicinale nella regione da parte dei loro genitori. Secondo la Corte tale requisito preferenziale è irragionevole, poiché prescinde del tutto dalla considerazione di condizioni di disagio economico e pertanto risulta in contrasto con le finalità sociali degli asili nido stessi, che costituiscono strutture volte ad una funzione educativa (dei bambini), alla quale è estraneo il valore del radicamento sociale (dei genitori). Si veda inoltre la successiva Corte Cost., sent. 20 giugno 2018, n. 166, in materia di contributi integrativi per il sostegno al pagamento del canone di locazione: tale ultima pronuncia, in totale sintonia con la giurisprudenza appena esposta, ha dichiarato l’illegittimità della legge regionale lombarda che prevedeva solo per i cittadini di paesi non dell’UE e per gli apolidi il requisito di un periodo di residenza decennale sul territorio nazionale, o di residenza quinquennale su quello regionale, per poter accedere al contributo. In entrambe le due ultime sentenze citate ha assunto rilevanza, ai fini della valutazione della irragionevolezza (e sproporzione) del requisito richiesto dalla normativa, anche la violazione della direttiva 2003/109/ Ce, che equipara i cittadini “lungo-soggiornanti” di paesi terzi a quelli UE, prevedendo che il permesso di lungo-soggiorno possa essere richiesto dallo straniero dopo cinque anni di residenza nello Stato membro. 45 In termini generali, sulla giurisprudenza della Corte in materia di diritti sociali e sulla individuazione del nucleo essenziale non comprimibile si vedano le riflessioni di V. Onida, Eguaglianza e diritti sociali, in Corte Costituzionale e principio di eguaglianza, Atti del Convegno in ricordo di Livio Paladin, Padova 2 aprile 2001, Padova 2002, 101. 46 Basti in proposito ricordare la giurisprudenza della Corte (peraltro alquanto altalenante) che ha qualificato i diritti sociali come finanziariamente condizionati. Per tutte si veda Corte Cost., sent. 19 marzo 1990, n. 155. Su tali profili sia consentito rinviare ad A. Albanese, European cit. 159 Interventi  Parte I normativi) – giustificano infatti l’esclusione degli stranieri dalla fruizione delle prestazioni considerate essenziali. In definitiva, secondo la Corte Costituzionale, il legislatore può porre limiti all’accesso degli stranieri esclusivamente in relazione alle prestazioni sociali “non essenziali” e solo a condizione che lo faccia in modo ragionevole47, vale a dire nel rispetto dei canoni di congruenza con lo scopo normativo, prima esaminati. Il legislatore, per contro, non può porre alcuna limitazione al contenuto essenziale dei diritti sociali, escludendo gli stranieri dalle prestazioni che rispondono a bisogni primari della persona. Ciò vale innanzitutto per gli stranieri che soggiornano regolarmente sul territorio nazionale, già ammessi cioè a far parte della collettività sociale, ma – in relazione ad alcuni specifici diritti (fra i quali in primis il diritto alla salute) – vale anche per gli stranieri irregolari48. Tale affermazione trova il suo fondamento giuridico nella imprescindibile connessione, già prima ricordata, che lega il principio di uguaglianza e la tutela dei diritti fondamentali della persona umana, riconosciuti e garantiti dall’art. 2 della Costituzione. La relazione tra i due principi fondamentali della Costituzione, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, fornisce la base non soltanto per il godimento eguale dei diritti, bensì dà titolo ad ogni uomo a godere in modo eguale dei diritti fondamentali “almeno in una certa misura”. È evidente come tale declinazione del principio di uguaglianza offra alla Corte un significativo spazio di valutazione della discrezionalità del legislatore nelle scelte che riguardano l’attribuzione dei diritti sociali agli stranieri. Il “margine di apprezzamento” del legislatore viene nettamente delimitato dalla definizione del contenuto essenziale dei diritti sociali protetti dalla Costituzione, il cui godimento universale è legislativamente intangibile. Il limite posto al legislatore, pertanto, va ben oltre la valutazione della proporzionalità del sacrificio imposto rispetto alla ragione posta a giustificazione della differenziazione prevista, né si sofferma esclusivamente sul rapporto mezzi impiegati/risultati: impedisce in radice che determinate limitazioni dei diritti sociali siano possibili, considerandole, in definitiva, intrinsecamente irragionevoli, perché contrarie al senso ultimo dell’uguaglianza. Anche la definizione del contenuto essenziale dei diritti sociali è tuttavia inevitabilmente frutto di una valutazione dai confini incerti e mobili. La Corte ha cercato di stabilire alcuni criteri utili per dare concretezza ed oggettività a tale valutazione, affermando che essa deve essere condotta soprattutto guardando alla configurazione normativa e alla “funzione sociale” che il beneficio da cui sono esclusi gli stranieri è chiamato a svolgere nel sistema complessivo, per stabilire se esso “integri o meno un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento dei ‘bisogni primari’ inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che è compito della Repubblica promuovere e salvaguardare”49. 47 Cfr. in specie Corte Cost., sent. 7 giugno 2013, n. 133 cit.. 48 Cfr. Corte Cost., sent. 21 febbraio 2011, n. 61; Corte Cost., sent. 7 luglio 2010, n. 269; Corte Cost., sent. 18 ottobre 2010, n. 299; Corte Cost., sent. 7 maggio 2008, n. 148; Corte Cost., sent 5 luglio 2001, n. 252. 49 Così Corte Cost., sent. 26 maggio 2010 n. 187, citata precedentemente. 160 Alessandra Albanese Non discriminazione, uguaglianza… 5.3. La tutela dei diritti sociali degli immigrati fra dimensione collettiva e dimensione individuale nella giurisprudenza costituzionale. Come si è visto, la dimensione individuale dei diritti sociali, di stampo personalistico, che connota la nostra Carta costituzionale, permea fortemente anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale relativa ai diritti sociali degli stranieri e condiziona il modo di applicazione dei principi di ragionevolezza ed uguaglianza. Ciò emerge con molta chiarezza nelle pronunce che individuano il contenuto inviolabile dei diritti, che deve essere garantito in alcuni casi anche agli stranieri irregolari, a prescindere da ogni “comparazione” fra categorie di soggetti; ma certamente è evidente in modo altrettanto significativo nelle decisioni in cui il giudice delle leggi sottolinea l’importanza delle “condizioni personali di bisogno” quale parametro di cui tenere conto ai fini del giudizio di ragionevolezza delle leggi che escludono gli stranieri dal godimento di prestazioni pur eccedenti la essenzialità50. Il principio sotteso a tale orientamento giurisprudenziale, che àncora sempre più il godimento dei diritti sociali alle condizioni di bisogno della persona e sembra voler spingere il legislatore verso una loro possibile “graduazione”, non può che essere quello della dignità della persona, che aleggia continuamente tra le righe delle decisioni richiamate, anche se solo raramente viene esplicitato dalla Corte51. Non si può infine non notare come, nelle argomentazioni della Corte, emerga in modo sempre più evidente anche la rilevanza della dimensione collettiva dei diritti sociali. Nelle sentenze precedentemente ricordate si coglie spesso la consapevolezza della necessità di tenere in considerazione il necessario legame che intercorre – e che deve intercorrere – fra chi beneficia delle prestazioni e la collettività che, in base al principio di solidarietà, ne sostiene i costi. Tale dimensione è presente nella giurisprudenza della Corte in una duplice valenza. Innanzitutto, nel sindacare la (ir)ragionevolezza di alcune leggi che pongono vincoli eccessivi di permanenza sul territorio per l’accesso a prestazioni sociali, la Corte dà atto del legittimo scopo di assicurare che a beneficiare delle provvidenze sociali (sempre purché eccedenti il contenuto essenziale del diritto) siano i soggetti che abbiano dimostrato un “livello sufficiente di integrazione nella comunità presso la quale risiedono”. La Corte tuttavia al contempo ripetutamente ribadisce che, laddove la presenza dello straniero non sia solo episodica o di breve durata, l’esistenza di un legame sociale non può essere collegata in modo automatico all’ astratta previsione di un tempo di durata della permanenza nel territorio52. Con tali affermazioni sembra voler segnalare, in definitiva (anche se, ancora una 50 Si vedano la già citata sentenza 26 maggio 2010 n. 187, nonché le sentenze Corte Cost.,12 dicembre 2011, n. 329; Corte Cost., sent 14 gennaio 2013, n. 4, Corte Cost., sent. 1 luglio 2013, n. 172 già cit. 51 Fanno esplicito richiamo all’ambito inviolabile della dignità umana Corte Cost., sent. n. 269/2010, cit.; 21 febbraio 2011, n. 61, nonché la recentissima 10 aprile 2018, n. 106, secondo la quale il diritto sociale all’abitazione “è diritto attinente alla dignità e alla vita di ogni persona”. Fa riferimento invece alla necessità di garantire le misure di sostegno “per le indispensabili necessità di una vita dignitosa” Corte Cost., sent. 7 ottobre 2015, n. 230. 52 Corte Cost., sent. 11 giugno 2014, n.168 in materia di accesso all’edilizia residenziale pubblica. 161 Interventi  Parte I volta, non lo fa in modo troppo esplicito), che il legislatore potrebbe/dovrebbe trovare indicatori più strettamente connessi a dati fattuali per “misurare” il livello di inserimento degli stranieri, da cui far dipendere l’accesso ai benefici53. In secondo luogo, dalle pronunce della Corte emerge sempre più chiaramente anche la consapevolezza che la funzione dalle prestazioni sociali erogate agli stranieri migranti non è confinata alla sfera della tutela dei loro diritti individuali (secondo la logica forse inevitabilmente prevalente nella Convenzione EDU e quindi anche nella giurisprudenza della Corte che ne garantisce il rispetto), ma si riverbera anche sulla loro possibilità di integrazione nel tessuto sociale dello Stato in cui vivono ed è il presupposto per una partecipazione più attiva alla vita della comunità di cui dovrebbero poter far parte. La connessione fra libertà ed eguaglianza, la considerazione unitaria dei diritti, in altri termini, consente di pensare ai diritti sociali come diritti “abilitanti all’esercizio di quelli civile e politici”54 e alla funzione che le prestazioni sociali possono avere per favorire la coesione sociale. È emblematica in questo senso la sentenza n. 329/2011 della Corte Costituzionale, relativa alla indennità di frequenza scolastica, in cui la Corte sottolinea la funzione dell’istruzione scolastica come strumento di integrazione sociale; altrettanto importante a tal fine è la già citata sentenza n. 432/2005, in cui la Corte dà rilievo alla utilità del trasporto gratuito sui mezzi pubblici per i disabili, in funzione della loro vita di relazione. I riferimenti al valore dei diritti sociali non solo ai fini dello sviluppo della persona, ma anche ai fini della sua partecipazione alla vita della collettività, rimandano in modo inequivocabile al contenuto normativo del principio di uguaglianza sostanziale, sancito dall’art. 3 II comma, e non presente invece – almeno in forma esplicita – né nella Convenzione dei diritti dell’uomo né nella Carta di Nizza. Rimanda, in altri termini, alla necessità di rimuovere gli ostacoli che limitano “di fatto” il godimento dei diritti, che pure non è stata mai esplicitamente richiamata nelle sentenze emanate dalla Corte fino al 2015 in relazione ai diritti sociali dei migranti, ma che comincia invece ora ad emergere. 53 Si veda sul punto F. Biondi dal Monte, Dai diritti cit., 281 ss. Estremamente interessanti al riguardo appaiono le considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella recente sentenza 107/2018, già citata e su cui si tornerà nel testo, relativa all’accesso agli asili nido. In tale pronuncia, infatti, il giudice costituzionale mette in luce l’inidoneità dei requisiti previsti dalla legge (regionale veneta) sottoposta a giudizio a garantire l’obiettivo di privilegiare nell’accesso alle prestazioni sociali coloro che hanno maggiormente contribuito (attraverso il prelievo fiscale) alla realizzazione del contesto economico pubblico, in cui si inserisce il sistema di welfare. Attraverso analitiche argomentazioni, la Corte evidenzia come tale obiettivo non possa essere assicurato in modo automatico né dalla residenza prolungata, né dal prolungato lavoro in un dato luogo e sottolinea peraltro come la contribuzione fiscale non abbia natura commutativa, ma sia invece manifestazione del dovere di solidarietà sociale, adombrando inoltre il rischio che un collegamento troppo stretto fra luogo della (prevalente) contribuzione fiscale e diritto alle prestazioni sociali possa costituire una limitazione della libertà di circolazione. Le affermazioni riportate sembrano ridimensionare decisamente i principi espressi dalla Corte sullo stesso tema nelle precedenti pronunce Corte Cost., sent. 16 luglio 2013, n. 222 (sul contributo straordinario di emergenza) e Corte Cost., sent. 19 maggio 2014, n. 141 (sul “bonus bebè”), già citate alla nota 42, e al tempo stesso aprono la via ad una riflessione più rigorosa sui criteri idonei a valutare il radicamento territoriale degli stranieri. 54 S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria. Bari 2014, 82. 162 Alessandra Albanese Non discriminazione, uguaglianza… L’art. 3 II comma, infatti, è stato espressamente invocato per la prima volta in una pronuncia del 2015 in tema di diritti sociali dei migranti55, nella quale il giudice costituzionale ha formulato l’auspicio che il legislatore intervenga per adeguare ai principi costituzionali, ed in particolare al principio di uguaglianza sostanziale, la legislazione sulle prestazioni sociali accessibili agli stranieri. Esso ha costituito invece in tempi molto recenti il parametro chiave con cui il Giudice delle leggi ha suffragato la pronuncia sulla irragionevolezza e sulla natura discriminatoria di una legge regionale veneta, che dava priorità nell’accesso agli asili nido ai bambini i cui genitori fossero residenti da quindici anni sul territorio nazionale o avessero da quindici anni un’occupazione lavorativa nella regione56. Secondo la Corte, la legge regionale, prescindendo del tutto dalla considerazione delle condizioni economiche dei richiedenti l’accesso alla prestazione (quindi dal loro stato di bisogno) e favorendo decisamente le persone radicate da lungo tempo nella regione, aveva adottato “un criterio che contraddice lo scopo dei servizi sociali”, che è precipuamente quello “di garantire pari opportunità ed evitare discriminazioni”. La incostituzionalità della legge, in altri termini, secondo la sentenza in esame, derivava dal fatto che essa aveva trascurato del tutto “la vocazione sociale degli asili nido” e in tal modo anche la “finalità di uguaglianza sostanziale” del servizio che essi offrono, volto ad eliminare “un ostacolo che limita la libertà dei genitori e impedisce il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione dei genitori stessi alla vita economica e sociale del paese”. Proprio il principio di uguaglianza sostanziale, posto dalla Costituzione a fondamento dello stato sociale, può infatti costituire il ponte fra la tutela dei diritti sociali dei migranti, in quanto diritti fondamentali della persona, e la funzione che l’esercizio di tali diritti può svolgere, per favorire la loro integrazione nella comunità che sopporta il costo delle prestazioni sociali. È una prospettiva, quella dell’uguaglianza sostanziale, certamente messa a dura prova dall’impatto massiccio delle migrazioni e dalla crisi economica. È tuttavia evidente che il riconoscimento formale della titolarità dei diritti sociali ai migranti, reso possibile attraverso la sola tutela antidiscriminatoria, pur se presupposto imprescindibile e irrinunciabile, rischia di restare confinato ad una dimensione meramente “difensiva” della protezione di tali diritti. L’attuazione dell’uguaglianza sostanziale richiede invece la messa in atto di azioni concrete, richiede la previsione di interventi volti ad innescare meccanismi di trasformazione economica e sociale in grado di modificare le dinamiche di rifiuto che sempre più spesso emergono. L’obiettivo, in definitiva, non è solo rendere la società meno diseguale, ma anche meno escludente e più inclusiva. È un compito che va ben oltre quello della tutela giuridica, che non può essere raggiunto senza un preciso impegno attivo in termini di volontà politica, nazionale e sovranazionale. 55 Corte Cost., sent. 27 gennaio 2015, n. 22. 56 Corte Cost., sent. 25 maggio 2018, n. 107 già citata su cui si veda A. Rauti, L’accesso dei minori stranieri agli asili nido fra riparto di competenze e principio di eguaglianza. Profili definiti e nuovi spunti dalla giurisprudenza costituzionale, in www.osservatorioaic.it 3, 2018; cfr. inoltre A. Guariso, Le sentenze, cit. 163 Interventi  Parte I L’INTEGRAZIONE SOCIALE DELLO STRANIERO TRA SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE ED EFFETTIVA PARTECIPAZIONE ~ Rossana Caridà ~ 1. LA GESTIONE DELLA DIVERSITÀ: ESISTE UN DOVERE DI INTEGRARE? • 2. LA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELLA PERSONA • 3. LO STATUTO DEI DOVERI E LA CITTADINANZA DI RESIDENZA • 4. CITTADINANZA ATTIVA E PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ. 1. La gestione della diversità: esiste un dovere di integrare? La convivenza tra culture diverse pone una serie di questioni difficilmente risolvibili. A fronte delle trasformazioni in senso multiculturale delle società occidentali, si è avviata da tempo una riflessione sui possibili modi di declinare il principio di eguaglianza in modo adeguato alle sfide odierne. La pluralità di culture conviventi su uno stesso territorio necessita di una normazione che assicuri un bilanciamento ragionevole tra il diritto alla diversità ed il diritto del Paese ospitante a preservare la propria identità culturale ed a conservarne i contenuti essenziali e le specificità: tutte le vicende umane che possono vedere contrapposti beni di rango costituzionale devono essere contemperate. Ed allora, nei sistemi democratici, il principio di tolleranza della diversità deve trovare una concreta attuazione, eventualmente anche attraverso una modifica delle norme dei propri ordinamenti, ma, per restare nei limiti delle regole costituzionali, deve ispirarsi alla ragionevolezza; per altri versi, il principio di tolleranza implica l’accettazione della diversità1 ma pur nella conservazione della cultura e nella difesa dei valori di riferimento della nazione ospitante. Diversamente, in forza del paradosso della tolleranza2, ove gli Stati liberaldemocratici attuassero in modo integrale ed indifferenziato i propri principi e valori fondanti, essi costruirebbero le basi per il proprio disfacimento: il problema che ne scatu- 1 M. A. Silvestri, Gli immigrati e i nuovi diritti, A. M. Citrigno, Le giustificazioni della diversità nelle politiche di inclusione sociale in materia di immigrazione, in Immigrazione e condizione giuridica dello straniero (a cura di G. Moschella, L. Buscema), Roma 2016, rispettivamente 99 ss. e 121 ss.; M. Michetti, L’integrazione degli stranieri, testo disponibile al sito: www.issirfa.cnr.it, aprile 2014. 2 “La tolleranza illimitata deve portare alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti, e la tolleranza con essi”: K. Popper, La libertà è più importante dell’uguaglianza. Pensieri liberali, Intr. di M. Baldini, Roma 2012, 84. 164 Rossana Caridà L’integrazione sociale dello straniero… risce, pertanto, è quello di comprendere fino a che punto uno Stato democratico possa disciplinare regole di limitazione di talune libertà (al fine di prevenirne l’uso illecito per preservare la propria esistenza) e però salvaguardando, per l’appunto, la propria natura. In questa direzione, allora, si giustificano i limiti che la nostra Costituzione pone nei confronti di alcuni diritti di libertà, ove l’esercizio di tali diritti possa sfociare in attività concrete, potenzialmente idonee a mettere in pericolo l’esistenza stessa dello Stato. Ed in una società tollerante, l’integrazione3, se configurata quale “processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, con il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società” (art. 4 bis, d.lgs. n. 286/1998 - “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”), presuppone una effettiva partecipazione di chi decida di volersi inserire in una certa collettività4. Ma l’integrazione, se intesa quale diritto e quale dovere, implica una necessaria trasformazione ed i conseguenti adattamenti sia nella persona non cittadina che nel corpo sociale di destinazione, nel rispetto dell’integrità della persona (della sua individualità e della sua cultura) e di una pacifica convivenza che presuppone l’osservanza di tutte le norme della realtà collettiva di destinazione5. 2. La tutela dei diritti fondamentali della persona. I flussi migratori nel nostro Paese non costituiscono più un’emergenza ma un dato che questa epoca consegna alla storia e che è destinato ad influire in modo determinante sulla 3 Si tratta di un concetto polisemico “poiché non consente una definizione univocamente intesa, ma richiede apporti disciplinari differenti per essere analizzata (si intrecciano questioni di ambito pedagogico, sociologico, antropologico, psicologico e filosofico), oltre al fatto che indica sia un obiettivo ma anche il processo che mira a conseguirlo” ed inoltre si tratta di una nozione multidimensionale, nel senso che dipende da una pluralità di variabili: oggettive (la configurazione sociale, economica e culturale, la storia dei territori e le politiche sociali adottate nel contesto di inserimento, il tempo di permanenza in un contesto territoriale); e soggettive, ovverosia “l’approccio individuale al contesto di arrivo e le scelte personali, compiute nel percorso di inserimento, l’atteggiamento dei cittadini italiani e la qualità dei rapporti tra questi e gli stranieri, le competenze pregresse (linguistiche, professionali e culturali), le capacità personali di risposta alle difficoltà, di elaborazione di quanto è stato lasciato e di autonomia, l’unità o la divisione familiare e il consenso della famiglia al percorso di inserimento sociale, le aspettative del singolo nei confronti della società di accoglienza, infine il ruolo della cultura di origine e delle precedenti esperienze di vita e di lavoro”, M. Catarci, Considerazioni critiche sulla nozione di integrazione di migranti e rifugiati, in REMHU - Rev. Interdiscip. Mobil. Hum. 43, Brasília 2014, 79. Il documento programmatico 1998/2000 (d.P.R. n. 5/1998) individua nell’integrazione un “processo di non discriminazione e di inclusione delle differenze, quindi di contaminazione e di sperimentazione di nuove forme di rapporti e di comportamenti, nel costante e quotidiano tentativo di tenere insieme principi universali e particolarismi. Essa dovrebbe quindi prevenire situazioni di emarginazione, frammentazione e ghettizzazione, che minacciano l’equilibrio e la coesione sociale e affermare principi universali come il valore della vita umana, della dignità della persona, il riconoscimento della libertà femminile, la valorizzazione e la tutela dell’infanzia, sui quali non si possono concedere deroghe, neppure in nome della differenza”. 4 G. Azzariti, La cittadinanza. Appartenenza, partecipazione, diritti delle persone, in Dir. pubbl. 2, 2011, spec. 431 ss. 5 E. Rossi, F. Biondi Dal Monte, M. Vrenna (a cura di), La governance dell’immigrazione. Diritti, politiche e competenze, Bologna 2013. 165 Interventi  Parte I cultura della nostra nazione6. Tale fenomeno pone allo Stato democratico due esigenze che non necessariamente si contrappongono: quella di garantire i doveri di solidarietà e di accoglienza a quanti siano sfuggiti da guerre, violenze, carestie, alla ricerca dei diritti di libertà e di uguaglianza, e quella di assicurare la sicurezza ai propri cittadini7, presidio indefettibile di garanzia e, quindi, di governo. Il bilanciamento è tra il riconoscimento di diritti (in astratto) inalienabili e la loro concreta realizzazione; nel porre la persona e la sua dignità quale legittimante tutti gli altri principi, il principio personalista non può che valere per tutto il genere umano (sia esso migrante, non cittadino8, straniero, per indicare quanti non siano in possesso dello status di cittadino9). Lo status di cittadino rimane condizione necessaria per l’esercizio di alcuni diritti e per la soggezione ad alcuni doveri che pongono i cittadini in relazione con lo Stato-apparato. La Costituzione impone allo Stato la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo (non del cittadino) e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale e le stesse dichiarazioni internazionali riferiscono di diritti estesi a ciascun essere umano, senza che venga in riferimento la cittadinanza in senso nazionale. La Corte costituzionale, nel precisare che, sebbene talune disposizioni costituzionali riconoscano formalmente diritti ai soli cittadini10, non si giustifica l’esclusione dei non cit- 6 Tali processi “costituiscono una vicenda epocale e ormai inarrestabile, che può al più venire governata con esiti alterni, dipendenti da variabili culturali più generali, da atteggiamenti delle opinioni pubbliche e delle loro organizzazioni esponenziali (...), dalle tendenze del ciclo economico, da indirizzi politici contingenti o di più lungo periodo, sempre oscillanti tra pulsioni umanitarie e aperture all’accoglienza (...) e chiusure etnico-ideologiche, talora venate da atteggiamenti razzisti”, F. Abbondante, S. Prisco, La condizione giuridica degli immigrati e le politiche degli enti territoriali tra integrazione e rifiuto, in Stabilità dell’esecutivo e democrazia rappresentativa (a cura di M. Scudiero), Napoli 2009, 750 ss. E l’insicurezza e la paura impattano poi su frasi quali “ci vuole una pulizia di massa via per via, quartiere per quartiere, e con le maniere forti se occorre” (Matteo Salvini, 18 febbraio 2017, testo disponibile al sito: www. ilfattoquotidiano.it). Ma la pulizia di massa richiama la pulizia etnica, il nazismo e i campi di concentramento, lo squadrismo fascista, la guerra bosniaca, la questione siriana, e tutti genocidi del terzo millennio dove un numero incontrollabile di vittime innocenti sono bambini, piccoli, appena nati o neppure partoriti. Sui vuoti normativi che ruotano attorno intorno al dramma dei morti senza identità, anche in un’ottica multidisciplinare, e per un’analisi delle relative problematiche giuridiche, I diritti annegati. I morti senza nome del Mediterraneo (a cura di C. Cattaneo, M. D’amico), Milano 2016. 7 Associazione italiana dei costituzionalisti, Libertà e sicurezza nelle democrazie contemporanee, Atti del XVIII Convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti (a cura di A. Loiodice), Padova 2007; B. Ackerman, La costituzione dell’emergenza, Roma 2005; T. F. Giupponi, Le dimensioni costituzionali della sicurezza, Bologna 2010; M. Ruotolo, Sicurezza, dignità e lotta alla povertà. Dal “diritto alla sicurezza” alla “sicurezza dei diritti”, Napoli 2012. 8 Associazione italiana dei costituzionalisti, Lo statuto costituzionale del non cittadino, Atti del XXIV Convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, Annuario 2009, 16-17 ottobre 2009, Napoli 2010. 9 C. Corsi, Lo Stato e lo straniero, Padova 2001; B. Nascimbene., voce Straniero (dir. int. pubbl.), in Enc. dir., Milano 1990, 1144 ss.; G. Scaccia, La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di straniero, in Immigrazione cit., vol. II, 239 ss.; O. Spataro, I diritti degli immigrati nella giurisprudenza della Corte costituzionale, V. Cerulli Irelli, Politica dell’immigrazione e tutela dei migranti (una disciplina positiva in corso di evoluzione), entrambi in Diritto dell’immigrazione e diritti dei migranti (a cura di M. Immordino, C. Celone), Napoli 2013, 269 ss. e 519 ss. 10 Sulla diversa condizione riservata dalla Costituzione a cittadini e stranieri e il suo parziale superamento per effetto del tertium genus costituito dai cittadini comunitari, A. Ruggeri, I diritti dei non cittadini tra modello costi- 166 Rossana Caridà L’integrazione sociale dello straniero… tadini dal godimento delle libertà fondamentali, in applicazione del principio di uguaglianza e del rispetto del principio costituzionale della dignità della persona, ha ritenuto superabile una interpretazione meramente letterale, riconoscendo la titolarità ed il godimento di tali libertà e dei diritti fondamentali a tutti, non solo ai cittadini11: “se è vero che l’art. 3 si riferisce espressamente ai soli cittadini, è anche certo che il principio di uguaglianza vale pure per lo straniero quando trattasi di rispettare i diritti fondamentali”12; per altri versi, non è mancato il riferimento ad un trattamento diversificato purché ragionevole motivando dal riconoscimento dell’eguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarità dei diritti di libertà13 che “non esclude affatto che, nelle situazioni concrete, non possano presentarsi, fra soggetti uguali differenze di fatto che il legislatore può apprezzare e regolare nella sua discrezionalità, la quale non trova altro limite se non nella razionalità del suo apprezzamento”14. I diritti fondamentali, inviolabili15 e patrimonio irretrattabile di ogni persona, si affermano come superiori rispetto a quelli di cittadinanza, ed in quanto universali16 devono essere assicurati e garantiti a chiunque entri in contatto con lo Stato, nel cui territorio gli stranieri non sono “sprovveduti di tutela, o quanto meno del rivestimento giuridico occorrente a che pure a loro sia data difesa dei diritti fondamentali”17. tuzionale e politiche nazionali, in Metamorfosi della cittadinanza e diritti degli stranieri, Atti del Convegno internazionale di studio - Reggio Calabria, 26-27 marzo 2015, (a cura di C. Panzera, A. Rauti, C. Salazar, A. Spadaro), Napoli 2016, 25 ss. 11 V. Onida, Lo statuto costituzionale del non cittadino, in Lo statuto costituzionale cit., 3 ss.; F. Astone, Immigrazione e diritti fondamentali, in Immigrazione e condizione giuridica cit., 143 ss. 12 Corte Cost., sent. 25 novembre 1967, n. 120. Nei casi in cui la Costituzione si riferisce espressamente ai cittadini “non è detto che agli stranieri non possa applicarsi il diritto o la tutela prevista per i cittadini” in quanto “in tali casi la Costituzione garantisce ai cittadini quel tale diritto, ma non esclude che, se così la legge dispone, il diritto possa essere esteso anche agli stranieri”, G.U. Rescigno, Il principio di uguaglianza nella Costituzione italiana, in A.I.C. Annuario 1998, Principio di uguaglianza e principio di legalità nella pluralità degli ordinamenti giuridici, Padova 1999, 95; F. Sorrentino, Eguaglianza, Torino 2011; C. Corsi, Stranieri, diritti sociali e principio di eguaglianza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, testo disponibile al sito www.federalismi.it - Focus Human Rights 3, 2014; A. Lollo, Eguaglianza e cittadinanza. La vocazione inclusiva dei diritti fondamentali, Milano 2016; Id., Il principio di uguaglianza e le sue declinazioni tra ordinamento costituzionale e ordinamento europeo, in Principi costituzionali (a cura di L. Ventura, A. Morelli), Milano 2015, 383 ss.; A. Morelli, Solidarietà, diritti sociali e immigrazione nello Stato sociale, in www. giurcost.org, 24 ottobre 2018, 533 ss. 13 Sul principio di uguaglianza, C. Lavagna, Basi per uno studio delle figure giuridiche soggettive contenute nella Costituzione italiana, in Studi economico-giuridici, Padova 1953; L. Paladin, Il principio costituzionale di uguaglianza, Milano 1965; C. Esposito, Eguaglianza e giustizia nell’art. 3 della Costituzione, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova 1954; B. Caravita di Toritto, Oltre l’eguaglianza formale, Padova 1984. 14 Corte Cost., sent. 2 luglio 1969, n. 104. 15 F. Vetrò, Oltre la cittadinanza: stranieri e diritti inviolabili, in Cittadinanza inclusiva e flussi migratori (a cura di F. Astone, F. Manganaro, A. Romano Tassone, F. Saitta), Soveria Mannelli 2009, 121 ss. 16 A. Algostino, I diritti umani e la sfida dell’universalità, testo disponibile al sito: www.dirittifondamentali.it, 1, 2017. 17 G. Berti, Cittadinanza, cittadinanze e diritti fondamentali, in Riv. dir. cost., 1997, 16; P. Stancati, Le libertà civili del non cittadino: attitudine conformativa della legge, assetti irriducibili di garanzia, peculiarità degli apporti del parametro internazionale, in Lo statuto costituzionale cit., 25 ss. 167 Interventi  Parte I Le garanzie costituzionali concernenti i diritti fondamentali si applicano anche ai non cittadini18 in ossequio al disposto costituzionale di cui all’art. 2 che impone alla Repubblica il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo (a corredo del quale si pone l’art. 10 Cost. che riconosce allo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, il diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge, nonché il divieto di estradizione dello straniero per motivi politici). Per quel che concerne i diritti sociali, che hanno inizialmente sofferto di una condizione di minorità19 sino al loro riconoscimento come diritti costituzionali, in dottrina è stato sottolineato il ruolo della giurisprudenza della Corte costituzionale, in funzione di supplenza rispetto all’inerzia del legislatore dinanzi al compito di riformare la legislazione alla luce del parametro costituzionale, che ha anticipato “bilanciamenti e decisioni legislative sul versante della instaurazione dell’ordinamento democratico e pluralista, lontano ormai da utopie di retroguardia sempre presenti in difesa surrettizia e mendace dello Stato di diritto volutamente immaginato”20, attraverso l’uso di una pluralità di tecniche argomentative e decisorie (le additive di prestazione, l’incostituzionalità accertata e non dichiarata, il differimento nel tempo degli effetti delle pronunce, le additive di principio). La Corte, negli ultimi anni, in materia di diritti sociali ha fatto ricorso al ragionevole bilanciamento per contemperare costo delle prestazioni, risorse limitate, equilibrio finanziario/controllo della spesa pubblica e diritti21, non ritenendo ragionevole il bilanciamento 18 M. Immordino, Pubbliche amministrazioni e tutela dei diritti fondamentali degli immigrati, testo disponibile al sito: www.federalismi.it - Focus Human Rights 19, 2014; G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali, Napoli 2007. 19 “I diritti sociali si collegano al principio di uguaglianza e in un mondo dominato dal principio di libertà è stato fatale che soffrissero di una condizione di minorità”: M. Luciani, Diritti sociali e livelli essenziali delle prestazioni pubbliche nei sessant’anni della Corte costituzionale, in www.rivistaaic.it 3, 2016, 6 s.; Id., Sui diritti sociali, in Studi Mazziotti, Padova 1995, 101 ss.; V. Pupo, Principi relativi ai diritti sociali, in Principi costituzionali cit., 269 ss.; L. Carlassare, Priorità costituzionali e controllo sulla destinazione delle risorse, testo disponibile al sito: www.costituzionalismo.it 1, 2013; C. Colapietro, La giurisprudenza costituzionale nella crisi dello Stato sociale, Padova 1996; M. Mazziotti di Celso, voce Diritti sociali, in Enc. dir., Milano 1964, 802 ss.; F. Modugno, I “nuovi diritti” nella giurisprudenza costituzionale, Torino 1995; B. Pezzini, La decisione sui diritti sociali. Indagine sulla struttura costituzionale dei diritti sociali, Milano 2001; F. Politi, I diritti sociali, in I diritti costituzionali (a cura di R. Nania, P. Ridola), vol. III, Torino 2006, 1019 ss. Cfr. P. Caretti, Considerazioni conclusive; A. Morelli, Il carattere inclusivo dei diritti sociali e i paradossi della solidarietà orizzontale; G. Razzano, Lo statuto costituzionale dei diritti sociali; D. Tega, I diritti sociali nella dimensione multilivello tra tutele giuridiche e politiche e crisi economica; A. Lollo, Il paradigma inclusivo della cittadinanza europea e la solidarietà transnazionale; A. D’Aloia, I diritti sociali nell’attuale momento costituzionale, tutti in I diritti sociali dal riconoscimento alla garanzia: il ruolo della giurisprudenza, Atti del Convegno annuale del Gruppo di Pisa svoltosi a Trapani l’8 e il 9 giugno 2012 (a cura di E. Cavasino, G. Scala, G. Verde), Napoli 2013, rispettivamente 613 ss., 441 ss., 25 ss., 67 ss., 391 ss., 563 ss. 20 L. Ventura, Sovranit. Da Bodin alla crisi dello Stato sociale, Torino 2014, 121. 21 S. Gambino, Crisi economica e diritti sociali (con particolare riguardo al diritto alla salute, all’assistenza sociale e all’istruzione), D. Loprieno, Le prestazioni socio-assistenziali a favore dei migranti tra presunte esigenze di contenimento, crisi economica e paura dello straniero, G. Gerbasi, Il risanamento della finanza pubblica quale parametro ordinatore dei rapporti Stato-Regioni tra tutela (uniforme, ovvero più o meno intensa) dei diritti sociali e processi di riorganizzazione delle autonomie territoriali, D. Pappano, Autonomia finanziaria degli enti territoriali e garanzia dei diritti al tempo della crisi, in Diritti sociali e crisi economica. Problemi e prospettive (a cura di S. Gambino), Torino 2015, rispettivamente 45 ss., 239 ss., 267 ss., 343 ss. 168 Rossana Caridà L’integrazione sociale dello straniero… legislativo se volto a compromettere il nucleo essenziale di un diritto sociale, ovverosia quel minimo contenuto di tutela del diritto al di sotto del quale è lesa la dignità della persona. Nel percorso tracciato dalla giurisprudenza costituzionale, è stato evidenziato in dottrina, proprio in relazione al “segmento” relativo ai diritti degli immigrati in riferimento al “trend sulla rigida “riserva politica” in materia di diritti “costosi” ”, l’uso da parte della Corte delle additive di prestazione ben al di là dei casi di palese irragionevolezza o di compressione del contenuto essenziale dei diritti e dunque una “maggiore pervasività del controllo sulla discrezionalità legislativa” che si spiega “sol che si consideri come, non essendo gli immigrati titolari dei diritti di elettorato attivo e passivo, l’esclusione irragionevole anche dalla fruizione delle prestazioni relative ai diritti sociali non costituisca solo una discriminazione odiosa, ma finisca per negarle a chi giunge nel nostro Paese sperando in una vita dignitosa la possibilità di essere e di sentirsi parte della collettività, pur quando si tratti di lavoratori che contribuiscono, con il loro apporto, al benessere generale. In questi casi, la discrezionalità del legislatore dinanzi al limite delle risorse disponibili perde la sua ampiezza, nel senso che la Corte non esita a dichiarare l’incostituzionalità delle norme che restringono irragionevolmente la platea dei beneficiari dei diritti sociali, quando ciò avvenga soltanto in base alla cittadinanza o anche in base a requisiti minimi di residenza che, sfavorendo gli “ultimi arrivati”, finiscano per essere subdolamente dirette ad escludere dal godimento dei diritti proprio gli immigrati, rendendoli ultimi in ogni senso”22. In sostanza, la Corte, che per decenni è stata l’autentico motore nell’attuazione dei diritti sociali, ora recede, o tende a recedere, per ragioni di bilancio dello Stato e in forza del contenimento della spesa pubblica, bilanciando, forse, principi non comparabili; mentre, paradossalmente (ma non tanto), allarga le maglie della sua giurisprudenza nei confronti dei non cittadini. Tuttavia, con le contraddizioni rilevate in dottrina23. Il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (d.lgs. n. 286/1998) riconosce i diritti fondamentali allo “straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato” e “la parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi”24; 22 C. Salazar, Crisi economica e diritti fondamentali - Relazione al XXVIII Convegno annuale dell’AIC, in www.rivi- staaic.it 4, 2013, 11 s.; A. Spadaro, I diritti sociali di fronte alla crisi (necessità di un nuovo “modello sociale europeo”: più sobrio, solidale e sostenibile), in www.rivistaaic.it 4, 2011; F. Biondi Dal Monte, Lo Stato sociale di fronte alle migrazioni. Diritti sociali, appartenenza e dignità della persona, in I diritti sociali dal riconoscimento alla garanzia cit., 189 ss.; Id., Dai diritti sociali alla cittadinanza. La condizione giuridica dello straniero tra ordinamento italiano e prospettive sovranazionali, Torino 2013; L. Trucco, Diritti sociali e livelli essenziali delle prestazioni tra politiche legislative e Corte costituzionale, in I diritti sociali cit., 103 ss.; E. Catelani, Profili costituzionali della limitazione dei diritti sociali garantiti dallo stato e dalle regioni di fronte alla crisi economica, in I diritti sociali nella pluralità degli ordinamenti (a cura di E. Catelani, R. Tarchi), Napoli 2015, 17 ss.; L. Ardizzone, R. Di Maria, La tutela dei diritti fondamentali ed il “totem” della programmazione: il bilanciamento (possibile) fra equilibrio economico-finanziario e prestazioni sociali (brevi riflessioni a margine di Corte cost., sent. 275/2016), testo disponibile al sito: www.dirittiregionali. org, 30 aprile 2017. 23 C. Salazar, Crisi economica op. loc. ult. cit. 24 E quindi si applicano allo straniero gli istituti disciplinati dalla legge sul procedimento amministrativo, M.T.P. Caputi Jambrenghi, Partecipazione e cittadinanza negli enti locali, in La partecipazione negli enti locali. Pro- 169 Interventi  Parte I allo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, la parità di trattamento e la piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani, la partecipazione alla vita pubblica locale. Quanto alle misure di integrazione sociale, talune propriamente ispirate alla conservazione e valorizzazione delle identità culturali, l’art. 42 del d.lgs. n. 286/1998, per il tramite delle istituzioni pubbliche e dell’associazionismo, prevede iniziative per garantire la conoscenza dei diritti e dei doveri degli stranieri, delle diverse opportunità di integrazione e crescita personale e comunitaria, l’organizzazione di corsi di formazione, ispirati a criteri di convivenza in una società multiculturale e di prevenzione di comportamenti discriminatori, xenofobi o razzisti. Come è stato in precedenza anticipato, la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto ai non cittadini tutti i diritti (il diritto alla difesa, il diritto alla vita, alla salute, i diritti della famiglia, il diritto all’istruzione25, il diritto all’abitazione26, ecc.), tentando di arginare blemi e prospettive (a cura di F. Manganaro, A. Romano Tassone), Torino 2002, 11 ss.; L. Gili, Straniero e partecipazione al procedimento amministrativo, in Procedimento amministrativo e partecipazione. Problemi, prospettive ed esperienze (a cura di A. Crosetti, F. Fracchia), Milano 2002, 55 ss.; E. Di Salvatore, Il diritto ad essere ascoltati secondo una recente sentenza della Corte di Giustizia Ue sul trattenimento dello straniero irregolare, in Immigrazione e integrazione. Dalle prospettiva globale alle realtà locali (a cura di F. Rimoli), Napoli 2014, vol. I, 235 ss. In argomento, V. Ottaviano, Appunti in tema di amministrazione e cittadino nello Stato democratico, in Studi in onore di M. S. Giannini, Milano 1988, passim. La cittadinanza amministrativa, quale decalogo di diritto ed obblighi di cui è titolare ogni persona che si relazioni con le amministrazioni, è stata definita quale insieme di “diritti di cittadinanza nei riguardi dell’agire amministrativo da assicurare in maniera uguale per tutti ai sensi dell’art. 3 Cost.”; “uno statuto del cittadino nei riguardi della P.A.” comprensivo di pretese inerenti allo svolgimento della funzione, quali diritti di informazione, di partecipazione e di motivazione dei provvedimenti, nonché dei diritti degli utenti dei servizi, statuto “che non può che essere eguale e comune” a tutti gli appartenenti alla collettività nazionale e, perciò, immodificabile in peius dalle altre fonti normative dell’ordinamento autonomistici: G. Pastori, La funzione amministrativa nell’odierno quadro costituzionale, in Dir. dell’econ., 2002, 485; C.E. Gallo, La pluralità delle cittadinanze e la cittadinanza amministrativa, in Dir. Amm., 2002, 487 ss.; R. Cavallo Perin, La cittadinanza amministrativa, in Dir. Amm., 2004, 201 ss.; F. Tigano, Cittadinanza e democrazia in Europa: il diritto positivo tra forma giuridica e costituzione materiale. Profili amministrativi, testo disponibile al sito: www.giustamm.it 5, 2017. Il T.U. n. 286/1998 sancisce l’obbligo di traduzione del provvedimento amministrativo in lingua conoscibile allo straniero; l’istituzione della figura del mediatore interculturale, quale persona specializzata che cerca di ovviare, presso le strutture pubbliche (carceri, scuole) alle difficoltà linguistiche dello straniero ed alle eventuali incomprensioni che potrebbero scaturire dalle differenze culturali. 25 L’art. 3 del d.lgs. n. 286/1998 sottopone i minori presenti sul territorio all’obbligo scolastico, sancendo l’applicabilità agli stessi di tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica. L’effettività del diritto allo studio è garantita dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali anche mediante l’attivazione di appositi corsi ed iniziative per l’apprendimento della lingua italiana. Viene statuito che “La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza; a tale fine promuove e favorisce iniziative volte alla accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d’origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni”, iniziative che sono realizzate “sulla base di una rilevazione dei bisogni locali e di una programmazione territoriale integrata, anche in convenzione con le associazioni degli stranieri, con le rappresentanze diplomatiche o consolari dei Paesi di appartenenza e con le organizzazioni di volontariato”. 26 Seppure quale diritto sociale la cui realizzazione dipende dalle risorse disponibili, per cui “solo il legislatore, misurando le effettive disponibilità e gli interessi con esse gradualmente satisfattibili, può razionalmente provvedere a rapportare mezzi a fini, e costruire puntuali fattispecie giustiziabili espressive di tali diritti fondamentali” 170 Rossana Caridà L’integrazione sociale dello straniero… eventuali discriminazioni nei confronti degli stranieri regolarmente soggiornanti27, pure ritenendo legittimi taluni interventi sociali indispensabili normati da alcune leggi regionali in favore di stranieri extracomunitari non regolarmente soggiornanti28. Il riconoscimento dei diritti sociali anche ai non cittadini29 ha contribuito a definire il contenuto della “cittadinanza sociale”30, quale “catalogo” di prestazioni in materia di diritti civili e sociali che spettano a tutti, come insieme di diritti essenziali ed incomprimibili attribuiti a chiunque risieda sul territorio nazionale: cittadinanza quale strumento di garanzia dell’uguaglianza sostanziale31. (Corte Cost., sent. 18 maggio 1989, n. 252), “creare le condizioni minime di un Stato sociale, concorrere a garantire al maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto sociale, quale quello all’abitazione, contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana, sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso” (Corte Cost., sent. 25 febbraio 1988, n. 217). 27 Con la pronuncia 2 dicembre 2005, n. 432, la Corte ha esteso un beneficio sociale che la legge regionale riservava ai soli cittadini, sostenendo che ove la norma impugnata configuri un beneficio “senz’altro eccedente i limiti dell’ “essenziale”, sia sul versante del diritto alla salute, sia su quello delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ciò non esclude affatto che le scelte connesse alla individuazione delle categorie dei beneficiari – necessariamente da circoscrivere in ragione della limitatezza delle risorse finanziarie – debbano essere operate sempre e comunque, in ossequio al principio di ragionevolezza; al legislatore (statale o regionale che sia) è consentito, infatti, introdurre regimi differenziati, circa il trattamento da riservare ai singoli consociati, soltanto in presenza di una “causa” normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria”. Pertanto, se pure la normativa, anche quella regionale, può richiedere talune limitazioni, l’introduzione di regimi differenziati (in tale ipotesi concernenti le provvidenze sociali) “è consentita solo in presenza di una causa normativa non palesemente irrazionale o arbitraria, che sia cioè giustificata da una ragionevole correlazione tra la condizione cui è subordinata l’attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio” (Corte Cost., sentt. 10 luglio e 24 luglio 2013, nn. 172 e 222); ed ancora, “se al legislatore, sia statale che regionale (e provinciale), è consentito introdurre una disciplina differenziata per l’accesso alle prestazioni assistenziali al fine di conciliare la massima fruibilità dei benefici previsti con la limitatezza delle risorse finanziarie disponibili”, la legittimità di una tale opzione “non esclude che i canoni selettivi adottati debbano comunque rispondere al principio di ragionevolezza” (Corte Cost., sent. 12 giugno 2013, n. 133). 28 L’art. 35 del d.lgs. n. 286/1998 garantisce anche agli stranieri irregolari, se privi di risorse economiche sufficienti, la gratuità di talune prestazioni sanitarie essenziali “fatte salve le quote di partecipazione alla spesa a parità con i cittadini italiani”. Con la sent. 25 luglio 2001, n. 252, seppure il diritto ai trattamenti sanitari necessari per la tutela della salute è stato riconosciuto come “costituzionalmente condizionato” dalle esigenze di bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, la Corte ha fatto salva la garanzia di “un nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana, il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l’attuazione di quel diritto”, così riconoscendo tale “nucleo irriducibile” di tutela della salute quale diritto fondamentale della persona “anche agli stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso ed il soggiorno nello Stato, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso”. Cfr. A. Randazzo, La salute degli stranieri irregolari: un diritto fondamentale “dimezzato”?, testo disponibile al sito: www.giurcost.org, 6 giugno 2012. 29 A. Zito, Diritti sociali degli immigrati e ruolo delle Pubbliche amministrazioni: spunti di riflessione sulla tutela del diritto alla salute e sulle modalità di erogazione delle prestazioni, in Immigrazione e integrazione cit., vol. I., 671 ss.; B. Pezzini, Una questione che interroga l’uguaglianza: i diritti sociali del non cittadino, in Lo statuto costituzionale cit., 163 ss.; C. Corsi, Servizi sociali agli immigrati, in Cittadinanza cit., 95 ss. 30 C. Salazar, Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali. Orientamenti e tecniche decisorie della Corte costituzionale a confronto, Torino 2000, passim; S. Gambino, Cittadinanza e diritti sociali fra neoregionalismo e integrazione comunitaria, in Quad. cost., 2003, 86 ss.; D. Messineo, ‘Cittadinanza sociale’ regionale e parità di trattamento dello straniero alla luce della giurisprudenza costituzionale, in Nuove autonomie 1, 2007, Palermo 2007, 143 ss. 31 F. Manganaro, Il concetto di cittadinanza alla luce dei livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, in Le disuguaglianze sostenibili nei sistemi autonomistici multilivello (a cura di F. Astone, M. Caldarera, A. 171 Interventi  Parte I 3. Lo statuto dei doveri e la cittadinanza di residenza. La nascita degli Stati nazionali, l’esperienza delle migrazioni, l’avvio del processo d’integrazione europea, l’incedere della globalizzazione e la realizzazione dei fenomeni di decentramento autonomistico hanno messo in crisi il tradizionale concetto di cittadinanza quale legame giuridico fondamentale tra il soggetto e lo Stato cui appartiene. I processi decisionali pubblici possono sfuggire alle regole (è il pericolo connaturato al fenomeno della globalizzazione), possono realizzarsi a livelli di governo sovranazionale (l’esempio è quello dell’Unione Europea), possono attuarsi a livelli di governo territoriale strutturalmente più vicini agli amministrati. In concreto, la frammentazione delle politiche pubbliche può far sì che in capo alla stessa persona convergano molteplici titoli di legittimazione partecipativa alle diverse comunità nelle quali è inserita (cittadino, cittadino europeo, abitante del Comune, ecc.). Tale legittimazione partecipativa, nel rinviare allo stretto rapporto tra il soggetto e la comunità nella quale questi sceglie di vivere, induce a ritenere che, al di là della formale appartenenza, l’attuale conformazione della cittadinanza sia legata alla effettiva residenza32, ed indica tutti coloro che si trovano stabilmente in un determinato territorio (nel quale, perciò, si riconoscono diritti fondamentali anche a vantaggio dei non cittadini), tutti parimenti titolari dei medesimi diritti e doveri di partecipazione civica. Se quindi si aderisce all’idea di cittadinanza fondata sull’adesione ai valori politici fondamentali della collettività e, dunque, anche sul rispetto dei doveri costituzionali, che di quei valori sono una delle prime e genuine espressioni giuridiche, l’osservanza della Costituzione e delle leggi deve essere pretesa sia dai cittadini che dai non cittadini33; l’art. 23 Romano Tassone, F. Saitta), Torino 2006, 209 ss.; per A. Morrone, Le forme della cittadinanza nel terzo Millennio, in Quad. cost. 2, 2015, 310: “Lo Stato costituzionale, attraverso la cittadinanza sociale, diventa un processo di integrazione: i confini dello Stato non delimitano un ordine sociale precostituito e immodificabile, ma sono lo spazio nell’ambito del quale le differenze materiali possono essere superate mediante la partecipazione e la solidarietà sociale, economica e politica”; C.F. Ferrajoli, Diritti e cittadinanza sociale dei migranti nei regolamenti e negli atti amministrativi delle Regioni, in I diritti di cittadinanza dei migranti. Il ruolo delle Regioni (a cura di L. Ronchetti), Milano 2019, 111; G. Giubboni, La cittadinanza democratica come fonte di coesione sociale, in Riv. dir. sic. Soc. 1, 2011, 131 ss. 32 P. Carrozza, Noi e gli altri. Per una cittadinanza fondata sulla residenza e sull’adesione ai doveri costituzionali, in La governance cit., 27 ss.; A. Lollo, Eguaglianza cit., 34 ss. 33 Nei confronti del cittadino il dovere di fedeltà esprime “la pretesa dell’ordinamento a che egli, sin dall’inizio, creda in se stesso, nella propria coscienza e, nel contempo, negli altri cittadini”, ma questa fiducia “presunta in base all’esistenza di una storia e di una tradizione comuni” non potrebbe essere chiesta subito allo straniero che “avrà bisogno di più tempo per integrarsi nella realtà sociale e per farsi attore di quella dimensione solidale all’interno della quale soltanto possono vivere e trovare sviluppo le istituzioni repubblicane”: A. Morelli, I paradossi della fedeltà alla Repubblica, Milano 2013, 255; J. Luther, I doveri di chi giudica il giudice dei doveri, in I doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi (a cura di R. Balduzzi, M. Cavino, E. Grosso, J. Luther), Torino 2007, 399. Come è stato evidenziato, è possibile ipotizzare un’estensione graduale dei diritti e dei doveri politici , ma una simile opzione non può fondarsi solo “sulla condivisione di passato e memoria, transitando inevitabilmente per il contributo al continuo inverarsi dei valori fondanti la Repubblica”: così A. Lollo, Eguaglianza. cit., 218, per il quale “la salvaguardia della continuità dell’ordinamento costituzionale e dell’identità dei suoi principi supremi costituisce la massima espressione del dovere di fedeltà”, ricollegandosi alla tesi sostenuta da L. Ventura sul dovere di fedeltà, dallo stesso ritenuta non una “generica fedeltà allo Stato tout 172 Rossana Caridà L’integrazione sociale dello straniero… Cost. prevede che solo la legge possa stabilire quali siano le prestazioni personali imposte dai pubblici poteri ai destinatari; per le prestazioni patrimoniali, nell’art. 53 Cost. è prescritto che tutti siano tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva34 (quindi, il dovere di contribuzione implica che il non cittadino sia compartecipe al finanziamento dei servizi di natura fiscale). Con riferimento ai diritti35 e ai doveri politici, in dottrina si è annotata una “sostanziale ‘decostituzionalizzazione’ degli stessi, non solo nel senso più volte ribadito dalla Corte della necessità di una interpositio del legislatore ai fini della loro individuazione, ma anche nel senso di un pressoché totale affidamento alle scelte discrezionali dello stesso in relazione alla loro specifica configurazione come doveri posti dall’ordinamento. È la stessa valutazione della sussistenza o meno del dovere costituzionale, in altri termini, che viene consegnata alle scelte di politica legislativa”36. Più in dettaglio, per il diritto/dovere di voto37 e l’estensione dello stesso agli stranieri regolarmente residenti, così superando il dato normativo dell’attuale disciplina in materia di concessione della cittadinanza, e dunque prevedendo una misura positiva ai fini di una maggiore coesione sociale, è appena il caso di osservare che con il d.lgs. n. 197/1996 (in attuazione della Dir. 94/80/CE del Consiglio, del 19 dicembre 1994, che stabilisce le modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali per i cittadini dell’Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza, in GU C 323 del 21 novembre 1994) il legislatore delegato ha riconosciuto il diritto di voto e l’eleggibilità alle elezioni comunali in capo ai cittadini comunitari (‘cittadino dell’Unione’), aventi la cittadinanza del loro Paese di origine (Stato membro) e residenti nello Stato di cui non posseggono quello status. Il Testo Unico sull’immigrazione, all’articolo 2, prevede che lo straniero regolarmente soggiornante partecipi alla vita pubblica locale; all’articolo 9 è previsto che il titolare del court” né una “specifica fedeltà alla forma di Stato repubblicana” ma la “fedeltà alla Costituzione ed all’ordinamento da essa introdotto sul quale si regge lo Stato”, in La fedeltà alla Repubblica, Milano 1984, 42. 34 C. Buzzacchi, La solidarietà tributaria. Funzione fiscale e principi costituzionali, Milano 2011. 35 B. Caravita di Toritto, I diritti politici dei “non cittadini”. Ripensare la cittadinanza: comunità e diritti politici, in Lo statuto costituzionale cit., 163 ss. 36 Così A.M. Poggi che, nel riferirsi alla normativa che ha professionalizzato il servizio militare e reso volontaria la leva per i non professionisti e a quella che ha abolito le sanzioni nel caso del mancato esercizio del diritto di voto, ha spiegato tale ‘decostituzionalizzazione’ avallata dalla giurisprudenza costituzionale che non è entrata volutamente nel merito della questione della ‘precettività’ dei doveri inderogabili; ha rinviato alla sede legislativa per la loro puntale definizione in quanto obblighi specifici; ha attribuito al legislatore una possibilità di deroga a quei doveri. “La genesi di tali norme, in sostanza, non è risultata indifferente rispetto alla loro formulazione finale e non risulta, oggi, ininfluente nella loro interpretazione. Ciò consiglia una chiave di lettura di norme costituzionali che alle impostazioni teoriche assommi una prospettiva ‘storica’ e ‘storicizzabile’, inevitabilmente connessa ai mutamenti sociali e culturali che hanno investito, investono oggi e investiranno domani il paese”, in I diritti delle persone. Lo Stato sociale come Repubblica dei diritti e dei doveri, Milano 2014, 67; G. Bascherini, I doveri costituzionali degli immigrati, V. Marzuillo, I doveri costituzionali degli immigrati: una realtà in continua tensione tra obbligo giuridico ed onere sociale, A. Wojtek Pankiewcz, I doveri costituzionali degli immigrati extracomunitari, tutti in I doveri costituzionali cit., rispettivamente 86 ss., 414 ss., 424 ss. 37 E. Grosso, I doveri costituzionali, in Lo statuto costituzionale cit., 229 ss. 173 Interventi  Parte I permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo possa partecipare alla vita pubblica locale, con le forme e nei limiti previsti dalla normativa vigente38. L’articolo 6 del TUEL specifica le forme di garanzia e di partecipazione popolare delle minoranze; il successivo articolo 8, al primo comma, prevede che “i Comuni, anche su base di quartiere o di frazione, valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all’amministrazione locale”; mentre al quinto comma esso dispone che lo Statuto, ispirandosi ai principi di cui alla legge n. 203/1994 ed al d.lgs. n. 286/1998, promuove forme di partecipazione alla vita pubblica locale dei cittadini dell’Unione Europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti. Alla luce di queste poche disposizioni, la soluzione che sembra più ragionevole è quella volta a prevedere l’effettiva partecipazione, anche in termini di riconoscimento e di necessaria estensione del diritto/dovere di voto, ai non cittadini nell’ambito di consultazioni locali39 di tipo amministrativo, nelle quali il soggetto non venga chiamato a determinare scelte propriamente politiche, ma quanto meno a far valere anche le proprie esigenze, in forma partecipativa e consultiva, in materia di servizi di base. In tal senso si era pure espresso il Consiglio di Stato (Ad. gen., parere n. 8007/2004) il quale, nell’ammettere, in astratto, la possibilità per i Comuni di configurare in capo agli stranieri lungo-residenti40 il diritto di partecipare alle elezioni per la costituzione delle circoscrizioni comunali (organi ai quali vengono attribuiti compiti esclusivamente partecipativi e consultivi, con esclusione di qualsiasi funzione politica e di governo), ha qualificato tale libertà non come diritto di voto “classico”, bensì quale diritto riconducibile “alla partecipazione alla vita pubblica a livello locale”. In questa direzione, l’appartenenza al tessuto sociale di un ente locale, per definizione il livello territoriale più vicino alla persona, valorizza il concreto inserimento, la volontaria partecipazione, la volontaria accettazione del quadro giuridico di quella determinata realtà sociale, e dunque uno straniero residente e perfettamente integrato per quale motivo non deve essere considerato componente pleno iure della collettività nella quale ha scelto di vivere? Anche la scelta normativa circa la sospensione dell’obbligatorietà del servizio militare (trasformato in professionale) e l’istituzione del servizio civile oggetto di una scelta volontaria che adempie ai doveri di solidarietà e concorre al progresso materiale e spirituale della società hanno contribuito a ridefinire i contorni della cittadinanza e lo stesso dovere di difesa della Patria. Da ultimo, con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 40 del 2017 (adottato in attuazione della legge delega n. 106 del 2016, relativa alla riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e della disciplina del servizio civile universale) è stato istituito e disciplinato il Servizio civile universale, finalizzato (art. 2) alla difesa non armata 38 L. Castelli, Il ruolo degli enti locali nell’integrazione e partecipazione dei migranti, in I diritti di cittadinanza cit., 163 ss. 39 V. Prudente, L’integrazione dello straniero attraverso la partecipazione all’amministrazione locale, in Immigrazione e condizione giuridica cit., 277 ss.; E. Laganà, La questione aperta dei diritti politici degli “stranieri” (con particolare riguardo al diritto di voto a livello locale), in Metamorfosi cit., 415 ss.; L. Trucco, Problemi e prospettive della partecipazione politica dei non cittadini a livello locale, in Giur. it. 6, 2011, 1449 ss. 40 L. Ronchetti, L’accesso ai diritti tra regolarità e residenza, in I diritti di cittadinanza dei migranti cit., 185 ss. 174 Rossana Caridà L’integrazione sociale dello straniero… e non violenta della Patria, all’educazione, alla pace tra i popoli e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica. La normativa non costituisce una novità, essendo stata preceduta dalla giurisprudenza costituzionale con particolare riguardo, proprio per il profilo che qui rileva, al possesso della cittadinanza italiana quale requisito richiesto per poter accedere al bando per il servizio civile. Come ha riconosciuto la Corte, l’istituto del servizio civile ha subito una significativa evoluzione: dalla originaria matrice di prestazione alternativa al servizio militare di leva a istituto di carattere volontario al quale accedere mediante concorso. In coerenza con tale evoluzione, la Corte, sulla base di una lettura dell’art. 52 Cost. alla luce dei doveri inderogabili di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost., ha ritenuto irragionevole l’esclusione dei cittadini stranieri, regolarmente residenti nel nostro Paese, dalle attività alle quali si riconnettono tali doveri. Il dovere di difesa della Patria, infatti, non si risolverebbe soltanto in attività finalizzate a contrastare o prevenire un’aggressione esterna, potendo comprendere anche attività di impegno sociale non armato. Accanto al servizio militare quale forma di difesa della Patria, si è, dunque, riconosciuta anche la prestazione di servizi rientranti nella solidarietà e nella cooperazione a livello nazionale ed internazionale (sent. n. 228/2004; ed ancora prima sent. n. 172/1999). L’estensione del servizio civile a finalità di solidarietà sociale e l’inserimento in attività di cooperazione nazionale ed internazionale, di salvaguardia e tutela del patrimonio nazionale “concorrono a qualificarlo – oltre che come adempimento di un dovere di solidarietà – anche come un’opportunità di integrazione e di formazione alla cittadinanza” (sent. n. 119/201541). Si deve considerare, infatti, che l’attività d’impegno sociale espletata nell’ambito del servizio civile “deve essere ricompresa tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente” (sent. n. 309/2013). Per la Corte, “l’ammissione al servizio civile consente oggi di realizzare i doveri inderogabili di solidarietà e di rendersi utili alla propria comunità, il che corrisponde, allo stesso tempo, ad un diritto di chi ad essa appartiene”, essendo “lo stesso concetto di “difesa della Patria”, nell’ambito del quale è stato tradizionalmente collocato l’istituto del servizio civile, ad evidenziare una significativa evoluzione, nel senso dell’apertura a molteplici valori costituzionali” (sent. n. 119/2015). L’esclusione dei cittadini stranieri dalla possibilità di prestare il servizio civile universale avrebbe impedito loro di concorrere a realizzare progetti di utilità sociale e di sviluppare, conseguentemente, il valore del servizio a favore del bene comune, comportando una ingiustificata limitazione al pieno sviluppo della persona e all’integrazione nella comunità di accoglienza (per tali motivi, con la sent. n. 119/2015, la Corte ha dichiarato l’illegittimità della disciplina impugnata nella parte in cui richiedeva il requisito della cittadinanza italiana ai fini dello svolgimento del servizio civile). Sulla stessa direzione della giurisprudenza costituzionale, il legislatore delegato (art. 14) ammette a svolgere il servizio civile universale, su base volontaria, senza distinzioni di sesso, i cittadini italiani, i 41 A. Rauti, Il diritto di avere doveri. Riflessioni sul servizio civile degli stranieri a partire dalla sent. cost. n. 119/2015, in www.rivistaaic.it 4, 2015; S. Penasa, Verso una “cittadinanza costituzionale”? L’irragionevolezza del requisito della cittadinanza italiana per l’accesso al servizio civile volontario, in www.rivistaaic.it 3, 2015. 175 Interventi  Parte I cittadini di Paesi appartenenti all’Unione europea e gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia (che alla data di presentazione della domanda, abbiano compiuto il diciottesimo e non superato il ventottesimo anno di età). È appena il caso di accennare che il decreto legge n. 13/2017 ha introdotto nel decreto legislativo n. 142/2015 (concernente l’attuazione della direttiva 2013/33/UE, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, e della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale) l’art. 22-bis, in base al quale i prefetti promuovono, d’intesa con i Comuni, ogni iniziativa utile all’implementazione dell’impiego dei titolari di protezione internazionale42, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali, nel quadro delle disposizioni normative vigenti. A tal fine, i prefetti promuovono la diffusione delle buone prassi e di strategie congiunte con i Comuni e le organizzazioni del terzo settore, anche attraverso la stipula di appositi protocolli d’intesa. Per il coinvolgimento dei titolari di protezione internazionale in queste attività, i Comuni possono predisporre, anche in collaborazione con le organizzazioni del terzo settore, appositi progetti da finanziare con risorse europee destinate all’immigrazione. Si tratta, all’evidenza, di disposizioni che, a prescindere dal requisito formale della cittadinanza, status per eccellenza idoneo a configurare il rapporto tra il cittadino e lo Stato di appartenenza, ripongono l’attuazione del principio di solidarietà sull’espletamento di un’attività, se vogliamo sostanzialmente lavorativa43, comunque finalizzata alla concreta 42 Il decreto sicurezza, in base a tutte le sue previsioni, ha cambiato anche questa disposizione e dove si usa(va) la parola richiedenti ora si utilizza quella di titolari di protezione internazionale (art. 12, co. 2, lett. m), d.l. n. 113/2018). 43 Sebbene in entrambe le fattispecie manchi la qualificazione formale di rapporto di lavoro, retribuito o gratuito, si tratta, all’evidenza, di una attività di fatto lavorativa, i cui effetti positivi si riflettono in favore della collettività tutta. Il principio lavorista costituisce “il fondamento dello Stato sul lavoro, non solo come diritto sociale, ma come strumento di partecipazione politica (cioè di partecipazione democratica) e come primo cardine costituzionale per elevare e commisurare la dignità umana”, L. Ventura, Sovranità cit., 76. L’art. 1 Cost. esprime “l’accoglimento di una concezione generale della vita secondo la quale deve vedersi nel lavoro la più efficace affermazione della personalità sociale dell’uomo, il suo valore più comprensivo e significativo perché nel lavoro ciascuno riesce ad esprimere la potenza creativa in lui racchiusa, ed a trovare nella disciplina e nello sforzo che esso impone, insieme allo stimolo per l’adempimento del proprio compito terreno di perfezione, il mezzo necessario per soddisfare al suo debito verso la società con la partecipazione all’opera costitutiva della collettività in cui vive. Collegando come si deve l’art. 1 all’art. 2, si può desumere l’esatto significato del posto assegnato al lavoro, non fine a sé né mero strumento di guadagno ma mezzo necessario per l’affermazione della persona, per l’adempimento dei suoi fini spirituali”: C. Mortati, Il lavoro nella Costituzione, in Dir. lav., 1954, 7 ss. In dottrina, M. Olivetti, Art. 1 e A. Cariola, Art. 4, in Commentario alla Costituzione (a cura di A. Bifulco, M. Celotto, M. Olivetti), 2006, rispettivamente 55 ss. e 114 ss.; L. Carlassare, Nel segno della Costituzione. La nostra Carta per il futuro, Milano 2012; V. Crisafulli - L. Paladin, Art. 1 e Art. 4, in Commentario breve alla Costituzione, Padova, 1990, 5 ss. e 34 ss.; M. Luciani, Radici e conseguenze della scelta costituzionale di fondare la Repubblica democratica sul lavoro, in Arg. dir. lav. 3, 2010, 628 ss.; C. Mortati, Art. 1 e G. F. Mancini, Art. 4, in Commentario della Costituzione, artt. 1-12 (a cura di G. Branca, A. Pizzorusso), 1975, 1 ss. e 199 ss.; I. Massa Pinto, Costituzione e lavoro, totem e tabù, testo disponibile al sito: www.costituzionalismo.it, 3, 2012; M. Mazziotti, voce Lavoro (dir. cost.), in Enc. dir., Vol. XXIII, 1973, 338 ss.; G. Zagrebelsky, Fondata sul lavoro. La solitudine dell’art. 1, Torino 2013; V. Pupo, Il principio lavorista, in Principi costituzionali cit., 269 ss. Con riferimento all’accesso da parte degli stranieri al lavoro pubblico, A. Rauti, Stranieri e pubblico impiego: prime considerazioni, in Metamorfosi cit., 329 ss. 176 Rossana Caridà L’integrazione sociale dello straniero… realizzazione di pratiche di impegno sociale in favore della comunità alla quale si appartiene. Ed allora, a sostegno di tale processo, che certamente vorrebbe includere ed integrare la popolazione immigrata, devono porsi il rispetto della persona e la sussidiarietà orizzontale, quale strumento per l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà richiesto dalla Repubblica: “preliminare ad ogni altra esigenza è il rispetto della personalità umana; qui è la radice delle libertà, anzi della libertà, cui fanno capo tutti i diritti che ne prendono il nome. Libertà vuol dire responsabilità. Né i diritti di libertà si possono scompagnare dai doveri di solidarietà di cui sono l’altro ed inscindibile aspetto. Dopo che si è scatenata nel mondo tanta efferatezza e bestialità, si sente veramente il bisogno di riaffermare che i rapporti fra gli uomini devono essere umani”44. 4. Cittadinanza attiva e principio di sussidiarietà. Accanto ai diritti ed ai doveri degli stranieri, esiste uno statuto di diritti e doveri dove collocare l’impegno di ciascuno per realizzare autentiche forme di cittadinanza attiva, in modo che si affermi il ruolo di ogni cittadino quale soggetto promotore della vita quotidiana della democrazia. Tutti i cittadini, in forma singola o associata, possono e devono adoperarsi per sostenere, garantire e tutelare i diritti fondamentali di tutte le persone, nonché ampliare e condividere la tutela della comunità, sia preservandone il territorio ed i beni comuni, sia promuovendone quelle azioni finalizzate alla cura del bene collettivo. L’art. 118 della Costituzione riconosce il valore dell’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, impegnando le autorità pubbliche a favorirne lo sviluppo: Stato, Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarietà. La Costituzione riconosce, pertanto, in maniera netta ed esplicita il ruolo dei privati nel perseguimento dell’interesse generale. L’art. 4, l. n. 59/1997 già prevedeva che il conferimento di funzioni agli enti territoriali dovesse osservare, tra gli altri, il principio di sussidiarietà “attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati”. Il TUEL, art. 3, quinto comma, stabilisce che “i Comuni e le Province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali”. Con il Parere n. 1440/2003 (Ad. 25 ottobre 2003), il Consiglio di Stato ha indicato l’assenza di qualsivoglia obbligo di riconoscimento, autorizzazione e qualificazione delle attività di interesse generale poste in essere da soggetti comunitari (famiglie, associazioni, comunità) da parte delle pubbliche autorità (...), evidenziando come l’art. 118 sancisca e concluda un percorso di autonomia 44 Presidente M. Ruini, relazione al Progetto di Costituzione della Repubblica italiana, A.C. 6 febbraio 1947. 177 Interventi  Parte I non più collegato al fenomeno della entificazione, ma correlato più semplicemente alla società civile e al suo sviluppo democratico a livello quasi sempre volontario; (…) nel momento dell’iniziativa dei cittadini le pubbliche autorità non possono che favorire e rispettare tale libertà, mentre successivamente, quando le attività hanno assunto forma e contenuto, esse possono eventualmente riconoscerne la pubblica utilità. (…) Casi che vedono l’assunzione di compiti, la risoluzione di problemi pratici compresenti in una collettività, la gestione di attività coerenti allo sviluppo della comunità stessa sono manifestazioni originarie e non comprimibili di cittadinanza societaria45; (...) tali forme di impegno, che si dislocano a livello di soggetti utenti agenti nello stesso tempo, costituiscono un fenomeno che sorge dalla consapevolezza democratica che sempre più emerge nella società civile. Da questo quadro normativo emerge, da un lato, che i soggetti pubblici devono favorire le autonome iniziative degli amministrati finalizzate alla realizzazione dell’interesse generale, dall’altro, che gli stessi si pongono sul medesimo piano dell’amministrazione ogni qualvolta si attivano, spontaneamente ed autonomamente, per incidere sulla crescita e promozione del benessere della comunità nella quale vivono. In tal modo, potendo la realizzazione e la tutela dell’interesse pubblico avvenire anche grazie al contributo fondamentale della società e non divenendo più monopolio dell’amministrazione, si realizzano forme di partecipazione46 alla vita pubblica (e non solo politica, dunque) massimamente solidali perché autenticamente progettate, condivise e concertate. Se per espresso riconoscimento costituzionale, la realizzazione degli interessi pubblici può essere affidata a soggetti diversi da quelli pubblici, è la effettiva realizzazione del principio di sussidiarietà47 a consentire quella partecipazione alla vita pubblica locale che, in base alle previsioni normative sopra citate, è riconosciuta anche agli stranieri. L’autonomia privata ha acquistato con la sussidiarietà48 “una nuova legittimazione” per la cura di interessi generali con sempre più frequenti percorsi di “integrazione” tra pubblico e privato49. 45 Il Collegio ha fatto riferimento alla teoria elaborata da P. Donati, La cittadinanza societaria, Roma-Bari 2000. 46 F. Saitta, sottolinea il valore aggiunto che la partecipazione procedimentale, intesa come partecipazione “solidale”, può assicurare nei servizi sociali, “nel cui ambito, più che in altri settori di attività, può ravvisarsi quella convergenza di obiettivi tra pubblico e privato in grado di supportare una lettura dell’istituto partecipativo nel prisma dell’art. 2 della Costituzione”. “(..) Il c.d. valore aggiunto dell’istituto sarebbe, dunque, ravvisabile nel contributo di solidarietà che la partecipazione del cittadino ai procedimenti inerenti al settore dei servizi sociali introdurrebbe nei processi decisionali, specie nella fase della programmazione dei servizi stessi, laddove il profilo della progettualità prevale su quello della conflittualità”, in Cittadinanza, partecipazione procedimentale e globalizzazione (Appunti preliminari sulle funzioni dell’istituto partecipativo nell’era del diritto globale), in Codice delle cittadinanze - Commentario dei rapporti tra privati ed amministrazioni pubbliche (a cura di R. Ferrara, A. Romano Tassone), Milano 2006, 343 s. 47 A. Lazzaro, Enti territoriali, immigrazione e sussidiarietà, in Immigrazione e condizione giuridica cit., 257 ss. 48 Che costituisce “la chiave per lo sviluppo di fenomeni di integrazione più largamente democratici e trasparenti, in quanto espressione primaria di esigenze e soluzioni che partono dalle realtà territoriali corrispondenti ai vari livelli di governo”. Così F. Astone, Le amministrazioni nazionali nel processo di formazione ed attuazione del diritto comunitario, Torino 2004, 31. 49 Per I.M. Marino, Autonomia e democrazia, in Nuove autonomie 1, 2007, Palermo 2007, 203, “con il percorso concluso con il nuovo Titolo V non si raggiunge soltanto una più consapevole democraticità, anche decisiona- 178 Rossana Caridà L’integrazione sociale dello straniero… Il principio di sussidiarietà orizzontale può essere diversamente articolato, a seconda delle modalità di intervento dell’autorità pubblica: quest’ultima non può impedire che cittadini, singoli o organizzati in formazioni sociali, realizzino attività finalizzate al raggiungimento di fini generali; ed, inoltre, le amministrazioni possono operare in regime di mercato, che diversamente potrebbe essere lasciato all’iniziativa privata, qualora l’intervento pubblico possa rivelarsi più efficiente ed efficace per realizzare fini generali o qualora non vi siano privati, singoli o imprese, disposti ad espletare attività e fornire servizi di interesse generale50. In questa direzione, la sussidiarietà può essere utilizzata per segnare il limite dell’autorità51, limite da rinvenire nel riconoscimento dell’iniziativa privata autonoma52 favorendo quanto il livello privato sia in grado di concretizzare da sé. È stato sostenuto che la sussidiarietà orizzontale non possa rappresentare la mera attuazione di logiche di privatizzazione e che lo Stato sia responsabile e garante della concretizzazione dell’interesse generale, seppur non unico protagonista, potendo la società civile concorrere alla realizzazione di compiti di interesse generale attraverso proprie azioni53; ed ancora, che la portata più innovativa del principio risiede nella possibilità di prevedere, per via legislativa54, strumenti giuridici nuovi per espletare attività di interesse generale55 e che tramite la sussidiarietà orizzontale si “costruisce un sistema di alleanze per l’interesse generale fra i cittadini e l’Amministrazione, perché non comporta per i soggetti pubblici né la possibilità di sottrarsi ai loro compiti istituzionali, né la prerogativa di sottrarre a priori spazi all’azione del privato. Il principio di sussidiarietà orizzontale tende a realizzare la libertà dei cittadini di agire, in modo condiviso con l’Amministrazione pubblica, per il miglioramento della comunità, nel rispetto del principio di legalità”56. Si deve aggiungere, le, non si costituisce soltanto un meccanismo per “imporre” in maniera diversa ai cittadini il loro presunto bene, ma, sposando sovranità e sussidiarietà, si individua un traguardo più maturo della libertà: il riconoscimento dell’identità individuale e dell’identità sociale, di gruppo, politica per le scelte di libertà, anche nel collaborare a costruire e curare interessi generali”. 50 “La libera presenza delle iniziative private a fianco di quelle pubbliche rivolte agli stessi utenti potenziali esige un non facile coordinamento, al fine di assicurare che i servizi siano disponibili per tutti senza limitazioni delle libertà dei produttori privati dei servizi stessi né delle libertà degli utenti, ma anche senza sprechi di risorse pubbliche”: D. Sorace, Diritto delle amministrazioni pubbliche. Una introduzione, Bologna 2007, 135. 51 F. Gentile, Intelligenza politica e ragion di stato, Milano 1994, 36 ss. 52 L. Antonini, Sussidiarietà e modelli di Welfare tra crisi dello Stato nazione e federalizing process, in Il Nuovo Areopago, 2002, 59. 53 B. Di Giacomo Russo, Dis-uguaglianza e concorrenza: la prospettiva della sussidiarietà economica, in La dis-eguaglianza nello Stato costituzionale (a cura di M. Della Morte), Napoli 2016, 279. 54 “.. rientra in una scelta discrezionale del Legislatore consentire che talune funzioni, obiettivamente pubbliche, possano essere svolte anche da soggetti privati che abbiano una particolare investitura da parte della pubblica Amministrazione, in relazione al servizio svolto” (Corte cost., ord. 21 maggio 2001, n. 157). 55 G. Arena, Cittadini attivi. Un altro modo di pensare l’Italia, Roma-Bari 2006, 62. 56 B. Di Giacomo Russo, op. ult. cit., 279-280, che proprio si sofferma sull’intervento pubblico nella sfera sociale e sul ruolo dei soggetti privati, il c.d. privato sociale, “che svolgono un ruolo utile nell’interesse della comunità, ma in un rapporto di co-Amministrazione rispetto alle azioni di interesse generale” e poiché concernono valori espressioni di diritti fondamentali (istruzione, salute, assistenza e sicurezza sociale), la pubblica amministrazione “deve, comunque, indirizzare, programmare e gestire, nelle forme più efficienti ed efficaci, le funzioni ed i servizi del Welfare State”. 179 Interventi  Parte I per quanto qui specificamente rileva, che in una società sempre più internamente composita e articolata, la logica della sussidiarietà orizzontale consente, in definitiva, di “misurare” l’intervento pubblico in base alle specifiche esigenze della collettività, riducendo il rischio di azioni invasive e sproporzionate; da questo punto di vista, si potrebbe affermare che il paradigma della sussidiarietà orizzontale si adatta bene alle esigenze regolative complesse di una società multiculturale. La carenza di risorse economiche mette certamente in crisi il concetto di offerta dei servizi latamente sociali; ma la tutela della persona non è un valore negoziabile, ed in assenza di strategie politiche che non siano di natura emergenziale è la coscienza civile che deve farsi carico delle persone più deboli, attraverso un rapporto sinergico che valorizzi il ruolo dell’ente locale e dei privati, per la realizzazione di buone pratiche politico-amministrative finalizzate a percorsi di inclusione e di integrazione degli stranieri regolarmente soggiornanti. Quanto al ruolo dell’ente locale, in un quadro di potenziamento della propria potestà regolamentare, è necessario che favorisca quelle iniziative che prevedano azioni di tipo continuativo a favore delle attività sociali latamente intese. Oltre alla valutazione dei progetti, dovrà, per esempio, offrire la propria collaborazione, il coordinamento ed il controllo da parte degli uffici competenti nonché attrezzature e l’eventuale copertura finanziaria, compatibilmente con le risorse a disposizione; coinvolgere le rappresentanze delle associazioni degli immigrati (al fine di tracciare una mappatura delle istanze e dei bisogni di cui siano portatori, posto che la diversità culturale pretende una risposta diversificata); potenziare il ruolo della mediazione culturale (nelle scuole, presso i luoghi di aggregazione sociale, nei presidi di cura); attivare tavoli di concertazione (stipula di convenzioni e di protocolli di intesa) che veda coinvolta, in modo coordinato e responsabile, una pluralità di soggetti, pubblici e privati, disposta a co-gestire i sistemi di welfare. Quanto ai privati, nel quadro di un governo territoriale partecipato, un ruolo cardine non può che essere svolto dalle organizzazioni di volontariato57 e dalle cooperative sociali, che presentano tali caratteristiche: siano organizzate su base territoriale e, specie quelle maggiormente radicate, abbiano una base associativa ampia che consenta loro di diversificare la progettualità e di coinvolgere altre associazioni; pratichino attività di monitoraggio e selezionino gli interventi, così dimostrando efficienza ed efficacia nella gestione delle risorse umane e finanziarie; promuovano la cultura della solidarietà anche attraverso campagne di comunicazione volte a coinvolgere altri volontari; partecipino ai processi decisio- 57 “.. la più diretta realizzazione del principio di solidarietà sociale, per il quale la persona è chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione di un’autorità, ma per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona umana stessa” (Corte cost., sent. 28 febbraio 1992, n. 75). A. Lazzaro, Volontariato e Pubblica amministrazione. Stato attuale e nuove prospettive, Milano 2006; M.T.P. Caputi Jambrenghi, Volontariato, sussidiarietà, mercato, Bari 2008; V. Berlingò, Beni relazionali. L’apporto dei fatti di sentimento all’organizzazione dei servizi sociali, Milano 2010; F. Dal Canto, Il volontariato nell’epoca delle autonomie, in Riv. Aretè 3, 2009, 116 ss.; A. Gragnani, Inclusione e solidarietà, A. Randazzo, Volontariato ed autonomie: un circolo virtuoso al servizio dell’inclusione sociale, entrambi in Il valore delle autonomie. Territorio, potere, democrazia (a cura di B. Pezzini, S. Troilo), Napoli 2015, rispettivamente 189 ss. e 361 ss. 180 Rossana Caridà L’integrazione sociale dello straniero… nali pubblici e la prossimità alle esigenze della collettività conferisca loro il ruolo di osservatori privilegiati dei bisogni e delle relative modalità di soddisfacimento. La selezione dei progetti da attuare, la previsione di forme di coordinamento e di collaborazione per la concreta esecuzione, gli obblighi di regolamentazione e di controllo costituiscono premesse indefettibili affinché attraverso il metodo della concertazione tra ente locale e terzo settore si possa realizzare una autentica partecipazione sotto il segno della responsabilità e della cittadinanza sostanziale, che possa fungere da volano per la realizzazione di uno Stato autenticamente sociale, dove ciascun amministrato, cittadino e non, sia parte attiva della società nella quale vive ed opera, della quale condivide i valori di riferimento e nei confronti della quale attua i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale58, il cui adempimento è richiesto dalla Repubblica all’art. 2 della Costituzione. 58 A. Barbera, Art. 2, in Commentario della Costituzione (a cura di G. Branca, A. Pizzorusso), Bologna-Roma 1975, 80 ss.; F. Giuffrè, I doveri di solidarietà sociale, in I doveri costituzionali cit., 3 ss.; F. Polacchini, Il principio di solidarietà, in Diritti e doveri (a cura di L. Mezzetti), Torino 2013, 227 ss. e, da ultimo, Id., Doveri costituzionali e principio di solidarietà, Bologna 2016; E. Rossi, Art. 2, in Commentario alla Costituzione (a cura di R. Bifulco, M. Celotto, M. Olivetti), 2006, 38 ss.; A. Morelli, I principi costituzionali relativi ai doveri inderogabili di solidarietà, in Principi costituzionali cit., 304 ss.; F. Fracchia, Integrazione, uguaglianza, solidarietà, in Diritto dell’immigrazione e diritti dei migranti cit., 229 ss.; S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Roma-Bari 2014. 181 Interventi  Parte I L’ACCOGLIENZA DEI RICHIEDENTI ASILO TRA EMERGENZA ED ESTERNALIZZAZIONE DELLA GESTIONE ~ Manuela Consito ~ 1. LO STATUS DEL RICHIEDENTE ASILO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO NEL QUADRO DELL’ACCOGLIENZA • 2. LA MESSA A DISPOSIZIONE DELLE STRUTTURE PER L’ACCOGLIENZA • 3. I SERVIZI DI ACCOGLIENZA TRA EMERGENZA ED ESTERNALIZZAZIONI. 1. Lo status del richiedente asilo nell’ordinamento italiano nel quadro dell’accoglienza Il richiedente asilo è lo straniero che vanta un diritto all’ingresso nello Stato italiano poiché «la tutela del diritto di asilo come prevista in Costituzione impone che la legge richiamata per disciplinarlo non possa porre limitazioni al diritto, ma solo condizioni1 alla permanenza dello straniero nella Repubblica2». Il principio secondo il quale «lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge» afferma un diritto di immigrazione nello Stato italiano, che esprime una pretesa d’ingresso e di soggiorno fondata sulla responsabilité de protéger tradotta nel principio del non refoulement 3 (art. 10, co. 3, Cost.). 1 Si è parlato di “congelamento” della norma costituzionale: Cons. St., sez. IV, 27 febbraio 1952, n. 208, in Foro it., 1952, III, 111 e s.; S. Magnanensi, P. Passaglia, E. Rispoli, La condizione giuridica dello straniero extracomunitario. Quaderno predisposto nell’occasione dell’incontro trilaterale delle Corti costituzionali italiana, spagnola e portoghese, Madrid, 25-26 settembre 2008, 49. Ma già in dissenso da quella che definiva come dottrina prevalente e a rettifica di una opinione precedentemente espressa, ritiene «seriamente dubitabile che la norma in esame abbia natura «programmatica», sembrando piuttosto costitutiva con effetto immediato del diritto di asilo (beninteso ricorrendone i presupposti e previo l’accertamento di essi), solo rinviando alla legge per le condizioni, e quindi i limiti eventuali, dell’esercizio del diritto stesso»: V. Crisafulli, In tema di incolato dell’apolide, in Foro amm., 1, 1957, 12. 2 P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, 34. 3 Corte EDU, 28 febbraio 2008, Saadi c. Italia; G. Goodwin-Gill, The Right to Seek Asylum: Interception at Sea and the Principle of Non-refoulement, in Int. Journal of Refugee Law, 2011, 447; S. Trevisanut, The principle of non refoulement at sea and the effectiveness of asylum protection, in Max Planck Yearbook of United Nations Law, 2008, 205; F. Salerno, L’obbligo internazionale di non refoulement dei richiedenti asilo, in Diritti umani e diritto internazionale, 2010, 287; A. Gianelli, Il carattere assoluto dell’obbligo di non refoulement: la sentenza Saadi della Corte europea dei diritti umani, in Rivista di diritto internazionale, 2008, 449; M. Pacini, Diritti umani e amministrazioni pubbliche, Milano, 2012, 45; A. Spagnolo, La tutela dei diritti umani nell’ambito dell’attività di Frontex, in Dir. imm. citt., n.3-4, 2014, 36. Sull’affermazione di un diritto alla migrazione come conseguente al diritto di asilo a fondamento del divieto di respingimento si consenta il rinvio a: M. Consito, La tutela amministrativa del migrante involontario. 182 Manuela Consito L’accoglienza dei richiedenti asilo… La Costituzione italiana assicura a quanti dichiarino l’impedimento nel proprio paese all’esercizio delle libertà democratiche da essa riconosciute una protezione sin dall’approdo sul territorio nazionale. È una protezione transeunte4 per il richiedente asilo poiché a copertura di quello status transitorio in cui egli versa e che va dall’accesso o approdo sul territorio nazionale del migrante che manifesti espressamente – anche in forma verbale - la volontà di richiedere la protezione sino alla definizione del relativo procedimento di riconoscimento del diritto di asilo. L’asilo assicurato al richiedente è perciò prodromo5 della protezione piena – non importa ora se di rifugio6, sussidiaria7 o umaniRichiedenti asilo, asilanti e apolidi, Napoli, 2016, 14 e s.; Id., Modelli organizzativi d’integrazione europea: il diritto di asilo e la libera circolazione (dell’asilante), in L’organizzazione delle pubbliche amministrazioni tra Stato nazionale e integrazione europea (a cura di R. Cavallo Perin, A. Police, F. Saitta), in A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana (a cura di L. Ferrara, D. Sorace), Vol. I, Firenze, 2016, 579 e s. 4 P. Passaglia, Eutanasia di un diritto (la triste parabola dell’asilo), in Foro it., 2006, I, 2851. «Sebbene le due categorie considerate — asilo e status di rifugiato — siano ontologicamente distinte nella nozione, nel contenuto, nell’onere della prova, non richiedendosi per l’asilante la prova del presupposto della persecuzione, la relativa disciplina stabilisce pur sempre un iter procedimentale che le accomuna in questa sola chiave, in ragione delle esigenze di ordine e sicurezza pubblici, che pur sono valori presidiati costituzionalmente»: Cass., 25 agosto 2006, n. 18549, in Foro it., 2007, I, 1869; Cass., SU, 26 maggio 1997, n. 4674, in Riv. dir. internaz., 1997, 843: «il precetto costituzionale e la normativa sui rifugiati politici, infatti, non coincidono dal punto di vista soggettivo, perché la categoria dei rifugiati politici è meno ampia di quella degli aventi diritto all’asilo, in quanto la citata Convenzione di Ginevra prevede quale fattore determinante per la individuazione del rifugiato, se non la persecuzione in concreto, un fondato timore di essere perseguitato, cioè un requisito che non è considerato necessario dall’art. 10, terzo comma, Cost.»; distingue tra diritto all’ingresso sul territorio nazionale e diritto all’accesso al medesimo affermando che, nell’assenza di una specifica disciplina attuativa del dettato costituzionale, «il diritto di asilo deve intendersi non tanto come un diritto all’ingresso nel territorio dello Stato, quanto piuttosto, e anzitutto, come il diritto dello straniero di accedervi al fine di essere ammesso alla procedura di esame della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato politico. Il diritto di asilo non ha, cioè, contenuto legale diverso e più ampio del diritto a ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per la durata dell’istruttoria della pratica attinente il riconoscimento dello status di rifugiato»: Cass., sez. I, 25 novembre 2005, n. 25028, in Foro it., 2006, parte I, 2851. 5 Cass., SU, n. 4674 del 1997, cit.: «In mancanza di una legge di attuazione del precetto di cui all’art. 10, terzo comma, Cost., infatti, allo straniero il quale chiede il diritto di asilo null’altro viene garantito se non l’ingresso nello Stato, mentre il rifugiato politico, ove riconosciuto tale, viene a godere, in base alla Convenzione di Ginevra, di uno status di particolare favore»; con riferimento alle garanzie assicurate dagli accordi internazionali a chi invoca asilo politico o il riconoscimento dello status di rifugiato, la posizione dello straniero che intenda contrastare la determinazione negativa della commissione centrale non è sfornita di tutela poiché in pendenza del ricorso giurisdizionale avanti al tribunale, lo straniero può chiedere al prefetto di essere autorizzato a trattenersi nel territorio nazionale in presenza dei presupposti ed alle condizioni stabilite dalla relativa disciplina: Cons. St., sez. VI, 22 maggio 2007, n. 2593. 6 Convenzione sullo Statuto dei rifugiati, 28 luglio 1951, Ginevra; l. 24 luglio 1954, n. 722, Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951. 7 Per la disciplina dell’Unione europea: v. Direttiva 2001/55/CE sulla protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione europea e che non possono fare rientro nel Paese d’origine, per l’ordinamento italiano: il d.lgs. 7 aprile 2003, n. 85; per i richiedenti asilo e protezione internazionale v. all’origine: Direttiva 2003/09/CE sulle condizioni minime di accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati, per l’ordinamento italiano: d.lgs. n. 30 maggio 2005, n. 140; Direttiva 2004/83/CE sull’attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, c.d. “direttiva qualifiche”, per l’ordinamento italiano: d.lgs. 9 novembre 2007, n. 251, la quale non solo statuisce una nozione comune di rifugiato, ma vi affianca la protezione sussidiaria, definendo in tal modo il concetto di protezione internazionale, anche nei suoi contenuti minimi; Direttiva 2005/85/CE sulle norme minime applicate nei vari Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, c.d. “direttiva procedure”, per l’ordinamento italiano: d.lgs. 25 183 Interventi  Parte I taria8 o dell’apolide9 – e sua «causa di giustificazione10», poiché declinato nel diritto a ottenere un permesso di soggiorno temporaneo (permesso di soggiorno per richiesta di asilo) finalizzato a consentire lo svolgimento del procedimento11 utile al riconoscimento di uno status e dell’eventuale successivo giudizio contro il diniego dello stesso12 (art. 10, co. 3 Cost.; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea13, artt. 18, 19; TFUE, artt. 78 §§ 1 e 2, 79 §§ 1 e 2). gennaio 2008, n. 25. Tutte ora rifuse in nuove discipline: Direttiva 2011/95/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (rifusione); Direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (rifusione); Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione). 8 Per i limiti alla protezione umanitaria per motivi speciali: d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, art. 1, co. 1, lett. b). 9 Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status degli apolidi, New York, 28 settembre 1954, ratificata dall’Italia con l. 1 febbraio 1962, n. 306; Convenzione delle Nazioni Unite sulla riduzione dell’apolidia, 30 agosto 1961; Convenzione europea sulla nazionalità, 6 novembre 1997; Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione della condizione di apolide in relazione alla successione di Stati, 19 maggio 2006; Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, New York, 1948, art. 15: «Ogni individuo ha diritto a una cittadinanza. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza»; ma già anche Disposizioni preliminari al Codice civile, art. 29, ora abrogato: «Se una persona non ha cittadinanza, si applica la legge del luogo dove risiede in tutti i casi nei quali dovrebbe applicarsi la legge nazionale». 10 C. Esposito, Asilo, (diritto di), Diritto Costituzionale, in Enc. dir., 226; R. D’Alessio, Art. 10, co.2-4, in Commentario breve alla Costituzione (a cura di V. Crisafulli, L. Paladin), Padova, 1990, 67; M. Benvenuti, Asilo (diritto di), Diritto Costituzionale, in Enc. giur., Roma, 2007, 1. Sull’evoluzione del diritto di asilo e sul dovere di ospitalità e di solidarietà come suo fondamento si consenta il rinvio a: M. Consito, La tutela amministrativa del migrante involontario. Richiedenti asilo, asilanti e apolidi, cit., 209 e s.; I. Massa Pinto, Costituzione e fraternità. Una teoria della fraternità conflittuale: “come se” fossimo fratelli, Napoli, 2011; A. Mattioni, Solidarietà giuridicizzazione della fraternità, in La fraternità come principio del diritto pubblico (a cura di A. Marzanati, A. Mattioni), Roma, 2007, 18; E. Rossi, A. Bonomi, La fraternità fra “obbligo” e “libertà”. Alcune riflessioni sul principio di solidarietà nell’ordinamento costituzionale, ivi, 61. 11 L’asilo è strumentale all’avvio del procedimento amministrativo di valutazione della sussistenza dei requisiti capaci di consolidare la protezione: Cass., sez. I, 23 agosto 2006, n. 18353, in Nuova giur. civ., 2007, I, 605; Cass. n. 18549 del 2006, cit.; S. Magnanensi, P. Passaglia, E. Rispoli, La condizione giuridica dello straniero extracomunitario. Quaderno predisposto nell’occasione dell’incontro trilaterale delle Corti costituzionali italiana, spagnola e portoghese, cit., 52. 12 Al richiedente asilo è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo valido nel territorio nazionale per sei mesi, rinnovabile fino alla decisione della domanda o comunque per il tempo in cui è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale ove abbia presentato ricorso contro il diniego di protezione e sia stata disposta la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato: v. d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, Attuazione della direttiva 2013/33/UE, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale nonché della direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, art. 4, co. 1 e 2; d.lgs.1 settembre 2011, n. 150, Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69, art, 19, co. 4 e 5. Il diritto di asilo deve intendersi come diritto di accedere nel territorio dello Stato al fine di esperire la procedura per ottenere lo status di rifugiato e non ha contenuto più ampio del diritto ad ottenere il permesso di soggiorno temporaneo per la durata della relativa istruttoria. Permesso di soggiorno che, in caso di esito negativo, non ha giustificazione siccome esso è strumentale a consentire all’istante la permanenza nel nostro paese solo fino all’esito della procedura: Cass. n. 18549 del 2006, cit. 184 Manuela Consito L’accoglienza dei richiedenti asilo… 2. La messa a disposizione delle strutture per l’accoglienza L’articolazione normativa prevede numerose tipologie di strutture destinate al trattenimento e all’accoglienza del richiedente asilo. Possono ora solo ricordarsi tra le molte denominazioni, variate nel tempo, i CDA (Centri di accoglienza) destinati al primo soccorso e assistenza14 in Puglia, poi distinti dai centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA15) per la prevista possibilità di attivazione di nuove strutture su altre parti del territorio nazionale ove se ne ravvisi la necessità16 «per fronteggiare situazioni di emergenza che si verificano in altre aree del territorio nazionale17». Al livello dei centri di soccorso e prima assistenza si possono ricondurre anche i c.d. «punti di crisi» o hotspots o «aree di sbarco attrezzate», previsti dall’Agenda europea sulla migrazione18. 13 Per l’affermata immediata precettività della norma: art. 6 TFUE «L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati»; v. da ultimo sull’immediata invocabilità nell’ambito di una controversia tra privati: CGUE, 6 novembre 2018, C-569/16, Stadt Wuppertal c. M.E. Bauer e V. Willmeroth c. M. Broβonn. 14 D.l. 30 ottobre 1995, n. 451, Disposizioni urgenti per l’ulteriore impiego del personale delle Forze armate in attività di controllo della frontiera marittima nella regione Puglia, conv. in l. 29 dicembre 1995, n. 563, art. 2, c.d. Legge Puglia. Si è trattato inizialmente di tre soli centri, a Lecce, Brindisi e Otranto. 15 D. interministeriale 16 febbraio 2006 che ha così denominato i centri di accoglienza di Otranto, Lampedusa prima già CPTA, Pozzallo ed Elmas. 16 Benché fondata in origine su una norma di carattere straordinario di necessità e urgenza la disciplina della c.d. Legge Puglia risulta sempre confermata in alterne vicende normative finendo con il rappresentare oggi la base legislativa per l’istituzione dei centri di primo soccorso e accoglienza presenti sull’intero territorio italiano. Da ultimo: d.lgs. n. 142 del 2015, cit., art. 9, co. 3 ove si chiarisce che «le strutture allestite ai sensi del decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563 possono essere destinate, con decreto del Ministero dell’interno, alle finalità di cui al presente articolo (ndr: misure di prima accoglienza)»; in forza all’art. 8, co. 2 del medesimo d.lgs. «le funzioni di soccorso e prima assistenza, nonché di identificazione continuano a essere svolte nelle strutture allestite ai sensi del decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563». 17 D.l. n. 451 del 1995, cit., art. 2, co. 2; d.m. 2 gennaio 1996, n. 233, Regolamento per l’attuazione dell’art. 2 del D.L. 30 ottobre 1995, n. 451, convertito dalla L. 29 dicembre 1995, n. 563, concernente: «Disposizioni urgenti per l’ulteriore impiego del personale delle Forze armate in attività di controllo della frontiera marittima nella regione Puglia», art. 2, cpv. 1: «qualora se ne ravvisi la necessità, in relazione al modificarsi dei flussi migratori, il Ministro dell’interno, sentita la regione competente e compatibilmente con le dotazioni di bilancio, può disporre con proprio provvedimento, anche su proposta del commissario straordinario per l’immigrazione, l’attivazione di nuove strutture in altri comuni o la chiusura, anche temporanea, di quelle esistenti». In tali termini opera il rinvio espresso di cui al d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1996, n. 286, art. 23: le attività di prima assistenza e soccorso «(…) di cui al comma 1 sono effettuati a cura del prefetto con le modalità e con l’imputazione degli oneri a norma delle disposizioni di legge in vigore, comprese quelle del decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563» 18 COM(2015) 240, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni. Agenda europea sulla migrazione, cit., 7; parla di «aree di sbarco attrezzate»: Ministero dell’Interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, Circolare 6 ottobre 2015, n. 14106, Decisioni del Consiglio Europeo n. 1523 del 14 settembre 2015 e n. 1601 del 22 settembre del 2015 per istituire misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia – Avvio della procedura di relocation, 2. «In Italia il quartier generale di Catania (Sicilia) sta coordinando le operazioni in quattro porti 185 Interventi  Parte I È stabilita l’istituzione di nuove strutture, individuate anche in «punti mobili19», o la conversione di centri già esistenti da destinarsi al rapido espletamento delle operazioni di registrazione, di identificazione e di rilevamento delle impronte digitali20, cui affiancare quelle di c.d. debriefing dei richiedenti asilo e l’attivazione delle operazioni di rimpatrio di quanti non necessitino protezione21 per il tramite di attività svolte in modo complementa(Pozzallo 300 posti, Porto Empedocle 300 posti e Trapani in Sicilia 400 posti e quello dell’isola di Lampedusa 500 posti) che sono stati identificati come Hotspots. In ciascuno di questi vi sono strutture di prima accoglienza che possono ospitare complessivamente 1500 persone ai fini dell’identificazione, della registrazione e del rilevamento delle impronte digitali. Altre due strutture di accoglienza saranno pronte ad Augusta (300 posti) e Taranto (400 posti) entro la fine del 2015»: Commissione europea, Scheda informativa - Il metodo basato su hotspots per la gestione dei flussi migratori eccezionali, 8 settembre 2015, http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/ what-we-do/policies/european-agenda-migration/background-information/docs/2_hotspots_en.pdf; Decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio, 22 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia; Decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio, 14 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia, da cui è derivato l’obbligo per l’Italia e la Grecia di presentare il 16 settembre 2015 una tabella di marcia (ndr. Roadmap) che «comprenda misure adeguate nei settori dell’asilo, della prima accoglienza e del rimpatrio dirette a migliorare le capacità, la qualità e l’efficacia dei loro sistemi in questi settori, e misure che garantiscano l’adeguata attuazione della presente decisione», Dec. (UE) n. 1523 del 2015, cit., art. 8, co. 1, in adempimento del quale per l’Italia il Ministero dell’Interno ha elaborato il 26 settembre 2015 la Roadmap italian. 19 Per l’Italia prevede hotspots mobili attraverso una non meglio definita fornitura e installazione da parte di Frontex di strutture mobili presso taluni porti di maggiore sbarco a fronte del sopraggiungere del periodo estivo: COM(2016) 360, Communication from the Commission to the European Parliament, the European Council and the Council. Third report on relocation and resettlement, cit., 4; per un’analisi del livello di attuazione del sistema hotspots in Grecia e in Italia: COM(2016)141, 4 marzo 2016, Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio. Progressi compiuti nell’attuazione degli “hotspot” in Grecia; COM(2015) 679, 15 dicembre 2015, Communication from the Commission to the European Parliament and the Council. Progress report on the implementation of the hotspots in Italy; COM(2015) 678, 15 dicembre 2015, Communication from the Commission to the European Parliament and the Council. Progress report on the implementation of the hotspots in Greece. 20 Auspica la definizione di procedure operative standard (Standard Operating Procedures) per gli hotspots: COM(2015) 679, 15 dicembre 2015, Communication from the Commission to the European Parliament and the Council. Progress Report on the Implementation of the hotspots in Italy, 3. Si tratta di procedure delineate per l’Italia dal Ministero dell’Interno, Roadmap italiana, cit., 6 e s.: screening medico all’arrivo, pre-identificazione (compilazione del «foglio-notizie» con indicazione di generalità, foto, informazioni di base e espressa o mancata volontà di richiesta della protezione internazionale) a seguito di intervista del migrante da parte di «funzionari degli uffici immigrazione», ulteriori interviste da parte di funzionari di polizia investigativa con il supporto di funzionari Frontex ed Europol per «acquisire informazioni utili per scopi investigativi e/o di intelligence», fotosegnalazione come CAT 1 (richiedenti asilo) o CAT 2 (ingresso irregolare) e conseguente trasferimento, rispettivamente, in un centro di prima assistenza o in un CIE. Segnala la mancata individuazione di simili procedure per la Grecia: COM (2016) 360, Communication from the Commission to the European Parliament, the European Council and the Council. Third report on relocation and resettlement, cit., 5. 21 «(…) l’attività di soccorso e di identificazione degli stranieri che sbarcano o giungono irregolarmente nel territorio, (…) riguarda indistintamente tutti gli stranieri e rimane soggetta al regime giuridico proprio (di cui al d.l. n. 451/1995 e al DM. 2 gennaio 1996, n. 233). In questa fase, preliminare, in cui si inquadra anche l’istituzione dei c.d. hot-spot di cui alla Decisione (UE) 2015/1523, si procede, oltre che al primo screening sanitario e all’assistenza immediata dei migranti, alle operazioni di identificazione, di registrazione ed alla separazione del percorso dei richiedenti asilo, trasferiti immediatamente nei centri di prima accoglienza, da quello dei migranti irregolari che non hanno diritto a rimanere nel territorio nazionale»: Ministero dell’Interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, Circolare 30 ottobre 2015, n. 2255, sul Decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, di attuazione della Direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della Direttiva 2013/31/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale, 2. 186 Manuela Consito L’accoglienza dei richiedenti asilo… re da più agenzie europee (Ufficio europeo di sostegno all’asilo - EASO22; Agenzia dell’Ue per la gestione delle frontiere esterne – Frontex, ora sostituita dall’Agenzia europea per la guardia costiera e di frontiera23; Agenzia di cooperazione di polizia dell’Ue – Europol; Agenzia per la cooperazione giudiziaria dell’UE – EUROJUST24). Si tratta di un esempio delle misure temporanee che possono essere attivate dall’Unione europea nell’ambito del c.d. sistema di emergenza25 a beneficio degli Stati membri interes- 22 Regolamento (UE) n. 439/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio. 19 maggio 2010, che istituisce l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo. 23 L’Agenzia riunisce l’Agenzia comunitaria di frontiera Frontex e le autorità di gestione delle frontiere nazi nali: Parlamento UE, P8_TA-PROV(2016)0305, Risoluzione legislativa del del sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla guardia costiera e di frontiera europea e che abroga il regolamento (CE) n. 2007/2004, il regolamento (CE) n. 863/2007 e la decisione 2005/267/CE del Consiglio (COM(2015)0671–C8-0408/2015 –2015/0310(COD)), cit. Numerosi i contributi sul ruolo dell’Agenzia Frontex, tra cui: A. Liguori, Sul meccanismo di co-respondent previsto nel progetto di accordo per l’adesione dell’Uunione europea alla convenzione europea dei diritti umani, in Rivista di Diritto Internazionale, fasc.1, 2014, 174; A. Liguori, N. Ricciuti, Frontex ed il rispetto dei diritti umani nelle operazioni congiunte alle frontiere esterne dell’Unione Europea, in Diritti umani e diritto int., 2012, 539; E. Guild, S. Carrera, L. Den Hertog, J. Parkin, Implementation of the EU Charter of Fundamental Rights and its Impact on EU Home Affairs Agencies, Frontex, Europol and the European Asylum Support Office, Report requested by the European Parliament’s Committee on Civil Liberties, Justice and Home Affairs (LIBE), Brussels, 2011, 84; V. Moreno Lax, Seeking Asylum in the Mediterranean: Against a Fragmentary Reading of EU Member State’s Obligations Accruing At Sea, in Int. Journal of Refugee Law, 2011, 200.; G. Goodwin-Gill, The Right to Seek Asylum: Interception at Sea and the Principle of Non-refoulement, cit., 447; G. Caggiano, Attività e prospettive di intervento dell’Agenzia Frontex nel Mediterraneo, in Europa e Mediterraneo, Le regole per la costruzione di una società integrata, Atti del XIV Convegno della SIDI, Napoli, 2010, 403; In Search of Europe’s Border (a cura di K. Groenenduk, E. Guild, P. Minderhoud), The Hague, London, New York, 2003. 24 «L’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), l’Agenzia dell’UE per la gestione delle frontiere (Frontex), l’Agenzia di cooperazione di polizia dell’UE (Europol) e l’Agenzia per la cooperazione giudiziaria dell’UE (EUROJUST) lavoreranno sul terreno con le autorità dello Stato membro per aiutarlo ad adempiere agli obblighi derivanti del diritto dell’UE e a condurre con rapidità le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo. Le attività delle agenzie saranno complementari. Il metodo basato sugli Hotspots contribuirà anche all’attuazione dei meccanismi temporanei di ricollocazione proposti dalla Commissione europea il 27 maggio e il 9 settembre: le persone che hanno evidente bisogno di protezione internazionale saranno individuate negli Stati membri in prima linea e trasferite verso altri Stati membri dell’UE nei quali sarà trattata la loro domanda d’asilo. (…) Le richieste di asilo saranno trattate più velocemente possibile con l’aiuto delle squadre di supporto dell’EASO; Frontex aiuterà gli Stati membri coordinando il rimpatrio dei migranti irregolari che non necessitano di protezione internazionale; Europol e Eurojust assisteranno lo Stato membro ospitante nelle indagini per smantellare le reti della tratta e del traffico di migranti»: Commissione europea, Scheda informativa - Il metodo basato su hotspots per la gestione dei flussi migratori eccezionali, 8 settembre 2015, http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-we-do/policies/european-agenda-migration/background-information/docs/2_hotspots_en.pdf 25 Enuncia i “punti di crisi” o hotspots tra gli esempi dei meccanismi temporanei di emergenza nel quadro delle misure da adottare per far fronte alla crisi dei rifugiati e dei migranti: Consiglio dell’Unione europea, Proposta n. 14513/15, 1 dicembre 2015, Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo di ricollocazione di crisi e modifica il regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide – Stato dei lavori, 2; istituiscono misure temporanee di emergenza nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia, al fine di aiutare tali Stati membri ad affrontare meglio una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi nel loro territorio: Decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio, cit., art. 1 e Decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio, cit., art. 1. 187 Interventi  Parte I sati da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi e che sono funzionali al reinsediamento e alla ricollocazione26 dei migranti (TFUE art.78, § 327), di cui è nota l’attuale messa in discussione. Il livello della c.d. prima accoglienza vede un susseguirsi di alterne denominazioni con qualificazioni di taluni centri in un primo momento quali centri di permanenza temporanea (CPT) e centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA28), cui segue poi una distinzione in ragione del fine - identificazione ed espulsione o accoglienza - in centri di identificazione (CID) o centri di identificazione ed espulsione (CIE29) poi centri di permanenza e rimpatrio (CPR) e centri di accoglienz per richiedenti asilo (CARA30), HUB regionali e interregionali31, e 26 COM(2015) 240, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni. Agenda europea sulla migrazione, cit., 5, 21, 22; Decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio, cit., art. 2 § 1, lett. e e Decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio, cit., art. 2, § 1, lett. e. M. Di Filippo, Le misure sulla ricollocazione dei richiedenti asilo adottate dall’Unione europea nel 2015: considerazioni critiche e prospettive, in Diritto, imm., citt., XVII, 2, 2015, 4 e s.; Id., Considerazioni critiche in tema di sistema di asilo dell’Ue e condivisione degli oneri, in I Diritti dell’uomo, 1, 2015, 54 e s. Sull’obbligo per la Commissione Ue di relazionare al Consiglio sull’attuazione delle decisioni in materia di ricollocazione e reinsediamento: Decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio, cit., art. 12; Decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio, cit., art. 12; COM(2016) 120, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio. Ritorno a Schengen – Tabella di marcia (Back to Schengen – A Roadmap), cit., 13. Ha inciso in particolare sul reinsediamento la Dichiarazione UE-Turchia, 18 marzo 2016 in forza della quale si auspicava che qualsiasi impegno in termini di reinsediamenti assunto nel quadro di tale accordo potesse essere dedotto dagli Stati membri dai posti non assegnati ai sensi delle Decisioni sopra richiamate. COM(2016) 165, 16 marzo 2016, Communication from the Commission to the European Parliament, the European Council and the Council. First report on relocation and resettlement; COM(2016) 222, 12 aprile 2016, Communication from the Commission to the European Parliament, the European Council and the Council. Second report on relocation and resettlement; COM(2016) 360, 18 maggio 2016, Communication from the Commission to the European Parliament, the European Council and the Council. Third report on relocation and resettlement. 27 «Qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo»: TFUE art. 78, § 3. 28 Sono i centri istituiti con l. 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, c.d. legge Turco-Napolitano, art. 12. 29 Si tratta dei centri di cui al d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, art. 14, così denominati dal d.l. 23 maggio 2008, n. 92, Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, art. 9: «Le parole: “centro di permanenza temporanea” ovvero: “centro di permanenza temporanea ed assistenza” sono sostituite, in generale, in tutte le disposizioni di legge o di regolamento, dalle seguenti: “centro di identificazione ed espulsione” quale nuova denominazione delle medesime strutture», per un inquadramento generale dei quali: C. Mazza, La prigione degli stranieri. I Centri di identificazione e di espulsione, Roma, 2013. 30 I centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) vennero istituiti con decreto del Ministero dell’interno, il quale può, del pari, destinare a tali fini strutture già allestite come centri di accoglienza (CDA) o apposite aree all’interno di esse: d.P.R. 12 gennaio 2015, n. 21, Regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale a norma dell’articolo 38, comma 1, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, art. 9, co. 1 e 2. 31 Ricorre a tale terminologia, per indicare i centri di prima accoglienza già CARA: Ministero dell’Interno, Roadmap italiana, cit., 4. 188 Manuela Consito L’accoglienza dei richiedenti asilo… centri governativi di primo soccorso e accoglienza (CSPA), centri di prima accoglienza (CPA) e centri di accoglienza straordinari (CAS32). Per l’ordinamento italiano il riferimento ai servizi di prima accoglienza è però in origine inteso anzitutto presso i valichi di frontiera, dove i locali e le aree attrezzate necessari sono da reperire, ove possibile, all’interno della zona di transito, e sono messi a disposizione dall’amministrazione demaniale o, anche a titolo oneroso, dall’ente concessionario della gestione e/o dei servizi degli scali, aeroportuali e portuali, territorialmente competenti33. È su tale previsione che si innesta l’attuale disposto normativo, che prevede il trattenimento dello straniero richiedente asilo presso le zone di frontiera in luoghi non meglio definiti ma a tal fine adibiti, di cui resta incerta la compatibilità non solo con riguardo alle norme in tema di tutela degli asilanti ma anzitutto con il disposto costituzionale (art. 13 Cost.). Da quest’ultimi in ogni caso i centri di soccorso e di prima accoglienza si distinguono poiché vere e proprie strutture, il cui tratto unificante è l’essere tutte «strutture alloggiative ove, anche gratuitamente, si provvede alle immediate esigenze alloggiative ed alimentari dello straniero34», cui altri servizi possono aggiungersi35. Sono centri e strutture alloggiative, dunque infrastrutture, che per disciplina generale possono essere messe a disposizione sia mediante l’edificazione ex novo o la ristrutturazione di fabbricati esistenti, sia mediante la locazione di fabbricati esistenti ove ve ne sia disponibilità. In tale ultimo caso ricorda la Commissione UE che «in base alla disponibilità gli alloggi possono essere forniti senza procedure di aggiudicazione di appalti affittando fabbricati già esistenti sul mercato o adibendo ad alloggio infrastrutture pubbliche esistenti (p.es. caserme, scuole, strutture sportive)36». Occorre in ogni caso distinguere tra contratti pubblici di locazione attiva e contratti pubblici di locazione passiva. Nel primo caso la scelta tra i due strumenti di attribuzione in 32 D.lgs. n. 142 del 2015, cit., art. 8, art. 9 (per i CPA), art. 11 (per i CAS). I centri di accoglienza per richieden- ti asilo (CARA) già istituiti alla data di entrata in vigore del presente decreto svolgono le funzioni di cui al presente articolo (ndr: centri di prima accoglienza): d.lgs. n. 142 del 2015, cit., art. 9, co. 3. 33 In caso di valichi terrestri, i locali dovranno essere situati, ove possibile, nella zona immediatamente circostante: d. Ministro dell’interno, 22 dicembre 2000, Modalità per l’espletamento dei servizi di accoglienza presso i valichi di frontiera, art. 6, co. 1; d. lgs. n. 286 del 1998, cit., art. 11, co. 6; d.P.R. n. 394 del 1999, cit., art. 24. 34 D.lgs. n. 286 del 1998, cit., art. 40, co. 3, ove la norma, pur riferita a sole strutture predisposte al livello regionale, ne offre una definizione che ben si presta a una lettura di ampia portata. 35 Si consenta per un approfondimento il rinvio a M. Consito, La tutela amministrativa del migrante involontario. Richiedenti asilo, asilanti e apolidi, cit., 182. 36 Commissione europea, COM(2015) 454, 9 settembre 2015, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle norme di aggiudicazione degli appalti pubblici in relazione all’attuale crisi nel settore dell’asilo, 4 e s.; direttiva 2014/24/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, art. 10, lett. a): «La presente direttiva non si applica agli appalti pubblici di servizi: 1. a) aventi per oggetto l’acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni»; già direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, art. 16, lett. a). 189 Interventi  Parte I godimento a soggetti terzi (concessione amministrativa e locazione) di un bene pubblico deve avere, quale parametro di riferimento esclusivo, la natura (demaniale, patrimoniale indisponibile o patrimoniale disponibile) del bene ed il regime giuridico cui conseguentemente è sottoposto. L’applicazione dello strumento concessorio all’attribuzione in godimento di un bene, imprescindibile laddove si tratti di bene del demanio o del patrimonio indisponibile, non è, invece, ritenuto conforme ai principi dell’ordinamento laddove abbia ad oggetto un bene patrimoniale disponibile37. Nel secondo caso la disciplina vuole per le locazioni delle amministrazioni dello Stato il rispetto di un preciso iter procedurale che prevede la previa compilazione di un piano triennale di fabbisogno, lo svolgimento di un’indagine preventiva di mercato, ferma in ogni caso la necessità di nulla-osta dell’Agenzia del Demanio38. Più in particolare per i centri governativi (CPA, CAS) i prefetti individuano «le strutture con le caratteristiche ricettive ritenute idonee in base alle esigenze, utilizzando beni immobili di proprietà dello Stato conferiti in uso gratuito per servizio governativo dall’amministrazione demaniale39». 37 Cons. St., sez. VI, 5 giugno 2007, n. 2989; Tar Marche, sez. I, 5 aprile 2013, n. 285; Corte conti, sez. contr. reg. Sardegna, 7 marzo 2008, n. 4. 38 L. 23 dicembre 2009, n. 191, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010), art. 2, co. 222; C. conti, sez. centr. contr. Stato legittimità, 16 maggio 2014, n. 11; Corte conti, sez. centr. contr. Stato legittimità, 23 marzo 2012, n. 7; sulla gestione e destinazione di beni secondo un profilo particolare: M. Mazzamuto, Gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati tra giurisdizione e amministrazione, in Giur. i, 2013, 477 e s.; secondo profili generali: G. De Giorgi Cezzi, Le concessioni di beni pubblici e il processo di privatizzazione, in Ius Publicum Network Review, Torino, 2011; L. Mercati, Pubblico e privato nella valorizzazione del patrimonio immobiliare, Torino, 2009; M. Dugato, Il regime dei beni pubblici: dall’appartenenza al fine, in A. Police (a cura di), I beni pubblici, tutela, valorizzazione e gestione, Milano, 2008, 17 e s.; B. Tonoletti, Beni pubblici e concessioni, Padova, 2008; A. Brancasi, L’ordinamento contabile, in Sistema del diritto amministrativo italiano (a cura di F.G. Scoca, F.A. Roversi Monaco, G. Morbidelli)Torino, 2005, 258; G. Della Cananea, I beni, in Istituzioni di diritto amministrativo (a cura di S. Cassese), Milano, 2004, 171 e s.; M. Renna, La regolazione amministrativa dei beni a destinazione pubblica, Milano, 2004; AA.VV., Titolarità pubblica a regolazione dei beni, in Annuario Aipda 2003. Titolarità pubblica e regolazione dei beni, Milano, 2004; A. Massera, I contratti, in Trattato di diritto amministrativo. Parte generale (a cura di S. Cassese), tomo II, Milano, 2003, 1601; G. Colombini, Demanio e patrimonio dello Stato e degli enti pubblici, in Dig. pubbl., vol. V, Torino, 1990, 1 e s.; D. Sorace, C. Marzuoli, voce Concessioni amministrative, in Dig. disc. pubbl., vol. III, 280; V. Caputi Jambrenghi, Premesse per una teoria dell’uso dei beni pubblici, Napoli, 1979; V. Caputi Jambrenghi, Beni pubblici, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988; V. Cerulli Irelli, Proprietà pubblica e diritti collettivi, Padova, 1975; S. Cassese, I beni pubblici: circolazione e tutela, Milano, 1969. 39 D.m. n. 233 del 1996, cit., art. 3, co. 3. Il conferimento al Ministero dell’interno avviene secondo il disposto del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato, art. 1, co. 2: «I beni immobili assegnati ad un servizio governativo s’intendono concessi in uso gratuito al ministero da cui il servizio dipende e sono da esso amministrati. Tosto che cessi tale uso passano all’amministrazione delle finanze»; inoltre r.d. 23 maggio 1924, n. 827, Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato; sul punto L. Mercati, Commento all’art. 828 cod.civ., in Commentario del Codice civile. Della proprietà. Artt. 810-868 (a cura di A. Jannarelli, F. Macario), diretto da E. Gabrielli, Torino, 2012, 221; G. Napolitano, Le norme di unificazione economica, in Riv. trim. dir. pubb., 2011, 105. 190 Manuela Consito L’accoglienza dei richiedenti asilo… Il regime proprietario di dette strutture ricettive40 non configura in ogni caso impedimento alcuno a una separazione tra la titolarità delle strutture stesse e la successiva gestione dei servizi che in queste sono resi41. Il legislatore stesso apre al coinvolgimento di soggetti terzi42 a partire dalla concessione in comodato d’uso gratuito di detti immobili43, per ciò senza escludere la previsione con lex specialis di gara di precise obbligazioni in capo al gestore dei servizi di accoglienza anche in termini di adeguamento tecnico-strutturale dei locali destinati allo svolgimento di detti servizi44, restando non revocabile in dubbio la possibile separazione tra il diritto d’uso di beni demaniali dal diritto all’esercizio di un servizio45. 40 Direttiva del Ministro dell’interno in materia di implementazione delle attività di controllo sui soggetti affidatari dei servizi di accoglienza dei cittadini extracomunitari, Direttiva del Ministro dell’interno in materia di implementazione delle attività di controllo sui soggetti affidatari dei servizi di accoglienza dei cittadini extracomunitari, prot. n. 14100/110, 4 agosto 2015, che ricorda come le verifiche, i controlli e i monitoraggi dei centri governativi di accoglienza vanno effettuati non solo sui gestori ma anche sui titolari/proprietari ovvero sui soggetti facenti parte dell’assetto proprietario delle strutture ricettive di destinazione dei migranti. 41 Suggerisce in tal senso la verifica della possibilità di separare il possesso delle strutture adibite a centro di accoglienza dalla sua gestione: Autorità Nazionale Anticorruzione, Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali, 6 luglio 2015, 14. Già il d.P.R. n. 394 del 1999, cit., art. 22, co. 2, prevede, per il caso dei centri di identificazione ed espulsione, «la locazione, l’allestimento, il riadattamento e la manutenzione di edifici e di aree di trasporto ed il posizionamento di strutture anche mobili, la predisposizione e la gestione di attività per l’assistenza, compresa quella igienico-sanitaria e quella religiosa, il mantenimento, il vestiario, la socializzazione, e quant’altro occorra al decoroso soggiorno nel centro, anche per le persone che vi prestano servizio. Quando occorre procedere all’acquisto di edifici o aree, il competente ufficio del Ministero delle finanze provvede sulla richiesta del Ministero dell’interno». 42 D.P.R. n. 394 del 1999, art. 23, co. 1 e 2: «Le attività di accoglienza, assistenza e quelle svolte per le esigenze igienico-sanitarie, connesse al soccorso dello straniero possono essere effettuate anche al di fuori dei centri di cui all’articolo 22, per il tempo strettamente necessario all’avvio dello stesso ai predetti centri o all’adozione dei provvedimenti occorrenti per l’erogazione di specifiche forme di assistenza di competenza dello Stato. 2. Gli interventi di cui al comma 1 sono effettuati a cura del prefetto con le modalità e con l’imputazione degli oneri a norma delle disposizioni di legge in vigore, comprese quelle del decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563». 43 A titolo d’esempio v. d.m. dell’interno, 21 luglio 2014, Schema di capitolato d’appalti per la gestione dei centri di accoglienza per immigrati, art. 4: «In caso di allestimento del Centro in immobile di proprietà dell’Amministrazione dell’interno, lo stesso è concesso in comodato d’uso per la durata del contratto, senza oneri a carico dell’Ente gestore. Le utenze restano a carico dell’Amministrazione concedente. La consegna e riconsegna dell’immobile all’Ente gestore è preceduta dalla redazione dello stato di consistenza dell’immobile e dalla inventariazione dei beni e delle attrezzature esistenti». 44 Sul sopralluogo, da parte dei partecipanti a una procedura a evidenza pubblica, dei locali destinati a centri di accoglienza e agli adempimenti richiesti in termini di sicurezza tecnico-strutturale: Tar Lazio, sez. I ter, 9 aprile 2014, n. 3848. 45 Il primo diritto non può mai considerarsi già compreso in un diritto reale di proprietà degli impianti o in un diritto reale di godimento, simile alla superficie, dal quale irradi, perché questi diritti reali sono il presupposto, non la sostanza del diritto di esercitare il servizio: A. De Valles, I servizi pubblici, in Primo trattato completo di diritto amministrativo (a cura di V.E. Orlando), vol. VI, pt. I, Milano, SEL, 1924, 580; R. Cavallo Perin, La struttura della concessione di servizio pubblico locale, Torino, 1998, 57; sull’opportunità di separare la struttura dalla gestione del servizio anche per evitare fenomeni di c.d. lock-in che legano di fatto l’amministrazione al gestore in quanto proprietario della struttura: Autorità Nazionale Anticorruzione, Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali, cit., 14. 191 Interventi  Parte I 3. I servizi di accoglienza tra emergenza ed esternalizzazioni. I servizi di soccorso e di successiva accoglienza46 possono configurarsi come di carattere economico o solidale47, ove nel primo caso l’utilizzazione del mercato come modalità di soddisfazione della domanda importa la scelta di modelli gestionali idonei a consentire la selezione da parte dell’ente pubblico di una forma di gestione, del produttore o dei produttori che intendono soddisfare la domanda di servizi, non potendo escludersi a priori la scelta da parte dei beneficiari dell’accoglienza tra i gestori accreditati48 nel caso di pluralità dei gestori. La disciplina europea ricorda infatti che è la retribuzione o il titolo oneroso di un contratto49 a importare la qualificazione di un servizio come attività economica anche in assenza di forme di pagamento del corrispettivo della prestazione da parte del beneficiario della prestazione di servizi, perché la stessa è pagata dall’amministrazione o da terzi interessati a sostenere il servizio50. Per i centri di accoglienza governativi la gestione può essere affidata dal prefetto a enti locali, anche associati, alle unioni o consorzi di comuni, a enti pubblici o privati che operano nel settore dell’assistenza ai richiedenti asilo o agli immigrati o nel settore dell’assistenza sociale, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici51 (CPA), ove per i centri straordinari l’accoglienza è disposta in strutture «individuate (…) secondo le proce- 46 Le attività di servizio sociale nell’intento del legislatore possono essere tanto attività pubbliche e/o prestate da soggetti pubblici quanto attività private e/o prestate da soggetti privati E. Ferrari, Art. 128, art. 129, in Lo Stato autonomista. Funzioni statali, regionali e locali nel decreto legislativo n. 112 del 198 di attuazione della legge Bassanini n. 59 del 1997 (a cura di G. Falcon), Bologna, 1998, 893. 47 R. Cavallo Perin, I servizi pubblici locali: modelli gestionali e destino delle utilities, cit., 23, 25, 32. 48 Sulla scelta del beneficiario rispetto a gestori tutti accreditati: M.M. Consito, Accreditamento e terzo settore, Napoli, 2009, 37. 49 Il senso normalmente e abitualmente attribuito all’espressione «a titolo oneroso» importa che un contratto non può esulare dalla nozione di appalto pubblico per il solo fatto che la remunerazione in esso prevista sia limitata al rimborso delle spese sostenute per fornire il servizio convenuto o prevede comunque altra forma di vantaggio economico a favore dell’operatore: CGUE, C-159/11, cit.; CGUE, 11 dicembre 2014, C-113/2013, Azienda sanitaria locale n. 5 «Spezzino», Associazione nazionale pubblica assistenza (ANPAS) – Comitato regionale Liguria, Regione Liguria c. San Lorenzo Soc. coop. sociale, Croce Verde Cogema cooperativa sociale Onlus; Autorità Nazionale Anticorruzione, Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali, cit., 6. 50 R. Cavallo Perin, I servizi pubblici locali: modelli gestionali e destino delle utilities, cit., 38. 51 D.lgs. n. 142 del 2015, cit., art. 9, co. 2; ma del pari già per la gestione dei CARA «il prefetto della provincia in cui è istituito il CARA può affidarne la gestione ad enti locali o ad enti pubblici o privati che operino nel settore dell’assistenza ai richiedenti asilo o agli immigrati, ovvero nel settore dell’assistenza sociale, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici previste dal titolo II, articoli 20 e 27, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni»: d.P.R. n. 21 del 2015, cit., art. 11. 192 Manuela Consito L’accoglienza dei richiedenti asilo… dure di affidamento dei contratti pubblici52», con affidamento diretto nei casi di estrema urgenza53 (CAS). La soddisfazione della domanda di accoglienza può perciò essere assicurata attraverso affidamenti in economia (a mezzo dei propri uffici) o con gestioni in house providing anche secondo lo schema dell’ente consortile54, oppure con affidamento a enti strumentali o in convenzione a uno tra gli enti locali che assolve al servizio per conto di tutti gli altri, secondo quelle che nel lessico dell’Unione europea sono forme di cooperazione55 interistituzionale (consorzi) o convenzionale56 (convenzioni) tra enti pubblici anche con l’ausilio di enti strumentali57. 52 D.l.gs n. 142 del 2015, cit., art. 11, co. 2. 53 Per una prima individuazione dei CAS a seguito dell’«avvenuta saturazione dei centri governativi»: Mini- stero dell’Interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, Circolare 8 gennaio 2014, n. 104, Afflusso di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale. Individuazione di strutture di accoglienza; un ulteriore ampliamento di posti è stato poi disposto nel seguito immediato: Ministero dell’Interno, Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, Circolare 19 marzo 2014, n. 2204, Afflusso di cittadini stranieri a seguito di ulteriori sbarchi sulle coste italiane. 54 R. Cavallo Perin, I servizi pubblici locali: modelli gestionali e destino delle utilities, cit., 23, spec. 34 e s. 55 Cooperazione pubblico-pubblico che può assumere le forme istituzionalizzate dell’associazione di scopo, del consorzio, dell’ente pubblico associativo, della fondazione e financo della società pubblica, oppure può essere realizzata in via convenzionale (art. 15, l. n. 241 del 1990); così Direttiva del Ministro dell’interno in materia di implementazione delle attività di controllo sui soggetti affidatari dei servizi di accoglienza dei cittadini extracomunitari, prot. n. 14100/110, cit., che nel rafforzare i controlli sui soggetti affidatari dei servizi, ne prevede l’estensione anche in caso di «ricorso ad accordi/convenzioni tra pubbliche amministrazioni per la gestione delle strutture di accoglienza». Sulla cooperazione istituzionale CGUE, 19 dicembre 2012, C-159/11, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce e a.; CGUE, 8 maggio 2014, C-15/13, Technische Universität Hamburg-Harburg, Hochschul-Informations-System GmbH c. Datenlotsen Informationssysteme GmbH; CGUE, ordinanza 20 giugno 2013, C-352/12, Consiglio nazionale degli ingegneri c. Comune di Castelvecchio Sub equo et al.; CGUE, 9 giugno 2009, C-480/06, Commissione c. Germania; v. inoltre sulla natura di appalto di un accordo concluso tra due enti territoriali per il trasferimento in capo a uno di questi dell’onere di pulizia di alcuni suoi locali dietro pagamento di un corrispettivo: CGUE, 13 giugno 2013, C-386/11, Piepenbrock Dienstleistungen GmbH & Co. KG c. Kreis Düren; Cons. St., sez. VI, 11 febbraio 2014, n. 664. R. Cavallo Perin, I servizi pubblici locali: modelli gestionali e destino delle utilities, cit., 23. 56 Direttiva 2014/24/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, art. 12, § 4; d.lgs. n. 50 del 2016, cit., art. 5, co. 6; G. Taccogna, I partenariati pubblico-pubblico orizzontali, in rapporto alla disciplina dell’aggiudicazione degli appalti, in www.federalismi.it, 18/2015; R. Cavallo Perin, I servizi pubblici locali: modelli gestionali e destino delle utilities, cit., 32; M. Mazzamuto, L’apparente neutralità comunitaria sull’autoproduzione pubblica: dall’in house al Partenariato “Pubblico-Pubblico”, in Giur. it., 2013, 1416; D. Maresca, La cooperazione inter-amministrativa tra appalti e accordi orizzontali: i recenti orientamenti della Corte di giustizia, in Dir. pubbl. compar. europ., 2013, 688; P. De Luca, Il partenariato pubblico-pubblico nel diritto comunitario degli appalti pubblici, in Dir. U. E., 2013, 381; R. Ferrara, Gli accordi fra le amministrazioni pubbliche, in Codice dell’azione amministrativa (a cura di M.A. Sandulli), Milano, 2010, 672; R. Caranta, Accordi tra amministrazioni e contratti pubblici, in Urb. App., 2013, 391; A. Bartolini, Accordi organizzativi e diritto europeo: la cooperazione pubblico-pubblico (CPP) e la disciplina degli appalti, in Urb. App., 2013, 1257, E. Sticchi Damiani, Gli accordi di collaborazione tra Università e altre amministrazioni pubbliche, in Dir. proc. amm., 2012, 807; R. Ferrara, L’accordo e gli accordi di programma. Spunti sulla cd. amministrazione consensuale, in Foro it., 2002, III, 136; Id., Voce Intese, convenzioni e accordi amministrativi, in Dig. disc. pubbl., vol. VIII, 543 e s. 57 Per il caso del Comune di Bologna ove la gestione degli immigrati richiedenti protezione internazionale viene condotta dall’Azienda pubblica di Servizi alla Persona ASP Poveri Vergognosi tramite un contratto di servizi con il comune stesso: Autorità Nazionale Anticorruzione, Deliberazione 8 marzo 2012, n. 25, sui servizi di gestione dei centri di accoglienza per immigranti affidati per l’ultimo biennio dai Comuni Città di Torino, Comune di 193 Interventi  Parte I La previa gara pubblica58 è invece necessaria ogni qualvolta si configuri un appalto o concessione a terzi indicando un corrispettivo per le prestazioni, non importa se il pagamento è dell’ente pubblico, degli utenti o di terzi benefattori59, in forza della disciplina di dettaglio e dei principi generali sulla concorrenza60, sul buon andamento, sull’imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.61) e di pubblicità62. Bologna, Comune di Foggia, Comune di Bari, p. 6. Per una ricognizione offerta delle norme dell’Unione europea in materia di appalti pubblici applicabili all’accoglienza dei migranti: Commissione europea, COM(2015) 454, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle norme di aggiudicazione degli appalti pubblici in relazione all’attuale crisi nel settore dell’asilo, cit., 4 e s. 58 CGCE, 9 giugno 2009, C-480/06, Commissione delle Comunità europee v. Repubblica federale di Germania. 59 R. Cavallo Perin, La disciplina del servizio pubblico, in Tutela civile del minore e diritto sociale della famiglia (a cura di L. Lenti), Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, cit., 717; M.M. Consito, Accreditamento e terzo settore, cit., 63. 60 COM (2006) 177, Comunicazione della Commissione. Attuazione del programma comunitario di Lisbona: I servizi sociali d’interesse generale nell’Unione europea; COM (2006) C 179/02, Comunicazione interpretativa della Commissione relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive «appalti pubblici: «sebbene taluni contratti siano esclusi dalla sfera di applicazione delle direttive comunitarie nel settore degli appalti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici che li stipulano sono ciò nondimeno tenute a rispettare i principi del Trattato». 61 Cons. St., sez. VI, 3 dicembre 2008, n. 5943, Cons. St., sez. VI, 22 aprile 2008, n. 1856; Cons. St., sez. VI, 8 ottobre 2007, n. 5217; Cons. St., sez. VI, 22 marzo 2007, n. 1369; Autorità Nazionale Anticorruzione, Deliberazione 30 settembre 2014, n. CP-7; Id., Deliberazione 8 marzo 2012, n. 25, cit. 62 A riguardo si è posta in rilievo l’esigenza che gli affidamenti siano preceduti da un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura degli appalti dei servizi alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione con l’indicazione di alcune modalità per il rispetto di tale regola: COM (2006) C 179/02, cit.; Autorità Nazionale Anticorruzione, Parere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione civile, AG 24/14, 18 luglio 2013; Autorità di Vigilanza sui Contratti pubblici, Comunicato del Presidente, 30 novembre 2007; Tar Marche sez. I, 4 gennaio 2013, n. 1. Sulle esigenze di trasparenza e pubblicità negli appalti pubblici come strumento di contrasto alla corruzione: OCSE, Recommendation of the Council on Enhancing Integrity in Public Procurement, 2015; Commissione UE, Report from the Commission to the Council and the European Parliament, EU Anti-Corruption Report, COM(2014) 38 final, 3 febbraio 2014; OCSE, OECD Principles for Integrity in Public Procurement, 2009, 21 e ss.; Commissione UE, Comunicazione al Parlamento Europeo, il Consiglio e il Comitato economico e sociale, Fighting Corruption in the EU, 6 giugno 2011; OCSE, Integrity in Public Procurement. Good Practice From A To Z, 2007, 23 e ss. OCSE, Bribery in Public Procurement Methods, Actors And Counter-Measures, 2007, 23 e ss.; Corruption And Conflicts Of Interest. A Comparative Law Approach (a cura di J. B. Auby, E. Breen, T. Perroud), Edward Elgar, 2014; G. M. Racca, La prevenzione e il contrasto della corruzione nei contratti pubblici (art. 1, commi 14-25, 32 e 52-58), in La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione (a cura di B. G. Mattarella, M. Pelissero), Torino, 2013, 125-151; G. M. Racca, C. R. Yukins, Steps for Integrity in Public Contracts, in Integrity and Efficiency in Sustainable Public Contracts. Balancing Corruption Concerns in Public Procurement Internationally (a cura di G. M. Racca, C. R. Yukins), Bruylant, Bruxelles, 2014; G. M. Racca, R. Cavallo Perin, Corruption as a violation of fundamental rights: reputation risk as a deterrent against the lack of loyalty, ivi; D. I. Gordon, G. M. Racca, Integrity Challenges in the EU and U.S. Procurement systems, ivi; F. Manganaro, La corruzione in Italia, in Foro Amministrativo (Il), 2014, 1861; S. Williams-Elegbe, Fighting Corruption in Public Procurement: A Comparative Analysis of Disqualification Measures, Hart Publishing, 2012; B. G. Mattarella, Recenti tendenze legislative in materia di prevenzione della corruzione, in http://www.masterprocurement.it/ckfinder/userfiles/files/Mattarella.pdf, 2012, 10; F. Di Cristina, La corruzione negli appalti pubblici, in Riv. Trim. dir. pubb., 2012, 177; The International Handbook on the Economics of Corruption, (a cura di S. Rose-Ackerman,T. Søreide), Cheltenham, 2011. 194 Manuela Consito L’accoglienza dei richiedenti asilo… In via generale l’ordinamento dell’Unione europea non discrimina tra forme pubbliche o private lasciando agli ordinamenti degli Stati membri la definizione degli istituti giuridici63, fermo restando in ogni caso che i limiti per le gare sono ritenuti non discriminatori in ragione dell’oggetto. È a tale impianto generale che vanno ricondotti i rinvii normativi per i centri d’accoglienza, che di volta in volta richiamano la «gestione tramite enti locali appositamente individuati64», che devono provvedervi «anche avvalendosi di enti pubblici o privati65, associazioni di volontariato e cooperative di solidarietà sociale66», o gli interventi che «sono attuati direttamente dalle prefetture anche in collaborazione con soggetti pubblici o privati67» ove ritenuto utile o necessario o ancora le molte altre forme di affidamento fiduciario succedutesi anche nella prassi68, che per situazioni di motivata emergenza69 e/o urgenza70 possono comunque essere utili. 63 La valutazione dell’amministrazione circa la modalità di gestione da prescegliere è senz’altro discrezionale, ma come tale va sempre contenuta nel fine di costituire strumento necessario per il corretto funzionamento degli apparati pubblici e per la realizzazione degli interessi che essi hanno in cura poiché la discrezionalità – nell’accezione dell’art. 98 Cost., co. 1 – è un potere che è posto «al servizio esclusivo della Nazione» e che spetta quindi all’amministrazione per migliorare il benessere collettivo: A Romano, Il cittadino e la pubblica amministrazione, in Studi in memoria di Vittorio Bachelet, II, Milano, 1987, 521; A. Romano Tassone, A proposito del potere, pubblico e privato, e della sua legittimazione, in Dir. Amm., 2013, 565. 64 Per i centri di accoglienza previsti dalla c.d. legge Puglia: d.m. n. 233 del 1996, cit., art. 3, co. 1. 65 Per un efficace sunto circa liberalizzazione, esternalizzazione, deregolamentazione e privatizzazione, oltre che sui privati gestori pubblici e la distinzione tra impresa pubblica o gestione pubblica: R. Cavallo Perin, La Corte dei Conti di fronte alla privatizzazione ed alla esternalizzazione dell’azione amministrativa, in Rivista della Corte dei Conti, 2013, 658 e s. 66 D.m. n. 233 del 1996, cit., art. 3, co. 1, secondo periodo. 67 D.m. n. 233 del 1996, cit., art. 3, co. 1, secondo periodo; d.lgs. n. 142 del 2015, cit., art. 11, co. 2. 68 Le forme di affidamento fiduciario o di altra natura sono state declinate volta a volta dal legislatore come convenzioni, progetti di co-progettazione, accordi di collaborazione o di cooperazione, accordi di programma, accordi quadro, affidamenti diretti ad associazioni temporanee d’impresa o associazioni, manifestazioni pubbliche d’interesse, protocolli d’intesa. Si rilevano alterazioni della fisionomia di strumenti previsti dalla disciplina sull’attività consensuale della pubblica amministrazione, ove non autonome procedure di scelta del contraente, diverse e ulteriori rispetto a quelle previste dalla disciplina dedicata cui non può in nessun caso fare ricorso per il solo intento di sfuggire all’inquadramento formale e sostanziale dell’affidamento dei servizi in parola nell’ambito delle procedure a evidenza pubblica: Autorità Nazionale Anticorruzione, Deliberazione n. CP-7 del 2014, cit., p. 6; Corte dei conti, Del. N. SCCLEG/2/2015/PREV, 12 febbraio 2015, p. 11; con riferimento alla gestione del CARA sito nel Comune di Mineo: Autorità Nazionale Anticorruzione, Parere n. 15, 25 febbraio 2015, la conseguente proposta di applicazione della misura di temporanea e straordinaria gestione dell’appalto di cui alla l. 11 agosto 2014, n. 114, art. 32, co. 1: ANAC, Lettera al Prefetto di Catania, 19 giugno 2015, n. prot. 0078721; infine il decreto del Prefetto di Catania, n. 35223, 23 giugno 2015, con cui si è disposta la gestione temporanea e straordinaria dell’appalto. 69 Assunto a fronte del quale non può opporsi in ogni caso la sussistenza di una situazione emergenziale protratta in un arco temporale ormai ultradecennale, che trova piuttosto riscontro in carenze nella fase di programmazione e di previsione dei bisogni di accoglienza: Autorità Nazionale Anticorruzione, Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali, cit., 13 e s.; Id., Deliberazione 8 marzo 2012, n. 25, cit., p. 9, che nel quadro dell’istruttoria denominata Appalti di servizi sociali da parte di Roma Capitale fasc. GE/10/73444, rileva come nella gestione dei servizi di soccorso e accoglienza rivolti ai migranti emergono «una serie di problematicità chiaramente derivanti da oggettive difficoltà programmatorie (ndr.: corsivo nostro) e di esecuzione del contratto in un settore in cui è necessario garantire una continuità dei servizi a volte a sfavore del sistematico rispetto delle norme che regolano la materia». 195 Interventi  Parte I Né a diverse conclusioni può condurre la particolare natura dei soggetti erogatori, ove il riferimento a operatori del c.d. terzo settore71 non può in sé giustificare forme di affidamento diretto della gestione dei servizi in parola ogniqualvolta sia prevista la remunerazione dell’opera prestata72. Un medesimo soggetto può essere un operatore economico e competere con altri operatori per una parte delle attività che svolge ed essere allo stesso tempo impegnato, per altra parte, in attività non economiche ove si comporti come un ente di beneficenza o charity73. A tali principi non possono essere sottratti i servizi di accoglienza per i richiedenti asilo, ove le esigenze di valutazione dell’adeguatezza delle strutture, il loro posizionamento, le cautele da osservarsi in un reale bilanciamento tra esigenze di sicurezza pubblica ed esigenze di accoglienza possono al più aprire alla positiva valutazione di formule di salvaguardia74. 70 Così per le misure straordinarie di accoglienza è consentito dal legislatore «nei casi di estrema urgenza, il ricorso alle procedure di affidamento diretto ai sensi del decreto legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito con modificazioni dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle relative norme di attuazione (ndr: c.d. legge Puglia, su cui supra, par. 3): d.lgs. n. 142 del 2015, cit., art. 11, co. 2, secondo periodo. 71 Per i CARA la gestione può essere affidata, tra gli altri, a enti pubblici o privati che operino nel settore dell’assistenza ai richiedenti asilo o agli immigrati, ovvero nel settore dell’assistenza sociale: d.P.R. n. 21 del 2015, art. 11, co.1; così ora per i centri di prima accoglienza-CPA: d.lgs. n. 142 del 2015, cit., art. 9, co. . 72 CGCE C-41/90, Höfner e Elser; C-244/94, Fédération française des sociétés d’assurance e a.; CGCE C-67/96, Albany; C-115/97-C-117/97, Brentjens’ Handelsonderneming; CGCE C-219/97, Maatschappij Drijvende Bokken; CGCE C-180/98-C-184/98, Pavlov e a.; CGCE C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, AOK Bundesverband e a.; CGCE C-222/04, Cassa di risparmio di Firenze; CGCE C-119/06, Ue Commission v. Italian Republic; CGCE C-305/08, Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare (CoNISMa) c. Regione Marche; CGCE C-49/07, Motosykletistiki Omospondia Ellados NPID (MOTOE); CGCE C-475/99, Ambulanz Glöckner. Commissione UE, Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions accompanying the Communication on ‘A single market for 21st century Europe’ Services of general interest, including social services of general interest: a new European commitment COM (2007) 725; CGCE, C-357/06, Frigerio Luigi & C. Snc c. Comune di Triuggio; CGCE C-244/94, Fédération française des sociétés d’assurance; C-180/98 and C-184/98, Pavlov; CGCE C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, AOK Bundesverband. 73 Cons. St., sez. I, 31 marzo 2010, n. 1278; Cons. St., sez. VI, 16 giugno 2009, n. 3897; Cons. St., sez. V 25 febbraio 2009, n. 1128; v. anche AVCP, Determinazione 21 ottobre 2010, n. 7; L. Olivieri, Le associazioni di volontariato possono senz’altro partecipare agli appalti pubblici, in Appalti & Contratti, 2009, fasc. 4, 83; ma E. Santoro, Le organizzazioni di volontariato (Onlus) e la partecipazione alle gare per affidamento di prestazioni di servizi, in Contr. St. e enti pubbl., 2009, 26; A. Albanese, L’affidamento di servizi socio-sanitari alle organizzazioni di volontariato e il diritto comunitario: la Corte di giustizia manda un monito agli enti pubblici italiani, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2008, 1453; A. Di Matteo, Sull’affidamento diretto di servizi di trasporto sanitario ed associazioni di volontariato, in Rass. avv. Stato, 2008, fasc. 2, 162.CGCE, C-222/04, Cassa di risparmio di Firenze; C-118/85, Commissione c. Italia; M.M. Consito, Accreditamento e terzo settore, cit., 98, 107 e s.; M. Minow, Partners, Not Rivals. Privatization and the Public Good, Boston, 2003, 7. 74 Il riferimento è alla possibilità di una riserva di partecipazione anche in relazione a particolari requisiti di taluni operatori,, favorendo ove possibile l’accesso a piccole e medie imprese e integrando criteri sociali nelle specifiche tecniche, nei criteri di selezione, nei criteri di aggiudicazione e nelle condizioni di esecuzione dei contratti pubblici (c.d. clausole sociali), purché sempre nel rispetto dei limiti previsti dalla disciplina dell’Unione europea: d.lgs. n. 50 del 2016, cit., art. 143; d.lgs. n. 50 del 2016, cit., artt. 36, co. 1, 41, co.1, 50, co.1. Per le clausole sociali: d.lgs. n. 50 del 2016, cit., art. 50; Direttiva 2014/24/UE, cit., Considerando 45, Considerando 92, Considerando 97, Considerando 101, Considerando 118, artt. 42, 43, 67, 70, 77, par. 1 e 2; Direttiva 2014/23/UE, cit., Considerando 64, Considerando 65, Considerando 70, Considerando 73, artt. 36, 38, 41. 196 Manuela Consito L’accoglienza dei richiedenti asilo… Diverso è il caso nel quale la soddisfazione dei bisogni sociali sia fondato su ragioni di solidarietà sociale (art. 2 Cost.), ove a prevalere non è la concorrenza tra produttori ma la cooperazione tra essi (mutuo soccorso, charity) nel perseguimento dello scopo comune dato dal superamento delle condizioni di disagio e di difficoltà personali, dunque di assistenza sociale, secondo moduli che obliterano uno scopo di lucro e uno scambio75. Per le prestazioni di soccorso e prima accoglienza la gestione dei centri trova normalmente causa in un contratto misto di fornitura e servizi a prestazioni corrispettive il cui importo dovrebbe essere determinato su base annua anziché pro capite/pro die76, secondo modalità che consentano di superare l’automatismo moltiplicativo del prezzo legato alla sola presenza del singolo ospite nel centro77. Ove tuttavia la prestazione non trovi un corrispettivo capace di integrare la definizione di contratto a titolo oneroso soggetti privati, quali le associazioni di volontariato78, paiono ammessi a utilizzare il tradizionale strumento della convenzione con enti pubblici così distinguendosi le convenzioni con il settore no profit e gli appalti o concessioni in senso proprio79. 75 M.M. Consito, Accreditamento e terzo settore, cit., 133 e s.; R. Cavallo Perin, I servizi pubblici locali: modelli ge- stionali e destino delle utilities, cit., 24, 25. 76 Il dato normativo indica l’opzione tra più forme di gestione tra le quali l’appalto prevedendosi l’approvazio- ne da parte del Ministero dell’interno di uno schema di capitolato di gara d’appalto per la fornitura dei beni e dei servizi relative al funzionamento dei centri: d.lgs. n. 142 del 2015, cit., art. 12, co. 1; già d.P.R. n. 21 del 2015, cit., art. 11, co. 2. 77 Manifesta preoccupazione per il ricorso, per l’affidamento della gestione dei centri di identificazione ed espulsione, alla modalità a ribasso cui viene correlato un abbassamento della qualità dei servizi forniti ai trattenuti: Senato della Repubblica, Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Rapporto sui centri di identificazione ed espulsione in Italia (febbraio 2016), 29. 78 Per un caso di compartecipazione al perseguimento dello scopo in forza di una sussidiarietà di tipo collaborativo con l’ente locale da parte di un’associazione di volontariato: Tar Puglia, sez. I, 23 agosto 2010, n. 1860. 79 Cons. St., sez. III, 26 giugno 2015, n. 3208; CGUE, C-113/2013, cit. 197 Interventi  Parte I DIRITTO DEGLI STRANIERI E MODELLI DI CITTADINANZA* ~ Alessio Rauti ~ 1. INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALE E DIRITTI DEGLI STRANIERI • 2. (SEGUE): LA PROBLEMATICA ESTENSIONE DEI DIRITTI POLITICI AGLI STRANIERI • 3. ABBIAMO BISOGNO DI AGGETTIVI? NOTE MINIME A MARGINE DELLA TESI DELLA C.D. “CITTADINANZA COSTITUZIONALE” • 4. MODELLI DI CITTADINANZA E RIFORME: «SENTINELLA A CHE PUNTO È LA NOTTE?». TRE QUESTIONI DI FONDO. 1. Interpretazione costituzionale e diritti degli stranieri. Com’è noto, il concetto di popolo – “sovrano”, ex art. 1, II c., Cost.1 – non viene definito dalla Costituzione, pur essendo tradizionalmente qualificato dalla dottrina costituzionalistica come l’insieme dei cittadini dello Stato2. Allo stesso tempo, manca nella Carta fondamentale una definizione di cittadinanza, nonostante diverse disposizioni costituzionali si * Testo rielaborato ed aggiornato dell’intervento programmato svolto al Convegno su “Immigrazione e diritti fondamentali” tenutosi a Siracusa il 4 maggio 2017. Considerata l’estensione del contributo originario, si è preferito sviluppare in tale sede la prima parte dell’intervento, mentre per la restante parte si rinvia al nostro Lo ius soli in Italia: alla vigilia di una possibile svolta?, in www.rivistaaic.it 3, 2017. 1 Sulla genesi dell’art. 1, II c., nei lavori dell’Assemblea costituente, v. per tutti L. Carlassare, Sovranità popo- lare e Stato di diritto, in www.Costituzionalismo.it 1, 1996. Sull’evoluzione del concetto di sovranità, nella letteratura costituzionalistica, ci limitiamo a ricordare: A. Spadaro, Contributo per una teoria della Costituzione, I, Fra democrazia relativista e assolutismo etico, Milano 1994, 85 ss. – secondo cui lo Stato costituzionale personalista e liberal-democratico sarebbe un «sistema di limiti giuridici senza sovrano» – e G. Silvestri, La parabola della sovranità. Ascesa declino e trasfigurazione di un concetto, in Riv. dir. cost. 1, 1996, 3 ss., che tratteggia il processo di oggettivizzazione assiologica della sovranità nello Stato costituzionale, non più intesa come summa legibusque soluta potestas di un soggetto singolo, ma come “sovranità dei valori” positivizzati nella Carta fondamentale (soprattutto attraverso i principi, che, in altra sede, l’A. definisce la loro naturale «veste giuridica»: cfr. Id., Relazione di sintesi, in La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, a cura di A. Ruggeri, Torino 1994, 569). Più di recente, cfr. L. Ventura, La sovranità. Teorie filosofico-politiche e La sovranità. Teorie giuridiche, in Stato e sovranità. Profili essenziali, a cura di (L. Ventura-P. Nicosia-A. Morelli-R. Caridà), Torino 2010, rispettivamente 1 ss. e 15 ss.; E. Castorina - C. Nicolosi, “Sovranità dei valori” e sviluppo della tutela dei diritti fondamentali: note sull’evoluzione della giurisprudenza statunitense, in www.forumcostituzionale.it, 19 novembre 2015, nonché in Scritti in onore di G. Silvestri, I, Torino 2016, 519 ss.; A. Morrone, Sovranità (relazione introduttiva), in Associazione italiana dei Costituzionalisti, Di alcune grandi categorie del diritto costituzionale. Sovranità, rappresentanza, territorio, Napoli 2017, 3 ss.; C. Salazar, Territorio, confini, “spazio”: coordinate per una mappatura essenziale (relazione di sintesi), nello stesso Volume, 593 ss. 2 Cfr., per tutti, R. Romboli, Problemi interpretativi della nozione giuridica di popolo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1984, 164 s. 198 Alessio Rauti Diritto degli stranieri… riferiscano espressamente ai soli “cittadini” e lo status civitatis rilevi sotto molteplici profili, non ultimo la garanzia apprestata dall’art. 22 contro la privazione, “per motivi politici”, del nome, della capacità giuridica e, appunto, della cittadinanza 3. Nel complesso, il Costituente non ha interamente decostituzionalizzato i criteri di acquisto e di perdita della cittadinanza, secondo invece l’originario schema d’Oltralpe inaugurato dalla scelta napoleonica di spostare dalla Costituzione al codice civile la disciplina della cittadinanza4. È pur vero che tali criteri non sono attualmente fissati in modo diretto dalla Carta repubblicana – così come non lo erano nello Statuto Albertino, risultando invece consacrati prima nel codice civile del 1865 e poi nella l. n. 555/1912, più volte modificata ed in seguito sostituita dall’attuale l. n. 91/1992 – ma, a differenza dell’esperienza dello Stato liberale, l’art. 22 della Carta costituisce il fondamentale limite e memento storico rispetto a pregresse scelte aberranti del regime fascista in materia, ancorché tale disposto non sia finora stato oggetto di un’opportuna interpretazione ut magis valeat, idonea a fondare, unitamente al vincolo derivante da documenti di diritto internazionale e sovranazionale, una teoria costituzionale normativa della cittadinanza5. In particolare, poi, la tensione tipica del costituzionalismo e del personalismo verso la progressiva riduzione del divario fra cittadini e stranieri nella titolarità e nella concreta fruizione di diritti fondamentali, potrebbe spingere verso due soluzioni fra loro assai diverse: agevolare l’acquisto della cittadinanza mediante l’introduzione di criteri più inclusivi di quelli attualmente previsti, fondati sul legame col territorio oppure estendere tout court i diritti dei cittadini anche agli stranieri. 3 Invero l’articolo in esame presenta una pericolosa ambiguità, contenendo una norma a contrario la quale in astratto permetterebbe – almeno nel suo tenore letterale – che, per motivi “diversi” da quelli politici, sia possibile restringere non solo la cittadinanza, ma anche il nome e addirittura la stessa “capacità” giuridica. Sotto questo particolare profilo, esso configura una vera e propria rottura costituzionale: così A. Ruggeri - A. Spadaro, Dignità dell’uomo e giurisprudenza costituzionale (prime notazioni), in Pol. dir. 3, 1991, 348 s. Sul punto v. pure, più avanti, nt. 73. Ad ogni modo, «l’art. 22 della Carta repubblicana – come ben si sa – assimila la cittadinanza alla capacità giuridica ed al nome per tratteggiarne la natura di garanzia minima indispensabile della libertà/dignità del singolo nei confronti dei poteri pubblici»: così C. Salazar, “Tutto scorre”: riflessioni su cittadinanza, identità e diritti alla luce dell’insegnamento di Eraclito, in Pol. dir. 3, 2001, 375. In tema, cfr. U. De Siervo, Sub art. 22, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Roma-Bari 1981, 1 ss. Sulla tendenza della Corte ad impiegare parametri alternativi (come l’art. 3 Cost.) per sindacare le scelte legislative in materia di acquisto, riacquisto e perdita della cittadinanza, cfr. M. Cuniberti, Sub art. 22, in Commentario alla Costituzione (a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti), Torino 2006, spec. 477 ss. 4 In Francia, a differenza dell’ultima Costituzione rivoluzionaria del 1799, già nella Costituzione del 1814 «ogni riferimento alla cittadinanza è scomparso» e non si specifica «quali siano le condizioni per acquistare la qualità di “français”», restando la relativa disciplina affidata per tutto il secolo alla legge ordinaria: così E. Grosso, Le vie della cittadinanza. Le grandi radici. I modelli storici di riferimento, Padova 1997, 246 ss. 5 Sui vincoli alla discrezionalità del legislatore statale in materia di cittadinanza che discendono dal diritto internazionale, compresa la CEDU nell’interpretazione della “sua” Corte, cfr., di recente, L. Panella, Immigrazione e cittadinanza nazionale, in I percorsi giuridici per l’integrazione. Migranti e titolari di protezione internazionale tra diritto dell’Unione e ordinamento italiano, a cura di G. Casaggio, Torino 2014, 183 ss. (ma v. pure, della stessa A., Il diritto dell’individuo ad una cittadinanza, in www.democraziaesicurezza.it 2, 2012, nonché, amplius, La cittadinanza e le cittadinanze nel diritto internazionale, Napoli 2008). Per una disamina filosofica, v. P. Helzel, Per una teoria normativa della cittadinanza. Il diritto di avere diritti, Padova 2005. 199 Interventi  Parte I Partendo da quest’ultima prospettiva, si può subito affermare che per i diritti riconosciuti dalla Costituzione esplicitamente, o con formula impersonale, a “tutti” – da ritenersi dunque estesi anche agli stranieri – la concreta tutela legislativa o giurisprudenziale del diritto per i non cittadini si presenta giuridicamente più agevole, ancorché non sempre economicamente o politicamente semplice. Si pensi, oltre ai diritti classici di libertà (personale, di domicilio, alla tutela giurisdizionale), agli stessi diritti sociali, alcuni dei quali si riferiscono ai lavoratori, agli indigenti, ai privi di mezzi, ai non abbienti e dunque non trovano ostacoli, nella lettera della Costituzione, per la loro estensione a chi non sia cittadino. Oltre all’istruzione, garantita dal Testo Unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/1998, d’ora in poi T.U. imm.) anche ai minori stranieri irregolari, acquista particolare importanza il diritto alla salute, definito inviolabile dall’art. 32 e garantito dal legislatore agli stranieri regolari ed anche agli “irregolari”, sia pure, per questi ultimi, nel suo nucleo centrale costituito dalle cure urgenti ed indifferibili. Di siffatta tutela si offre oramai nella prassi e nella giurisprudenza un’interpretazione ampia, non limitata alle prestazioni di pronto soccorso, ma estesa a quegli interventi pure di durata temporale non irrilevante che, successivi alla somministrazione immediata di farmaci essenziali per la vita, siano indispensabili al completamento dei primi o al conseguimento della loro efficacia. La necessità medica di fruire di tali prestazioni indifferibili rende peraltro temporaneamente inespellibile lo straniero6. Da ultimo, poi, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione vi hanno fatto rientrare anche «le semplici somministrazioni di farmaci quando si tratti di terapie necessarie a eliminare rischi per la vita o il verificarsi di maggiori danni alla salute, in relazione all’indisponibilità dei farmaci nel Paese verso il quale lo straniero dovrebbe essere espulso»7. Si potrebbe anche ricordare il diritto fondamentale al matrimonio – nel presupposto che l’art. 29 della Costituzione non opera alcun riferimento ai cittadini – che risultava non esercitabile dallo straniero irregolare in virtù di quanto disposto dall’art. 116, I c., del codice civile, come modificato dalla legge n. 94/2009, secondo cui «lo straniero che vuole contrarre matrimonio nella Repubblica deve presentare all’ufficiale dello stato civile», oltre al nulla osta, di cui sopra, «un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano». Com’è noto, la Corte costituzionale ha annullato tale disposizione – per violazione degli artt. 2 e 29, per il carattere sproporzionato della misura e per la violazione della CEDU, con conseguente violazione indiretta dell’art. 117, I c., Cost. – così eliminan- 6 Sul punto, si registra oramai un nutrito filone nelle decisioni costituzionali, a partire dalla Corte Cost., sent. 17 luglio 2001, n. 252. Ma v. pure Cass. civ. sentenze n. 7615 del 4 aprile 2011 e n. 1531 del 24 gennaio 2008. Per la Suprema Corte restano invece esclusi quei trattamenti di mantenimento o di controllo che, se pur indispensabili ad assicurare una spes vitae per il paziente, fuoriescono dalla correlazione strumentale con l’efficacia immediata dell’intervento sanitario indifferibile e urgente. Per fruire di tali prestazioni lo straniero potrebbe richiedere, una volta ritornato nel proprio Paese, un permesso di soggiorno per cure mediche, ai sensi dell’art. 36 del T.U. imm. (d.lgs. n. 286/1998). Per la giurisprudenza amministrativa, cfr. Consiglio di Stato, 15 novembre 2010, n. 8055 e, più di recente, T.A.R. Lazio, sentenza del 15 aprile 2015, n. 5617. 7 Cass. civ., s.u., 10 giugno 2013, n. 14500. 200 Alessio Rauti Diritto degli stranieri… do un impedimento odioso e irragionevole (anche per lo stesso cittadino che intenda sposarsi con uno straniero)8. Si presenta invece più articolata e complessa l’interpretazione delle disposizioni costituzionali espressamente riferite ai cittadini, volta a verificarne l’eventuale estendibilità agli stranieri, sia pure talvolta in modo condizionato da ulteriori fattori. Una generale linea di tendenza vede recessiva, nelle argomentazioni della Consulta, l’interpretazione “letterale” (ma forse sarebbe più giusto dire meramente “letteralistica”) delle diverse disposizioni della Carta nelle quali ci si riferisce espressamente ai “cittadini”: si pensi innanzitutto allo stesso principio di eguaglianza – in particolare, nella sua accezione formale derivante dall’art. 3, I c., Cost. – che fortunatamente la Corte ha ritenuto riferibile anche agli stranieri nella fruizione dei diritti fondamentali (Corte Cost., sent. 23 novembre 1967, n. 120), ed in base al quale comunque eventuali trattamenti differenziati a vantaggio dei cittadini devono risultare sorretti da adeguata ratio: cfr. Corte Cost., sent. 2 dicembre 2005, n. 432 (per una discriminazione indiretta a danno degli stranieri, v. pure Corte Cost., sent. 18 gennaio 2013, n. 2)9. Più in generale, al fine di giustificare una diversità di trattamento a danno degli stranieri, nella giurisprudenza costituzionale non sembra oramai sufficiente invocare il differente e peculiare rapporto che lega il cittadino allo Stato di appartenenza, espresso dal legame tendenzialmente più stabile con il territorio (e richiamato dalla Corte Cost., sent. 26 giugno 1969, n. 104)10. Si pensi ancora al titolo della Parte I, relativo, appunto, ai diritti e doveri dei cittadini, e tuttavia riguardante una serie di libertà fondamentali, come quella personale, riconosciute nella maggior parte dei casi in via impersonale (e dunque a tutti). Peraltro, pure le libertà di circolazione e di soggiorno, di riunione ed associazione, riferite ai cittadini, sono pacificamente ritenute patrimonio anche degli stranieri, per quanto suscettibili di limitazioni ulteriori previste dalla legge11. 8 Sulla presenza di «alcuni diritti fondamentali che, per il fatto di essere riconosciuti in via generale dall’art. 2 e richiamati da tutte le principali convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo, vanno riferiti a tutti gli individui in quanto esseri umani», v. E. Grosso, voce Straniero (status costituzionale dello), in Dig. disc. pubbl., vol. XV, Torino 1999, 164. 9 Sull’applicazione del principio di eguaglianza agli stranieri v., da ultimo, S. Bonfiglio, Costituzionalismo meticcio. Oltre il colonialismo dei diritti umani, Torino 2016, 85 ss.; A. Lollo, Eguaglianza e cittadinanza. La vocazione inclusiva dei diritti fondamentali, Milano 2016, passim. 10 «Ora, nel caso, non può escludersi che, tra cittadino e straniero, benché uguali nella titolarità di certi diritti di libertà, esistano differenze di fatto che possano giustificare un loro diverso trattamento nel godimento di quegli stessi diritti. Il cittadino ha nel territorio un suo domicilio stabile, noto e dichiarato, che lo straniero ordinariamente non ha; il cittadino ha diritto di risiedere ovunque nel territorio della Repubblica ed, ovviamente, senza limiti di tempo, mentre lo straniero può recarsi a vivere nel territorio del nostro, come di altri Stati, solo con determinate autorizzazioni e per un periodo di tempo che é in genere limitato, salvo che egli non ottenga il così detto diritto di stabilimento o di incolato che gli assicuri un soggiorno di durata prolungata o indeterminata; infine il cittadino non può essere allontanato per nessun motivo dal territorio dello Stato, mentre lo straniero ne può essere espulso, ove si renda indesiderabile, specie per commessi reati». 11 Va peraltro ricordato che per le libertà di riunione e di associazione l’inserimento del termine “cittadini” fu opera di un intervento del comitato di redazione successivo all’approvazione della norma in sottocommissione (e prima dell’esame da parte dell’Assemblea). Per la libertà di associazione la limitazione fu ritenuta giustificata dal plenum in virtù di questioni politiche e, in particolare, unicamente in forza del dubbio che, dietro l’associazione politica dei non cittadini, potesse celarsi la longa manus delle potenze straniere: cfr. M. Cuniberti, La cittadinanza. Libertà dell’uomo e libertà del cittadino nella Costituzione italiana, Padova 1997, 134 s. 201 Interventi  Parte I A ben vedere, poi, tale evoluzione interpretativa riguarda anche le disposizioni costituzionali che, oltre a riferirsi espressamente ai cittadini, attengono alla difesa della Patria, dunque ad un ambito tradizionalmente ricondotto allo speciale rapporto di questi ultimi con il proprio Paese. Basti ricordare quanto disposto dalla Corte nella nota Corte Cost., sent. 18 maggio 1999, n. 172, nella quale, ritenendo che il riferimento dell’art. 52 ai cittadini non valga come esclusione dei non cittadini, si giudica legittima l’imposizione legislativa del dovere di leva anche in capo agli apolidi – ma il ragionamento della Consulta è esteso espressamente anche agli stranieri, così superando di misura il tradizionale ostacolo costituito dal latente conflitto di fedeltà in cui questi verrebbero a trovarsi – confermando la possibilità di sganciare il concetto stesso di Patria da quello di cittadinanza, “pluralizzandolo”12. Se ne ha indirettamente una conferma – sia pure sotto l’aspetto speculare dei doveri – della tesi secondo cui è possibile che i diritti politici vengano estesi agli stranieri sotto forma di diritti di derivazione legislativa. A tale decisione segue poi l’ulteriore step compiuto con la Corte Cost., sent. 25 giugno 2015, n. 119, con la quale il giudice delle leggi ha esteso l’accesso al servizio civile nazionale agli stranieri regolari, intravedendo in tale istituto una modalità alternativa e non armata di difesa della Patria. Il dato importante – un vero e proprio cambio di passo rispetto alla ricordata decisione del 1999 – non è tanto il fatto che la pronuncia incida (non solo sostanzialmente, ma anche) formalmente sulla condizione degli stranieri e non degli apolidi. Il punto decisivo è infatti un altro: per la Corte l’art. 52 Cost. non consente semplicemente al legislatore di estendere agli stranieri l’accesso a tale modalità di difesa della Patria, ma, in combinato disposto con l’art. 2, determina l’illegittimità di una loro esclusione legislativa13. Dunque, sotto questo aspetto, l’annullamento della disciplina in materia significa che la difesa non armata della Patria costituisce anche per lo straniero regolare un diritto costi12 È vero che il termine “cittadini” viene utilizzato dall’art. 52 solo in relazione al generale “sacro dovere” di difesa della Patria (di cui al I c.) e non, invece, in relazione all’obbligo di servizio militare (previsto dal II c.). Tuttavia nella sentenza la Corte ritiene comunque esistente nel secondo comma un riferimento implicito ai cittadini, anche alla luce della precisazione, ivi contenuta, secondo cui l’assolvimento di tale obbligo «non pregiudica la posizione lavorativa e l’esercizio dei diritti politici». In questo senso, di tale decisione dovrà tenersi conto nell’interpretazione di qualsivoglia disposizione costituzionale sulle libertà, a prescindere dall’essere quest’ultima riferita ai cittadini. In particolare, riprendendo le parole della Corte, «l’anzidetta determinazione» (esplicita o implicita) «dell’ambito personale di validità dell’obbligo costituzionale di prestazione del servizio militare non esclude l’eventualità che la legge, in determinati casi, ne stabilisca (come in effetti già ne stabiliva, al tempo dell’entrata in vigore della Costituzione) l’estensione» (§ 2.1. del Cons. dir.). Su tale decisione, cfr. E. Grosso, Sull’obbligo di prestazione del servizio di leva da parte degli apolidi. Spunti di riflessione verso possibili nuove concezioni della cittadinanza, in Giur. cost. 3, 1999, 1705 ss.; Id., La titolarità del diritto di voto. Partecipazione e appartenenza alla comunità politica nel diritto costituzionale europeo, Torino 2001, 109 ss. In tema, sia consentito rinviare al nostro Difesa della Patria, in Dizionario dei diritti dello straniero, a cura di C. Panzera e A. Rauti, in corso di pubblicazione. 13 Sul punto, per necessari approfondimenti ed integrazioni bibliografiche, sia consentito rinviare al nostro Il diritto di avere doveri. Riflessioni sul servizio civile degli stranieri a partire dalla sent. cost. n. 119/2015, in www.rivistaaic.it 4, 2015. Il legislatore è ora intervenuto con la nuova normativa sul servizio civile nazionale – d.lgs. n. 40 del 2017 – che, ai sensi dell’art. 8 della legge delega n. 106 del 2016, include espressamente gli stranieri regolarmente soggiornanti (ed i cittadini comunitari) fra i soggetti ammessi a svolgere il servizio civile (art. 14, I c.), sia pure precisando che siffatta ammissione non costituisce in alcun caso, per il cittadino straniero, presupposto per il prolungamento della durata del permesso di soggiorno (II c.). 202 Alessio Rauti Diritto degli stranieri… tuzionale di rango fondamentale e non un mero diritto di derivazione legislativa. Analoga conclusione si estende al diritto di concorrere in condizioni di parità per l’accesso al servizio civile, riconosciuto dal giudice delle leggi come vero e proprio diritto fondamentale di rango costituzionale e di natura lato sensu politica. Sicché, in sintesi, se pure il superamento della presunzione di riserva a favore dei cittadini può associarsi a diverse conseguenze sul piano interpretativo – senza tuttavia che con ciò si possa affermare un’automatica equiparazione fra cittadino e straniero o, per altra via, ridurre la cittadinanza alla mera, comune soggezione all’ordinamento giuridico14 – è certo che la lettura sistematica della Carta costituzionale sta rivelando, nell’ultimo ventennio, una peculiare forza espansiva dei postulati inclusivi del costituzionalismo e della stessa concezione prescrittiva (se si vuole: ontologica) della Costituzione15. Per quanto non si possa probabilmente discorrere di vere e proprie fasi in senso stretto, è innegabile l’esistenza di un processo evolutivo nell’interpretazione costituzionale anche nelle problematiche riguardanti i diritti degli stranieri, il cui motore si rinviene, in modo più o meno evidente, nel più generale (ed universale) principio di garanzia di pari dignità sociale16, 14 Questo credo sia l’esito non condivisibile della pur pregevole tesi sulla c.d. “cittadinanza costituzionale”, di recente proposta, sulla quale si ritornerà di qui a breve. 15 Sui postulati inclusivi di tale concezione – volta originariamente a cogliere e valorizzare l’intreccio fra liber- tà ed eguaglianza, elevando la libertà di tutti a principio fondante del sistema – cfr. M Luciani, L’antisovrano e la crisi delle Costituzioni, in Riv. dir. cost. 1, 1996, 124 ss. Sul costituzionalismo, più in generale, devono qui richiamarsi almeno E.S. Corwin, L’idea di “legge superiore” e il costituzionalismo americano (1928), Vicenza s.d.; C.H. McIlwain, Costituzionalismo antico e moderno (1947), Bologna 1990 (nonché le note sui rapporti fra diritto costituzionale e costituzionalismo di T. Martines, Diritto costituzionale e costituzionalismo, in www.costituzionalismo.it 1, 1996). Più di recente, cfr. pure A. Spadaro, voce Costituzionalismo, in Enciclopedia filosofica, vol. III, Milano 2006, 2369 s., ma spec. Id., L’amore dei lontani: universalità e intergenerazionalità dei diritti fondamentali fra ragionevolezza e globalizzazione, in Un diritto per il futuro. Teorie e modelli dello sviluppo sostenibile e della responsabilità intergenerazionale, (a cura di R. Bifulco, A. D’Aloia), Napoli 2008, 71 ss.; N. Matteucci, Breve storia del costituzionalismo, Brescia 2010; M. Barberis, Stato costituzionale. Sul nuovo costituzionalismo, Modena 2013; L. Ferrajoli, Costituzionalismo oltre lo Stato, Modena 2017. Sulla riferibilità anche agli stranieri delle disposizioni costituzionali espressamente rivolte ai cittadini, v. una sintesi delle diverse tesi – anche critiche – in E. Grosso, Straniero cit. 162 ss. (cui adde, dello stesso A., Sub art. 48, in Commentario breve alla Costituzione, a cura di R. Bin e S. Bartole, Padova 2008, 177 ss.). Rileva comunque l’A. che, «se da un lato sembra agevole individuare quelle situazioni soggettive che, per essere riconosciute “a tutti” o per essere riferite impersonalmente, sarebbero da estendere ai non cittadini, dall’altro risulta impossibile ricavare un criterio univoco per selezionare quali situazioni, tra quelle riconosciute al solo cittadino, debbano, ovvero possano, ovvero non possano essere estese ai non cittadini». In tema, v. anche P. Bonetti, Ammissione all’elettorato e acquisto della cittadinanza: due vie dell’integrazione politica degli stranieri. Profili costituzionali e prospettive legislative, in www.federalismi.it 11, 2003, spec. 4 ss. 16 Non va peraltro dimenticata la nota (ma minoritaria) tesi secondo cui – essendo la Costituzione un fatto (e, diremmo noi, anche un patto) politico – le disposizioni della Carta sarebbero innanzitutto rilevanti per i soli cittadini e che «l’attribuzione della gran parte delle libertà civili a “tutti” non costituirebbe una presunzione juris tantum di spettanza generale, come ritenuto da Esposito, ma si riferirebbe esclusivamente a tutti i cittadini» (ferma restando, come pure riconosce l’A., la possibilità per il legislatore ordinario di estenderli agli stranieri: cfr. ex plurimis A. Pace, da ultimo in Dai diritti del cittadino ai diritti fondamentali dell’uomo, in Rass. parl. 3, 2010, 658 s.). Ma a tale ricostruzione – smentita dalla giurisprudenza costituzionale (a partire dalla ricordata Corte Cost., sent. 23 novembre 1967, n. 120) – potrebbero quantomeno porsi tre obiezioni. Innanzitutto, se il termine “tutti” presente in alcune disposizioni costituzionali dovesse intendersi come limitato ai soli cittadini, pure la contribuzione fiscale ai sensi dell’art. 53 dovrebbe essere ovviamente un dovere solo di questi ultimi, il che peraltro cozzerebbe in modo frontale con il tradizionale criterio territoriale di individuazione del c.d. 203 Interventi  Parte I principio che è peraltro riferito dall’art. 3, I c., ai cittadini, ma che, ça va sans dire, appartiene al patrimonio intangibile – in quanto attributo ontologico – di ogni persona umana. Del resto, ove così non fosse, sarebbe tradita la stessa natura di una Repubblica costituzionalmente conformata per reagire in modo deciso ai fattori storici di emarginazione ed alla cancellazione totalitaria del concetto stesso di persona umana e risulterebbe priva di senso, ad esempio, la stessa, ricordata giurisprudenza che riconosce in capo agli stranieri irregolari le cure indifferibili ed urgenti (ma non solo) quale ambito inviolabile della dignità umana17. Sotto quest’aspetto, la precedenza, nell’art. 3 Cost., del principio di pari dignità sociale rispetto al principio di eguaglianza rende evidente che il riferimento ai cittadini non abbia lo scopo principale di escludere gli stranieri, quanto e piuttosto quello di reagire ad un pregresso regime in cui veniva negata la stessa eguaglianza fra cittadini in ragione delle loro opinioni politiche o della “razza”. Così dicasi, per esempio, per le leggi razziali secondo cui il matrimonio con cittadina non di stirpe italiana comportava la perdita del pubblico impiego da parte dell’impiegato statale. Per le vicende oltre confine, poi, basti ricordare l’odiosa legge tedesca sulla cittadinanza del 1935, con la quale il regime nazista distingueva fra veri cittadini e meri appartenenti allo Stato, ovvero sudditi, privati dei diritti politici. “soggetto tributario”. In secondo luogo, anche aderendo all’idea che la Costituzione sia un patto politico che definisce l’adesione ad un quadro di valori fondamentali, ciò non esclude che i “tutti” cui talune disposizioni costituzionali si riferiscono possano tranquillamente ricomprendere anche i soggetti “esterni” che a tale patto decidano, anche in futuro, di aderire. Altrimenti, neppure potrebbero esservi ricomprese le generazioni di cittadini successive a quella che l’ha stipulato, le quali, sia pure con un’adesione sostanzialmente implicita alla meta-etica costituzionale, risultano anch’essi destinatari delle disposizioni costituzionali. Infine, a tacer d’altro, il principio costituzionale (o meta- e super-costituzionale: A. Ruggeri, A. Spadaro, Dignità cit., 343 ss.) di dignità della persona umana impone addirittura che anche gli stranieri irregolari debbano godere di taluni diritti costituzionali basilari, non in virtù di una scelta discrezionale del legislatore: così dicasi, ad esempio, per il ricordato nucleo intangibile del diritto alla salute, per il diritto al matrimonio e per il diritto all’istruzione dei minori, anche se figli di stranieri irregolari (a carico dei quali, peraltro, lo stesso T.U. imm. pone l’obbligo scolastico, stabilendo peraltro che ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica»). E ciò nonostante gli stranieri irregolari non siano posti nella condizione di aderire pleno iure a quel patto, ad esempio perché formalmente non possono contribuire alla fiscalità generale (neppure tramite il loro lavoro), per quanto nella sostanza anche questi potrebbero sentirsi appartenenti al quadro di valori costituzionali e di fatto partecipare con il loro lavoro alla crescita della comunità. Insomma, in relazione ai “tutti” di cui all’art. 53, I c., Cost. occorre rassegnarsi a fare i conti con una evidente asimmetria: in quanto irregolari, gli stranieri non possono formalmente e tecnicamente esserne ricompresi. In quanto persone, invece, la tensione universalistica spinge verso la loro inclusione in quei “tutti” che risultano destinatari di diritti. Spetta evidentemente al diritto costituzionale individuare casi e modalità nei quali – ferma restando l’ordinaria scelta discrezionale del legislatore sulle modalità di ingresso degli stranieri nel nostro ordinamento (pur non completamente libera: si pensi al diritto costituzionale di asilo politico) – eventualmente ed eccezionalmente colmare questa asimmetria, valorizzando l’adesione ed il contributo sostanziale degli stranieri irregolari alla società al punto da facilitarne il “transito” verso la condizione di regolarità. 17 In tema, sia consentito rinviare al nostro La persona umana fra totalitarismo e Stato costituzionale. Prime riflessioni, in Dir soc. 3, 2015, 503 ss. È chiaro, però, che l’estensione agli stranieri di diritti e libertà in teoria ritenuti prerogativa dei cittadini non è necessariamente senza costo per questi ultimi (ma, in senso contrario, cfr. G.U. Rescigno, Note sulla cittadinanza, in Dir. pubbl. 1, 2000, 760), visto che, specie in relazione ad alcuni diritti, l’estensione della relativa titolarità potrebbe anche incidere negativamente sul livello concreto di tutela. 204 Alessio Rauti Diritto degli stranieri… Nel complesso, può dirsi che proprio il principio di eguaglianza – in combinato disposto con l’art. 2 ed orientato dunque dalla tensione costituzionale verso la massima espansione dei diritti (ovviamente, considerati in un quadro sistemico e non frazionato) – offre la direzione della garanzia dei diritti degli stranieri, i quali, ancorché differenziabili rispetto a quelli fruiti dal cittadino in presenza di una diversità di fatto rilevante ai fini della ratio della norma in gioco (Corte Cost., sent. 26 giugno 1969, n. 104), dovrebbero considerarsi tendenzialmente diritti delle persone e non dei soli cittadini, almeno fin tanto che non si riesca ad offrire una ragionevole dimostrazione della loro natura di diritti necessariamente “di cittadinanza”. Sicché, se pure il principio di eguaglianza richiede almeno in teoria che anche i trattamenti eguali siano giustificabili, in questo caso è piuttosto sulla differenziazione fra cittadini e stranieri che incombe l’onere della ragionevolezza, tanto più gravoso quanto più ci si sposta verso il nucleo centrale dei diritti fondamentali18. 2. (segue): la problematica estensione dei diritti politici agli stranieri. La spinta inclusiva incontra maggiori difficoltà di ordine concettuale riguardo all’estensione agli stranieri dei diritti politici classici19 – quali il diritto di voto e l’accesso alle cariche elettive – nonché all’accesso ad impieghi pubblici. A titolo di esempio, può qui ricordarsi la tesi sostenuta da Paolo Barile: «Vale il principio secondo cui, per effetto dell’art. 2 si presume, in mancanza di una contraria norma costituzionale (o anche di legge, che non tocchi peraltro i diritti fondamentali), che le libertà costituzionali spettino tanto al cittadino quanto allo straniero. Ciò vale non soltanto quando la Costituzione parla di “tutti” o in modo impersonale (…), ma anche quando si dirige ai cittadini, non mostrando peraltro di esigere una disparità di trattamento a danno degli stranieri»20. A partire da tale premessa, l’A. include anche le libertà di riunione, associazione, circolazione e soggiorno (oltre, ovviamente, alla libertà personale, di domicilio, di manifestazione del pensiero, religiosa) ed i doveri di prestazioni personali e patrimoniali, mentre ritiene «evidente» che non vi rientrino i diritti politici – compreso il diritto di voto, di accesso agli uffici pubblici e cariche elettive «e (forse) di partecipazione ai partiti politici» – ed «i doveri generici di fedeltà alla Repubblica»21. 18 Per una raffigurazione piramidale dei rapporti fra nucleo essenziale dei diritti, livelli essenziali delle presta- zioni e prestazioni aggiuntive stabilite dalle Regioni – ai soli fini di un’utile rappresentazione geometrica – v. C. Panzera, I livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali, in Diritto costituzionale e diritto amministrativo: un confronto giurisprudenziale (a cura di G. Campanelli, M. Carducci, N. Grasso e V. Tondi della Mura), Torino 2010, 57 ss., spec. 99. 19 Sul carattere storico dei diritti politici e sui relativi rapporti con la cittadinanza, cfr. G. Volpe, voce Diritti politici, in Enc. giur., vol. XI, Roma 1989. Sull’estensione dei diritti politici agli stranieri residenti (salvo casi particolari, per un periodo variabile da un minimo di sei mesi ad un massimo di cinque anni) nei principali Paesi dell’Unione, v. la tabella riportata in G. Zincone, Rappresentanza e diritto di voto, in www.Cestim.it, 20. 20 Cfr. P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna 1984, 32 s. 21 Sull’esistenza di una vera e propria riserva dei diritti politici a favore dei cittadini v. già C. Esposito, I partiti nella Costituzione italiana, in Id., La Costituzione italiana. Saggi, Padova 1954, spec. 221; T. Martines, sub artt. 56- 205 Interventi  Parte I Tuttavia, anche qui, come noto, si è già avuto il riconoscimento dell’elettorato attivo e di un parziale elettorato passivo a favore dei cittadini di un Paese dell’Unione Europea nelle elezioni del Comune italiano nel cui territorio risiedano, nonché, con talune limitazioni, la possibilità per tali cittadini e per alcune categorie di stranieri extracomunitari di accedere agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni che non comportino l’esercizio di poteri pubblici22. A fronte di tale “breccia”, è difficile oramai sostenere che l’art. 1 della Costituzione – nell’attribuire la sovranità al popolo, potere peraltro esercitabile secondo modalità anche ulteriori rispetto all’esercizio del diritto di elettorato attivo e passivo – impedisca in assoluto l’estensione del diritto di voto ai non cittadini. Anzi, la vicenda relativa ai cittadini comunitari ha determinato anche letteralmente il superamento della definizione tradizionale di corpo elettorale definito dall’art. 48 come l’insieme dei cittadini, introducendo addirittura uno sdoppiamento di tale figura e, in particolare, un’asimmetria fra il corpo elettorale nazionale che vota alle elezioni delle Camere (nonché per il referendum abrogativo e per quello costituzionale) e la somma delle frazioni locali di tale corpo, comprensive anche dei cittadini comunitari iscritti nell’anagrafe elettorale. Tuttavia, a parte il rilievo dell’art. 10, II c. – in base al quale la condizione giuridica dello straniero deve essere regolata dalla legge in conformità alle norme ed ai trattati internazionali, ivi compresi quelli fondativi dell’Unione europea – tale esito potrebbe considerarsi giustificato, per i cittadini dell’Unione, dal bilanciamento dell’art. 1 e dell’art. 11 della Costituzione, il cui punto di equilibrio risiede altresì nella limitazione al solo livello 58, in Commentario della Costituzione (a cura di G. Branca), Bologna-Roma 1984 e ora in Id., Opere, Tomo III, Ordinamento della Repubblica, Milano 2000, spec. 170; F. Lanchester, voce Voto, in Enc. dir., vol. XXXII, Milano 1982, 1123; P. Ridola, voce Partiti politici, in Enc. dir., vol. XXXII, Milano 1982, 89. Sui diritti politici degli stranieri, cfr., fra gli altri, C. Corsi, Immigrazione e ruolo degli enti territoriali, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it 1, 2005, 46 ss.; A. Algostino, I diritti politici dello straniero, Napoli 2006; E. Grosso, La titolarità cit., spec. 118 ss., T.F. Giupponi, Stranieri extracomunitari e diritti politici. Problemi costituzionali dell’estensione del diritto di voto in ambito locale, in Forum on line di Quad. cost. (2006); G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali. L’esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee, Napoli 2007, 392 ss.; C. Lucioni, Cittadinanza e diritti politici. Studio storico-comparatistico sui confini della comunità politica, Roma 2008; B. Caravita di Toritto, I diritti politici dei “non cittadini”. Ripensare la cittadinanza: comunità e diritti politici, in Associazione italiana dei Costituzionalisti, Lo statuto costituzionale del non cittadino, Atti del XXIV Convegno annuale AIC di Cagliari, 16-17 ottobre 2009, Napoli 2010, 133 ss.; A. Sciortino, Migrazioni e trasformazioni della partecipazione politica. Una riflessione sul riconoscimento del diritto di voto ai non cittadini stabilmente residenti, in Studi in onore di L. Arcidiacono, VI, Milano 2010, 2015 ss.; H. Haider Quercia, I diritti politici degli stranieri, Roma 2012. Non pochi fra gli autori fin qui citati ritengono invero possibile una modifica della Costituzione nella direzione di una estensione dei diritti politici agli stranieri (e in tal senso, v. già E. Bettinelli, voce Diritto di voto, in Dig. disc. pubbl., vol. V, Torino 1990, 220). Da ultimo, la tesi è stata sostenuta da A. Ruggeri, I diritti dei non cittadini tra modello costituzionale e politiche nazionali, in Metamorfosi della cittadinanza e diritti degli stranieri, Atti del Convegno internazionale di studio – Reggio Calabria, 26-27 marzo 2015, (a cura di C. Panzera, A. Rauti, C. Salazar, A. Spadaro), Napoli 2016, 42, che intravede invece in altre vie, pure astrattamente percorribili, il rischio di «una torsione insopportabile del linguaggio costituzionale, piegato strumentalmente al servizio di una causa pur tuttavia giusta, ed uno scostamento troppo vistoso, incolmabile, rispetto alla ratio immanente degli enunciati in parola, nella quale si specchia un chiaro original intent a finalità esclusiva manifestato in occasione della redazione della Carta». 22 Rinviamo per l’analisi dell’argomento al nostro Stranieri e pubblico impiego: prime considerazioni, in Metamorfosi cit., 329 ss. 206 Alessio Rauti Diritto degli stranieri… locale del loro elettorato attivo ed in precisi paletti posti al loro elettorato passivo (ad esempio, in relazione alla carica di Sindaco) ed all’accesso al pubblico impiego. Più difficile è rintracciare una norma di diritto internazionale che possa offrire analoga copertura in virtù dell’“ombrello” offerto dall’art. 10, II c., per quanto non manchino tesi in tal senso23. Di certo, se l’Italia avesse ratificato ed eseguito anche il capitolo C della Convenzione di Strasburgo del 1992 del Consiglio d’Europa sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale (entrata in vigore il 1° maggio 1997), il relativo diritto, pur sancito dalla legge, troverebbe comunque copertura nientemeno che in un principio costituzionale fondamentale24. Tuttavia, tenuto conto della più recente giurisprudenza costituzionale e una volta escluso che l’art. 1 Cost. impedisca qualsivoglia estensione dei diritti politici in senso stretto agli stranieri – dovendosi dunque fare i conti solo con gli artt. 48 e 51 – si potrebbe ritenere abilitato il legislatore ordinario ad estendere il diritto di voto anche agli stranieri extracomunitari a titolo di diritto di rango legislativo (ovvero: non assistito dalle stesse garanzie costituzionali previste per i cittadini)25, al pari di quanto aveva già fatto, specularmente, con l’estensione del dovere di leva militare agli apolidi, ritenuto dalla 23 Ad esempio, per P. Bonetti, Ammissione cit., 12, la circostanza per cui l’art. 16 della CEDU non vieta agli Stati di imporre limiti all’attività politica degli stranieri significherebbe pure ch’essi «in ogni caso non possono sopprimerla del tutto». Allo stato attuale, tuttavia, pur potendosi contare parecchie decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia elettorale, non ci sono indicazioni in tal senso nella sua giurisprudenza, permanendo un ampio margine di apprezzamento statale in materia, che ovviamente potrebbe in teoria anche essere ridotto laddove si accedesse ad una nozione diversa ed inclusiva di popolo, considerato che l’art. 3 del Protocollo n. 1, per quanto non si riferisce ai cittadini degli Stati, impegna comunque gli Stati contraenti «ad organizzare, ad intervalli ragionevoli, libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la libera espressione del popolo sulla scelta del corpo legislativo». Al contrario, per l’accesso al pubblico impiego di alcune categorie di stranieri extracomunitari, prescritto dalla stessa normativa dell’Unione, la copertura è già attualmente rinvenibile nell’art. 11 della Costituzione. 24 Segnatamente, in base all’art. 6, paragrafo 1, «Ciascuna Parte si impegna con riserva delle disposizioni dell’art. 9, paragrafo 1, a concedere il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni locali ad ogni residente straniero, a condizione che questi soddisfi alle stesse condizioni di quelle prescritte per i cittadini ed inoltre che abbia risieduto legalmente ed abitualmente nello Stato in questione nei cinque anni precedenti le elezioni». In base, poi, all’art. 7, tale periodo di residenza può anche essere più breve per ciascuno Stato (per decisione unilaterale o in virtù di accordi con altri Stati). Peraltro, ai sensi del paragrafo due dell’art. 6, uno Stato contraente può anche dichiarare all’atto del deposito del suo strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione che intende limitare l’applicazione del paragrafo 1 al solo diritto di voto. In tema, cfr. G. Coletta, Verso l’estensione del diritto di voto ai non cittadini, in Diritti e costituzione. Profili evolutivi e dimensioni inedite (a cura di A. D’Aloia), Milano 2003, 362; G. Zincone-S. Ardovino, I diritti elettorali dei migranti nello spazio politico e giuridico europeo, in Le istituzioni del federalismo 5, 2004, 742-743; B. Caravita, I diritti cit., 161. 25 Cfr. M. Luciani, Cittadini e stranieri come titolari dei diritti fondamentali. L’esperienza italiana, in Riv. critica dir. priv., 1992, 224 ss. (ma lo stesso A., come si dirà di qui a un momento, ha poi precisato, sia pure problematicamente, la sua tesi); E. Grosso, La titolarità cit., 118 ss.; B. Caravita, I diritti cit., 155. Tale tesi – cui ha aderito, com’è noto, anche il Consiglio di Stato in un suo parere di qualche anno fa (Cons. St., sez. I, 16 marzo 2005, n. 9771) – presuppone, in verità, una lettura in bonam partem (ma non pacifica) di quanto la Corte costituzionale ha affermato nella Corte Cost., sent. 23 marzo 1968, n. 11, ovvero che gli stranieri «devono poter godere in Italia di tutti quei fondamentali diritti democratici che non siano strettamente inerenti allo status civitatis» (nostri i c.vi). In tal senso, per P. Bonetti, Ammissione all’elettorato, cit., 12, la decisione impedisce unicamente l’estensione agli stranieri del diritto di voto a titolo di diritto fondamentale di rango costituzionale, non già a titolo di diritto di rango legislativo. 207 Interventi  Parte I Corte non illegittimo26. Per la verità, ulteriori e ben più ardue questioni pone la tesi qui ricordata, nella misura in cui – a differenza di quanto garantito dalla Costituzione ai cittadini – ricostruisce tali eventuali diritti politici legislativi degli stranieri quali diritti non fondamentali. Forse potrebbe invece sostenersi che – ferme restando le adeguate garanzie di “giustiziabilità” – un diritto “fondamentale” è sempre tale e non cambia la sua natura a seconda di chi lo esercita: talvolta esso è espressamente e direttamente riconosciuto nel testo costituzionale (diritto fondamentale classico); talaltra viene estrapolato da quel testo ad opera della Corte costituzionale (diritto fondamentale di derivazione giurisprudenziale); talaltra ancora, è frutto di un intervento legislativo, che espande la “portata” di un diritto (per es.: l’accesso ad internet come diritto di manifestazione del pensiero) o estende il “numero” dei suoi fruitori (per es: i diritti politici dei “non” cittadini residenti negli EE.LL.: diritto fondamentale di derivazione legislativa)27. Comunque sia, quantomeno verso tale ultima direzione potrebbe spingere il diritto di ogni persona al pieno sviluppo in una comunità sociale in cui le sue relazioni interpersonali possano trovare compiuta realizzazione, ciò che avviene, al suo livello più alto, attraverso la titolarità della libertà politica, magari attraverso l’iniziale partecipazione all’autogoverno locale. In questo senso, il combinato disposto degli art. 48 e 51 Cost. e della legge ordinaria consentirebbe di individuare, di volta in volta, gli aventi diritto al voto e i titolari di elettorato passivo anche fra gli stranieri. Lo stesso art. 51, u.c., nella parte in cui consente al legislatore di parificare, nell’accesso alle cariche elettive ed agli uffici pubblici, i cittadini agli italiani non appartenenti alla Repubblica, senza, ovviamente, alcun limite rispetto alla provenienza (euro-unitaria e extracomunitaria) di tali stranieri, non costituisce affatto un ostacolo all’interpretazione cui qui si aderisce. Difatti, l’interpretazione più convincente di tale disposizione non è affatto quella che vi scorge un elemento ulteriore a contrario per sostenere la ratio escludente dell’art. 5128. Piuttosto, proprio per la sua connotazione storica, essa sembra suggerire la necessità di una concezione dinamica – adeguata all’evoluzione dei tempi – dei requisiti per la titolarità dei diritti politici, in modo da potersi tener conto dell’esigenza più generale di favor per quanti vantano un legame particolare con la Repubblica, che invero potrebbe anche essere diverso dall’appartenere alla stirpe italica. 26 Per R. Cherchi, I diritti dello straniero e la democrazia, relazione al Convegno dell’Associazione Gruppo di Pisa su “Cos’è un diritto fondamentale?”, svoltosi a Cassino il 10 e 11 giugno 2016, 42, «il percorso per l’acquisto dei diritti politici potrebbe essere collegato a quello per l’acquisto della cittadinanza, riconoscendosi la titolarità dei diritti politici solo agli stranieri che, regolarmente soggiornanti per un certo numero di anni, abbiano presentato una pre-istanza di naturalizzazione. Verrebbe in questo modo in essere una figura intermedia tra il cittadino e lo straniero, quella dell’intending citizen (straniero in attesa di cittadinanza)». 27 Ovviamente, il riconoscimento legislativo dei diritti fondamentali dello straniero, se «ha il vantaggio di consentire il costante allargamento dei diritti dello straniero, presenta la non indifferente pecca di lasciare al legislatore (o all’amministrazione), in prima battuta, il compito di decidere se, e in quale misura, un diritto spettante al cittadino integri anche un diritto fondamentale»: così M. Manetti, Profili costituzionali in materia di diritto alla cittadinanza degli immigrati, in Rass. parl. 3, 2014, 523. 28 Sul punto, v. C. Esposito, I partiti cit., spec. 221. 208 Alessio Rauti Diritto degli stranieri… Superata l’idea di una siffatta preclusione – e ritenendosi possibile almeno in teoria un’estensione dei diritti in via legislativa – va da sé che, in assenza di uno specifico aggancio ad un documento internazionale (ratificato ed eseguito dall’Italia) che garantisca il diritto di voto agli stranieri, la diversa soluzione della revisione costituzionale potrebbe essere comunque necessaria per garantire anche agli stranieri un diritto non sottoposto all’oscillante – e spesso capricciosa – volontà delle maggioranze ordinarie, magari attraverso una gradazione nella sua estensione. In effetti, il ricorso ad una modifica costituzionale potrebbe utilmente introdurre a favore degli stranieri extracomunitari un’estensione graduale e sufficientemente garantita dei diritti politici, valorizzando soprattutto il legame degli stranieri con le comunità locali e dunque riconoscendo ad essi l’elettorato attivo e passivo nelle elezioni comunali. Ovviamente, l’argomento decisivo a favore di tale scelta non è tanto la pretesa natura amministrativa e non politica delle elezioni comunali, dato oltremodo contestabile e contestato29, mentre potrebbe esserlo solo in parte la fondamentale differenza di posizione istituzionale tra il Parlamento, cui spetta in esclusiva il potere di revisione costituzionale, e gli organi politici elettivi in altri livelli di governo (pure ribadita, ad esempio, dalla Corte costituzionale nella Corte Cost., sent. 13 gennaio 2014, n. 1)30. La ragione fondamentale potrebbe rinvenirsi semmai nel particolare legame che lo straniero, tramite la residenza, può stringere innanzitutto col territorio e con la comunità locale, in cui più d’ogni altro livello di governo trova valorizzazione l’intreccio dei rapporti inter-personali, oltre all’esistenza di un’ampia sfera di strumenti di partecipazione a favore dei non cittadini già previsti a tale livello dal T.U.E.L. (d.lgs. n. 267/2000), per quanto qui occorrerebbe capire non solo il grado di diffusione di norme in tal senso negli statuti comunali ed in quelli delle Città metropolitane, ma anche accertarne la reale utilizzazione nella prassi. Comunque sia, anche per le elezioni locali possono essere previste opportune forme di gradazione e limitazione per gli stranieri extracomunitari, ferma restando la necessità di un’apposita normazione (e, dunque, evitando semplicistici rinvii alla disciplina relativa ai cittadini dell’Unione)31. Tuttavia, proprio ciò che giustificherebbe una modifica costituzionale può costituirne il principale ostacolo, considerata l’evidente difficoltà politica di raggiungere maggioranze assolute in materia, quando da tempo le stesse proposte di legge sull’estensio- 29 … ad esempio, da A. Ruggeri, I diritti dei non cittadini, cit., 40. 30 Del resto, com’è stato ricordato, modifiche della condizione degli stranieri potrebbero maturarsi anche senza il “passaggio” dell’art. 138, per effetto del diritto dell’Unione europea o del diritto internazionale (cfr. ancora A. Ruggeri, I diritti cit., 40). Ovviamente, ad esempio, l’eventuale, futuro accesso dei cittadini comunitari anche alle elezioni politiche nazionali di altro Stato membro in cui questi risieda difficilmente potrebbe realizzarsi senza, comunque, una legge parlamentare di ratifica ed esecuzione di un nuovo Trattato o di una nuova Carta fondamentale dei diritti dell’Unione, il che, accanto al potere di revisione costituzionale, ancor più segna la distanza di tale organo rispetto alle assemblee rappresentative proprie di altri livelli di governo sub-nazionale. 31 Più in generale, sull’esistenza di una “gradualità” delle situazioni giuridiche soggettive, anche fondamentali, v. il tentativo di classificazione di recente operato da A. Spadaro, I “due” volti del costituzionalismo di fronte al principio di auto-determinazione, in Pol. dir. 3, 2014, 403 ss. 209 Interventi  Parte I ne dei criteri di acquisto della cittadinanza, approvabili con la maggioranza semplice, si arenano ciclicamente nelle secche parlamentari32. Non è peraltro una modifica da poco, poiché, soprattutto se non limitata al livello locale, innesterebbe una componente decisiva per una nuova interpretazione sistematica ed evolutiva del concetto di popolo di cui all’art. 1, Cost. Se è vero infatti che al popolo appartiene la sovranità – da esercitare nei modi (oltre che nei limiti) previsti dalla Costituzione – allora riconoscere direttamente nella Carta diritti politici agli stranieri in relazione a livelli di governo caratterizzati massimamente dall’esercizio di poteri sovrani comporta, quale effetto boomerang, il definitivo superamento dell’impostazione dogmatica che ha sempre individuato nel popolo l’insieme dei cittadini. Qualora invece si ritenesse ancora l’art. 1 della Carta ostativo all’attribuzione di classiche funzioni sovrane agli stranieri extracomunitari33, in assenza di una copertura in un principio fondamentale si dovrebbe realisticamente e singolarmente riconoscere anche l’impossibilità di procedere ad una revisione costituzionale degli artt. 48 e 51 che, in quanto volta ad estendere ai non cittadini l’elettorato attivo e passivo, risulterebbe in asserito contrasto col nucleo duro costituzionale. Ma tale lettura sembra superata dal diritto costituzionale vivente e soprattutto dall’estensione agli stranieri ed apolidi dello stesso diritto-dovere di difendere la Patria, che richiede dunque un complessivo ripensamento dell’intera materia. Del resto, proprio la dottrina che intravede nell’art. 1 Cost. il predetto limite di estensione agli stranieri, considera preclusa l’attribuzione a questi ultimi del dovere di difesa della Patria, secondo uno schema non accolto dalla Corte costituzionale né nella Corte Cost., sent. 18 maggio 1999, n. 172, né nella successiva decisione n. 119/2015. E convince pienamente il rilievo di chi proprio nell’esclusione degli stranieri che regolarmente contribuiscono anche finanziariamente alla vita pubblica dalla titolarità dei diritti politici intravede il pericolo di «un ordinamento strutturalmente non democratico»34. Comunque sia, entrambe le soluzioni – la modifica legislativa e quella costituzionale – in verità, tendono pregevolmente a realizzare i postulati del principio democratico, che spinge verso una corrispondenza – sia pure oramai mediata dalla rappresentanza – fra chi detiene il potere politico e chi ne risulta assoggettato35. Ma presentano ulteriori aspetti sui 32 La scelta della revisione può presentarsi, da un punto di vista politico, «inutilmente lunga e sostanzialmente dilatoria»: P. Bonetti, Ammissione, cit., 21. 33 In tal senso, cfr. M. Luciani, Il diritto di voto agli immigrati: profili costituzionali, in Cestim.it, secondo cui l’ostacolo ad un’estensione piena agli stranieri dei diritti politici a titolo di diritti legislativi incontra non già il limite degli artt. 48 e 51, ma, piuttosto, il vincolo dell’art. 1 Cost., da cui deriva che «agli stranieri non si possono conferire diritti politici il cui esercizio comporti il compimento di atti di sovranità, mentre si possono conferire diritti politici il cui esercizio non sfoci nel compimento di simili atti». In tal senso, non sarebbe consentita l’attribuzione di diritti politici agli stranieri in relazione alle elezioni politiche nazionali, al referendum abrogativo ed a quello costituzionale (34). Segnatamente, per atti di esercizio della sovranità devono intendersi «quegli atti di indirizzo politico generale di un paese che troviamo riassunti nella formula generale dell’articolo 49 (atti che determinano la politica nazionale)». 34 Cfr. A. Ruggeri, I diritti cit., 41. 35 Su tale punto, cfr. B. Caravita di Toritto, I diritti cit., 140, secondo cui, «in ragione dell’espansione del principio democratico, sia nella scala sovra-nazionale che in quella sub-statale, sono evidenti i segnali di ripensamento della tradizionale titolarità dei diritti politici ai soli cittadini». 210 Alessio Rauti Diritto degli stranieri… quali è bene riflettere. Nel primo caso – estensione in via legislativa – si consegna purtroppo agli stranieri un diritto reso debole non solo dal suo rango non costituzionale, ma dall’essere disponibile alle maggioranze governative in un contesto di grave crisi economica e immigrazione massiccia. Quanto alla seconda ipotesi (modifica della Costituzione), al di là della sua fattibilità, essa cristallizza e blinda con un tratto di penna il superamento del concetto tradizionale di popolo, che probabilmente richiederebbe ben altri tempi di maturazione culturale e di riflessione giuridica. In particolare, un tale innesto, soprattutto se riferito ai diritti politici tout court (anche in ordine alle elezioni politiche nazionali) porterebbe ad una nuova interpretazione del termine “popolo” ai sensi dell’art. 1 Cost., nel senso di ritenerlo comprensivo di quella cerchia di soggetti che, ancorché non cittadini, diverrebbero comunque titolari di diritti politici connessi all’esercizio di tradizionali funzioni sovrane, con una serie di conseguenze a cascata: basti pensare alla possibilità che tali soggetti ricorrano alla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione del ricordato art. 3 del Protocollo n. 1 della Cedu36. Non solo, ma andrebbero riviste le preclusioni nell’accesso degli stessi cittadini comunitari ad impieghi pubblici che comportino l’esercizio di pubblici poteri. Insomma, senza un progetto coerente ed organico si rischia di costruire una cattedrale nel deserto. Al di là comunque delle conseguenze – che, com’è evidente, richiedono un complessivo ripensamento della condizione dei non cittadini – ci si può chiedere, a questo punto, se, così ridefinita in senso ampio la comunità politica, potrebbe conservare ancora un senso il concetto di cittadinanza, soprattutto nella sua versione contemporanea, sempre più denazionalizzata (e sganciata, a maggior ragione, dall’identità fondata sull’etnos o sulla “stirpe”). Ancor più ci si deve oggi interrogare sulle priorità in una fase politica di evidente stallo, segnata dalla fatica nel compimento del passo decisivo consistente nell’agevolare per i non cittadini regolarmente integrati nel nostro territorio lo status civitatis. Del resto, pur dovendosi valutare l’utilità della partecipazione politica degli stranieri innanzitutto a livello locale, ciò non basterebbe a sciogliere il nodo centrale del problema senza che sia riconosciuta anche in via istituzionale l’avvenuta metamorfosi della cittadinanza e ne vengano sviluppate le naturali conseguenze in sede legislativa37. Va peraltro considerato che entrambi gli strumenti ipotizzati – la modifica legislativa e quella costituzionale, volte ad estendere agli stranieri i diritti politici classici – non superano completamente i dirompenti, negativi effetti del linguaggio giuridico e, in particolare, lasciando inalterata la qualifica di “straniero” dei soggetti potenzialmente interessati, consentono in fondo che anche per essi tale termine continui a trasmodare dalla neutralità ed 36 L’alternativa ermeneutica, davvero poco lineare sul piano logico, consisterebbe nel conservare, pure dopo tale eventuale revisione costituzionale, il concetto tradizionale di popolo inteso come insieme dei soli cittadini, con ciò tuttavia aggravando la ricordata disarmonia già esistente nel rapporto fra popolo e corpo elettorale, fino a rendere una parte di quest’ultimo – composta dai non cittadini titolari del diritto di voto – sganciata dall’estensione del primo. 37 Per la terminologia utilizzata nel testo, cfr. C. Panzera, A. Rauti, C. Salazar, A. Spadaro (a cura di), Metamorfosi cit. In tema, cfr. già P. Carrozza, Noi e gli altri. Per una cittadinanza fondata sulla residenza e sull’adesione ai doveri costituzionali, in La governance dell’immigrazione. Diritti, politiche e competenze (a cura di E. Rossi, F. Biondi Dal Monte, M. Vrenna), Bologna 2013, 27 ss. 211 Interventi  Parte I oggettività di una definizione giuridica – che in esso individua il titolare della cittadinanza di un altro Stato – a quello, spesso negativamente connotato, dei rapporti sociali38. Sicché, lo ripetiamo, se pure non può escludersi l’utilità di un loro utilizzo con gradualità – e senza dimenticare le norme degli Statuti e di leggi regionali che già introducono diritti di partecipazione (e dunque, lato sensu politici) a favore degli stranieri, nonché le stesse norme del T.U. imm. (art. 9) e del T.U.E.L. (d.lgs. n. 267/2000, art. 8, V c.)39 – certamente rimane ineludibile l’esigenza di una tempestiva modifica legislativa dei criteri di acquisto della cittadinanza, attesa da più parti e da molto tempo, nella direzione di una valorizzazione dei legami stretti dallo straniero con lo Stato e la comunità dei cittadini attraverso la residenza e la nascita nel territorio della Repubblica. Del resto, al di là del preciso significato storico del riferimento agli italiani non appartenenti alla Repubblica, la Costituzione accoglie un concetto non etnico ma civico di Nazione40, circostanza pacificamente presupposta dalle disposizioni della l. n. 91/1992 che consentono l’acquisto della cittadinanza a stranieri di origini non italiane. Ovviamente, anche tale soluzione non è scevra da rischi, a partire dalla possibilità che, anche qui, ciò che prima viene “concesso” – nuove e più inclusive modalità di acquisto della cittadinanza – venga in seguito ed imprevedibilmente revocato col mutare delle maggioranze politiche. Ma è pur vero che, una volta che ci si decida a compiere il fatidico passo, è possibile immaginare – per quanto nulla possa darsi per scontato – che proprio i “nuovi” cittadini costituiranno un valido anticorpo rispetto a modifiche regressive della legge sulla cittadinanza. In ogni caso, poi, c’è da augurarsi che l’applicazione dei nuovi criteri agevoli nel frattempo un’adeguata crescita, allo stesso tempo critica ed inclusiva, dell’opinione pubblica. 3. Abbiamo bisogno di aggettivi? Note minime a margine della tesi della c.d. ‘‘cittadinanza costituzionale’’. Fioriscono nei contributi della dottrina i tentativi di accostare al termine “cittadinanza” un aggettivo idoneo a coglierne una specifica dimensione o un suo preciso modo di essere. Senza considerare l’atipicità della c.d. “cittadinanza europea”, si pensi alla nota e risalente locuzione “cittadinanza sociale” di Marshall41, o alla c.d. “cittadinanza partecipativa”, fino alla 38 «Esiste infatti un’interazione profonda tra diritto e senso comune: tra integrazione ed uguaglianza giuridica e, inversamente, tra disuguaglianza nei diritti e percezione di chi non ha diritti come disuguale e inferiore»: così L. Ferrajoli, Disuguaglianze e razzismo, in Id., Iura Paria. I fondamenti della democrazia costituzionale, Napoli 2015, 215. 39 Cfr. nuovamente B. Caravita di Toritto, I diritti cit., 146 ss. 40 Sul concetto di Nazione, v. per tutti C. De Fiores, Nazione e Costituzione, Vol. 1, Torino 2005 (nonché, per gli studi storici, il classico contributo di F. Chabod, L’idea di nazione, Bari 1961). Sulla differenza fra i concetti di nazione e di etnia, v. da ultimo A. Spadaro, Les évolutions contemporaines de l’État de droit, in Civitas Europa, Revue semestrielle de l’Université de Lorraine 2, 2016, 37, 95-120, nonché in Lo Stato 8, 2017, 139 ss. Sulla rilevanza delle nozioni di razza e di nell’acquisto della cittadinanza, v. da ultimo C. Nardocci, Razza e etnia. La discriminazione tra individuo e gruppo nella dimensione costituzionale e sovranazionale, Napoli 2016, spec. 55 ss. 41 Cfr. T.H. Marshall, Cittadinanza e classe sociale, Roma-Bari 2002. 212 Alessio Rauti Diritto degli stranieri… c.d. “cittadinanza costituzionale” emersa di recente. Del resto, anche la Corte costituzionale, nella ricordata Corte Cost., sent. 18 maggio 1999, n. 172, si è imbattuta nella necessità di dare un nome ad una forma di cittadinanza diversa da quella tradizionale. In quella sede, nell’individuare i tratti di una peculiare comunità di soggetti, anche stranieri, che «ricevono diritti e restituiscono doveri», la Consulta utilizzò con non poca prudenza il termine “seconda cittadinanza” – che, nella prospettiva solidaristica di cui all’art. 2 della Costituzione, «prescinde del tutto (…) dal legame stretto di cittadinanza» – quasi a sottolinearne la natura autonoma ed allo stesso tempo prodromica rispetto all’acquisto del solenne status civitatis. Senonché, per quanto sia talvolta comprensibile la scelta di etichettare fenomeni fluidi, che attestano la ricordata “metamorfosi della cittadinanza”, occorre però capire se tali operazioni definitorie – che, alla fine, decostruiscono l’unitarietà di un istituto – offrano davvero strumenti concettuali utili ad affrontare le questioni centrali poste dai ricordati fenomeni di cambiamento in atto. Ci soffermiamo, dunque, su una delle tesi più recenti, quella sulla c.d. “cittadinanza costituzionale”, come si vedrà, maggiormente interessante ai nostri fini. Volendo semplificare, l’impianto argomentativo che la sostiene si fonda principalmente su due assunti: a) «la Costituzione si rivolge a tutti coloro che possono essere abbracciati dalla sua efficacia»; b) al termine “cittadini” utilizzato nella Carta in relazione ad alcune libertà (e taluni diritti) dovrebbe essere ascritto un significato proprio e diverso da quello, tradizionale, di “cittadini statali”: «cittadino è chi si trovi a partecipare alla vita consociata sul territorio»42 . Almeno due rilievi possono essere mossi a questa originale tesi, con l’unico scopo di fornire ulteriori argomenti per la costruzione di una solida teoria normativa della cittadinanza. In virtù del primo dei due assunti, cittadino sarebbe chiunque sia investito dell’efficacia della Costituzione, dovendosi dunque, almeno così pare, ricomprendere anche gli stranieri irregolari, che peraltro già godono di diritti costituzionali, a partire da quello di azione e di difesa contro la loro espulsione (ed in effetti, l’A. fa riferimento a «tutti i soggetti che si trovano sul territorio nazionale», anche se per taluni diritti è necessario che questi partecipino alla vita consociata sul territorio)43. Tuttavia, se il criterio distintivo è l’efficacia della Costituzione, in questo modo la cittadinanza rischia di essere sostanzialmente ridotta a mera soggezione all’ordinamento, di cui la Carta costituisce la classica Grundnorm. La nozione di “cittadino” verrebbe dunque a coincidere con quella di “soggetto giuridico”, secondo una prospettiva tipicamente normativistica. Non a caso, era questa la posizione di Kelsen, che tuttavia faceva salva la rilevanza del concetto di cittadinanza quantomeno nei rapporti fra gli Stati44. 42 Così L. Ronchetti, La Costituzione come spazio della cittadinanza, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2/2015, 442 ss. (ma v. già Id., La “cittadinanza costituzionale” degli stranieri: una questione d’efficacia costituzionale, in La Repubblica e le migrazioni, a cura di L. Ronchetti, Milano 2014, 7 ss.). 43 L. Ronchetti, La Costituzione cit., 449, nostri i c.vi. 44 Sul punto, cfr. M. La Torre, Cittadinanza e ordine politico. Diritti, crisi della sovranità e sfera pubblica: una prospettiva europea, Torino 2004, spec. 251 ss. 213 Interventi  Parte I In virtù, invece, del secondo assunto – che valorizza la partecipazione alla vita consociata sul territorio – il concetto di popolo verrebbe ridotto a quello di popolazione, quantomeno nella misura in cui i residenti siano anche soggetti partecipanti. Senonché, a parte le riserve che potrebbero legittimamente nutrirsi sulla proposta di considerare cittadino chiunque risieda nel territorio e partecipi alla vita consociata sul territorio, senza ulteriori requisiti relativi all’effettiva integrazione ed in assenza di indizi affidabili sulla condivisione da parte dei non cittadini della meta-etica pubblica costituzionale, occorre fare i conti con alcuni ostacoli. In primo luogo, la tesi in questione richiederebbe di superare in via interpretativa il fatto che diverse disposizioni costituzionali, a partire dall’art. 1, presuppongono invece il concetto storico di popolo, inteso come insieme dei tradizionali cittadini. Del resto, è difficile immaginare che lo stesso termine “cittadino” possa acquisire un significato diverso nella Carta fondamentale e nella legge ordinaria sulla cittadinanza, che disciplina innegabilmente una materia sostanzialmente costituzionale. Ora, per quanto sia la legge a dover essere interpretata alla luce della Costituzione e non il contrario (Corte Cost., sent. 15 gennaio 2013, n. 1), è chiaro che se la stessa Costituzione utilizza il termine “cittadini” e riserva al legislatore statale la disciplina della materia “cittadinanza” (art. 117, II c., lett. i), tale campo materiale non può che estendersi quantomeno all’attuazione delle norme costituzionali sui diritti e doveri dei cittadini ed alla decisione sui criteri di acquisto e di perdita della cittadinanza, come suggerisce anche un’interpretazione “storica” dei contenuti minimi di tale materia45. Del resto, se tutte le disposizioni costituzionali fossero riferibili, allo stesso modo e con la stessa intensità, ai soggetti che risiedono regolarmente sul territorio e partecipano alla vita consociata sul territorio, perderebbero senso, accanto a buona parte della stessa legge n. 91/1992, le disposizioni della Carta in materia, a partire da quella appena ricordata (art. 117, II c., lett. i). Insomma, la stessa Costituzione priverebbe di senso… se stessa, Inoltre, verrebbe preclusa qualsivoglia definizione legislativa dei confini della comunità politica italiana, impedendo il concreto esercizio della relativa competenza riservata al legislatore statale. Infine, sarebbe impossibile qualsiasi distinzione tra cittadini e stranieri (residenti e “partecipanti”), che la Corte cost. ha invece sempre valutato (a partire dalla Corte Cost., sent. 26 giugno 1969, n. 104) soprattutto in relazione ai diritti non fondamentali ed alle prestazioni non essenziali. 45 Ciò non toglie, ovviamente, che proprio l’adesione al quadro costituzionale dovrebbe costituire infine il presupposto per l’acquisto della cittadinanza e l’essenza stessa di quest’ultima, sì che chi aderisce “formalmente e in toto” a quel patto che è la Costituzione nei fatti è già cittadino. Nel “migliore dei mondi possibili”, il diritto sub-costituzionale legislativo potrebbe anche solo recepire questo dato disciplinandolo in dettaglio, ma nel mondo reale tale passaggio viene mediato dalla sovranità statale sui flussi di entrata degli stranieri nel nostro Paese e sul contrasto all’immigrazione irregolare. Quanto poi al ruolo dell’art. 10, cpv., Cost., che per l’A. sarebbe svuotato altrimenti di significato, è convincente il rilievo per cui lo stesso continuerebbe a soddisfare utilmente «l’esigenza di fornire un aggancio costituzionale a quelle situazioni che, invece, non sono direttamente tutelate da specifiche disposizioni, ovvero rispetto alle quali la Costituzione ammetta una legittima differenziazione tra cittadini e non-cittadini» (così E. Grosso, La titolarità cit., 163). 214 Alessio Rauti Diritto degli stranieri… A ben vedere, poi, si può dubitare del fatto che la locuzione “cittadinanza costituzionale” riesca ad aggiungere molto di più rispetto a quanto può aversi da un’interpretazione normativa orientata alla “dignità della persona umana”. Del resto, diverse disposizioni costituzionali sui diritti e sulle libertà sono già ora, come si è visto, considerate applicabili anche agli stranieri, perfino, con geometria variabile, a quelli irregolarmente presenti sul territorio. La tesi in esame va invece apprezzata nella misura in cui rimette al centro del discorso sulla cittadinanza il dover essere costituzionale, rifiutando l’assunto che considera lo status civitatis un istituto completamente de-costituzionalizzato e giudica la nostra Carta fondamentale “muta” su tali questioni, al di là dell’art. 10, II c. e dell’art. 22, che pure meriterebbero interpretazioni magis ut valeant. Si tratta, a ben vedere, di valorizzare la Costituzione quale parametro di ragionevolezza anche per le scelte del legislatore in materia, comprese quelle che impongono limiti alla fruizione dei diritti da parte degli stranieri, secondo uno schema argomentativo emerso oramai da tempo nella giurisprudenza costituzionale ed ulteriormente sviluppato e proiettato in avanti da sensibile dottrina46. 4. Modelli di cittadinanza e riforme: «Sentinella a che punto è la notte?». Tre questioni di fondo. L’ormai acclarata resistenza che incontra qualsiasi progetto di riforma organica della legge italiana sulla cittadinanza (l. n. 91/1992) sembra scontare il seguente paradosso: quanto più il radicamento dell’immigrazione in Italia rende urgente la modifica di tale disciplina – già in origine inadeguata alle trasformazioni avviatesi dalla seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso – tanto più il timore di incomprensioni presso dell’elettorato, che reagisce in vario modo all’intensificarsi delle migrazioni, rende impervia per i partiti la scelta di avviare e/o di far approdare una riforma in tal senso. Com’è noto, anche il progetto di legge S. 2092, approvato dalla Camera dei deputati nella passata legislatura, si è, alla fine, arenato nelle secche parlamentari, mutuando la triste sorte di analoghi progetti precedentemente presentati. In prima battuta, si deve comunque stigmatizzare il modo in cui il contenuto di tale progetto di legge è stato riportato dalla stampa nazionale, che ha caricato talvolta il termine “ius soli” di immagini irrealistiche, iconografie di un’imminente invasione di donne straniere pronte a partorire in Italia per far acquistare la cittadinanza ai propri figli. In verità, il progetto in questione, pur migliorabile sotto diversi aspetti, provava a riequilibrare l’attuale sistema di acquisto della cittadinanza, particolarmente sbilanciato verso lo ius sanguinis e, per quanto riguarda i minori stranieri nati in Italia, assolutamente non in linea con le trasformazioni in materia di criteri di acquisto della cittadinanza che hanno caratterizzato nell’ultimo decennio i principali Paesi europei destinatari di migranti (in 46 Cfr. in particolare M. Cuniberti, op. cit., passim. 215 Interventi  Parte I primis, la stessa Germania, in teoria accostabile più d’altri Paesi al modello di cittadinanza fondato sulla stirpe e sui legami di sangue). Nel complesso, il progetto ricalcava in parte alcuni modelli ben conosciuti: si pensi, innanzitutto, all’introduzione del modello di ius soli “temperato” – di chiara matrice tedesca – che avrebbe consentito l’acquisto della cittadinanza al figlio di straniero se al momento della sua nascita almeno uno dei genitori fosse stato cittadino UE titolare del diritto di soggiorno permanente (ex art. 14, d.lgs. n. 30/2007) o straniero extracomunitario in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (ex art. 9, d.lgs. n. 286/1998). In tale ipotesi riemergeva il valore fondamentale, nella stessa Unione Europea, dei long-term residents (LTRs: soggiornanti di lungo periodo), la cui residenza continuativa, insieme agli altri requisiti previsti, avrebbe potuto generare effetti simili al diritto di soggiorno permanente, cui ha diritto il cittadino UE che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale. Il progetto introduceva inoltre due ulteriori modalità di acquisto della cittadinanza, in cui entrava in gioco lo ius culturae. La prima riguardava i minori stranieri nati o entrati in Italia prima del compimento del dodicesimo anno di età, che avessero frequentato un ciclo scolastico o di formazione professionale. La seconda era destinata invece ai minori stranieri entrati nel territorio italiano prima della maggiore età che risiedano legalmente da almeno sei anni e frequentino con esito positivo un ciclo scolastico o di formazione professionale. Rinviando ad altra sede l’esame approfondito di tale progetto47, restano quattro punti chiave sui quali soffermarsi. Il primo interrogativo è stato avanzato di recente sulla stampa con vena assai critica: in che modo conferire la cittadinanza al termine di un processo che riesca ad integrare le persone e non le proprie famiglie?48. Correggendo il tiro, ci si potrebbe chiedere come integrare i minori anche attraverso ma non solo (e, purtroppo, talvolta contro) le famiglie e comunità di origine. Tale prospettiva inserisce la cittadinanza al crocevia dei delicati rapporti fra comunità politica, persona e famiglia, nel presupposto che, se talvolta la crescita in famiglie già integrate offre al minore strumenti essenziali di inserimento nella società, si danno pure situazioni al limite, in cui nella stessa famiglia operano meccanismi di compressione della pari dignità e libertà dei suoi componenti. Sotto tale aspetto, è chiaro che con la prima modalità di acquisto della cittadinanza – ius soli “temperato” – il progetto accoglieva un modello di integrazione di tipo “familiare”, valorizzando i legami con un genitore già integrato. Al contrario, nel secondo e nel terzo canale di acquisto dello status civitatis, l’idea di fondo era che l’integrazione si debba realizzare in prima persona e direttamente attraverso la partecipazione alla comunità scolastica e dunque l’esperienza del dialogo e del pluralismo. 47 Cfr. nuovamente A. Rauti, Lo ius soli in Italia, cit. (e, ivi, la letteratura citata, cui adde, da ultimo, S. Fabianelli, Le radici dello ius soli: il criterio territoriale di acquisto della cittadinanza negli ordinamenti di Italia e Francia, in www.rivistaaic.it 3, 2017). 48 Cfr. E. Galli Della Loggia, Ius soli, troppe ipocrisie, in Corriere della Sera del 30 settembre 2017. 216 Alessio Rauti Diritto degli stranieri… Il secondo aspetto fondamentale riguarda il modo in cui si guarda alla cittadinanza: come premio di un’integrazione già avvenuta o come passaggio di un processo in itinere di integrazione che offra pero adeguati ed attendibili indici predittivi di stabilità futura49. È evidente, sotto questo profilo, che il primo dei nuovi criteri previsti dal progetto univa entrambe le prospettive: l’integrazione già avvenuta del genitore da lungo tempo soggiornante in Italia costituisce anche un indice affidabile di integrazione futura del minore, ancora in itinere. Al contrario, le modalità di acquisto della cittadinanza attraverso lo ius culturae erano sottese dalla seconda prospettiva, poiché la frequenza di un ciclo scolastico – che per il secondo criterio deve essere accompagnata a sei anni di residenza legale nel territorio – costituisce la tappa iniziale ed importante di un processo di integrazione. In tale prospettiva, però, dovrebbe essere rivista anche la durata eccessivamente lunga – dieci anni, termine addirittura superiore agli otto anni previsti dalla Germania – della residenza continuativa attualmente richiesta per l’acquisto della cittadinanza da parte degli stranieri extracomunitari. Non solo, ma sembra giunto il momento di valorizzare ulteriori indici di integrazione, legati al principio di solidarietà sociale declinato nella prospettiva della libertà. Mi riferisco, ad esempio, all’accesso al servizio civile nazionale – su cui ci si è già soffermati – nonché alle diverse forme di partecipazione volontaria a forme qualificate di associazionismo, ad attività di mediazione culturale e di accoglienza. La legge potrebbe formalizzare il “peso” di tali esperienze alla luce di un presupposto di fondo: il legame con il territorio deve essere inteso come creazione di una relazione con la storia e con il quadro di valori costituzionali che fondano la Repubblica. Non basta dunque un mero “volontarismo”, ma la scelta di acquisto deve presupporre la volontà di condividere l’etica pubblica costituzionale e, con essa, contribuire alla narrazione di una società in evoluzione. Si arriva così al terzo punto chiave di qualsiasi discorso sulla cittadinanza. Il processo di integrazione non può che realizzarsi in modo graduale, ma con adeguate forme di istituzionalizzazione del cammino di socializzazione compiuto dagli stranieri. In tal senso, al di là della necessaria e quanto mai urgente modifica dei criteri di ingresso legale dei migranti nel nostro territorio – la cui inadeguatezza e strozzatura costituiscono certamente pull factors dell’immigrazione clandestina – è decisivo introdurre correttivi al Testo Unico sull’Immigrazione (TUI) nel senso di prevedere una regola generale: che il rinnovo del primo permesso di soggiorno si traduca sempre e comunque nel rilascio di un permesso di soggiorno almeno biennale50 e che il secondo rinnovo sia almeno triennale (in modo da con- 49 Su tale questione, sia consentito rinviare al nostro La cittadinanza tra «sostanza», mercato e persona, in Riv. trim. dir. pubbl. 2, 2019, 493 ss. 50 Va ricordato che, in base al TUI, il permesso di soggiorno biennale è attualmente rilasciato al titolare di un visto per investitori (art. 26-bis, c. 5) ed ai lavoratori altamente specializzati con contratto di lavoro a tempo indeterminato (art. 27-quater, c. 11). È appena il caso di ricordare che, ai sensi dell’art. 40, c. 6, «Gli stranieri titolari di carta di soggiorno e gli stranieri regolarmente soggiornanti in possesso di permesso di soggiorno almeno biennale e che esercitano una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo hanno diritto di accedere, in condizioni di parità con i cittadini italiani, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e ai servizi di intermediazione delle agenzie sociali eventualmente predisposte da ogni regione o dagli enti locali 217 Interventi  Parte I sentire più agevolmente la presentazione della richiesta di permesso per lungo soggiornante). È solo un esempio, ma la logica di fondo resta la progressiva stabilizzazione dello straniero che risiede e lavora regolarmente nel nostro Paese. Perché ogni prospettiva di riforma del TUI e della legge sulla cittadinanza italiana deve agevolare meccanismi che spingano verso la normalizzazione nella convivenza di una società sempre più “plurale”. L’ultimo punto è strettamente legato ai precedenti. Se si intende, come sembra auspicabile, l’acquisto della cittadinanza come tappa essenziale di un processo ampiamente avviato di integrazione – e non come punto di arrivo di un “precariato decennale” degli stranieri – sembra necessario applicare il principio di responsabilità anche sotto il versante della garanzia dei diritti degli attuali cittadini e degli stessi stranieri che intraprendono il cammino dell’integrazione. Ci si può interrogare, in tal senso, sulla concessione, a quanti hanno già acquistato il permesso di lungo soggiornante, di una forma agevolata di “cittadinanza di prova”, uno status che consenta l’esercizio di tutti i diritti riconosciuti ai cittadini, ma che, nondimeno, permetta allo Stato – sulla base di criteri tassativamente indicati dalla legge – di revocare tale riconoscimento in presenza di reati di estrema gravità contro la persona, senza tuttavia creare discriminazioni fra cittadini e/o situazioni di apolidia. Si tratta di un’ipotesi assai diversa, comunque, da quella ora prevista dal d.l. n. 113/2008 (nel momento in cui si scrive, appena convertito in legge), che opera diverse scelte sul tema palesemente incostituzionali. Non si tratterebbe di spezzare l’unitarietà della cittadinanza in relazione al novero dei diritti posseduti, ma di rapportare cum grano salis il processo di integrazione alle esigenze essenziali di convivenza civile. per agevolare l’accesso alle locazioni abitative e al credito agevolato in materia di edilizia, recupero, acquisto e locazione della prima casa di abitazione». Com’è noto, in tema di accesso all’edilizia residenziale pubblica l’art. 40 TUI aveva un preciso ruolo parametrico nel quadro costituzionale precedente alla riforma del 2001. Dopo la riforma, stante l’intreccio di competenze esistente fra Stato e Regione in materia, la Corte ha tracciato alcune linee di demarcazione (cfr., fra le altre sentenze, la Corte Cost., sent. 21 marzo 2007, n. 94). Segnatamente, la legge statale dovrebbe fissare i principi che assicurino uniformità nei criteri di accesso all’edilizia residenziale pubblica, e l’art. 40 TUI dovrebbe nella sostanza continuare ad avere un effetto parametrico, che tuttavia, alla luce della giurisprudenza costituzionale sulle leggi regionali in materia, appare assai oscillante ed ampiamente incerto. Su tali problematiche, v. ora l’accurata indagine di C. Panzera, Immigrazione e diritti nello Stato regionale. Spunti di riflessione, in questo Volume. 218 Interventi Parte II Modelli di coesione sociale e d’integrazione dello straniero Interventi  Parte II L’AMMINISTRAZIONE DI FRONTE ALL’IMMIGRATO REGOLARE: TRA INCLUSIONE, ESCLUSIONE E INTEGRAZIONE ~ Marco Calabrò ~ Una volta giunto, se resta straniero e per tutto il tempo che lo resta, invece di «naturalizzarsi» semplicemente, la sua venuta non cessa. Continua a venire e la sua venuta resta in qualche modo un’intrusione. Rimane cioè senza diritto, senza familiarità e senza consuetudine: un fastidio e un disordine nell’intimità. (J. L. Nancy, L’intruso) 1. PREMESSA. IL FENOMENO MIGRATORIO E LE POSSIBILI “REAZIONI” DELL’ORDINAMENTO • 2. LE SPINTE ESCLUDENTI E LE “TIMIDE” RISPOSTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE • 3. IL RISCHIO DI CONFUSIONE TRA LAW E MORALITY NELL’APPLICAZIONE DI LOGICHE DI TIPO ASSIMILATIVO • 4. IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI IDENTITARI: LA NECESSITÀ DI UN APPROCCIO MULTICULTURALE • 5. POLITICHE PUBBLICHE DI INTEGRAZIONE E SOCIETÀ RESILIENTI • 6. CONCLUSIONI. 1. Premessa. Il fenomeno migratorio e le possibili ‘‘reazioni’’ dell’ordinamento. Uno dei maggiori rischi scaturenti dall’attuale fenomeno della massiccia entrata di flussi migratori nel nostro Paese è quello di giustificare l’attuazione di politiche pubbliche a carattere unicamente emergenziale, sostanzialmente ispirate ai soli parametri della sicurezza interna1 e della garanzia dei diritti fondamentali, primo fra tutti quelli alla vita e alla salute2. 1 G. Lazaridis, Security, Insecurity and Migration in Europe, Aldershot 2011; F. Frattini, Fenomeni migratori e sicurezza in Europa, in Gnosis 4, 2015, 22 ss.; V. Cerulli Irelli, Politica dell’immigrazione e tutela dei migranti (una disciplina positiva in corso di evoluzione, in Nuove Autonomie 2-3, 2013, 519 ss. 2 D. Thym, Ambiguities of Personhood, Citizenship, Migration and Fundamental Rights in EU Law, in Constructing the Person. Rights, Roles, Identities in EU Law (a cura di L. Azoulai, S. Barbou des Places, E. Pataut), Oxford 2016, 111 ss.; M. Immordino, Pubbliche amministrazioni e tutela dei diritti fondamentali degli immigrati, in www.federalismi.it, 19, 2014, 1 ss.; M. Borraccetti, La prima assistenza ai migranti in arrivo tra diritti fondamentali e zone franche, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it 2, 2014, 13 ss.; F. Duvell, Fundamental Rights of Migrants in an Irregular Situation in the European Union, testo disponibile al sito: fra.europa.eu, consultato in data 12 luglio 2017; R. Cholewinski, Human Rights of Migrants: The Dawn of a New Era?, testo disponibile al sito: scholarship.law.georgetown.edu, consultato in data 12 luglio 2017; G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali. L’esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee, Napoli 2007. 220 Marco Calabrò L’amministrazione di fronte… È innegabile l’urgenza di “soccorrere” e di “proteggere”, ma sarebbe profondamente miope – in una prospettiva di lungo periodo – non riconoscere altrettanta rilevanza a politiche pubbliche volte a garantire la costruzione dei presupposti giuridici, sociali e culturali per una effettiva integrazione di coloro che giungono in Italia non per sfuggire temporaneamente a condizioni di vita insostenibili, bensì con l’intento di porre le basi di un nuovo percorso di vita. È questa la prospettiva da cui originano le riflessioni che seguono, incentrate sulla condizione giuridica della popolazione immigrata regolare, quale angolo di osservazione privilegiato delle attuali dinamiche che connotano il rapporto tra la comunità (o, meglio, l’ordinamento) che accoglie, e colui che viene accolto. Semplificando i termini della questione, può osservarsi come sembrino essere essenzialmente due le modalità con cui una comunità risponde all’entrata dell’«altro» nel proprio territorio: ad un atteggiamento di tipo escludente, di difesa dell’identità attraverso la valorizzazione della cittadinanza intesa in senso tradizionale3, si contrappone un atteggiamento di tipo inclusivo, volto a consentire, al contrario, una piena assimilazione dell’immigrato all’interno della comunità, in funzione di una diversa nozione di cittadinanza, che potremmo definire “dinamica”4. I fondamenti teorici del primo approccio possono rinvenirsi nelle teorie di Carl Schmitt, secondo il quale una nazione è una comunità di individui che condividono alcune caratteristiche comuni quali la lingua, il luogo di origine, i valori, la storia, un sistema di governo5. Ogni nazione/comunità, quindi, viene considerata una realtà profondamente coesa ma, nel contempo, chiusa in sé stessa e tendenzialmente “ostile” nei confronti dell’altro. Tale impostazione, ovviamente, non intende negare il riconoscimento dei diritti fondamentali dell’individuo, ma garantisce unicamente tale tutela “essenziale”, e comunque in relazione a quei diritti che il suo stesso sistema valoriale considera fondamentali. Il secondo approccio, invece, rinvia alla nozione di “patriottismo costituzionale” di Habermas6: il modello ipotizzato presuppone il reciproco riconoscimento delle diversità, alla ricerca di una piattaforma comune rappresentata da quei principi della convivenza che riguarderebbero gli interessi di tutti, a prescindere dall’appartenenza ad una o ad un’altra etnia. Habermas teorizza l’esistenza di una razionalità comune a tutti gli uomini, raziona3 “Citizenship always meant the exclusion of non-members”, V. Bader, Introduction, in Citizenship and Exclu- sion (a cura di V. Bader) Basingstoke 1997, 2. Sul tema, v. amplius M. Savino, Le libertà degli altri. La regolazione amministrativa dei flussi migratori, Milano 2012, 4-12. 4 Il dibattito in ordine alla nozione di cittadinanza ha registrato diverse, e spesso diametralmente opposte, posizioni. Senza alcuna presunzione di esaustività si rinvia, ex multis, a M. Coady, Citizenship: inclusion and exclusion, in Handbook of Children and Youth Studies (a cura di J. Wyn, H. Cahill), Singapore 2014, 1 ss.; D. A. Arcarazo, Civic Citizenship Reintroduced? The Long-Term Residence Directive as a Post-National Form of Membership, in European Law Journal 21, 2015, 200 ss.; F. Vetrò, Oltre la cittadinanza: stranieri e diritti inviolabili, in Cittadinanza inclusiva e flussi migratori (a cura di F. Astone, F. Manganaro, A. Romano Tassone, F. Saitta), Soveria Mannelli 2009, 121 ss.; M. Bell, Civic Citizenship and Migrant Integration, in European Public Law 13, 2007, 311 ss.; C. E. Gallo, La pluralità delle cittadinanze e la cittadinanza amministrativa, in Diritto amministrativo, 2002, 481 ss.; G. Berti, Cittadinanza, cittadinanze e diritti fondamentali, in Rivista di diritto costituzionale, 1997, 16 ss.; Y. N. Soysal, Limits of Citizenship: Migrants and Postnational Membership in Europe, Chicago 1994. 5 C. Schmitt, Le categorie del politico, trad. it., Bologna 1998. 6 J. Habermas, La costellazione postnazionale – Mercato globale, nazioni e democrazia, trad. it., Milano 2002, 50. 221 Interventi  Parte II lità discorsiva e comunicante, che dovrebbe portare tutti a convenire su una “costituzione comune”. Ma, a ben vedere, tale comunanza di principi non assurge ad una dimensione universale, in quanto non può che essere il riflesso della concezione dell’uomo e della comunità propri della nazione ospitante. È proprio questo l’elemento maggiormente critico di un’impostazione che – per quanto aperta al dialogo con l’altro – presuppone che quest’ultimo assimili e faccia proprio (spontaneamente) il sistema valoriale della nazione che lo accoglie. L’esperienza ci dimostra che non così raramente proprio alcuni di quei principi che secondo Habermas dovrebbero “per natura” essere sentiti come comuni contrastano con alcuni dei “dogmi” identitari del soggetto immigrato. A fronte di impostazioni esistenziali profondamente contrapposte, in altri termini, «l’apprendimento reciproco risulta improbabile sul piano della scelta»7: si pensi, a titolo esemplificativo, alla pratica della mutilazione genitale femminile, rispetto alla quale è sostanzialmente impossibile immaginare un dialogo di reciproca comprensione tra le due tesi contrapposte e nei confronti della quale, evidentemente, il riconoscimento dei diritti delle minoranze trova un preciso limite8. 2.  Le spinte escludenti e le ‘‘timide’’ risposte della Corte Costituzionale. Dall’esame di alcuni dei principali fenomeni giuridici connessi al rapporto tra comunità autoctona e immigrato emerge come paradossalmente – per quanto antitetici – oggi convivano nel nostro ordinamento entrambi gli approcci appena delineati. Una chiara manifestazione dell’atteggiamento di tipo escludente è rinvenibile, innanzitutto, nelle iniziative di alcuni sindaci in materia di requisiti per l’ottenimento della residenza e del conseguenziale riconoscimento di diritti civili e politici. Come è noto, dal 2008 in poi – a seguito di un tendenziale incremento del flusso migratorio e di maggiori poteri riconosciuti agli amministratori locali dal c.d. Pacchetto sicurezza – ha avuto inizio quella che è stata definita la “stagione delle ordinanze”, intendendo in tal modo fare riferimento all’emanazione di una serie di ordinanze di necessità ed urgenza volte – per asseriti motivi di sicurezza pubblica – a rendere maggiormente selettivi i criteri di accesso ai registri anagrafici, attraverso l’introduzione di requisiti più severi rispetto a quelli previsti dalla normativa statale9. Se è vero che la Corte Costituzionale è intervenuta con decisione su tale 7 F. Rimoli, Laicità, postsecolarismo, integrazione dell’estraneo: una sfida per la democrazia pluralista, in Dir. pubblico, 2, 2006, 339. 8 Su tale profilo v. S. M. Okin, Is Multiculturalism Bad for Woman, Princeton 1999. Per una prospettiva tesa a riconoscere i diritti delle minoranze, purchè rispettosi dei diritti e delle libertà fondamentali si rinvia a W. Kymlicka, Multicultural Citizenship, Oxford 1995. Si ricorda che, ai sensi dell’art. 583-bis del c. p. “Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Ai fini del presente articolo, si intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo”. Sul tema v. anche T. Onida, Le mutilazioni genitali femminili in quanto reati culturalmente orientati e le prese di posizione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in Minorigiustizia, 2016, 145 ss. 9 A. Musumeci, Sicurezza, migranti e livelli di governo, in, Immigrazione e integrazione, dalla prospettiva globale alle realtà locali (a cura di F. Rimoli) I, Napoli 2014, 461 ss. N. Zorzella, I nuovi poteri dei sindaci nel pacchetto sicurezza e la loro ricaduta sugli stranieri, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 3-4, 2008, 57 ss. 222 Marco Calabrò L’amministrazione di fronte… profilo dichiarando l’illegittimità della disposizione statale che consentiva ai sindaci di dare vita, mediante lo strumento delle ordinanze, ad effetti provvedimentali a carattere permanente in grado di incidere su materie aventi ad oggetto diritti e libertà fondamentali10, deve registrarsi come l’atteggiamento escludente a livello locale non sia comunque privo di efficaci strumenti, almeno indiretti, capaci di garantirne la soddisfazione a legislazione invariata: si pensi alla discrezionalità con cui l’amministrazione può decidere di intensificare e sostanzialmente inasprire i controlli sulle condizioni igienico-sanitarie degli alloggi dichiarati dimora abituale da parte dell’immigrato, il cui eventuale esito negativo può condurre al rifiuto sulla domanda di iscrizione all’anagrafe11. Ancora più significativa appare l’esperienza della più recente legislazione regionale in materia di accesso ai servizi sociali per gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia12. Al riguardo, si pone il tema di quelle prestazioni assistenziali che esorbitano dai diritti fondamentali, ma che comunque sono riconosciute a tutti i cittadini che dimostrano di soddisfare alcune condizioni. È evidente che il grado più o meno ampio di riconoscimento del diritto a ricevere tali prestazioni anche in capo agli immigrati (regolari) rappresenta un indice primario del modello di relazione che si instaura tra un ordinamento e lo straniero che in esso si “inserisce”13. 10 Corte Cost., sent. 7 aprile 2011, n. 115, in Giur. cost., 2011, 2, 1581, con nota di V. Cerulli Irelli, Sindaco legislatore?, 1600 ss. Sul tema v. anche P. Cerbo, Principio di legalità e «nuove ed inedite» fattispecie di illecito create dai Sindaci, in Le Regioni, 1-2, 2012, 215 ss. 11 Sul punto, da ultimo, v. T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, sentenza del 4 luglio 2017, n. 370, in www.lexitalia.it, con la quale si è dichiarata l’illegittimità di un’ordinanza del sindaco del Comune di Roccasecca che – contro il parere della Prefettura –dichiarava inidoneo sotto il profilo igienico-sanitario un immobile messo a disposizione da parte di una società privata e destinato all’accoglienza di cittadini stranieri richiedenti asilo. I Giudici, in particolare, hanno evidenziato la sussistenza di vizi sia di ordine soggettivo (incompetenza dell’amministrazione comunale a fronte di una materia, l’accoglienza agli immigrati irregolari, riservata all’esclusiva competenza del Ministero e delle Prefetture), che oggettivo (l’ordinanza non risultava motivato in ordine ai presupposti di necessità e urgenza, indispensabili per l’adozione dell’atto extra ordinem in questione, né risultavano specificate le ragioni in base alle quali le ipotetiche situazioni di grave rischio sanitario non potessero essere affrontate e risolte in maniera efficace con gli ordinari strumenti previsti e messi a disposizione dall’ordinamento). Per un’approfondita analisi delle recenti politiche locali in tema di residenza e del grado di contraddittorietà che le connota v. E. Gargiulo, Le politiche di residenza in Italia: inclusione ed esclusione nelle nuove cittadinanze locali, in La governance dell’immigrazione. Diritti, politiche e competenze (a cura di E. Rossi, F. Biondi Dal Monte, M. Vrenna), Bologna 2013, 135 ss. 12 In merito alla c.d. “residential citizenship”, ovvero quell’idea di cittadinanza che lega al presupposto della residenza la possibilità di fruire di gran parte dei servizi socio-assistenziali offerti dall’ordinamento, a prescindere dal possesso o meno dello status di cittadino inteso in senso formale, si rinvia a R. Bauböck, Transnational Citizenship: Membership and Rights in International Migration, Cheltenham 1994; S. Benhabib, The Rights of Others. Aliens, Residents and Citizens, Cambridge 2004, 10; A. De Bonis, M. Ferrero, Dalla cittadinanza etno-nazionale alla cittadinanza di residenza, in Diritto, immigrazione e cittadinanza 2, 2004, 49 ss. 13 Sul tema v. C. Corsi, Servizi sociali agli immigrati, in Cittadinanza inclusiva e flussi migratori (a cura di F. Astone, F. Manganaro, A. Romano Tassone, F. Saitta), Soveria Mannelli 2009, 95 ss. Al riguardo, nel contesto della cittadinanza europea, si rivela particolarmente significativa la Dir. 2003/109/CE del Consiglio del 25 novembre 2003 recante norme sul Permesso di soggiorno UE per i soggiornanti di lungo periodo, in GU L 16 del 23 gennaio 2004; in particolare, per quanto maggiormente rileva in questa sede, attraverso lo studio di una casistica applicativa della suddetta normativa europea, è stato sottolineato come “rights are not considered as a prize for an already successful and completed integration”, D. A. Arcarazo, Civic cit., 321. 223 Interventi  Parte II I nodi concernono innanzitutto la competenza legislativa. Ai sensi dell’art. 117 Cost., la materia dell’immigrazione rientra tra quelle di competenza esclusiva statale, il che sembrerebbe escludere qualsiasi intervento sul tema a livello regionale. La Corte Costituzionale, tuttavia, ha fin da subito chiarito che unicamente i profili attinenti l’ingresso e le modalità di soggiorno dello straniero in Italia sono da considerarsi di stretta competenza statale (sicurezza pubblica)14, laddove, al contrario, altri ambiti (assistenza, istruzione, salute, ecc.) devono essere gestiti in stretto coordinamento tra Stato e Regioni15. A ben vedere, poi, a differenza di quanto accade in materia sanitaria, la materia dell’assistenza sociale è di competenza esclusiva regionale, il che potrebbe indurre a ritenere che tutti i profili non connessi alla sicurezza bensì alla sola assistenza sociale dovrebbero essere disciplinati unicamente da leggi regionali. Il rischio di tale ultima opzione, tuttavia, è evidente, stante la più che probabile (e, a nostro avviso, inaccettabile) creazione di modelli di welfare profondamente differenti tra regione e regione. Al riguardo, in effetti, accanto a normative regionali tese ad estendere l’accesso alle prestazioni assistenziali allo straniero regolare, a prescindere dalla durata del suo soggiorno16, si registrano anche diverse leggi regionali che – sulla base di ragioni di ordine economico – sono intervenute in termini decisamente restrittivi17. Anche in tale contesto la Corte Costituzionale è in più occasioni intervenuta, stigmatizzando in special modo l’utilizzo dei requisiti della cittadinanza e della residenza prolungata come criteri di esclusione18. Come osservato dalla più accorta dottrina, è possibile registrare un duplice approccio da parte della Consulta: mentre in tema di ingresso e soggiorno essa pare esercitare un controllo “debole” di ragionevolezza – accogliendo il paradigma della cittadinanza – in ordine ad aspetti legati al riconoscimento dei diritti sociali, al contrario, le pronun- 14 Corte Cost., sent. 18 gennaio 2013, n. 2, in Giur. Cost., 2013, 1, 84; Corte Cost., sent. 15 aprile 2010, n. 134, in Foro it., 2010, 6, I, 1706; Corte Cost., sent. 14 maggio 2008, n. 131, in Giur. cost., 2008, 3, 1650. 15 Corte Cost., sent. 25 febbraio 2011, n. 61, in Foro it., 2012, 2, I, 389; Corte Cost., sent. 7 marzo 2008, n. 50, in Giur. cost., 2008, 2, 737. Per un’interessante analisi del tema v. G. Bascherini, Il riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di immigrazione al tempo del «pacchetto sicurezza». Osservazioni a margine delle sentt. nn. 269 e 299 del 2010, in Giur. Cost., 5, 2010, 3901 ss. 16 Cfr. l.r. Abruzzo, n. 46/2014; l.r. Campania, n. 6/2010; l.r. Toscana, n. 29/2009 (in merito alla quale v. P. Passaglia, La legge regionale toscana sull’immigrazione: verso la costruzione di una società plurale. Commento alla legge regionale n. 29/2009, in La governance Bologna 2013, 437 ss.). 17 Cfr. l.r. Liguria, n. 13/2017, l.r. Veneto, n. 6/2017, l.r. Lombardia, n. 1/2002; l.r. Friuli Venezia Giulia n. 6/2006; l.p. Trento n. 15/2012. 18 Cfr. Corte Cost., sent. 24 maggio 2018, n. 106, in Foro it., 2018, 7-8, I, 2252; Corte Cost., sent. 25 maggio 2018, n. 107, in Foro it., 2018, 7-8, I, 2252; Corte Cost., sent. 20 luglio 2018, n. 166, in Guida al diritto, 2018, 30; Corte Cost., sent. 4 luglio 2013, n. 172, in Foro it., 2013, 9, I, 2346; Corte Cost., sent. 9 febbraio 2011, n. 40, in Foro it., 2011, 11, I, 2930; Corte Cost., sent. 2 dicembre 2005, n. 432, in Giur. cost., 2005, 6, 4657, con nota di F. Rimoli, Cittadinanza, eguaglianza e diritti sociali: qui passa lo straniero, 4675 e M. Gnes, Il diritto degli stranieri extracomunitari alla non irragionevole discriminazione in materia di agevolazioni sociali, 4681 ss. V. anche G. Corso, Straniero, cittadino, uomo. Immigrazione ed immigrati nella giurisprudenza costituzionale, in Nuove autonomie, 2012, 390 ss. 224 Marco Calabrò L’amministrazione di fronte… ce sembrano ispirarsi al diverso paradigma della territorialità, giungendo in tal modo ad un sindacato più stringente sulle scelte legislative19. Tuttavia, la protezione garantita dalla Corte non pare comunque sufficiente ad arginare le iniziative regionali tese a limitare l’accesso alle prestazioni assistenziali per lo straniero regolare che ancora oggi si avvicendano; ciò in ragione della circostanza che la Consulta – nel pronunciarsi sulle disposizioni regionali – non ha mai inteso mettere in discussione la legittimità di interventi regionali a carattere restrittivo in materia socio-assistenziale, contestando piuttosto il tenore delle singole misure sotto il solo profilo della ragionevolezza ex art. 3 Cost. Ebbene, il parametro adoperato dalla Corte Costituzionale non appare in grado di garantire pienamente l’immigrato, nella misura in cui va a sancire l’illegittimità delle sole discipline regionali che discriminano lo straniero in ragione di una causa “non palesemente irrazionale”, il che è evidentemente diverso dal pretendere un criterio discriminatorio “razionale”20. Tale atteggiamento “remissivo” della Corte potrebbe nel tempo rivelarsi fragile e condurre ad irragionevoli sperequazioni sul territorio nazionale nella disciplina dell’accesso alle prestazioni assistenziali per lo straniero. Al fine di evitare tale scenario, potrebbe forse venire in aiuto il richiamo alla competenza esclusiva statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Premessa la difficile giustificabilità – proprio sul piano costituzionale – di una disciplina restrittiva nei confronti degli immigrati regolari, alla luce del loro status di lavoratori contribuenti, se anche si volesse aderire alla posizione di coloro che ritengono insostenibile un loro accesso incondizionato a tutti i servizi di assistenza sociale, la verifica circa la legittimità delle relative limitazioni dovrebbe fondarsi non solo sul parametro della ragionevolezza ex art. 3 Cost., bensì anche sul richiamo all’art. 117, co. 2 lett. m) Cost.: l’esercizio della competenza esclusiva statale in materia di LEP sarebbe così in grado di garantire il mantenimento di un’adeguata uniformità di trattamento sull’intero territorio nazionale, pur nel rispetto dei livelli di autonomia regionale e locale oggi riconosciuti dall’ordinamento attraverso la facoltà di derogare in melius alla normativa nazionale di principio21. 19 M. Savino, Lo straniero nella giurisprudenza costituzionale: tra cittadinanza e territorialità, in Quaderni costituzionali 1, 2017, 41 ss., il quale conclude soffermandosi sulle ragioni che condurrebbero alla necessità di estendere l’accoglimento del paradigma territoriale anche ai diritti di ingresso e soggiorno. 20 Cfr. Corte Cost., sent. 2 dicembre 2005, n. 432, in Giur. cost., 2005, 6, 4657. Sul punto sia consentito rinviare a M. Calabrò, Livelli essenziali delle prestazioni sociali e politiche pubbliche per l’integrazione, in www.giustamm.it, 2015, 1 ss. 21 C. Corsi, Immigrazione e diritti sociali: il nodo irrisolto del riparto di competenze tra Stato e regioni, in La governance cit., 244-251. 225 Interventi  Parte II 3. Il rischio di confusione tra law e morality nell’applicazione di logiche di tipo assimilativo. Venendo al secondo modello relazionale che si può instaurare tra ordinamento e immigrato regolare, quello di tipo inclusivo/assimilativo, si segnala che nell’ambito delle iniziative assunte a livello nazionale in tale prospettiva ricopre un ruolo senza dubbio predominante l’Accordo di integrazione. Esso rappresenta una sorta di contratto tra lo Stato Italiano e lo straniero, mediante il quale l’immigrato regolare si impegna in un determinato arco di tempo ad acquisire alcuni crediti, pena la revoca del permesso di soggiorno22. L’acquisizione dei suddetti crediti avviene attraverso la frequentazione di corsi di formazione aventi ad oggetto la lingua italiana, la Costituzione, il sistema educativo, sanitario, ecc., nonché attraverso l’espressa adesione alla Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione23. Quest’ultima, in particolare, consiste in un documento che riassume e rende espliciti i principi fondamentali dell’ordinamento italiano che regolano la vita collettiva dei cittadini e dei non cittadini, cui l’immigrato regolare è sostanzialmente obbligato ad aderire. Il tema dell’integrazione non può non tenere nel debito conto la distanza culturale che spesso esiste tra l’immigrato e la comunità che accoglie24, ed in tal senso devono essere visti con favore strumenti aventi un approccio “consensualistico” (quale l’Accordo di integrazione) volti a fornire gli strumenti per ridurre tale distanza, purchè, tuttavia, essi siano in grado di garantire, nel contempo, la promozione della diversità culturale e la tutela delle identità nazionali. Nel caso di specie, invece, emerge una politica dell’inclusione fondata sulla cultura e sui valori nazionali che l’immigrato non è tenuto semplicemente a conoscere e rispettare (profilo evidentemente condivisibile), bensì a fare propri (vedi l’adesione alla Carta dei valori); traspare, in altri termini, un approccio di tipo assimilativo, piuttosto che di tipo integrativo, teso ad “annullare” le diversità anziché contenerle25. In tale prospettiva si rivelano di grande interesse gli studi condotti sulle politiche di assimilazione adottate in Giappone verso la fine del 1800 nei confronti della minoranza Ainu, che contemplavano, tra l’altro, l’incoraggiamento dei matrimoni misti e l’obbligo di coltivare la terra, con il correlato divieto di vivere secondo i tradizionali modelli di nomadismo: ciò ha portato, negli anni, alla sostanziale estinzione della popolazione Ainu26. 22 Cfr. www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it. Per un’approfondita analisi del documento si rinvia a F. Biondi Dal Monte, M. Vrenna, L’accordo di integrazione ovvero l’integrazione per legge. I riflessi sulle politiche regionali e locali, in La governance cit., Bologna 2013, 253 ss. 23 Cfr.www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it. 24 “Immigrants are arriving into societies whose values they often do not share. True, a gap between values and lifestyles of native and immigrant groups existed in the past, but today’s gap is more difficult to reconcile”, L. Orgad, Cultural Defence’ of Nations: Cultural Citizenship in France, Germany and the Netherlands, in European Law Journal 6, 2009, 719 ss. 25 E. Gargiulo, Integrazione o esclusione? I meccanismi di selezione dei non cittadini tra livello statale e livello locale, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 41 ss. 26 N. Godefroy, The Ainu assimilation policies during the Meiji period and the acculturation of Hokkaidô’s indigenous people, testo disponibile al sito: www.popjap.fr, consultato in data 12 luglio 2017. 226 Marco Calabrò L’amministrazione di fronte… Ebbene, ad un’analisi superficiale il riferimento teorico dell’Accordo di integrazione e della connessa adesione alla Carta dei valori potrebbe essere rinvenuto nella citata tesi di Habermas sul patriottismo costituzionale. Ma, a ben vedere, nel caso di specie l’immigrato non decide affatto di far proprio il contenuto valoriale della citata Carta perché ne riconosce il portato universale di “costituzione comune”, bensì egli finisce per essere costretto a sottoscrivere un vero e proprio contratto per adesione – avente ad oggetto non semplici prestazioni sinallagmatiche, quanto piuttosto il proprio sistema valoriale – in ordine al cui contenuto non ha nessun potere di incidere. Alcuni passaggi della Carta dei valori sono particolarmente significativi, laddove ad esempio si afferma che l’immigrato è tenuto a «condividere i principi che regolano la nostra società», o ancora a «far propri con lealtà e coerenza valori e responsabilità comuni», fino a pretendere addirittura che «nessuno può ritenersi offeso dai segni e dai simboli di religioni diverse dalla sua»: traspare, in tutta evidenza, una grave confusione tra law e morality, tra regole da rispettare e improprie invasioni dell’intimo sentire di ciascun individuo27. Le ragioni di tale approccio riposano su un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo – richiamando la tesi del “monismo culturale” di Mill – il mancato riconoscimento dei diritti identitari e culturali di etnie differenti si giustificherebbe sulla base di esigenze di stabilità e sicurezza, che si presumono maggiormente garantite dall’unità piuttosto che dal pluralismo28. Si profila, in altri termini, una peculiare applicazione della dottrina dell’utilitarismo teorizzata da Bentham, ai sensi della quale le scelte dei governanti non dovrebbero essere dettate da ragioni di tipo morale bensì finalizzate al conseguimento del massimo utile per la maggioranza dei consociati29. Affiora, in tal modo, la reale natura dell’Accordo di integrazione che – sebbene “venduto” come strumento di integrazione – si rivela piuttosto uno strumento di “selezione”, teso a ridurre i (potenziali) effetti pregiudizievoli per i cittadini italiani, consentendo la permanenza sul territorio nazionale unicamente degli immigrati disposti a rinnegare (almeno “in pubblico”) la propria identità per abbracciare (e non, semplicemente, rispettare) una nuova cultura e nuovi valori30. Sotto un diverso angolo di visuale, posizioni restrittive in termini di riconoscimento di diritti identitari in capo alla popolazione immigrata si fondano sull’idea della “inessenzialità” delle differenze: fin dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 178931 il modello di Stato democratico moderno si fonda sulla convinzione che ciò che ci accomuna 27 S. Shavell, Law versus Morality as Regulators of Conduc, in American Law Economic Review 4, 2002, 227 ss. 28 K. Smits, John Stuart Mill And The Social Construction Of Identity, in History of Political Thought 25, 2004, 298 ss. 29 J. Bentham, Introduzione ai principi della morale e della legislazione, Torino 1998. 30 Per un’esame delle politiche dell’Unione Europea in tema di integrazione della popolazione migrante regolare v. D. Vitiello, Il contributo dell’Unione Europea alla “governance” internazionale dei flussi di massa dei rifugiati e migranti: spunti per una rilettura critica dei “global compacts”, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2018, 3, 45 ss., S. Montaldo, Integration examinations for regular migrants: the difficult search for a balance between national competencies and full effectiveness of EU law, in EU Law Journal, 2, 2016, 39 ss. 31 K. Baker, The Idea of a Declaration of Rights, in The French Idea of Freedom: The Old Regime and the Declaration of Rights of 1789 (a cura di D. Van Kley), Stanford 1997, 154 ss.; I. Wallerstein, Citizens All? Citizens Some! The Making of the Citizen, in Comparative Studies in Society and History, 45, 2003, 650 ss. 227 Interventi  Parte II è ben più rilevante di ciò che ci divide, il che ha avuto, tra l’altro, la conseguenza di attenuare l’attenzione alla protezione delle differenze (di razza, sesso, religione, ecc.) in nome di una “forzata” interpretazione del principio di uguaglianza in senso formale32. Proteggere e valorizzare le “differenze” sarebbe un errore, in quanto indurrebbe al conflitto, laddove sarebbe maggiormente rispondente all’interesse dell’intera collettività tendere alla formazione di una popolazione il più possibile omogenea. Merita di essere ricordato, al riguardo, quanto affermato da uno dei massimi esponenti del pensiero liberale moderno, John Stuart Mill, il quale considerava le richieste di salvaguardia delle identità culturali da parte delle minoranze come un ostacolo alla formazione di una società giusta e solida, indicando piuttosto la via dell’assorbimento dei gruppi etnici all’interno della cultura nazionale, assorbimento definito “benefico se avviene a vantaggio di una nazionalità più progredita”33. 4. Il riconoscimento dei diritti identitari: la necessità di un approccio multiculturale. Da quanto detto, appare chiaro come tanto l’approccio escludente quanto quello inclusivo/ assimilativo mostrino numerose criticità. Essi, infatti, per un verso, non sembrano riuscire a garantire l’attuazione di un modello sociale sicuro e pacifico, e, per altro verso, sebbene partano da premesse antitetiche, finiscono entrambi per non riconoscere la dimensione identitaria dell’immigrato: l’uno, per motivi di difesa dell’identità culturale nazionale, l’altro, in ragione di presunte esigenze di uguaglianza democratica e di sicurezza pubblica. A tali modelli societari “unitari” si contrappone l’idea fondata sul multiculturalismo, ovvero sul riconoscimento e, ove necessario, sulla protezione delle diversità identitarie34. Il pericolo sotteso a tale approccio è evidentemente quello di legittimare atteggiamenti di chiusura identitaria, di rifiuto di adattarsi alla nuova realtà sociale e politica nella quale ci si inserisce, il che sarebbe destinato a condurre alla formazione di una comunità frammentata di monadi etniche non dialoganti, al c.d. monoculturalismo plurale35. Ma è stato efficacemente osservato, al riguardo, che “per lo più le minoranze nazionali non vogliono l’isolamento ma un’integrazione che sia rispettosa dell’apporto distintivo del loro gruppo”36, in una prospettiva, quindi, di reciproco riconoscimento di diversità arricchenti e non escludenti. 32 Per una critica a tale posizione v. A. Honneth, La lotta per il riconoscimento, Milano 2002. 33 “Experience proves that it is possible for one nationality to merge and be absorbed in another: and when it was originally an inferior and more backward portion of the human race the absorption is greatly to its advantage”, J. S. Mill, Representative government, 1865, ed. Kitchener 2001, 185. 34 La letteratura sul tema del modello societario multiculturale è vastissima; ex multis v. C. Taylor, Multiculturalism and «The Politics of Recognition», Princeton 1992; B. Parekh, Rethinking Multiculturalism. Cultural Diversity and Political Theory, Londra 2005; C. Di Marco, Il multiculturalismo alla prova della democrazia occidentale. I diritti degli stranieri nei territori di accoglienza, in Democrazia e diritto, 1-2, 2012, 383 ss. G. Azzariti, Multicentralismo e Costituzione, in Politica del diritto, 2016, 3 ss., G. Cerrina Feroni, Diritto costituzionale e società multiculturale, in Rivista AIC, 2017, 39 ss. 35 A. K. Sen, Identità e violenza, Roma-Bari 2008. 36 P. Savidan, Il multiculturalismo, Bologna 2010, 71. 228 Marco Calabrò L’amministrazione di fronte… In Italia, tale impostazione vede alcuni timidi tentativi di implementazione in una certa legislazione regionale ed in alcune politiche pubbliche locali in materia socio-assistenziale. Essa presuppone innanzitutto una nuova declinazione del concetto stesso di identità, più flessibile e dinamica o, meglio, “permeabile”: sulla scia della tesi della democrazia discorsiva di Habermas, sia coloro che accolgono che coloro che sono accolti devono porsi in un atteggiamento di ascolto reciproco, di comprensione non finalizzata alla inclusione dell’identità del più debole in quella del più forte (o più numeroso)37, bensì alla individuazione di territori comuni di dialogo in grado di condurre alla massima integrazione possibile di due identità nuove (perché entrambe venute a contatto con l’«altro»)38. Del resto, come è stato efficacemente osservato, l’idea stessa di rigida difesa dell’identità – seppur teoricamente ipotizzabile – non appare concretamente realizzabile, laddove anche un atteggiamento di rifiuto o autodifesa finisce per essere foriero di una trasformazione dell’identità del soggetto: «se ogni contatto produce mutamento, e il contatto è inevitabile nell’esperienza concreta, è evidente che inevitabile è il mutamento stesso, giacchè ogni atto, anche se compiuto solo per difendere la propria presunta identità, rappresenta, per sé, gesto produttivo di metamorfosi e dunque pragmaticamente autocontraddittorio»39. Affinché ciò possa realizzarsi è necessario, ovviamente, che il confronto e la ricerca di elementi di condivisione avvengano su basi del tutto laiche, non connotate, cioè, da “spazi intoccabili” di verità (religiose o etiche). Queste ultime – l’esistenza delle quali non può essere certo negata in quanto insite nel sistema valoriale di qualsiasi comunità – devono tuttavia necessariamente restare “al di fuori” delle politiche pubbliche di integrazione, per essere piuttosto gestite ad un diverso e più elevato livello di relazione, imperniato sul riconoscimento dei diritti fondamentali e sul principio di tolleranza. È essenziale che tale approccio – difficile ma non utopico – sia posto a fondamento delle politiche pubbliche, soprattutto locali, in quanto esso è forse l’unico in grado di garantire il pacifico sviluppo delle nuove società destinate ad essere (lo si voglia o meno) sempre più pluraliste: la sfida non è quella di annullare, né tantomeno esaltare, le singole identità, bensì quella di evitare che si creino convivenze fragili perché fondate su gruppi etnici contrapposti, arginando posizioni indisponibili al dialogo e alla reciproca comprensione e valorizzando i contenuti essenziali di un sentire comune, pur nel rispetto dei diversi valori e principi40. 37 “La strada dell’eguaglianza è una strada dialogica, in cui le identità individuali e collettive si formano e si trasformano continuamente attraverso il riconoscimento dell’altro che da immigrato (o comunque non cittadino) diventa persona eguale alle altre persone, con gli stessi diritti e gli stessi doveri”, P. Carrozza, Noi e gli altri. Per una cittadinanza fondata sulla residenza e sull’adesione ai doveri costituzionali, in La governance cit., Bologna 2013, 59 ss. 38 J. Habermas, L’inclusione dell’altro, trad it., Milano 2013), 151. V. anche P. L. Zanchetta, Lo Stato-Nazione tra multiculturalismo e globalizzazione. Analisi e proposte di Jurgen Habermas, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it 1, 2000, 14 ss. 39 F. Rimoli, Laicità cit., 344. 40 Al riguardo, è possibile richiamare il concetto di “equilibrio riflessivo” teorizzato da J. Rawls, A Theory of Justice, Cambridge 1971, 65, ai sensi del quale – a fronte di un disaccordo di partenza tra due o più soggetti (o gruppi etnici) su ciò che è giusto e ciò che è ingiusto – sarebbe possibile raggiungere un equilibrio stabile fra i giudizi morali ponderati dei singoli individui (o gruppi) e le varie concezioni teoriche di giustizia esaminate, sottoponendo i primi e le seconde ad attento esame critico. 229 Interventi  Parte II In tal senso è di grande interesse l’esame di alcune delle discipline regionali in materia di integrazione degli stranieri immigrati, ove si prevedono misure concrete di inserimento culturale e sociale, quali: la realizzazione di corsi di lingua italiana volti a promuovere la qualificazione professionale dei lavoratori migranti e l’inserimento nelle scuole dell’obbligo; l’organizzazione di iniziative destinate a preservare i valori e le identità culturali di origine delle popolazioni immigrate, anche attraverso progetti di educazione interculturale nelle scuole e nelle università; la previsione di attività di mediazione culturale all’interno di ospedali, scuole, uffici pubblici41. 5. Politiche pubbliche di integrazione e società resilienti. In tale contesto viene in aiuto lo studio delle dinamiche dei comportamenti delle comunità resilienti, quale elemento costitutivo di politiche pubbliche di integrazione realmente efficaci. In relazione al fenomeno dell’immigrazione è possibile individuare almeno due ambiti di resilienza. Osservando la comunità che accoglie l’immigrato emerge come essa tenda ad assumere un atteggiamento teso a fronteggiare le difficoltà che minacciano il proprio ambiente fisico e sociale. Ciò può condurre – anche non del tutto consapevolmente – ad un’esaltazione del senso di appartenenza alla comunità, ad un atteggiamento di ostilità nei confronti della causa della rottura del precedente stato di (apparente) equilibrio42. Di contro, tuttavia, numerosi studi dimostrano che una comunità resiliente è anche una comunità dinamica, pronta a modificarsi e a trovare un nuovo equilibrio in rapporto alle pressioni provenienti dall’esterno43: è proprio lo sviluppo di tale atteggiamento che dovrebbe/potrebbe essere favorito da idonee politiche pubbliche di integrazione. Nella prospettiva opposta deve registrarsi il comprensibile atteggiamento resiliente delle comunità di immigrati – che condividono difficoltà di entrata e di permanenza nel nuovo Paese – che rischia di degenerare, se non adeguatamente incanalato, in comportamenti di auto-ghettizzazione, di chiusura al dialogo, di estremizzazione delle diversità44. Il mantenere vive le proprie tradizioni, il creare momenti di condivisione comunitaria, il battersi per il diritto di professare il proprio credo, sono tutti fenomeni perfettamente coerenti con l’atteggiamento di “resistenza costruttiva” con cui l’uomo evita di soccombere 41 Cfr., a titolo esemplificativo, l.r. Campania n. 6/2010; l.r. Toscana n. 29/2009; l.r. Marche n. 13/2009; l.r. Liguria n. 7/2007; l.r. Puglia n. 32/2009; l.r. Lazio n. 10/2008; l.r. Abruzzo n. 46/2004. 42 C. S. Clauss-Ehlers, L. Lopez Levi, Violence and Community, Terms in Conflict: An Ecological Approach to Resil- ience. Journal of Social Distress and the Homeless, in Journal of Social Distress and the Homeless, 11, 2002, 265 ss. 43 C. S. Carver, Resilience and thriving: issues models and linkages, in Journal of Social Issues 2, 1998, 245 ss.; M. Manetti, A. Zunino, L. Frattini, E. Zini, Processi di resilienza culturale: confronto tra modelli euristici, in L’incontro interculturale tra difficoltà e potenzialità (a cura di B. Mazzara), Milano 2010, 97 ss. 44 N. R. Branscombe, N. Ellemers, Coping with group-based discrimination: Individualistic versus group-level Strategies, in Prejudice: The target’s perspective (a cura di J. K. Swim, C. Stangor), San Diego 1998, 243 ss.; M. Pellerone, A. M. Gervasi, Il percorso d’integrazione, in Percorsi migratori e cambiamenti identitari nella sfida all’integrazione (a cura di M. Pellerone, V. Schimmenti), Milano 2014, 97 ss. 230 Marco Calabrò L’amministrazione di fronte… di fronte alle enormi difficoltà derivanti da un percorso di immigrazione (spesso non volontaria ma imposta dal bisogno); solo se si affiancano a tali fenomeni politiche pubbliche finalizzate ad una reale integrazione all’interno della nuova comunità è possibile immaginare una società pluralista sostenibile. In tal senso, tra l’altro, sarebbe opportuno uno studio “differenziato” dei comportamenti di resilienza delle singole comunità immigrate. I fattori di stress dello straniero sono essenzialmente universali: difficoltà linguistiche, senso di emarginazione, incapacità di autodeterminazione, incomprensioni culturali. Tuttavia non sempre le reazioni a tali fattori di stress sono identiche; al contrario, diversi studi dimostrano sostanziali differenze tra gruppi etnici nell’esposizione al rischio e nelle modalità di fronteggiare le difficoltà45. Politiche pubbliche di integrazione e non di mera inclusione, quindi, dovrebbero tenere in debito conto anche tale elemento ed essere strutturate in modo flessibile, così da adattarsi ai differenti modelli di resilienza che connotano le diverse etnie46. 6. Conclusioni. In conclusione, l’approccio prospettato, di tipo integrativo, sembra trovare le proprie basi nelle categorie della biopolitica, così come declinate da Foucault, laddove individua nella tutela della vita umana, come valore in sé, l’oggetto precipuo della politica47. Certo, è forte il rischio che obiettivi di miglioramento della vita in chiave biopolitica possano declinarsi in azioni di protezione, da parte di ciascun governo, della salute e dell’identità dei soli propri cittadini, con le inevitabili conseguenze in termini di chiusura verso l’esterno e legittimazione di interventi escludenti in nome della sicurezza pubblica. Al contrario, la biopolitica, come ars governandi, deve essere intesa come modello di confronto politico e di elaborazione culturale volta a garantire il bene (fisico e morale) dell’intera comunità48, attraverso il costante sforzo democratico di conciliare l’esigenza di universalità con il pluralismo etico e culturale delle attuali società multietniche. La sfida del multiculturalismo, del resto, è proprio quella di riconoscere il valore delle “diversità”, garantendo nel contempo la coesione sociale49. 45 A. Zlobina N. Basabe, D. Paez, A. Furnham, Sociocultural adjustment of immigrants: Universal and group-specific predictors”, in International Journal of Intercultural Relations 2, 2006, 195 ss. 46 Sul punto si rinvia allo studio di M. Barrera, D.N. Hageman, N.A. Gonzales, Revisiting hispanic adolescents’ resilience to the effects of parental problem drinking and life stress, in American Journal of Community Psychology 34(1/2), 2004, 83 ss., ove sono analizzate le differenti modalità di reazione ad analoghi fattori di stress da parte di gruppi di adolescenti ispanici ed anglosassoni. 47 M. Foucault, Nascita della biopolitica, trad. it. Milano 2004. V. anche J. Martire, The Rule of Law: A Foucauldian Interpretation, in In-Spire Journal of Law, Politics and Societies 6, 2011, 19 ss. 48 T. Lemke, Biopolitics and beyond. On the reception of a vital Foucauldian notion, in www.biopolitica.org, 2011, 9. 49 “Democracies are in a standing dilemma. They need strong cohesion around a political identity, and precisely this provides a strong temptation to exclude those who can’t or won’t fit easily into the identity which the majority feels comfortable with, or believes alone can hold them together. And yet exclusion, besides being profoundly morally objectionable, also goes against the legitimacy idea of popular sovereignty, which is to realize the government of all the people”, C. Taylor, Dilemmas and Connection, Cambridge 2011, 138. 231 Interventi  Parte II Sotto una diversa ottica, lo studio del fenomeno migratorio rinvia altresì alla concezione di biopolitica teorizzata da Hardt e Negri, intesa come naturale tendenza della società postmoderna ad attivarsi per soddisfare autonomamente le proprie esigenze, resistendo alle forme istituzionali, giuridiche ed economiche che mirano a controllarla ed a normarla in tutte le sue attività (economiche e sociali)50. Una efficace politica pubblica di integrazione, infatti, deve prefiggersi anche l’introduzione di strumenti di superamento del fattore di stress consistente nella incapacità dell’immigrato di partecipare attivamente alla vita sociale della nuova comunità in cui vive51. Al riguardo, si segnala l’esperienza di modelli di politiche di integrazione partecipata disciplinati da diverse normative regionali di settore, laddove è previsto che per lo svolgimento delle attività di mediazione culturale le amministrazioni si avvalgano preferibilmente degli stessi immigrati, ovviamente in possesso di un’adeguata qualificazione52; o, ancora, l’esperienza delle c.d. Consulte per l’integrazione (cui sono attribuite funzioni essenzialmente di tipo consultivo e propositivo), presenti in molte realtà regionali e comprendenti, in qualità di membri (e non, quindi, di soli destinatari), anche rappresentanti delle comunità degli immigrati53. Si ritiene, in ultima analisi, che il modello teorico prospettato, espressione di politiche pubbliche ispirate al rispetto concreto delle diversità identitarie – fatto salvo il limite della garanzia dei diritti fondamentali – nonché alla promozione di un’integrazione reciproca e partecipata, rappresenti non una semplice opzione per il legislatore nazionale e regionale, bensì un vero e proprio vincolo costituzionale, alla luce innanzitutto di un’interpretazione non forzatamente egualitaristica dell’art. 3 Cost.: le sole diseguaglianze da combattere sono quelle effettivamente discriminatorie; imporre un’uguaglianza forzata e trasversale – a prescindere dalle concrete esigenze ad essa sottesa – finisce per essere di per sé discriminatorio e contrario al principio di uguaglianza in senso sostanziale54. 50 M. Hardt, A. Negri, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Milano 2002. 51 Sul punto v. E. Olivito, Primi spunti di riflessione su multiculturalismo e identità culturali nella prospettiva della vulnerabilità, in Politica del diritto 1, 2007, 98-101. 52 Cfr, ad esempio, l.r. Abruzzo n. 46/2004. Per una approfondita analisi delle dinamiche connesse a tale es- senziale profilo nell’ambito delle politiche pubbliche di integrazione v. C. Bergonzini, La mediazione culturale: uno strumento (sottovalutato?) per l’integrazione degli immigrati, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 2009, 67 ss. 53 Cfr., ad esempio, l.r. Campania, n. 6/2010; l.r. Marche n. 13/2009; l.r. Puglia n. 32/2009; l.r. Lazio, n. 10/2008. Per alcuni spunti critici in ordine al modello di interevento rappresentato dalle Consulte per l’integrazione sia consentito rinviare a M. Calabrò, Legal immigration and local resilience in Italy: the case of the integration councils, in Italian Journal of Public Law, 1, 2019, 86 ss., nonchè alle riflessioni di M. Ferrara, I diritti di partecipazione dell’immigrato: il Consiglio provinciale dell’immigrazione, in I diritti degli altri. Gli stranieri e le autorità di governo (a cura di E. Di Salvatore, M. Michetti), Napoli 2014, 269 ss. 54 Il fondamento del multiculturalismo è proprio quello di considerare eguaglianza in senso sostanziale il non “nascondere” differenze (non discriminatorie), al fine di consentire una pacifica convivenza nell’ambito di una comunità pluralista. Da un differente punto di vista, un egualitarismo “cieco” colliderebbe anche con la tesi della c.d. “discriminazione positiva”, in base alla quale sarebbero da considerarsi legittime politiche pubbliche differenziate qualora si rivelassero essenziali al fine di garantire che categorie sociali “deboli”, quali donne, membri di una minoranza, disabili, possano godere delle medesime opportunità del resto della popolazione. 232 Marco Calabrò L’amministrazione di fronte… Il vincolo costituzionale, poi, discende altresì dal portato dell’art. 118, co.4 Cost. In tal senso, è fortemente auspicabile la valorizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale anche nel contesto della gestione del fenomeno migratorio55: in tal modo, infatti, innanzitutto si aiuterebbe l’immigrato (regolare) a sentirsi “parte” della comunità, piuttosto che un peso estraneo ad essa, al contempo conseguendo anche il fine costituzionale della piena realizzazione della persona. In secondo luogo, un atteggiamento “attivo” da parte degli immigrati agevolerebbe altresì le amministrazioni locali nella predisposizione di politiche di integrazione maggiormente consapevoli e, quindi, efficaci. Sul punto di rinvia alle riflessioni di M. Sandel, Giustizia. Il nostro bene commune, Milano 2009, 188. V. anche la Dir. 2000/43/CE del Consiglio del 29 giugno 2000, recante norme sul Principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, in GU L 180 del 19 luglio 2000, il cui art. 5 – rubricato Azione positiva – recita “Allo scopo di assicurare l’effettiva e completa parità, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure specifiche dirette a evitare o compensare svantaggi connessi con una determinata razza o origine etnica”. 55 In termini v. G. Arena, Immigrazione e cittadinanze, in Poteri pubblici e laicità delle istituzioni (a cura di R. Acciai, F. Giglioni), Roma 2008, 113 ss. 233 Interventi  Parte II LO STRANIERO E IL PUBBLICO IMPIEGO TRA “PRIVILEGIO’’ DEL CITTADINO E DIGNITÀ DEL LAVORO 1 ~ Valeria Marcenò ~ 1. IL CITTADINO “PRIVILEGIATO” • 2. IL LAVORO COME LIBERTÀ DAL BISOGNO • 3. IL DUPLICE VOLTO DEL CARATTERE “DIGNITARIO” DEL LAVORO • 4. LA CITTADINANZA COME LIMITE ALL’ACCESSO AL LAVORO • 4.1. LA “SPECIALITÀ” DEL PUBBLICO IMPIEGO • 4.2. L’INTERPRETAZIONE CONFORME FA SALVO IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA • 4.3. IL LAVORATORE NON CITTADINO NELLA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE • 4.3.1. LO STRANIERO INVALIDO CIVILE • 4.3.2. LO STRANIERO E IL SERVIZIO CIVILE NAZIONALE • 4.3.3. LO STRANIERO E IL PUBBLICO IMPIEGO • 5. IL CONCETTO DI CITTADINANZA NELLA GIURISPRUDENZA • 6. IL VOLTO COSTITUZIONALE DELLA PARTECIPAZIONE. 1. Il cittadino ‘‘privilegiato’’. Una riflessione che intenda indagare il legame tra i diritti costituzionalmente previsti e lo straniero non può prescindere dal tema del lavoro. Un tema che le attuali difficoltà economiche e sociali mettono al centro di ogni valutazione sulle odierne democrazie. Lo sguardo, in questa sede, è rivolto a una piccola parte della più ampia e complessa discussione intorno al diritto al lavoro: quella dell’accesso dello straniero al pubblico impiego. Una piccola parte che, però, merita attenzione, sia per i numerosi casi, anche recenti, che testimoniano la perdurante tendenza, almeno a livello nazionale, alla esclusione dello straniero dall’impiego pubblico; sia per le discrasie, che tali casi mettono in luce, tra la legislazione italiana e la giurisprudenza (costituzionale e ordinaria). L’accesso dello straniero al pubblico impiego può, infatti, costituire una sorta di “cartina di tornasole”2 per valutare la tenuta di alcuni concetti e delle loro concezioni, da quello di comunità a quello di cittadinanza, 1 Nell’intervento tenuto al Convegno di cui qui si raccolgono gli atti erano state presentate alcune considera- zioni già svolte in un precedente lavoro («Non c’è lavoro per tutti». Una politica di coesione sociale attraverso il pubblico impiego, in Diritti uguali per tutti? Gli stranieri e la garanzia dell’uguaglianza formale (a cura di A. Giorgis, E. Grosso, M. Losana), Milano 2017, 211ss.), scritto con Francesca Paruzzo. 2 Gli immigrati potrebbero costituire, infatti, «una sorta di cartina di tornasole per valutare l’effettiva capacità di una democrazia liberale di tutelare i diritti fondamentali. Costoro, proprio perché non cittadini, e proprio perché sotto-rappresentati, sono in altre parole quei soggetti cui per eccellenza la tutela ordinamentale dei diritti fondamentali dovrebbe essere rivolta: sono costoro, come soggetti particolarmente deboli e vulnerabili, che l’ordinamento dovrebbe proteggere con maggiore cura e con maggiore forza, anche e forse soprattutto contro le decisioni della maggioranza» Così F. Macioce, Il nuovo noi. La migrazione e l’integrazione come problemi di giustizia, Torino 2014, 166. Per una ricostruzione delle problematiche implicate cfr. B. Gagliardi, La libera circolazione dei cittadini europei e il pubblico concorso, Napoli 2012. 234 Valeria Marcenò Lo straniero e il pubblico… fino a quello dei diritti e dei doveri riconosciuti agli stranieri. Il numero di bandi per l’accesso all’impiego pubblico che prevedono la restrizione al solo cittadino (con esclusione, dunque, dello straniero) è davvero numeroso. Tra i più recenti ha avuto notevole risalto mediatico la vicenda che ha visto coinvolti il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e i candidati alla procedura per la copertura di posti di direttore del Palazzo Ducale di Mantova e della Galleria Estense di Modena, ove la ricorrente lamentava che la procedura fosse viziata (e, dunque, i decreti di nomina avrebbero dovuto essere annullati) poiché uno dei candidati poi selezionati (Peter Assmann) era privo della cittadinanza italiana3. Ma dalla giurisprudenza comune possono essere estratti diversi casi analoghi, ancorché meno noti: nel mese di giugno del 2016, sul sito ufficiale dell’INPS, è pubblicato un bando per la procedura di ammissione alla pratica forense presso l’Avvocatura centrale e le Avvocature territoriali dell’Istituto4; con decreto ministeriale n. 56 del 2009 il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca stabilisce la formazione di graduatorie scolastiche per il biennio seguente con riferimento ai posti di personale educativo5; con decreto del 10 febbraio 2010 l’Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi pubblica un bando per la stabilizzazione di personale impiegato a tempo determinato6; con bando del 20 settembre 2011 l’Ufficio nazionale per il servizio civile indice la selezione di 10.481 volontari da impiegare in progetti di servizio civile in Italia e all’estero7. Casi in cui il ricorrente domanda al giudice ordinario8 di accertare, ai sensi dell’art. 449, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Te- 3 Vicenda poi decisa dal Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 25 giugno 2018, n. 9. 4 In conseguenza della denuncia promossa dall’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), il successivo 11 luglio l’INPS pubblica una nota relativa al bando, in virtù della quale, «al fine di consentire la massima partecipazione alla procedura in oggetto, nonché di garantire pari opportunità a favore dei cittadini di Stati non appartenenti alla Unione europea regolarmente soggiornanti in Italia», possono presentare domanda, oltre ai soggetti già indicati, anche i cittadini di Stato non appartenenti all’UE in possesso dei requisiti previsti dall’art. 17, comma 2, legge 31 dicembre 2012, n. 247. 5 Tribunale di Milano, sentenza 11 gennaio 2010. 6 Tribunale di Lodi, sentenza 18 febbraio 2011. 7 Corte di Appello di Milano, sentenza 22 marzo 2013, n. 2183. 8 La giurisdizione del giudice ordinario, anziché del giudice amministrativo, è ormai pacificamente ammessa. Cfr. tra le molte, la sentenza della Cassazione civile, sez. unite, sentenza 30 marzo 2011, n. 7186, nella quale si spiega che con l’art. 44 «il legislatore [ha] inteso configurare, a tutela del soggetto potenziale vittima delle discriminazioni, una specifica posizione di diritto soggettivo, e specificamente un diritto qualificabile come “diritto assoluto” in quanto posto a presidio di una area di libertà e potenzialità del soggetto, rispetto a qualsiasi tipo di violazione della stessa»: «[r]isulta quindi spiegabile […] come, in relazione a discriminazioni del genere di quelle in esame, anche quando esse siano attuate nell’ambito di procedimenti per il riconoscimento da parte della pubblica amministrazione di utilità rispetto a cui il soggetto privato fruisca di una posizione di interesse legittimo e non di diritto soggettivo, la tutela del privato rispetto alla discriminazione possa essere assicurata secondo il modulo del diritto soggettivo e delle relative protezioni giurisdizionali». Oggetto della tutela, dunque, non è lo svolgimento di una procedura concorsuale, ma il diritto fondamentale della persona. 9 Art. 44. «Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice può, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione». 235 Interventi  Parte II sto unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), la natura discriminatoria del comportamento tenuto dalla pubblica amministrazione: discriminazione che discenderebbe dal prevedere, tutti i bandi, come requisito di partecipazione il possesso della cittadinanza, italiana o di uno degli altri Stati membri dell’Unione europea. Casi, dunque, nei quali la cittadinanza opera come “privilegio” del lavoratore italiano (o europeo) a scapito del lavoratore straniero. Eppure la giurisprudenza costituzionale che ha reinterpretato in senso “includente” le disposizioni costituzionali che parlano di “cittadini” è risalente. Sin dagli anni 60 la Corte, chiamata a pronunciarsi su questioni per violazione del principio di eguaglianza formale, ha affermato che «se è vero che l’art. 3 si riferisce espressamente ai soli cittadini, è anche certo che il principio di eguaglianza vale pure per lo straniero quando trattasi di rispettare [i] diritti fondamentali» (così Corte cost. sentenza n. 120 del 1967, punto 2 del Considerato in diritto); che, «per quanto attiene ai diritti inviolabili della personalità, che rappresentano un minus rispetto alla somma dei diritti di libertà riconosciuti al cittadino, la titolarità di quei diritti, comune al cittadino e allo straniero nell’ambito di quella sfera, non può non importare, entro la stessa, una loro posizione di eguaglianza» (così Corte cost. sentenza n. 104 del 1969, punto 4 del Considerato in diritto). Eguaglianza sul piano della titolarità del diritto che, precisa la Corte, non esclude l’adozione da parte del legislatore di modalità differenziate di godimento dello stesso diritto10. 2. Il lavoro come libertà dal bisogno. L’intreccio tra i principi costituzionali è reso evidente dalla stretta connessione rintracciabile tra i primi quattro articoli della nostra Costituzione: il lavoro come “fondamento” della Repubblica; la pari dignità come diritto, ma anche come dovere («doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»); il diritto di partecipare all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (al punto che devono essere rimossi gli ostacoli che possano di fatto esserne un impedimento), ma anche il dovere di concorrere, con la propria attività, qualunque essa sia, al progresso materiale o spirituale della società. È quella che è stata definita l’inscindibilità dei diritti: «se uno viene indebolito s’indeboliscono tutti»11. La pari dignità sociale e l’eguaglianza «senza distinzione di condizioni personali e sociali» implicano la libertà dal bisogno, la libertà da qualunque situazione di debolezza che possa costringere la persona ad assoggettarsi all’altrui potere. Uno strumento (uno degli 10 Così Corte cost., sentenza n. 104 del 1969, punto 4 del Considerato in diritto, e Corte cost., sentenza n. 144 del 1970, punto 6 del Considerato in diritto: «[…] la riconosciuta eguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarità dei diritti di libertà non esclude affatto che, nelle situazioni concrete, non possano presentarsi, fra soggetti uguali, differenze di fatto che il legislatore può apprezzare e regolare nella sua discrezionalità, la quale non trova altro limite se non nella razionalità del suo apprezzamento» 11 Cfr. L. Carlassare, Solidarietà: un progetto politico, in Costituzionalismo.it 1, 2016, 55; S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Bari-Roma 2014, 34 e 82, «[…] i diritti sociali [sono] diritti “abilitanti” all’esercizio di quelli civili e politici, confermando una linea ricostruttiva necessariamente fondata sulla connessione tra i principi e l’indivisibilità dei diritti». 236 Valeria Marcenò Lo straniero e il pubblico… strumenti) che consente all’individuo di conquistare tale liberazione è certamente il lavoro: l’individuo lavoratore è posto nelle condizioni di superare e di cancellare situazioni di debolezza e di raggiungere un livello minimo di dignità. Si è detto l’individuo lavoratore, senza ulteriori aggettivi. Ciò perché il carattere “dignitario”12 del lavoro lo rende un diritto di tutti. 3. Il duplice volto del carattere “dignitario’’ del lavoro. Il carattere “dignitario” del lavoro ha una natura bifronte: sul versante del diritto e sul versante del dovere. Come emancipazione dal bisogno, il lavoro si configura come un diritto positivo: un mezzo attraverso il quale sviluppare la propria personalità e connotare come “libera” la propria condizione umana. Come partecipazione alla comunità, il lavoro si configura come un dovere: un mezzo attraverso il quale concorrere, con la propria attività o funzione, al progresso materiale o spirituale della società (art. 4 Cost.)13. Il lavoro non consente solo il soddisfacimento dell’interesse (e di un’esigenza) individuale, ma anche, tramite questo, la realizzazione di un interesse (e di un’esigenza) collettivo: la partecipazione attiva del singolo alla società contribuisce allo sviluppo e all’arricchimento della società stessa. In questo senso al dovere al lavoro del singolo corrisponde – deve corrispondere – un dovere, anch’esso, come il primo, giuridicamente (costituzionalmente) imposto, delle istituzioni di “fare” qualcosa, di porre in essere politiche (e, dunque, riservare risorse pubbliche) dirette a promuovere una società in cui ai singoli siano garantiti i bisogni primari. Un atteggiamento, da parte dello Stato, di mera astensione e di garanzia dagli abusi non sarebbe dunque sufficiente, contraddicendo l’idea stessa di democrazia14: una società nella quale tutti siano liberi dalla schiavitù dei bisogni essenziali e, quindi, liberi di partecipare alla vita politica e sociale del Paese – perché non può esserci partecipazione nello stato di bisogno – implica necessariamente l’impegno per una politica sociale15. 12 Così L. Carlassare, Solidarietà: un progetto politico, cit., 54. 13 Per una ricostruzione dei dibattiti in Assemblea costituente e delle idee sottostanti alle disposizioni costitu- zionali sul diritto/dovere al lavoro, cfr. C. Tripodina Il diritto a un’esistenza libera e dignitosa. Sui fondamenti costituzionali del reddito di cittadinanza, Torino 2013, 106 ss. 14 Così M. Luciani, Diritti sociali e livelli essenziali delle prestazioni pubbliche nei sessant’anni della Corte costituzionale, in Rivista AIC 3, 2016, 7, secondo il quale «[l]a democrazia è servente rispetto al fine della libera autodeterminazione dei cittadini, ma solo cittadini eguali possono sfuggire all’eteronomia (almeno nei limiti in cui lo consente l’applicazione del principio di maggioranza e non quello di unanimità). È per questo che […] la libertà è teleologicamente e l’eguaglianza logicamente connessa alla democrazia». 15 La formula dell’art. 4 Cost., «se non vale a garantire al cittadino la possibilità di agire in positivo per ottenere un posto di lavoro dallo Stato, vale a garantire l’esigibilità del diritto al lavoro almeno sotto il profilo negativo, contro scelte di politica economica di tipo regressivo». Così C. Tripodina, Il diritto a un’esistenza libera e dignitosa. Sui fondamenti costituzionali del reddito di cittadinanza, cit., 110. 237 Interventi  Parte II 4. La cittadinanza come limite all’accesso all’impiego pubblico. Quanto fin qui detto può apparire una risaputa ovvietà. Un’ovvietà che, pur tuttavia, necessita di essere ribadita – e la dottrina costituzionalistica mostra di avvertire il peso di questa necessità con i numerosi, anche recenti, scritti sul tema16 – essendo ripetutamente dimenticata dalle amministrazioni pubbliche. Senza volerne dedurre una volontarietà “dolosa”, alla luce della rilevanza costituzionale del lavoro, sia per il singolo sia per la collettività di appartenenza, come si spiegano i numerosi bandi pubblici che riservano la partecipazione ai soli cittadini (italiani o europei)? 4.1. La ‘‘specialità’’ del pubblico impiego. La “riserva di posto” ha trovato giustificazione legale nell’art. 70, comma 13, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Testo unico sul pubblico impiego) che richiama esplicitamente, ai fini del reclutamento nelle pubbliche amministrazioni, il d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, il cui art. 2 richiede, tra i requisiti per accedere al lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il possesso della cittadinanza italiana. L’art. 70 – si legge nelle sentenze che, anche in tempi più recenti, hanno accolto tale impostazione17 – avrebbe “legificato” la previsione regolamentare18. A ciò si aggiungerebbe la “peculiarietà” dell’impiego pubblico, che traspare direttamente dagli articoli 51, 97 e 98 della Costituzione: «l’intento dei costituenti fu di garantire che i fini pubblici fossero perseguiti e tutelati nel migliore dei modi, e di puntare per questo sui cittadini, nei quali si riteneva esistente una naturale compenetrazione dei fini personali in quelli pubblici»; le disposizioni costituzionali offrono di per sé «sufficiente copertura alla disciplina ordinaria preclusiva dell’accesso al lavoro pubblico dei cittadini extracomunitari nell’ambito di una scelta che qualifica speciale il lavoro pubblico e lo assoggetta a regolamentazione particolare». L’esclusione dello straniero non comunitario dall’accesso al lavoro pubblico, dunque, non sarebbe sospettabile di illegittimità costituzionale, essendo la 16 Da ultimo, cfr. L. Carlassare, Nel segno della Costituzione. La nostra carta per il futuro, Milano 2012, 65; G. Zagrebelsky, Fondata sul lavoro. La solitudine dell’art. 1, Torino 2013; C. Tripodina, Il diritto a un’esistenza libera e dignitosa. Sui fondamenti costituzionali del reddito di cittadinanza, cit. 17 Cfr. Cass., sentenza 2 settembre 2014, n. 18523 (in materia di stabilizzazione di lavoratori disabili); Corte di Appello di Firenze, sentenza 11 gennaio 2013, n. 65 (in materia di assunzione a tempo indeterminato di lavoratori disabili per la copertura di posti vacanti presso gli Uffici dell’Amministrazione autonoma Monopoli di Stato); Tribunale di Forlì, sentenza 25 gennaio 2011 (bando per la copertura di un posto di dirigente medico); Cass., sentenza 13 novembre 2006, n. 24170 (in materia di iscrizione nelle liste riservate ai disabili per l’accesso anche al lavoro presso le pubbliche amministrazioni). 18 Né l’art. 70 potrebbe ritenersi abrogato, per incompatibilità, dal sopravvenuto art. 3 del d.lgs. 9 luglio 2003, n. 215, attuativo della Direttiva 2000/43/CE, secondo cui la disciplina dell’accesso all’occupazione e al lavoro deve essere regolamentata in base al principio della non discriminazione. Ciò perché «il d.lgs. 215/2003 e la direttiva comunitaria 2000/42/CE mirano a superare discriminazioni fondate su ragioni razziali e di carattere etnico ma non intervengono in materia di differenza di trattamento giustificate dal criterio della nazionalità e comunque non trovano applicazione in materia di accesso all’occupazione da parte di cittadini di paesi non appartenenti all’Unione Europea». Così Tribunale di Forlì, sentenza 25 gennaio 2011. 238 Valeria Marcenò Lo straniero e il pubblico… parità di tutti gli aspiranti lavoratori riconosciuta «non in termini assoluti e totali ma “nei limiti e nei modi previsti dalla legge” e ciò non comporta incompatibilità con disposizioni costituzionali, perché non rientra tra i diritti fondamentali garantiti l’assunzione alle dipendenze di un determinato datore di lavoro»19 20. La legittima esclusione dello straniero – e la natura non discriminatoria del comportamento delle pubbliche amministrazioni – trova, dunque, fondamento su due connesse argomentazioni: alla lettura testuale (o al «dato di diritto positivo», come si esprime il giudice) si somma la discrezionalità del legislatore nazionale. La successione normativa (costituzionale, ordinaria, europea e internazionale) in tema di accesso all’impiego pubblico sarà oggetto di autonoma ricostruzione e valutazione. Ciò che le disposizioni richiamate consentono al momento di sottolineare è come la limitazione dell’accesso ad alcuni posti di lavoro pubblico ai soli cittadini sembra riproporre una questione che la giurisprudenza costituzionale aveva definitivamente risolto: la legislazione ordinaria, nella interpretazione avallata da una parte della giurisprudenza ordinaria, non distingue tra la titolarità del diritto e le modalità di godimento del diritto, che possono, solo queste ultime, essere differenziate (e dunque rientrare nell’ambito della discrezionalità legislativa). 4.2. L’interpretazione conforme mette in salvo il principio di eguaglianza. Decisioni fondate su argomentazioni opposte a quelle descritte hanno, invece, accertato e dichiarato la natura discriminatoria del comportamento delle amministrazioni pubbliche volto a riservare l’impiego pubblico ai cittadini. Il percorso ermeneutico che anima tali 19 Cfr. Cass., sentenza 13 novembre 2006, n. 24170. Affermazioni analoghe si trovano anche in Tribunale di Forlì, sentenza 25 gennaio 2011: «La scelta del legislatore ordinario di assoggettare il lavoro pubblico a regolamentazione particolare non può poi essere irragionevole laddove si consideri da una parte che questa opzione, oltre a presumere che la migliore tutela degli interessi pubblici sia conseguita da chi faccia parte della comunità nazionale a cui tali interessi appartengono, assicura una preferenza ai membri della stessa comunità nazionale datrice di lavoro o della comunità sovranazionale di cui quest’ultima fa parte, dall’altra che non rientra fra i diritti fondamentali garantiti dalla nostra carta costituzionale l’assunzione alle dipendenze di un determinato datore di lavoro»; Consiglio di Stato, sentenza 4 febbraio 1985, n. 43, secondo cui la riserva non opera al fine di dare protezione al mercato interno del lavoro, ma, piuttosto, per garantire che i fini pubblici, che nel cittadino si suppongono naturalmente compenetrati nei fini personali, siano meglio perseguiti e tutelati. 20 Tale orientamento ha trovato esplicito sostegno dal Governo, con il parere n. 196 del 28 settembre 2004 della Presidenza del Consiglio – Dipartimento della Funzione pubblica, ove si legge che «In relazione all’articolo 51 della Costituzione deve cogliersi, oltre al più generale divieto di discriminazioni nell’accesso ai pubblici uffici dei cittadini, la volontà del legislatore costituzionale di limitare ai cittadini l’accesso ai pubblici uffici. Ciò in considerazione sia della necessità di un particolare vincolo tra lo Stato e coloro che esercitano le funzioni ed i servizi, vincolo ravvisabile soltanto nel rapporto qualificato tra il soggetto e l’ordinamento sinteticamente designato come status civitatis; sia sul piano più strettamente esegetico in considerazione del rapporto tra il primo ed il secondo comma dell’articolo stesso. […] l’articolo 51 della Costituzione configur[a] il requisito normalmente necessario per l’accesso al pubblico impiego, salvo le eccezioni che il legislatore ritenga di introdurre per particolari tipi di impiego. Infatti le norme più recenti hanno eliminato tale restrizione con riferimento ai cittadini comunitari, mantenendola, peraltro, anche riguardo ad essi, per gli impieghi che comportano l’esercizio di pubbliche funzioni. Pertanto, la limitata estensione all’accesso ai pubblici impieghi per i cittadini comunitari, operata dall’articolo 38 del d.lgs. 165/01, si pone come applicazione allargata del disposto costituzionale, giustificata e perciò limitata dalla prospettiva dell’integrazione europea». 239 Interventi  Parte II decisioni è sostanzialmente riconducibile al canone della interpretazione conforme (alla Costituzione e alle disposizioni sovranazionali), e può essere tratteggiato secondo i seguenti passaggi: a) una lettura del quadro normativo nazionale non isolatamente assunto ma sistematicamente integrato da quelli internazionale ed europeo consente di ritenere consolidato il principio di eguaglianza e di parità di trattamento fra cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari, arricchito dalla comune volontà di «eliminare tutti gli ostacoli alla libera circolazione dei lavoratori in ambito europeo, rimovendo limiti e vincoli burocratici e/o normativi [che] non possono essere certamente interpretati come una sorta di “conventio ad excludendum”» (Tribunale di Milano, sentenza 11 gennaio 2010). Ciò escluderebbe ogni «ragionevole motivo per riservare un trattamento diverso ai cittadini extracomunitari rispetto agli italiani o comunitari quanto all’accesso al lavoro presso la P.A.» (Tribunale di Firenze, sentenza 27 gennaio 2012); b) l’art. 51 della Costituzione non assume, in virtù del suo riferimento ai cittadini, un contenuto escludente: «non contiene alcun divieto all’assunzione a tempo indeterminato di cittadini extracomunitari in Italia, in quanto la norma in esame si limita a riconoscere il diritto all’accesso agli uffici pubblici da parte dei cittadini, senza con ciò disconoscere tale diritto ai non cittadini» (così Tribunale di Lodi, sentenza 18 febbraio 2011); c) l’art. 2 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nel disporre che «lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano» (comma 2) e che «la Repubblica italiana […] garantisce a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio e alle loro famiglie parità di trattamento e l’uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani» (comma 3), ha implicitamente abrogato l’art. 2 del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 che consente l’accesso all’impiego pubblico ai soli cittadini italiani (Tribunale di Genova, sentenza 19 luglio 2011); d) l’art. 38 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 – conformemente a quanto stabilito dalla Convenzione O.I.L. 24 giugno 1975, n. 14321, ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 158, e dalla Direttiva del Consiglio Europeo 25 novembre 2003, n. 109, cui è stata data attuazione con d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 322 – consente di limitare l’accesso a determinate attività che comportino l’esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero attengano alla tutela dell’interesse nazionale: «pur nella difficoltà di determinare la nozione di “pubblici poteri” deve ritenersi che tale concetto indichi un potere esercitato da enti- 21 Art. 14, lett. c della Convenzione: ogni Stato membro può «[…] respingere l’accesso a limitate categorie di occupazione e di funzioni, qualora tale restrizione sia necessaria nell’interesse dello Stato». 22 Art. 11 della Direttiva: «1. Il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini italia- ni nazionale per quanto riguarda: a) l’esercizio di un’attività lavorativa subordinata o autonoma, purché questa non implichi nemmeno in via occasionale la partecipazione all’esercizio di pubblici poteri […]. 3. Gli Stati membri possono limitare il godimento degli stessi diritti riconosciuti ai cittadini italiani come segue: a) possono fissare limitazioni all’accesso al lavoro subordinato o autonomo nei casi in cui la legislazione nazionale o la normativa comunitaria in vigore riservino dette attività ai cittadini dello Stato in questione, dell’UE o del SEE […]». 240 Valeria Marcenò Lo straniero e il pubblico… tà pubbliche per l’interesse generale dello Stato» (Tribunale di Milano, sentenza 11 gennaio 2010)23; e) il riferimento operato dall’art. 70, comma 13, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 all’art. 2 del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, lungi dal «“riportate in vita” il precetto ormai abrogato, [dovrà essere] semmai interpreta[to] come riferito a quelle ipotesi eccezionali, residuali, in relazione alle quali il requisito della cittadinanza ha una sua ragione d’essere di ordine generale e collettivo» (così Tribunale di Genova, sentenza 19 luglio 2011)24; f ) perde, infine, rilievo il riferimento all’obbligo di fedeltà nei confronti delle pubbliche amministrazioni che solo il cittadino, in virtù del legame intenso con il Paese di appartenenza, e non lo straniero, poteva assicurare: la possibilità che uno straniero sia assunto da una struttura pubblica con contratto a tempo determinato rende argomentativamente non sostenibile la sua esclusione dall’assunzione con contratto a tempo indeterminato, «essendo il lavoratore assunto a termine […] tenuto al rispetto degli stessi doveri di diligenza e correttezza del collega assunto a tempo indeterminato e […] soggetto alle stesse disposizioni regolatrici questo secondo tipo di contratto»25. Detto in sintesi: la «forza ordinamentale del divieto di discriminazione»26, in assenza di disposizioni restrittive in relazione a specifiche attività, prevale sulla regola della riserva di accesso ai cittadini italiani ed europei. 23 Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 febbraio 1994, n. 174 (Regolamento recante norme sull’accesso dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche) sono stati individuati gli specifici posti e le specifiche funzioni per i quali non può prescindersi dalla cittadinanza. Sulla nozione, in tale contesto, di “pubblici poteri” si tornerà infra, par. 6.2. 24 Le argomentazioni riportate ritornano in molteplici sentenze. Senza pretesa di esaustività, tenuto conto del notevole numero di decisioni pronunciate per comportamento discriminatorio nei confronti dello straniero da parte delle amministrazioni pubbliche, si possono vedere: Tribunale di Firenze, sentenza 23 gennaio 2014 (avviso di selezione indetto dall’Università degli Studi di Firenze per un posto di Area tecnica da destinare al laboratorio); Tribunale di Bologna, sentenza 8 marzo 2011 (procedura concorsuale, indetta dal Ministero dell’Interno, per titoli ed esami, per l’assunzione di 650 unità di personale, con contratto a tempo determinato, nel profilo di coadiutore amministrativo contabile); Tribunale di Rimini, sentenza 27 ottobre 2009 (procedura concorsuale per l’assunzione di 5 operatori socio-sanitari); Tribunale di Milano, sentenza 20 luglio 2009 (pubblica offerta di lavoro per diverse posizioni disponibili presso l’ATM s.p.a.); Tribunale di Milano, sentenza 30 maggio 2008 (procedura di stabilizzazione di operatori socio-sanitari). 25 Tribunale di Milano, sentenza 4 aprile 2011 (bando di selezione per due posti di infermiere professionale a tempo indeterminato promosso dalla Fondazione IRCCS Istituto Tumori). 26 Tale espressione è tratta dal parere n. 4 del 6 giugno 2011 dell’UNAR (Ufficio nazionale Antidiscriminazioni Razziali, presso il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, istituito con d.lgs. 9 luglio 2003, n. 215, in recepimento alla Direttiva comunitaria 2000/43/CE). Merita di essere sottolineata la distinzione tra questo parere e il precedente n. 15 del 4 agosto 2010, nel quale si affermava che «[…], nonostante la funzione propria di quest’Ufficio porta a prediligere l’orientamento della giurisprudenza di merito […] volto all’applicazione “prevalente” del principio di non discriminazione [… si] impone di considerare che nella pratica, sia le pubbliche amministrazioni sia i giudici di grado superiore a quelli di prima istanza, provvedono in senso diametralmente opposto all’applicazione del principio di parità di trattamento nell’accesso degli extracomunitari (regolarmente soggiornanti) agli impieghi alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Pertanto, la risposta [ai quesiti posti] non può che essere negativa se affrontata dal punto di vista dell’attuale sistema normativo e dell’interpretazione prevalente, nel senso cioè dell’impossibilità, de iure condito, di aprire le porte dell’impiego pubblico a chi sia sprovvisto del requisito della cittadinanza (nazionale e, entro certi limiti, dell’Unione europea)». 241 Interventi  Parte II 4.3. Il lavoratore non cittadino nella giurisprudenza costituzionale. La Corte costituzionale è stata chiamata diverse volte a occuparsi della posizione del lavoratore straniero in raffronto a quella del lavoratore cittadino: in materia di disabilità, di servizio civile nazionale e in una sola occasione, peraltro con una pronuncia di inammissibilità, direttamente in materia di impiego pubblico. 4.3.1. Lo straniero invalido civile. Del lavoratore straniero disabile la Corte ha affermato la pari equiparazione al lavoratore italiano disabile sin dalla sentenza n. 454 del 1998, ove ha ritenuto possibile far discendere da una lettura sistematica delle disposizioni nazionali, europee e internazionali in materia l’interpretazione per cui «una volta che i lavoratori extracomunitari siano autorizzati al lavoro subordinato stabile in Italia, godendo di un permesso di soggiorno rilasciato a tale scopo o di altro titolo che consenta di accedere al lavoro subordinato nel nostro paese, e siano posti a tal fine in condizioni di parità con i cittadini italiani, e così siano iscritti o possano iscriversi nelle ordinarie liste di collocamento […], essi godono di tutti i diritti riconosciuti ai lavoratori italiani». L’opposta conclusione, afferma la Corte, sarebbe possibile solo ove si rinvenisse, nel sistema normativo, «una norma che, esplicitamente o implicitamente, neghi ai lavoratori extracomunitari, in deroga alla “piena uguaglianza”, il diritto in questione. Ma una siffatta norma derogatoria nella materia in esame non esiste»27. 27 Per quanto si sia trattato di una sentenza interpretativa di rigetto, carica dei suoi peculiari effetti inter partes, le sue apodittiche affermazioni e stringenti argomentazioni nel senso dell’unica soluzione interpretativa conforme a Costituzione hanno fatto da sfondo alle successive decisioni dei giudici ordinari nel senso della parità senza alcuna limitazione discendente dalla cittadinanza. Tuttavia, la presenza nella decisione di un inciso – «salvo che le convenzioni internazionali o lo stesso testo unico dispongano diversamente» –, unitamente al carattere “speciale” del pubblico impiego, ha consentito ad altri giudici di discostarsi da tale precedente costituzionale. Si veda, ad esempio, la già citata Cass., sentenza 13 Novembre 2006, n. 24170, ove il giudice di legittimità, dopo aver ripercorso la decisione costituzionale, afferma che essa non può trovare seguito nel caso di specie: «Va, in primo luogo precisato che la speciale disciplina sul collocamento obbligatorio degli invalidi va ricondotta […] alle forme di attuazione del diritto che “gli inabili e i minorati” hanno, a norma dell’art. 38 Cost., comma 3, all’avviamento professionale (…), diritto del quale gode anche lo straniero avente titolo ad accedere al lavoro subordinato nel territorio dello Stato in condizioni di uguaglianza con i cittadini, non essendovi, sotto questo profilo, ragione di differenziarne il trattamento rispetto al cittadino italiano. Ora, spetta pur sempre al legislatore stabilire le condizioni di accesso a speciali forme di lavoro subordinato o autonomo, esprimendo la stessa Costituzione il principio di non parificazione dello straniero con il cittadino e l’ordinamento, con il complesso di norme già esaminate, mediante scelta conforme al dettato costituzionale, ha stabilito il requisito della cittadinanza per l’accesso al lavoro pubblico. Non è, quindi, condivisibile la tesi che la legislazione di sostegno dei lavoratori disabili non incontri la limitazione della disciplina particolare della materia dell’impiego pubblico, costituzionalmente legittima anche nella parte in cui non deroga al requisito della cittadinanza per le categorie protette. Del resto, la stessa sentenza costituzionale n. 454/1998, avverte esplicitamente che il principio di parità può essere derogato da convenzioni internazionali, da norme dello stesso testo unico sull’immigrazione o altre disposizioni speciali presenti nell’ordinamento giuridico nazionale, che disciplinino particolari settori negando, esplicitamente o implicitamente, al cittadino extracomunitario, in deroga alla “piena uguaglianza”, la possibilità di esercitare un diritto invece riconosciuto al cittadino italiano o comunitario». Nello stesso senso, cfr. Cass., sentenza 2 settembre 2014, n. 18523. 242 Valeria Marcenò Lo straniero e il pubblico… La cittadinanza, dunque, non può operare come spartiacque tra lavoratori tutti invalidi civili. La ratio della disciplina lavoristica posta a tutela dell’individuo invalido civile è quella di consentirgli di partecipare, nei limiti delle sue effettive forze e possibilità, alla comunità cui appartiene, di realizzare quel diritto al lavoro come liberazione dall’altrui potere o dipendenza. A prescindere dalla sua nazionalità. La equiparazione dal punto di vista della titolarità del diritto non esclude, come già si è visto, che possano essere introdotti regimi differenziati circa il trattamento da riservare ai singoli consociati, purché nell’ambito di scelte non irrazionali o, peggio, arbitrarie (Corte cost., sentenza n. 423 del 2005). In più occasioni, infatti, la Corte ha ritenuto la legittimità costituzionale di disposizioni normative che subordinassero l’erogazione di determinate prestazioni – al di fuori di situazioni di bisogno radicale – alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata; ma, «una volta […] che il diritto di soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini» (così Corte cost., sentenza n. 306 del 200828, punto 10 del Considerato in diritto). Una volta accertata, dunque, la legalità del 28 Con le sentenze n. 306 del 2008 e n. 11 del 2009 la Corte ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni impu- gnate nella parte in cui subordinavano l’attribuzione di una prestazione (rispettivamente l’indennità di accompagnamento per inabilità e la pensione di inabilità) al possesso del titolo di legittimazione alla permanenza del soggiorno in Italia che richiede per il suo rilascio, tra l’altro, la titolarità di un reddito. Con la sent. n. 187 del 2010, la Corte ha affermato che, ai fini dello scrutinio su disposizioni da contenuto analogo, «ciò che […] assume valore dirimente […] non è tanto la configurazione “nominalistica” dello specifico strumento previdenziale che può venire in discorso, quanto, piuttosto, il suo concreto atteggiarsi nel panorama degli istituti di previdenza, così da verificarne la relatività “essenzialità” agli effetti della tutela dei valori coinvolti». Da tale affermazione è conseguita la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione nazionale che subordinava al requisito della titolarità della carta di soggiorno, poi permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo: il diritto all’assegno mensile di invalidità (l’assegno mensile di invalidità «può essere riconosciuto soltanto in favore di soggetti invalidi, nei confronti dei quali sia riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa di misura elevata; […] la provvidenza stessa, in tanto può essere erogata, in quanto il soggetto invalido non presti alcuna attività lavorativa; […] l’interessato versi, infine, [in] disagiate condizioni reddituali […]. Si tratta, dunque, all’evidenza, dell’erogazione destinata non già ad integrare il minor reddito dipendente dalle condizioni soggettive, ma a fornire alla persona un minimo di “sostentamento”, atto ad assicurare la sopravvivenza; un istituto, dunque, che si iscrive nei limiti e per le finalità essenziali che questa Corte […] ha additato come parametro di ineludibile uguaglianza di trattamento tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato» – così Corte cost. sentenza n. 187 del 2010, punto 2 del Considerato in diritto); il diritto all’indennità di frequenza per i minori invalidi («il riconoscimento della indennità di frequenza si iscriv[e] nel novero delle provvidenze, per così dire, “polifunzionali”, giacché i bisogni che attraverso essa si intendono soddisfare non si concretano soltanto sul versante della salute e della connessa perdita o diminuzione della capacità di guadagno, ma, anche, su quello delle esigenze formative e di assistenza di minori colpiti da patologie invalidanti e appartenenti a nuclei familiari che versino in disagiate condizioni economiche»; «[…] una finalità direttamente riconducibile alla salvaguardia delle esigenze di cura e di assistenza di persone minorenni portatrici di patologie significative ed invalidanti e, come tali, direttamente inquadrabili nell’ambito di quegli interventi di natura solidaristica che l’ordinamento è chiamato ad approntare; e ciò, come è ovvio, tanto sul versante specifico della salute, che su quello del relativo inserimento sociale […]» – così Corte cost. sentenza n. 329 del 2011, punto 5 del Considerato in diritto); l’erogazione della indennità di accompagnamento e della pensione di inabilità (Corte cost. sentenza n. 40 del 2013); l’erogazione della pensione e della indennità di accompagnamento per ciechi assoluti (Corte cost. sentenza n. 22 del 2015) e per sordi (Corte cost. sentenza n. 230 del 2015). 243 Interventi  Parte II soggiorno e la sua natura non occasionale, qualsiasi discrimine tra cittadini e stranieri, fondato su requisiti diversi dalle condizioni soggettive (quali la titolarità del permesso di soggiorno o, peggio, della cittadinanza) sarebbe costituzionalmente illegittimo. 4.3.2. Lo straniero e il servizio civile nazionale. È con le decisioni in materia di accesso al servizio civile nazionale che la Corte costituzionale introduce un nuovo concetto di comunità, fondato sul principio di solidarietà e liberato del criterio della cittadinanza. Il giudice delle leggi parla «di una comunità di diritti la partecipazione alla quale ben può giustificare la sottoposizione a doveri funzionali alla sua difesa»; [una] comunità di diritti e di doveri, più ampia e comprensiva di quella fondata sul criterio della cittadinanza in senso stretto, [che] accoglie e accomuna tutti coloro che, quasi come in una seconda cittadinanza, ricevono diritti e restituiscono doveri, secondo quanto risulta dall’art. 2 della Costituzione là dove, parlando di diritti inviolabili dell’uomo e richiedendo l’adempimento dei corrispettivi doveri di solidarietà, prescinde del tutto, per l’appunto, dal legame stretto di cittadinanza» (Corte cost. sentenza n. 172 del 1999, punto 2.3 del Considerato in diritto)29 30. Il concetto di difesa della Patria, dunque, si amplia, fino a includere attività di impegno sociale non armato: la difesa militare diviene una delle forme di difesa della Patria, ben potendo ad essa affiancarsi «un’altra forma di difesa, che si traduce nella prestazione di servizi rientranti nella solidarietà e nella cooperazione a livello nazionale ed internazionale»31 (Corte cost. sentenza n. 228 del 2004, punto 3 del Considerato in diritto). L’art. 52 Cost. deve pertanto essere letto congiuntamente ai doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost.: le attività che l’individuo svolge nell’ambito del servizio civile rappresentano – afferma la Corte – «la più diretta realizzazione del principio di solidarietà 29 La portata normativa dell’art. 52 della Costituzione (difesa della patria) è, infatti, quella «di stabilire in posi- tivo, non già di circoscrivere in negativo i limiti soggettivi del dovere costituzionale». «Il silenzio della norma costituzionale non comporta divieto. Perciò deve ritenersi esistere uno spazio vuoto di diritto costituzionale nel quale il legislatore può far uso del proprio potere discrezionale nell’apprezzare le ragioni che inducano a estendere la cerchia di soggetti chiamati alla prestazione del servizio militare». Con tali argomenti la Corte ha rigettato i dubbi di legittimità costituzionale sollevati nei confronti delle disposizioni normative che prevedano l’assoggettamento alla leva militare degli apolidi residenti nel territorio italiano. 30 «Il giudice costituzionale […] propone una lettura che fa perno sull’esistenza di una relazione tra le une e le altre [diritti e doveri] nella complessiva costruzione della comunità, la quale, tuttavia, non è fondata su meccanismi “escludenti” della cittadinanza in senso giuridico, bensì su quelli inclusivi di quella che la Corte definisce la “comunità di diritti e di doveri”, ove possono realizzarsi le condizioni per una convivenza umana responsabile». Così A. Apostoli, Il consolidamento della democrazia attraverso la promozione della solidarietà sociale all’interno della comunità, in Costituzionalismo.it 1, 2016, 19. 31 Quasi negli stessi termini si era espressa, qualche anno prima, la Corte di Appello di Milano, sentenza 22 marzo 2013, n. 2183, confermando l’impugnata ordinanza del Tribunale di Milano che aveva dichiarato la natura discriminatoria del bando per la selezione di volontari da impiegare in progetti di servizio civile: «il dovere di difendere la patria deve essere letto alla luce del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., le cui virtualità trascendono l’area degli obblighi normativamente imposti, accogliendo un’accezione assai ampia del concetto di difesa della patria, da estendere al campo dei doveri di solidarietà economica e sociale, oltre che politica, e suscettibile di tradursi in una sorta di “collaborazione civica” promossa e organizzata dallo stato che adempie al dovere di solidarietà di cui all’art. 2 cit. e a quello di concorrere al progresso materiale e spirituale della società di cui all’art. 4 II comma Cost.». 244 Valeria Marcenò Lo straniero e il pubblico… sociale, per il quale la persona è chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione di un’autorità», e la partecipazione a tali forme di solidarietà deve essere «ricompresa tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (Corte cost. sentenza n. 309 del 2013, punto 6 del Considerato in diritto32). Il servizio civile nazionale perde la sua connotazione di alternativa al servizio militare e, dunque, di attività riservata ai cittadini. Diviene una forma di partecipazione solidale alla vita della comunità in cui si è iscritti che, proprio per questo, non può rimanere riservata ai cittadini33, ma deve essere aperta a tutti coloro che intendono porsi, nei confronti della comunità, non come meri soggetti “passivi” di diritti (titolari, cioè, di diritti e di provvidenze sociali di volta in volta riconosciute), ma anche come soggetti “attivi” di diritti. La possibilità, per il cittadino straniero, di svolgere attività di solidarietà, tra le quali il servizio civile, rappresenta dunque «un’opportunità di integrazione e di formazione alla cittadinanza»34, l’esclusione dalla quale si trasformerebbe in «un’ingiustificata limitazione al pieno sviluppo della persona e all’integrazione nella comunità di accoglienza» (Corte cost., sentenza n. 119 del 2015, punto 4.1 del Considerato in diritto)35. 32 «Infatti al legislatore è consentito dettare norme, non palesemente irragionevoli, che regolino l’ingresso e la permanenza di extracomunitari in Italia, ma una volta che il diritto a soggiornare non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri stabilendo nei loro confronti particolari limitazioni né per il godimento dei diritti fondamentali della persona (così Corte cost. sentenza n. 306 del 2008, punto 10 del Considerato in diritto), né nell’esercizio dei doveri di solidarietà previsti dalla Costituzione». Enfatizza la formula «esercizio dei doveri di solidarietà» A. Rauti, Stranieri e pubblico impiego: prime considerazioni, in Metamorfosi della cittadinanza e diritti degli stranieri, Atti del Convegno internazionale di studi di Reggio Calabria, 26 – 27 marzo 2015 (a cura di C. Panzera, A. Rauti, C. Salazar e A. Spadaro), Napoli 2016, 338, il quale sottolinea come esercitare il dovere del servizio civile potrebbe «significare voler dimostrare di sentirsi sollecitati e coinvolti da un imperativo innanzitutto etico-politico ma non nazionalistico, che dà sostanza all’appartenenza sociale e che fonda infine la scelta del non cittadino di voler rimanere insieme al cittadino, riducendo radicalmente, e non formalmente, la distanza fra i due». 33 Cfr. M. Cartabia, «Gli immigrati» nella giurisprudenza costituzionale: titolari di diritti e protagonisti della solidarietà, in Quattro lezioni sugli stranieri (a cura di C. Panzera, A.Rauti, C. Salazar e A. Spadaro), Napoli 2016, 29. 34 Lo svolgimento del servizio civile costituisce «un’importante via per la cittadinanza»: «l’“esercizio di un dovere” insieme agli altri è già in sé una forma essenziale di integrazione e di inclusione, uno strumento che realizza l’eguaglianza attraverso la progressiva e profonda trasformazione dei rapporti sociali, inter-personali e impersonali, preludendo a “diritti” con gli altri. Innesca infatti un doppio meccanismo che spinge il singolo a percepirsi e gli altri a percepirlo come membro a pieno titolo della società nella quale ha scelto di vivere». Così A. Rauti, Il diritto di avere doveri. Riflessioni sul servizio civile degli stranieri a partire dalla sent. cost. n. 119/2015, in Rivista AIC 4, 2015, rispett. 29 e 34. 35 Può essere interessante osservare che la vicenda dell’accesso degli stranieri al servizio civile nazionale si sviluppa nell’ambito di un “dialogo collaborativo” – riprendendo un’espressione di E. Lamarque, Prove generali di sindacato di costituzionalità accentrato-collaborativo, in Studi in onore di Franco Modugno, III, Napoli 2011, 1843ss. – tra giudici ordinari e Corte costituzionale. La questione, che ha dato adito alla sentenza n. 119 del 2015, venne infatti sollevata dalla Cassazione civile a sezioni unite, sentenza 1 ottobre 2014, n. 20661, nonostante il sopravvenuto acquisto, da parte della ricorrente nel giudizio di merito, della cittadinanza italiana abbia determinato la sopravvenuta perdita di ogni utilità concreta derivabile alle parti dall’accoglimento o dal rigetto del ricorso per cassazione, e veda dunque questo concludersi con una pronuncia in rito di inammissibilità per sopravvenuto difetto di interesse. Come si legge dell’ordinanza di rimessione, «la particolare importanza del thema decidendum induce il Collegio, stante la ravvisata inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, a ritenere sussistenti le condizioni per una pronuncia d’ufficio ai sensi dell’art. 363 c.p.c., 245 Interventi  Parte II 4.3.3. Lo straniero e il pubblico impiego. Con una pronuncia di inammissibilità per omesso tentativo di interpretazione conforme (Corte cost. ordinanza n. 139 del 2011) la Corte costituzionale si è pronunciata sull’unica questione, fino ad ora sollevata, di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, nella parte in cui, contrariamente a quanto espressamente previsto per i cittadini appartenenti agli Stati membri dell’Unione Europea, «non consente di estendere l’accesso ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche anche ai cittadini extracomunitari». Sulla base della tecnica decisoria adottata, parte della successiva giurisprudenza di merito ne ha ridotto la portata: la Corte costituzionale, con tale ordinanza, non ha pronunciato «una sentenza interpretativa di rigetto, bensì ha dichiarato la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per come proposta, in quanto il giudice rimettente, nella sostanza, aveva chiesto alla Corte un avallo della interpretazione da lui data della norma, utilizzando in tal modo in maniera distorta lo strumento del giudizio inciden- comma 3, con l’enunciazione – nell’esercizio della funzione nomofilattica assegnata a questa Corte dalla citata disposizione del codice di rito – del principio di diritto nell’interesse della legge sulla questione di diritto trattata nella causa di merito e che il ricorso divenuto inammissibile propone. […] la questione è nuova per la giurisprudenza di questa Corte, ossia per l’organo chiamato, per specifica funzione ordinamentale, ad assicurare l’esatta osservanza della legge, la sua uniforme interpretazione e l’unità del diritto oggettivo nazionale, e quindi a garantire certezza del diritto ed eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. L’esercizio di questa funzione è tanto più rilevante quando, come nella specie, la mancanza di un principio di diritto suscettibile di porsi, per il suo valore di precedente, con capacità coerenziatrice e sistematica investe un settore nevralgico della vita sociale, nel quale sono coinvolti numerosi giovani, operatori ed enti e dove vengono in gioco i diritti fondamentali della persona umana e il suo modo di essere nell’ambito del rapporto con gli altri. D’altra parte, la questione ha l’attitudine a ripresentarsi in casi futuri […]». La Corte costituzionale, rigettando l’eccezione di inammissibilità sollevata per difetto di rilevanza, condivide l’impostazione proposta dal giudice rimettente, mostrando così di “voler” entrare nella questione e porre fine a un perdurante contrasto giurisprudenziale (in tal senso, v. Tribunale di Brescia, ordinanza 9 maggio 2012, che ha escluso la natura discriminatoria del bando, ritenendo ragionevole «la differenziazione tra cives e stranieri operata dal legislatore nel regolamentare l’accesso al servizio civile nazionale […], perché coerente con l’ordinamento nel suo complesso e, in particolare, con i principi costituzionali»; Tribunale di Milano, sentenza 12 gennaio 2012, e Corte d’appello di Milano, sentenza 22 marzo 2013, nel giudizio di merito che ha dato adito al presente ricorso per cassazione, che hanno dichiarato il carattere discriminatorio del bando). Afferma il giudice delle leggi che, sebbene la pronuncia sia ininfluente nella concreta vicenda processuale, il rapporto di pregiudizialità richiesto nel modello incidentale del giudizio di legittimità costituzionale permane: «La nozione di concretezza cui è legata la rilevanza della questione non si traduce, infatti, nella necessità di una concreta utilità per le parti del giudizio di merito, come rilevato da questa Corte nella sentenza n. 10 del 2015. Ciò discende dalla circostanza che il giudizio di legittimità costituzionale si svolge oltre che nell’interesse privato, anche e in primo luogo in quello pubblico e per questo non lo influenzano le vicende del processo che lo ha occasionato. […] L’incidentalità, infatti, discende dal compito della Corte di cassazione di enunciare il principio di diritto sulla base della norma che potrà risultare dalla pronuncia di illegittimità costituzionale e che sarà, in ogni caso, “altro” rispetto ad essa. È in tal modo che si realizza l’interesse generale dell’ordinamento alla legalità costituzionale attraverso l’incontro ed il dialogo di due giurisdizioni che concorrono sempre – e ancor più in questo caso – alla definizione del diritto oggettivo. Ed è un dialogo che si rivela particolarmente proficuo, specie laddove sia in gioco l’estensione della tutela di un diritto fondamentale». Per un’attenta ricostruzione della vicenda cfr. A. Rauti, Il diritto di avere doveri. Riflessioni sul servizio civile degli stranieri a partire dalla sent. cost. n. 119/2015, cit. A chiusura del “dialogo”, si può leggere la decisione Cass., s.u., sentenza 20 aprile 2015, n. 7959, ove si afferma che «ai fini dell’accesso al servizio civile nazionale, non può richiedersi una particolare intensità del vincolo tra stranieri regolari e comunità di accoglienza, del tipo di quella derivante dal possesso di un determinato tipo di permesso di soggiorno o dalla durata della residenza in Italia». 246 Valeria Marcenò Lo straniero e il pubblico… tale della costituzionalità» (Corte d’Appello di Firenze, sentenza 11 gennaio 2013, n. 65). In effetti, la Corte costituzionale così si esprime in chiusura della sua pronuncia. Una lettura più attenta della decisione, che non si limiti alla sua parte conclusiva e alla forma del dispositivo, consente però di trarne considerazioni rilevanti sul tema dell’accesso dello straniero all’impiego pubblico. L’inammissibilità della questione discende non dal fatto che il giudice rimettente non ha tentato una interpretazione della disposizione censurata conforme a Costituzione, ma dal fatto che, dopo aver argomentato una possibile interpretazione conforme, si è limitato a menzionare l’esistenza, nel panorama giurisprudenziale, di una tesi contraria. Così si esprime la Corte: «[…] è lo stesso giudice a quo […] a ritenere che il testo della disposizione impugnata non precluda, in sé, l’accesso ai posti pubblici da parte di cittadini extracomunitari»; ed è sempre il giudice rimettente «a dare espressamente atto di come tale conclusione derivi da una lettura della disposizione “coerente con la recente giurisprudenza” effettuata dal Tribunale di cui egli fa parte, così riconoscendo, ex ore suo, non soltanto la praticabilità in via teorica di una interpretazione della norma secundum constitutionem, ma, addirittura, la già intervenuta concreta applicazione della norma medesima in precedenti identiche occasioni in adesione a siffatta opzione ermeneutica da parte di tale organo giurisdizionale». Una interpretazione conforme della disposizione nel senso dell’estensione dell’accesso all’impiego presso le pubbliche amministrazioni anche ai cittadini stranieri è dunque non solo possibile, ma già applicata. Tuttavia, il giudice rimettente non dà seguito a questa possibile interpretazione nel giudizio in corso, ma al fine di sollevare la questione – e, probabilmente, chiedere alla Corte di porre fine a un contrasto giurisprudenziale esistente – richiama l’esistenza dell’interpretazione restrittiva della norma censurata «in evidente contrasto con gli evocati parametri costituzionali» (artt. 4 e 51 Cost.). Ma, tale interpretazione restrittiva, afferma la Corte, non è né fatta propria dal giudice rimettente (il quale, infatti, oltre a manifestare una propria diversa interpretazione, non mostra alcun «convincimento adesivo»), né può configurarsi quale diritto vivente (non potendo certo bastare, a tali fini, «la semplice e neutra citazione di una (a quanto consta, allo stato isolata) pronuncia della Corte di cassazione36»). Così come si deve evitare una lettura che rimanga alla superficie delle parole adottate, allo stesso modo deve essere evitata una lettura cha attribuisca significati “sovrabbondanti” rispetto alle parole adottate. La Corte costituzionale non ha certo affermato a chiare lettere il principio di parità di accesso al pubblico impiego dei cittadini italiani, europei ed extracomunitari. Ma ha riconosciuto la possibilità di trarre dalla disposizione censurata un significato estensivo, conforme alla Costituzione, invitando il giudice rimettente a darvi seguito – come, del resto, parte della giurisprudenza comune già fa37. 36 Il riferimento è alla già citata sentenza della Corte di cassazione, 13 novembre 2006, n. 24170. 37 Così tacitamente invitando i giudici a «forza[re] il testo della legge, facendogli dire ciò che sicuramente esclude»: «se il testo della legge in modo inequivocabile esclude dai posti pubblici i cittadini non appartenenti all’Unione europea, la Corte avrebbe dovuto respingere, perché inesatto, l’orientamento della giurisprudenza di merito, e poi stabilire se l’esclusione di quella categoria di lavoratori è o meno conforme ai parametri costituzionali» (E. Lamarque, Corte costituzionale e giudici nell’Italia repubblicana, Roma-Bari 2012, 122 – 123). 247 Interventi  Parte II 5. Il concetto di cittadinanza nella giurisprudenza. Le problematiche connesse allo straniero disabile e all’accesso dello straniero al servizio civile certamente non coincidono con quella del suo accesso al pubblico impiego, ma altrettanto certamente la incrociano. Ciò che sembra accomunare le diverse decisioni costituzionali in materia di disabilità e di servizio civile – e su cui sembrano affondare le radici di un’apertura del lavoro pubblico allo straniero regolarmente soggiornante – è il concetto di comunità introdotto dalla Corte: come si legge nella sentenza n. 172 del 1999, una «comunità di diritti e di doveri, più ampia e comprensiva di quella fondata sul criterio della cittadinanza in senso stretto». Accanto all’idea tradizionale (in quanto legata alla lettera della Costituzione) di cittadinanza la Corte erge (traendola dallo spirito della Costituzione) un’idea di cittadinanza più ampia, che include ma non si esaurisce nei cittadini italiani (o europei). Il concetto di cittadinanza38, «elemento attorno al quale si definisce l’intero impianto costituzionale dei diritti e dei poteri»39, non è più solo sinonimo di “appartenenza”, di quel rapporto che lega l’individuo all’ordine politico e sociale identitariamente e storicamente determinato e che si pone, dunque, come quel necessario prius rispetto al godimento di diritti e di doveri. Il concetto di cittadinanza è, prima ancora che appartenenza, “partecipazione”: si appartiene alla comunità non perché si è cittadini (in senso stretto), ma perché si è partecipi della comunità in cui si chiede di essere inseriti, perché ci si pone, nei confronti della comunità, come soggetti attivi40: in questo senso la Corte parla di comunità in cui «si ricevono diritti e restituiscono doveri». La contrapposizione tra le due concezioni è radicale ed evidente. La cittadinanza come appartenenza esprime una concezione necessariamente escludente: distinguendo, e dunque escludendo, chi cittadino non è, opera come un limite, un confine tra chi è dentro e chi è fuori. La cittadinanza come partecipazione, al contrario, è necessariamente includente: 38 La definizione del concetto di cittadinanza e le sue diverse ricostruzioni teoriche, storiche, dottrinali sono temi che meritano ben più ampia attenzione delle poche righe qui scritte. Ciò che in questa sede preme mettere in evidenza è, però, il superamento, da parte della Corte costituzionale e di parte della giurisprudenza comune, della concezione tradizionale di cittadinanza e l’introduzione di quella nuova, perno quest’ultima dell’argomentazione a favore della legittimità costituzionale dell’accesso dei cittadini stranieri all’impiego pubblico. Sul tema della cittadinanza connessa alla condizione dello straniero, cfr. almeno C. Panzera, A. Rauti, C. Salazar e A. Spadaro, Metamorfosi della cittadinanza e diritti degli stranieri, cit.; F. Biondi Dal Monte, Dai diritti sociali alla cittadinanza. La condizione giuridica dello straniero tra ordinamento italiano e prospettive sovranazionali, Torino 2013; Aa. Vv., Lo statuto costituzionale del non cittadino, Napoli 2010. 39 Cfr. G. Azzariti, Contro il revisionismo costituzionale, Roma-Bari 2016, 116. 40 Cfr. G. Azzariti, Contro il revisionismo costituzionale, cit., 104 ss.; P. Carrozza, Diritti degli stranieri e politiche regionali e locali, in Metamorfosi della cittadinanza e diritti degli stranieri (a cura di C. Panzera, A. Rauti, C. Salazar e A. Spadaro), cit., 67 (il quale parla di cittadinanza come «condivisione di uno status di diritti e di doveri»; «non un legame originario, una discendenza, e neppure una mera dichiarazione di volontà-appartenenza, bensì la condivisione volontaria di un comune status di diritti, di cui le libertà civili, i diritti di partecipazione politica e i diritti sociali sono necessariamente parte, indissolubilmente gli uni con gli altri»); S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Bari-Roma 2014, passim. 248 Valeria Marcenò Lo straniero e il pubblico… spetta a chiunque, a prescindere dalle proprie condizioni personali (nei nostri discorsi, a prescindere dalla disabilità o dalla stranierità), partecipare alla vita della comunità e concorrere, con il proprio lavoro, la propria attività, la propria funzione, al suo progresso. Alla prima concezione si è certamente ispirata quella parte della giurisprudenza comune che ha posto l’accento sul dato testuale e sulla natura speciale dell’impiego pubblico per giustificare la legittimità della esclusione del cittadino straniero dall’accesso al pubblico impiego; alla seconda, invece, quella parte della giurisprudenza che ha denunciato (richiamandosi particolarmente al criterio dell’interpretazione adeguatrice) l’illegittimità della discriminazione a scapito del lavoratore straniero. Sulla scia di questo “nuovo concetto di cittadinanza”, l’art. 51 Cost. (accesso dei cittadini agli uffici pubblici) potrebbe allora essere inteso alla stessa maniera dell’art. 52 Cost. (difesa della Patria): come una norma di garanzia, la cui portata normativa è, «palesemente, quella di stabilire in positivo, non già di circoscrivere in negativo i limiti soggettivi del dovere costituzionale» (Corte cost. sentenza n. 172 del 1999, punto 2.1 del Considerato in diritto). Il silenzio della norma costituzionale non comporta di per sé il divieto di inclusione. Il silenzio, al contrario, è riempito da una parola, attorno alla quale le decisioni costituzionali e di merito che aprono allo straniero convergono: partecipazione, come l’altra faccia della cittadinanza. 6. Il volto costituzionale della partecipazione. La ricostruzione qui delineata in materia di stranieri e accesso all’impiego pubblico ha permesso di registrare una forte discrasia: la giurisprudenza, costituzionale e ordinaria, rivela una generale tendenza a ridurre la distanza tra i lavoratori cittadini (italiani ed europei) e i lavoratori stranieri, avvalendosi della nozione di cittadinanza “partecipata”; la legislazione mostra maggiori resistenze, leggendo le disposizioni costituzionali alla luce delle ragioni di ordine pubblico e sicurezza41; la pubblica amministrazione, viste le numerose procedure bandite con la clausola di riserva, manifesta una chiusura42, dando per dominante una nozione di cittadinanza “amministrativa”, collegata al modello insterilito dell’appartenenza43. La strada per il riconoscimento del diritto al lavoro dello straniero, allo stesso modo del cittadino, è comunque ormai aperta e avviata. Perché il processo di equiparazione si concluda, però, non bastano le decisioni dei giudici, per necessità rapsodiche e occasionali. 41 Ancorché la Corte costituzionale abbia affermato che il controllo dei flussi migratori e la disciplina dell’in- gresso e della permanenza degli stranieri nel territorio nazionale rappresenta «un grave problema sociale, umanitario ed economico che implica valutazioni di politica legislativa non riconducibili a mere esigenze generali di ordine e sicurezza pubblica né sovrapponibili o assimilabili a problematiche diverse, legate alla pericolosità di alcuni soggetti e di alcuni comportamenti che nulla hanno a che fare con il fenomeno dell’immigrazione». Così Corte cost., sentenza n. 22 del 2007, punto 7.2 del Considerato in diritto. 42 O comunque si presenta «rigida, inefficiente e poco propensa a lottare contro le diseguaglianze», secondo la qualificazione datane da S. Allievi e G. Dalla Zuanna, Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione, Roma-Bari 2016, 146. 43 Cfr. G. Azzariti, Contro il revisionismo costituzionale, cit., 120. 249 Interventi  Parte II Come si è detto nelle prime parti di questo scritto, il carattere dignitario attribuisce al lavoro quella accezione di contributo alla costruzione della comunità che rende sfumati i confini tra diritto e dovere: concorrere, con il proprio lavoro (qualunque forma assuma), al progredire materiale e spirituale della vita sociale è un diritto – nella misura in cui permette lo sviluppo della persona umana – e, allo stesso tempo, un dovere – nella misura in cui permette l’arricchimento della comunità. Il valore “costituzionale” della partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese non può però essere rimesso al singolo individuo o, quando questi ne lamenti la lesione, all’autorità giudiziaria. La partecipazione – la c.d. cittadinanza “attiva” – è una politica sociale che deve essere costruita anche (e soprattutto) normativamente: presuppone un intervento di regolamentazione e di controllo e il rifiuto di un atteggiamento di disimpegno ovvero di semplice rinvio al privato da parte delle istituzioni pubbliche44. È necessaria la “posizione”: è necessario che il legislatore scelga quale politica attuare, quale “posizione” assumere, non potendo rimettere tale scelta alla decisione caso per caso della giurisprudenza45 46. La ancora in corso crisi economica europea e le ondate terroristiche hanno certamente, in qualche modo, alimentato interventi legislativi rafforzati sull’asse della sicurezza e della discriminazione, e letture riduttive delle disposizioni costituzionali in chiave non di inclusione, bensì di esclusione47. I ciclici dibattiti sulla nozione di cittadinanza e le varie proposte avanzate sono, in fondo, una testimonianza della dialettica tra atteggiamenti di chiusura, che vedono lo straniero come una minaccia dell’ordine statale stabilito – e dunque si appellano a un’idea ristretta di cittadinanza -, e atteggiamenti di apertura, che intendono lo straniero come una risorsa del sistema – e dunque si appellano a un’idea ampia di cittadinanza. Per evitare un “ritorno alle società chiuse”, dominate da paura, necessità ed esigenze 44 Cfr. A. Apostoli, Il consolidamento della democrazia attraverso la promozione della solidarietà sociale all’interno della comunità, cit., 25. 45 «Queste norme [le disposizioni costituzionali], oggi, sembrano dimenticate, o meglio, è come se non fossero scritte; ma sono lì, e assicurano diritti, diritti costituzionali fondamentali; non si tratta di spirito di fratellanza, di generosa sollecitudine nei confronti dei fratelli bisognosi, si tratta di un preciso dovere dello Stato: si tratta di diritti non di elargizioni caritative». Così L. Carlassare, Solidarietà: un progetto politico, cit., 57. 46 «Non va infatti dimenticato che il fattore forse più determinante del modo in cui si è costruito il meccanismo universale del Welfare State riguarda il legame indissolubile che associa la protezione sociale e la prevenzione delle insicurezze della vita a un programma politico generale di riduzione delle disuguaglianze. Questa correlazione denuncia in modo evidente la non possibilità per gli organi di indirizzo di sottrarsi all’adempimento dei doveri di solidarietà, direttamente ovvero nella forma della loro previsione ed incentivazione». Così A. Apostoli, Il consolidamento della democrazia attraverso la promozione della solidarietà sociale all’interno della comunità, cit., 20, nt. 44. 47 Anche se studi ancora recenti continuano a sfatare il ritornello delle conseguenze dell’invadenza degli stranieri in economia, per cui ruberebbero il lavoro agli italiani, drenerebbero le risorse di welfare e avrebbero contribuito alla stagnazione che affligge da anni il nostro paese. Cfr., da ultimo, S. Allievi e G. Dalla Zuanna, Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione, cit., 26, i quali dimostrano con dati come «alti tassi di immigrazione possono convivere con alti tassi di sviluppo» e avvertono che «il problema, semmai, sarà quello di coinvolgere gli immigrati nel processo di modernizzazione del sistema sociale ed economico del paese. Perché sono proprio loro le prime vittime dello scarso valore che hanno in Italia la concorrenza e il merito, privi come sono di protezioni politiche e di supporto familiare». 250 Valeria Marcenò Lo straniero e il pubblico… di sicurezza, – o, peggio, la disgregazione cui naturalmente portano le differenze -, è necessario dare seguito a strumenti di coesione sociale48: attraverso il riconoscimento di maggiori diritti ai non cittadini, ma anche attraverso l’attribuzione a questi ultimi, una volta regolarmente soggiornanti sul territorio, della possibilità di diventare soggetti attivi di partecipazione nella comunità cui chiedono di appartenere49. È necessario cercare di raggiungere una misura minima di omogeneità sociale, non nel senso della omologazione50, ma nel senso della minima partecipazione attiva alla vita sociale. L’accesso al lavoro, non solo privato ma anche pubblico, è uno dei mezzi più importanti per realizzare tale obiettivo, in quanto fattore di legittimazione e chiave di inserimento nel paese in cui lo straniero si sposta. Il fatto che sia un diritto “condizionato” dal contesto economico non consente che siano accettate politiche e scelte delle pubbliche amministrazioni volte a riservare le scarse risorse disponibili al cittadino (italiano ed europeo) e dare pertanto a loro precedenza nel soddisfacimento del diritto: ciò vorrebbe dire essere di fronte, come è stato detto, «a una decostituzionalizzazione accompagnata da una ricostituzionalizzazione in termini economici»51. Dalla Costituzione, al contrario, se si vuole valorizzazione il duplice significato dell’accesso al lavoro, discende l’esistenza di un interesse pubblico alla promozione della occupazione, un’occupazione che consenta il pieno inserimento dell’individuo in un flusso 48 Cfr. Q. Camerlengo, La dimensione costituzionale della coesione sociale, in Rivista AIC 2, 2015. 49 Suggerisce la necessità, ai fini della integrazione, di ripensare il modello di cittadinanza, F. Macioce, Il nuovo noi. La migrazione e l’integrazione come problemi di giustizia, cit., 159 e 179 - 189: «Il modello ascrittivo della cittadinanza, secondo il quale essa è l’instaurazione di un rapporto verticale tra lo Stato e il singolo (rapporto positivo, con il cittadino, o negativo, con lo straniero), è infatti del tutto inadeguato a garantire l’integrazione sociale, che per contro non può essere in nessun modo ridotta al rapporto che i singoli hanno con lo Stato, essendo invece relativa all’insieme dei rapporti che gli individui hanno fra loro»; «[…] il legame sociale è costituito dai cittadini, da coloro che si vincolano ad una comunità per garantire, in essa, la propria libertà e autonomia. Ma se è così, se gli individui-cittadini costituiscono il legame sociale, se insomma non è la comunità sociale a fare dei cittadini quello che sono […] ma al contrario i cittadini costituiscono la comunità per quel che è, non si capisce a quale titolo gli stranieri stabilmente residenti non possano godere di tale status. Se la comunità non preesiste agli individui, anche gli stranieri ne possono rappresentare un elemento costituente, e anche essi necessariamente vi appartengono, o vi dovrebbero appartenere […]». 50 Sembra potersi leggere la distinzione tra omogeneità e omologazione nelle parole con cui G. Calabresi, Il mestiere di giudice. Pensieri di un accademico americano, Bologna 2013, 81 – 83, descrive la difficile coesistenza tra due concetti di eguaglianza, quello formale (di cui al Primo Emendamento, ma anche al primo comma dell’art. 3 della nostra Costituzione) e quello sostanziale (di cui al Tredicesimo, Quattordicesimo e Quindicesimo Emendamento, ratificati dopo la Guerra civile, ma anche al secondo comma del nostro art. 3): nel primo caso «l’uguaglianza […] implica che si possa rimanere tutti diversi e che, stante questa diversità, tutti si abbia la stessa dignità»; nel secondo caso, invece, «la rimozione degli ostacoli che rendono qualcuno diverso dagli altri (e quindi meno eguale) imprime una spinta alla omologazione verso un modello che è quello del gruppo dominante. L’uguaglianza [del primo caso] è quella a cui si aspira, l’ambizione ultima […]. L’uguaglianza [del secondo caso] interviene per quelle categorie di cittadini che sarebbero meno uguali degli altri e che devono essere aiutate ad assimilarsi, il che, però, significa che esiste un modello di soggetto o di comunità dominante a cui gli altri devono gradualmente tendere. Il [primo] incarna l’uguaglianza nella varietà, nella differenza; [il secondo] rappresent[a] l’uguaglianza dell’assimilazione». 51 Cfr. S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, cit., 78. 251 Interventi  Parte II di relazioni sociali: pieno inserimento che allude sì al cittadino, ma a un’idea di cittadino che va oltre i confini stretti della nazionalità. L’accesso dello straniero regolarmente soggiornante al pubblico impiego non pretende di risolvere i problemi di occupazione, tanto meno i problemi di integrazione degli stranieri. Ma, può essere una via attraverso cui, nel solco delle disposizioni costituzionali, rendere palese un atteggiamento di apertura da parte dello Stato e accentuare la non riducibilità dello stato sociale a una connotazione assistenziale, ove gli individui, titolari di diritti, ne “attendono”, quali soggetti passivi, il riconoscimento e la concretizzazione. 252 POLITICHE DI INCLUSIONE ED AMMINISTRAZIONE CONSENSUALE. IL CASO DELL’ACCORDO DI INTEGRAZIONE (ART. 4 BIS DEL D.LGS. N. 286/1998) ~ Francesco Martines ~ 1. PREMESSE • 2. STRUTTURA E FUNZIONE DELL’ISTITUTO “ACCORDO DI INTEGRAZIONE” • 3. LA NATURA GIURIDICA DELL’ACCORDO DI INTEGRAZIONE • 4. DUBBI DI COSTITUZIONALITÀ DELLE NORME SULL’ACCORDO DI INTEGRAZIONE • 5. UN POSSIBILE FUTURO DELL’ACCORDO DI INTEGRAZIONE QUALE STRUMENTO DI INCLUSIONE. 1. Premesse. Il fenomeno migratorio in atto costituisce l’occasione per configurare un modo innovativo di concepire l’azione amministrativa, ponendo gli apparati burocratici di fronte a nuove sfide: non solo quella, più genericamente culturale, di concepire il ruolo del funzionario nel segno dell’accoglienza, della comprensione e della competenza professionale in ordine alla valutazione e soluzione di problemi ed esigenze particolari di un’utenza debole di fronte alle complessità della macchina burocratica, ma anche quella, più strettamente tecnica, di rimodulare ed innovare istituti giuridici già sperimentati ovvero di trovarne di nuovi. Il riferimento, in particolare, è rivolto al tema della c.d. amministrazione consensuale (o amministrazione per accordi), intendendo con questa formula onnicomprensiva l’insieme degli strumenti di amministrazione attiva che trovano il proprio punto di sintesi nell’incontro delle volontà che si fronteggiano nel rapporto autorità/soggetto privato1. Uno degli ambiti in cui questa analisi può trovare un interessante svolgimento è proprio quello delle politiche di inclusione (rectius, di integrazione) che tutti gli Stati eurounitari sono chiamati a mettere in atto di fronte al fenomeno migratorio in continua espansione2. 1 F. Trimarchi Banfi, L’accordo come forma dell’azione amministrativa, in Politica del diritto, 1993, 237 ss.; R. Ferrara, Intese, convenzioni e accordi amministrativi, in Dig. pubbl., Torino, 1993, VIII, 543 ss; F. Ledda, Dell’autorità e del consenso nel diritto dell’amministrazione pubblica, in Foro amm., 1997, 1283 ss.; F.G. Scoca, Autorità e consenso, in Dir. amm., 2002, 431 ss.; F. Fracchia, L’accordo sostitutivo. Studio sul consenso disciplinato dal diritto amministrativo in funzione sostitutiva rispetto agli strumenti unilaterali di esercizio del potere, Padova, 1998; F. Cangelli, Potere discrezionale e fattispecie consensuali, Milano, 2004; M. Renna, Il regime delle obbligazioni nascenti dall’accordo amministrativo, in Dir. amm. 1, 2010, 27 ss.; F. Tigano, Gli accordi procedimentali, Torino 2003. 2 Sul tema dei modelli di integrazione diffusi in Italia ed in Europa, C. Di Martino, La convivenza tra culture, in I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee (a cura di M. Cartabia), 253 Interventi  Parte II In Italia, con l. n. 94/2009 (c.d. Pacchetto Sicurezza) è stato introdotto nel T.U. Immigrazione (d.lgs. n. 286/1998) un nuovo strumento per regolare il rilascio del permesso di soggiorno ai migranti al momento del loro ingresso nel territorio nazionale; si tratta del c.d. “accordo di integrazione” disciplinato dall’art. 4 bis del citato testo unico ribattezzato dai mezzi di informazione come “permesso di soggiorno a punti”. Lo strumento (precipuamente rivolto a regolare l’ingresso nel territorio nazionale di chi ne fa richiesta), per vero, si collocava in un più ampio complesso di disposizioni (contenuto nel citato Pacchetto Sicurezza) destinate ad arginare il fenomeno dell’immigrazione irregolare (fra di esse, per esempio, vi erano le norme sui respingimenti alla frontiera o quelle sulle c.d. ronde operate da associazioni di cittadini all’uopo autorizzati da sindaci e prefetti). L’accordo di integrazione ha lo scopo di favorire l’inclusione del migrante nella comunità territoriale attraverso un impegno, assunto dal richiedente il permesso di soggiorno, a conoscere e rispettare la legge ed i valori fondamentali nonché ad apprendere la lingua italiana. L’obiettivo finale, dunque, è quello di favorire una immigrazione “di qualità”. Ai sensi dell’art. 4 bis d.lgs. n. 286/1998 lo straniero deve sottoscrivere «(…) contestualmente alla presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 5, un accordo di integrazione, articolato per crediti, con l’impegno a sottoscrivere specifici obiettivi di integrazione, da conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno. La stipula dell’accordo di integrazione rappresenta condizione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno. La perdita integrale dei crediti determina la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato». Per l’attuazione della disciplina sull’accordo di integrazione, l’art. 4 bis rinvia espressamente ad un regolamento governativo che è stato adottato con d.P.R. n. 179/2011 entrato in vigore il 10 marzo 20123. Bologna 2007; F. Merusi, L’integrazione fra legalità comunitaria e legittimità amministrativa nazionale, in Dir. amm., 2009, 50 ss.; C.E. Gallo, La pluralità delle cittadinanze e la cittadinanza amministrativa, in Dir. amm., 2002, 487 ss.; R. Cavallo Perin, La cittadinanza amministrativa, in Dir. amm., 2004, 201 ss.; L. Panella, La cittadinanza e le cittadinanze nel diritto internazionale, Napoli 2009; G. Moschella, La parabola dei diritti umani nella legislazione italiana sull’immigrazione, in Immigrazione e diritti fondamentali: fra Costituzioni nazionali, Unione Europea e diritto internazionale (a cura di S. Gambino, G. D’Ignazio), Milano 2010, 481 ss.; F. Astone, F. Manganaro, A. Romano Tassone, F. Saitta, (a cura di), Cittadinanza inclusiva e flussi migratori, Soveria Mannelli (CZ), 2009; F. Astone, Immigrazione e diritti fondamentali: aspetti problematici della effettività della tutela giurisdizionale, in Immigrazione e condizione giuridica dello straniero (a cura di G. Moschella, L. Buscema), Pisa, 2016, 143 ss; G. Tropea, Homo sacer? Considerazioni perplesse sulla tutela processuale del migrante, in Dir. amm., 2008, 839 ss.; A. Ruggeri, I diritti dei non cittadini tra modello costituzionale e politiche nazionali, in Metamorfosi della cittadinanza e diritti degli stranieri (a cura di Panzera C., Rauti A., Salazar C., Spadaro A.), Napoli, 2016. 3 Sulla disciplina dell’accordo d’integrazione: A. Giuffrida, L’accordo di integrazione: ricostruzione dogmatica e profili di (dubbia) costituzionalità, in www.giustamm.it, 11, 2016; R. Miele, L’accordo di integrazione Stato/immigrati, in Gli Stranieri, 9, 2004, 466 ss.; P. Morozzo della Rocca, Entra in vigore l’accordo (stonato) di integrazione, ivi, 3, 2011, 7 ss.; M.C. Locchi, L’accordo di integrazione tra lo Stato e lo straniero (art. 4 bis T.U. sull’immigrazione n. 286/1998), alla luce dell’analisi comparata e della critica al modello europeo di “integrazione forzata”, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 1/2012; V. Carbone, M. Russo Spena, L’accordo di integrazione: un “patto” che va sfumando, in Osservatorio romano sulle migrazioni. Undicesimo Rapporto, vol. 1, Roma, 2016, 89 ss. 254 Francesco Martines Politiche di inclusione ed amministrazione… La disciplina, infine, è stata parzialmente modificata (peraltro senza significativi interventi sulla struttura dello strumento consensuale) dal d.lgs. n. 40/2014 per adeguare la normativa interna alle disposizioni della Dir. 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro. Nelle pagine che seguono si formuleranno alcune considerazioni intorno alle peculiarità dello strumento consensuale in esame rispetto al modello dell’accordo ex art. 11 l. n. 241/1990 e dell’amministrazione consensuale in genere. 2. Struttura e funzione dell’istituto ‘‘accordo di integrazione’’. Ai sensi dell’art. 4 bis del d.lgs. n. 286/1998 e dell’art. 2 del d.P.R. n. 179/2011, lo straniero di età superiore ai sedici anni che fa ingresso per la prima volta nel territorio nazionale e presenta istanza di rilascio del permesso di soggiorno stipula con lo Stato un accordo di integrazione articolato per crediti. All’atto della sottoscrizione vengono assegnati allo straniero sedici crediti corrispondenti al livello “A1” di conoscenza della lingua italiana parlata ed al livello sufficiente di conoscenza della cultura civica e della vita civile in Italia. L’accordo ha durata biennale e, al momento del rinnovo del permesso di soggiorno, lo straniero dichiara sotto la propria responsabilità l’assenza di violazioni di norme civili, penali, amministrative e tributarie, e deve documentare l’avvenuto superamento di un corso che attesti il raggiungimento di un livello adeguato di integrazione nonché la partecipazione alla vita economica e sociale della comunità nazionale e locale di riferimento. Il d.P.R. n. 179/2011 reca i contenuti essenziali dell’accordo di integrazione, ne disciplina l’ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione, l’articolazione dei crediti, i casi di proroga e sospensione, le modalità e gli esiti delle verifiche; viene inoltre ribadito il principio secondo cui la sottoscrizione dell’accordo costituisce requisito essenziale per il rilascio del permesso di soggiorno. L’obiettivo dell’accordo, come anticipato, consiste nel conseguimento dell’integrazione dello straniero attraverso l’effettivo svolgimento di iniziative di inclusione, la convivenza fra cittadini e stranieri ispirata al rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione ed il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della comunità; queste sono le parole che vengono utilizzate dal legislatore del 2009 al comma primo dell’art. 4 bis. In queste parole si coglie con significativa incisività il riferimento ad un modo nuovo di intendere l’integrazione dello straniero ossia come un processo di reciprocità per cui non solo chi accoglie deve farsi carico di sostenere l’onere dell’accoglienza ma anche il destinatario deve ricambiare con impegno il beneficio ricevuto. La sottoscrizione dell’accordo di integrazione impone all’immigrato la partecipazione attiva al proprio percorso di inclusione e la relativa responsabilizzazione. La vocazione peculiare di tale approccio, ancor prima dell’introduzione dello strumento dell’accordo, era stata anticipata dalla introduzione della Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione, approvata con decreto del Ministero dell’Interno del 23 aprile 2007. La Carta pone lo 255 Interventi  Parte II straniero richiedente il permesso di soggiorno in una posizione per così dire “attiva”, nel senso che egli è chiamato ad assumere la consapevolezza piena dei diritti fondamentali di cui gode nel nostro Paese4. Traendo spunto dai principi e dai valori espressi dalla Costituzione e da altre Carte europee ed internazionali di tutela dei diritti umani, la Carta dei valori enuclea «i principi ispiratori dell’ordinamento e della società italiana nell’accoglienza e regolazione del fenomeno migratorio in un quadro di pluralismo culturale e religioso» attraverso un articolato distribuito in sette sezioni che richiamano significativi valori e diritti fondamentali (la dignità della persona, i diritti sociali, i diritti della famiglia, la laicità e la libertà religiosa, gli impegni internazionali dell’Italia contro la guerra e il terrorismo). Sebbene, sotto un profilo squisitamente giuridico, la Carta sia stata concepita come un documento programmatico non vincolante, deve riconoscersi al suo pregnante contenuto ed al dibattito politico che su di esso è scaturito una valenza particolarmente significativa nell’individuazione della nuova concezione di integrazione: la Carta, infatti, introduce un nuovo modello di integrazione teso a fondare le relazioni sociali tra i cittadini italiani e i migranti attorno ai valori ed alla cultura di cui la Costituzione italiana e la Carta medesima sono espressione5. In questo quadro, l’accordo di integrazione rappresenta un ulteriore passo avanti poiché promuove le linee guida ministeriali (sancite dalla Carta) riconducendole al contenuto di un “patto” che lo straniero richiedente il permesso di soggiorno è chiamato a sottoscrivere con lo Stato di accoglienza. Con la disciplina in tema di accordo di integrazione, dunque, si porta a compimento il processo di maturazione del nuovo concetto di integrazione che poggia le basi sull’idea che il superamento di corsi di lingua e cultura civica costituisca condizione necessaria per l’ottenimento del permesso di soggiorno e per l’accesso alle prestazioni sociali. È evidente che questo modo di concepire le politiche d’inclusione esponga al rischio che taluni diritti e libertà fondamentali (rispetto alle quali si auspica la partecipazione attiva del migrante) possano – a seconda di contingenti esigenze e di specifici orientamenti politici e di pensiero – essere interpretati alla stregua di diritti e libertà “condizionati” dalla stretta osservanza del migrante agli impegni assunti con l’accordo. Tale rischio deve essere evitato attraverso una lucida e prudente interpretazione ed applicazione da parte delle amministrazioni pubbliche (le prefetture e le questure in primis) della disciplina in esame. 4 S. Ferrari, La Carta dei valori, della cittadinanza e dell’integrazione, in Fondazione ISMU, Iniziative e studi sulla multietnicità. Tredicesimo rapporto sulle migrazioni, Milano 2007; A. Bordi, La costituzione italiana informa i principi della Carta dei valori, in Amm. civ., 8-9, 2007, 32 ss.; N. Colaianni, Una “Carta” post-costituzionale?, in Stato, Chiese e pluralismo interculturale, 4, 2007; C. Cardia, Carta dei valori e multiculturalità alla prova della Costituzione, ivi, 12, 2008. 5 Merita di essere segnalata, quale applicazione di tale nuovo concetto di integrazione che vede lo straniero parte “attiva”, la recente pronuncia della Cass. pen., 15 maggio 2017, n. 24084, con la quale i Giudici hanno affermato che gli immigrati che hanno scelto di vivere nel mondo occidentale hanno “l’obbligo” di conformarsi ai valori della società nella quale hanno deciso “di stabilirsi” ben sapendo che “non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante”. 256 Francesco Martines Politiche di inclusione ed amministrazione… In tale direzione un valido supporto per le amministrazioni avrebbe dovuto essere costituito da uno strumento di soft law di pregnante significato denominato Piano per l’integrazione nella sicurezza, documento governativo programmatico adottato nella sua prima versione il 10 giugno 2010, avente lo scopo di coniugare i valori di accoglienza e sicurezza. Nell’ottica dell’Esecutivo il Piano si poneva quale guida per l’applicazione dello strumento operativo dell’accordo di integrazione ispirandosi ad un “modello italiano di accoglienza” le cui parole chiave sono “identità, incontro ed educazione”6. Emerge con chiarezza dalle indicazioni programmatiche che il modello di integrazione proposto nel Piano ed attuato attraverso lo strumento dell’accordo di integrazione debba puntare alla valorizzazione del principio di responsabilità da estendersi ai migranti richiedenti il permesso di soggiorno; in linea con la Carta dei valori del 2007, il Piano 2010 afferma che il processo d’integrazione, pur ispirato all’accoglienza e alla tutela dei diritti fondamentali dei migranti, non può «permettere che le diverse tradizioni e culture di provenienza entrino in collisione con il nostro assetto valoriale” fondato su “il rispetto della vita, la centralità della persona, la capacità del dono, il valore della famiglia, del lavoro e della comunità: questi sono i pilastri della nostra civiltà, traendo origine e linfa vitale direttamente da quella apertura verso l’altro e verso l’oltre che ci caratterizza». L’orientamento del Governo di procedere alla disciplina concreta del modello di integrazione attraverso atti amministrativi di natura programmatica è confermato anche negli anni più recenti: da ultimo, il 26 settembre 2017, il Ministero dell’Interno ha approvato il Piano nazionale d’integrazione dei titolari di protezione internazionale che, ancorché nominalmente destinato a questa particolare categoria di migranti (i titolari di protezione internazionale), per espressa previsione inserita nel Piano, deve ritenersi «un primo passo verso un sistema integrato ed inclusivo di tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti». I contenuti del Piano del 2017 esprimono chiaramente l’interesse principale verso un’integrazione inclusiva che, oltre ad assegnare un ruolo di promozione del dialogo interculturale a una rete di istituzioni (enti locali, scuole di ogni ordine e grado, aziende sanitarie) e di soggetti privati impegnati nel c.d. Terzo Settore, riconosce proprio in capo al beneficiario dell’accoglienza un impegno responsabile cui sono connessi dei veri e propri doveri, quali quello della formazione linguistica e della partecipazione alle iniziative poste in campo dalle istituzioni per agevolare processi di partecipazione attiva alla vita pubblica e di impegno sociale, affinché possa rafforzarsi nei titolari di protezione (ed in genere nei regolarmente soggiornanti) un reale «senso di appartenenza all’Italia contribuendo in maniera attiva al benessere collettivo della società ospitante mettendo a disposizione il proprio tempo, le proprie competenze e il proprio saper fare». Il Piano 2017 individua espressamente nell’accordo di integrazione ex art. 4 bis del T.U. Immigrazione, lo strumento operativo attraverso il quale gli obiettivi di piena e consapevole integrazione possono essere conseguiti; appare, dunque, confermata la linea d’indirizzo governativo che nell’istituto di matrice consensuale riconosce la via preferenziale per il rico6 Per un commento al Piano per l’integrazione del 2010, E. Gargiulo, Dall’inclusione programmata alla selezione degli immigrati: le visioni dell’integrazione nei documenti di programmazione del governo italiano, in Polis 2, 2014, 221 ss. 257 Interventi  Parte II noscimento (e mantenimento) dello status di straniero regolarmente soggiornante in Italia. L’integrazione promossa attraverso l’accordo di integrazione è caratterizzata dall’elemento della progressività, nel senso che attraverso l’articolazione dell’accordo per crediti lo straniero è tenuto a svolgere un percorso obbligatorio volto al conseguimento di obiettivi minimi di conoscenza del contesto nazionale e locale. Pur condividendo le finalità che hanno determinato il ricorso allo strumento consensuale, occorre sottolineare come vi sia un uso dell’accordo che stride con la sua natura (consensuale) propria: invero, lo straniero è obbligato alla sottoscrizione dell’accordo di integrazione così come obbligato ne è il suo contenuto. In altri termini, attraverso il percorso indicato dall’art. 4 bis, i diritti sociali fondamentali dello straniero (quali l’istruzione e la formazione) si tramutano in obblighi a carico del soggetto che richiede il permesso di soggiorno. Il meccanismo dei crediti, che si riducono progressivamente in ragione del mancato raggiungimento degli obiettivi, pare imporre uno sbilanciamento dei ruoli delle parti dell’accordo (lo Stato italiano da un lato e lo straniero dall’altro) a sfavore di quest’ultimo che, indubbiamente, è la parte contraente debole. Se a ciò si aggiunge che la disciplina in esame è accompagnata da una clausola di invarianza finanziaria (comma terzo art. 4 bis), per effetto della quale all’introduzione dell’accordo di integrazione non si è ritenuto di accompagnare un investimento statale per la promozione di programmi di effettiva inclusione ed istruzione, l’impressione è che il processo di integrazione ispirato alla reciprocità rischi di essere soltanto una dichiarazione di principio e non piuttosto una concreta misura di politica inclusiva. 3. La natura giuridica dell’accordo di integrazione. Le considerazioni sopra svolte in ordine alla struttura dell’accordo di integrazione suggeriscono di soffermarsi sulla questione (rilevante non solo dal punto di vista teorico) della corretta individuazione della natura giuridica dello strumento consensuale. Come anticipato, nel processo di formazione dell’accordo di integrazione è pressoché assente la spontaneità nell’incontro delle volontà negoziali (lo straniero è obbligato per legge alla sottoscrizione del “patto”) e, sotto altro profilo, si configura un palese squilibrio fra le posizioni dei soggetti contraenti potendosi individuare il contraente “forte” nell’autorità statale e il contraente “debole” nello straniero obbligato ad accettare le condizioni dell’intesa. Tanto dovrebbe bastare ad escludere la riconducibilità dello strumento negoziale all’ambito dei contratti di matrice privatistica (ancorché si rinvenga traccia di una ricostruzione in questi termini nella circolare congiunta Ministero dell’Interno - Ministero per la Cooperazione e l’Integrazione del 2 marzo 2012, n. 215427). A rendere non percor7 Nella citata circolare, i dicasteri sembrerebbero far discendere la matrice privatistica dal richiamo (svolto nelle premesse) degli analoghi istituti vigenti in altri ordinamenti europei nei quali la suddetta natura è pacificamente riconosciuta. In dottrina, la natura privatistica è affermata da N. Zorzella, L’accordo di integrazione: ultimo colpo di coda di un governo cattivo?, in Dir. imm. citt. 4, 2011, 58 ss.; P. Morozzo della Rocca, Entra in vigore cit. 258 Francesco Martines Politiche di inclusione ed amministrazione… ribile tale impostazione milita la considerazione in ordine alla citata clausola di invarianza finanziaria contenuta nella l. n. 94/2009, che esclude l’inquadramento dell’accordo di integrazione alla stregua di un contratto a prestazioni corrispettive: in forza dell’accordo di integrazione, difatti, lo straniero si impegna a svolgere una serie di adempimenti a fronte dei quali lo Stato non assume specifiche controprestazioni8; inoltre, il contenuto specifico degli impegni che lo straniero assume è predeterminato dalla legge e dall’autorità statale in sede regolamentare. Manca, dunque, nell’accordo di integrazione quel margine, seppur minimo, di autonomia negoziale che ne consenta l’inquadramento fra gli strumenti contrattuali di matrice privatistica. Per contro, il meccanismo sanzionatorio previsto nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di integrazione da parte dello straniero beneficiario dell’accordo (che può condurre fino alla revoca del permesso di soggiorno ed all’espulsione dal territorio dello Stato) potrebbe configurarsi alla stregua di un inadempimento negoziale e, per questa via, far propendere per la ricostruzione in termini privatistici dell’accordo ex art. 4 bis d.lgs. n. 286/1998. Invero, l’inadempimento contrattuale presuppone l’espressione di una libera volontà negoziale successivamente tradita dal comportamento in sede di esecuzione del vincolo pattuito; nel caso dell’accordo di integrazione, si ribadisce, proprio l’elemento della libertà negoziale (in senso proprio) sembra mancare il che, a mio avviso, non consente di riconoscere reali punti di contatto fra la violazione delle “clausole” dell’accordo di integrazione e l’istituto di matrice civilistica dell’inadempimento contrattuale. Occorre, a questo punto, sondare l’ipotesi della riconducibilità dell’accordo di integrazione nella categoria degli accordi procedimentali ex art. 11 l. n. 241/19909. Si potrebbe, infatti, ritenere che l’accordo teso a regolare le modalità di integrazione dello straniero funzionali al conseguimento del permesso di soggiorno sia uno strumento consensuale di natura integrativa, nel senso che, per il tramite di esso, le parti (lo Stato e il richiedente il titolo di soggiorno) raggiungono una intesa in ordine ad alcuni aspetti (in particolare, gli obblighi a carico dello straniero) destinati ad integrare il contenuto del provvedimento ampliativo finale (per l’appunto il permesso di soggiorno). In effetti, il permesso di soggiorno pur non esaurendo il proprio contenuto nelle clausole pattuite nell’accordo di integrazione (circostanza questa che sembrerebbe essere prevalente nell’impostazione della disciplina generale sugli accordi procedimentali integrativi) di esse ne fa espresso richiamo e, di fatto, ad esse àncora la sua stessa efficacia (il mancato rispetto dell’accordo di integrazione determina la decurtazione dei crediti e, in estrema ipotesi, la caducazione del permesso di soggiorno). Anche questa ricostruzione, così come quella tendente ad identificare l’accordo in uno strumento consensuale di matrice privatistica, desta alcune perplessità che, a mio parere, sono difficilmente superabili. 8 Questo aspetto è evidenziato da E. Dal Canto, Commento all’art. 1 comma 25, in Commentario al “Pacchetto Sicurezza”. L. 15 luglio 2009, n. 94 (a cura di G. De Francesco, A. Gargani, D. Manzione, A. Pertici), Torino 2011, 159 ss. 9 Opta per questa ricostruzione A. Giuffrida, L’accordo cit. 259 Interventi  Parte II In primo luogo, la caratteristica propria degli accordi procedimentali ex art. 11 l. n. 241/1990 è la più o meno spiccata componente discrezionale: nel senso che l’amministrazione del potere in via consensuale (ed in particolare, attraverso accordi fra pubblica autorità e soggetto privato) in tanto si può configurare in quanto il provvedimento destinato ad essere integrato nel proprio contenuto (nel caso di accordi integrativi) o ad essere del tutto sostituito (nel caso di accordi sostitutivi) è frutto di una scelta che affida al soggetto pubblico un margine di discrezionalità più o meno ampio. Dall’esame della fattispecie disciplinata dall’art. 4 bis d.lgs. n. 286/1998 emerge una caratteristica che sembra pressoché “azzerare” la componente discrezionale del potere amministrativo esercitato in sede di accordo: come detto, invero, il raggiungimento dell’accordo è condizione necessaria per la definizione del procedimento di rilascio del permesso di soggiorno; il contenuto dell’accordo è predeterminato dalla legge (che ne disciplina dettagliatamente le clausole relative ai percorsi che lo straniero deve seguire, i risultati attesi, la durata, ecc.) e, in via secondaria, da atti amministrativi di regolazione (in particolare, il citato d.P.R. n. 179/2011). Queste considerazioni fanno vacillare non poco la ricostruzione dell’accordo di integrazione ex art. 4 bis in termini di accordo procedimentale integrativo poiché – come detto – la componente discrezionale del potere esercitato dalla pubblica amministrazione è un elemento essenziale della fattispecie disciplinata dall’art. 11 l. n. 241/1990. Con argomentazioni analoghe, l’assenza di piena libertà negoziale in capo alla parte privata (lo straniero) chiamato ad aderire ad un “accordo etero-determinato” costituisce ulteriore argomentazione per far dubitare in ordine alla riconducibilità dello strumento ex art. 4 bis alla categoria degli accordi procedimentali. In effetti, vista dalla prospettiva della parte privata, la disciplina degli accordi procedimentali risponde pienamente all’esigenza di consentire forme di partecipazione avanzata dei privati all’attività procedimentale della pubblica amministrazione fino al punto di offrire loro l’opportunità di contribuire alla definizione del contenuto del futuro provvedimento o, addirittura, a predisporre insieme alla parte pubblica un accordo che si sostituisca al provvedimento. Se così è, l’idea che l’accordo di integrazione (dove il contributo della parte privata è quasi assente) sia una fattispecie di accordo procedimentale appare difficilmente sostenibile. Per contro, non si possono negare gli effetti positivi che, da un punto di vista pratico, avrebbe la ricostruzione della natura giuridica dell’accordo in termini di accordo procedimentale: troverebbe, infatti, pianamente applicazione il regime previsto dall’art. 11 l. n. 241/1990 in base al quale, in quanto compatibili ed ove non diversamente previsto, si applicano i “principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti” (come le regole sull’annullabilità del titolo per vizi del consenso) o, piuttosto, la devoluzione delle controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Se, dunque, entrambe le ricostruzioni sopra prospettate recano perplessità e dubbi difficilmente superabili la strada probabilmente più sicura che si prospetta è quella di riconoscere nell’accordo di integrazione un modello speciale che sfugge alle categorie generali sopra richiamate, pur condividendone alcuni aspetti. La specialità è data, soprattutto, dall’anomalia insita in uno strumento consensuale di 260 Francesco Martines Politiche di inclusione ed amministrazione… amministrazione del potere nel quale, tuttavia, i margini di espressione dell’autonomia “negoziale” delle parti pubblica e privata sono molto ridotti a fronte di una puntuale regolazione imperativa ed inderogabile. Questa peculiarità finisce per sacrificare le potenzialità che generalmente caratterizzano l’amministrazione consensuale del potere pubblico che si può sinteticamente individuare nella idoneità dello strumento negoziale a rispondere meglio alle esigenze delle specifiche fattispecie. In altri termini, il ricorso all’accordo di integrazione – qualora la legge avesse consentito alle sue potenzialità di esprimersi appieno – avrebbe potuto rappresentare una scelta davvero efficace per offrire una risposta esaustiva ed effettiva all’esigenza di una inclusione sociale e culturale dello straniero. Attraverso l’accordo, infatti, il richiedente il permesso di soggiorno e l’autorità amministrativa avrebbero potuto concordare e declinare in maniera personalizzata il percorso di inclusione e di formazione ritenuto più congruo e idoneo al conseguimento degli obiettivi di integrazione cui, per legge, lo strumento deve tendere. La compressione degli spazi di autonomia negoziale, giocoforza, sacrifica – come detto – queste potenzialità finendo per trasfigurare del tutto la natura consensuale dell’accordo, sì da rendere preferibile la riconduzione ad un modello speciale piuttosto che l’ascrizione a istituti generali. Come si vedrà nel paragrafo seguente, tale stato di cose pone dubbi sulla costituzionalità stessa dell’art. 4 bis d.lgs. n. 286/1998. 4. Dubbi di costituzionalità delle norme sull’accordo di integrazione. L’approvazione della l. n. 94/2009 (Pacchetto Sicurezza), che ha introdotto l’art. 4 bis nel testo del d.lgs. n. 286/1998, ha destato non poche polemiche per il particolare rigore con cui il legislatore si poneva rispetto ad un fenomeno migratorio. Alcune delle critiche più accese mosse alle norme del Pacchetto Sicurezza hanno riguardato alcuni istituti quali la c.d. aggravante di clandestinità, la configurazione del reato di ingresso illegale nel territorio o le citate ronde anti-immigrati. Il tema è molto attuale considerato che i valori e gli obiettivi che sembrano avere ispirato la legge del 2009 si trovano confermati in recentissimi interventi legislativi; il riferimento è al d.l. n. 113/2018, conv. in l. n. 132/2018 che ha introdotto norme più restrittive in materia di immigrazione, ancorché rivolte alla particolare categoria dei migranti destinatari di protezione umanitaria. La Corte Costituzionale si è trovata in più occasioni a dover intervenire per fare chiarezza sulla legittimità costituzionale di talune disposizioni della l. n. 94/2009. Appare significativo l’indirizzo interpretativo, costante nella giurisprudenza costituzionale, secondo il quale la riserva di legge contenuta all’art. 10 Cost. abbia natura contemporaneamente rinforzata (per l’espresso rinvio al diritto internazionale) e relativa (per l’obiettiva difficoltà di ipotizzare che tutta la disciplina del diritto dell’immigrazione possa trovare luogo esclusivamente nella legge ordinaria dello Stato e non anche nelle fonti di rango seconda261 Interventi  Parte II rio)10. La Consulta ha così più volte ribadito che il diritto dell’immigrazione ricomprende due anime che si incarnano a vicenda in due opposti sistemi di principi: da un lato, si impone l’esigenza di garantire un controllo forte dell’ordine pubblico e del territorio nazionale e, dall’altro, emerge il complesso normativo della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo che sono propri anche dello straniero migrante. In questa prospettiva, a mio avviso, va inquadrata la disciplina dell’accordo di integrazione ex art. 4 bis d.lgs. n. 286/1998, pur con i limiti e le peculiarità evidenziate nei paragrafi precedenti. In particolare, un aspetto che non appare del tutto convincente circa la disciplina dell’accordo di integrazione riguarda la scelta di affidare la gran parte della regolamentazione dell’istituto ad una fonte di rango secondario (il regolamento governativo adottato con il d.P.R. n. 179/2011); scelta che pare contrastare con l’art. 10 Cost. poiché l’art. 4 bis del T.U. Immigrazione si limita ad offrire scarne indicazioni mentre il regolamento di attuazione del 2011 va ben oltre una disciplina che possa dirsi puramente “di dettaglio”, come invece a rigore dovrebbe occorrere nel caso di riserva di legge (ancorché relativa). Sulla base di analoghe argomentazioni la Consulta ha più volte dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme di rango primario che, in presenza di fattispecie di riserva di legge, mancano di fissare la disciplina di base (Corte Cost., sent. 7 aprile 2011, n. 115; Corte Cost., sent., 7 ottobre 2003, n. 307). I dubbi di costituzionalità testé ipotizzati paiono ancora più fondati ove si ponga attenzione alla circostanza che l’art. 4 bis del T.U. Immigrazione, nel rinviare al regolamento governativo, affida a quest’ultimo l’individuazione delle ipotesi che possono comportare la decurtazione di punti determinando, nei casi più gravi, la revoca (o il mancato rinnovo) del permesso di soggiorno e, dunque, l’espulsione dello straniero dal territorio nazionale. Invero, come più volte acclarato dalla Consulta, l’espulsione costituisce misura incidente sulla libertà personale del soggetto, motivo per il quale deve operare la garanzia posta non soltanto dalla riserva di legge (in tal caso assoluta e rinforzata) dell’art. 13 Cost. ma anche la riserva di giurisdizione prevista dalla medesima disposizione costituzionale. Pertanto, l’eventuale provvedimento di espulsione motivato sul presupposto della decurtazione di tutti i “punti” connessi all’accordo di integrazione sembra porsi in contrasto con i principi sopra enunciati in quanto scaturisce da un provvedimento amministrativo adottato sulla scorta di previsioni normative di rango secondario. 5. Un possibile futuro dell’accordo di integrazione quale strumento di inclusione. Le osservazioni sopra formulate in ordine alle criticità che l’istituto presenta indurrebbero, a primo acchito, ad un giudizio definitivamente negativo e, parallelamente, all’auspicio 10 Sul tema, A. Cassese, Commento all’art. 10 Cost., in Commentario alla Costituzione (a cura di G. Branca), Bologna 1975, 485 ss. 262 Francesco Martines Politiche di inclusione ed amministrazione… di un prossimo intervento del legislatore volto ad archiviare la stagione dell’accordo di integrazione. Di seguito si cercherà di rassegnare alcune conclusioni di segno opposto, tendenti a “rivitalizzare” l’istituto a legislazione invariata. Sebbene il clima politico e di tensione sociale del contesto nel quale il legislatore ha introdotto l’istituto dell’accordo di integrazione fosse caratterizzato dalla primaria esigenza di arginare un fenomeno palesemente in crescita e di difficile gestione da parte delle autorità nazionali e (soprattutto) locali, il testo dell’art. 4 bis del T.U. Immigrazione esitato dalle Camere nel 2009 reca – ad avviso di chi scrive – delle intuizioni di fondo in tema di politiche di inclusione degli immigrati, la cui cancellazione con un colpo di spugna sarebbe da scongiurare. Il riferimento è destinato in primo luogo verso la disposizione dell’art. 4 bis che efficacemente definisce l’integrazione come «quel processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, con il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società». La norma mette pienamente in luce il valore che lo strumento di gestione del procedimento di rilascio del permesso di soggiorno può assumere nell’ottica di un’accoglienza “di qualità” tesa a valorizzare l’ingresso (e l’insediamento) dello straniero nel territorio nazionale come una reciproca opportunità (per lo straniero e per lo Stato accogliente) e non invece come uno stress per il contesto sociale, geopolitico ed economico nel quale si consuma. Questo spirito che, più o meno consapevolmente, anima la scarna disciplina legislativa in tema di accordo di integrazione è un valore che non va disperso ma che, al contrario, merita di essere valorizzato eventualmente attraverso una ridefinizione dei contenuti dello strumento negoziale da essa introdotto. In questa direzione, si potrebbe considerare di riequilibrare le posizioni dei due contraenti (Stato e soggetto immigrato) attraverso una rimodulazione delle condizioni che, da un lato, confermi l’impegno richiesto alla persona di aderire a un complesso di valori che trovano primo fondamento nella Carta costituzionale, e dall’altro preveda un ruolo attivo delle istituzioni (statali e locali) volto a favorire un’azione scevra da condizionamenti ideologici ed unicamente ispirata ad un progresso verso una società multietnica “consapevole” ed inclusiva nella quale le distanze fra i suoi appartenenti si riducano il più possibile11. Di tal guisa, strumenti di amministrazione consensuale (quale l’accordo di integrazione) potranno rivelarsi maggiormente efficaci in luogo di interventi unilaterali da parte dell’autorità statale, che inevitabilmente striderebbero con lo spirito di piena partecipazione ed inclusione cui dovrebbero mirare. 11 Sull’argomento, F. Astone, M. Caldarera, F. Manganaro, A. Romano Tassone, F. Saitta (a cura di), Le disuguaglianze sostenibili nei sistemi autonomistici multilivello, Torino 2006. 263 Interventi  Parte II IL CONTRIBUTO DEGLI OMBUDSMAN ALLA TUTELA E ALLA PROMOZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELLE PERSONE MIGRANTI ~ Roberto Medda ~ 1. INTRODUZIONE • 2. LA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI NELLE INCHIESTE DEL MEDIATORE EUROPEO • 3. LA GARANZIA NON GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI DEI MIGRANTI NELL’ORDINAMENTO ITALIANO • 4. UN APPUNTO CONCLUSIVO. 1. Introduzione. Nel corso degli ultimi anni, l’Europa è stata travolta da un flusso migratorio che non conosce precedenti nella storia recente, i cui numeri, e le connesse implicazioni umanitarie, non necessitano di ulteriori commenti. L’esplosione del fenomeno migratorio ha messo alla prova il funzionamento del sistema di gestione delle frontiere e di prima accoglienza, in particolare dei Paesi situati ai confini esterni dell’Unione europea. È così emersa, con particolare drammaticità, la tensione insanabile tra il rispetto dei diritti fondamentali dei migranti e le esigenze di sicurezza delle comunità chiamate a offrire accoglienza1. Perciò, la delicatezza degli interessi in campo rende necessaria la previsione di un sistema rafforzato di tutela dei diritti, che non sia composto esclusivamente dalle corti giudiziarie, ma che includa degli strumenti di diversa natura, complementari ai rimedi di tipo giurisdizionale. A tal riguardo, merita di essere approfondito il contributo che gli ombudsman hanno fornito alla garanzia e alla promozione dei diritti delle persone migranti nel corso degli ultimi anni nel continente europeo. Più precisamente, si fa riferimento alle istituzioni, derivate dall’ombudsman svedese2, che si sono diffuse su scala globale a partire dal secondo dopoguerra3 e che, seppur presentando tra loro elementi di eterogeneità do- 1 L’impatto dei flussi migratori degli ultimi anni è stato efficacemente descritto da M. Savino, La risposta italiana alla crisi migratoria: bilancio e prospettive, in Astrid Rassegna 4, 2017, 1 - 12. 2 Per una ricostruzione del “modello Ombudsman” si veda: G. Napione, L’Ombudsman. Il controllore della pubblica amministrazione, Milano 1969; C. Mortati (a cura di), L’Ombudsman (il Difensore civico), Torino 1974; G. De Vergottini, Ombudsman, in Enc. Dir., vol. XXIX, Milano 1979. 3 In assenza di un censimento del numero di istituzioni riconducibili al modello Ombudsman esistenti nel mondo, alcune indicazioni di massima possono essere ricavate dai dati sui membri dell’associazione International Ombudsman Institute, che comprende un numero elevatissimo di istituzioni diffuse, in modo tendenzialmente omogeneo, in tutti i continenti. Per l’elenco completo dei membri si rimanda al sito web ufficiale dell’associazione: www.theioi.org. 264 Roberto Medda Il contributo degli ombudsman alla… vuti alle influenze degli ordinamenti nazionali, presentano alcuni tratti distintivi comuni. Tali figure, alle quali può essere ricondotto il difensore civico italiano4, esercitano un insieme di funzioni tipiche, capaci di definirne l’identità. Innanzitutto, l’ombudsman offre una tutela, di natura non giurisdizionale, nei confronti della amministrazione pubblica avverso presunti casi di maladministration. Al contempo, tali istituzioni esercitano una funzione di controllo sull’amministrazione, nonché una serie di attività, scarsamente tipizzate, volte alla promozione di alcuni specifici principi, come la buona amministrazione, ovvero degli interessi di alcune categorie, come le persone con disabilità. Data la natura delle funzioni attribuite, le istituzioni modellate sull’ombudsman sono connotate da un’accentuata imparzialità e da un apprezzabile grado di indipendenza rispetto all’amministrazione e agli organi politici. Tuttavia, l’elemento che forse caratterizza maggiormente tali tipologie di figure è la natura dei poteri ad esse attribuiti. Infatti, tali istituzioni sono prive di un qualsivoglia potere coercitivo e, di conseguenza, gli atti da esse adottati sono legalmente non vincolanti: utilizzando un’espressione ricorrente ma sempre efficace, esse rappresentano una «magistratura di influenza»5. Nel corso della crisi migratoria, gli ombudsman diffusi sul territorio europeo, e particolarmente il Mediatore dell’Unione europea, sono stati capaci di offrire una forma di garanzia dei diritti delle persone migranti complementare ai rimedi di stampo giurisdizionale, la cui rilevanza non deve essere sottovalutata. A questo risultato si può giungere dall’analisi, che verrà svolta nei paragrafi seguenti, delle inchieste del Mediatore europeo: sottoponendo a scrutinio l’operato delle amministrazioni dell’Unione competenti per il coordinamento della gestione delle frontiere esterne, e anche per mezzo dello svolgimento di inchieste parallele con gli ombudsman nazionali, l’istituzione europea ha favorito l’emersione di uno standard di tutela più elevato, offrendo quindi un contributo alla garanzia dei diritti fondamentali delle persone migranti. 2. La tutela dei diritti fondamentali nelle inchieste del Mediatore europeo. All’interno del settore delle politiche migratorie dell’Unione europea, la gestione delle frontiere esterne assume una valenza fondamentale, acuita dal superamento delle frontiere interne frutto del processo di Schengen. I Trattati europei riconoscono ai Paesi membri la competenza della gestione delle frontiere, comprese quelle esterne, mentre riservano all’Unione un ruolo di coordinamento. Perciò, nel 2004 è stata istituita6 l’Agenzia europea 4 Per un’analisi del trapianto dell’istituto dell’ombudsman nell’ordinamento italiano, sia consentito il rimando a: R. Medda, L’Ombudsman in Italia tra Stato e Regioni: la perdurante assenza di un sistema integrato di garanzia, in Istituzioni del Federalismo 4, 2017, 961-1000. 5 A. La Pergola, Introduzione, in Camera dei Deputati, Ricerca sul Commissario parlamentare. Ordinamenti stranieri e progetti italiani, Roma, Quaderni di studi e legislazione, 1971, 7-8. 265 Interventi  Parte II per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea – comunemente nota come Frontex – alla scopo di garantire «un livello elevato ed uniforme del controllo e della sorveglianza»7 delle frontiere esterne, considerato un «necessario corollario alla libera circolazione delle persone nell’ambito dell’Unione europea nonché componente essenziale di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia»8. Al momento della sua istituzione, la missione istituzionale affidata a Frontex si limitava al coordinamento degli apparati di frontiera nazionali, senza che questo comportasse un’avocazione, da parte dell’Unione, della gestione delle frontiere esterne, che – come ribadito nel regolamento istitutivo9 – rimaneva responsabilità degli Stati membri. Con la crisi di tale sistema si è manifestata l’esigenza di un cambio di passo nella gestione delle frontiere europee ed è stato invocato, in particolare dai Paesi di confine, un maggior coinvolgimento dell’Unione nella gestione del fenomeno migratorio. La risposta delle istituzioni europee è giunta nel corso del 2016 con la riforma10 dell’Agenzia per la gestione della cooperazione operativa delle frontiere esterne, trasformata nell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. L’Agenzia è stata dotata di nuovi compiti e poteri maggiori nella gestione delle frontiere esterne, che diviene una responsabilità congiunta tra l’Unione e i Paesi membri11. Fin dalla sua istituzione, le attività di Frontex hanno attirato l’attenzione delle istituzioni12, tra cui quella del Mediatore europeo. Il Mediatore, istituito con il Trattato di Maastricht, rappresenta la declinazione all’interno dell’ordinamento europeo del modello ombudsman: dotato di poteri non coercitivi, imparziale ed indipendente dalle istituzioni dell’Unione, indaga – sulla base di una denuncia, o di propria iniziativa – i casi di cattiva amministrazione nell’azione delle istituzioni, degli organi o degli organismi dell’Unione 13. 6 Reg. (CE) n. 2007/2004 del Consiglio del 26 ottobre 2004, che istituisce un’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, in GU L 349 del 25 novembre 2004. 7 Reg. ult. cit., cons. 1. 8 Ibidem. 9 Reg. (CE) n.2007/2004, cons. 4: “Il controllo e la sorveglianza delle frontiere esterne ricade sotto la responsabilità degli Stati membri. L’Agenzia dovrebbe semplificare l’applicazione delle misure comunitarie presenti e future in materia di gestione delle frontiere esterne, garantendo il coordinamento delle azioni intraprese dagli Stati membri nell’attuare tali misure”. 10 Reg. (UE) n. 1624/2016 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 settembre 2016, relativo alla guardia di frontiera e costiera europea che modifica il regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga il regolamento (CE) n. 863/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, il regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio e la decisione 2005/267/CE del Consiglio, in GU L 251 del 16 settembre 2016. 11 Il tema della crisi e della successiva riforma della gestione delle frontiere esterne dell’Unione è stata analizzata da M. Savino, La crisi dei confini, in Rivista trimestrale di diritto pubblico 3, 2016, 739-759. Con particolare riguardo alla riforma dell’Agenzia Frontex si rimanda a S. Carrera, L. De Hertog, A Border and Coast Guard: What’s in a name?, in CEPS Papers in Liberty and Security in Europe 88, 2016 ed a E. De Capitani, F. Ferraro, The new European Border and Coast Guard: yet another “half way” EU reform?, in ERA Forum 3, 2016, 385-398. 12 Risulta particolarmente l’apporto dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa su questo tema. A tal proposito si vedano la risoluzione n. 1932 (2013) e la raccomandazione 2016 (2013) adottate entrambe il 25 aprile 2013. 13 Art. 228, co. 1, TFUE. 266 Roberto Medda Il contributo degli ombudsman alla… Come accennato in precedenza, le funzioni che l’Agenzia Frontex è chiamata ad assolvere sono intimamente intrecciate alla salvaguardia dei diritti fondamentali. Ciò a maggior ragione a partire dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che, come è noto, ha attribuito valore giuridico alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE (c.d. Carta di Nizza), rendendola vincolante anche nei confronti dell’Agenzia. Con il Reg. (UE) n. 1168/2011 oltre a venir stabilita, in linea di principio, la necessità per l’Agenzia di svolgere i compiti assegnati in piena compatibilità con le norme della Carta di Nizza, vengono introdotte una serie di misure specifiche: – l’elaborazione di un codice di condotta volto a disciplinare tutte le operazioni coordinate da Frontex, avendo un particolare riguardo per i meccanismi intesi a garantire i principi dello Stato di diritto e il rispetto dei diritti fondamentali applicabili a tutti coloro che prendono parte alle attività dell’Agenzia; – l’obbligo di predisporre, sviluppare e attuare una «strategia in materia di diritti fondamentali»; – l’istituzione di un meccanismo efficace per monitorare il rispetto dei diritti fondamentali in tutte le proprie attività; – la costituzione di un «forum consultivo», un organismo indipendente formato da rappresentanti delle istituzioni internazionali ed europee e delle organizzazioni non governative impegnate nella tutela dei diritti fondamentali, chiamato ad assistere i vertici dell’Agenzia nelle questioni legate ai diritti fondamentali; – l’individuazione di un responsabile dei diritti fondamentali (FRO, dall’inglese Fundamental Rights Officer), nominato dal consiglio di amministrazione dell’Agenzia. Nel 2012, nella fase immediatamente successiva alla riforma del regolamento istitutivo dell’Agenzia, entra al centro della scena il Mediatore europeo: facendo ricorso ai poteri di iniziativa officiosa garantiti dai Trattati, viene aperta un’indagine14 volta ad accertare se l’interpretazione e l’applicazione, da parte di Frontex, della disciplina introdotta con il regolamento 2011/1168 fosse effettivamente compatibile con il rispetto dei diritti fondamentali. L’indagine, protrattasi per più di un anno e mezzo, ha messo in mostra le potenzialità dell’ombudsman quale garante dei diritti. Infatti, la procedura, iniziata con una richiesta di chiarimenti rivolta a Frontex, è stata in grado di produrre dei risultati tangibili. Nell’aprile del 2013, al termine dell’istruttoria, il Mediatore adotta un atto preliminare contenente tredici raccomandazioni nei confronti di Frontex: se da un lato, la quasi totalità delle raccomandazioni si sostanzia in richieste di chiarimento circa l’applicazione di alcune disposizioni, astrattamente suscettibili di provocare una lesione dei diritti fondamentali, una di esse si rivela particolarmente incisiva, in quanto chiede all’Agenzia di «prendere in 14 European Ombudsman own-initiative inquiry OI/5/2012/BEH-MHZ concerning the European Agency for the Management of Operational Cooperation at the External Borders of the Member States of the European Union (Frontex). Per un’analisi di dettaglio dell’indagine si rimanda a N. Vogiatzis, Frontex: Human Rights Obligations and the Role of the European Ombudsman, in The Digital Transformation of the Public Sphere (a cura di A. Karatzogianni, D. Nguyen, E. Serafinelli), Berlino 2016. 267 Interventi  Parte II considerazione ogni possibile intervento per consentire al responsabile dei diritti fondamentali di gestire le denunce di violazioni dei diritti fondamentali, relative a tutte le attività di Frontex, presentate dalle singole vittime di tali violazioni e nel pubblico interesse»15. A seguito della presentazione dell’atto preliminare, Frontex trasmette le proprie valutazioni, inaugurando una fase che, a differenza dei meccanismi di natura contenziosa, si fonda sul confronto tra le parti, piuttosto che sulla contrapposizione. Seppur sprovvisto di poteri coercitivi, l’intervento del Mediatore si dimostra comunque proficuo: i chiarimenti forniti dall’Agenzia per dodici delle tredici raccomandazioni vengono ritenuti soddisfacenti dal Mediatore. Tuttavia, Frontex non accoglie la richiesta di consentire al FRO di ricevere delle denunce, su base individuale, riguardanti violazioni dei diritti fondamentali da parte del personale dell’Agenzia. Perciò, il Mediatore ricorre a uno strumento straordinario, qual è la relazione speciale al Parlamento europeo, al fine di persuadere l’Agenzia Frontex ad accogliere la raccomandazione. Sebbene, nell’immediato, la relazione non ottenga dei risultati tangibili, l’efficacia di tale strumento si manifesta nei mesi successivi. Nel corso del 2015, quando con l’acuirsi della crisi migratoria e con la paralisi del meccanismo di Schengen viene presentata una proposta di riforma dell’Agenzia Frontex, l’attività di indagine del Mediatore viene tenuta in debita considerazione dalla Commissione europea. Infatti, la bozza di regolamento include l’introduzione di un meccanismo di denuncia che riecheggia quanto suggerito nella raccomandazione adottata dall’ombudsman europeo qualche anno prima. Si può affermare, quindi, che il regolamento di riforma, introducendo16 il citato meccanismo di denuncia, abbia inteso attuare la raccomandazione non accolta in precedenza da Frontex, sebbene non manchino rilevanti distonie tra quanto tratteggiato dal Mediatore europeo e le disposizioni in concreto adottate17. In ogni caso, a seguito della riforma viene introdotto un meccanismo di reclamo interno: chiunque ritenga di aver subito una violazione dei suoi diritti fondamentali imputabile all’attività di Frontex può presentare una denuncia per iscritto all’Agenzia, anche per mezzo di un rappresentante. La disposizione attribuisce un ruolo rilevante al responsabile dei diritti fondamentali, competente per la ricezione delle denunce e per la gestione della fase preliminare della procedura, la quale prevede due soluzioni diverse a seconda del fatto che l’agente responsabile della presunta violazione appartenga in linea diretta a Frontex ovvero sia riconducile a uno Stato membro. Nel caso in cui la denuncia riguardi l’operato di un membro del personale dell’Agenzia, il responsabile dei diritti fondamentali trasmette la denuncia al direttore esecutivo, il quale è chiamato ad assicurare il «seguito appropriato» della stessa. La nozione di «seguito appropriato» non viene specificata dalla disposizione, che si limita a richiamare la possibilità di prevedere l’adozione di misure disciplinari nei confronti del 15 Case OI/5/2012/BEH-MHZ, Letter from the European Ombudsman to the Frontex concerning his draft recommendation - OI/5/2012/BEH-MHZ. Nello specifico ci si riferisce alla lett. m. 16 Cfr art. 72 del Reg. (UE) n. 1624/2016 cit. 17 Sul punto si veda: S. Carrera, M. Stefan, Complaint mechanisms in border management and expulsion operations in Europe, Bruxelles, Center for European Policy Studies, 2018, 22 e ss. 268 Roberto Medda Il contributo degli ombudsman alla… soggetto responsabile. Al direttore esecutivo viene garantita piena discrezionalità in merito ai provvedimenti da adottare per assicurare tale «seguito», essendo vincolato dal solo obbligo di consultare e informare il FRO riguardo agli esiti della procedura. Invece, nel caso in cui la denuncia riguardi un soggetto appartenente ad uno Stato membro dell’Unione, il «seguito appropriato» della denuncia deve essere garantito dallo stesso Stato membro, che soggiace anch’esso a un obbligo di informazione nei confronti del FRO circa gli esiti della denuncia. La dottrina ha accolto favorevolmente l’emersione delle esigenze di tutela dei diritti fondamentali nel contesto delle politiche migratorie, e in particolare l’introduzione del meccanismo di denuncia18, tuttavia non mancano voci che sottolineano la scarsa efficacia pratica di tale strumento. Alcuni considerano non soddisfacente l’attribuzione della competenza per la risoluzione delle controversie al direttore generale dell’Agenzia, un soggetto quindi non indipendente rispetto a Frontex e per questo motivo incapace di garantire un adeguato livello di imparzialità19. Inoltre, dalla lettura della disposizione non emerge alcuna indicazione utile a individuare il contenuto dell’espressione «seguito appropriato». Il rischio qui presente è evidente: in caso di accertamento di una violazione dei diritti fondamentali, allo stato attuale rimane oscuro quali debbano essere i provvedimenti conseguenti, ulteriori rispetto alla commisurazione di sanzioni disciplinari all’agente ritenuto responsabile20. A prescindere dal giudizio sulle misure adottate affiora in superficie un dato oggettivo: la presenza di un’istituzione di garanzia, qual è il Mediatore europeo, è stata capace, nel corso di una grave crisi politica, di offrire una forma di tutela dei diritti fondamentali e addirittura di arricchire l’insieme dei mezzi di tutela disponibili, ricoprendo un ruolo complementare a quello delle corti e controbilanciando le spinte, provenienti anche da parte di alcune forze politiche, tendenti alla criminalizzazione del fenomeno migratorio. Dopo la chiusura dell’inchiesta, il Mediatore ha dimostrato di prestare un’attenzione costante alle attività di Frontex, e più in generale sul rispetto dei diritti fondamentali nel settore dell’immigrazione. Così, nell’ottobre del 2014, utilizzando ancora una volta la facoltà riconosciuta dai trattati, il Mediatore Emily O’Reilly ha aperto ex officio un’indagine21 allo scopo di accertare il rispetto dei diritti fondamentali durante le operazioni congiunte di rimpatrio forzato dei migranti irregolari (c.d. JROs) coordinate da Frontex. Al termine 18 Per tutti si veda. J. Rijpma, The proposal for a European Border and Coast Guard: evolution or revolution in external border management? Study for the LIBE Committee, Bruxelles, Policy Department Citizens’ Rights and Constitutional Affairs, 8. 19 Questa lettura viene fornita da S. Carrera, L. De Hertog, A Border cit., 15 e ripresa da M. Savino, La crisi cit., 750. 20 Su questo punto, cfr. J. Rijpma, The proposal cit., 30 e E. Wauters, S. Cogolati, Crossing the Mediterranean Sea: EU Migration Policies and Human Rights, in Leuven Centre for Global Governance Studies – Working Papers 180, 2016, 11-12. 21 Case OI/9/2014/MHZ, Ensuring respect for fundamental rights in joint operations for the forced return of irregular third-country migrants. 269 Interventi  Parte II dell’inchiesta, il Mediatore ha formulato un’articolata serie di suggerimenti con lo scopo di incrementare lo standard di tutela dei diritti e, come avvenuto in precedenza, si è assistito a una dialettica virtuosa tra controllore e controllato, il quale in chiusura della missiva con cui ha accolto, seppure parzialmente, le raccomandazioni del Mediatore ha affermato che «Frontex welcomes the Ombudsman’s own-initiative inquiry into joint return operations. We recall that the joint returns of Member States assisted by Frontex are, quite properly, under significant scrutiny and that such returns already meet high standards. It is Frontex’s aim that those standards are maintained, and, where possible, improved on. Many of the Ombudsman’s proposals are very helpful in this regard ». L’inchiesta sulle attività di rimpatrio forzato acquista una particolare rilevanza, se ci si sofferma sugli aspetti procedurali dell’indagine. Infatti, per la prima volta, l’indagine del Mediatore europeo si è svolta in parallelo a quelle dei Difensori civici nazionali facenti parte dell’European Network of Ombudsmen (ENO). Il Mediatore ha concentrato la propria attività nei confronti dell’Agenzia Frontex esercitando, al contempo, un potere di impulso e di indirizzo nei confronti degli ombudsman nazionali, chiamati a sottoporre a scrutinio l’operato delle amministrazioni interne competenti per la gestione dei rimpatri forzati. Appare perciò all’orizzonte una possibile riconfigurazione del modus operandi del Mediatore europeo: il sorgere di alcune istanze, come la gestione dell’emergenza migratoria, che chiamano in causa contemporaneamente l’Unione europea e gli Stati nazionali, rende necessario sperimentare nuove tecniche di tutela, come lo svolgimento di inchieste coordinate da parte degli ombudsman nazionali e del Mediatore. In assenza di una riforma dei testi normativi, l’ombudsman europeo si è dimostrato capace di ricalibrare i mezzi di indagine al fine di adeguarli alle nuove esigenze. Costituita nel 1996, la rete degli ombudsman europei rispondeva in origine all’esigenza di favorire il confronto, lo scambio di informazioni e la circolazione di buone pratiche22; rappresentava quindi un forum informale di discussione, mentre non si rifletteva sul concreto esercizio delle funzioni di tutela. Invece, dall’analisi dell’inchiesta sui rimpatri forzati, nel quale ha trovato applicazione il modello della c.d. «inchiesta parallela»23, si possono scorgere i primi segnali di una possibile maggiore integrazione degli ombudsman europei24, secondo lo schema della rete, anche con riguardo all’esercizio delle funzioni di tutela. Se si adotta una prospettiva europea, si nota una certa inadeguatezza dell’ordinamento italiano. L’Italia non è stata in grado di partecipare all’inchiesta parallela in quanto, come meglio si vedrà in seguito, è sprovvista di un ombudsman nazionale, pur essendo uno dei Paesi maggiormente sollecitati dai flussi migratori degli ultimi anni. Infatti, tra i numerosi soggetti coinvolti dal Mediatore europeo nella sua inchiesta sui rimpatri forzati non rientra alcuna istituzione italiana, mentre si contano ben diciannove ombudsman nazionali. 22 Si veda, a tal proposito, H. C. H. Hofman, The developing role of the European Ombudsman, in Accountability in the UE. The role of the European Ombudsman (a cura di H. C. H. Hofman, J. Ziller), Cheltenham 2017, 1-27. 23 Cfr: N. Vogiatzis, The European ombudsman and good administration in the European Union, Basingstoke 2018, 218-224. 24 Sul punto si veda: C. Harlow, R. Rawlings, Process and Procedure in EU Administration, Oxford 2014, 85-86. 270 Roberto Medda Il contributo degli ombudsman alla… Quindi, nella costruzione di un sistema europeo di tutela non giurisdizionale dei diritti l’Italia assume l’infelice ruolo di tassello mancante del mosaico. 3. La garanzia non giurisdizionale dei diritti dei migranti nell’ordinamento italiano. L’ordinamento italiano pare non aver introiettato a pieno il modello dell’ombudsman: l’Italia rimane, unica tra i Paesi dell’Unione europea, sprovvista di un’istituzione di garanzia dotata di un mandato generale e competente per l’intero territorio nazionale. Infatti, il difensore civico, declinazione italiana del modello ombudsman, si è diffuso a macchia di leopardo per l’autonoma iniziativa di regioni ed enti locali, ma non ha trovato cittadinanza a livello nazionale. Seppure negli ultimissimi tempi il legislatore statale ne abbia – forse25 – riscoperto le potenzialità, la difesa civica pare essere trovarsi in un ciclo recessivo, iniziato con l’abolizione dei difensori comunali e conclusosi con la quasi scomparsa, principalmente per ragioni di natura finanziaria, dei difensori provinciali. Allo stato attuale, la difesa civica sopravvive solamente a livello regionale e, anche a questo livello, la tutela garantita non si estende a tutto il territorio italiano. Come si è visto in precedenza, a livello europeo l’intervento del Mediatore europeo si è rivelata prezioso, agendo da pungolo per l’estensione del perimetro della tutela dei diritti fondamentali nel campo dell’immigrazione. La scelta compiuta dall’Italia, invece, va in controtendenza rispetto al quadro comparato: il legislatore non ha ritenuto necessario affiancare, al sistema giudiziario, dei meccanismi non giurisdizionali di garanzia dei diritti, come l’ombudsman o la National Human Rights Institution (NHRI) la cui introduzione a livello nazionale è fortemente auspicata dai c.d. Principi di Parigi. Nonostante a livello nazionale siano presenti due ombudsman di settore, con competenze periferiche rispetto ai temi migratori, la loro creazione deve essere collegata non a un disegno organico volto ad adeguare l’ordinamento alle best practices in materia di tutela dei diritti, quanto piuttosto all’adempimento di specifici impegni assunti in sedi internazionali ed europee. Infatti, il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale è stato introdotto con lo strumento del decreto legge (d.l. n. 146/2013) allo scopo di tamponare l’emergenza del sovraffollamento carcerario e sotto l’occhio vigile della Corte europea dei diritti dell’uomo. Parimenti, la creazione della Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza risponde all’esigenza di dare attuazione alla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989. Quindi, in assenza di un autorevole ombudsman nazionale a competenza generale, il legislatore ha attribuito delle competenze in materia di immigrazione alle due istituzioni di settore citate. Da un lato, il Garante dei detenuti è stato indicato quale organismo naziona- 25 Ci si riferisce alle previsioni contenute nel d.lgs. n. 97/2016 e nella l. n. 24/2017, le quali attribuiscono alcu- ni compiti ai Difensori civici regionali rispettivamente in materia di accesso generalizzato e di tutela del diritto alla salute. 271 Interventi  Parte II le preposto al monitoraggio delle procedure di rimpatrio forzato dei migranti. Inoltre, con il d.l. n. 13/2017 al Garante è stata riconosciuta un’altra competenza, con l’attribuzione del potere di accesso e verifica delle condizioni dei Centri di Identificazione e di Espulsione. Invece, l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza si è vista attribuire dalla l. n. 47/2017 il compito di selezionare e formare i tutori volontari disponibili ad assumere la tutela di un minore straniero non accompagnato. Si tratta, quindi, di compiti marginali assolutamente estranei ad una strategia organica di tutela dei diritti umani nel settore delle politiche migratorie, che – invero – risulta totalmente assente. Tuttavia, le tinte fosche del quadro sopra ricostruito sono mitigate dalle azioni dei due Garanti, i quali – partendo dai frammenti di competenze riconosciute dal legislatore – hanno esteso il proprio ambito di intervento anche ad altri temi connessi al fenomeno migratorio, divenendo – in assenza di una figura dotata di un mandato a tutto tondo nella tutela dei diritti fondamentali – degli interlocutori riconosciuti anche nelle sedi europee, come è dimostrato dalle relazioni annuali presentate al Parlamento nel corso degli ultimi anni. 4. Un appunto conclusivo. L’attività del Mediatore europeo nel campo della tutela delle persone migranti permette di giungere una prima conclusione: l’esistenza di un sistema di garanzia dei diritti, modellato sull’esempio dell’ombudsman, rappresenta una ricchezza intrinseca per un ordinamento giuridico avanzato. Infatti, a differenza dei meccanismi di tipo giurisdizionale, gli ombudsman sfruttando i poteri officiosi di indagine possono intervenire per cercare di correggere le disfunzioni sistematiche rilevate nell’ordinamento, prescindendo dalla presentazione di una denuncia. Tale aspetto rivela tutta la sua importanza proprio con riguardo alla tutela dei diritti fondamentali dei migranti, spesso sprovvisti dei mezzi e delle conoscenze minime necessarie per azionare i propri diritti davanti alle corti giudiziarie. Inoltre, il mancato riconoscimento di poteri coercitivi in capo all’ombudsman deve essere considerato come un punto di forza, piuttosto che un limite, di tale tipologia di figure, in quanto favorisce la ricomposizione consensuale delle controversie, piuttosto che alimentare una paralizzante contrapposizione. Alla luce di ciò, l’ordinamento italiano risulta particolarmente inadeguato a far fronte alla domanda di tutela che il fenomeno migratorio porta con sé. Perciò, sarebbe auspicabile una discesa in campo del legislatore nazionale con lo scopo di delineare una strategia, organica ed efficace, volta ad innalzare gli standard di tutela dei diritti fondamentali nel campo dell’immigrazione. Al centro di tale strategia potrebbe essere collocata la costruzione di un sistema di garanzia non giurisdizionale dei diritti, avente come perno la creazione di un’autorità centrale, non necessariamente monocratica, competente per la tutela dei diritti nei confronti dell’amministrazione statale, capace di stemperare gli effetti negativi dell’attuale proliferazione di autorità di garanzia settoriali e connotate da campi d’intervento limitati, forse non del tutto capaci di accumulare quel tasso di autorevolezza necessario per esercitare – in maniera proficua – la propria “magistratura di influenza”. 272 IMMIGRAZIONE E DIRITTI NELLO STATO REGIONALE. SPUNTI DI RIFLESSIONE ~ Claudio Panzera ~ 1. PREMESSA • 2. LA DISCIPLINA DELL’IMMIGRAZIONE FRA POLITICHE E MATERIE • 3. IMMIGRAZIONE, DIRITTI, COMPETENZE • 4. LA MATERIA SVUOTATA: LA «CONDIZIONE GIURIDICA» DELLO STRANIERO EXTRACOMUNITARIO • 5. LO STRANIERO FRA “CONDIZIONE” GIURIDICA, “POSIZIONE” GIURIDICA E CITTADINANZA “NEGATIVA” • 6. I CONFINI (REGIONALI) DEL WELFARE: PRIMA I “NOSTRI”? • 7. DIRITTI SOCIALI E RESIDENZA LEGALE DEGLI STRANIERI NELLA LEGISLAZIONE STATALE • 8. LA “DIMENSIONE REGIONALE” DELLE POLITICHE SOCIALI, TRA RESIDENZA QUALIFICATA E DISCRIMINAZIONI INDIRETTE • 9. CONCLUSIONI. 1. Premessa. È merito della l. cost. n. 3/2001 aver inserito nel testo della Costituzione il termine “immigrazione”, collocando il relativo oggetto fra le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, c. 2 (lett. b), subito dopo «politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea» (lett. a). Com’è noto, solo pochi anni prima e sotto la duplice spinta del diritto internazionale e comunitario, l’Italia si era finalmente dotata di una legislazione organica sul tema, con l’adozione del testo unico sull’immigrazione (TUI)1. Si trattava, dunque, di attribuire un riconoscimento anche formale, in Costituzione, ad un fenomeno di sicuro rilievo costituzionale nella sostanza; in più, essa veniva in un certo senso a completare le originarie previsioni concernenti l’altro lato della medaglia, ossia l’emigrazione (art. 16, c. 3, e art. 35, c. 4, Cost.)2. Alle soglie del nuovo millennio, non si trattava più di affrontare con una disciplina ex nihilo un fatto improvviso o di recente comparsa, ma di regolare in modo compiuto e soprattutto efficace un fenomeno ormai strutturale e diffuso sul territorio. A partire dai 1 L. n. 40/1998 e d.lgs. n. 286/1998 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazio- ne e norme sulla condizione dello straniero”). 2 Com’è noto, il costituente ha riservato alla legge – ma «in conformità delle norme e dei trattati internazio- nali» – la disciplina dello status giuridico dello straniero (art. 10, c. 2), con il limite del necessario riconoscimento, in presenza di alcune condizioni, del diritto di asilo (c. 3) e del generale divieto di estradizione per motivi politici (c. 4). 273 Interventi  Parte II primi anni Ottanta, mentre il legislatore statale tardava a prendere coscienza del crescente flusso migratorio in entrata3, nei fatti molte amministrazioni locali facevano già i conti con la presenza di immigrati sul proprio territorio, cominciando a predisporre servizi minimi di accoglienza, orientamento, formazione e avviamento al lavoro4. Si tratta di un primo nucleo delle attività “per” i migranti che, nella successiva evoluzione legislativa, resteranno disciplinate prevalentemente a livello locale/regionale. Alcune esperienze positive realizzate su questa scala (come i corsi di lingua, l’ammissione alla scuola dell’obbligo dei minori stranieri in posizione irregolare o la destinazione agli immigrati di una quota di alloggi pubblici) confluiranno poi in scelte stabili della politica nazionale, estese a tutto il territorio5. Sul versante regionale, la legislazione attuativa della l. n. 943/1986 diventa l’occasione per una prima differenziazione di politiche in tema: se alcune leggi regionali si attengono al circoscritto campo di intervento delineato dalla legge statale6, altre adottano invece approcci più globali e sviluppati, anche in aderenza a precise scelte di natura ideologico-politica (espressive di un favor per l’inclusione sociale)7. 3 Benché già dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso i flussi in entrata superassero stabilmente quelli in uscita (all’inizio, anche per effetto del ritorno in patria di molti emigrati), i primi interventi di rilievo risalgono alla l. n. 943/1986 (“Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine”), attuativa della Convenzione OIL n. 143/1975 (“Convenzione sulle migrazioni in condizioni abusive e sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti”), e soprattutto al d.l. n. 416/1989 conv. in l. n. 39/1990 (“Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato”), in concomitanza con l’adesione dell’Italia al sistema Schengen. 4 Si segnala, peraltro, che le iniziative erano improntate a modelli organizzativi diversi: mentre nei Comuni del Nord si privilegiava la responsabilità pubblica diretta nella gestione del fenomeno (così, ad es., Milano e Torino), in quelli del Sud era prevalente l’affidamento al “privato sociale” (parrocchie e associazioni di volontariato: ad es., Palermo e Napoli). Per approfondimenti, v. T. Caponio, Città italiane e immigrazione. Discorso pubblico e politiche a Milano, Bologna e Napoli, Bologna 2006. 5 Sottolinea il ruolo anticipatorio e suppletivo svolto dalle autonomie territoriali in materia, A. Patroni Griffi, I diritti dello straniero tra Costituzione e politiche regionali, in I diritti sociali tra regionalismo e prospettive federali (a cura di L. Chieffi), Padova 1999, 350 s. 6 La l. n. 943 disponeva, nello specifico, che le Regioni istituissero consulte (analoghe a quella nazionale) «per i problemi dei lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie» (art. 2, c. 7), attivassero corsi di lingua e di formazione professionale per i lavoratori (art. 9, c. 2) e promuovessero «programmi culturali per i diversi gruppi nazionali» (art. 9, c. 4). 7 Il punto è messo in rilievo da P. Carrozza, Diritti degli stranieri e politiche regionali e locali, in Metamorfosi della cittadinanza e diritti degli stranieri (a cura di C. Panzera, A. Rauti, C. Salazar, A. Spadaro), Napoli 2016, 93 s., che indica come esempi del primo tipo le ll.rr. Lombardia n. 38/1988 (“Interventi a tutela degli immigrati extracomunitari in Lombardia e delle loro famiglie”) e Valle d’Aosta n. 51/1995 (“Interventi per la promozione di servizi a favore di cittadini extracomunitari”), come esempi del secondo le ll.rr. Piemonte n. 64/1989 (“Interventi regionali a favore degli immigrati extra-comunitari residenti in Piemonte”), Veneto n. 9/1990 (“Interventi nel settore dell’immigrazione”), Umbria n. 18/1990 (“Interventi a favore degli immigrati extracomunitari”), Sardegna n. 46/1990 (“Norme di tutela di promozione delle condizioni di vita dei lavoratori extracomunitari in Sardegna”), Basilicata n. 21/1996 (“Interventi a sostegno dei lavoratori extracomunitari in Basilicata ed istituzione della Commissione regionale dell’immigrazione”), cui si può aggiunta pure la l.p. Trento n. 13/1990 (“Interventi nel settore dell’immigrazione straniera extracomunitaria”). Secondo una tendenza diffusa del tempo, diverse leggi accomunavano quanto agli interventi previsti gli immigrati e gli emigrati (estendendo ai primi soluzioni e misure pensate per i secondi: ad es., l.r. Emilia Romagna n. 14/1990, “Inizia- 274 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… La legge Martelli (l. n.39/1990) accentua la separazione fra decisione statale in ordine alla programmazione degli ingressi regolari e responsabilità regionale/locale dell’accoglienza degli immigranti già entrati, anche con riguardo alle situazioni di emergenza8, mentre la successiva razionalizzazione normativa operata dal TUI, pur riunificando in un disegno unitario le politiche e le azioni in materia (diritti degli stranieri inclusi), non può ignorare la struttura multilivello che la gestione del fenomeno migratorio ha di fatto assunto. Così, le disposizioni del d.lgs. n. 286/1998 «costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione» nelle materie di legislazione concorrente, ed «hanno il valore di norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica» in relazione alle competenze delle Regioni speciali e delle Province autonome (art. 1, c. 4); inoltre, Regioni ed enti locali sono chiamati a concorrere all’obiettivo di «rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato» (art. 3, c. 5); ulteriori disposizioni specificano l’apporto diretto degli enti territoriali alle politiche di accoglienza, assistenza e integrazione degli stranieri9, in linea peraltro con la generale devoluzione di competenze amministrative realizzata in quel torno di anni dal terzo trasferimento10. È in tale cornice normativa che giunge in porto la modifica del titolo V, e la materia «immigrazione» fa la sua comparsa nell’art. 117. Considerata l’evoluzione appena tracciata, non può stupire che, quando si è trovata a pronunciarsi sul punto dopo il 2001, la giurisprudenza costituzionale abbia escluso che la disciplina del complesso fenomeno migratorio (e dei suoi «effetti sociali») fosse interamente assorbita nella materia de qua, da intendersi piuttosto limitata alla regolamentazione dei flussi di ingresso e soggiorno dei tive regionali in favore dell’emigrazione e dell’immigrazione - Nuove norme per l’istituzione della consulta regionale dell’emigrazione e dell’immigrazione”), trascurando però la specificità dei percorsi di integrazione sociale e culturale dei non cittadini: cfr., in merito, i dubbi espressi da A. Ruggeri, C. Salazar, «Ombre e nebbia» nel riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di emigrazione/immigrazione dopo la riforma del Titolo V, in I problemi costituzionali dell’immigrazione in Italia e Spagna (a cura di M. Revenga Sánchez), Milano-Valencia 2005, 336 e 349 ss. 8 L’art. 11, cc. 3-4, l. n. 39/1990 destina specifiche risorse per la realizzazione in ogni Regione di «centri di prima accoglienza e di servizi per gli stranieri immigrati, gli esuli ed i loro familiari». 9 V. gli artt. 34 e 35 (sull’assistenza sanitaria degli stranieri presenti sul territorio), l’art. 38 (sull’effettività del diritto allo studio garantito anche dalle autonomie territoriali), l’art. 40 (sulla predisposizione regionale e locale di centri di accoglienza temporanea per gli stranieri regolari che non dispongono di un alloggio e sull’accesso dei medesimi agli alloggi sociali e all’edilizia residenziale pubblica), l’art. 42 (sull’adozione di misure di integrazione sociale e culturale per gli stranieri regolari). 10 Cfr. spec. l’art. 128, d.lgs. n. 112/1998 (“Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”), il cui contenuto è integralmente richiamato dalla legge quadro sull’assistenza sociale per la definizione della materia (art. 1, c. 2, l. n. 328/2000, “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”). Quest’ultima, poi, affida congiuntamente a Comuni, Regioni e Stato la responsabilità della programmazione e organizzazione del sistema integrato dei servizi sociali (art. 1, cc. 2-3). Nel medesimo settore, le funzioni amministrative sono generalmente esercitate dal livello comunale (art. 13, d.lgs. n. 267/2000, “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”). Sul processo di decentramento dei servizi alla persona, nel nostro ordinamento, v. fra gli altri: E.A. Ferioli, Diritti e servizi sociali nel passaggio dal welfare statale al welfare municipale, Torino 2003 ed E. Vivaldi, I servizi sociali e le Regioni, Torino 2008. 275 Interventi  Parte II cittadini extracomunitari11. Ogni ulteriore profilo connesso alla presenza dell’immigrato sul territorio – dalle modalità di accoglienza, alle opportunità di integrazione sociale e lavorativa, dall’assistenza socio-sanitaria ai percorsi di istruzione e formazione, dalla tutela dei legami familiari alla partecipazione politica oltre, ovviamente, al godimento dei diritti civili – è da riportare, invece, alle competenze statali e regionali secondo la distribuzione operata dall’art. 117, con i problemi interpretativi che buona parte delle “etichette” impiegate inevitabilmente reca con sé. Il TUI, dunque, si è dovuto confrontare con un riparto costituzionale di competenze ben diverso da quello vigente al tempo della sua adozione (come accaduto anche per altre grandi riforme di settore approvate sul finire del secolo)12. Tuttavia, l’accresciuto ruolo delle autonomie territoriali non sembra aver inciso più di tanto sulla sua tenuta quale legge di sistema, visto che le numerose modifiche cui il TUI è andato incontro nei due decenni successivi hanno altrove la loro causa13. Per di più, la distribuzione (dei molteplici contenuti) della materia in esame fra Stato e Regioni non è esente da ambiguità e margini di incertezza, se ancora pochi anni fa si definiva la questione delle competenze legislative sui diritti dei migranti «un nodo ancora irrisolto»14. 11 Corte Cost., sent. 7 luglio 2005, n. 300, su cui si ritornerà. Per i cittadini dell’UE, la disciplina applicabile è stabilita dalle norme dei Trattati e del diritto derivato. 12 Ci riferiamo non tanto al terzo decentramento legato alla riforma Bassanini (d.lgs. n. 112/1998) che, com’è noto, anticipava sul piano amministrativo molti dei contenuti della l. cost. n. 3/2001, ma alla citata legge quadro sul sistema integrato dei servizi sociali, sulla quale v. per tutti Il sistema integrato dei servizi sociali. Commento alla legge n. 328 del 2000 e ai provvedimenti attuativi dopo la riforma del Titolo V della Costituzione (a cura di E. Balboni, B. Baroni, A. Mattioni, G. Pastori), Milano 2007. Per un esame della prima attuazione regionale del d.lgs. n. 112/1998, invece, cfr. A. Morelli, La legislazione regionale di attuazione del decreto n. 112/1998 alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione, in Autonomia e sussidiarietà. Vicende e paradossi di una riforma infinita (a cura di L. Ventura), Torino 2004, spec. 111 ss. 13 Da un lato, ha inciso l’evoluzione della normativa UE in materia di cittadinanza europea e asilo, immigrazione e frontiere esterne; dall’altro, la svolta politica di alcuni governi italiani nell’affrontare la gestione dell’immigrazione in una prospettiva securitaria e di ordine pubblico (v. spec. la legge “Bossi-Fini” n. 189/2002, “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo”, e le misure del “pacchetto sicurezza” di cui alla l. n. 94/2009, “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”). Nel complesso, in quasi vent’anni di vigenza si contano, salvo errore, oltre cinquanta modifiche e integrazioni del TUI; le ultime in ordine di tempo sono opera del d.l. n. 13/2017 (“Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”), conv. in l. n. 46/2017, e del d.l. n. 113/2018 (“Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”), conv. in l. n. 132/2018. 14 Così, C. Corsi, Immigrazioni e diritti sociali: il nodo irrisolto del riparto di competenze tra Stato e Regioni, in La governance dell’immigrazione. Diritti, politiche e competenze (a cura di E. Rossi, F. Biondi Dal Monte, M. Vrenna), Bologna 2013, 229 ss.; in tema, v. pure I diritti di cittadinanza dei migranti. Il ruolo delle Regioni (a cura di L. Ronchetti), Milano 2012. 276 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… 2. La disciplina dell’immigrazione fra politiche e materie. È piuttosto diffusa nella dottrina costituzionalistica la tendenza a ricondurre la (apparentemente netta) divisione di campo fra competenze statali e regionali in materia alla più generale distinzione – propria degli studi politologici – fra politiche dell’immigrazione e politiche per gli immigrati, intendendosi con le prime l’insieme delle scelte relative alle condizioni di ingresso e soggiorno nel territorio nazionale (incidenti, dunque, sulla quantità e sulla qualità dei flussi in entrata) e con le seconde il complesso di azioni disposte in favore degli stranieri già presenti all’interno dei confini statali (e rivolte ad offrire loro accoglienza e integrazione sociale)15. La distinzione, che pure non ha un fondamento costituzionale diretto ed esplicito, servirebbe a ricapitolare l’assetto delle competenze legislative insistenti sulla materia, chiarendo appunto che lo spazio di azione disponibile alle Regioni è confinato al secondo ambito (le politiche per l’immigrazione) e non può mai estendersi, neppure indirettamente, al primo (la regolazione dei flussi di ingresso). Due precisazioni, al riguardo, sono però necessarie. Anzitutto, la competenza regionale non copre l’intero ambito delle misure di accoglienza e integrazione, ma solo quella parte rientrante nei settori materiali assegnati alle autonomie dall’art. 117, cc. 3 e 4, Cost. e dalle corrispondenti disposizioni degli Statuti speciali. Inoltre, come si sa, i campi di intervento riservati alla responsabilità esclusiva dello Stato non sono affatto pochi. Per quel che riguarda le politiche “per” l’immigrazione, si pensi alle seguenti materie: rapporti con l’Unione europea (in relazione ai cittadini UE), diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati terzi (lett. a); sicurezza dello Stato (lett. d), ordine pubblico e sicurezza (lett. h), ordinamento penale (lett. l); ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato (lett. g, ad esempio in riferimento all’accesso degli stranieri al pubblico impiego)16; cittadinanza, stato civile e anagrafi (lett. i); ordinamento 15 Fra gli altri, A. Ruggeri, C. Salazar, «Ombre e nebbia» cit., 337, ma già A. Patroni Griffi, I diritti cit., 327; v. pure G. D’Auria, L’immigrazione e l’emigrazione, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale (a cura di S. Cassese), vol. II, Milano 2003, 1066. In un ordine di idee in parte analogo, si distingue anche fra politiche di ingresso/ammissione e politiche di integrazione/naturalizzazione: A. Colombo, G. Sciortino, Alcuni problemi di lungo periodo delle politiche migratorie italiane, in Le istituzioni del federalismo 5, 2004, 765 s. La distinzione fra immigrant e immigration policy si fa risalire a T. Hammar, Democracy and the Nation State. Aliens, Denizens, and Citizens in a World of International Migration, Avebury 1990 (così, T. Caponio, Governo locale e immigrazione in Italia. Tra servizi di welfare e politiche di sviluppo, in Le istituzioni del federalismo 5, 2004, 805), ma anche nel pensiero del suo A. non è in realtà così netta come si pensa: Hammar, infatti, ha precisato che quelle costituiscono solo due direzioni o ambiti di una medesima politica generale relativa al fenomeno migratorio, che per lo più «operano in simultanea» e si condizionano reciprocamente con profonde interazioni sul piano degli effetti. Cfr. T. Hammar, Introduction, in European Immigration Policy (a cura di T. Hammar), Cambridge 1985, 10. 16 Su tale intricata tematica, v. ora A. Rauti, Stranieri e pubblico impiego: prime considerazioni, in Metamorfosi della cittadinanza cit., 329 ss. e V. Marcenò, F. Paruzzo, «Non c’è lavoro per tutti». Una politica di coesione sociale attraverso il pubblico impiego, in Diritti uguali per tutti? Gli stranieri e la garanzia dell’uguaglianza formale (a cura di A. Giorgis, E. Grosso, M. Losana), Milano 2017, 211 ss. 277 Interventi  Parte II civile, giurisdizione e norme processuali (lett. l); livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (lett. m); norme generali sull’istruzione (lett. n); previdenza sociale (lett. o); profilassi internazionale (lett. q). In secondo luogo, già nella prima legislazione statale in materia, le autonomie territoriali non erano del tutto tagliate fuori dalla elaborazione della politica degli ingressi, grazie alla partecipazione di rappresentanti di Regioni ed enti locali nella “Consulta per i problemi dei lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie” istituita nel 1986, che rilasciava un parere al Ministro del lavoro e della previdenza sociale per l’adozione del decreto annuale relativo al numero di lavoratori stranieri da ammettere17. Si riconosceva, dunque, che la programmazione dei flussi di ingresso non poteva essere del tutto indipendente dalle esigenze delle (diverse) comunità territoriali nelle quali gli immigrati si sarebbero stabiliti per motivi di lavoro. La necessità di una consultazione con le autonomie territoriali resta ferma anche nella legislazione successiva (legge Martelli), a partire dalla quale si consolida la divaricazione fra le politiche di ammissione, gestite dallo Stato, e politiche di integrazione, affidate alla responsabilità di Regioni ed enti locali ma sempre nell’ambito del programma di interventi sociali individuati nel medesimo decreto flussi18. La collaborazione “debole” (attraverso un mero parere) con il sistema delle Conferenze costituisce ancora oggi la principale forma di intervento delle Regioni nella politica nazionale sull’immigrazione19, benché la riforma del titolo V abbia trasferito alla cura regionale la disciplina di diverse materie incidenti sull’accoglienza e l’integrazione di quelle persone20 e ciò legittimerebbe l’attivazione di procedure collaborative progressivamente più intense in base alla “pienezza” della competenza regionale interessata. Inoltre, come la prassi ha ampiamente dimostrato, le scelte operate su scala regionale o locale (attraverso le c.d. politiche di residenza) non sono senza effetto sulla concreta possibilità per lo straniero di soddisfare le condizioni del soggiorno, confermando l’idea che una divisione netta fra le politiche del/per l’immigrazione sia davvero possibile solo in astratto21. 17 Art. 5, l. n. 943/1986. 18 Artt. 2 e 5, l. n. 39/1990. Su tale evoluzione, T. Caponio, Governo locale cit., 791 ss. 19 L’art. 3 TUI prevede che il Governo approvi ogni tre anni, salva la necessità di un minor termine, il documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri «tenendo conto» anche del parere delle Conferenze Stato-Regioni e Stato-Città e autonomie locali; il parere della Conferenza unificata è obbligatorio anche per l’adozione del decreto flussi annuale, adottato dal Presidente del Consiglio dei ministri. Il documento programmatico, tra l’altro, non contiene solo i criteri per la determinazione dei flussi in entrata, ma è chiamato ad individuare altresì «le misure di carattere economico e sociale nei confronti degli stranieri soggiornanti nel territorio dello Stato, nelle materie che non debbono essere disciplinate con legge», nonché «gli interventi pubblici volti a favorire le relazioni familiari, l’inserimento sociale e l’integrazione culturale degli stranieri residenti in Italia, nel rispetto delle diversità e delle identità culturali delle persone, purché non confliggenti con l’ordinamento giuridico». 20 Si pensi, ad esempio, alla competenza concorrente su: tutela e sicurezza del lavoro, istruzione, tutela della salute, protezione civile, governo del territorio, promozione e organizzazione di attività culturali; oppure alla competenza residuale su: politiche sociali, formazione professionale, edilizia residenziale pubblica (per la gestione del patrimonio immobiliare), trasporto pubblico locale, ecc. 21 V. anche nt. 15 e infra, § 6. 278 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… La confusione e sovrapposizione di ambiti di competenza, naturalmente, non riguarda solo il settore in esame. Rappresenta, piuttosto, un problema generale ed è figlio, se così si può dire, di quel che parte della dottrina considera un peccato d’origine del modello di regionalismo italiano, che neppure le successive riforme (andate in porto o fallite) hanno mirato a correggere. Ci riferiamo all’idea secondo cui la soddisfazione degli interessi territorialmente radicati potrebbe essere meglio perseguita attraverso un coordinamento di plurime attività (normative, programmatorie, esecutive) distribuite fra i vari livelli di governo in modo flessibile anziché mediante l’incasellamento delle singole competenze in rigidi elenchi materiali22, come la stessa giurisprudenza costituzionale ha poi confermato nel ricostruire – già prima della riforma del titolo V – il limite delle materie alla luce degli interessi coinvolti23. Anche nel nuovo art. 117, l’intrinseca dinamicità delle politiche pubbliche riaffiora sotto diverse “etichette”, rendendo i contorni di quelle materie molto più sfumati, liquidi, e generando fenomeni di vera e propria trasversalità delle competenze (soprattutto di quelle statali)24, cui la giurisprudenza ha aggiunto – quale fattore di ulteriore flessibilizzazione del riparto – l’inedito istituto dell’attrazione in sussidiarietà della funzione legislativa25. In anni più recenti, interpretazioni filo-centralistiche del riparto competenziale hanno potuto poggiare anche su altri fattori, come il ricorso al criterio della “prevalenza” (della materia o dell’interesse) e le deroghe eccezionali al riparto legittimate dalla necessità di affrontare al meglio e con rapidità la crisi economica. Da questo punto di vista, come si vedrà meglio fra un attimo, il complesso materiale in esame («condizione giuridica» degli extracomunitari e «immigrazione») rivela una singolare discontinuità interpretativa rispetto all’orientamento da ultimo segnalato poiché, in un momento storico segnato da forti spinte centripete, il giudice delle leggi ha di fatto avallato una “redistribuzione” di compiti normativi in favore delle Regioni su sfere materiali di sicura spettanza statale (confermando, ove ancora ve ne fosse bisogno, che vere competenze esclusive non si danno)26. 22 In questo senso, ad es., si può leggere il rinvio al coordinamento sul piano amministrativo di cui all’art. 118, c. 3, Cost., sul quale v. subito infra, § 3. Per la tesi riportata nel testo, cfr. spec. R. Bin in molti scritti, fra cui Il governo delle politiche pubbliche tra Costituzione ed interpretazione del giudice costituzionale, in Le Regioni 3, 2013, 509 ss., ove si mette in luce la tensione esistente fra la “dinamicità” tipica delle politiche pubbliche e la “staticità” propria delle materie. 23 A partire da Corte Cost., sent. 6 luglio 1972, n. 138, ove si riconosceva che, «pur nell’ambito di una stessa espressione linguistica, non è esclusa la possibilità di identificare materie sostanzialmente diverse secondo la diversità degli interessi, regionali o sovraregionali, desumibile dall’esperienza sociale e giuridica» (p.to 3 del Cons. dir.). 24 Di «materie-non materie» o «materie-obiettivo» ha discorso, all’indomani della riforma del titolo V, A. D’Atena, Materie legislative e tipologia delle competenze, in Quaderni costituzionali 1, 2003, 21 ss. 25 Corte Cost., sent. 25 settembre 2003, n. 303. Proprio il principio di sussidiarietà, già prima della sua costituzionalizzazione con la riforma del titolo V, ha contribuito non poco a “relativizzare” il criterio di separazione delle competenze tra fonti statali e regionali, come ampiamente argomentato da A. Spadaro, Sui princìpi di continuità dell’ordinamento, di sussidiarietà e di cooperazione fra Comunità/Unione europea, Stato e Regioni, in Rivista trimestrale di diritto pubblico 4, 1994, 1041 ss. 26 Circa l’«immissione» dei legislatori regionali in tali ambiti, e la conseguente impossibilità di considerare davvero “esclusiva” (ed escludente) ogni sfera materiale di competenza statale o regionale che sia, v. C. Salazar, 279 Interventi  Parte II 3. Immigrazione, diritti, competenze. Nella prima occasione in cui è intervenuta, dopo la riforma del 2001, su una legge regionale concernente misure di integrazione sociale degli immigrati (l.r. Emilia Romagna n. 5/2004, “Norme per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati”), la Corte costituzionale ha affermato il seguente principio: «l’intervento pubblico [in tema di immigrazione] non si limita al doveroso controllo dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, ma riguarda necessariamente altri ambiti, dall’assistenza all’istruzione, dalla salute all’abitazione, materie che intersecano ex Costituzione, competenze dello Stato con altre regionali, in forma esclusiva o concorrente»27. Il passo è divenuto una costante nella giurisprudenza e, come detto, viene spesso citato a sostegno della distinzione fra politiche di/per l’immigrazione. L’importante affermazione è però preceduta da una premessa, non meno significativa: «La stessa legge statale quindi disciplina la materia dell’immigrazione e la condizione giuridica degli stranieri proprio prevedendo che una serie di attività pertinenti la disciplina del fenomeno migratorio e degli effetti sociali di quest’ultimo vengano esercitate dallo Stato in stretto coordinamento con le Regioni, ed affida alcune competenze direttamente a queste ultime; ciò secondo criteri che tengono ragionevolmente conto del fatto che l’intervento pubblico non si limita…». Dunque, la conclusione cui giunge la Corte non è frutto di un ragionamento astratto, ma il risultato di un’interpretazione “sistematica” del nuovo quadro costituzionale delle competenze (a partire dall’inversione del criterio di enumerazione delle materie nell’art. 117) condotta, però, anche alla luce della legislazione previgente, nella specie del TUI, di cui essa valorizza l’opzione per una corresponsabilità necessaria dei vari livelli di governo nella gestione del fenomeno. Dopo la riforma del titolo V, può dirsi che l’esigenza di una efficace collaborazione fra legislatori e fra amministrazioni sia solo aumentata28. Del resto, non è affatto casuale che l’immigrazione sia – insieme a “ordine pubblico” e “sicurezza” – una delle (poche) materie per le quali lo stesso dettato costituzionale pone espressamente a carico del legislatore statale il compito di stabilire «forme di coordina- Leggi regionali sui “diritti degli immigrati”, Corte costituzionale e “vertigine della lista”: considerazioni su alcune recenti questioni di costituzionalità proposte dal Governo in via principale, in Immigrazione e diritti fondamentali fra Costituzioni nazionali, unione europea e diritto internazionale (a cura di S. Gambino, G. D’Ignazio), Milano 2010, 413. Sul favor regionis espresso dalla Corte nella materia in esame, in controtendenza rispetto all’indirizzo dominante negli altri settori, cfr. pure A. Gentilini, Tendenze della legislazione regionale, statutaria e ordinaria, in tema di migranti, in I diritti cit., 75 (e nt. 40) e M. Benvenuti, Dieci anni di giurisprudenza costituzionale in materia di immigrazione e di diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, in Questione giustizia 3, 2014, 86 s., 90 e 105, che parla della giurisprudenza in esame come di «un caso singolare di felix culpa». 27 Corte Cost., sent. 7 luglio 2005, n. 300, p.to 5 del Cons. dir., seguita da Corte Cost., sent. 5 aprile 2006, n. 156; Corte Cost., sent. 27 febbraio 2008, n. 50; Corte Cost., sent. 12 aprile 2010, n. 134; Corte Cost., sent. 18 ottobre 2010, n. 299; Corte Cost., sent. 21 febbraio 2011, n. 61; Corte Cost., sent. 145 gennaio 2013, n. 2. 28 Sulla necessaria integrazione di competenze normative statali e regionali in materia, v. ancora A. RuggeriC. Salazar, «Ombre e nebbia» cit., 326 e C. Corsi, Immigrazioni cit., 247 s. 280 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… mento» amministrativo con le Regioni (art. 118, c. 3). Ora, al netto degli interrogativi suscitati da tale comma29, appare evidente che, se gli interessi in gioco (quello unitario alla regolazione dei flussi migratori e al presidio delle frontiere, e quello autonomistico al governo dei bisogni e delle esigenze caratterizzanti il proprio territorio) non fossero più che contigui nell’ambito considerato, non vi sarebbe motivo di prevedere esplicitamente un coordinamento fra gli enti interessati, che potrebbero amministrare nel rispettivo ambito ciascuno secondo il proprio indirizzo politico, nell’osservanza dei princìpi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza30. Secondo alcuni, poi, tale norma avrebbe costituito un «referente privilegiato, sebbene non evocato espressamente» nel ragionamento della citata sent. Corte Cost., sent. 7 luglio 2005, n. 300 31. La scelta interpretativa che distingue la disciplina delle condizioni di ingresso, soggiorno e allontanamento (materia «immigrazione») dalla regolamentazione degli ulteriori ambiti e interessi concernenti i non cittadini (tutte le altre materie, nominate e innominate), a ben vedere, travalica i confini del riparto di competenze legislative per riflettersi sulla contrapposizione fra cittadini e stranieri, attestandone l’avvenuta relativizzazione in molti ambiti. Infatti, mentre la politica “di” immigrazione riguarda solo gli stranieri ed è materialmente delimitata ai criteri che ne regolano l’ingresso e il soggiorno, le politiche “per” l’im- 29 Per un esame delle principali questioni interpretative di tale riserva, v. P. Bonetti, L’allocazione delle funzioni amministrative e le forme di coordinamento per le materie dell’ordine pubblico, della sicurezza e dell’immigrazione nel nuovo art. 118 della Costituzione, in Le Regioni 5, 2002, 1121 ss. 30 Altra questione, che non può essere qui approfondita, è se la previsione in Costituzione di forme di coordinamento solo in ambiti specifici (oltre all’art. 118, c. 3, che comprende pure la “tutela dei beni culturali”, si pensi al coordinamento informativo statistico e informatico dell’art. 117, c. 2, lett. r), all’armonizzazione dei bilanci pubblici ex art. 117, c. 2, lett. e) ed, infine, al coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario di cui agli artt. 117, c. 3, e 119, c. 2) abbia comportato il definitivo abbandono della funzione statale di indirizzo e coordinamento introdotta dall’art. 17 della l. n. 281/1970 (“Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario”), quale «risvolto positivo» del limite dell’interesse nazionale (come la definì la Corte Cost. nella sent. 25 febbraio 1971, n. 39, p.to 5 del Cons. dir.), che la riforma Bassanini riportò ad una logica concertativa, disponendo che i relativi atti fossero adottati d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni (art. 8, l. n. 59/1997, “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”, e art. 4, d.lgs. 112/1998). Sebbene la legge “La Loggia” (l. n. 131/2003, “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”) consideri precluso l’esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento negli ambiti di competenza regionale (cfr. l’art. 8, c. 6, che prevede però la facoltà del Governo di promuovere intese in sede Conferenza per «favorire l’armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni»), l’esigenza sottesa alla funzione in parola – come chiarito dalla giurisprudenza pre-riforma – è comunque ispirata all’obiettivo di assicurare il raggiungimento dell’interesse unitario (soprattutto) in un sistema policentrico, in attuazione dell’art. 5 Cost. La dottrina sul punto, è diversamente orientata: v’è chi ritiene più convincente la tesi della scomparsa della funzione in parola, salvo minori atti di “indirizzo tecnico” (P. Caretti, G. Tarli Barbieri, Diritto regionale, Torino 2007, 231 s., che citano al riguardo Corte Cost., 27 ottobre 2003, n. 329) e chi reputa il principio dell’indirizzo e coordinamento parte essenziale di «un sistema di contrappesi» che bilancia l’aumento di autonomia e che potrebbe esprimersi sotto altre forme (come le competenze trasversali o la sussidiarietà legislativa: S. Bartole, R. Bin, G. Falcon, R. Tosi, Diritto regionale2, Bologna 2005, 216 ss.), fino ad ammettere che il problema sia ancora lontano da una soluzione definitiva, restando «un punto dilemmatico» del nuovo assetto regionalistico (T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, Lineamenti di diritto regionale9, Milano 2012, 258 s.). 31 In tal senso, E. Vincenti, Immigrazione, in Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali. Parte speciale (a cura di G. Corso, V. Lopilato), vol. I, Milano 2006, 650 s. 281 Interventi  Parte II migrazione sono parte di un complesso di azioni pubbliche rivolte potenzialmente a tutti ed estese ai diversi campi del welfare (dalla sanità all’assistenza, dall’istruzione all’inserimento lavorativo, dall’integrazione culturale alla tutela dei disabili, dal sostegno della famiglia e della non-autosufficienza alle politiche abitative, ecc.). Se alcune di esse sono dirette specificamente agli stranieri – come accade per varie leggi regionali di seconda e terza generazione32 – è perché tali soggetti sono ritenuti, in contesti determinati, più vulnerabili di altri, al pari di quanto potrebbero esserlo, mutando il contesto di riferimento, gli emigrati che ritornano nel paese natio, le famiglie numerose, le giovani coppie, gli anziani, i minori, i disabili, eccetera. Ne deriva, tra l’altro, che la legislazione regionale sulle misure di accoglienza e integrazione disposte in favore degli stranieri si giustifica in quanto (parte della) politica sociale – o di altra competenza riconducibile ai commi 3 e 4 dell’art. 117 – con evidenti ricadute sulla «condizione giuridica» del non cittadino, che il c. 2 del medesimo articolo riserva però, in via generale, alla legge dello Stato. Si tocca, qui, un nervo scoperto del riparto costituzionale delle competenze legislative, che rende ancor più problematico l’inquadramento del tema in esame e incerti i confini delle sfere di intervento statale e regionale in materia. 4. La materia svuotata: la «condizione giuridica» dello straniero extracomunitario. Si danno due contrastanti letture della disposizione da ultimo citata. In sintesi, la prima assegna alla competenza statale ogni aspetto del trattamento giuridico dello straniero (non solo quanto alla titolarità, ma anche in relazione a criteri e modi di godimento dei diritti riconosciuti) e legittima l’intervento regionale nei soli casi «in cui espressamente lo consenta la legislazione statale»33. La seconda, invece, circoscrive la disciplina statale ai tratti essenziali e fondamentali di quello status, «nella sua unitaria ed irripetibile conformazione»; all’interno di questa cornice troverebbe posto l’autonoma disciplina regionale delle condizioni in cui quella unitaria posizione giuridica si sviluppa nei singoli settori di competenza (sanità, lavoro, assistenza, istruzione, abitazione, ecc.)34. 32 Si segue qui la periodizzazione in tre fasi della produzione legislativa regionale in materia, adottata da P. Carrozza, Diritti cit., 90 ss. A parte quanto si dirà in proposito ai successivi §§ 6 e 8, una dettagliata analisi di alcuni dei più recenti interventi può vedersi nella parte III del citato volume La governance dell’immigrazione, con contributi di M. Vrenna, P. Passaglia (Toscana), V. Casamassima (Marche), V. Bisignano (Puglia), M. Croce (Campania e Lazio), E. Vivaldi (Liguria) ed A. Di Carlo (autonomie speciali). 33 P. Bonetti, Ordine pubblico, sicurezza, polizia locale e immigrazione nel nuovo art. 117 della Costituzione, in Le Regioni, 2-3, 2002, spec. 522 ss. (il quale fa salva l’eventualità che, legiferando in materie di propria competenza, la Regione incida solo indirettamente sul trattamento dello straniero o sulla regolazione dell’immigrazione) e, sulla sua scia, D. Strazzari, Riparto di competenze tra Stato e Regioni: alla ricerca del confine perduto?, in Le Regioni, 5, 2006, 1042. 34 A. Ruggeri, C. Salazar, «Ombre e nebbia» cit., 325; conforme C. Corsi, Immigrazione e ruolo degli enti territoriali, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 1, 2005, 40. 282 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… L’interpretazione “massimalista” conferisce un senso autonomo alla «condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea» (art. 117, c. 2, lett. a), sia rispetto alle condizioni di ingresso e soggiorno dei medesimi («immigrazione»: lett. b) che in relazione alla protezione giuridica conseguente al riconoscimento del «diritto di asilo» (materia anteposta alla prima nello stesso alinea), al prezzo – è evidente – di una compressione dell’autonomia regionale per i settori di propria competenza35. L’interpretazione “minimalista”, al contrario, al fine di preservare tali spazi di intervento (e valorizzare, così, le potenzialità insite nella rinnovata autonomia degli enti territoriali), restringe la portata di quella formula, ora accentuandone i nessi con la disciplina dell’asilo (con la quale sarebbe «parte integrante di un’unica materia»)36, ora argomentando con l’impossibilità costituzionale di dar vita ad «un diritto assolutamente “speciale”» per lo straniero extracomunitario37. La giurisprudenza costituzionale, pur non lineare, sembra orientata nel secondo senso, ma quasi assorbe la «condizione giuridica» di cui alla lett. a) nel problema della regolarità dell’ingresso o del soggiorno, e dunque nella materia «immigrazione» di cui alla lett. b), con esiti per la verità discutibili. Da un lato, la distinzione tra politiche di/per l’immigrazione apre alcuni spazi di intervento per la legge regionale, ammettendo implicitamente una potenziale differenziazione anche nel trattamento dello straniero (ma sempre nei limiti consentiti dalle norme internazionali, europee e costituzionali vigenti in materia: art. 117, c. 1). Dall’altro, quando la legislazione regionale si è concretamente spinta sul terreno del riconoscimento o del godimento di specifici diritti in capo allo straniero presente sul suo territorio (talvolta, in aperto contrasto con la politica del governo nazionale del tempo)38, la Corte ne ha spesso messo in risalto il carattere attuativo di previsioni già esistenti a livello nazionale, in particolare del TUI, che ha continuato a svolgere una funzione parametrica “generale” anche dopo la riforma del 2001. Ciò, si badi, in relazione a fattispecie regionali che pure non coincidevano con quelle previste nella normativa statale. Si può fare l’esempio della citata l.r. Emilia Romagna n. 5/2004, in relazione a due distinti ambiti. Il primo concerneva la previsione di forme di partecipazione degli immigrati 35 Tuttavia, la stessa dottrina “massimalista” (supra, nt. 33) riconosce la legittimità dell’intervento regionale per i casi in cui la legge statale faccia genericamente rinvio alla normativa esistente. Quanto ai rapporti fra le prime due lettere dell’art. 117, c. 2, si è suggerito di distinguere due punti di vista nella disciplina del fenomeno migratorio: quello dei soggetti coinvolti, con il rilievo alle opportune differenziazioni di trattamento rispetto ai cittadini (come pure fra diverse categorie di stranieri: lett. a), e quello del fatto che interferisce con l’ordinamento giuridico e l’esercizio della sovranità statale sul territorio, da governare mediante politiche accurate (lett. b). Cfr. M. Benvenuti, Dieci anni cit., 85 s. 36 A. Ruggeri, C. Salazar, «Ombre e nebbia» cit. 37 C. Corsi, Immigrazioni e diritti sociali cit., 245. 38 Sarebbero, queste, le leggi di terza generazione, adottate da alcune Regioni allo scopo di segnare la distanza, se non la netta contrapposizione, rispetto alle politiche di repressive e di chiusura perseguite dal governo nazionale con le misure del citato “pacchetto sicurezza” (l. 94/2009) o con il piano “emergenza nomadi” (d.P.C.M. 21 maggio 2008, “Dichiarazione dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle Regioni Campania, Lazio e Lombardia”). 283 Interventi  Parte II residenti all’attività politico-amministrativa della Regione, attraverso un organo – la “Consulta regionale per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati” – dotato di funzioni propulsive e consultive39. Il secondo riguardava interventi per favorire «la ricerca di una soluzione abitativa anche a beneficio dei cittadini stranieri immigrati» e, soprattutto, parificava gli stranieri regolarmente soggiornanti ai cittadini quanto all’accesso all’edilizia residenziale pubblica e ai benefici per la prima casa40. Sotto entrambi gli aspetti, la Corte ha ritenuto la disciplina regionale non invasiva della competenza statale proprio in quanto diretto sviluppo di princìpi contenuti nel TUI; nella specie, del favor per la partecipazione dell’immigrato regolarmente soggiornante alla vita pubblica locale (art. 2, c. 4) e del suo diritto di accesso all’abitazione (art. 40, c. 6)41. Tuttavia, con riguardo ai servizi abitativi, nella sua estrema sinteticità la motivazione sorvola sul fatto che il TUI prevede l’eguaglianza di trattamento con i cittadini non per gli stranieri semplicemente “residenti”, bensì per quanti siano in possesso del permesso di soggiorno UE di lungo periodo (stranieri c.d. “lungosoggiornanti”) oppure siano titolari di permesso di soggiorno almeno biennale e svolgano una regolare attività lavorativa. La discrasia fra i requisiti richiesti dalle due fonti è troppo evidente per ritenere che la Corte non se ne sia avveduta quando ha affermato che la Regione si sarebbe limita a disciplinare nel proprio territorio «un diritto già riconosciuto in via di principio» dalla normativa statale42. Si può piuttosto presumere che il giudice costituzionale abbia voluto far prevalere l’autonoma regionale in una materia che il nuovo titolo V assegna alle cure di tale livello di governo, senza però negare allo Stato la facoltà di prevedere il diritto in questione nei suoi termini generali; ciò, magari, anche al fine di indirizzare – nel mutato riparto di competenze – le future relazioni politiche fra le parti in conflitto verso forme di maggiore collaborazione. Ancor più singolare è la vicenda concernente l’impugnazione della l.r. Toscana n. 29/2009 (“Norme per l’accoglienza, l’integrazione partecipe e la tutela dei cittadini stranieri”) in merito, tra l’altro, alla previsione in favore di «tutte le persone dimoranti nel territorio regionale, anche se prive di titolo di soggiorno» dell’accesso agli interventi socio-assistenziali urgenti ed indifferibili, «necessari per garantire il rispetto dei diritti fondamentali 39 Artt. 6 e 7, ora abrogati dall’art. 64, l.r. n. 11/2016 (“Modifiche legislative in materia di politiche sociali, abitative, per le giovani generazioni e servizi educativi per la prima infanzia, conseguenti alla riforma del sistema di governo regionale e locale”). 40 Art. 10, c. 3. 41 Corte Cost., sent. 7 luglio 2005, n. 300. Sulla partecipazione in ambito regionale degli stranieri la Corte si era già pronunciata poco prima, giudicando in parte inammissibili e in parte infondate le censure mosse dal Governo sulle previsioni degli Statuti toscano ed emiliano concernenti il diritto di voto di tutti i residenti nei referendum regionali: sentt. 29 novembre 2004, nn. 372 e 379. Circa il carattere presumibilmente soft di tale partecipazione, nel senso di limitarla alle consultazioni popolari diverse da quelle elettorali o comunque «incidenti sul circuito dell’indirizzo politico locale», v. T.E. Giupponi, Gli stranieri extracomunitari e la vita pubblica locale: c’è partecipazione e partecipazione…, in Le Regioni 1, 2006, 193 s. 42 P.to 6 del Cons. dir. Nella successiva sent. 21 febbraio 2011, n. 61, concernente un’analoga disposizione della Regione Campania (v. subito infra), il giudice costituzionale risolve in via interpretativa l’apparente contrasto ritenendo che la disciplina regionale in materia non intenda derogare ai requisiti previsti dall’art. 40, c. 6, TUI (cfr. il p.to 4.1 del Cons. dir.). 284 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… riconosciuti ad ogni persona in base alla Costituzione ed alle norme internazionali»43. Pur andando anche qui ben oltre quanto prescritto dalla normativa nazionale, come puntualmente rilevato dal ricorrente44, la Corte giustifica la disposizione impugnata ritenendola attuativa, per l’ambito di competenza regionale, dei princìpi fondamentali dettati dal TUI con riguardo alla… tutela della salute! L’insolita trasposizione di piano (e di materia) apparirebbe inspiegabile o frutto di una colossale svista se il giudice costituzionale non avesse inteso ribadire attraverso tale decisione il principio della spettanza allo straniero di tutti i diritti fondamentali che la Costituzione riconosce alla persona e in particolare dell’inerenza del diritto alla salute, nel suo «nucleo irriducibile», a quell’«ambito inviolabile della dignità umana» che non tollera deminutio45. Principio la cui attuazione grava su tutte le componenti della Repubblica (anche per questo «una e indivisibile»), autonomie territoriali comprese. L’ambiguità della motivazione sul punto getta comunque un’ombra di incertezza sulla portata delle misure di assistenza previste a livello regionale: secondo alcuni, la Corte avrebbe inteso limitarle a quelle strettamente inerenti l’assistenza sanitaria d’urgenza; per altri, avrebbe implicitamente adottato una nozione estesa di salute, come “benessere complessivo” della persona, che trova riscontro anche nelle carte internazionali dei diritti ed includerebbe interventi di cura in senso stretto e misure di carattere assistenziale più generale46. Si potrebbe, forse, affacciare una terza ipotesi: trovando autonoma giustificazione nella competenza regionale in materia di politiche sociali di cui all’art. 117, c. 4, le prestazioni socio-assistenziali non collegabili alla tutela della salute sfuggono al raffronto con le rispettive norme del TUI e dunque non ledono la sfera di competenza statale. Se poi si volesse ricondurre queste ultime alla clausola dei «livelli essenziali delle prestazioni» di cui all’art. 117, c. 2, lett. m), l’intervento regionale sarebbe comunque legittimato per il fatto di non ridurre detto livello ma, semmai, innalzarlo oltre la soglia dell’essenzialità o uniformità nazionale47. L’indirizzo esaminato trova conferma ed ulteriore svolgimento nei giudizi sorti in relazione ad analoghe previsioni della l.r. Puglia n. 32/2009 (“Norme per l’accoglienza, la convivenza civile e l’integrazione degli immigrati in Puglia”) e della l.r. Campania n. 6/2010 (“Norme per l’inclusione sociale, economica e culturale delle persone straniere residenti in Campania”)48. In particolare, quest’ultima consentiva l’accesso ai centri di accoglienza ope43 Art. 6, c. 35. 44 L’art. 41 TUI estende le prestazioni sociali di cui godono i cittadini agli stranieri con permesso di soggiorno almeno annuale, mentre l’art. 35, c. 3, prevede per gli irregolari l’accesso alle sole cure ambulatoriali e ospedaliere «urgenti» o comunque «essenziali» (oltre alle prestazioni di medicina preventiva). 45 Corte Cost., sent. 7 luglio 2010, n. 269, p.to 4.1 del Cons. dir., con rinvio alle sentt. 7 maggio 2008, n. 148 e 5 luglio 2001, n. 252. 46 Nel primo senso, D. Strazzari, Stranieri regolari, irregolari, “neocomunitari” o persone? Gli spazi d’azione regionale in materia di trattamento giuridico dello straniero in un’ambigua sentenza della Corte, in Le Regioni 5, 2011, 1045 s.; nel secondo, F. Biondi Dal Monte, Regione, immigrazioni e diritti fondamentali, ivi, 1092 s. 47 Sul rilievo delle disposizioni del TUI incidenti in ambiti riservati alla competenza residuale come “standard minimi” sempre elevabili in melius dalle Regioni, v. C. Corsi, op. ult. cit., 250 e F. Biondi Dal Monte, op. ult. cit., 1101 s. 48 Rispettivamente, Corte Cost., sentt. 18 ottobre 2010, n. 299 e 21 febbraio 2011, n. 61. 285 Interventi  Parte II ranti in Regione a tutti gli stranieri presenti sul territorio e sprovvisti di un’autonoma sistemazione, mentre il TUI parla di accoglienza e integrazione solo per i regolari49. Con un’argomentazione netta e alla luce dell’art. 117, la Corte ancora una volta esclude che le norme censurate abbiano violato la competenza statale in materia di immigrazione, risultando piuttosto espressione della competenza regionale residuale su assistenza e servizi sociali, rispetto alla quale le disposizioni del TUI non potrebbero utilmente porsi come “princìpi fondamentali” della materia 50. Quanto alle ulteriori disposizioni regionali applicabili indistintamente a regolari e irregolari, secondo la Corte queste legittimamente mirano «alla predisposizione da parte della Regione, in un contesto di competenze concorrenti o residuali, di sistemi di tutela e promozione, volti ad assicurare l’opportunità per le persone straniere presenti in Campania di accedere a diritti quali quello allo studio ed alla formazione professionale, all’assistenza sociale, al lavoro, all’abitazione, alla salute», ponendosi ancora una volta in attuazione di quanto previsto in via di principio dal TUI (in particolare, del suo art. 3, c. 5)51. 5. Lo straniero fra ‘‘condizione’’ giuridica, ‘‘posizione’’ giuridica e cittadinanza ‘‘negativa’’. Due importanti indicazioni si possono trarre dalla giurisprudenza esaminata. In primo luogo, è disponibile alle Regioni uno spazio di intervento sui diritti degli immigrati minimo quanto si vuole ma comunque sottratto alle interferenze della disciplina statale, sostanzialmente coincidente con l’estensione della loro competenza residuale (e, per converso, sottoposto agli stessi limiti di questa). Soprattutto quando, in attuazione dei princìpi costituzionali, mirano a soddisfare le esigenze e i bisogni connessi ai diritti fondamentali della persona, le normative regionali non intaccano l’ambito delle scelte inerenti la politica dei flussi di ingresso, di esclusiva spettanza statale, ma – sostiene discutibilmente la Corte – neppure «la posizione giuridica dello straniero presente nel territorio nazionale o regionale [o] lo status dei beneficiari»52. 49 Rispettivamente, art. 17, c. 2, l.r. Campania n. 6/2010 e artt. 40, cc. 1 e 1-bis, TUI. Di tenore analogo, anche la l.r. Marche n. 13/2009 (“Disposizioni a sostegno dei diritti e dell’integrazione dei cittadini stranieri immigrati”) e la l.r. Lazio n. 10/2008 (“Disposizioni per la promozione e la tutela dell’esercizio dei diritti civili e sociali e la piena uguaglianza dei cittadini stranieri immigrati”): la prima, però, è stata sensibilmente modificata quanto ai destinatari – gli immigrati in attesa di regolarizzazione – in seguito all’impugnazione governativa, con conseguente estinzione del giudizio (Corte Cost., ord. 7 luglio 2010, n. 275); la seconda non è stata invece impugnata. 50 Corte Cost., sent. 21 febbraio 2011, n. 61, p.to 3.1 del Cons. dir. 51 Ibidem (p.to 2.1 del Cons. dir.), ma la decisione richiama anche le disposizioni del TUI concernenti l’assistenza sanitaria per gli stranieri iscritti e non iscritti al SSN (artt. 33 e 34), nel cui solco opererebbero le previsioni regionali contestate. 52 V. ancora Corte Cost., sent. 21 febbraio 2011, n. 61, loc. ult. cit., che conclude: «la lettera e la portata teleologica delle norme regionali impugnate non consentono di interpretare le stesse nel senso che gli interventi ivi previsti, ove riferibili appunto anche agli immigrati irregolari, permettano neppure indirettamente di legittimarne la presenza nel territorio dello Stato, interferendo sulla potestà, di esclusiva spettanza dello Stato, rela- 286 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… Ne deriva, in secondo luogo, un ridimensionamento contenutistico della «condizione giuridica» dello straniero extracomunitario, fatta essenzialmente coincidere con l’ambito di applicazione delle norme concernenti l’ingresso e il soggiorno di tali persone nel territorio della Repubblica. In tal modo, si è osservato, la Corte mostrerebbe di considerare le materie di cui all’art. 117, c. 2, lett. a) e b) come «una endiadi» cui verrebbe però riconosciuto quel carattere “trasversale” comune ad altre materie del medesimo comma, che si esprimerebbe in particolare nell’apertura a discipline regionali secundum e praeter legem 53. Detta impostazione, a ben vedere, va oltre il limitato ambito delle questioni sollevate, benché sia innegabile la forte connotazione politica ad esse attribuita dalle parti in conflitto, come attesta l’insistenza della difesa erariale sulla presunta elusione delle condizioni di ingresso e soggiorno dello straniero che le norme impugnate avrebbero determinato54. Diversamente dall’interpretazione dottrinale “minimalista”, che riduce l’area semantica della materia in discorso senza svuotarla del tutto55, l’interpretazione avallata dalla Corte potrebbe finire involontariamente per restringere la condizione giuridica degli stranieri alla mera regolarità/irregolarità della loro posizione. Esito, questo, che non pare tuttavia compatibile con il dettato costituzionale. tiva alla programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale ovvero ai presupposti ed alle modalità di regolarizzazione dello straniero». 53 Cfr. P. Passaglia, «Immigrazione» e «condizione giuridica» degli stranieri extracomunitari: la Corte costituzionale precisa i termini del riparto di competenza (... e torna sulla portata delle enunciazioni di principî contenute negli statuti), in Foro italiano, 2006, I, 352. 54 Estendendo agli irregolari l’accesso al sistema regionale di servizi e prestazioni sociali, infatti, le leggi in discorso sfidavano la stretta sugli ingressi decisa dal governo nazionale al tempo in carica, depotenziando nei fatti l’efficacia di quella battaglia contro la clandestinità che rappresentava uno dei punti qualificanti del suo programma. Per una critica al contenuto dei ricorsi governativi e in difesa delle leggi impugnate, v., ancor prima dell’intervento della Corte, C. Salazar, Leggi regionali cit., 420 ss.; cfr. poi G. Bascherini, Il riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di immigrazione al tempo del «pacchetto sicurezza». Osservazioni a margine delle sentt. nn. 269 e 299 del 2010, in Giurisprudenza costituzionale 5, 2010, 3903 s. Incidenter si noti, ancora una volta, quanto agevole sia nel concreto il superamento della distinzione fra politiche di/per l’immigrazione, e il discorso potrebbe valere anche per lo straniero che beneficia del più favorevole trattamento legato allo status di cittadino europeo. Difatti, le leggi toscana e pugliese estendevano le prestazioni di welfare ai cittadini dei Paesi di recente ingresso nell’Unione (definiti, con un neologismo, «neo-comunitari») oltre i limiti dettati dalla normativa nazionale che recepiva il diritto derivato (Dir. 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, in GU L 158 del 30 aprile 2004), con una scelta che la Corte ritiene giustificata in quanto diretta attuazione del principio generale di non discriminazione in ragione della nazionalità (art. 18 TFUE). Così facendo, però, l’accesso alle prestazioni sociali regionali può diventare paradossalmente una “spia” del venir meno della condizione di autosufficienza economica cui il diritto derivato condiziona il soggiorno di un cittadino europeo in uno degli Stati membri per un periodo eccedente i tre mesi, per quanto ciò non ne comporti automaticamente l’espulsione (art. 14, c. 3, dir. cit.). Richiama giustamente l’attenzione sul punto, D. Strazzari, Stranieri regolari cit., 1060 s. 55 In tale direzione va, ad esempio, la proposta di assegnare alla competenza esclusiva statale il riconoscimento allo straniero – in conformità al diritto internazionale – dei vari diritti in ambito civile, sociale e politico, e alla competenza regionale «le modalità di attuazione degli stessi», con le uniche interferenze statali concesse ai princìpi fondamentali per le materie concorrenti ed alla definizione dei lep per le materie residuali: cfr. F. Biondi Dal Monte in vari lavori già citati e poi in Dai diritti sociali alla cittadinanza. La condizione giuridica dello straniero tra ordinamento italiano e prospettive sovranazionali, Torino 2013, 57 s. 287 Interventi  Parte II Non si dimentichi, infatti, che l’attribuzione alla potestà esclusiva dello Stato di tale materia è funzionale non tanto alla difesa dei confini nazionali da flussi di ingresso incontrollati (a ciò è destinata la lett. b), quanto alla garanzia di una disciplina uniforme dei diritti e dei doveri degli stranieri su tutto il territorio, a fronte del rischio che a livello regionale o locale prevalgano politiche discriminatorie riguardo a soggetti non equiparabili in tutto ai cittadini e, dunque, non destinatari allo stesso modo delle norme giuridiche prodotte dagli organi legislativi (come in effetti avvenuto)56. Certo, a fronte di tali derive, soccorrono altri titoli di competenza esclusiva (per es., l’ordinamento civile o i livelli essenziali delle prestazioni) e, d’altra parte, la Corte ha costantemente vigilato sull’effettiva eguaglianza di trattamento con riguardo ai diritti fondamentali. Tuttavia, per un verso, l’esercizio della competenza legislativa richiede allo Stato di provare, in caso di contestazione, il titolo che la giustifica57 e, per quanto generosa sia stata nel complesso, la Consulta non ha mancato di delimitare i confini di alcune materie in modo talvolta rigoroso58. Per un altro verso, la citata giurisprudenza è granitica con riferimento al solo “nucleo essenziale” del diritto invocato dallo straniero, aprendo nel resto dei casi (la gran parte) ad una serie indeterminata di differenze di trattamento fra cittadini e stranieri – come fra stranieri – che pure i legislatori regionali possono apprezzare e far valere nel proprio territorio, con il solo limite della non arbitrarietà59. Un’ulteriore conferma dell’accorpamento fra le materie «condizione giuridica» dei cittadini extracomunitari e «immigrazione» viene dall’ambito dei finanziamenti a destinazione vincolata, che l’art. 119 Cost. considera generalmente vietati nelle materie di competenza regionale. Pronunciandosi sull’istituzione di un fondo per l’inclusione sociale degli immigrati, finalizzato in particolare all’accoglienza degli alunni stranieri (art. 1, c. 1267, l. n. 296/2006, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2007”), la Corte ne ha decretato l’illegittimità perché tale misura non attiene «alla programmazione dei flussi di ingresso ovvero al soggiorno degli stranieri nel territorio nazionale», ma incide – per l’appunto – sulle materie regionali dei servizi sociali e dell’istruzione60. 56 È questa, in fondo, una delle principali argomentazioni che sostengono la tesi di P. Bonetti (supra, nt. 33). 57 Come affermato in una delle prime pronunce successive alla riforma, la verifica del rispetto del rinnovato riparto di competenze deve muovere «non tanto dalla ricerca di uno specifico titolo costituzionale di legittimazione dell’intervento regionale, quanto, al contrario, dalla indagine sulla esistenza di riserve, esclusive o parziali, di competenza statale» (Corte Cost., sent. 19 giugno 2002, n. 282, p.to 3 del Cons. dir.). 58 Nel caso in esame, invece, una tale delimitazione è oggettivamente carente (lo rileva pure D. Strazzari, Riparto di competenze cit., 1043 s.). Come esempio di quanto sostenuto nel testo si può citare, per tutte, la clausola dei lep, che lo Stato non può invocare a giustificazione di una disciplina che non contempli specifiche prestazioni da erogare in modo uniforme sul territorio (ex multis: Corte Cost., sentt. 7 luglio 2005, n. 285; 20 aprile 2006, n. 181; 19 novembre 2007, n. 387; 19 maggio 2008, n. 168; 30 novembre 2009, n. 322; ord. 5 dicembre 2012, n. 286). Per maggiori approfondimenti su significato e portata di detta clausola, sia consentito rinviare a C. Panzera, Mediazione politica e immediatezza giuridica dei livelli essenziali delle prestazioni, in Le Regioni 5-6, 2013, 1001 ss. (ivi, ult. bibl.). 59 Infra, § 8. 60 Corte Cost., sent. 27 febbraio 2008, n. 50 (p.to 9 del Cons. dir.). In conformità ad un orientamento consolidato, la Corte fa tuttavia salvi i procedimenti di erogazione pregressi e in corso, al fine di non pregiudicare la continuità dei servizi offerti. 288 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… Il riferimento al «soggiorno degli stranieri», nel contesto della decisione, non può essere letto come espressivo di un rinvio alla disciplina generale del loro status: ciò avrebbe dovuto portare al rigetto della questione o, al limite, ad una sentenza additiva di una qualche forma di collaborazione con le Regioni nelle procedure di spesa61. Sembra perciò inevitabile limitare il senso di quell’inciso ai requisiti legali di permanenza dello straniero sul territorio, dunque alla sua “posizione” (ad es. di regolare o irregolare, oppure – con riguardo al titolo del soggiorno – di lavoratore, studente, richiedente asilo, ecc.). Eppure, anche stavolta la motivazione non manca di richiamare il TUI, in particolare l’art. 42, a dimostrazione che l’intervento regionale in materia è presupposto e (ancora?) legittimato dallo stesso legislatore statale. La difficoltà di ricomporre in un quadro unitario l’orientamento della Corte deriva proprio dall’uso ambiguo che essa fa delle norme del TUI in merito agli ambiti di competenza regionale, specie residuale. Oltre a confermare la “permeabilità” di quest’ultima di fronte a norme statali espressive di interessi unitari, tale impostazione sembra sottendere l’idea che le leggi regionali che prevedono diritti in favore degli stranieri non eccedono la propria sfera di competenza fintanto che dettano norme non apertamente in contrasto con la disciplina statale della loro «condizione giuridica»62. Ma, stando così le cose, non possiede allora alcun pregio l’interpretazione riduzionistica della materia. Tanto varrebbe che la Corte prendesse espressamente posizione sull’interpretazione della formula, senza ogni volta appiattirla sulla materia «immigrazione»63. L’occasione, in effetti, non le è mancata già dal primo momento. Nella citata sent. 300/2005, come visto, il giudice costituzionale ha condiviso le argomentazioni della Regione resistente, incentrate sul fatto che la legge impugnata si limitava «a prendere atto della presenza di immigrati sul suo territorio e ad affrontare i problemi che ne deriva[va] no esclusivamente nell’ambito delle competenze regionali» senza incidere sulle scelte in ordine alla regolarità del soggiorno, di esclusiva spettanza statale. Tuttavia, ha preferito sorvolare sul significato della locuzione «condizione giuridica dello straniero», ignorando la sollecitazione proveniente da un passaggio della difesa regionale in cui si instaurava un parallelo, in negativo, fra detta condizione e una (non meglio definita) «condizione di cittadinanza»64. Ora, mentre la prima espressione è plausibilmente dotata di un senso normativo (per quanto da accertare), poiché contenuta all’interno di un atto-fonte, peraltro di rango costituzionale, non può dirsi lo stesso della seconda, che resta in buona parte una formula oscu- 61 Nel secondo senso anche F. Biondi Dal Monte, La Corte costituzionale torna sui fondi statali vincolati, con alcune novità in materia di immigrazione, in Le Regioni 3, 2008, spec. 652 ss. 62 V. pure l’adeguamento interpretativo che Corte Cost., sent. 5 aprile 2006, n. 156 compie sulla legge impugnata (l.r. Friuli-Venezia Giulia n. 5/2005, “Norme per l’accoglienza e l’integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri immigrati”) per renderla compatibile con la disciplina nazionale sui permessi di soggiorno. 63 Notazioni critiche sul punto, ma da una diversa prospettiva, anche in D. Strazzari, op. et loc. ult. cit., che imputa alla scelta interpretativa del criterio storico-normativo (dunque, dell’impostazione sottesa al TUI) la mancata distinzione delle materie di cui alle lett. a) e b) dell’art. 117, c. 2. 64 P.to 2 del Rit. fatto. 289 Interventi  Parte II ra. Infatti, se la si intende – come dovrebbe – quale complesso di situazioni giuridiche attive e passive che l’ordinamento collega al godimento dello status di cittadino italiano, allora – per quanto in negativo – la «condizione giuridica» dello straniero dovrebbe possedere analoga estensione e generalità, troncando ogni spazio ad interventi normativi regionali che non siano meramente attuativi di leggi statali65. Se, al contrario, si deve intendere quel paragone come argomento finalizzato a salvaguardare le competenze regionali, allora la supposta «condizione di cittadinanza» deve necessariamente riferirsi, in modo ben più ridotto, alla facoltà di uscire e rientrare nel territorio italiano, circolare al suo interno e soggiornarvi liberamente che è propria solo del cittadino italiano, stante la previsione dell’art. 16 Cost. (come pure lascia intendere, al termine del paragone, la difesa regionale)66. Il chiarimento è dunque mancato e la giurisprudenza è andata avanti sulla lettura che fa delle due materie in esame un blocco unitario. A conti fatti, i casi in cui la legislazione regionale sugli immigrati è stata ritenuta lesiva del riparto costituzionale di competenze riguardano misure riconducibili in modo più o meno diretto alla disciplina dei titoli di ingresso e soggiorno o che incidevano sulla gestione della politica migratoria. Così, è stata dichiarata illegittima la l.p. Bolzano n. 12/2011 (“Integrazione delle cittadine e dei cittadini stranieri”) nella parte in cui fissava i requisiti igienico-sanitari e di idoneità abitativa degli alloggi, oltre che di reddito minimo, necessari per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare e nelle disposizioni concernenti l’attuazione della direttiva europea sull’ammissione dei cittadini extracomunitari a fini di ricerca scientifica67. Inoltre, è stata riconosciuta di pertinenza statale, quanto alla materia «immigrazione», la disciplina sulla regolarizzazione dell’immigrato lavoratore, benché questa riguardasse aspetti indubbiamente concernenti la «condizione giuridica» dello straniero, e a tacere della competenza concorrente su «tutela e sicurezza del lavoro»68. Si è, infine, censurato il rifiuto regionale di istituire sul proprio territorio centri di identificazione ed espulsione per gli immigrati, in contrasto con una scelta statale (art. 14 TUI) strettamente funzionale alla regolazione dei flussi migratori69, ma si è consentito alle Regioni di predisporre servizi 65 Sulla condizione giuridica dello straniero come il «complesso delle situazioni giuridiche che hanno come destinatario o beneficiario lo straniero e che ne individuano e ne definiscono complessivamente la posizione nell’ordinamento italiano», in conformità alle norme internazionali, v. G. D’Orazio, Lo straniero nella Costituzione italiana, Padova 1992, 115. 66 Per comodità del lettore, si riporta per esteso il passo citato: «In particolare per “condizione giuridica dello straniero” non può che intendersi quella costituente il parallelo, in negativo, della condizione di cittadinanza, mentre le scelte di politica regionale di intervento nei singoli settori possono evidentemente avere come destinatari anche gli stranieri, una volta che essi siano regolarmente soggiornanti in Italia, senza modificarne in alcun modo la “condizione giuridica” nel senso voluto dalla Costituzione». 67 Corte Cost., sent. 14 gennaio 2013, n. 2. La normativa europea citata è la Dir. 2005/71/CE del Consiglio del 12 ottobre 2005, relativa a una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica, in GU L 289 del 3 novembre 2005. 68 Corte Cost., sent. 23 maggio 2005, n. 201, su cui v. le notazioni critiche di P. Passaglia, op. et loc. cit. 69 Corte Cost., sent. 12 aprile 2010, n. 134. 290 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… di osservazione e monitoraggio presso detti centri finalizzati a prestare assistenza, dunque in attuazione di proprie competenze in ambito sociale70. 6. I confini (regionali) del welfare : prima i ‘‘nostri’’? Autonomia, si ripete spesso, vuol dire differenziazione (almeno potenziale). La differenza che le Regioni hanno inteso marcare con le loro scelte in tema di diritti e servizi per gli immigrati non si è espressa solo in contrapposizione a politiche statali restrittive e improntate ad una logica emergenziale e “securitaria”, ma ha imboccato anche altre direzioni. Una consolidata e nota giurisprudenza costituzionale, risalente alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso, afferma che il riferimento dell’art. 3, c. 1, Cost. ai «cittadini» non possa essere interpretato letteralmente né isolato dalle norme costituzionali che riconoscono a tutti gli uomini i diritti inviolabili (artt. 2 e 10, c. 2), e vada perciò applicato anche agli stranieri71. Ne derivano due importanti corollari. Anzitutto, il principio di pari trattamento non concerne tutti i diritti previsti nell’ordinamento ma soltanto quelli fondamentali (il che apre ulteriori questioni definitorie in grado di incidere sulla portata di quella estensione)72. In secondo luogo, anche in relazione al godimento di diritti fondamentali, l’equiparazione dello straniero al cittadino è subordinata ad un test di “assimilabilità” delle rispettive posizioni, coessenziale allo statuto logico del principio di uguaglianza formale che legittima (anzi, richiede) trattamenti diversi – anche fra stranieri – in presenza di differenze di fatto73. Pertanto, il legislatore può apprezzare e dare rilievo a dette differenze, purché ciò avvenga secondo valutazioni razionali e non arbitrarie, sottoposte al controllo del giudice costituzionale74. È questo il presupposto delle politiche regionali che saranno adesso analizzate. 70 Corte Cost., sent. 7 luglio 2005, n. 300. Analogamente, è escluso che le leggi regionali possano intervenire sulla tutela legale dell’immigrato per garantire l’effettività del diritto alla difesa in giudizio (in violazione della competenza statale su «giurisdizione e norme processuali»: art. 117, c. 2, lett. l), ma è possibile alle stesse prevedere l’impegno delle istituzioni regionali a facilitare l’accesso dello straniero al godimento delle misure alternative alla detenzione: cfr. Corte Cost., sent. 18 ottobre 2010, n. 299. 71 La prima affermazione in tal senso si ritrova in Corte Cost., sent. 15 novembre 1967, n. 120. 72 Per un recente dibattito sulla problematica definizione del concetto, cfr. Cos’è un diritto fondamentale? (a cura di V. Baldini), Napoli 2017. 73 «[La] riconosciuta eguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarità dei diritti di libertà non esclude affatto che, nelle situazioni concrete, non possano presentarsi, fra soggetti uguali, differenze di fatto che il legislatore può apprezzare e regolare nella sua discrezionalità, la quale non trova altro limite se non nella razionalità del suo apprezzamento». Così, in riferimento agli stranieri, Corte Cost., sent. 19 giugno 1969, n. 104 (p.to 4 del Cons. dir.), che illustra le citate differenze di fatto attraverso il diverso rapporto che cittadini e stranieri intrattengono con il territorio statale, in particolare in relazione alla stabilità del soggiorno e all’allontanamento, concludendo per l’esistenza di una «basilare differenza esistente tra il cittadino e lo straniero, consistente nella circostanza che, mentre il primo ha con lo Stato un rapporto di solito originario e comunque permanente, il secondo ne ha uno acquisito e generalmente temporaneo». 74 In tema, per tutti, v. M. Cartabia, Gli «immigrati» nella giurisprudenza costituzionale: titolari di diritti e protagonisti della solidarietà, in Quattro lezioni sugli stranieri (a cura di C. Panzera, A. Rauti, C. Salazar, A. Spadaro), Napoli 2016, 3 ss. 291 Interventi  Parte II Il punto di partenza di queste riflessioni coincide con una semplice domanda: quale può essere, per il legislatore regionale, un legittimo (ragionevole) criterio di selezione dei destinatari delle proprie politiche, specie in considerazione della limitatezza delle risorse economiche75? Secondo la Corte costituzionale, non certo il possesso della cittadinanza, previsto ad esempio dalla l.r. Lombardia n. 1/2002 (“Interventi per lo sviluppo del trasporto pubblico regionale e locale”) con riguardo al diritto degli invalidi civili totali residenti in Regione di circolare gratuitamente sui mezzi del trasporto pubblico di linea nel territorio regionale76. Il vincolo delle risorse può certo indurre a contenere l’erogazione di servizi e prestazioni anche delimitando la platea dei potenziali destinatari, ma i requisiti in base ai quali operare la selezione – dice la Corte – devono avere una «ragionevole correlabilità» con le condizioni che definiscono la ratio del provvedimento; correlazione nel caso specifico del tutto assente77. Le finalità «eminentemente sociali» che hanno ispirato la legge impugnata – il cui contenuto si raccorda, «sul piano della “causa” normativa, a valori di solidarietà» – impediscono di considerare ragionevole la scelta del legislatore di subordinare l’accesso al beneficio previsto al godimento della cittadinanza italiana, quale requisito aggiuntivo (ritenuto «ultroneo e incoerente») rispetto alla condizione fisica e alla residenza sul territorio regionale. È interessante notare come, senza affrontare la questione del “posto” del TUI nel rinnovato quadro costituzionale delle competenze legislative, la Corte ne richiami comunque il ruolo di «paradigma» nel sindacato di ragionevolezza, individuando nel suo art. 41 una conferma del principio di pari trattamento fra cittadini e stranieri (con regolare permesso di soggiorno almeno annuale) in ordine alla «fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale» previste dall’ordinamento78. Si tratterebbe, per il giudice costituzionale, di un punto di riferimento destinato a sopravvivere anche dopo la riforma del titolo V, quale tertium comparationis per i futuri giudizi su discipline regionali eventualmente derogatorie degli standard fissati a livello statale, discipline sulle quali graverebbe l’onere di indicare una «trasparente e razionale “causa giustificatrice”, idonea a “spiegare”, sul piano costituzionale, le “ragioni” poste a base della deroga»79. 75 Come si intuisce, soprattutto nell’ambito degli interventi di politica sociale (cui corrisponde una responsabilità maggiore di Regioni ed enti locali), la questione dei destinatari è cruciale perché mette in relazione il principio autonomistico con la garanzia dell’eguaglianza territoriale dei diritti e dunque con il principio di unitario. Non potendo approfondire in questa sede il punto, mi permetto di rinviare per maggiori svolgimenti al mio Autonomia regionale, diritto europeo, inclusione sociale, in Diritti regionali 3, 2017, e poi in Autonomie territoriali e Unione Europea. Fonti, istituzioni, diritti (a cura di A. Iannuzzi-A. Morelli-C. Aliberti), Napoli 2018, 615 ss. 76 Corte Cost., sent. 28 novembre 2005, n. 432. 77 La misura disposta (non costituzionalmente obbligatoria ed eccedente i lep, dunque estranea al contenuto essenziale di diritti fondamentali) era diretta ad alleviare, nell’ambito dei servizi di trasporto pubblico locale, la condizione di disagio vissuta da varie categorie di residenti, alcuni dei quali accomunati soltanto dal grado di invalidità riconosciuta. 78 Analogamente avviene con riguardo agli artt. 2 e 3, c. 4, della l. n. 104/1992 (“Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”) in materia di diritti dei portatori di handicap. 79 P.to 5.2 del Cons. dir. Sulla capacità del TUI di esercitare un’influenza generale sulla legislazione regionale, al di là del riparto formale di competenze, v. pure M. Gnes, Il diritto degli stranieri extracomunitari alla non irragionevole discriminazione in materia di agevolazioni sociali, in Giurisprudenza costituzionale 6, 2005, 4689. 292 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… Se ne ricava, una volta di più, il perdurante condizionamento delle norme statali inerenti la «condizione giuridica» dello straniero extracomunitario sulla legislazione regionale80, con due varianti rispetto all’orientamento giurisprudenziale analizzato nel paragrafo precedente. Da un lato, l’influenza è indiretta e debole: non potendo rilevare come “principio fondamentale” nella materia dell’assistenza sociale (ormai assorbita nella competenza residuale) ma solo quale “principio generale” del sistema, la normativa statale entra nello schema ternario del giudizio di eguaglianza senza precludere in assoluto alla Regione di optare per un regime diverso, ma gravandola di un onere di adeguata giustificazione della propria scelta81. Dall’altro, la nozione di «condizione giuridica» dello straniero viene intesa in un senso più ampio e pregnante: il richiamato art. 41 TUI, con ogni evidenza, ha poco a che vedere con i criteri di ingresso e soggiorno dell’immigrato, ma attiene ad un complesso di situazioni giuridiche attive di natura assistenziale che contribuiscono a delineare, appunto, il suo status nell’ordinamento italiano. La sentenza Corte. Cost., 28 novembre 2005, n. 432 si segnala per un ultimo, importante aspetto. In un passaggio della motivazione, si precisa che, a differenza del possesso della cittadinanza, la residenza nel territorio regionale in astratto «appare un criterio non irragionevole» per l’attribuzione di una provvidenza da parte del legislatore regionale, tanto che una successiva decisione rigetta come manifestamente infondata una questione relativa alla presunta violazione del principio di eguaglianza da parte di un’altra legge lombarda (la n. 7/2005, “Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 2000, n. 1”) che subordinava l’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica al fatto che i richiedenti – tutti, senza distinzioni legate al possesso della cittadinanza italiana o europea – risiedessero o lavorassero nella Regione da cinque anni82. In tale occasione, la Corte ribadisce che il criterio della residenza può essere validamente assunto come fattore selettivo nell’assegnazione di benefici sociali, «quando si pone in coerenza con le finalità che il legislatore intende perseguire (Corte Cost., sent. 22 ottobre 1990, n. 493), specie là dove le stesse realizzino un equilibrato bilanciamento tra i valori costituzionali in gioco». Tale ultima decisione, invero, non spicca per chiarezza argomentativa, specie se paragonata alla sentenza precedente. Intanto, all’affermazione di principio sulla «ragionevole correlazione» fra requisito della residenza e finalità della legge non segue alcuna verifica 80 Lo evidenzia, nel suo commento alla decisione, anche M. Cuniberti, L’illegittimità costituzionale dell’esclusione dello straniero dalle prestazioni sociali previste dalla legislazione regionale, in Le Regioni 2-3, 2006, 527 ss., secondo cui «l’autonomia regionale in questo ambito trova un limite invalicabile nelle scelte compiute a livello nazionale al fine di individuare una disciplina uniforme per lo straniero, valida su tutto il territorio nazionale» (p. 529). 81 Il ragionamento dovrebbe, a rigore, valere anche con riguardo allo scrutinio di normative derogatorie statali e non solo regionali (così, pure F. Rimoli, Cittadinanza, uguaglianza e diritti sociali: qui passa lo straniero, in Giurisprudenza costituzionale 6, 2005, 4676 s.). Un implicito accenno in tal senso si trova in Corte Cost., sent. 11 marzo 2013, n. 40 che, nel dichiarare l’illegittimità parziale dell’art. 80, c. 19, l. n. 388/2000 (su cui subito infra), ne ammette la portata «fortemente restrittiva – e per molti aspetti intrinsecamente derogatoria – rispetto alla generale previsione dettata in materia di prestazioni sociali ed assistenziali in favore dei cittadini extracomunitari dall’art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998» (p.to 5 del Cons. dir.). 82 Corte Cost., ord. 11 febbraio 2008, n. 32. 293 Interventi  Parte II nel merito, dandosi per scontato che quel nesso esista. Inoltre, mentre la sent. 28 novembre 2005, n. 432 parla genericamente di residenza, qui si menziona invece la residenza “continuativa”, introducendo di soppiatto nella formulazione giurisprudenziale del principio un elemento che restringe ulteriormente la platea dei beneficiari (non potendo tutti gli stranieri residenti in Regione attestare la continuità richiesta)83. Si giunge, così, ad un punto critico del rapporto fra autonomia regionale e diritti degli immigrati, poiché la scelta di selezionare i destinatari di un intervento in base alla durata della residenza può pure essere dettata dalla necessità di bilanciare opposte esigenze, fra cui l’equilibrio finanziario, ma rischia di generare una discriminazione indiretta vietata anche dal diritto UE, per il quale, come si sa, è centrale la nozione di “residenza” – in luogo della “nazionalità” – per il godimento di molti dei diritti riconosciuti dai Paesi membri ai propri cittadini84. 7. Diritti sociali e residenza legale degli stranieri nella legislazione statale. Nel campo delle prestazioni e dei servizi sociali, cui attiene la legislazione regionale in esame, uno dei principali terreni di intervento della Corte costituzionale ha riguardato negli ultimi anni la norma statale che estende il godimento dell’assegno sociale e delle provvidenze economiche costituenti oggetto di diritti soggettivi ai titolari della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo), nonché consente l’estensione delle altre prestazioni sociali agli stranieri in possesso di permesso di soggiorno almeno annuale85. L’analisi di questo nutrito filone fa emergere alcune costanti utili anche in merito all’esame delle normative regionali. 83 Cfr. pure F. Corvaja, Libera circolazione dei cittadini e requisito di residenza regionale per l’accesso all’edilizia re- sidenziale pubblica, in Le Regioni 3, 2008, spec. 633, che giudica le risposte della Corte, sotto molteplici profili, «del tutto evasive» rispetto alla portata delle questioni sollevate. 84 Per un approfondimento sull’incidenza del diritto e della giurisprudenza UE sulle politiche regionali concernenti gli stranieri, si rinvia per tutti a P. Carrozza, Diritti cit., 117 ss. 85 Art. 80, c. 19, l. n. 388/2000 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge finanziaria 2001”), che individua così – rispetto al precedente art. 41 TUI – un nucleo più ristretto di prestazioni che presuppongono un legame più stabile e duraturo con la comunità di residenza (cinque anni). La disposizione è stata dichiarata illegittima – in relazione alle diverse provvidenze stabilite nella legislazione cui la norma fa rinvio – da Corte Cost., sentt. 29 luglio 2008, n. 306, 14 gennaio 2009, n. 11 e 11 marzo 2013, n. 40 (tutte in materia di indennità accompagnamento e pensione inabilità); 26 maggio 2010, n. 187 (assegno invalidità); 12 dicembre 2011, n. 329 (indennità di frequenza); 27 gennaio 2015, n. 22 e 7 ottobre 2015, n. 230 (indennità per ciechi parziali e per sordi). Nel corso degli anni, la tendenza a restringere i requisiti di accesso si è rafforzata: l’art. 81, cc. 29, 30 e da 32 a 38-ter, d.l. n. 112/2008 (“Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”), conv. in l. n. 133/2008, ha previsto l’erogazione di una carta acquisti per i percettori di basso reddito se cittadini (per l’accentuazione di tale discutibile profilo, non sottoposto all’attenzione della Corte in occasione dei giudizi concernenti tale istituto e definiti da Corte Cost., sent. 11 gennaio 2010, n. 10, sia consentito rinviare a C. Panzera, I livelli essenziali delle prestazioni fra sussidiarietà e collaborazione, in Le Regioni 4, 2010, 956 s.), e si è dovuto attendere ben cinque anni per una parziale correzione di tiro, con l’inclusione dei cittadini europei residenti o loro familiari residenti e degli 294 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… Una prima costante riguarda il requisito della residenza, attraverso cui si esprime il legame che il soggetto stabilisce con una determinata comunità e uno specifico territorio, e grazie al quale assumono rilievo giuridico quei vincoli di reciprocità e solidarietà che uniscono i membri di un corpo sociale. In tale cornice, la Corte ammette che l’erogazione di alcune prestazioni possa essere subordinata «alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata»86. Quale sia, poi, la soglia temporale “sufficiente” a soddisfare tale condizione è oggetto di una valutazione che dipende dal tipo di provvidenza (erogazione economica, servizio, priorità di accesso, agevolazione e così via) e dal settore di intervento (sanità, assistenza, abitazione, istruzione, formazione, avviamento al lavoro, ecc.); soprattutto, è una valutazione che spetta in prima battuta agli organi dello Stato e della Regione democraticamente legittimati, nei limiti stabiliti dall’art. 117, c. 1, della Costituzione87. La seconda costante attiene al giudizio di uguaglianza-ragionevolezza cui anche tali scelte sono sottoposte. Afferma la Corte: «una volta, però, che il diritto a soggiornare alle stranieri extracomunitari lungosoggiornanti (art. 1, c. 216, l. n. 147/2013, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2014”, ma la limitazione ai soli lungosoggiornanti appare irragionevole avuto riguardo all’importanza sociale della prestazione, che la citata sent. 10 non a caso ha ricondotto ai lep); l’art. 20, c. 10, del citato d.l. n. 112 modifica poi la disciplina dell’assegno sociale (art. 3, c. 6, l. n. 335/1995, “Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare”) introducendo per tutti gli interessati il requisito della residenza decennale sul territorio italiano (v. pure infra nel testo); analogamente, sempre il d.l. n. 112 ammette alle agevolazioni previste dal c.d. “piano casa” gli stranieri a basso reddito purché residenti da almeno dieci anni in Italia o da almeno cinque anni nella medesima Regione (art. 11, c. 13, ora dichiarato illegittimo da Corte Cost., sent. 20 giugno 2018, n. 166, per irragionevolezza nonché per violazione di vincoli europei); sempre in favore dei nuclei familiari italiani a basso reddito, l’art. 19, c. 18, l. n. 2/2009 (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale”) ha previsto risorse per il rimborso di spese per pannolini e latte artificiale per i neonati fino a tre mesi (c.d. bonus bebè); infine, l’art. 1, c. 125, l. n. 190/2014 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2015”), estende l’assegno di natalità ai soli stranieri lungosoggiornanti. In relazione a quest’ultima previsione, si segnala peraltro una crescente giurisprudenza di merito (da ultimo, App. Brescia, sez. lav., 30 novembre 2016, n. 444) favorevole alla disapplicazione della norma interna per contrasto con il principio di pari trattamento disposto in favore dei titolari del permesso unico di lavoro dall’art. 12 della direttiva europea sul permesso unico di lavoro (Dir. 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro, in GU L 343/1 del 23 dicembre 2011), interpretazione implicitamente avallata da Corte Cost., ord. 7 marzo 2017, n. 95 e infine confermata da CGUE, Martinez Silva c. INPS e Comune di Genova, causa C-449/16, sentenza del 21 giugno 2017. Nella stessa linea, v. pure la decisione con cui il Consiglio di Stato – in attuazione di CGUE, CGIL e INCA c. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Interno, Ministero dell’Economia e delle Finanze, causa C-309/14, sentenza del 2 settembre 2015 – ha disapplicato la previsione legislativa che imponeva il pagamento di una tassa fra gli ottanta e i duecento euro per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno (art. 5, c. 2-ter, d.lgs. 286/1998): cfr. Cons. St., sez. III, 26 ottobre 2016, n. 4487. 86 Corte Cost., sent. 29 luglio 2008, n. 306 (p.to 10 del Cons. dir.). 87 Nel caso della Regione, la scelta non deve pertanto risultare in contrasto con analoghe valutazioni compiute da superiori livelli di governo (statale o europeo), vincolanti in base alla distribuzione delle materie e/o delle competenze fra i diversi legislatori. 295 Interventi  Parte II condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini»88. Ne deriva, così, che è discriminatorio subordinare la corresponsione di una prestazione assistenziale alla titolarità della carta di soggiorno, per la mancanza di un nesso fra tale ulteriore requisito e la situazione di bisogno che la misura prevista mira a soddisfare. Inoltre, una scelta del genere appare anche intrinsecamente irrazionale perché condiziona al possesso di un certo reddito, necessario per il rilascio della carta di soggiorno, l’accesso ad un beneficio che prescinde dalla condizione economica del richiedente (come l’indennità di accompagnamento) o che assume quel reddito a proprio oggetto (come la pensione di inabilità)89. La terza costante richiama la consolidata distinzione fra prestazioni dirette a soddisfare “bisogni primari” della persona, che sicuramente attengono a diritti fondamentali, e prestazioni eccedenti quel livello90. Già nella decisione che riconosceva la possibilità di selezionare in base alla durata della residenza, la Corte faceva salve le misure «inerenti a rimediare a gravi situazioni di urgenza»91; la posizione si rafforza con le sentenze successive, aventi ad oggetto prestazioni destinate «a far fronte al “sostentamento” della persona»92, ad evidenziare la «indifferibilità e la pregnanza dei relativi bisogni» e a garantire le «condizioni minime di vita e di salute»93. In sintesi, la scelta in ordine alla “durata” della residenza, quale presupposto per accedere a benefici sociali, rientra fra le valutazioni squisitamente politiche su cui la Corte esercita solo un sindacato esterno, in ordine al rispetto del principio di uguaglianza formale (alla luce del diverso trattamento disposto per i cittadini italiani/europei) o della ragionevolezza intrinseca della normativa (in rapporto alla congruità del criterio prescelto rispetto alla ratio legis). Più difficile dire, invece, se e quando la continuità della residenza sul territorio sia eccessiva o sproporzionata “in sé”. Come anche in altre occasioni (si pensi al giudizio sulla social card)94, il giudice costituzionale si astiene qui da una valutazione “quantitativa” nel merito delle scelte legislative, preservando quel difficile ma necessario equilibrio fra controllo giurisdizione e sindacato politico che costituisce la vera essenza della sua funzione95. 88 Corte Cost., sent. 29 luglio 2008, n. 306, loc. cit. 89 Rispettivamente, Corte Cost., sent. 29 luglio 2008, n. 306 e Corte Cost., sent. 14 gennaio 2009, n.11. Sul circolo vizioso generato dall’intreccio di tali condizioni normative, v. B. Pezzini, Una questione che interroga l’uguaglianza: i diritti sociali del non-cittadino, in Annuario 2009. Lo statuto costituzionale del non cittadino (a cura dell’AIC), Napoli 2010, spec. 192 ss. 90 Per una discussione critica di tale risalente indirizzo, v. M. Cuniberti, La cittadinanza. Libertà dell’uomo e libertà del cittadino nella costituzione italiana, Padova 1997, 159 ss. 91 Ancora Corte Cost., sent. 29 luglio 2008, n. 306, loc. cit. 92 Corte Cost., sentt. 26 maggio 2010, n. 187, 12 dicembre 2011, n. 329 e 11 marzo 2013, n. 40. 93 Corte Cost., sentt. 27 gennaio 2015, n. 22 e 7 ottobre 2015, n. 230. 94 Corte Cost., sentt. 11 gennaio 2010, n. 10 e 26 marzo 2013, n. 62. 95 Sulla classica questione, da ultimo, v. Ricordando Alessandro Pizzorusso. Il pendolo della Corte. Le oscillazioni della Corte costituzionale tra l’anima “politica” e quella “giurisdizionale” (a cura di R. Romboli), Torino 2017 e Giurisdizione costituzionale e potere democraticamente legittimato (a cura di D. Butturini-M. Nicolini), 2 voll., Bologna 2017. 296 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… Ciò è dovuto, almeno in parte, anche all’esistenza nell’ordinamento italiano di una pluralità di soglie temporali che dovrebbero presuntivamente riflettere il grado di integrazione sociale raggiunto dallo straniero residente sul territorio (da uno a dieci anni)96. Ed è indicativo che l’aggravamento disposto dal d.l. n. 112/2008 in ordine alla continuità della residenza necessaria per accedere all’assegno sociale (dieci anni)97 sia stato ritenuto non illegittimo in quanto applicabile egualmente a tutti i richiedenti, cittadini e non: la nuova disciplina, secondo la Corte, «appare adottata, piuttosto che sulla base di una scelta di tipo meramente “restrittivo”, sul presupposto, per tutti “gli aventi diritto”, di un livello di radicamento più intenso e continuo rispetto alla mera presenza legale nel territorio dello Stato e, del resto, in esatta corrispondenza alla previsione del termine legale di soggiorno richiesto per il conseguimento della cittadinanza italiana»98. È tuttavia altamente probabile che, rispetto ai cittadini, per gli stranieri la condizione imposta sia ben più onerosa; inoltre, la stessa suscita qualche perplessità in ordine alla (implicita) presunzione di integrazione nella comunità ospitante, che la giurisprudenza europea considera ricorrere – almeno per i cittadini UE – con la residenza legale quinquennale99. Si può allora concludere che l’accesso dello straniero alle prestazioni e ai servizi del welfare, non diretti al soddisfacimento di bisogni primari, esigenze di vita indifferibili o gravi situazioni di urgenza, sia compreso in un ventaglio di possibilità delimitate, in modo piuttosto vago, da una residenza a «carattere non episodico e di non breve durata», da un lato, e da «un livello di radicamento più intenso e continuo», dall’altro. 96 Si consideri, altresì, il discusso istituto dell’«accordo di integrazione» previsto dall’art. 4-bis TUI, inserito dalla citata l. n. 94/2009. 97 Termine raddoppiato in sede di conversione rispetto a quello in origine previsto nel testo del decreto. 98 Cfr. Corte Cost., ordd. 3 luglio 2013, n. 197 e 21 giugno 2016, n. 180 (nonché supra, nt. 85). A ben vedere, il termine di dieci anni di residenza per la concessione della cittadinanza è quello massimo, applicabile in via residuale agli stranieri che non rientrino nelle categorie “privilegiate” indicate dalla l. n. 91/1992 (“Nuove norme sulla cittadinanza”), ovvero: i discendenti in linea retta entro il secondo grado di cittadini italiani per nascita (due anni di residenza se minorenni: art. 4, tre anni se maggiorenni: art. 9, c. 1, lett. a); il coniuge di cittadino italiano (due anni di residenza dopo il matrimonio: art. 5); il cittadino di un Paese membro dell’UE (quattro anni di residenza: art. 9, c. 1, lett. d); lo straniero maggiorenne adottato, lo straniero che presti servizio alle dipendenze dello Stato, anche all’estero, e l’apolide (cinque anni di residenza: art. 9, c. 1, lett. b, c, e); lo straniero nato in Italia, se lo richiede entro un anno dal raggiungimento della maggiore età (ma fino a quel momento deve aver risieduto legalmente e ininterrottamente in Italia: art. 4, c. 2). Sulle proposte di modifica della disciplina attualmente all’esame del Parlamento, v. spec. A. Rauti, Lo ius soli in Italia: alla vigilia di una possibile svolta?, in Rivista AIC 3, 2017, 23 ss. 99 CGUE, Förster c. IB-Groep, causa C-158/07, sentenza dell’8 novembre 2008, ma v. pure le precisazioni di CGUE, Prinz e Seeberger c. Region Hannover e Studentenwerk Heidelberg, cause riunite C-523/11 e C-585/11, sentenza del 18 luglio 2013, §§37-40, in ordine ai fattori sostanziali in grado di attestare l’avvenuta integrazione anche a prescindere dalla durata della residenza. Peraltro, non è da escludere che proprio le aperture della Corte di giustizia in materia di sicurezza sociale siano – insieme alla crisi economico-finanziaria – tra le cause che hanno indotto alcuni Stati a rimodulare i criteri di accesso dei non cittadini a prestazioni e benefici assistenziali, nel malcelato intento di porre un freno agli abusi e limitare il rischio del c.d. “turismo assistenziale”, con un effetto di ritorno anche sulla giurisprudenza comunitaria, attestato dal più restrittivo indirizzo inaugurato da CGUE, Dano c. Jobcenter Leipzig, causa C-333/13, sentenza dell’11 novembre 2014; Jobcenter Berlin Neukölln c. Alimanovic, causa C-67/14, sentenza del 15 settembre 2015; Vestische Arbeit Jobcenter Kreis Recklinghausen c. García-Nieto e al., causa C-299/14, sentenza del 26 febbraio 2016. 297 Interventi  Parte II 8. La ‘‘dimensione regionale’’ delle politiche sociali tra residenza qualificata e discriminazioni indirette. Nei margini di azione consentiti da uno spazio così incerto, dopo la Lombardia altre Regioni sono intervenute, con discipline in materia di servizi sociali ispirate all’obiettivo di conciliare l’esigenza di tagli alla spesa pubblica (per lo più etero-diretti) con una politica selettiva orientata alla residenza protratta per un certo numero di anni, che ha finito spesso per sfavorire proprio i soggetti più vulnerabili della società, soprattutto in quanto ultimi arrivati100. Il contenzioso costituzionale generato da tali leggi restituisce un quadro nel complessivo coerente con quanto finora visto, ma anche qualche novità. In generale, la subordinazione dell’accesso alle misure di assistenza sociale alla durata del soggiorno, anziché alla mera regolarità dello stesso, è ritenuta contraria alla garanzia costituzionale dei diritti fondamentali che spettano alla persona in quanto tale e non al solo cittadino. Il criterio fondato sulla continuità temporale della residenza appare infatti arbitrario perché completamente slegato, in confronto agli altri presupposti della misura (specifiche situazioni di bisogno o disagio personali), dalle finalità solidaristiche dell’intervento assistenziale, rispetto alle quali non è legittimo presumere che, a parità di condizioni personali, la maggiore durata della residenza implichi automaticamente un maggiore bisogno. Su tale presupposto sono state dichiarate illegittime la l.r. friulana n. 24/2009 (“Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale e annuale della Regione – Legge finanziaria 2010”)101, la l.p. di Bolzano n. 12/2011, cit.102, la l.r. calabrese n. 44/2011 (“Norme per il sostegno di persone non autosufficienti – Fondo per la non autosufficienza”)103, la l.r. 100 Sulla sfida che il trattamento riservato da molti ordinamenti dei Paesi avanzati agli “ultimi arrivati” sul loro territorio lancia alla categoria dogmatica dei diritti umani, v. A. Spadaro, I diritti sociali di fronte alla crisi (necessità di un nuovo “modello sociale europeo”: più sobrio, solidale e sostenibile), in Rivista AIC 4, 2011, 5 ss. 101 Corte Cost., sent. 7 febbraio 2011, n. 40. La legge in questione aveva ristretto l’accesso al sistema regionale integrato di servizi sociali modificando la dizione precedente, riferita a «tutte le persone residenti nella Regione», con i soli «cittadini comunitari residenti in Regione da almeno trentasei mesi», risultando così doppiamente limitativa: nei riguardi di tutti i cittadini di Paesi terzi, ma anche verso i cittadini europei – si badi, compresi i cittadini italiani – che risiedessero in Regione da meno tempo (nelle more del giudizio, la Regione aveva poi modificato la normativa, ponendola in linea con le esigenze che poi la Corte specificherà nella sentenza). L’anomalia di discipline interamente ispirate a criteri del genere è resa evidente se si pensa alla situazione paradossale in cui verrebbero a trovarsi quanti, per esigenze lavorative o di altro genere, devono spostare frequentemente la propria residenza da una Regione all’altra: ne conseguirebbe, per gli stessi, la pratica impossibilità di accedere a un qualunque sistema regionale di assistenza sociale, con relativa incisione pure del divieto che l’art. 120, c. 1, Cost. pone alle Regioni di ostacolare la libera circolazione delle persone o l’esercizio del diritto al lavoro sul territorio nazionale. Il rischio accennato è opportunamente messo in rilievo da F. Corvaja, Cittadinanza e residenza qualificata nell’accesso al welfare regionale, in Le Regioni 6, 2011, 1271. 102 Corte Cost., sent. 14 gennaio 2013, n. 2. La legge subordinava l’erogazione agli stranieri extracomunitari delle provvidenze di “natura economica” alla residenza provinciale ininterrotta di almeno cinque anni e consentiva di vincolare quelle eccedenti le prestazioni essenziali anche alla durata della residenza. 103 Corte Cost., sent. 14 gennaio 2013, n. 4. La disciplina calabrese individuava i beneficiari degli interventi finanziati da un apposito fondo per la non-autosufficienza nei residenti in Regione ma, se stranieri, in possesso di carta di soggiorno. 298 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… Trentino-Alto Adige n. 8/2011 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol − Legge finanziaria”)104, la l.p. di Trento 15/2012 (“Tutela delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie e modificazioni delle leggi provinciali n. 19/2010 e n. 29/1983 in materia sanitaria”)105. Ad un esito parzialmente diverso giunge invece la decisione concernente la l.r. friulana 16/2011 (“Disposizioni di modifica della normativa regionale in materia di accesso alle prestazioni sociali e di personale”), intervenuta a modificare la normativa in tema di accesso alle prestazioni sociali erogate dalla Regione106. La legge stabiliva per tutti i richiedenti il requisito della residenza regionale protratta per almeno due anni e, per i soli stranieri extracomunitari che non fossero titolari del permesso di soggiorno o beneficiari di protezione internazionale, della residenza quinquennale sul territorio nazionale. Lo scrutinio del giudice costituzionale sembrerebbe incardinato su binari noti e diretto ad un esito scontato, ma così non è. Il parziale cambio di rotta è annunciato dall’incipit della motivazione sul punto: «Non vi è dubbio che», nei limiti imposti dalla normativa UE e nel rispetto dei diritti fondamentali della persona, «il legislatore possa riservare talune prestazioni assistenziali ai soli cittadini e alle persone ad essi equiparate soggiornanti in Italia, il cui status vale di per sé a generare un adeguato nesso tra la partecipazione alla organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica, e l’erogazione della provvidenza». A questa presunzione assoluta, derivante dal possesso di uno status formale, la Corte aggiunge opportunamente altri elementi sostanziali in grado di far emergere quel nesso fra contributo “dato” alla società (mediante la partecipazione) e contributo “percepito” dalla stessa (in termini di sostegno) che il legislatore può, sempre in via astratta, valorizzare. Infatti, «non è detto che un nesso a propria volta meritevole di protezione non possa emergere con riguardo alla posizione di chi, pur privo dello status, abbia tuttavia legittimamente radicato un forte legame con la comunità presso la quale risiede e di cui sia divenuto parte, per avervi insediato una prospettiva stabile di vita lavorativa, familiare ed affettiva, la cui tutela non è certamente anomala alla luce dell’ordinamento giuridico vigente»107. Ora, resti assorbito nell’attribuzione di uno status giuridico formale o risulti da un radicamento sostanziale effettivo, il centro dell’argomentazione è costituito da quell’adeguato nesso fra contributo individuale e protezione sociale, che diventa un criterio di giudizio nel caso in esame, riempiendo lo spazio della discrezionalità politica che la Corte riconosce 104 Corte Cost., sent. 3 giugno 2013, n. 133. La Regione aveva circoscritto il requisito della residenza “qualifi- cata” (cinque anni), originariamente previsto per tutti, ai soli stranieri extracomunitari, prevedendo per i cittadini italiani la residenza “semplice” (a prescindere dalla durata) e per i cittadini europei l’estensione nei limiti imposti dalla normativa UE di coordinamento. 105 Corte Cost., sent. 1 luglio 2013, n. 172. La normativa subordinava la corresponsione di assegni di cura per persone non autosufficienti alla residenza protratta per tre anni. 106 Corte Cost., sent. 16 luglio 2013, n. 222. 107 P.to 6 del Cons. dir. Il percorso argomentativo è analogo a quello seguito dalla Corte di giustizia nella sentenza Prinz e Seeberger citata retro, in nt. 99. 299 Interventi  Parte II per le prestazioni “eccedenti” quel livello essenziale necessario a garantire il godimento di diritti fondamentali108. Sviluppando le premesse appena viste, la Consulta introduce nel giudizio di ragionevolezza (come congruenza interna fra la condizione prevista dalla legge e la sua ratio) un elemento inedito, ovvero «la rilevanza che assume la dimensione regionale nella concessione o nel diniego di una prestazione sociale». Cosa debba intendersi con tale espressione viene spiegato subito dopo: «La Regione, in quanto ente esponenziale della comunità operante sul territorio, ben può, infatti, favorire, entro i limiti della non manifesta irragionevolezza, i propri residenti, anche in rapporto al contributo che essi hanno apportato al progresso della comunità operandovi per un non indifferente lasso di tempo, purché tale profilo non sia destinato a soccombere, a fronte di provvidenze intrinsecamente legate ai bisogni della persona, piuttosto che al sostegno dei membri della comunità»109. Nell’ambito delle coordinate nazionali del sistema di welfare, necessarie ad assicurare l’erogazione uniforme su tutto il territorio dei livelli essenziali delle prestazioni, ogni Regione può dunque differenziare gli interventi ulteriori/eccedenti caratterizzando così la propria “dimensione” sociale rispetto a quella di altre Regioni. Non si tratta, per la verità, di una rivoluzione. Tutta la giurisprudenza costituzionale sulla clausola dei lep come vincolo all’autonomia regionale ha costantemente sottolineato il magis che le Regioni possono eventualmente prevedere, ciascuna in modo peculiare rispetto alle altre, salvo il controllo di ragionevolezza sulle differenziazioni operate. Per quanto riguarda la posizione degli stranieri, tale controllo – s’è visto – ha sempre avuto sullo sfondo il confronto con il trattamento del cittadino italiano (e, talvolta, anche europeo), portando all’annullamento di normative che, a parità di bisogno e condizioni personali, impedivano attraverso la richiesta di una residenza prolungata solo allo straniero l’accesso al beneficio previsto. Nel caso ora in esame, invece, il trattamento preferenziale che la Corte legittima riguarda i nuclei familiari residenti in Regione da almeno due anni di qualunque nazionalità, cui la Regione si rivolge in modo privilegiato secondo una scelta di politica legislativa – si ribadisce, attinente a prestazioni eccedenti i livelli essenziali – che non appare in contrasto con i princìpi affermati nelle sentenze precedenti (a cominciare dalla n. 306/2008)110. 108 Mentre si ritiene che il requisito della residenza quinquennale, gravante sui soli extracomunitari ed appli- cabile indiscriminatamente a tutte le prestazioni, violi il principio di eguaglianza in quanto «sproporzionata» (anche alla luce dell’art. 41 TUI: p.to 6 del Cons. dir.), in merito alla residenza biennale, richiesta a tutti i potenziali beneficiari, il risultato dipende dalla funzionalizzazione della singola provvidenza ad un bisogno essenziale e primario della persona: secondo la Corte, rientrano in questa ipotesi le misure di sostegno individuale contro la povertà e gli assegni di studio (p.to 7 del Cons. dir.), ma non l’assegno di natalità, le agevolazioni per le locazioni o l’edilizia convenzionata ed agevolata, la carta famiglia e le altre forme di sostegno al reddito familiare, i vouchers lavorativi (p.ti 8-10 del Cons. dir.) 109 P.to 7 del Cons. dir. (c.vi aggiunti). 110 In senso opposto, v. invece la conclusione di D. Monego, La «dimensione regionale» nell’accesso alle provvidenze sociali, in Le Regioni 1-2, 2014, 251 ss., qui evidentemente non condivise. Fra le pronunce ivi citate, infatti, solo Corte Cost., sent. 7 febbraio 2011, n. 40 affronta in termini generali la questione della residenza prolungata come condizione sempre necessaria per accedere ai servizi sociali, che definisce nel senso dell’incostituzionalità senza distinguere provvidenza da provvidenza; tuttavia, come si ricorderà (nt. 101), la legge impugnata escludeva interamente dal sistema di interventi gli stranieri extracomunitari, risultando doppiamente restrittiva. La pronuncia ha dunque considerato in modo unitario i due profili e questo può aver influito sulla decisione finale. 300 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… Non si può certo ignorare che, rispetto alla Corte Cost., sent. 9 febbraio 2011, n. 40, la scelta di svolgere un sindacato puntuale sulla ragionevolezza del criterio adottato, distinguendo prestazione da prestazione, costituisca un elemento di novità. Ma dove sta scritto che il sistema regionale di interventi e servizi sociali possa essere valutato solo “in blocco”, senza scendere nel dettaglio della ratio ispiratrice delle singole provvidenze? Non pare che la giurisprudenza precedente consentisse di spingersi fino a tanto. Semmai, si potrà discutere del corretto inquadramento della singola misura prevista dentro o fuori l’area delle prestazioni essenziali necessarie alla tutela di un bisogno primario111. Oltretutto, non si dimentichi che anche il TUI attribuisce rilievo al radicamento sociale dello straniero (e dei suoi eventuali legami familiari), espresso in termini di durata, in relazione a scelte decisive per la sua permanenza legale sul territorio112. La residenza biennale imposta dalla legge friulana non appare, alla fine, un requisito talmente gravoso da non poter essere adempiuto anche dalla popolazione straniera in difficoltà se non in una sparuta minoranza di casi. Tra l’altro, identica soglia è fissata dalla disposizione del TUI con riguardo all’accesso, a pari condizioni con i cittadini, all’edilizia residenziale pubblica per lo straniero extracomunitario che lavori regolarmente e sia titolare permesso di soggiorno almeno biennale (art. 40, c. 6). Il problema, in discipline del genere, sorge quando la durata della residenza generi una discriminazione in danno agli stranieri (ad esempio, se prevista solo per essi) e/o quando risulti incongruente con la finalità del provvedimento. Le sentenze Corte Cost., 9 febbraio 2011, n. 40 e Corte Cost., 16 luglio 2013, n. 222, risolvono in modo diverso la questione, e si può anche presumere che il collegio fosse internamente diviso sulla soluzione più prudente alla fine prevalsa nella seconda decisione113. Questa, tuttavia, se da un lato ha ribadito l’esistenza nei livelli eccedenti le prestazioni essenziali di un significativo spazio di azione che ciascuna Regione può esercitare in piena autonomia (anche, eventualmente, in senso restrittivo, ma mai irragionevolmente discriminatorio), dall’altro ha implicitamente dettato un limite quando ha affermato che il legislatore regionale, «per sottrarre eventuali restrizioni nell’accesso alle prestazioni sociali ad un giudizio di ineguaglianza e di manifesta irragionevolezza, è tenuto a rivolgere lo sguardo non soltanto, per il passato, alla durata della residenza sul territorio nazionale o locale oltre una soglia temporale minima, ma anche, in prospettiva, alla presenza o all’assenza di indici idonei a testimoniare il legame tendenzialmente stabile tra la persona e la comunità»114. Detto altrimenti: quando le due valutazioni, quella formale (durata della residenza) e 111 Come fa, con apprezzabili argomentazioni, D. Monego, La «dimensione regionale» cit., 258 ss. 112 Ciò avviene, oltre che in materia sociale (supra, § 1), quando ad esempio si tratti di negare il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno (art. 5, c. 5, e art. 9, c. 4), o nei casi in cui si debba procedere alla sua espulsione (art. 9, c. 11, e art. 13, c. 2-bis). 113 Come starebbe a testimoniare il dissenso mascherato del relatore, sostituito da altro giudice per la redazione della motivazione. 114 Punto 6 cons. dir. Va persino oltre P. Carrozza, Diritti cit., 109 s., quando afferma che «non il passato, bensì il presente ed il futuro, e quindi una volontà di residenza e di integrazione, non un fatto storico, dovrebbero costituire il presupposto per l’erogazione di prestazioni sociali!». 301 Interventi  Parte II quella sostanziale (radicamento stabile effettivo), divergono la legge è già “sospetta” di incostituzionalità e non v’è esigenza di equilibrio finanziario che tenga115. Possono essere lette come implicite conferme della ricostruzione proposta due decisioni successive. La prima, relativa ad una disposizione della legge finanziaria campana per il 2011 in tema di sostegno una tantum alla natalità (il c.d. “bonus bebè”, corrisposto alle famiglie residenti in Regione da almeno due anni), ha ritenuto non irragionevole la scelta del legislatore regionale di favorire i nuclei familiari con una presenza stabile sul territorio, trattandosi di misura eccedente le prestazioni essenziali116. La seconda, al contrario, ha considerato invece lesiva del principio di non discriminazione una legge valdostana del 2013 che postulava come requisito di accesso all’edilizia residenziale pubblica (e non quale semplice criterio di preferenza nelle graduatorie) la residenza in Regione «da almeno otto anni, maturati anche non consecutivamente»117. Sebbene la Corte riconosca, in via teorica, una ragionevole giustificazione nell’obiettivo della legge di vincolare la fruizione degli alloggi pubblici ad «un legame stabile con il territorio» (aspetto, questo, messo in rilievo anche dalla Corte Cost., sent. 16 luglio 2013, n. 222)118, la disciplina viene dichiarata illegittima perché «palesemente sproporzionata allo scopo ed incoerente con le finalità stesse dell’edilizia residenziale pubblica, in quanto può finire con l’impedire l’accesso a tale servizio proprio a coloro che si trovino in condizioni di maggiore difficoltà e disagio abitativo»119. 115 Altra questione è se il riferimento al concetto di «legame tendenzialmente stabile» con la comunità, proprio per la sua vaghezza, non rischi di diventare nelle mani del giudice costituzionale un comodo argomento retorico per giustificare valutazioni di irragionevolezza o sproporzionalità della legge regionale non altrimenti motivabili. Si confrontino, ad es., i 5 anni di residenza regionale continuativa previsti dalla legge lombarda salvata da Corte Cost., ord. 11 febbraio 2008, n. 32 (che, si ricorderà, ha ritenuto manifestamente infondata la questione sollevata in relazione all’art. 3 Cost.) e gli 8 anni di residenza regionale anche non continuativa richiesti dalla legge valdostana invece annullata dalla decisione di cui subito si dirà nel testo. 116 Corte Cost., sent. 19 maggio 2014, n. 141, concernente l’art. 1, c. 78, lett. a), della l.r. Campania n. 4/2011 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Campania - Legge finanziaria regionale 2011”). 117 Corte Cost., sent. 11 giugno 2014, n. 168, relativa all’art. 19, c. 1, lett. b), della l.r. Valle d’Aosta n. 3/2013 (“Disposizioni in materia di politiche abitative”). La generalità del requisito cela, secondo la Corte, una discriminazione indiretta: difatti, la violazione dell’art. 3 Cost. è riconosciuta nei confronti di soggetti, (cittadini UE e stranieri lungosoggiornanti) formalmente parificati ai cittadini italiani ma, nei fatti, penalizzati da un requisito per loro più difficile da soddisfare (gli otto anni di residenza regionale), che per di più si somma sia alla semplice residenza biennale sul territorio nazionale cui si riferisce l’art. 41, c. 6, TUI in materia di edilizia residenziale pubblica, che alla residenza legale e ininterrotta di cinque anni, da sé sufficiente ad acquisire il permesso di soggiorno permanente e il corredo di diritti a questo connessi. 118 «L’accesso a un bene di primaria importanza e a godimento tendenzialmente duraturo, come l’abitazione, per un verso si colloca a conclusione del percorso di integrazione della persona presso la comunità locale e, per altro verso, può richiedere garanzie di stabilità, che, nell’ambito dell’assegnazione di alloggi pubblici in locazione, scongiurino avvicendamenti troppo ravvicinati tra conduttori, aggravando l’azione amministrativa e riducendone l’efficacia» (p.to10 del Cons. dir.). 119 P.to 2 del Cons. dir. (c.vo aggiunto). 302 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… 9. Conclusioni. Come emerge chiaramente dal confronto tra le ultime due vicende riportate, sono due i fattori che orientano l’indirizzo della Corte in merito alla “residenza qualificata”: l’inerenza o meno del criterio all’erogazione di una prestazione o servizio essenziale; la congruità della durata richiesta rispetto all’obiettivo perseguito. Non tutti gli interventi di politica sociale – per loro natura selettivi quanto ai beneficiari – reclamano la garanzia dell’eguale godimento fra cittadini e stranieri, che diventa una regola inderogabile solo davanti a prestazioni tese a soddisfare bisogni primari della persona, oggetto di diritti “inviolabili” e “incomprimibili” rispetto ai quali discriminazioni in ragione della nazionalità non sono ammesse e gradazioni sulla base della residenza, semplice o qualificata, tendono ad sfumare (come avviene, ad es., per le cure indispensabili e urgenti o per l’istruzione obbligatoria per i minori, garantite dalla legge agli stranieri comunque presenti alla frontiera o sul territorio)120. Bisogna pertanto distinguere, in ogni analisi del tema, anzitutto fra diritti fondamentali e altri diritti e, in subordine, fra prestazioni essenziali e prestazioni ulteriori relative agli stessi. Solo quando non si tratti di prestazioni essenziali – e, a maggior ragione, quando non siano in gioco diritti “fondamentali” – la durata della residenza nel territorio può assurgere a criterio discretivo per l’individuazione dei potenziali beneficiari di una misura di solidarietà sociale se coerente con la finalità perseguita dal legislatore e non eccessiva o sproporzionata (in modo da non generare discriminazioni indirette). Entro questi limiti, si espande la discrezionalità degli organi di governo di ogni livello e la differenziazione delle normative regionali può divenire sinonimo di vera autonomia politica senza trascendere in puro arbitrio121. V’è un ultimo aspetto che merita di essere sottolineato, ritornando sulla distinzione da cui ha preso avvio l’analisi giurisprudenziale nel § 2. 120 Cfr. l’art. 35, c. 3, e l’art. 38, c. 1, TUI, nonché le normative regionali analizzate supra al § 4. Opportuna- mente, il TUI chiarisce proprio in apertura che «Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti» (art. 2, c. 1). 121 Non sembra tuttavia questa la strada imboccata dalle Regioni Veneto e Liguria con due recenti leggi fortemente restrittive nell’accesso ai servizi sociali: la prima dispone che abbiano un titolo di precedenza nell’ammissione agli asili nido comunali i figli di genitori che risiedano, anche non continuativamente, da almeno quindici anni in Regione o vi svolgano per lo stesso periodo un’attività lavorativa (art. 1, c. 1, l.r. Veneto n. 6/2017, “Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 23 aprile 1990, n. 32”); la seconda subordina la parità di trattamento rispetto ai cittadini italiani ed europei nell’accesso edilizia residenziale pubblica alla circostanza che lo straniero risieda da almeno dieci anni nel territorio nazionale e sia «in regola con la normativa statale in materia di immigrazione» (art. 4, l.r. Liguria n. 13/2017, “Modifiche alla legge regionale 29 giugno 2004, n. 10 e alla legge regionale 3 dicembre 2007, n. 38”), con palese deroga all’art. 41, c. 6, TUI. Com’era prevedibile, la Corte costituzionale le ha dichiarate entrambe illegittime con le sentt. 10 aprile 2018, n. 106 e 107; in particolare sulla seconda pronuncia, v. il commento di A. Rauti, L’accesso dei minori stranieri agli asili nido fra riparto di competenze e principio di eguaglianza. Profili definiti e nuovi spunti dalla giurisprudenza costituzionale, in Osservatorio AIC 3, 2018, 257 ss. 303 Interventi  Parte II La disciplina dei titoli di ingresso e soggiorno (di competenza statale esclusiva) produce, com’è ovvio, dirette conseguenze sull’insieme di servizi e prestazioni (di competenza statale e regionale) cui può avere accesso lo straniero, in misura gradualmente crescente in base alla regolarità del soggiorno e, poi, alla sua durata. Lo straniero in posizione irregolare avrà diritto alle cure urgenti e indifferibili o essenziali e all’istruzione se minorenne, mentre il lungosoggiornante sarà parificato al cittadino in relazione a pressoché tutte le prestazioni erogate dal sistema122. Per restare alla distinzione accreditata, le politiche “di” immigrazione condizionano le politiche “per” gli immigrati, restringendone o ampliandone il raggio di azione. Vale però anche l’inverso: le politiche selettive a livello regionale e locale possono indirettamente incidere sulle condizioni del soggiorno, ad esempio rendendo più difficile per gli extracomunitari l’accesso all’abitazione, che a sua volta costituisce un requisito per ottenere il permesso di soggiorno UE di lungo periodo, oppure aggravando il procedimento diretto ad ottenere l’iscrizione all’anagrafe comunale – quale risvolto del diritto a fissare la propria residenza sul territorio – con verifiche ulteriori e parallele rispetto a quelle richieste dalla normativa statale (concernenti, ad esempio, i requisiti igienico-sanitari dell’alloggio indicato o la pericolosità sociale del richiedente)123. Insomma, la distinzione in parola può essere utile da un punto di vista esplicativo, ma non va spinta troppo in avanti124. C’è però anche dell’altro. Nella misura in cui esprimono una volontà di “chiusura” verso gli stranieri (magari nascosta dietro l’argomento delle risorse limitate), le politiche di residenza regionali e locali aspirano ad essere un mezzo di difesa dei confini fisici e ideali di una determinata comunità, esattamente come lo è il presidio delle frontiere rispetto all’integrità politico-territoriale a livello statale. Una difesa, s’intende, non basata su divieti di ingresso o dimora, ma giocata per lo più nel campo della distribuzione dei benefici sociali che derivano dall’essere parte di quella comunità e, dunque, dal riconoscersi “simili” nella condizione di debolezza patita125. Proprio la drammatica facilità nel considerare l’immigrato uno straniero (un estraneo) 122 A partire dalla giurisprudenza costituzionale, M. Savino ha distinto quattro situazioni possibili (personalissime, bisogni primari, altre prestazioni uniformi, livelli eccedenti l’essenziale) e altrettanti presupposti di accesso (mera presenza sul territorio, regolarità del soggiorno, durata minima della residenza, ulteriori condizioni purché ragionevoli): cfr. M. Savino, Lo straniero nella giurisprudenza costituzionale: tra cittadinanza e territorialità, in Quaderni costituzionali 1, 2017, 60 ss. 123 In argomento, da ultimi e per tutti, cfr. la puntuale analisi di E. Gargiulo, A. Maiorca, Gli stranieri di fronte al diritto di iscrizione anagrafica, in Diritti uguali per tutti? cit., 121 ss., con molti esempi e ult. bibl. Sulle incongruenze della normativa secondaria e della prassi amministrativa in materia, v. poi P. Morozzo della Rocca, La residenza degli stranieri: un diritto speciale, in La Repubblica e le migrazioni (a cura di L. Ronchetti), Milano 2014, 63 ss. 124 Invita ad un suo ripensamento in termini generali, fra gli altri, anche M. Vrenna, Le Regioni di fronte all’immigrazione: linee di tendenza degli ultimi anni, in La governance cit., 425 s. 125 Sulla fragilità della condizione umana come premessa e «orizzonte di senso dei processi di fondazione dello Stato costituzionale liberal-democratico», v. le belle pagine di A. Rauti, La persona umana fra totalitarismo e Stato costituzionale. Prime riflessioni, in Diritto e società 3, 2015, spec. 514 ss. 304 Claudio Panzera Immigrazione e diritti… prima che una persona (un simile, ancorché non assimilato)126 è, a ben vedere, l’errore di prospettiva all’origine di molte delle normative regionali qui esaminate. È dunque bene non ignorare che, al pari dei requisiti di ingresso e soggiorno nel territorio nazionale, anche i criteri di allocazione di beni e utilità comuni possono rivelarsi un efficace strumento di “controllo” della composizione di un gruppo sociale, incoraggiando o scoraggiando i movimenti da e verso certi luoghi127. Ma, allo stesso tempo, bisogna essere consapevoli del fatto che chiunque migra pone una sfida permanente alla legittimazione dei confini, di qualunque genere essi siano, e non è raro che riesca a farli evolvere128. 126 «Pretendere di riconoscere l’immigrato assimilandolo è, in qualche misura, l’ultimo sussulto dell’europacentrismo»: così, P. Carrozza, Diritti cit., 133. 127 Sul punto, E. Gargiulo, Le politiche di residenza in Italia: inclusione ed esclusione nelle nuove cittadinanze locali, in La governance cit., 135 ss. e 153 ss., con richiamo al pensiero di G. Brochmann. 128 V. Calzolaio, T. Pievani, Libertà di migrare. Perché ci spostiamo da sempre ed è bene così, Torino 2016, 68 s. 305 Interventi  Parte II LA TUTELA DELLA PERSONA UMANA NELLA GESTIONE DELLE POLITICHE DI IMMIGRAZIONE. IL PROGETTO RIACE ~ Renato Rolli 1 * ~ Quando si avvicina uno straniero e noi lo confondiamo con un nostro fratello, poniamo fine a ogni conflitto. Ecco, questo è il momento in cui finisce la notte e comincia il giorno. (Paulo Coelho, Il momento dell’aurora, in Come il fiume che scorre, Bompiani, 2006) Le porte possono anche essere sbarrate, ma il problema non si risolverà, per quanto massicci possano essere i lucchetti. Lucchetti e catenacci non possono certo domare o indebolire le forze che causano l’emigrazione; possono contribuire a occultare i problemi alla vista e alla mente, ma non a farli scomparire. (Zygmunt Bauman, Amore liquido, Laterza, 2003) 1. PREMESSA: FENOMENO MIGRATORIO E INQUADRAMENTI GIURIDICI • 2. IL QUADRO NORMATIVO • 3. LE STRUTTURE DI ACCOGLIENZA • 3.1. LA PRIMA ACCOGLIENZA • 3.2 IL SISTEMA DI PROTEZIONE RICHIEDENTI • 3.3. I CAS • 3.4. I CENTRI DI ACCOGLIENZA ESTERNA E IL SOSTEGNO ECONOMICO • 4. IL PROGETTO RIACE IN CALABRIA • 4.1 LA VICENDA DEL SINDACO DI RIACE • ASILO E RIFUGIATI (SPRAR) 5. CONCLUSIONI. 1. Premessa: fenomeno migratorio e inquadramenti giuridici Il diritto internazionale non offre una definizione precisa di immigrazione, ma, ai fini del presente scritto, essa deve essere intesa come il processo di mobilità di uno o più individui che da lo Stato di origine si trasferisce presso uno Stato terzo al fine di risiedervi in via temporanea oppure definitiva 1. * Professore associato di Diritto amministrativo presso l’Università della Calabria. Paper presentato al Convegno su: Immigrazione e diritti fondamentali, Siracusa, 4 maggio 2017. Desidero ringraziare il prof. Francesco Manganaro e la Prof.ssa Anna Romeo per gli incoraggiamenti fornitimi. 1 Non consideriamo, pertanto, le immigrazioni interne, ossia i processi di mobilità che si realizzano all’inter- no del perimetro territoriale di un unico Stato e che non hanno un elemento di internazionalità. 306 Renato Rolli La tutela della persona umana… Le spinte migratorie sono legate a motivazioni economiche, storiche e geografiche e, dettate, fondamentalmente dall’esigenza di cercare di migliorare le proprie condizioni di vita e di benessere. Negli ultimi anni, l’intensificazione dei fenomeni migratori risponde alla necessità di migliorare le proprie condizioni e opportunità professionali, per avere stimoli professionali, ma soprattutto per fuggire da zone di guerra, povertà e carestie dove regnano costanti persecuzioni di tipo sessuale, religioso e politico e crisi economiche molto gravi2. I dati del fenomeno sono allarmanti:sono 178 mila il totale dei migranti soccorsi nel Mediterraneo nel 2016; 47.796 mila i migranti salvati in mare nello stesso anno dalle Organizzazioni non governative, a fronte dei 35.875 mila salvati dalla Guardia Costiera, dei 36.084 mila salvati dalla Marina italianae, infine, dei 13.616 mila salvati da Frontex. Ai fini di una precisa regolazione normativa del fenomeno in discussionesi ritiene opportuno distinguere preliminarmente l’immigrato regolare da quello irregolare. Il primo risiede in uno Stato con un permesso di soggiorno rilasciato dall’autorità competente. L’immigrazione illegale, che può essere definita come immigrazione clandestina o immigrazione irregolare in senso stresso, invece, si sostanzia nell’ingresso/soggiorno di cittadini stranieri in violazione delle leggi di immigrazione del Paese di destinazione, dove si recano senza essere preventivamente autorizzati. Si considera clandestino lo straniero che è entrato in Italia eludendo i controlli di frontiera, ovvero senza regolare visto d’ingresso (quando richiesto), è privo di documenti di identificazione ovvero viene autorizzato ad entrare ma poi non ottiene /richiede il titolo di soggiorno. È considerato irregolare lo straniero che invece non ha i requisiti necessari per la permanenza sul territorio nazionale (es. permesso di soggiorno scaduto e non rinnovato)3 4. L’immigrato – come categoria “normativa” – si distingue dalle seguenti categorie: – Rifugiato: è colui che ha lasciato il proprio Paese e ha trovato rifugio in un Paese terzo. Lo status di rifugiato è una condizione prettamente giuridica, nel senso che può essere acquistato solo a seguito della sussistenza di determinate condizioni. Alla base della ri- 2 In dottrina, di recente, si veda l’interessante volume di C. Amirante, M. Pascali, Alien, Napoli 2015, ove si sostiene che le tragedie legate all’immigrazione clandestina sono spesso lette come imprevedibili accidenti di un sistema altrimenti coerente e perfettamente funzionale. In quest’ottica, il dramma delle migrazioni è trattato – talora del tutto erroneamente – come questione di carattere prevalentemente penalistico anziché come problema sociale, economico e politico di rilevanza internazionale. 3 Può accadere che persone entrate clandestinamente senza presentare le proprie generalità ai controlli di frontiera successivamente sanino sul territorio la loro posizione tramite “sanatorie” o “regolarizzazioni” oppure può succedere anche il contrario, che entrano legalmente sul territorio e rimangono per un tempo superiore al previsto, per poi divenire quindi “irregolari” (“overstaying” cioè soggiornanti oltre il tempo consentito) rischiando l’espulsione. 4 F. V. Paleologo, Note sintetiche sulla situazione del cittadino straniero privo di permesso di soggiorno in Italia, in Progetto Melting Pot Europa, testo reperibile sul sito: www.meltingpot.org/Note-sintetiche-sulla-situazione-del-cittadino-straniero.it 307 Interventi  Parte II chiesta di protezione, vi è il timore di subire persecuzioni per motivazioni politiche, razziali, religiose e legate alla cittadinanza, come previsto dall’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951. – Richiedente asilo: trattasi di colui che, avendo lasciato il proprio Paese di origine, chiede il riconoscimento dello status di rifugiato in un altro Paese. Fin quando non viene adottata una decisione definitiva da parte delle autorità competenti del Paese “ospite”, la persona è richiedente asilo e ha diritto di soggiornare regolarmente in quel Paese anche si vi è giunto sprovvisto di documenti d’identità in maniera regolare, quindi non possono essere definiti clandestini. – Beneficiario di protezione sussidiaria: ai sensi del Decreto legislativo n. 251/2007, è colui nei cui confrontisussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese natio, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno5 e, pertanto, non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese6. – Sfollato interno: si identifica nella persona che ha dovuto abbandonare la propria residenza, il proprio centro abitato a causa di una guerra, di una calamità naturale o per motivi di sicurezza. Dunque, al pari dei rifugiati, anche gli sfollati interni sono civili costretti a fuggire da guerre o persecuzioni. Tuttavia, a differenza dei rifugiati, essi non hanno attraversato un confine internazionale riconosciuto. Pertanto,mentre il rifugiato gode dei diritti previsti nel Paese di destinazione, lo sfollato interno, invece, è ancora sotto la giurisdizione del suo governo nazionale non potendo rivendicare alcun diritto aggiuntivo ed eccezionale rispetto ai cittadini. – Titolare di permesso di soggiorno per motivi umanitari: non si tratta di un rifugiato poiché non è stato vittima di persecuzioni individuali nel Paese di origine, ma necessita comunque di protezione e assistenza sotto il profilo medico, psichico o sociale perché potrebbe subire, in caso di rimpatrio, violenze e maltrattamenti. Questa forma di protezione internazionale prevista dall’Unione Europea viene riconosciuta a chi rischia di subire un danno grave se rimpatriato a causa di una situazione di violenza generalizzata di conflitto. Egli può ottenere la protezione sussidiaria in quanto corre il pericolo di subire torture, condanna a morte o trattamenti inumani e degradanti. 5 Il danno grave definito dal decreto si configura nel caso in cui il richiedente abbia subito una condanna a morte, sia stato vittima di tortura o altra forma di pena o trattamento inumano, abbia subito la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato. 6 Il riconoscimento della protezione sussidiaria consente: il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria della durata di 5 anni; il rilascio del titolo di viaggio per potersi recare all’estero, quando sussistono fondati ragioni che non consentono al titolare di protezione sussidiaria di chiedere il passaporto alla Rappresentanza diplomatica o consolare del Paese d’origine; di ricongiungere la propria famiglia, o effettuare una coesione, in base ai requisiti previsti dalla legge (art. 29 bis d.lgs. 286/98), ma senza dimostrare alloggio e reddito, e con facilitazioni per quanto riguarda i documenti attestanti il legame familiare; accesso all’occupazione; accesso all’istruzione; assistenza sanitaria e sociale (invalidità civile, assegno di accompagnamento, assegno di maternità) a parità coi cittadini italiani. 308 Renato Rolli La tutela della persona umana… – Apolide: si tratta di una persona che non ha la cittadinanza di nessun Paese (Convenzione di New York del 1954 relativa allo status degli apolidi). – Profugo/Profugo Interno: genericamente si intende chi lascia il proprio Paese a causa di guerre, invasioni, rivolte o catastrofi naturali. Un profugo interno non oltrepassa il confine nazionale, restando all’interno del proprio Paese7. 2. Il quadro normativo Il diritto di asilo in Italia è garantito dal comma 3 dell’articolo 10 Cost.8, il quale contiene un evidente richiamo ai principi di libertà e giustizia. Il nostro Paese ha ratificato la Convenzione sullo status dei rifugiati con la legge n. 722/1954 e il Protocollo relativo allo status di rifugiato con legge n. 95/1970. Il diritto di asilo9 è riconosciuto a coloro che hanno lo status di rifugiato sia per le persone che hanno bisogno di protezione sussidiaria sia percoloro che, pur essendo rifugiati propriamente intesi e riconosciuti, necessitano comunque di protezione internazionale in quanto, nell’ipotesi di rimpatrio, correrebbero il rischio di subire la pena di morte, la tortura o altri trattamenti disumani. 7 A. Franchin, Che differenza c’è tra profughi e rifugiati, in Internazionale, 20.06.2013, testo reperibile al sito: www.internazionale.it 8 “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costitu- zione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. La norma costituzionale contiene una riserva di legge assoluta e sancisce una vera e propria pretesa ad essere ammessi nel nostro territorio manifestando una grandissima e importantissima apertura dell’ordinamento costituzionale verso i diritti fondamentali dell’uomo. La riserva assoluta di legge comporta che solo un atto normativo primario si possono specificare le condizioni per l’accoglimento e gli organi competenti, escludendo qualsiasi forma di discrezionalità amministrativa. Tale riserva di legge non solo comporta un divieto per gli organi titolari di potestà regolamentare di intervenire a disciplinare la materia, ma, contestualmente, un invito al legislatore di intervenire in modo da dare attuazione al dettato costituzionale. Proprio la configurazione in termini di pretesa differenzia la situazione dei richiedenti asilo dagli altri stranieri. La tesi prevalente in merito alla natura della stessa, è quella per la quale il richiedente godrebbe di un vero e proprio diritto soggettivo perfetto in considerazione del quale il legislatore non potrebbe introdurre limitazioni allo stesso ma soltanto regolamentarne l’esercizio quanto a presupposti, modalità e vincoli. La valutazione discriminante sull’opportunità di accogliere il richiedente asilo è che questi non possa godere di effettive possibilità di esercitare nel Paese di origine le libertà fondamentali a prescindere dalla loro previsione formale o meno elevando come parametro comparativo il sistema di libertà garantito e tutelato dall’ordinamento italiano e a prescindere da qualsiasi considerazione connessa alla tematica della cittadinanza. Infatti, come ha sostenuto Corte cost., sent. 23 marzo 1968, n. 11 “i soggetti ai quali [...] la Costituzione ha voluto offrire asilo politico [...] devono poter godere, almeno in Italia, di quei fondamentali diritti democratici che non siano strettamente inerenti allo status activae civitatis”. Cfr. S. Cassese, voce, Artt. 10-12, in Commentario alla Costituzione (a cura di G. Branca, A. Pizzorusso), Bologna 1975, 531 ss.; E. Bernardi., voce Asilo politico, in Dig. disc. pubbl., I, 1987, Torino, 421 ss.; E. Cannizzaro, A. Caligiuri, voce Art. 10, in Commentario alla Costituzione (a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti), Torino 2006, 253 ss.; A. Cossiri, voce Art. 10, in Commentario breve alla Costituzione (a cura di V. Crisafulli, L. Paladin, S. Bartole, R. Bin, Padova 2008, 86-87. 9 Il diritto di asilo è oggi previsto sia per i rifugiati veri e propri, come già definiti dalla convenzione di Ginevra ai sensi della quale è considerato rifugiato chi “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese”. 309 Interventi  Parte II La tutela del diritto di asilo, dal punto di vista internazionale, trova il suo fondamento in una serie di documenti di estrema rilevanza: la Convenzione di Ginevra del 1951 e il Protocollo del 1967 in primis. In particolar modo, la Convenzione afferma il cd. principio di non refoulement, secondo il quale nessuno Stato contraente può espellere in nessun modo un rifugiato verso un territorio dove possa essere perseguitato, dove la sua vita e la sua libertà sarebbero minacciate (art. 33). Giova ricordare anche l’art. 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, il quale definisce il diritto di asilo come “diritto di cercare e di godere negli altri Paesi asilo dalle persecuzioni”. Nell’ambito dell’Unione Europea, invece, è il Regolamento UE n.118/2014 (il cd. Regolamento Dublino III), adottato in aggiornamento del precedente Regolamento n. 1560/2003, a disciplinare il diritto di asilo, perseguendo come obbiettivi la limitazione dei movimenti secondari tra gli Stati membri nonché la cooperazione operativa tra le amministrazioni nazionali10. Ma le basi giuridiche che ogni Stato membro deve rispettare nel disciplinare la gestione dei flussi migratori sono contenute agli artt. 77, 78, 79 e 80 TFUE. L’art. 77 TFUE si inserisce nel nuovo spazio di sicurezza, giustizia e di libertà regolato dal Trattato di Lisbona ed è dedicato in particolare alla politica dell’Unione europea in materia di visti e all’attraversamento delle frontiere interne ed esterne da espletarsi evitando ogni forma di discriminazione e di violazione della dignità umana. L’art. 78, di particolare rilievo ai fini del presente lavoro, consta di 3 paragrafi. Nel primo si fa riferimento al compito dell’Unione “di sviluppare una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un Paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento”. Il secondo paragrafo elenca invece i fondamenti giuridici per l’adozione dei nuovi strumenti in materia di asilo, ossia l’adozione di misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa: a) uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di Paesi terzi, valido in tutta l’Unione; b) uno status uniforme in materia di protezione sussidiaria per i cittadini di Paesi terzi che, pur senza il beneficio dell’asilo europeo, necessitano di protezione internazionale; c) un sistema comune volto alla protezione temporanea degli sfollati in caso di afflusso massiccio; d) procedure comuni per l’ottenimento e la perdita dello status uniforme in materia di asilo o di protezione sussidiaria; e) criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo o di protezione sussidiaria; 10 C. Favilli, Immigrazione, in Enciclopedia Treccani, testo reperibile al sito: www.treccani.it 310 Renato Rolli La tutela della persona umana… f) norme concernenti le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo o protezione sussidiaria; g) il partenariato e la cooperazione con Paesi terzi per gestire i flussi di richiedenti asilo o protezione sussidiaria o temporanea. Lo status di rifugiato viene, quindi, sancito essere “valido in tutta l’Unione”. Il terzo paragrafo, infine, recita: “Qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo”. Dall’uso del termine “emergenza”; pertanto,si deduce che questa base potrebbe essere usata in situazioni davvero eccezionali, ancor più gravi che l’afflusso massiccio di cui all’art. 78 par. 2 lett. c). In effetti, a confermare l’eccezionalità del caso, è prevista una procedura speciale, che prevede la sola consultazione del Parlamento europeo, quando, invece, per l’adozione di tutte le altre misure risulta necessaria quella ordinaria (Parlamento Europeo nel ruolo di co-legislatore e maggioranza qualificata in seno al Consiglio)11. L’articolo 79 del TFUE afferma che l’Unione sviluppa una politica comune dell’immigrazione intesa ad assicurare la gestione efficace dei flussi migratori, l’equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell’immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani. L’articolo 80 del TFUE reca il principio di solidarietà ed equa ripartizione dellaresponsabilità (anche sul piano finanziario) tra gli Stati membri nel settore dei controlli alle frontiere, dell’asilo e dell’immigrazione. Sotto il profilonazionale, la normativa di riferimento è altrettanto cospicua. Innanzitutto, occorre sottolineare che attualmente il diritto di asilo rappresenta il punctum dolens di una riforma in atto da parte del nuovo Governo: il Decreto n. 113/2018, in attesa di conversione in legge, infatti, apporta in merito una serie di innovazioni. Ma prima di relazionare sulla disciplina odierna, è bene ripercorrere l’evoluzione, attuatasi nel corso del tempo, della tutela interna riservata al diritto di asilo. La prima legge italiana a riconoscere ai sensi della Convenzione di Ginevra lo status di rifugiato è stata la cd. legge Martelli (L. 39/1990), di cui oggi è rimasto in vigore soltanto l’art.1 sexies e septies, modificato poi dalla legge Bossi – Fini (L. 189/2002). Nel 1998 la Legge Turco – Napolitano (l. n. 40 del 6 marzo) si propose la finalità di raccogliere in una disciplina organica l’intera materia dell’immigrazione dall’estero, determinando, per l’effetto, la nascita del d.lgs. n. 268/1998, contenente il Testo Unico sull’immigrazione ed il relativo regolamento attuativo DPR 394/1999. Nel 2002, in modifica del suddetto Testo Unico, venne emanata la già citata Legge Bossi – Fini (L. n. 189/2002), prevedendo l’integrazione dell’art. 1 della legge n. 39/90, introducendo, agli artt. 31 e 32, rilevanti novità: a) il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (il cd. SPRAR), coordinato dal Sistema centrale, attivato dal Ministero 11 Art. 78 TFUE – Scheda, in AE, testo reperibile sul seguente sito: www.asiloineuropa.it 311 Interventi  Parte II dell’Interno ed affidato all’ANCI; b) il Fondo Nazionale per le Politiche ed i Servizi dell’Asilo (FNPSA); C) sette Commissioni Territoriali (attualmente sono 10 per l’effetto di intervenute modifiche successive); d) la Commissione Nazionale e la sua Sezione speciale, detta “Stralcio” (ormai sciolta), per le domande presentate precedentemente alla data del 21 aprile 2005. In particolar modo, il SPRAR si fonda sull’esperienza del Piano Nazionale Asilo (PNA), un piano finalizzato alla formazione di una rete di accoglienza in favore dei richiedenti asilo e alla realizzazione di interventi a sostegno dell’integrazione dei rifugiati. La Legge Bossi – Fini ha coordinato il diritto d’asilo fino al 2008, anno in cui sono entrati in vigore due decreti legislativi: il d.lgs. 251/200712 (c.d. Decreto qualifiche), adottato in attuazione della direttiva europea n. 2004/83/CE, e il d.lgs. 25/2008 (cd. Decreto procedure), adottato in attuazione della direttiva europea n. 2005/85/CE e successivamente modificato dal Decreto legislativo 3 ottobre 2008 n. 159 e dalla Legge 24 luglio 2009 n. 9413; decreti che hanno modificato le normative e introdotto importanti novità14. Secondo la normativa richiamata, i richiedenti Protezione Internazionale hanno diritto a soggiornare sul territorio italiano per tutta la durata della procedura di riconoscimento, in condizioni di accoglienza dignitosa. Quando il trattenimento del richiedente asilo non è accordato, la Questura rilascia al richiedente, entro 3 giorni dalla presentazione della domanda, un attestato nominativo che certifica la condizione di richiedente asilo. Infine, entro 20 giorni dalla presentazione della domanda, gli viene rilasciato il permesso di soggiorno per richiesta di asilo. Quando invece è disposto il trattenimento del richiedente asilo, la Questura rilascia un attestato nominativo che certifica la sua qualità di richiedente asilo presente nel centro di identificazione CID (centro di permanenza temporanea e assistenza). Nel quadro normativo così delineato assumono un rilievo centrale le Commissioni Territoriali per il Riconoscimento della Protezione Internazionale. Si tratta di autorità 12 L’art. 5 del d.lgs. n. 251/2007 (“Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribu- zione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonchè norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta”) identifica come responsabili della persecuzione o del danno grave lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio o ancora i soggetti non statuali, se i responsabili, comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione, ai sensi dell’art. 6 comma 2, contro persecuzioni o danni gravi. 13 Per un esauriente excursus storico, per tutti, G. Moschella, La parabola dei diritti umani nella legislazione italiana sull’immigrazione, in Immigrazione e diritti fondamentali: fra Costituzioni nazionali, Unione Europea e diritto internazionale (a cura di S. Gambino, G. D’Ignazio), Milano 2010, 481 ss. 14 L’art. 2, comma 1, lettera G) e H) del d.lgs. n. 251/2007, conformemente a quanto previsto anche dall’art. 2, comma 1, lett. F) e G) del d.lgs. n. 25/2008 (“Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato”), definisce “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno, come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese. 312 Renato Rolli La tutela della persona umana… amministrative (attualmente presso le Prefetture delle città di Milano,Ancona, Bologna, Verona,Trieste,Torino, Brescia,Firenze,Roma, Foggia, Caserta, Bari,Lecce, Cagliari, Crotone, Siracusa, Trapani, Catania e Palermo, ciascuna competente per un distinto ambito geografico) che operano in modo collettivo, e sono composte da quattro membri: un funzionario della carriera prefettizia che esercita anche le funzioni di presidente, un rappresentante della Polizia di Stato, un rappresentante delle autonomie locali e un rappresentante designato dall’UNHCR, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Queste Commissioni possono riconoscere lo status di rifugiato, lo status di protezione sussidiaria, respingere la domanda di protezione o dichiararne l’infondatezza. Tali organismi possono respingere la domanda dello straniero in presenza di gravi motivi di carattere umanitario non considerati dalla vigente normativa idonei per l’accesso alla protezione internazionale ma comunque che costituiscono un ostacolo a un immediato rientro dell’interessato in patria. Nello stesso tempo le Commissioni possono trasmettere gli atti al Questore territorialmente competente, per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Alla base del sistema amministrativo costituito dalle Commissioni Territoriali è posta la Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo. La Commissione Nazionale ha “compiti di indirizzo e coordinamento delle commissioni territoriali, di formazione e aggiornamento dei componenti delle medesime commissioni, di raccolta di dati statistici oltre che poteri decisionali in tema di revoche e cessazione degli status concessi”15. Ma ulteriori e più recenti modifiche sulla disciplina in esame sono intervenute con il d.lgs. n. 142/2015, adottato in attuazione della direttiva 2013/33/UE, sulle norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. Di seguito, le principali novità: a) le misure di accoglienza, dal punto di vista spaziale, si applicano ai richiedenti protezione internazionale presenti sul territorio nazionale, comprese le frontiere, le zone di transito e le acque territoriali; dal punto di vista temporale, tali misure trovano applicazione dal momento in cui il soggetto interessato manifesta la volontà di usufruire della protezione internazionale (art. 1); 15 Nello specifico, la Commissione svolge i seguenti compiti realizzazione ed al continuo aggiornamento di un centro di documentazione sulla situazione socio-politica economica dei paesi di origine dei richiedenti asilo; redazione e aggiornamento di linee guida per la valutazione delle domande di asilo e all’adozione di un codice di condotta per i componenti, per gli interpreti e per il personale di supporto delle Commissioni territoriali e pubblica annualmente un rapporto sulle attività svolte dalla Commissione medesima e dalle Commissioni territoriali; collaborazione, nelle materie di competenza, con altri organismi istituzionali nazionali ed internazionali; all’organizzazione di periodici corsi di formazione ed aggiornamento per i componenti e per il personale di supporto delle Commissioni Territoriali; all’aggiornamento di una banca-dati informatica contenente informazioni utili al monitoraggio del fenomeno delle richieste di asilo nel nostro paese; a fornire, ove necessario, informazioni al presidente del Consiglio dei Ministri per l’eventuale adozione del provvedimento di cui all’art. 20, c.1, del T.U. sull’immigrazione e la condizione dello straniero in Italia. Le decisioni delle Commissioni Territoriali per il Riconoscimento della Protezione internazionale e quelle in materia di cessazione e revoca degli status adottate dalla Commissione Nazionale per il diritto di asilo possono essere impugnate innanzi ai Tribunali ordinari, alla Corte di Appello e alla Cassazione. 313 Interventi  Parte II b) il richiedente protezione internazionale beneficia di un permesso di soggiorno di durata pari a 6 mesi, rinnovabile, il quale permette di svolgere attività lavorativa per 2 mesi dal momento di presentazione della richiesta. Dal momento di presentazione della domanda, e contestualmente alla sua verbalizzazione, il richiedente ha diritto al rilascio di una ricevuta costituente permesso di soggiorno a carattere provvisorio (art. 4); c) la Questura può fornire al richiedente un documento di viaggio quando in presenza di gravi ragioni umanitarie ne viene richiesta la presenza in un altro Stato (art. 4, co.5); d) il richiedente nella domanda di beneficio di protezione internazionale deve dichiarare obbligatoriamente un domicilio (art. 5); e) Nel caso in cui, a seguito di una valutazione caso per caso legata a precedenti dichiarazioni o attestazioni false sulle proprie generalità, sussista un rischio di fuga il richiedente protezione internazionale viene trattenuto, purché non si leda la dignità dello stesso (artt. 6 e 7)16; f) Si disciplina il sistema di accoglienza nella sua triplice fase del soccorso, prima accoglienza e seconda accoglienza (artt. 8, 9, 11 e 14); g) Misure di assistenza particolari per persone vulnerabili (ad es. minori non accompagnati, vittime della tratta di essere umani, etc.) (art. 17)17. Recentemente importanti modifiche intervenute sul testo del d. lgs 28/2008, sono state introdotte dal cd D.l. Minniti, ora Legge n. 46 del 2017. Il D.L. in questione, pur avendo come fulcro centrale la riforma del sistema amministrativo e giudiziario dei procedimenti in materia di protezione internazionale, in realtà modifica altre disposizioni non tutte relative alla materia della protezione. Sono istituite 26 sezioni specializzate presso i Tribunali di: Ancona, Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Caltanissetta, Campobasso, Catania, Catanzaro, Firenze, Genova, L’Aquila, Lecce, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Potenza, Reggio Calabria, Roma, Salerno, Torino, Trento, Trieste e Venezia. Viene regolata sia la competenza ratione materiae sia la competenza ratione loci. L’art. 6 della L. 46/2017 prevede nuove misure per semplificare e rendere più efficienti le procedure innanzi alle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione 16 In particolare, l’art. 6 postula che il trattenimento, disposto dal questore tramite atto scritto e motivato, avvenga unicamente nei CIE, finché ne sussistano i motivi e per il tempo strettamente necessario ad esaminare la domanda di protezione internazionale (due mesi, prorogabili di altri tre e di un altro mese in casi eccezionali; misure triplicate in caso di manifesta infondatezza della domanda). Esso è applicabile a tutti i richiedenti protezione internazionale i quali: abbiano commesso un grave crimine di diritto comune al di fuori dei confini italiani, un crimine contro l’umanità, contro la pace o di guerra; siano già stati colpiti da provvedimento di espulsione; siano fondatamente sospettati di favorire organizzazioni terroristiche; possano rappresentare un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica; sussista un fondato rischio di fuga. (F.Casella, Sintesi del d.lgs. n. 142 del 18 agosto 2015: il Sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, alla luce delle più recenti novità legislative, in Avviso pubblico, testo reperibile sul sito: www.avvisopubblico.it) 17 Associazione per Gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, Scheda breve sul Decreto Legislativo 18 Agosto 2015 n. 142, 01.10.2015, 1 e ss. 314 Renato Rolli La tutela della persona umana… internazionale con alcune modifiche al d.lgs. 25/2008 e, segnatamente, all’art. 11 in tema di notificazione degli atti delle commissioni territoriali e della Commissione nazionale, ed all’art. 14, inerente il verbale dell’audizione in CT. Viene innovata la disciplina delle notificazioni, prevedendo diverse modalità a seconda che il destinatario – richiedente protezione sia accolto, trattenuto oppure né beneficiario di misure di accoglienza né soggetto a detenzione amministrativa negli appositi centri. Si prevede, inoltre, la possibilità di videoregistrare il colloquio del richiedente e trascritto in lingua italiana. Dal punto di vista processuale, particolarmente rilevante è l’abolizione del secondo grado di merito per le cause in materia di protezione internazionale, e il mutamento del rito: dal rito sommario di cognizione si è tornati al rito camerale, con un contradditorio solo cartolare, all’esito del quale il Tribunale competente, in composizione collegiale, decide entro 4 mesi dalla proposizione del ricorso, emanando un decreto non reclamabile ma ricorribile entro 30 giorni dalla comunicazione della cancelleria18. Ai fini del presente scritto, non si può non considerare il D.L. 113/2018 (cd. Decreto immigrazione e sicurezza), su cui già è intervenuto il voto di fiducia e la cui conversione in legge è prevista per il 07/12/2018. Il decreto si compone di tre titoli: il primo – quello che più interessa in questa sede – si occupa di riforma del diritto d’asilo e della cittadinanza, il secondo di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata; e l’ultimo di amministrazione e gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia. Ebbene, già dal primo articolo si carpisce la pesante portata innovatrice del decreto de quo, apportando nuove disposizioni in materia della concessione dell’asilo e prevedendo di fatto l’abrogazione della protezione per motivi umanitari, prevista dal Testo unico sull’immigrazione (L. 286/98). Oggi la legge prevede che la questura conceda un permesso di soggiorno ai cittadini stranieri che presentano “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”, oppure alle persone che fuggono da emergenze come conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in paesi non appartenenti all’Unione europea. La protezione umanitaria può essere riconosciuta anche a cittadini stranieri che non è possibile espellere perché potrebbero essere oggetto di persecuzione nel loro Paese (articolo 19 della legge sull’immigrazione) o in caso siano vittime di sfruttamento lavorativo o di tratta. In questi casi il permesso ha caratteristiche differenti. La durata è variabile da sei mesi a due anni ed è rinnovabile. Questa tutela è presente in Italia nel 1998, come già evidenziato in precedenza19. 18 G. Savio, La legge 13 aprile 2017 n. 46 recante disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale – Prime riflessioni interpretative, in Associazione per gli Studi Giuridici, 3 e ss. 19 Nel 2017 in Italia sono state presentate 130mila domande di protezione internazionale: il 52 per cento delle richieste è stato respinto, nel 25 per cento dei casi è stata concessa la protezione umanitaria, all’8 per cento delle persone è stato riconosciuto lo status di rifugiato, un altro 8 per cento ha ottenuto la protezione sussidiaria, il restante 7 per cento ha ottenuto altri tipi di protezione. 315 Interventi  Parte II Con il decreto Salvini questo tipo di permesso di soggiorno non potrà più essere concesso dalle questure e dalle commissioni territoriali, né dai tribunali in seguito a un ricorso per un diniego. Sarà introdotto, invece, un permesso di soggiorno per alcuni “casi speciali”, cioè per alcune categorie di persone: vittime di violenza domestica o grave sfruttamento lavorativo, per chi ha bisogno di cure mediche perché si trova in uno stato di salute gravemente compromesso o per chi proviene da un Paese che si trova in una situazione di “contingente ed eccezionale calamità”. È previsto infine un permesso di soggiorno per chi si sarà distinto per “atti di particolare valore civile”. Modifiche vengono apportate anche in merito al trattenimento:l’articolo 2 del decreto prevede che gli irregolari possono essere trattenuti nei Centri per il rimpatrio, che hanno sostituito i Cie, e in altri luoghi fino a un massimo di 180 giorni. Ad oggi, il limite è di 90 giorni20. All’articolo 6 è previsto lo stanziamento di più fondi per i rimpatri: 500 mila euro nel 2018, un milione e mezzo di euro nel 2019 e un altro milione e mezzo nel 2020. Il decreto estende la lista dei reati che comportano la revoca dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria: saranno inclusi anche i reati come violenza sessuale, produzione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti, rapina ed estorsione, furto, furto in appartamento, minaccia o violenza a pubblico ufficiale. La domanda potrà inoltre essere sospesa quando il richiedente abbia in corso un procedimento penale per uno dei reati che in caso di condanna definitiva comporterebbe il diniego dell’asilo. Inoltre, se il rifugiato tornerà nel paese d’origine, anche temporaneamente, perderà la protezione internazionale e quella sussidiaria. Il Sistema per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati (SPRAR), il sistema di accoglienza ordinario che è gestito dai comuni italiani, sarà limitato solo a chi è già titolare di protezione internazionale o ai minori stranieri non accompagnati. Sarà quindi ridimensionato e cambierà nome. L’articolo 13 del decreto prevede che i richiedenti asilo non si possano iscrivere all’anagrafe e non possano quindi accedere alla residenza21. 3. Le strutture di accoglienza Il sistema di accoglienza in Italia opera su due livelli: prima accoglienza, che comprende gli hotspot e i centri di prima accoglienza, e seconda accoglienza, il cosiddetto SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). 20 Redazione TPI, Decreto immigrazione: cosa prevede il piano del Ministro Salvini, in TPI News, 06.11.2018, testo reperibile sul sito: www.tpi.it 21 A. Camilli, Cosa prevede il decreto Salvini su immigrazione e sicurezza, in Internazionale, 24.09.2018, testo repe- ribile sul sito: www.internazionale.it 316 Renato Rolli La tutela della persona umana… 3.1. La prima accoglienza La prima accoglienza ha le funzioni di garantire ai migranti primo soccorso, di procedere con la loro identificazione, di avviare le procedure per la domanda di asilo. Dovrebbero essere, in teoria, procedure veloci, per poi assegnare i richiedenti asilo ai progetti SPRAR, ossia alla seconda accoglienza. Essa viene svolta in centri collettivi dove i migranti appena arrivati in Italia vengono identificati e possono avviare, o meno, le procedure di domanda di asilo. Gli hotspot sono centri dove vengono raccolti i migranti al momento del loro arrivo in Italia. Sono il luogo in cui ricevono le prime cure mediche, vengono sottoposti a screening sanitario, vengono identificati (fotosegnalati) e possono richiedere la protezione internazionale. Ad oggi gli hotspot sono quattro: Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Taranto. Dopo una prima valutazione, i migranti che fanno domanda di asilo vengono trasferiti (in teoria entro 48 ore) nei centri di prima accoglienza (noti anche come hub regionali), dove vengono trattenuti il tempo necessario per individuare una soluzione nella seconda accoglienza. Il sistema basato su hotspot e centri di prima accoglienza ha sostituito il precedente sistema basato su sigle che dobbiamo ormai considerare superate: i vari CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza), CDA (Centri di Accoglienza) e CARA (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo)22. Un’altra transazione, dovuta alla riforma Minniti – Orlando, è quella da CIE a CPR: istituiti nel 1998 dalla legge sull’immigrazione Turco Napolitano (art. 12 della legge 40/1998), i Centri di Permanenza Temporanea, poi denominati CIE (Centri di identificazione ed espulsione) dalla legge Bossi Fini (L 189/2002), e infine rinominati C.P.R. (Centri di Permanenza per i Rimpatri) dalla legge Minniti-Orlando (L 46/2017), non sono altro che strutture detentive dove vengono reclusi i cittadini stranieri sprovvisti di regolare titolo di soggiorno. Con la conversione in legge del decreto Minniti Orlando del 17 febbraio 2017, n. 13, il termine per il trattenimento di 30 giorni (art. 14 comma 5 del T.U. 286/1998) «è prorogabile di ulteriori 15 giorni, previa convalida da parte del giudice di pace, nei casi di particolare complessità delle procedure di identificazione e di organizzazione del rimpatrio»23. Ciononostante, spesso, a causa degli intensi ed incontrollati flussi migratori la prima accoglienza si è rivelata non sufficiente a tutelare i soggetti beneficiari (richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione sussidiaria e internazionale), pertanto, sempre più spesso è stato necessario l’intervento del sistema di secondo livello. 22 F. Colombo, Il sistema di accoglienza dei migranti in Italia, spiegato per bene, in Le Nius – Si legge come si scrive, 02.08.2017, testo reperibile sul seguente sito: www.lenius.it 23 Cosa sono i C.I.E. (Centri di Identificazione ed Espulsione), rinominati dal decreto legge 13/2017 C.P.R. (Centri di Per- manenza per i Rimpatri), in Progetto Melting Pot Europa, testo reperibile sul seguente sito: www.meltingpot.org. 317 Interventi  Parte II 3.2. Il sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) Una volta transitati dagli hotspot e dai centri di prima accoglienza, i richiedenti asilo vengono assegnati alla seconda accoglienza, entrano cioè a far parte del programma SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Anche se, essendo il programma SPRAR di piccole dimensioni, e ospitando anche rifugiati e titolari di protezione sussidiaria e umanitaria, di fatto i richiedenti asilo che arrivano in Italia vengono sempre più dirottati sui CAS, su cui ci soffermeremo nel prossimo paragrafo. Lo SPRAR indica la rete degli enti locali che accedono alle risorse del fondo nazionale per le politiche e si servizi di asilo per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata agendo in modo tale da creare un dibattito tra tutte le istituzioni che sono coinvolte in siffatti progetti24 (la cd. accoglienza integrata). Negli alloggi del sistema SPRAR sono inseriti, abbiamo detto, soprattutto rifugiati e titolari di protezione sussidiaria o umanitaria, che possono restare nel progetto per sei mesi, prorogabili di altri sei mesi, durante i quali sono accompagnati a trovare una sistemazione autonoma. I richiedenti asilo invece restano per tutto il tempo necessario alla risoluzione della loro pratica, cioè fino a quando non ricevono la risposta, affermativa o negativa, rispetto alla loro domanda di asilo. Se ricevono una risposta negativa, ossia il diniego della protezione internazionale, devono lasciare il sistema SPRAR. 24 La Questura ha un ruolo principale nella procedura per il riconoscimento della protezione internazionale. Avvia la procedura per la determinazione dello Stato competente, decide sulle misure di accoglienza o trattenimento e rilascia un attestato nominativo che certifica la qualità di richiedente o, a seconda dei casi, un permesso di soggiorno valido per tre mesi, rinnovabile. La Prefettura è l’ufficio territoriale del Governo (UTG). Per quanto riguarda gli interventi relativi all’ accoglienza e assistenza di richiedenti e titolari di protezione internazionale la prefettura è deputata a: farsi carico della prima assistenza ai richiedenti; valutare l’insufficienza dei mezzi di sussistenza del richiedente; verificare la disponibilità dei posti di accoglienza, anche all’interno dello SPRAR; procedere alla segnalazione al Servizio Centrale dello SPRAR; trasferimento delle persone presso le strutture di accoglienza individuate; comunicare alla competente questura e alla Commissione territoriale la struttura di accoglienza, presso la quale la persona è trasferita; emanare l’eventuale provvedimento di espulsione. La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale è l’organo preposto a esaminare la domanda del richiedente, sulla quale decide in base alla documentazione ricevuta dalla questura, al materiale prodotto dall’interessato, all’audizione con il richiedente. 25 Per favorire l’accoglienza vi è una previa segnalazione al Servizio centrale con le dovute informazioni quali i dati anagrafici e la nazionalità, il permesso di soggiorno o l’attestato nominativo, i riferimenti dell’ente segnalatore da contattare, al fine di attivare le procedure necessarie. Si procederà alle valutazioni delle segnalazioni ricevute in base al profilo della persona e alla disponibilità dei posti di accoglienza in modo da stilare e inviare una comunicazione formale al referente dell’ente titolare del progetto, al soggetto segnalatore e alla rispettiva Prefettura competenza. Entro le 48 ore successive a ricevimento della suddetta comunicazione la persona deve essere trasferita. L’accoglienza deve durare sei mesi prorogabili nell’ipotesi in cui non sia stato completato il processo di accoglienza integrata. L’autorizzazione alla proroga deve provenire dal Ministero dell’Interno ed è concessa per circostanze dettagliatamente motivate in relazione al contesto socio-economico. Per la proroga occorre una relazione sociale dove vengono descritti i servizi erogati e un programma di uscita dall’accoglienza, che indichi in modo preciso e puntuale le motivazioni che spingono a ritardare il periodo di permanenza e gli interventi che si intendono attuare. Il Servizio Centrale provvede a rispondere a ogni singola richiesta, sia nel caso si conceda l’autorizzazione, sia in caso contrario. L’uscita dal progetto può avvenire per abbandono volontario, allontanamento per decisione unilaterale del progetto, per scadenza di soggiorno, per mutamento delle condizioni socio-economiche del soggetto e per rimpatrio volontario assistito. L’uscita deve essere registrata 318 Renato Rolli La tutela della persona umana… Rileva, nell’ambito di questo sistema, il Servizio centrale di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali che svolge una funzione di coordinamento gestito dall’Unione nazionale dei Comuni italiani. L’intero Servizio cura la formazione e l’aggiornamento degli operatori affinché le esperienze dei territori si conoscano e i servizi offerti garantiscano standard di qualità e costante aggiornamento. L’obiettivo principale del sistema è favorire il recupero e l’autonomia da parte di questi individui favorendone una partecipazione attiva in modo da promuoverne l’inserimento sociale25. Un ruolo decisivo è quindi svolto dagli enti locali i quali garantiscono interventi di accoglienza integrati ai richiedenti asilo26. Un contributo fondamentale è altresì offerto da operatori altamente formati che curano percorsi formativi e di riqualificazione professionale per promuovere l’inserimento lavorativo e personale. Tra le varie attività svolte vi è quella dell’accompagnamento sociale tale da favorire la conoscenza del territorio e l’integrazione sociale. Vengono organizzati anche corsi d’italiano e assicurata la frequenza scolastica obbligatoria. I servizi27 forniti nell’ambito dello SPRAR devono essere uguali e non dar adito a forme discriminatorie, devono essere universali in quanto devono consentire a queste persone di ricostruire la propria capacità di scelta e autosufficienza riacquistando la propria potenzialità e individualità. nella banca dati del Servizio centrale con l’indicazione delle cause. Può esserci anche la revoca dovuta la violazione grave o ripetuta delle regole del progetto di accoglienza, all’abbandono del centro di accoglienza da parte del richiedente protezione internazionale, senza preventiva e motivata comunicazione alla Prefettura competente e all’accertamento della disponibilità da parte del richiedente del possesso di mezzi economici sufficienti. Il responsabile/referente della struttura di accoglienza in ogni caso deve dare comunicazione con nota scritta al responsabile del progetto per l’ente locale titolare del progetto SPRAR. L’ente locale con ulteriore nota trasmette alla Prefettura competente una relazione sui fatti che possano dare avvio all’eventuale procedura di revoca. In caso di revoca delle misure di accoglienza del titolare di una forma di protezione internazionale e umanitaria, il rappresentante dell’ente locale emana l’atto formale di revoca, attraverso una determinazione unilaterale di allontanamento dal progetto SPRAR. Nella valutazione della possibilità di revoca, si ci deve basare sempre su presupposti individuali e corrispondenti alle condizioni personali del diretto interessato. 26 Gli enti locali devono assolvere anche compiti tali da garantire l’orientamento e l’accompagnamento nel dialogo con gli attori istituzionali preposti alle diverse fasi delle procedure; l’orientamento e l’informazione legale sulla normativa italiana ed europea in materia d’asilo; l’orientamento e l’accompagnamento riguardo le procedure burocratiche amministrative; l’informazione sulla normativa italiana in materia di ricongiungimento familiare, il supporto e l’assistenza all’adempimento della procedura; l’informazione sui diritti e i doveri sanzionati dall’ordinamento italiano; l’informazione sui programmi di rimpatrio assistito e volontario; il supporto a tutti gli attori istituzionali delegati al funzionamento delle attività amministrative nella costante conoscenza del fenomeno presente sul territorio; orientamento legale anche in merito a questioni non connesse alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale. 27 In base alla capacità ricettiva e all’organizzazione adottata, si possono individuare differenti tipologie di strutture: appartamenti e centri collettivi di piccole dimensioni (circa 15 persone). Gli appartamenti e i centri collettivi di piccole dimensioni risultano essere la tipologia di strutture più funzionale alla realizzazione degli obiettivi propri dello SPRAR. Essi si caratterizzano per una graduale auto-organizzazione dei beneficiari e per un conseguente intervento esterno degli operatori. La scelta di questa tipologia di struttura permette di bilanciare l’esigenza di garantire misure di assistenza e di protezione della singola persona con quella di favorirne contestualmente il percorso verso la riconquista della propria autonomia. Vi sono centri collettivi di medie dimensioni (fino a 30 persone) e centri collettivi di grandi dimensioni (oltre le 30 persone). 319 Interventi  Parte II Nel portare avanti questi progetti, occorre tener conto della “storia” di ogni singola persona, del contesto culturale e politico di provenienza. Particolare cautela e attenzione deve essere prestata a chi è particolarmente vulnerabile e necessita di assistenza psico-fisica: rilevano, allora, sensibilità e le capacità di ascolto dei singoli operatori28. 3.3. I Centri di Accoglienza Straordinaria L’inefficienza del sistema SPRAR, derivante soprattutto dalle poche adesioni provenienti dagli enti comunali, lo ha reso inadeguatorispetto al sempre più crescente bisogno di accoglienza delle centinaia di migliaia di richiedenti asilo in Italia. Pertanto, sono stati introdotti i CAS (Centri di Accoglienza Straordinari), che ormai – a dispetto della denominazione – rappresentano la modalità ordinaria con cui vengono inseriti i migranti. Tali centri sono concepiti come strutture temporanee da aprire nel caso in cui si verifichino “arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti” (D. lgs 142/2015, art. 11) che non sia possibile accogliere tramite il sistema ordinario. I CAS possono essere gestiti in modalità accoglienza collettiva o accoglienza diffusa. L’accoglienza collettiva comprende strutture anche di centinaia di persone, dove trovano collocamento diversi servizi: hotel, bed & breakfast, agriturismi, case coloniche. L’accoglienza diffusa avviene invece in appartamento e, seppur con meno garanzie di qualità rispetto agli appartamenti inseriti nello SPRAR, risulta comunque in un impatto più sostenibile sul territorio in cui viene attuata. Come gli SPRAR, anche i CAS vengono finanziati con il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo e vengono assegnati tramite gare d’appalto basate su una retta giornaliera29 per ciascun utente. In teoria, dovrebbero rappresentare delle strutture temporanee per i richiedenti asilo, in attesa di accedere al sistema SPRAR, ma, nei fatti, i beneficiari restano nei CAS per tutta la durata del loro asilo30. 3.4 I centri di accoglienza esterna e il sostegno economico La cd. accoglienza esterna concerne quelle modalità di tutela dell’immigrato da parte di una struttura terza – non facente parte del progetto territoriale – che per caratteristiche strutturali è più idonea a tutelare e assistere i beneficiari. 28 L’operatore legale deve sapere principalmente quali attività può svolgere direttamente e quali, invece, siano da delegare ad altri esperti non necessariamente nel gruppo di responsabili del progetto. Gli spettano i seguenti compiti: messa a punto del fascicolo personale del richiedente o del titolare di protezione internazionale; accostamento del beneficiario nella preparazione al colloquio con la Commissione territoriale; gestione dei rapporti con gli attori istituzionali; adempimento delle pratiche burocratiche (per esempio, compilazione di moduli e/o modelli presso differenti uffici); guida alla tutela giurisdizionale. 29 La retta indicativa riconosciuta agli enti gestori è di 35 euro a persona accolta al giorno, ma ogni prefettura può modificare la base d’asta di partenza, alzando o abbassando la retta. Anche qui, circa 1,5 – 3 euro al giorno sono destinati al pocket money per i richiedenti asilo. 30 F. Colombo, Il sistema di accoglienza cit. 320 Renato Rolli La tutela della persona umana… Accanto alle forme di assistenza “strutturale” il sostegno alle persone immigrate può essere offerto anche economicamente per mezzo del c.d. pocket money, ossia di un contributo in denaro che viene erogato al singolo beneficiario – anche in rapporto alla composizione del proprio nucleo familiare – per sostenere le spese di prima necessità e non. Tale forma di assistenza consente di acquisire una maggiore consapevolezza della valuta e testare direttamente il costo della vita. È possibile differenziare l’importo qualora, dopo un primo periodo di accoglienza e a seguito di verifiche congiunte sull’andamento del progetto personalizzato, siano raggiunti alcuni degli obiettivi prefissati. 4. Il progetto Riace in Calabria La particolare e delicata posizione geografica della Regione Calabria ha esposto la stessa all’intensificarsi di fenomeni migratori31. A tal fine, la Giunta regionale calabrese ha approvato la Legge regionale n. 18/200932 per supportare l’immigrazione e l’intera Regione si è dotata di un Tavolo tecnico per la programmazione del Piano regionale sull’immigrazione; si è dotata, inoltre, di un progetto interdipartimentale che lavora alla costruzione di un disegno omogeneo e di cooperazione di interventi preposti, da una parte,a rimuovere condizioni di eventuale disparità tra cittadini locali e cittadini di Paesi terzi; dall’altra, impegnato a creare condizioni e progetti di accoglienza e residenzialità sul nostro territorio. Il caso Riace (progetto Riace) che qui si esamina è di dirompente portata, oltre che di notevole interesse giuridico e socio/culturale. In particolare, Riace, un paesino della provincia di Reggio Calabria, ha dato vita a politiche di sostegno all’immigrazione nel tentativo di assicurarne una gestione il più possibile razionale ed efficiente. Dal 2004 ad oggi Riace è stato al centro di innovative politiche di accoglienza degli immigrati33. 31 Già nel 1998 sbarcano sulle coste riacesi 220 Curdi, si decise all’epoca di ristrutturare 20 case dello spopola- to centro storico, per offrire una sistemazione adeguata ai rifugiati. Nel centro storico si creò un sistema di ospitalità diffusa con lo scopo di intrecciare ospitalità e antichi mestieri, integrazione e creazione di opportunità di lavoro per i riacesi. Grazie all’associazione “Città futura” i migranti appena sbarcati venivano ospitati nelle vecchie case abbandonate dai proprietari. Nei centri di accoglienza SPRAR nel 2003 vi erano 1.356 posti, si è passati a 3.000 posti del bando del 2010, ai 7.823 del 2013, agli oltre 22.961 del 2014 con aumenti percentuali direttamente proporzionali all’entità degli sbarchi di questi ultimi anni. La rete SPRAR in Calabria è passata dai nove progetti del 2010 agli oltre 50, compresi anche i progetti per minori non accompagnati (MSNA). Il numero di persone accolte è passato dai 180 del 2010 a oltre 1890 di oggi, e la loro presenza è omogenea in tutto il territorio regionale: infatti 13 sono in provincia di Catanzaro, 12 a Cosenza, 7 a Crotone,14 a Reggio Calabria,4 a Vibo Valentia. 32 La finalità è quella di sostenere “progetti in favore di comunità interessate da un crescente spopolamento o che presentino situazioni di particolare sofferenza socio-economica che intendano intraprendere percorsi di riqualificazione e di rilancio socio-economico e culturale collegati all’accoglienza dei richiedenti asilo, dei rifugiati e dei titolari di misure di protezione sussidiaria o umanitari”. 33 Riace è un comune di 1.726 abitanti della provincia di Reggio Calabria, noto per il ritrovamento, nel 1972, dei famosi Bronzi di Riace, due statue di bronzo di provenienza greca pervenute in un eccezionale stato di 321 Interventi  Parte II Sono circa 150 gli immigrati accolti dalla popolazione locale che – supportati da politiche sociali – sono stati inseriti nel mondo del lavoro, contribuendo allo sviluppo dell’economia del borgo grazie al Programma nazionale asilo e ai fondi. Oggi, i nuovi abitanti di Riace, provenienti da ben 25 Paesi, hanno trovato un’abitazione, un ambiente accogliente e, molti, un’occasione di lavoro anche grazie alla collaborazione di persone ivi residenti, nonché grazie a tutta una serie di progetti gestiti da cooperative (raccolta differenziata e la realizzazione di un parco urbano come attrazione turistica). Opportunità che permettono alle persone di sostenersi regolarmente senza rimanere imbrigliati nella rete della criminalità organizzata. L’unico strumento di mantenimento del Progetto sono i fondi stanziati dal Ministero degli Interni (35 euro pro capite per ogni rifugiato facente parte del progetto SPRAR). Essi sono necessari per la creazione di laboratori, per la ristrutturazione delle case e per permettere ai rifugiati di poter fare la spesa nel modo più autonomo possibile. Nel 2011, per rispondere ai ritardi dei finanziamenti da parte del Ministero, è stata “inventata” la moneta di Riace (il bonus). I commercianti locali e gli immigrati usano i BONUS in attesa dei finanziamenti: questi potranno poi essere convertiti in euro una volta arrivati i finanziamenti direttamente in comune. Nel 2016, lo si ricorda, sono più di 800 gli immigrati accolti dalla comunità locale tale da essere considerata un vero e proprio ‘Paese dell’accoglienza’. 4.1. La vicenda del Sindaco di Riace L’accoglienza degli stranieri che caratterizza la cittadina di Riace, secondo quanto accaduto in questi giorni, sembrerebbe, tuttavia, essere sfociata ben oltre le “colonne d’Ercole” della legalità. Ebbene, il Sindaco di Riace, Domenico Lucano, è stato sottoposto ad arresto da parte della Guardia di Finanza, attraverso l’operazione “Xenia”, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta di rifiuti. Sono, invece, caduti i capi di accusa concernenti malversazione, truffa ai danni dello Stato e concussione, ipotizzati inizialmente dalla Procura di Locri. conservazione proprio a duecento metri dalle coste di Riace Marina. Dal 2004, grazie alle politiche di accoglienza apprestate dalla amministrazione comunale il paese e in particolare il centro storico ormai spopolato hanno concesso ospitalità a oltre 6mila richiedenti asilo provenienti da venti diverse nazioni, integrandoli nel tessuto culturale cittadino e inserendoli nel mondo del lavoro del piccolo borgo, ridando di fatto alla città di Riace una nuova vita. Il tutto è iniziato nel 1998, con lo sbarco di duecento profughi dal Kurdistan a Riace Marina. L’associazione Città Futura (dedicata al parroco siciliano Don Giuseppe Puglisi, ucciso dalla mafia) ha deciso di aiutare i migranti appena sbarcati dando loro a disposizione le vecchie case abbandonate dai proprietari, ormai lontani dal paese. Grazie alle sue politiche di inclusione, il primo cittadino di Riace è riuscito a dare ospitalità non solo ai rifugiati (ora 400 in tutto il paese), ma anche a tutti gli immigrati irregolari con diritto d’asilo, mantenendo in vita servizi di primaria importanza come la scuola e finanziando il piccolo comune con micro attività imprenditoriali legate all’artigianato. L’integrazione dei migranti è assicurata da circa settanta mediatori culturali assunti dal comune e facenti parte del sistema Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), nato proprio per proporre, oltre le misure di assistenza e di protezione ai singoli beneficiari, il processo di integrazione sociale ed economica di cui Riace si fa promotrice. 322 Renato Rolli La tutela della persona umana… A quanto si è appreso, il provvedimento cautelare è la conseguenza delle indagini coordinate e dirette dalla Procura della Repubblica di Locri in merito alla gestione dei finanziamenti erogati dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Reggio Calabria al Comune di Riace per l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo politico. L’inchiesta era partita su segnalazione della Prefettura di Reggio Calabria, in seguito a un’ispezione conclusasi con esito negativo, anche se, in realtà, un secondo controllo aveva completamente ribaltato l’esito del precedente e si era concluso con una valutazione estremamente positiva ad esaltazione del modello Riace. Al centro delle contestazioni, due strumenti – le borse lavoro e i bonus – con cui in paese si ovviava ai ritardi nell’erogazione dei fondi e si strutturava un modello diverso di accoglienza e integrazione. Di quelle accuse, si evince dal provvedimento del gip, nel provvedimento cautelare non è rimasto nulla. Ma le indagini della Guardia di finanza avrebbero invece portato alla luce le forzature, a detta dei magistrati, fatte da Lucano nella concessione di documenti e nell’affidamento della raccolta rifiuti34. In particolar modo, dalle indagini, scrivono gli inquirenti, sarebbe emerso come Lucano avesse architettato degli “espedienti criminosi, tanto semplici quanto efficaci”,volti ad aggirare la disciplina prevista dalle norme nazionali per ottenere l’ingresso in Italia di migranti, organizzando veri e propri matrimoni di convenienza tra cittadini riacesi e donne straniere, al fine di favorire illecitamente la permanenza di queste ultime nel territorio italiano35. Attualmente Lucano si trova agli arresti domiciliari. L’arresto ha smosso gli animi dei più: molteplici le manifestazioni organizzate in diverse città italiane in solidarietà del Sindaco di Riace, il quale sarebbe colpevole soltanto di aver manifestato “umanità” ed accoglienza nei confronti del “diverso”. 5. Conclusioni A parere di chi scrive, indipendentemente dalla vicenda Lucano, Riace rimane il modello attuativo per eccellenza del cd. principio di non respingimento di cui all’art. 78 TFUE, rappresentante la base giuridica per ogni intervento normativo in materia di immigrazione. Lailleceità della condotta di chi ricopre pro tempore la carica di Sindaco non può essere sufficiente ad offuscare lo spirito di una intera popolazione che manifesta spontaneamente e, spesso, anche personalmente alla quanto più possibile benevole accoglienza verso chi fugge dai propri Paesi in cerca di un futuro migliore; uno spirito collettivo che si conforma perfettamente ai più rilevanti principi voluti dal legislatore costituzionali, quali la solida- 34 A. Candito, Riace, il sindaco Lucano arrestato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, in La Repubbli- ca.it, 02.10.2018, testo reperibile sul sito: www.repubblica.it 35 Di cosa è accusato il sindaco di Riace Domenico Lucano, in Agi Cronaca, 02.10.2018, testo reperibile sul seguente sito: www.agi.it/cronaca/migranti_accusa_sindaco_riace_domenico_lucano-4438172/news/2018-10-02/ 323 Interventi  Parte II rietà, l’uguaglianza, la libertà e la dignità della persona, all’indomani delle barbarie razziali che aveva portato con sé la Seconda Guerra mondiale. Riace continua, nonostante tutto, a dimostrare come la protezione agli stranieri e, nella specie, dei richiedenti asilo cui all’art. 10 Cost. di evidente ispirazione internazionale36 che include implicitamente un vero e proprio “catalogo di diritti” 37 ad essi estensibili, inveri perfettamente con il disposto costituzionale cui all’articolo 2 Cost 38. La citata disposizione, sancendo l’inviolabilità della persona umana39 – sia come singolo sia nelle formazioni sociali – nella sua dimensione valoriale “impone allo Stato un obbligo generale di tutela dei diritti inviolabili dell’uomo [assicurandogli]l’effettivo esercizio delle libertà democratiche40 garantite dalla Costituzione italiana” 41. A Riace si è avuto modo di organizzare e predisporre precipue forme di tutela non solo in un’ottica garantista, ma anche e soprattutto, in funzione dello sviluppo della persona umana e dei suoi valori42. Del resto, la tutela dei richiedenti asilo è un’ulteriore fenomenologia del principio personalista. Il principio in parola, legandosi strettamente agli artt. 1 e 3 Cost., pervade l’intero ordinamento non solo a livello statale, ma anche a quello territoriale43 e che esclude si possa negare la salvaguardia e la garanzia dei diritti inviolabili a chi non è cittadino in 36 Anche per spunti giurisprudenziali sovranazionali cfr. S. Perez, La tutela del migrante nella giurisprudenza delle Alte Corti Europee, in www.dirittifondamentali.it, 2015. 37 L. Ciaurro, I diritti fondamentali dello straniero, in Federalismi, Focus Human rights 2, n. 17, 2013, 44, reperi- bile sul seguente sito: www.federalismi.it 38 Infatti, il riconoscimento delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili non può avere come discrimine lo status di cittadino e non cittadino in quanto “la presunzione di determinare e distinguere, nella sua essenza e consistenza, il contenuto di una libertà in funzione della condizione di cittadino del soggetto privato che ne è l’astratto destinatario sembrerebbe possedere scarsa congruenza, […] se riguardata – tale impostazione – alla stregua del centralissimo disposto rappresentato dall’art. 2 Cost., in cui destinatario dei diritti inviolabili appare, in maniera inequivoca, l’uomo in quanto tale, a prescindere da quella relazione di appartenenza che dello status civitatis è elemento costitutivo”. In questi termini, P. Stancati, Disciplina multilivello dello status libertatis del non cittadino con particolare riferimento al concorso del parametro internazionale con i presidi di garanzia costituzionali: note critiche e ricostruttive, in Op. cit., (a cura di S. Gambino, G. D’Ignazio), 345. 39 Infatti, suddetta norma “muove dall’idea della rispondenza a natura umana delle libertà garantite ai cittadini dalla Costituzione italiana e offre asilo in Italia a colo che impediti in tali libertà nel loro paese non abbiano una situazione di diritto positivo o di fatto rispondente a quella ideale garantita ai cittadini dalla Costituzione italiana”. Così avvertiva C. Esposito, voce Asilo (diritto di), in Enc. dir., vol. III, Milano 1958, 222. 40 ... “esse debbono essere considerate, ai fini del riconoscimento del diritto di asilo, in primo luogo nel loro porsi come sistema le una rispetto alle altre, ma anche nel loro tripartirsi in libertà c.d. politiche, libertà c.d. civili e libertà c.d. economiche, nonché, da ultimo, nel loro specificarsi in ciascuna singola ed enumerata libertà democratica garantita dalla Costituzione italiana. E ciò in quanto vi è fondato motivo di ritenere che anche l’effettivo impedimento dell’esercizio di una sola di esse possa, in situazioni particolari e da verificarsi caso per caso, incidere in maniera particolarmente intensa e qualificata sulla situazione esistenziale e personale di uno straniero che chiede il riconoscimento del diritto di asilo”, Benvenuti, M., voce Asilo (diritto di), II, in Enc. giur., Roma 2007, 5. 41 Sul punto, P. Caretti, I diritti fondamentali, Torino 2011, 95. 42 Cfr. A. Barbera, voce Art. 2, in Commentario alla Costituzione, cit. (a cura di G. Branca, A. Pizzorusso), 90. 43 G. Di Cosimo, voce Art. 10, in Commentario breve alla Costituzione, cit. (a cura di V. Crisafulli, L. Paladin, S. Bartole, R. Bin), 10. 324 Renato Rolli La tutela della persona umana… “considerazione della dignità 44 umana quale valore che qualifica tutte le libertà costituzionali, indicandone il fine ed il punto di approdo” 45. Infatti, sebbene la disposizione costituzionale non faccia espresso riferimento ai diritti dello straniero, essa va letta secondo un’ottica estensiva intendendola come principio universale riferito alle persone in sé, senza distinzioni di status, persone comprensive degli stranieri che giungono nel nostro Paese anche in modo irregolare, alla luce del principio personalista e di quello di uguaglianza46. Negli ultimi anni, il diritto di asilo ha subito profondi ridimensionamenti in quanto è stato ridotto a mera componente delle politiche di gestione e controllo del più generale fenomeno immigratorio47 con conseguente depotenziamento delle tutele ad esso connesse. E così, “a tale confusione s’è accompagnata la prospettazione di una serie di specifiche forme internazioni di tutela umanitaria caratterizzate da temporaneità e da un minor grado di tutela. [...]. Al contempo, al fine di renderle più veloci epiù selettive, si sono riformate le procedure per il riconoscimento della condizione di esiliante/rifugiato, ora sempre più amministrativizzate e caratterizzate da una sensibile riduzione delle possibili tutele giurisdizionali e della sempre maggior diffusione di ipotesi di ibernamento del richiedente” 48. Orbene, nell’attuale disciplina sui richiedenti asilo si rinvengono (per lo meno) quattro criticità. In primo luogo si evidenziano “lacune, discordanze e sovrapposizioni, in virtù della molteplicità di livelli ordinamentali interessati – quello costituzionale in primis, quello internazionale e quello dell’Unione Europea – e della loro adozione, nonostante la recente emersione del fenomeno immigratorio in tutta la sua consistenza, in anni anche lontani”.49 La legge n. 39 del 1990, sebbene richiama nella rubrica l’asilo politico, ha ristretto le ipotesi di riconoscimento dello status di rifugiato operando sulle fasi preliminari, di filtro, prevedendo delle ipotesi di irricevibilità della domanda50. 44 In tema si v. ex plurimiis A. Ruggeri, Appunti per una voce di Enciclopedia sulla dignità dell’uomo, in www.dirit- tifondamentali.it, 2014. 45 Si veda, E. Rossi, voce Art. 2, in Commentario alla Costituzione, cit., (a cura di R. Bifulco, A. Celotto., M. Olivetti, 48. 46 Su questo si v. F. Scuto, Contrasto all’immigrazione irregolare e tutela dei diritti fondamentali: un equilibrio non ancora raggiunto, in Op. ult. cit. (a cura di S. Gambino, G. D’Ignazio), 587 ss. 47 La problematica non riguarda soltanto gli immigrati ‘adulti’, ma concerne anche quelli cc. dd. di “seconda generazione” comprendenti i figli degli immigrati arrivati fin da piccoli nel nostro Paese rispetto deve cercarsi di assicurare una tutela ancor più pregnante vista la tenera età. In argomento cfr. M. Capesciotti, Su alcune novità legislative e giurisprudenziali in tema di seconde generazioni dell’immigrazione, in Rivista Aic, 1/2014. In generale si v. il “dossier”su “Immigrazione” con una serie di rilevanti contributi ad ampio raggio reperibile su Rivista Aic al seguente sito www.rivistaaic.it, 2010. 48 Cfr. G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali. L’esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee, Napoli 2007, 178. 49 Così M. Benvenuti, La protezione internazionale, in Rivista Aic all’interno della Sezione “Immigrazione” 1, reperibile sul seguente sito: www.rivistaaic.it, 2010. 50 Non è consentito l’ingresso nel territorio dello Stato dello straniero che intende chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato quando, da riscontri obiettivi da parte della polizia di frontiera, risulti che il richieden- 325 Interventi  Parte II Si appalesa una profonda inadeguatezza normativa e procedure troppo lunghe51. In secondo luogo, una ulteriore criticità è prevista nella Legge n. 189 del 2002 nel momento in cui equipara l’allontanamento non autorizzato del richiedente alla rinuncia alla domanda d’asilo: trattasi di un’ipotesi che limita la libertà personale sottoponendo “lo stesso diritto ad una intollerabile fictio iuris, con tutto quel che ne consegue in ordine alla irrinunciabilità strutturale e congenita del diritto in questione, derivante dalla sua natura di diritto costituzionale della persona” 52. In terzo luogo, vi è l’impossibilità del richiedente asilo di essere assistito da un avvocato durante la fase di audizioni delle commissioni territoriali le quali ormai hanno assunto un ruolo monopolistico nella gestione delle pratiche migratorie53 avverso le decisioni delle commissioni e di tutela giurisdizionale dell’asilo, la riforma del 2002 sembra svilire il ruolo dell’autorità giudiziaria e lasciare ampi margini di azione all’autorità amministrativa54. Infine, occorre segnalare il degrado delle condizioni con cui gli immigrati versano nei diversi centri di accoglienza, purtroppo spesso teatro di stupri e infiltrazioni della criminalità a causa della inefficienza dei controlli da parte delle pubbliche autorità. Alla luce di quanto esposto, occorre sposare una nuova concezione di cittadinanza55 la quale non deve essere più identificata nell’appartenenza allo Stato-nazione territorialmen- te: a) sia stato già riconosciuto rifugiato in altro Stato. In ogni caso non è consentito il respingimento verso uno degli Stati di cui all’articolo 7, comma 10; b) provenga da uno Stato, diverso da quello di appartenenza, che abbia aderito alla convenzione di Ginevra, nel quale abbia trascorso un periodo di soggiorno, non considerandosi tale il tempo necessario per il transito del relativo territorio sino alla frontiera italiana. In ogni caso non è consentito il respingimento verso uno degli Stati di cui all’articolo 7, comma 10; c) si trovi nelle condizioni previste dall’articolo 1, paragrafo F, della convenzione di Ginevra; d) sia stato condannato in Italia per uno dei delitti previsti dall’articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale o risulti pericoloso per la sicurezza dello Stato, ovvero risulti appartenere ad associazioni di tipo mafioso o dedite al traffico degli stupefacenti o ad organizzazioni terroristiche. 51 Sulle procedure si consenta il rinvio a v. R. Rolli, Immigrazione e giurisdizione, in Op. ult. cit. (a cura di S. Gambino, G. D’Ignazio), 553 ss. Di recente la disciplina è stata razionalizzata con la recentissima approvazione della l. 46/2017 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante“Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”. 52 Da ultimo, per questi aspetti, si veda M. Benvenuti, Il diritto di asilo nell’ordinamento costituzionale italiano, Padova 2007, 156. 53 … “di tendenza alla delocalizzazione dei controlli all’immigrazione ed al contrasto dell’irregolarità migratoria” parla G. Bascherini, A proposito delle più recenti riforme in materia di trattenimento dello straniero Nei centri di identificazione ed espulsione, in Rivista Aic 1, 2012, 11. 54 Infatti, laddove venga respinta la domanda del richiedente asilo, entro cinque giorni può essere presentata una domanda di riesame. In questo caso la commissione territoriale, integrata da un componente della Commissione nazionale per il diritto di asilo, procede, entro dieci giorni, al riesame delle decisioni su richiesta adeguatamente motivata dello straniero di cui è disposto il trattenimento in uno dei centri di identificazione di cui all’articolo 1-bis, comma 3. La richiesta va presentata alla commissione territoriale entro cinque giorni dalla comunicazione della decisione. L’eventuale ricorso avverso la decisione della commissione territoriale è presentato al tribunale in composizione monocratica territorialmente competente entro quindici giorni, anche dall’estero tramite le rappresentanze diplomatiche. Il ricorso non sospende il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale; il richiedente asilo può tuttavia chiedere al prefetto competente di essere autorizzato a rimanere sul territorio nazionale fino all’esito del ricorso. La decisione di rigetto del ricorso è immediatamente esecutiva. 326 Renato Rolli La tutela della persona umana… te delimitato ma una cittadinanza che guardi oltre, guardi la persona umana in un’ottica garantista alla cui base vi è l’ “idea che la mancanza o la privazione arbitraria di una cittadinanza statale ponga il singolo in una condizione di estrema debolezza per via della limitata possibilità di riconoscimento o di godimento di alcuni diritti fondamentali della persona, e non più unicamente a causa della compressione dell’interesse statale a far valere l’adempimento, attraverso lacittadinanza, di doveri ed obblighi del singolo (di fedeltà, militari, tributari) rispetto all’autorità statale”.56 Infatti, i flussi migratori che riguardano anche coloro richiedenti asilo devono far ripensare il concetto tradizionale di cittadinanza “non solo per quanto concerne l’ambito soggettivo di spettanza bensì anche per quel che riguarda il contenuto e le garanzie [...] costituendo tali processi una delle cause più importanti delle trasformazioni registratesi negli ultimi lustri nelle grandi partizioni dei diritti costituzionali”57 in modo da creare una comunità politica e sociale più aperta costitutiva di una Nazione elettiva e non più etnica-territoriale58. Il problema di fondo che si pone èquello di garantire adeguata protezione giuridica, ma anche ‘umana’ alle persone che arrivano nel nostro Paese carichi di speranza e fiducia. Occorre – sulla scorta e sul rafforzamento del modello Riace – una proficua ed efficiente azione di tutte le amministrazioni pubbliche. In tal modo si può garantire ai soggetti richiedenti asilo e, in generale, a tutti coloro che per difficoltà di varia natura chiedono ospitalità nel nostro Paese, il nucleo effettivo dei diritti sociali: dalla salute alla istruzione passando per l’assistenza sanitaria59. La protezione è doverosa e necessaria in quanto diretta alla salvaguardia di persone obiettivamente deboli al fine di dare concreta attuazione, per un verso, al principio di eguaglianza sostanziale60; per un altro verso al principio di sussidiarietà orizzontale61, grazie al ruolo ed al contributo della collettività. Se è vero come è vero che “le persone emigrano perché logorate dall’angoscia, consapevoli che i loro sforzi non serviranno a nulla, che quello che riusciranno a costruire in un anno verrà distrut- 55 Sul concetto di cittadinanza in generale cfr. ex plurimiis J. Bendix, voce Cittadinanza, in Enc. sc. Soc., vol. II, Roma 1996, 772-775; C. Romanelli Grimaldi, voce Cittadinanza, in Enc. giur., vol. VI, Roma 1989, 1-2; R. Quadri, voce Cittadinanza, in NN. DI., vol. III, Torino 1957, 307 ss.; G. Biscottini, voce Cittadinanza, in Enc. Dir., vol. VII, Milano 1960, 140; G. Clerici, voce Cittadinanza, in Dig. disc. pubbl., vol. III, Torino 1989, 113-114. 56 Cfr. E. A Ferioli, La cittadinanza “oltre” lo stato. Interferenze internazionali e Sovranazionali nell’acquisto e conservazione della cittadinanza Statale, in Rivista Aic, 1, 2017, 10. 57 G. Bascherini, L’immigrazione e i diritti, in I diritti costituzionali (a cura di R. Nania, P. Ridola), Torino 2006, 422. 58 Su questi concetti v. E. Grosso, La titolarità del diritto di voto, Torino 2001, 40 ss. 59 Su queste considerazioni si veda M. Immordino, Pubbliche amministrazioni e tutela dei diritti fondamentali degli immigrati, in Federalismi.it, Focus Human rights 19, 2014, che ricorda “il tema dei diritti sociali fondamentali degli immigrati e, in particolare, di quei diritti connessi a bisogni primari della persona, quali la salute, l’abitazione, l’assistenza sociale, l’istruzione, il lavoro, è certamente una questione di grande attualità. Nonostante la loro natura di diritti fondamentali, riconducibili alla sovranità dalla Costituzione attribuita al popolo, tali diritti non vengono riconosciuti a tutti i soggetti che si trovano nel territorio italiano, ma soltanto ad alcuni di essi e sulla base di criteri di inclusione/esclusione, in palese violazione del principio di uguaglianza e del principio comunitario di non discriminazione. In contrasto, in particolare, con quello che è lo statuto costituzionale dei diritti dello straniero”,1. 60 Sul rapporto tra eguaglianza e debolezza si v., L. Azzena., Divieto di discriminazione e posizione dei soggetti deboli. Spunti per una teoria della debolezza, in Divieto di discriminazione e giurisprudenza costituzionale. Atti del Seminario di Perugia del 18 marzo 2005 (a cura di C. Calvieri), Torino 2006, 35 ss. 327 Interventi  Parte II to da qualcun altro in un solo giorno. Convinte che il futuro sia ipotecato, che con un po’ di fortuna forse loro potranno farcela, ma non i loro figli. Intimamente certe che a casa nulla cambierà, che possono essere tranquille e felici solo altrove”62. Il caso emblematico di Riace, al netto dello scandalo che vede coinvolto il sindaco Lucano su cui saranno i giudici a pronunciarsi, rappresenta lavivida testimonianza che, nonostante tutto, in Italia conosciamo ancora il significato di “solidarietà”. 61 Sul principio di sussidiarietà, sul suo valore giuridico e la sua giustiziabilità, si cfr. M. Renna, I principi di sussidierietà, adeguatezza e differenziazione, in Studi sui principi di diritto amministrativo (a cura di M. Renna e F. Saitta), Milano 2012, 283 e ss. 62 Così dal capolavoro di Yann Martel, La vita di Pi, Edizioni Piemme, 2001, capitolo 3. 328 Interventi Parte III L’immigrazione di fronte all’ordine e alla sicurezza pubblica Interventi  Parte III LA DISCIPLINA IN TEMA DI PROTEZIONE INTERNAZIONALE E CONTRASTO ALL’IMMIGRAZIONE ILLEGALE (OSSERVAZIONI A PRIMA LETTURA) ~ Stefano Agosta ~ 1. LA NOVELLA ALLA FASE AMMINISTRATIVA DELLA PROCEDURA DI RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE • 2. (SEGUE): A QUELLA GIURISDIZIONALE. L’ALLEGGERIMENTO DELLA PROCEDURA DI PROTEZIONE INTERNAZIONALE E LA SPECIALIZZAZIONE DELL’ORGANO GIUDICANTE: ISTITUZIONE, COMPOSIZIONE E SELEZIONE DELLE NUOVE SEZIONI SPECIALIZZATE IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE, PROTEZIONE INTERNAZIONALE E LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DELL’UNIONE EUROPEA • 3. (SEGUE): FORMAZIONE PROFESSIONALE, ORGANIZZAZIONE E COMPETENZA ALLARGATA RATIONE MATERIAE E LOCI • 4. TALUNE CRITICITÀ DELLA RECENTE RIFORMA: NEL MERITO (PART. LA NUOVA COMPETENZA PER I PROCEDIMENTI CONNESSI E LA QUESTIONE DELLA RISOLUZIONE DI EVENTUALI CONFLITTI DI COMPETENZA) • 5. (SEGUE): NEL METODO (I RISCHI DI UNA REVISIONE CHE SEMBRA ESCLUSIVAMENTE PRIVILEGIARE L’ACCELERAZIONE DEI TEMPI PROCEDIMENTALI A DISCAPITO DEI FONDAMENTALI DIRITTI DEL RICHIEDENTE PROTEZIONE INTERNAZIONALE). 1. La novella alla fase amministrativa della procedura di riconoscimento della protezione internazionale. L’endemico aggravamento delle crisi internazionali in atto ha, com’è noto, sollevato (e continua tutt’ora drammaticamente a sollevare) un’eccezionale ondata di migranti verso le coste italiane. Ciò non ha solo portato ad un esponenziale aumento delle domande di protezione internazionale nei confronti delle competenti Commissioni territoriali dal punto di vista amministrativo ma pure – con una sorta di inevitabile effetto rebound – ad una corrispondente crescita del contenzioso sotto il profilo giurisdizionale1. È così che accanto 1 Emblematica, in tal senso, la esperienza ad esempio maturata nel Tribunale di Milano dove i procedimenti di protezione internazionale iscritti sono passati da i cinquecentonovantuno del 2013 ai seicentotrentasei del 2014 per arrivare a milleseicentosettantaquattro nel 2015 e sfiorare i quattrocento al mese (con una proiezione su base annuale di circa quattromilaottocento controversie): cfr. Relazione al D.L., Conversione in legge del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale (A.S. n. 2705 del 17 febbraio 2017), 3 s., testo disponibile al sito: www.senato.it. Si consideri che «l’anomala sproporzione verificatasi tra il numero di riconoscimenti delle forme di protezione internazionale espressamente disciplinate a livello europeo e nel nostro ordinamento (nell’ultimo quinquennio, status di rifugiato: 7 per cento; protezione sussidiaria: 15 per cento), e il numero dei rilasci del permesso di soggiorno per motivi umanitari (25 per cento, aumentato fino al 28 per 330 Stefano Agosta La disciplina in tema di protezione… all’elaborazione ed alla diffusione di non secondarie iniziative di soft law 2 – spazianti dalla formazione e comunicazione nelle realtà territoriali di buone prassi di gestione di tale tipologia di procedimenti alla stipulazione di protocolli con amministrazioni statali o organizzazioni non governative (attinenti, in particolare, alla migliore circolazione delle informazioni circa dati identificativi, paesi di provenienza e precedenti giurisprudenziali dei richiedenti protezione internazionale)3 – per fronteggiare l’inarrestabile montare del fenomeno si è infine fatto ricorso all’hard law legislativo. La risposta approntata da parte del Governo italiano (poi suggellata dal Parlamento4) si è perciò articolata su due ben distinti versanti: per così dire in uscita, allo scopo di garantire maggiore effettività ai provvedimenti di espulsione e allontanamento dal territorio nazionale dei cittadini stranieri in condizione di soggiorno irregolare (ad esempio, potenziando la rete dei centri di identificazione ed espulsione e destinando nuove risorse per l’esecuzione dei rimpatri5); in entrata, al fine di rendere più snello ed efficiente l’accertamento del diritto del migrante alla protezione internazionale6. Con riferimento a tale ultimo profilo – seppure non sia stata tecnicamente toccata la disciplina sostanziale complessivamente risultante dai d.lgs. nn. 85/2003, 251/2007 e cento per l’anno in corso)» è stata ancora di recente segnalata tra «i principali profili di criticità dell’attuale sistema» dalla Relazione al disegno di legge di Conversione in legge del decreto-legge 4 ottobre 2018, n.113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (A.S. n. 840 del 4 ottobre 2018), 3, testo disponibile al sito: www.senato.it (dove «ai casi di protezione umanitaria riconosciuta dalle Commissioni territoriali», peraltro, «si aggiungono quelli riconosciuti dall’autorità giudiziaria, a seguito dei ricorsi avverso le decisioni di rigetto assunte in via amministrativa, che costituiscono il 25 percento dell’esito dei giudizi»). 2 Così, Consiglio superiore della magistratura, Risoluzione sulle linee guida in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi alla protezione internazionale, par. 9, testo disponibile al sito: www.csm.it, 15 marzo 2017. 3 Si pensi a tutte quelle forme di intesa elaborate dai singoli uffici con enti pubblici (es. amministrazioni, rispettivamente, dell’interno e della giustizia), privati, centri di accoglienza, organizzazioni non governative, ad esempio, per favorire l’accesso alle informazioni, la creazione di archivi di dati ai vari fini nonché lo stabile reperimento di interpreti e mediatori culturali affidabili ed in possesso delle necessarie qualità soggettive (come, sopra tutte, la conoscenza dell’idioma dei richiedenti asilo). 4 In tal senso, rispettivamente, d.l. n. 13, Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale (17 febbraio 2017) e successiva l. di conversione n. 46 (13 aprile 2017) sui quali, ex plurimis, A. Camilli, Il decreto Minniti-Orlando sulla immigrazione è legge, in www.internazionale.it, 12 aprile 2017, C. Favilli, Editoriale, G. Savio, Le nuove disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale: una (contro)riforma annunciata e M.C. Contini, La riforma “Orlando-Minniti” a un anno dall’entrata in vigore. I molti dubbi e le poche certezze nelle prassi delle sezioni specializzate, tutti in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, rispettivamente, nn. 2, 2017; 3, 2017 e n. 3, 2018. 5 Cfr. S. Penasa, L’approccio ‘hotspot’ nella gestione delle migrazioni: quando la forma (delle fonti) diviene sostanza (delle garanzie). Efficientismo e garantismo delle recenti politiche migratorie in prospettiva multilivello, in www.rivistaaic.it 2, 2017, 1 ss. 6 Sul punto, Relazione al D.L., Conversione in legge del decreto-legge 17 febbraio 2017, cit., 4. 331 Interventi  Parte III 142/20157 ma si sia piuttosto ritenuto di incidere (nemmeno poi tanto superficialmente…) sul diverso profilo processuale – è peraltro inevitabile che la parziale riscrittura della normativa dettata in tal senso dal pregresso d.lgs. n. 25/20088 (tanto riguardo al procedimento amministrativo che relativamente a quello giurisdizionale) finisca inevitabilmente per condizionare l’esercizio sostanziale del diritto alla protezione internazionale da parte dell’avente diritto9. Del giudizio innanzi alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale10 due sono, in particolare, gli aspetti innovati ed aventi diretta refluenza sull’eventuale fase giurisdizionale successiva: e cioè, per un verso, il regime delle notificazioni nei confronti del richiedente asilo; e, per un altro, le modalità di svolgimento del colloquio personale con quest’ultimo. Premesso che sul richiedente protezione incombe l’obbligo particolare (qualora convocato) di comparire personalmente davanti alla Commissione citata11, di consegnare i documenti in suo possesso pertinenti ai fini della domanda (incluso il passaporto) e di informare l’autorità competente in ordine ad ogni suo mutamento di residenza o domicilio – nonché quello, più generale, di agevolare tutti gli accertamenti previsti dalla legislazione in materia di pubblica sicurezza in ogni fase della procedura12 – la novella del 2017 innanzitutto coordina le diverse disposizioni di cui ai d.lgs. nn. 25 cit. (art. 11) e 142 cit. (art. 5) chiarendo che per «ultimo domicilio» si intende l’ultimo dallo stesso richiedente dichiarato13 (a meno che costui non si trovi già presso un centro o una struttura di accoglienza o trattenimento14). 7 … attuativi delle direttive, rispettivamente: Dir. 2001/55/CE del Consiglio del 20 luglio 2001 sulle norme mini- me per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi in GU L 2012 del 7 agosto 2001; Dir. 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, in GU L 304 del 30 settembre 2004; Dir. 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, in GU L 180 del 29 giugno 2013; Dir. 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione), in GU L 180 del 29 giugno 2013 [le ultime due facenti, peraltro, parte del più ampio Sistema europeo comune di asilo insieme alla dir. 2011/95/UE (c.d. qualifiche) ed al reg. 2013/604/UE (c.d. Dublino III)]. 8 … attuativo della Dir. 2005/85/CE del Consiglio del 1 dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, in GU L 326 del 13 dicembre 2005. 9 In oggetto, A.D. De Santis, La nuova tutela giurisdizionale dei diritti dei migranti. Note a margine del D.l. n. 13/2017, in www.judicium.it, 20 marzo 2017. 10 Cfr., Riconoscimento protezione internazionale, testo disponibile al sito: www.unhcr.it. 11 Così, Le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, testo disponibile al sito: www.interno.gov.it, 15 dicembre 2014. 12 In tal senso, art. 11, d.lgs. n. 25 cit. 13 … mediante dichiarazione da riportare nella domanda di protezione internazionale ovvero comunicazione alla medesima questura e alla questura competente per il nuovo domicilio o residenza ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno (per ogni eventuale successivo mutamento del domicilio o residenza). 14 … nel qual caso, agli effetti della notifica e delle comunicazioni degli atti relativi al procedimento di esame della domanda (nonché di ogni altro atto relativo alle procedure di trattenimento o di accoglienza) il luogo di domicilio sarà rappresentato dallo stesso indirizzo del centro. 332 Stefano Agosta La disciplina in tema di protezione… In secondo luogo, si dispone che la Commissione competente compia le notificazioni degli atti e dei provvedimenti del procedimento – a norma della l. n. 890/1982, Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari – a mezzo del servizio postale ovvero che esse risultino effettuate al momento del ricevimento dell’avviso da cui risulti l’impossibilità della notificazione (qualora il domicilio non dovesse rivelarsi idoneo) a patto che non ricorra l’ipotesi di cui supra (la permanenza del richiedente presso un centro o una struttura di accoglienza o trattenimento). Nel quale ultimo caso, la notificazione dovrà pervenire all’indirizzo del responsabile del centro mediante posta elettronica certificata (la c.d. PEC). Spetterà poi al responsabile cit. (ad ogni effetto di legge perciò considerato pubblico ufficiale) dare immediata notificazione con le stesse forme telematiche alla Commissione territoriale della sottoscrizione della ricevuta da parte del destinatario interessato ovvero del suo espresso rifiuto o della sua irreperibilità: ritenendosi perciò eseguita la notificazione dal momento in cui essa perviene alla casella di PEC della Commissione (parimenti accade nel caso in cui un indirizzo di PEC sia invece stato fornito dallo stesso richiedente protezione internazionale)15. Importante notare come l’eventuale inidoneità del domicilio dal richiedente dichiarato o comunicato ovvero l’irreperibilità di costui nel centro o struttura di accoglienza comunque non incepperebbe, né rallenterebbe, questa porzione del procedimento giacché l’atto è reso disponibile all’interessato presso la Questura del luogo in cui ha sede la Commissione territoriale e − decorsi venti giorni dalla trasmissione di esso alla Questura da parte della stessa Commissione – la sua notificazione si intenderà in ogni caso eseguita mediante il solo messaggio di PEC. 2. (Segue): a quella giurisdizionale. L’alleggerimento della procedura di protezione internazionale e la specializzazione dell’organo giudicante: istituzione, composizione e selezione delle nuove sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea. Ad un primo superficiale giudizio, la riforma ora in commento sembrerebbe per la parte ora accennata centrare tutto sommato il primario obiettivo di sgravare il carico di lavoro fin qui incombente sugli uffici immigrazione della Questura – complessivamente imprimendo una maggiore velocità a tale prima fase – senza nondimeno diminuire l’indispensabile grado di certezza del regime delle notificazioni unitariamente considerato. Venendo al successivo passaggio dell’audizione personale del richiedente presso la Commissione na- 15 Qualora la notificazione sia stata intesa come effettuata pur senza che il domicilio o l’indirizzo PEC fossero idonei – o, comunque, senza che si sia avuto effettuale ricevimento da parte del richiedente – copia dell’atto notificato sarà resa disponibile allo stesso richiedente presso la Commissione territoriale. 333 Interventi  Parte III zionale per il diritto di asilo16 (ovvero le Commissioni territoriali cit.) – revisionato l’art. 12, d.lgs. n. 25 cit. nel senso che la comunicazione del previsto colloquio da parte della Commissione competente avvenga con le nuove modalità appena citate al par. 1 – si prevede adesso la videoregistrazione con mezzi audiovisivi e la sua successiva trascrizione in lingua italiana con l’ausilio di mezzi automatici di riconoscimento vocale. Considerato che tale trascrizione è, nell’ordine, a) rivista dall’interprete (anche dietro osservazioni dello straniero interessato), b) riletta a quest’ultimo in lingua a lui comprensibile, c) sottoscritta dall’interprete e dal componente della Commissione che ha svolto il colloquio17 e d) eventualmente trasmessa all’autorità giudiziaria in caso di impugnazione della decisione amministrativa18 (oltre che conservata in copia informatica presso apposito archivio del Ministero dell’Interno per almeno un triennio), ben pochi dubbi possono in effetti nutrirsi sul fatto che essa è chiamata integralmente a sostituire il tradizionale verbale del colloquio quale atto-principe di questa prima parte della prescritta procedura19. Seppure in sede di conversione è stata aggiunta la possibilità per il richiedente di formulare in occasione del colloquio istanza motivata di non avvalersi del supporto della videoregistrazione, vi è tuttavia da rilevare che su tale domanda decide sempre la Commissione territoriale con provvedimento non impugnabile. All’esito della innovata procedura, la Commissione territoriale si pronunzierà, infine, sulla domanda di protezione internazionale nel senso dell’accoglimento ovvero del rigetto. La prima eventualità, ad ogni modo, non esclude che la Commissione nazionale cit. possa successivamente revocare (o dichiarare cessata) la protezione internazionale inizialmente riconosciuta. Pure in questo caso, perciò, il regime delle comunicazioni all’interessato da parte di tale Commissione non differirà da quello ora novellato per le Commissioni territoriali, contestualmente ricomprendendo la notificabilità a mezzo delle forze di polizia per motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale. Nell’ipotesi di assenza dei presupposti richiesti per la protezione internazionale − o al verificarsi di una causa di esclusione, cessazione o manifesta infondatezza di quest’ultima – sarà invece pronunziata decisione di rigetto, col conseguente obbligo per il richiedente di abbandonare il territorio nazionale una volta spirato inutilmente il termine per ricorrere: ciò a meno che non gli sia stato rilasciato un permesso di soggiorno ad altro titolo oppure questi non abbia ovviamente presentato ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria avverso tale pronunzia di rigetto (in tale ultimo frangente, competenti a pronunziarsi non potranno che essere le nuove sezioni specializzate appunto istituite dal capo I della riforma legislativa in esame). 16 Sul punto, Commissione nazionale per il diritto di asilo, testo disponibile al sito: www.libertaciviliimmigrazio- ne.dlci.interno.gov.it. 17 … il quale − subito dopo la lettura e in cooperazione con il richiedente e l’interprete − verifica la correttezza della trascrizione e vi apporta le correzioni necessarie, dando in ogni caso atto in calce al verbale di tutte le osservazioni del richiedente e dell’interprete (anche relative alla sussistenza di eventuali errori di trascrizione o traduzione) che non siano state direttamente recepite a correzione del testo della trascrizione. 18 … entro venti giorni dalla notificazione del ricorso unitamente alla menzionata videoregistrazione. 19 … a meno che – beninteso – non sia possibile la videoregistrazione per motivi tecnici. 334 Stefano Agosta La disciplina in tema di protezione… A seguito dell’impugnazione della decisione di rigetto cit. si apre così la porzione giurisdizionale della procedura in esame, la quale risulta profondamente revisionata sia sul versante del procedimento che su quello dell’organo competente. Con riferimento al primo, due sono in particolare le misure adottate per semplificare (recte, rendere più efficienti) i procedimenti di riconoscimento dello status di persona internazionalmente protetta contestualmente introdotte dal capo II del presente testo e, cioè, l’eliminazione del secondo grado di giudizio e, per così dire, l’alleggerimento processuale dell’unico grado rimasto: vale a dire che (in deroga a quanto normalmente previsto dall’art. 739 c.p.c. per i procedimenti camerali) l’eventuale decreto di rigetto non è perciò più reclamabile – ma solo ricorribile per Cassazione entro trenta giorni dalla comunicazione dello stesso20 – mentre il rito da osservare in tali controversie passa da quello sommario di cognizione di cui all’art. 19, d.lgs. n. 150 cit. al rito camerale a contraddittorio scritto e a udienza eventuale di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c.21. Venendo all’organo competente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica né incrementi di dotazioni organiche ‒ nell’ambito, in altre parole, delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente22 ‒ l’innovazione in parola istituisce, presso i Tribunali ordinari del luogo nel quale hanno sede le Corti d’Appello, le sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea23. Passate dalle originarie quattordici24 alle attuali ventiquattro in sede di conversione, tali sezioni naturalmente rinvengono il proprio fondamento nell’art. 102, comma 2, Cost.25: tale disposizione, com’è noto, non solo non vieta ma persino incoraggia l’istituzione presso gli organi giudiziari di sezioni specializzate per determinate materie − anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura (nominati e revocati dal CSM) − a motivo del fatto che taluni ambiti necessariamente impongono l’integrazione del collegio giudicante con soggetti esperti26. 20 In oggetto, art. 3-septies, d.lgs. n. 25 cit. (aggiunto dall’art. 6, comma 1, l. n. 46 cit.). 21 Cfr. art. 3-bis, d.lgs. n. 25 cit. (sempre aggiunto dall’art. 6, comma 1, l. n. 46 cit.). 22 Così, art. 1, comma 2, l. n. 46 cit. (ma, sul cruciale punto, si tornerà meglio infra, in chiusura delle presenti notazioni). 23 In tal senso, art. 1, comma 1, l. n. 46 cit. 24 … introdotte presso i soli Tribunali ordinari di Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Catanzaro, Firenze, Lecce, Milano, Palermo, Roma, Napoli, Torino e Venezia (in ragione dei dati relativi al numero delle domande di protezione internazionale esaminate nel biennio 2015-2016 da ciascuna Commissione territoriale o sezione distaccata). 25 Sul punto, G. Servello, voce Giurisdizioni speciali e sezioni specializzate, in Enc. giur., vol. XV, Roma 1989, 1 ss.; I. Andolina, G. Vignera, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, Torino 1997, 48; A.M. Poggi, Art. 102, in Commentario alla Costituzione 3 (a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti), Torino 2006, 1972 ss. 26 In oggetto, già V. Andrioli, A proposito di giurisdizioni speciali e di sezioni specializzate, in Riv. dir. proc., 1949 1, 142; A. Sandulli, Sulla costituzionalità delle sezioni specializzate per gli equi fitti, in Rass. dir. pubbl., 1949, 113; V. Andrioli, Rilevanza costituzionale delle sezioni specializzate, in Giur. cost., 1961, 1539 ss.; A. Attardi, Art. 1, in Commentario del codice di procedura civile, dir. da E. Allorio vol. I, Torino 1973, 9. 335 Interventi  Parte III Lungi dal rappresentare un unicum nel panorama dell’ordinamento italiano, nell’esperienza subcostituzionale si è al contrario assistito così ad un progressivo florilegio di sezioni specializzate spazianti dai Tribunali per i minorenni a quelli regionali delle acque pubbliche, dalle sezioni specializzate in materia agraria a quelle per le tossicodipendenze, passando attraverso le sezioni di sorveglianza delle Corti d’Appello, le sezioni competenti sulle controversie di lavoro e previdenza sociale (c.d. sezioni lavoro), quelle specializzate in materia di impresa (i c.d. Tribunali delle imprese) ed oggi, appunto, quelle in epigrafe27. Se di regola la sezione in commento giudica in composizione monocratica ‒ in deroga a quanto previsto dall’art. 50-bis, comma 1, n. 3), c.p.c. civ. ‒ l’art. 3, comma 4-bis (opportunamente introdotto in sede di conversione) stabilisce invece che le controversie in tema di riconoscimento della protezione internazionale di cui all’art. 35, d.lgs. n. 25 cit. (nonché quelle aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti adottati dall’autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale) siano decise dal Tribunale in composizione collegiale. In tale frangente, è il Presidente della sezione specializzata a designare un componente del collegio per la trattazione della controversia28 e, sul merito di essa, il collegio si pronunzia in camera di consiglio (ove non ritenga necessaria un’ulteriore istruzione). In ragione dell’elevato tecnicismo che tipicamente connota tutti i procedimenti nel campo dell’immigrazione − se non altro già sul piano della conoscenza linguistica – i giudici che entrano a comporre le sezioni specializzate dovranno innanzitutto esibire una particolare competenza in materia: allo scopo di aumentare l’efficienza nell’amministrazione della giustizia nonché garantire una maggiore rapidità di decisione, in luogo di quello della mera quantità numerica (e, quindi, dell’assunzione di nuovi magistrati) l’art. 2, comma 1, preferisce quindi ricorrere al solo criterio della qualità professionale dei giudici già in servizio29. Premessa la positiva valutazione della conoscenza della lingua inglese (cui è stata aggiunta, in sede di conversione parlamentare, anche quella francese) in considerazione del fatto che le informazioni sui Paesi d’origine sono rese al magistrato disponibili in tale idioma, ai fini dei concorsi interni per l’assegnazione alle sezioni in discorso, in astratto è data dunque preferenza a tutti quei giudici che possiedano una competenza specifica in tale ambito: 1) acquisita ex ante, in quanto già stati addetti − per almeno due anni − alla trattazione delle controversie in materia, rispettivamente, di riconoscimento della protezione internazionale30, di convalida del trattenimento (o della proroga di esso) del richiedente 27 Cfr. Servizio studi del Senato, Dossier n. 449 su A.S. n. 2705 “Conversione in legge del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto della immigrazione illegale”, testo disponibile al sito: www.senato.it, 7 febbraio 2017. 28 Sui poteri conferiti al Presidente della nuova sezione specializzata, si veda comunque, infra, par. 4. 29 A proposito delle criticità della scelta di privilegiare il solo profilo qualitativo senza potenziamento alcuno di quello quantitativo, si veda ad ogni modo, infra, sempre par. 4. 30 Così art. 35, d.lgs. n. 25 cit. 336 Stefano Agosta La disciplina in tema di protezione… protezione internazionale31, di convalida dei provvedimenti di cui all’art. 14, comma 6, d.lgs. n. 142 cit., di riconoscimento della protezione umanitaria32, di diniego del nullaosta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari33 e di accertamento dello stato di apolidia; 2) maturata ex post, come partecipanti ai corsi di formazione organizzati dalla Scuola Superiore della Magistratura − in collaborazione con l’EASO (Ufficio europeo di sostegno per l’asilo34) e con l’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati − per tutti quei magistrati che intendono acquisire una particolare specializzazione in tal senso; 3) per una, non meglio precisata e fumosa, «altra causa» non espressamente indicata dalla legge. 3. (Segue) : formazione professionale, organizzazione e competenza allargata ratione materiae e loci. Con riferimento alla sopradetta selezione, in concreto spetterà al CSM provvedere alla graduazione tra i vari criteri attitudinali astrattamente delineati dal legislatore. Così, ad esempio, il parametro della trattazione ‒ in via esclusiva o prevalente ‒ dei procedimenti de quibus per almeno un biennio (anche in occasione di applicazione straordinaria del giudice) dovrà certamente ritenersi prevalente rispetto a quello della mera partecipazione ai corsi organizzati dalla Scuola superiore35 ovvero all’acquisizione di una particolare competenza per altra causa non specificata (ma congruamente giustificata). Resta ovviamente inteso che la preminenza sarà comunque accordata ai criteri attitudinali legislativamente prefissati, con la conseguenza che ‒ a parità di questi ultimi ‒ i residuali criteri dell’anzianità di servizio e di ufficio potranno applicarsi solo sussidiariamente36. La legge ad ogni modo impone un obbligo di formazione continua in capo ai magistrati addetti alle nuove sezioni: nei tre anni successivi all’assegnazione sezionale, mediante la partecipazione a sessioni di formazione professionale organizzate dalla predetta Scuola (almeno una volta l’anno); per gli anni successivi al terzo, la cadenza del dovere di partecipazione ad un corso di aggiornamento professionale si riduce ad almeno una volta ogni 31 ... ai sensi degli artt. 6, comma 5, d.lgs. n. 142 cit., 10-ter, d.lgs. n. 286 cit. (come introdotto dalla presente disciplina) e 28 reg. UE/2013/604 del Parlamento europeo e del Consiglio (26 giugno 2013). 32 … nei casi di cui all’art. 32, comma 3, d.lgs. n. 25 cit. 33 … nonché relative agli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare di cui all’art. 30, comma 6, d.lgs. n. 286 cit. 34 … istituito con Reg. (UE) n. 439/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010 che istituisce l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, in GU L 132 del 29 maggio 2010. 35 … in tal senso dovendosi, peraltro, chiarire pure se la precedenza vada data al magistrato che abbia con profitto partecipato a un numero maggiore di corsi rispetto ad altri aspiranti (a parità delle restanti attitudini). 36 Su questi profili, Consiglio superiore della magistratura, Sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’unione europea a seguito del decreto-legge 17 febbraio 2017, par. 5, testo disponibile al sito: www.csm.it, 1 giugno 2017, richiamando sul punto la circ. sulla Formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il triennio 2017/2019 (26 gennaio 2017). 337 Interventi  Parte III biennio37. Particolare attenzione è stata dedicata dalla presente disciplina alla valutazione delle prove cui saranno rivolte specifiche sessioni in seno ai citati corsi con speciale riguardo alle tecniche di svolgimento del colloquio (espressamente richiamate). Il riferimento è nello specifico al c.d. metodo DCM: inizialmente sviluppato dalle forze di polizia per l’interrogatorio dei minori in Norvegia, esso si è difatti rapidamente diffuso in Francia, Germania, Belgio, Olanda, Svezia, Norvegia, Finlandia, Grecia e Italia in quanto reputato dall’EASO uno fra i metodi più efficaci in Europa per intervistare i richiedenti asilo (grazie alla capacità di instaurare un clima di fiducia con l’intervistato in un ambiente da quest’ultimo percepito come non ostile ed amichevole)38. Passando all’organizzazione delle suddette sezioni, ad essa è previsto che attenda il Consiglio Superiore della Magistratura con propria delibera da adottarsi entro un semestre dall’entrata in vigore della presente normativa. Nel rispetto del principio di specializzazione e fermi restando i limiti del ruolo organico della magistratura ordinaria, l’art. 2, comma 2, autorizza perciò il CSM a derogare alle norme vigenti relative al numero dei giudici da assegnare alle sezioni – e cioè, in particolare, all’art. 46, comma 5, Reg. Dec. n. 12/1941 (aggiunto dall’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 138/1999, “Disposizioni correttive del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, recante norme in materia di giudice unico di primo grado”) che stabilisce che i magistrati destinati a ciascuna sezione non possano essere in numero comunque inferiore a cinque – di modo che non è così previsto un numero minimo di giudici assegnabili. Ciò naturalmente non esclude che la consistenza numerica delle nuove sezioni debba comunque «assicurare il raggiungimento degli obiettivi fissati dal legislatore in termini di rapidità e qualità della risposta giudiziaria a siffatta particolare tipologia di domanda di giustizia»39 nel rispetto dell’art. 46, comma 4, Reg. Dec. n. 12 cit.40: al fine di garantire una minima turnazione e maggiore circolarità nella giurisprudenza, lo stesso Consiglio ha quindi ritenuto opportuno fissare in non meno di tre (due componenti ed un Presidente) il numero minimo di magistrati togati che compongono la sezione41. Nelle medesime forme, l’art. 2, comma 3, l. n. 46 cit. impone al CSM di disporre le modalità necessarie ad assicurare, con cadenza annuale, lo scambio di esperienze giurisprudenziali e di prassi applicative tra i Presidenti delle sezioni specializzate. 37 In oggetto, già Scuola Superiore della Magistratura, Formazione permanente 2017, part. P17042 - La questione immigrazione, testo disponibile al sito: www.scuolamagistratura.it. 38 Cfr. Servizio studi del Senato, Dossier n. 449 su A.S. n. 2705, cit., 11. 39 Così, Consiglio superiore della magistratura, Parere, richiesto dal Ministro della Giustizia, ai sensi dell’art. 10 della legge 24 marzo 1958, n. 195, sul testo del decreto legge 17 febbraio 2017, n. 13 concernente: ‘Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale’, par. 3, testo disponibile al sito: www.csm.it, 15 marzo 2017. 40 … in virtù del quale «nella formazione delle tabelle ai sensi dell’articolo 7-bis, sono destinati giudici nel numero richiesto dalle esigenze di servizio, tenuto conto del numero dei processi pendenti, dell’urgenza della definizione delle controversie, nonché del numero delle controversie sulle quali il tribunale giudica in composizione collegiale». 41 In tal senso, Consiglio superiore della magistratura, Sezioni specializzate in materia di immigrazione, cit., par. 3. 338 Stefano Agosta La disciplina in tema di protezione… Stabilito che la competenza in materia migratoria (normalmente rientrante nella giurisdizione ordinaria del Tribunale) sia adesso incardinata presso le nuove sezioni specializzate, integri rimangono il campo di competenza del giudice di pace e l’actio finium regundorum con la giurisdizione amministrativa42: in capo alle neonate sezioni rimangono così i procedimenti di convalida e proroga del trattenimento degli stranieri in attesa di espulsione e di opposizione all’espulsione nonché i respingimenti c.d. differiti43 (disposti, cioè, dal questore ai sensi dell’art. 10 comma 2, d.lgs. n. 286 cit.44). Ciò evidentemente perché – in un campo normalmente caratterizzato da provvedimenti incidenti sui diritti fondamentali della persona (come, ad esempio, quelli restrittivi della libertà personale) – è fondamentale che il sindacato sia pieno ed idoneo da assicurare l’esercizio effettivo del diritto di difesa e del contradditorio nonché elevati standard di specializzazione e professionalità45. Ma è naturalmente sul campo della nuova competenza ‒ allargata ratione materiae et loci ‒ che è maggiormente possibile apprezzare l’effettiva portata ed ampiezza della novella legislativa in esame46. Prendendo innanzitutto le mosse dall’attribuzione per materia, alle sopradette sezioni è oggi devoluta la competenza a conoscere le controversie di quattro principali macro-aree e, cioè: 1) libera circolazione, soggiorno e ricongiungimento dei cittadini degli altri Stati UE (ovvero dei loro familiari); 2) riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria; 3) accertamento dello stato di apolidia e di cittadinanza italiana; 4) cause e procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli di cui alle ipotesi sub 1), 2) e 3). Relativamente al caso sub 1), il riferimento è in particolare alle ipotesi, rispettivamente, di: 1.1) mancato riconoscimento del diritto di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio nazionale in favore dei cittadini degli altri Stati UE (ovvero dei loro familiari) di cui agli artt. 6, 7 e 8 d.lgs. n. 30/2007, “Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri” 47; 1.2) ricorso avverso i provvedimenti di allontanamento dei cittadini UE (o dei loro familiari) per motivi di sicurezza dello Stato, imperativi 42 Sul punto, Relazione al D.L., Conversione in legge del decreto-legge 17 febbraio 2017, cit., 7 pure richiamata da Consiglio superiore della magistratura, Parere, richiesto dal Ministro della Giustizia, cit., par. 5. 43 In oggetto, P. Bonetti, A. Casadonte, Ingresso, soggiorno e allontanamento, in Diritto degli stranieri (a cura di B. Nascimbene), Padova 2004, 280; A. Pugiotto, “Purché se ne vadano”. La tutela giurisdizionale (assente o carente) nei meccanismi di allontanamento dello straniero, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 16 ottobre 2009; S. Romanotto, P. Bonetti, Respingimenti, in www.asgi.it, 14 settembre 2009, 4 s.; F. Vassallo Paleologo, Il respingimento differito disposto dal questore e le garanzie costituzionali, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2009, 1 ss. 44 Cfr. Cass. civ., s.u. 17 giugno 2013, n. 15115. 45 Così, Consiglio superiore della magistratura, Parere, richiesto dal Ministro della Giustizia, ibidem. 46 In tal senso, Consiglio superiore della magistratura, Risoluzione cit., par. 1. 47 In questa ipotesi, com’è noto, il d.lgs. n. 30 cit. distingue il diritto di soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini UE a seconda se esso si prolunghi per un periodo inferiore ovvero superiore a tre mesi. Nel primo caso, tale diritto viene riconosciuto senza alcuna formalità particolare (eccettuato il possesso di un documento d’identità valido per l’espatrio). Nel secondo sono invece espressamente richiedeste talune specifiche condizioni, vale a dire: a) che il cittadino UE sia lavoratore subordinato od autonomo nello Stato; b) che il cittadino UE disponga per se stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti e di un’assicurazione sanitaria o 339 Interventi  Parte III di pubblica sicurezza nonché altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza (ovvero per la loro convalida) emessi dal questore48; 1.3) diniego del nullaosta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari (ovvero degli altri provvedimenti amministrativi in tema di diritto all’unità familiare di cui all’art. 30, comma 6, d.lgs. n. 286 cit.)49. Venendo all’ipotesi sub 2), essa in particolare ricomprende: 2.1) il diniego di protezione internazionale (come tale ricomprendente, cioè, non solo il riconoscimento dello status di rifugiato di cui alla convenzione sui rifugiati di Ginevra del 1951 ma pure la protezione c.d. sussidiaria di quanti ‒ essendo esposti a gravi rischi ‒ non possono essere rimpatriati pur non trovandosi nelle condizioni per essere riconosciuti rifugiati50); 2.2) la convalida del trattenimento ai fini del trasferimento51 (o la proroga di esso) nonché dell’espulsione52 del richiedente protezione internazionale; 2.3) il riconoscimento della protezione umanitaria53; 2.4) i provvedimenti adottati dall’autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale54. di altro titolo idoneo comunque denominato che copra tutti i rischi nel territorio nazionale; c) che il cittadino UE sia iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi come attività principale un corso di studi o di formazione professionale e disponga, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti (da attestare attraverso una dichiarazione o con altra idonea documentazione) e di un’assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi nel territorio nazionale; d) che la persona sia un familiare che accompagni o raggiunga un cittadino dell’Unione che abbia diritto di soggiornare ai sensi delle lett. a), b) o c). Con riferimento alla prevista impugnazione del provvedimento di rifiuto e revoca del diritto di soggiorno davanti all’autorità giudiziaria ordinaria la competenza passa quindi dal Tribunale del luogo ove dimorava il ricorrente (secondo il rito sommario di cognizione) alle nuove sezioni specializzate. 48 Anche in questo frangente, in favore delle nuove sezioni specializzate migra quella competenza che gli artt. 20, 20-ter e 21 d.lgs. n. 30 cit. originariamente demandavano al Tribunale ordinario in cui aveva sede l’autorità adottante (in composizione monocratica ed osservando il rito sommario di cognizione). Tale competenza sarebbe invece stata del giudice amministrativo – secondo le regole del codice del processo amministrativo – qualora il medesimo provvedimento fosse stato emanato per motivi di sicurezza dello Stato. 49 In simile eventualità, alle sezioni in parola viene difatti assegnata la competenza a pronunziarsi sul diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari (nonché contro gli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare) che l’art. 30, comma 6, T.U. immigrazione originariamente prevedeva in capo al Tribunale del luogo in cui risiedeva l’interessato (il quale, in composizione monocratica, provvedeva con proprio decreto applicando il rito sommario di cognizione). 50 Il procedimento per l’impugnazione delle decisioni di diniego della protezione internazionale passa perciò alle nuove sezioni mentre – in attuazione della Dir. 2005/85/CE del Consiglio del 13 dicembre 2005 recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, in GU L 326 del 13 dicembre 2005 – l’art. 35 d.lgs. n. 25 cit. ne attribuiva originariamente la cognizione al Tribunale del capoluogo del distretto di Corte d’Appello in cui aveva sede la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale (o la sezione) che aveva pronunciato il provvedimento impugnato (in composizione monocratica e secondo il rito sommario). 51 … adottato a norma degli artt. 6, comma 5, d.lgs. n. 142/2015, Sistema di accoglienza territoriale-Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, e 10-ter d.lgs. n. 286 cit. (come introdotto dalla presente disciplina) nonché dell’art. 28 Reg. (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, in GU L 180 del 29 giugno 2013. Anche quella facoltà di presentare (personalmente o a mezzo di difensore) memorie o deduzioni che − in attuazione delle Dir., rispettivamente, 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, in GU L 180 del 29 giugno 2013 e 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante procedure comu- 340 Stefano Agosta La disciplina in tema di protezione… 4. Talune criticità della recente riforma: nel merito (part. la nuova competenza per i procedimenti connessi e la questione della risoluzione di eventuali conflitti di competenza). Passando per completezza alla competenza per territorio ‒ prima che fosse dilatata in sede di conversione a tutte le sedi distrettuali di Corte d’Appello ‒ essa si estendeva ben oltre il livello distrettuale55 fino a ricomprendere quello pluridistrettuale56. Tale originaria distribuzione territoriale rischiava tuttavia di ledere un principio – quale quello di prossimità del giudice naturale57 – il quale acquista invece uno speciale rilievo proprio nella materia de qua58, vale a dire per la stretta afferenza della protezione internazionale a status e diritti della persona59: forse anche per questa considerazione si è, così, deciso successivamente di tornare alla competenza circondariale normalmente tracciata dalle regole ordinarie. Tre sono perciò, oggi, i criteri principali di assegnazione territoriale alle presenti sezioni: a seconda, cioè, della sede dell’autorità che ha adottato il provvedimento impugnato, della struttura di accoglienza governativa, del sistema di protezione o del centro di identificazione ed espulsione in cui è presente il ricorrente nonché della dimora del richiedente. Se quelli appena illustrati sono a grandi linee i principali contenuti delle nuove sezioni specializzate ‒ eccettuati i profili relativi al procedimento innanzi ad esse (non costituenti oggetto del presente contributo) ‒ nemmeno ad una prima superficiale lettura talune criticità vanno tuttavia sottovalutate, a partire da quelle esibite sul piano del merito60. Da queni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione), in GU L 180 del 29 giugno 2013 − l’art. 6, comma 5, d.lgs. n. 142 cit. riconosceva al richiedente nei confronti del Tribunale in composizione monocratica competente alla convalida viene oggi trasferita alle nuove sezioni. 52 … per la quale – a norma dell’art. 14, comma 6, d.lgs. n. 142 cit. − competente, al ricorrere dei presupposti, era il Tribunale in composizione monocratica. 53 … allorquando cioè – ai sensi dell’art. 32, comma 3, d.lgs. n. 25 cit. − gli atti sono trasmessi al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno per fini umanitari se (pur decidendo di non accogliere la domanda di protezione internazionale) la Commissione territoriale ritenga comunque sussistenti gravi motivi di carattere umanitario. 54 Disposizione, questa, aggiunta in sede di conversione in applicazione del reg. UE/2013/604 cit. 55 Così, ad esempio, si limitava al distretto di Corte d’Appello di appartenenza la competenza delle sezioni istituite presso i Tribunali, rispettivamente, di Bari, Brescia, Cagliari e Milano. 56 Andava oltre il distretto di Corte d’Appello di appartenenza, invece, la competenza delle sezioni istituite presso i Tribunali, rispettivamente, di Bologna, Catania, Catanzaro, Firenze, Lecce, Palermo, Napoli, Roma, Torino e Venezia. 57 Sul punto, R. Romboli, Teoria e prassi del principio di precostituzione del giudice, in Giur. cost., 1992, 3244; Id., voce Giudice naturale, in Enc. dir., vol. II agg., Milano 2000, 365 ss.; L. Buscema, Giudice naturale e sistema di giustizia ritenuta, in www.giurcost.org, vol. III, 2015, 792 ss. 58 In oggetto, Consiglio superiore della magistratura, Parere, richiesto dal Ministro della Giustizia, cit., par. 3. 59 Così, esemplificativamente, la sezione specializzata di Torino risultava trasversalmente competente per ben tre Regioni (Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta) mentre quelle di Firenze, Venezia e Roma lo sarebbero parimenti state, rispettivamente, per Toscana e Umbria, ovvero Venezia Giulia, Trentino e Veneto nonché Lazio e Abruzzo. 60 Così, V. Gaeta, La riforma della protezione internazionale: una prima lettura, in www.questionegiustizia.it, 1, 2017. 341 Interventi  Parte III sto punto di vista, si è già evidenziato supra come la riforma in epigrafe, ad organico invariato, abbia incautamente esteso la competenza delle nominate sezioni anche alle cause ed ai procedimenti c.d. connessi: peccato che ‒ assorbendo tutto il contenzioso relativo alle espulsioni di competenza del giudice di pace circondariale ‒ tale indeterminata forma di competenza per connessione delle sezioni specializzate rischia seriamente di rendere non efficiente (quando non definitivamente d’inceppare) sin da subito un meccanismo certo ab origine non dimensionato per un così ingente aggravio di lavoro. Non stupisce, pertanto, che lo stesso CSM avesse piuttosto richiesto l’espressa limitazione a casi specifici di simile competenza ovvero, in alternativa, la rimozione secca61. Sempre da questo profilo, non può ignorarsi come la revisione in commento nulla in effetti espressamente disponga circa i possibili criteri di risoluzione di eventuali conflitti di competenza (sia positivi che negativi62): i quali – è ragionevole presumere – andranno perciò risolti in applicazione dell’ordinaria regolamentazione sul punto. Dopo il cit. aumento dalle originarie quattordici alle attuali ventiquattro sedi istitutive delle neonate sezioni, peraltro, la menzionata questione ovviamente non riguarderebbe tanto il versante esterno del possibile contrasto (tra Tribunale non specializzato e specializzato, cioè63) quanto, piuttosto, quello interno (con riferimento, in altre parole, al rapporto fra sezioni specializzate e le altre sezioni dello stesso ufficio giudiziario). Per essere debitamente affrontata e risolta, l’ipotesi per cui la controversia nell’ambito di competenza della sezione specializzata anziché innanzi ad essa venga senza ulteriori specificazioni devoluta direttamente al Tribunale ordinario presso il quale la stessa sezione è istituita avrebbe, tuttavia, richiesto la previa ricognizione della reale natura della nuova sezione specializzata in materia rispetto alle restanti sezioni del Tribunale: se essa vada, in altri termini, ricostruita in termini di competenza autonoma – come ufficio giudiziario separato all’interno del medesimo Tribunale – ovvero di mera ripartizione inautonoma ed interna degli affari (alla stregua, cioè, delle attuali sezioni fallimentare o lavoro, appunto istituite quali mere suddivisioni interne di uno stesso ufficio giudiziario ripartito in sezioni)64. A prescindere dalla consistenza numerica e dalle attribuzioni loro assegnate ratione materiae, la legge prevede che a capo delle sezioni in discorso non vi sia un mero coordinatore bensì un vero e proprio Presidente di sezione titolare65: in tema di competenze a quest’ul61 In tal senso, Consiglio superiore della magistratura, Parere cit., par. 5. 62 Sul punto, V. Garofoli, Istituzioni di diritto processuale penale, Milano 2006, part. 138 s.; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, vol. I, Principi generali, Milano 2009, spec. 134 ss.; G. Berri, A. Nespoli, G. Berri, Formulario del processo penale. Commentato con la giurisprudenza, Milano 2010, part. 60 ss.; E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano 2011, 65; R. Frasca, Il regolamento di competenza, Torino 2012, part. 291 ss. 63 … rispetto al quale, comunque, il nodo era già stato in astratto sciolto ritenendo – in applicazione delle regole ordinarie – che laddove della causa riguardante le materie elencate fosse stato erroneamente investito un Tribunale privo di alcuna sezione specializzata quest’ultimo avrebbe dovuto necessariamente rimettere (con ordinanza o sentenza) tale competenza ad uno dove tale sezione fosse stata invece istituita (ed ovviamente viceversa, laddove si fosse verificata l’evenienza opposta): in oggetto, Servizio studi del Senato, Dossier cit., 22. 64 Cfr., nuovamente, Servizio studi del Senato, ibidem. 65 … con la conseguenza, ad esempio, che ciascun Presidente sarà abilitato ad esercitare le competenze ex art. 5 cit. per ogni controversia rispettivamente attribuita al proprio collegio o sezione nel caso di istituzione di due sezioni coordinate tra loro. 342 Stefano Agosta La disciplina in tema di protezione… timo riservate la lettera dell’attuale art. 5, l. n. 46 cit. ha, peraltro, ritenuto di mutuare il modello già elaborato in occasione dell’introduzione delle sezioni specializzate in materia di impresa da parte del d.lgs. n. 168/2003, Istituzione di Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale presso tribunali e corti d’appello, a norma dell’articolo 16 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, così estendendo pure a costui le competenze riservate dalla legge al Presidente del Tribunale. Se è vero che ciò potrebbe lasciare in astratto propendere per l’elaborazione in senso autonomo della suddetta sezione ‒ in assenza di una precisazione che in sede di conversione si sarebbe rivelata quanto mai opportuna ‒ rimane non chiara la portata di siffatta disposizione: vale a dire se essa abbia portata ordinamentale (come parrebbe indursi dalla relazione tecnica) ovvero solo processuale66. Allo stato attuale delle cose dovrebbe, quindi, concludersi che le competenze del Presidente della nuova sezione possano configurarsi come quelle tipiche ordinamentali, potendosi pertanto estendere pure ‒ nelle controversie di competenza della sezione specializzata ‒ al coordinamento dei magistrati onorari67. Ma è probabilmente sul diverso piano del metodo osservato che sono da registrare le maggiori perplessità. Se si considera, difatti, la particolare delicatezza del campo in oggetto ‒ per natura fisiologicamente involgente diritti il cui effettivo esercizio presuppone il riconoscimento della protezione internazionale, come quelli fondamentali dell’uomo ex art. 2 Cost. ‒ la presente disciplina appare assai carente sul versante dei mezzi messi in campo ed alquanto discutibile con riferimento ai fini prefissati (rectius, al bilanciamento ad essi sotteso). Relativamente ai primi, non ragionevole può ritenersi la pretesa di aver voluto introdurre una novella talmente incisiva ed ambiziosa, per così dire, a costo zero: di avere, in altre parole, istituito sezioni giurisdizionali ad hoc senza avere contestualmente previsto tuttavia – pur nel doveroso rispetto dell’autonomia organizzativa degli uffici giudiziari – corrispondenti misure, rispettivamente, in tema di aumento di organico della magistratura nonché di smaltimento dell’arretrato. Lungi dal disporre di una dotazione organica autonoma (ed aggiuntiva) rispetto a quella dell’ufficio di appartenenza, difatti, dal combinato disposto degli artt. 1 e 2, comma 2, l. n. 46 cit. appare evidente come tali sezioni abbiano natura esclusivamente tabellare: ciò precipuamente allo scopo di soddisfare l’esigenza che la loro istituzione, come visto, avvenga espressamente senza incrementi di bilancio, né di personale68. Il CSM aveva per la verità già correttamente rilevato come la priorità dalla riforma attribuita alla trattazione delle controversie da protezione internazionale dovesse imporre ab ovo la determinazione di personale e risorse adeguati ad una risposta giudiziaria che fosse il più possibile celere e di qualità (seppure al costo di un possibile rallentamento nella trattazione degli altri procedimenti)69: facendo diversamente, nemmeno poi tanto imprevisto, né imprevedibile, si sarebbe presto dimostrato l’effetto di obbligare ciascuna Corte 66 Così, Consiglio superiore della magistratura, Parere cit., par. 6. 67 In tal senso, Consiglio superiore della magistratura, Sezioni cit., par. 8. 68 Sul punto, Consiglio superiore della magistratura, Parere cit., par. 3. 69 In oggetto, Consiglio superiore della magistratura, Risoluzione cit., par. 5. 343 Interventi  Parte III d’Appello a sostenere un carico assai maggiore di lavoro (le cui conseguenze non avrebbero potuto che negativamente farsi sentire sull’organizzazione interna dell’organo e, inevitabilmente, sugli stessi tempi di definizione dei processi70). Un intervento legislativo espressamente destinato a ridurre i tempi di definizione dei procedimenti in tale ambito avrebbe dovuto insomma contemplare investimenti di lungo periodo ed adeguata quantità in mezzi e personale (oltre che sforzarsi di coprire almeno una parte della vacanza in organico che endemicamente affligge com’è noto la magistratura)71. Accanto ad un dimensionamento (pro futuro) adeguato per numero di giudici della sezione o del gruppo di magistrati addetti alla protezione internazionale, da pendant avrebbero dovuto poi fare misure straordinarie (pro passato) per deflazionare i procedimenti pendenti ‒ al fine di fronteggiare la definizione delle sopravvenienze nel timing previsto dal Parlamento ‒ che invece non ci sono state. 5. ( Segue): nel metodo (i rischi di una revisione che sembra esclusivamente privilegiare l’accelerazione dei tempi procedimentali a discapito dei fondamentali diritti del richiedente protezione internazionale). Passando al restante profilo dei fini perseguiti, abbastanza evidente pare che si sia voluto destrutturare il procedimento giurisdizionale in materia di protezione internazionale e ridisegnarne le rispettive fasi, prendendo esclusivamente le mosse dalla duplice esigenza, per un verso, di professionalizzazione dell’organo giudicante e, per un altro, di accelerazione del procedimento previsto: in considerazione dell’importanza dei diritti coinvolti, ad ogni modo, entrambe le modalità prescelte dal legislatore per centrare siffatti obiettivi si prestano a talune considerazioni (la seconda, in particolare, rischiando, anzi, di determinare più conseguenze negative di quante non intendesse originariamente rimuoverne). Seppure non priva di potenziali benefici pro futuro, al momento recessiva appare ancora la sopradetta scelta di “specializzazione”. Se è, difatti, vero che la Dir. 2013/32/UE “Pro- 70 Cfr. M. Paolucci, “Magistrato dei migranti”. Arrivano sezioni di tribunale specializzate, in Italia Oggi (7 marzo 2017). Nel senso di recepire la priorità attribuita dall’attuale quadro normativo al campo della protezione internazionale, peraltro, si era già previamente espressa la circ. sulla Formazione delle tabelle, cit. pronunziandosi sui procedimenti di protezione internazionale di cui all’art. 19, d.lgs. n. 150 cit., rispettivamente, agli artt. 63 e 174: stabilendo cioè − in tutti i casi nei quali il numero dei magistrati assegnati all’ufficio e il numero degli affari giudiziari lo consentissero – che potesse essere istituita, nell’ambito della sezione per la trattazione dei procedimenti relativi alle persone e ai rapporti di famiglia, un’eventuale ulteriore specializzazione per la trattazione delle materie di competenza del giudice tutelare e dei procedimenti ex art. 19 cit. (disponendo una partecipazione ridotta alle assegnazioni ordinarie, in particolare, in capo ai magistrati della sezione specializzata assegnatari di funzioni giudicanti nei procedimenti in tema di riconoscimento della protezione internazionale rispetto agli altri colleghi della medesima sezione); prevedendo, altresì, la facoltà per il dirigente dell’ufficio di adottare provvedimenti diretti a riequilibrare i carichi di lavoro qualora sussistesse l’esigenza di definire i medesimi procedimenti di protezione internazionale (a condizione, ovviamente, che fossero indicati criteri oggettivi e predeterminati nonché la razionalità organizzativa dello stesso provvedimento). 71 Così, Consiglio superiore della magistratura, Parere, richiesto dal Ministro della Giustizia, ibidem. 344 Stefano Agosta La disciplina in tema di protezione… cedure” cit. già disponeva per tutti gli Stati membri l’obbligo di designare su questo campo un’autorità competente per l’adeguato scrutinio delle domande nonché dotata di mezzi appropriati ‒ in particolare di personale competente e adeguatamente formato72 in numero sufficiente ‒ per attendere ai compiti fissati nella direttiva stessa73, è altrettanto vero che tale esigenza di specializzazione veniva espressamente circoscritta alla sola autorità amministrativa di prima istanza e non pure a quella giurisdizionale di impugnazione: in controtendenza rispetto ai due/terzi degli Stati membri UE74 il Parlamento italiano – assieme a Belgio, Paesi Bassi, Svezia, Grecia, Francia, Malta, Polonia, Irlanda e Regno Unito (un/ terzo dei paesi membri) − ha insomma considerato imprescindibile un’adeguata formazione del personale di magistratura integrante l’organo giurisdizionale d’appello. Seppure si è dato in tal modo seguito a talune raccomandazioni dell’EASO e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati – che da tempo annoverano proprio l’assenza di un organo di impugnazione specializzato tra le principali criticità del sistema italiano75 – i necessari tempi di sperimentazione di tale innovazione legislativa non sono ancora tali da poter dire quanto la scelta così recentemente assunta si sia dimostrata efficace ai fini del più ampio ed integrale raggiungimento degli scopi di tutela del richiedente posti a fondamento delle richiamate disposizioni europee. Più che semplicemente minoritaria, persino esiziale rischia infine di dimostrarsi la revisione in senso solo acceleratorio del procedimento de quo: ben difficile sarebbe, del resto, escludere che la contemporanea decisione di eliminare un intero grado di giudizio e contestualmente di attenuare le garanzie processuali in favore del richiedente nelle restanti fasi processuali non determini, per ciò solo, una probabile compressione del fondamentale diritto al contraddittorio e di difesa in un ambito che (per la sua intrinseca delicatezza) avrebbe piuttosto reclamato misure di segno opposto76. In disparte il piano della legittimità77, su quello dell’opportunità non del tutto vincente, né propriamente riuscita, parrebbe l’opzione di conservare un unico grado di giudizio: non 72 In tal senso, art. 4, par. 4. 73 Sul punto, art. 4, par. 1. 74 Per i dati aggiornati sulla situazione dei migranti nell’Unione europea, cfr. A. Scalera-A. Pahlasindgh, La “questione migranti” nei paesi Ue: alcuni dati, in www.questionegiustizia.it, 13 ottobre 2017. 75 In oggetto, Relazione al D.L., Conversione in legge del decreto-legge 17 febbraio 2017, cit., 5. 76 Per una singolare eterogenesi dei fini, nemmeno può dirsi peraltro pienamente centrato l’iniziale obiettivo della complessiva accelerazione dei giudizi de quibus: al contrario, il quadro comparativo delle decisioni rese in materia di richiesta di asilo nel biennio 2016/2017 in Italia farebbe emergere una flessione del 10,52% tra il totale delle domande esaminate nel 2016 (91.102) e quello nel 2017 (81.527) [sul punto, cfr. Servizio studi della Camera dei deputati, Dossier n. 66 su A.S. n. 840, Decreto-legge immigrazione e sicurezza pubblica, testo disponibile al sito: www.senato.it 8 ottobre 2018, 14]. Per un desolante quadro della situazione di smaltimento dell’arretrato nelle neonate sezioni specializzate, v. ad esempio L. Bulian, I tribunali al collasso per i ricorsi dei migranti: “Arretrati fino al 2020”, in www.ilgiornale.it, 17 febbraio 2018. 77 Nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 29 e 34, comma 37, d.lgs. n. 150/2011 (“Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69”) – espressamente rifacendosi al proprio precedente di cui all’ord. n. 107/2007 – la Corte costituzionale ha già «riconosciuto che la garanzia del doppio 345 Interventi  Parte III solo perché quella dell’unicità di giudizio rappresenta nel nostro sistema ipotesi del tutto residuale ed il doppio invece la regola ma, soprattutto, a motivo del fatto che il gravame è ordinariamente previsto per la maggioranza dei riti civili – anche di ridotto valore patrimoniale ed extrapatrimoniale – e non si vede la ragione per cui quest’ultimo debba essere irragionevolmente eliminato proprio su un tema involgente invece la tutela di diritti fondamentali della persona (non sembrando in tal senso sufficiente invocare la dichiarata necessità di semplificazione e snellezza procedimentale, peraltro comune a tutti i giudizi)78. Emblematiche ‒ per il negativo condizionamento che possono determinare sull’effettivo diritto di difesa nell’eventuale fase giurisdizionale ‒ appaiono, in tal senso, le nuove modalità tecniche di svolgimento del colloquio personale del richiedente asilo supra esaminato, tanto con riferimento ai principi dell’ordinamento interno che, soprattutto, internazionale79. Se riguardata dalla prospettiva statale, tale innovazione si dimostra già discutibile non solo sul piano pratico ma pure, se non soprattutto, su quello teorico: con riferimento al primo, per la dubbia utilità che allo scopo di formarsi il proprio convincimento una traccia audio-video della c.d. intervista del richiedente possa avere per il magistrato adito80; rispetto al secondo, per la tendenziale non idoneità di tale (virtuale) contatto a garantire quel minimum di fisiologica dialettica tra il richiedente ed il suo giudice, se sol si consideri che la innovazione in esame sembrerebbe ammettere esclusivamente la semplice udienza di comparazione formale delle parti, rimessa ai poteri ufficiosi del magistrato, in luogo di quella personale. Se per garantire il principio del contraddittorio di regola la comparizione personale delle parti non si configura sempre come necessaria, è pur vero che a tale generale criterio dovrebbe tuttavia sfuggire proprio l’eccezione rappresentata dal procedimento de quo: allorquando, cioè, l’audizione della parte rappresenta per il richiedente protezione internazionale praticamente l’unico strumento per garantire l’effettività di un diritto (come per l’appunto quello di difendersi) che deve espletarsi all’udienza. In deroga agli ordinari principi generali del processo civile ‒ che lo vorrebbero normalmente integro ‒ qui l’onere della prova che grava sul dichiarante appare, del resto, attenuato81: con la conseguenza che l’interessato ben potrà rendere affermazioni circa le persecuzioni subite non suffragate da prova eppure decisive per la concreta decisione del giudice82; né varrebbe, in contrario, grado di giudizio non gode, di per sé, di una copertura costituzionale, sicché non appare fondato il dubbio prospettato dalle odierne ordinanze relativo ad una compressione del diritto di difesa conseguente al fatto che la pronuncia emessa in primo grado dalla Corte d’appello può essere impugnata solo con il ricorso per cassazione»: così ord. n. 190/2013. 78 Cfr. Consiglio superiore della magistratura, Parere cit., par. 9. 79 Per le considerazioni che seguono, Consiglio superiore della magistratura, Parere cit. (spec. parr. 7, 9 e 8). 80 Sul punto, ad esempio, M. Acierno, M. Flamini, Il dovere di cooperazione del giudice, nell’acquisizione e nella valutazione della prova, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 1, 2017. 81 Così, ex plurimis, Cass. civ., s.u. 17 novembre 2008, n. 27310; Trib. Roma, 1 ottobre 2009, n. 22246; Cass. civ., 23 dicembre 2010, n. 26056; App. Bari, 17 luglio 2014, n. 1173; Cass. civ., sez. VI 3 marzo 2015, n. 4262, ord. 11 luglio 2016, n. 14157 e ord. 13 marzo-19 aprile 2017, n. 9946. 82 In tal senso, art. 3 d.lgs. n. 251 cit. (qualora il richiedente protezione internazionale non sia in grado di fornire prove delle persecuzioni subite). 346 Stefano Agosta La disciplina in tema di protezione… obiettare che tale vistosa deminutio possa dirsi oggettivamente riequilibrata dalla disposizione della mera disamina cartolare delle dichiarazioni precedentemente rese dinanzi alla Commissione ovvero da quella delle videoregistrazioni (entrambi gli esami, invero, idonei a realizzare un’interlocuzione solo astratta tra la parte ed il magistrato). Dalla prospettiva internazionale dei principi di cui all’art. 6 CEDU sul giusto processo, la mancata previsione tanto di un’udienza pubblica che di una trattazione orale della causa nell’intero svolgimento della procedura in parola sembra poi farsi, se possibile, ancor meno giustificabile83. Se, difatti, si eccettuano le ipotesi di obbligatoria fissazione dell’udienza per la comparizione delle parti ‒ ora espressamente aggiunte all’art. 35-bis, commi 10 e 11, d.lgs. n. 25 cit.84 ‒ il richiedente protezione internazionale appare praticamente sempre privato della legittima pretesa di comparire davanti al suo giudice naturale (dovendo in limine accontentarsi della semplice possibilità rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudicante). All’esito di queste poche pagine ‒ e ripromettendosi di ritornare, più ampiamente, sulla questione de qua ‒ non sembra insomma voler passare la spiacevole sensazione che, sull’altare dell’esigenza (pur meritevole ed auspicabile) di celerità e snellezza procedimentale, si siano volute irragionevolmente sacrificare le uniche preziose occasioni per il richiedente di far valere un’effettiva difesa ed una parimenti reale partecipazione al contraddittorio. 83 Tra i tanti, solo di recente, N. Parisi, D. Rinoldi, La protezione dello straniero nello spazio giuridico europeo: il contributo della giurisprudenza internazionale e nazionale. Un nuovo approccio nel “vecchio Continente”?, in www.questionegiustizia.it, 2, 2015, 1 ss.; G. Caggiano, Scritti sul diritto europeo dell’immigrazione, Torino 2016, part. 73 ss.; M.C. Amorosi, Le nuove disposizioni in materia di immigrazione: il decreto legge n. 13 del 2017 e il consolidarsi di un paradigma discriminatorio nella gestione del fenomeno migratorio, in www.costituzionalismo.it, 1, 2017, 1 ss.; Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, Il D.L. 13/2017: le principali ragioni di illegittimità, documento presentato in sede di audizione il 7 marzo 2017 davanti Commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia, in www.asgi.it; C. Morselli, Corso di diritto e procedura penale dell’immigrazione, Roma 2017, part. 81 ss. 84 …allorquando, cioè, il giudice: 1) visionata la videoregistrazione, ritenga necessario disporre l’audizione dell’interessato; 2) consideri indispensabile richiedere chiarimenti alle parti, 3) disponga una consulenza tecnica ovvero, anche d’ufficio, l’assunzione di mezzi di prova (comma 10) (casi cui si aggiunge, ex comma 11, l’eventualità che la videoregistrazione non sia resa disponibile o l’impugnazione si fondi su elementi non dedotti nel corso della procedura amministrativa di primo grado). 347 Interventi  Parte III IMMIGRAZIONE, RELAZIONI INTERNAZIONALI E SICUREZZA NAZIONALE NEGLI STATI UNITI: LA SOSPENSIONE DEGLI INGRESSI DEGLI STRANIERI DI ALCUNE NAZIONALITÀ NEGLI ATTI DELL’AMMINISTRAZIONE TRUMP * ~ Roberto Cherchi ~ 1. INTRODUZIONE • 2. IL DIBATTITO SCIENTIFICO SULLA LEGITTIMITÀ DI UN MUSLIM BAN • 3. IL PRIMO ORDINE ESECUTIVO E LE DECISIONI DEI GIUDICI • 4. IL SECONDO ORDINE ESECUTIVO E LE DECISIONI DEI GIUDICI • 5. LA PROCLAMATION DEL 24 SETTEMBRE 2017 E LA DECISIONE DELLA CORTE SUPREMA • 6. CONSIDERAZIONI FINALI SUI PROFILI DI ILLEGALITÀ DEGLI ORDINI ESECUTIVI • 7. CONSIDERAZIONI FINALI SUI PROFILI DI ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DEGLI ORDINI ESECUTIVI. 1. Introduzione. Negli Stati Uniti esistono due narrative costituzionali relative al rapporto tra lo Stato e lo straniero: quella che muove dall’idea di una società aperta, votata all’inclusione delle diversità culturali, religiose e politiche, una società accogliente rispetto all’immigrazione in cui la residenza permanente è, di regola, il primo passo per l’acquisto della cittadinanza; quella, opposta, nel segno della paura e del sospetto per l’afflusso dei migranti, in particolare di quelli che, sotto il profilo etnico, linguistico e della nazionalità, sono estranei al blocco sociale dominante bianco, anglosassone e protestante. Questa seconda narrativa si è storicamente manifestata, come un torrente carsico, con una serie di atti politici volti ad escludere dall’ingresso o dal soggiorno gli appartenenti a determinate nazionalità: il chinese exclusion act (1889), che pose fine all’immigrazione dalla Cina; il gentlemen’s agreement con il quale il Giappone accettò di non rilasciare passaporti ai cittadini giapponesi desiderosi di trasferirsi negli Stati Uniti (1907); l’allontanamento verso il Messico di centinaia di migliaia di immigrati messicani e di cittadini americani sin dalla nascita, al tempo della grande depressione (1929-1936); i campi di concentramento per i cittadini americani di origine * Questo articolo è frutto di analisi e riflessioni sviluppate nell’ambito di una ricerca finanziata dal programma quadro per la ricerca e l’innovazione dell’Unione Europea Horizon 2020 H2020-DRS-2015, nell’ambito del contratto No. 700385 progetto CLISEL, Climate Security with Local Authorities (Sicurezza climatica con le autorità locali) e dalla Segreteria di Stato Svizzera per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI) nell’ambito del contratto No. 16.0038. L’articolo riflette unicamente le opinioni personali dell’autore e l’UE non è in alcun modo responsabile di qualsiasi uso venga fatto delle informazioni in esso contenute. Le opinioni ivi espresse e ogni argomentazione sviluppata non riflettono necessariamente le posizioni ufficiali del governo svizzero. 348 Roberto Cherchi Immigrazione, relazioni internazionali… giapponese, durante la seconda guerra mondiale; l’operazione wetback, finalizzata a deportare cittadini messicani e americani in Messico (1954)1. La narrativa inclusiva sembrava aver definitivamente prevalso con l’entrata in vigore, nel 1965, dell’Immigration and Nationality Act, che pose fine al sistema dell’immigrazione fondato sulle origini nazionali. Se infatti l’Immigration Act del 1924 e il successivo Immigration and Nationality Act del 1952 avevano perseguito la conservazione della composizione etnica degli Stati uniti a maggioranza bianca, anglosassone e protestante, di contro l’Immigration and Nationality Act del 1965 introdusse nella legge del 1952 una norma che vieta la discriminazione in base alla razza, al sesso, alla nazionalità, al luogo di nascita o al luogo di residenza2: norma tuttora in vigore che fu elogiata dal Presidente Johnson, per il quale secondo la tradizione americana “we ask not where a person comes from but what are his personal qualities”3. L’applicazione di questa norma ha determinato una forte diminuzione dell’immigrazione dall’Europa e l’aumento di quella proveniente da altri continenti4. L’entrata in vigore dell’Immigration and nationality Act nel 1965 può quindi essere considerata un “grande momento costituzionale”5, che ha segnato il definitivo successo della narrazione inclusiva rispetto a quella escludente e discriminatoria. Questo indirizzo è rimasto sostanzialmente indiscusso fino agli attentati di Parigi e San Bernardino del 2015, che hanno portato al centro del dibattito politico il tema dell’immigrazione dai Paesi a maggioranza islamica. In tale dibattito alle due tradizionali voci presenti nello scenario politico – quella democratica, favorevole al rafforzamento della politica di accoglienza dei richiedenti asilo, e quella repubblicana, propensa ad un contenimento della politica di accoglienza – si è aggiunta la terza voce del candidato alla Presidenza Trump che, con un’iniziativa senza prece1 Su queste due narrative si vedano T. Lloyd, Closing the golden door: the potential legality of Donald Trump’s ban on Muslim immigration, in Georgetown Immigration Law Journal, 2015-2016, 400-401; M. Kazin, Trump and American Populism: Old Whine, New Bottles, in Foreign Affairs, 2016, 17 ss.; L. Perez Huber, “Make America great again!”: Donald Trump, racist nativism and the virulent adherence to white supremacy amid U.S. demographic change, in Charleston Law Review, 2016, 240; J. M. Chacon, Immigration and the Bully Pulpit, in Harvard Law Review Forum, 2017, 243 ss.; S. Chinn, Trump and Chinese Exclusion: Contemporary Parallels with Legislative Debates over the Chinese Exclusion Act of 1882, in 84 Tennessee Law Review, 2017, 681 ss.; K. R. Johnson, Immigration and Civil Rights in the Trump Administration: Law and Policy Making by Executive Order, in Santa Clara Law Review, 2017, 612 ss.; N. Smith, Against Walls: How President Trump’s Walling Initiatives Undermine American Exceptionalism, in Georgetown Immigration Law Journal, 2017, 623 ss., in particolare 630 ss.; S. S. Wadhia, Is Immigration Law National Security Law, in Emory Law Journal, 2017, 681 ss.; J. G. Young, Making America 1920 again – Nativism and US Immigration, Past and Present, in Journal on Migration and Human Security, 2017, 217 ss.; J. A. Goldstein, Unfit for the Constitution: Nativism and the Constitution, from the Founding Fathers to Donald Trump, in Journal of Constitutional Law, 2018, 489 ss.; N. S. Siegel, Political Norms, Constitutional Conventions, and President Donald Trump, in Indiana Law Journal, 2018, 191 ss. 2 Cfr. 8 U.S.C. S 1152(a)(1)(A): “no person shall receive any preference or priority or be discriminated against in the issuance of an immigrant visa because of his race, sex, nationality, place of birth, or place of residence”. 3 L. B. Johnson, Special message to the Congress on immigration, 13 gennaio 1965, testo disponibile nel sito www. presidency.ucsb.edu 4 Negli anni Cinquanta il 56 % dei migranti proveniva dall’Europa, e il 50% dal Regno unito e dalla Germania. Negli anni Ottanta solo l’11 % proveniva dall’Europa, mentre il 42 % giungeva dall’Asia, il 38 % dall’America Latina e dai Caraibi, il 10 % dall’Africa: cfr. H. Motomura, Immigration outside the law, New York 2014, 103. 5 Su questo concetto v. J. H. H. Weiler, The Constitution of Europe. “Do the new clothes have an emperor?” And other essays on European integration, Cambridge 1999, 3. 349 Interventi  Parte III denti, ha proposto di bandire l’ingresso negli Stati uniti ai mussulmani e, altresì, di contrastare con rinnovato vigore l’immigrazione irregolare dal Messico, descrivendo gli immigrati messicani come persone di regola dedite ad attività criminose6. È interessante notare il fatto che, in base ai sondaggi, la proposta di un Muslim ban ha immediatamente suscitato un rilevante consenso tra gli elettori, nonostante le critiche provenienti dai pubblici ufficiali operanti nell’immigrazione e da ampi settori della società civile7. La cultura politica della white supremacy e del racist nativism, fino ad allora minoritaria e marginale, è così divenuta centrale nella campagna elettorale e si è rafforzata con l’elezione di Trump a Presidente degli Stati uniti. Dopo l’elezione, come è noto, il Presidente Trump ha adottato tre atti volti a inibire l’ingresso e il soggiorno di cittadini di alcuni Paesi a maggioranza islamica. Ci proponiamo quindi di ricostruire il dibattito scientifico – iniziato alla fine del 2015 – relativo alla legittimità costituzionale di un eventuale Muslim ban, i contenuti degli atti presidenziali e, infine, le decisioni dei giudici sulla legittimità degli atti stessi. 2. Il dibattito scientifico sulla legittimità di un Muslim ban. Il dibattito scientifico sulla legittimità di un eventuale Muslim ban, all’indomani della proposta avanzata da Trump nel 2015, è stato articolato. Non sono mancate voci che, pur censurando nel merito i contenuti di una simile politica migratoria, ne hanno affermato la possibile non illegittimità costituzionale. Un primo argomento nel senso della non illegittimità è che in nessun precedente la Corte Suprema ha dichiarato illegittima la distinzione degli stranieri in diverse classi in funzione dell’ingresso. In particolare, nel precedente Chae Chan Ping v. United States del 1889 (con il quale la Corte Suprema fu chiamata a pronunciarsi sulla politica di esclusione dei cinesi dai flussi migratori), fu elaborata la dottrina del plenary power, in forza della quale il potere federale sull’immigrazione sarebbe un potere sovrano esclusivo del Congresso e del Presidente, sottratto al sindacato giurisdizionale delle Corti8. Anche nel più recente caso Fiallo versus Bell (1977), la Corte ha sostenuto che “the power to expel or exclude aliens as a fundamental sovereign attribute exercised by the Government’s political departments is largely immune from judicial control” 9. 6 Sul punto v. L. Perez Huber, “Make America great again!”: Donald Trump, racist nativism and the virulent adher- ence to white supremacy amid U.S. demographic change, cit., 222; E. M. Maltz, The Constitution and the Trump Travel Ban, in Lewis and Clark Law Review, 2018, 392 ss. 7 Cfr. T. Lloyd, Closing the golden door: the potential legality of Donald Trump’s ban on Muslim immigration, cit., 400, in cui si evidenzia che, in un sondaggio della ABC news immediatamente successivo all’annuncio di Trump, il 36 % degli intervistati si dichiarò favorevole alla misura. In un altro sondaggio della Fox news, il Muslim ban risultava essere condiviso dal 55 % degli intervistati. 8 Sul punto v. P. J. Spiro, Trump’s Anti-Muslim plan is awful. And constitutional, in The New York times, 8 dicembre 2015, che sottolinea come “unlike other bygone constitutional curiosities that offend our contemporary sensibilities, the Chinese Exclusion case has never been overturned”. Su questa decisione della Corte Suprema v. anche P. Gulasekaram, S. K. Ramakrishnan, The new immigration federalism, New York 2015, 28. 9 Sul punto v. T. Lloyd, Closing the golden door: the potential legality of Donald Trump’s ban on Muslim immigration, cit., 402-403. 350 Roberto Cherchi Immigrazione, relazioni internazionali… Un secondo argomento è quello secondo cui, in base ad alcune precedenti decisioni della Corte Suprema (in particolare, Zadvydas v. Davis), gli stranieri fuori dai confini non sarebbero titolari dei diritti che sono propri degli stranieri presenti all’interno dei confini nazionali (anche se irregolarmente presenti). Lo straniero alla frontiera, privo di legami con il territorio del Paese, non potrebbe invocare, in particolare, i diritti di due process di cui al V emendamento10. Un terzo argomento, strettamente consequenziale ai primi due, muove dalla premessa secondo cui se i precedenti citati consentono l’esclusione dall’ingresso di categorie di stranieri in base alla nazionalità e alle idee politiche, la medesima esclusione deve essere ritenuta non illegittima per motivi di religione. L’ambito soggettivo del divieto di discriminazione per motivi di religione si estenderebbe quindi solo agli stranieri regolarmente residenti o comunque presenti, anche irregolarmente, sul territorio nazionale; altra cosa sarebbe, invece, sostenere che il principio di uguaglianza nella professione di fede si estenda alle politiche migratorie e alle decisioni sul primo ingresso degli stranieri11. Il quarto argomento è fondato sull’esistenza di una norma di legge che attribuisce al Presidente il potere di sospendere l’ingresso di stranieri o di categorie di stranieri per il periodo di tempo reputato necessario, qualora questi ritenga che l’ingresso sia pernicioso per gli interessi degli Stati uniti12. Il quinto argomento è quello che sottolinea come, se anche il pericolo per la sicurezza nazionale fosse minimo, teorico e non attuale, in quanto proveniente solo da una ristretta minoranza di mussulmani, le Corti non potrebbero comunque sostituirsi all’amministrazione nel valutarlo, per cui sarebbe sufficiente l’esistenza di una qualsiasi apparente e proclamata ragione giustificativa a far salva la legittimità del provvedimento13. 10 Sul punto v. D. G. Savage, Donald Trump’s proposed ban on Muslim immigrants could be legal, scholars say, in L. A. Times, 14 dicembre 2015, che sottolinea come “non-citizens who live outside the U. S. usually cannot invoke rights protected by the Constitution”; v. anche T. Lloyd, Closing the golden door: the potential legality of Donald Trump’s ban on Muslim immigration, cit., 403. 11 Si vedano sul punto le considerazioni di Eric Posner (Università di Chicago) in D. G. Savage, Donald Trump’s proposed ban on Muslim immigrants could be legal, scholars say, cit., che muovendo dalla dottrina del plenary power del Congresso e del Presidente in materia di immigrazione, afferma che “if you take seriously the cases that have been decided in the past, they would find it constitutional”, in quanto “as a matter of law … if someone can be excluded from this country merely for having the wrong political beliefs, he could be excluded for having the wrong religious beliefs”. 12 Cfr. 8 U.S.C. § 1182 f 2012: “Whenever the President finds that the entry of any aliens or of any class of aliens into the United States would be detrimental to the interests of the United States, he may by proclamation, and for such period as he shall deem necessary, suspend the entry of all aliens or any class of aliens as immigrants or non-immigrants, or impose on the entry of aliens any restrictions he may deem to be appropriate”. Sul punto v. T. Lloyd, Closing the golden door: the potential legality of Donald Trump’s ban on Muslim immigration, cit., 403. 13 È questo un approccio, figlio della dottrina del plenary power, che poggia sulla decisione della Corte Suprema Kleindienst v. Mandel (1972). Da questo precedente si evince che gli atti amministrativi che decidono sull’ingresso dello straniero sono da ritenersi legittimi se appaiono fondati su un una norma e se i fatti che ne giustificano l’adozione sono allegati in buona fede (test della facially legitimate and bona fide reason, detto anche Mandel test, su cui v.infra, par. 3). Sul punto v. anche D. G. Savage, Donald Trump’s proposed ban on Muslim immigrants could be legal, scholars say, cit., in cui si cita una concurring opinion del Justice Kennedy che, nel caso Kerry v. Din (2015), in cui il ricorrente chiedeva all’ufficio immigrazione di dare maggiori spiegazioni sui mo- 351 Interventi  Parte III In senso contrario alla legittimità si sono invece espresse altre voci nella comunità degli interpreti. Vi è così chi ha rilevato che, muovendo dalla premessa di un sindacato giurisdizionale deferente sugli atti in materia di immigrazione, un Muslim ban non sarebbe comunque razionale, perché contraddistinto da una portata troppo ampia in rapporto ai fini perseguiti14; altri ancora hanno affermato che i diritti costituzionali di libertà di religione (I emendamento) e di due process (V emendamento) sono diritti della persona e le norme ad essi relative sarebbero applicabili anche ai non cittadini, inclusi quelli che si trovino fuori dal territorio nazionale e intendano entrare per la prima volta15; infine, si è rilevato, l’esistenza di precedenti giurisprudenziali favorevoli non è sufficiente, sic et simpliciter, a far ritenere un atto non illegittimo: l’istituzione attraverso ordine esecutivo di campi di internamento dei cittadini americani di origine giapponese nel corso della seconda guerra mondiale fu fatta salva dalla Corte Suprema, e tecnicamente quel precedente è rimasto insuperato fino alla decisione Trump v. Hawaii, ma anche prima di tale overruling tale decisione era unanimemente considerata uno straordinario errore costituzionale16; altri infine hanno sostenuto che un atto recante un Muslim ban sarebbe stato illegittimo perché “immorale” o “odioso” 17, analogamente alla politica di esclusione dei cinesi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, con riferimento alla quale la Camera dei rappresentanti ha espresso il proprio rammarico approvando una risoluzione nel 2012. 3. Il primo ordine esecutivo e le decisioni dei giudici. Immediatamente dopo l’ingresso nell’ufficio presidenziale, il 27 gennaio 2017, il Presidente Trump ha adottato un ordine esecutivo che ha comportato la sospensione dell’intero sistema di accoglienza dei rifugiati per 120 giorni; l’interruzione a tempo indeterminato del programma di accoglienza dei rifugiati siriani; la restrizione per 90 giorni dall’ingresso negli Stati uniti dei cittadini di sette Paesi (Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen), mediante la sospensione del rilascio dei visti (salve limitatissime eccezioni a vantaggio di diplomatici o decise caso per caso nell’interesse nazionale) e la revoca provvisoria di tivi per i quali il visto era stato negato a suo marito, affermò che in forza della dottrina del plenary power il semplice riferimento dell’ufficio all’esigenza di protezione dal terrorismo doveva essere ritenuto sufficiente. Sulla deferenza giudiziale nel giudizio sugli atti relativi all’immigrazione v. anche T. Lloyd, Closing the golden door: the potential legality of Donald Trump’s ban on Muslim immigration, cit., 403; Per una ricostruzione del precedente Kleindienst v. Mandel v. E. M. Maltz, The Constitution and the Trump Travel Ban, cit., 398. 14 Così H. Motomura (Ucla), in D. G. Savage, Donald Trump’s proposed ban on Muslim immigrants could be legal, scholars say, cit. 15 È questa l’opinione espressa da L. Tribe (Harvard University) in A. Melber, Harvard professor Laurence Tribe explains what Trump gets wrong, testo disponibile al sito www.msnbc.com, secondo il quale la protezione derivante dal I e dal V emendamento “applies to US conduct impacting any ‘person’ – American citizen or not, wherever located”. 16 Cfr. P. J. Spiro, Trump’s Anti-Muslim plan is awful. And constitutional, cit. 17 In questo senso si è espresso Michael Dorf (Cornell University), in A. Melber, Constitutional scholars: Trump’s anti-Muslim immigration proposal is probably illegal, testo disponibile al sito www.msnbc.com 352 Roberto Cherchi Immigrazione, relazioni internazionali… tutti i visti già validamente rilasciati. Si è altresì stabilito che il numero di rifugiati da accogliere nell’anno 2017 dovesse scendere da 110mila a 50mila e che dovesse essere data una priorità ai rifugiati per motivi di persecuzione religiosa. La revoca provvisoria dei visti ha impedito l’ingresso negli Stati Uniti a tutti i cittadini dei sette menzionati Paesi, sia di quei cittadini qualificati come stranieri “migranti” (ad esempio, i titolari di carta verde, il permesso di soggiorno permanente negli Usa) che di quelli “non migranti” (ad esempio, i titolari di visto di ingresso per motivi di studio o di turismo), nonché dei richiedenti asilo18. La revoca provvisoria dei visti ha inciso anche sul soggiorno di alcuni stranieri aventi queste nazionalità che già si trovavano sul territorio nazionale: non degli stranieri “migranti”, il cui titolo di soggiorno è la carta verde, ma degli stranieri “non migranti” (ad esempio, studenti e turisti), in quanto per questi il titolo di ingresso (il visto) è anche titolo di soggiorno. Si era così creato il presupposto per l’espulsione degli stranieri “non migranti” (in particolare, studenti e turisti) provenienti da questi Paesi, anche se gli stessi fossero stati legalmente presenti sul territorio Usa al momento dell’adozione dell’ordine esecutivo19. Gli Stati di Washington e del Minnesota hanno contestato la legalità e la costituzionalità del primo ordine esecutivo innanzi alla Corte federale per il distretto occidentale di Washington e questa Corte, riconosciuta la propria giurisdizione, con una motivazione sintetica ha sospeso temporaneamente il provvedimento. La Corte d’appello per il nono circuito, adita in secondo grado, ha confermato la decisione della Corte distrettuale, accogliendo i principali argomenti formulati all’interno della comunità scientifica in senso contrario alla legittimità: la violazione dei diritti di due process degli stranieri, di cui al V emendamento; del diritto a non essere discriminati per motivi di religione, di cui al XIV emendamento; del principio di neutralità dello Stato rispetto alle religioni, di cui al I emendamento. Infine, l’ordine esecutivo è stato ritirato. In primo luogo la Corte d’appello ha rigettato la tesi presidenziale secondo cui le decisioni dell’esecutivo in materia di immigrazione non sarebbero suscettibili di revisione giudiziale, in forza della dottrina del plenary power in materia di immigrazione, elaborata dalla Corte Suprema a partire dal precedente Chae Chan Ping v. United States (1889) a garanzia del principio della separazione dei poteri. La Corte ha invece richiamato un precedente relativamente recente della Corte Suprema (Boumediene v. Bush, 553 U.S. 723, 765, 2008), in cui si afferma che nemmeno al potere legislativo è consentito sottrarre gli atti del potere esecutivo al controllo giurisdizionale a garanzia della libertà personale per determinate categorie di stranieri (nel precedente citato, erano i “nemici combattenti” detenuti a Guantanamo), in quanto ciò determinerebbe una sospensione arbitraria e illegittima dell’efficacia 18 Peraltro rimanevano anche sotto questi profili alcuni margini di incertezza, avendo il Department of homeland security annunciato che alcuni titolari di permesso di soggiorno permanente che non avessero rappresentato una seria minaccia sarebbero stati ammessi in base a una valutazione caso per caso, mentre esistevano dubbi circa la possibilità di analoghe eccezioni a favore di titolari di altri visti di ingresso (ad esempio, studenti). 19 Questo in applicazione dell’articolo 8, U.S.C. § 1227(a)(1)(B), secondo il quale “any alien who is present in the United States in violation of this Act or any other law of the United States, or whose non-immigrant visa (or other documentation authorizing admission into the United States as a non-immigrant) has been revoked under section 221(i) is deportable.” 353 Interventi  Parte III della Costituzione. Nella direzione del primato della Costituzione sugli atti in materia di immigrazione la Corte d’appello ha anche citato altri precedenti della Corte Suprema (Zadvydas v. Davis, Chadha, American-Arab Anti-Discrimination Comm. v. Reno, Galvan v. Press, Yamataya v. Fisher), e perfino Chae Chan Ping v. United States del 1889, che è certo il primo precedente il cui la Corte Suprema ha formulato la dottrina del plenary power del government in materia di immigrazione, ma è anche una decisione in cui si afferma che l’esercizio di tutti i poteri sovrani – dal potere di dichiarare guerra a quello di concludere trattati a quello di ammettere stranieri – è soggetto al rispetto della Costituzione, oltre che a considerazioni di carattere politico. La Corte d’appello ha poi confermato l’orientamento secondo cui, essendo tali decisioni ascrivibili all’esercizio di poteri sovrani, il giudizio delle Corti deve essere un giudizio deferente. Pur muovendo da questa premessa, tuttavia, la Corte ha ritenuto incongruo limitare il sindacato sull’ordine esecutivo all’applicazione del test della facially legitimate and bona fide reason (Kleindienst v. Mandel, 1972), in virtù del quale, se il diniego di rilascio del visto di ingresso è fondato su una norma e i fatti su cui si fonda sono rappresentati in buona fede, la Corte rinuncia ad investigare sull’eventuale esistenza di altre diverse motivazioni che hanno indotto all’adozione dell’atto20. Il Mandel test è per la Corte d’appello applicabile alle sole decisioni individuali sull’ingresso; invece, di fronte ad un atto a carattere generale, che integra una “radicale politica migratoria” (sweeping immigration policy), il giudice ha il potere di investigare sulla sostanza dei presupposti e dei fini perseguiti. Anche quando tali atti oggetto dello scrutinio sono connessi ad esigenze di sicurezza nazionale il sindacato giurisdizionale deferente della rational basis review, in base ai precedenti, non è da ritenersi escluso (ex plurimis, Alperin v. Vatican Bank). Nel merito la Corte d’appello ha manifestato il convincimento della sussistenza di un fumus boni iuris, in quanto l’ordine esecutivo potrebbe essere lesivo, data la sua natura di misura di allontanamento collettivo, dei diritti di due process di cui al V emendamento, che proibisce di privare un individuo di “life, liberty, or property, without due process of law”, e sancisce di conseguenza il diritto di essere ascoltato e di interloquire con la pubblica amministrazione nel corso del procedimento. La Corte ha anche precisato che, secondo la giurisprudenza della Corte Suprema, i diritti di due process spettano a tutti, anche agli stranieri irregolarmente soggiornanti, purché comunque presenti sul territorio nazionale (Zadvydas v. Davis), e agli stranieri che, pur allontanatisi dal Paese, cerchino di farvi rientro (Landon v. Plasencia). Evidentemente, quindi, tali diritti sarebbero propri di quegli stranieri, “migranti” (come i titolari di carta verde) e “non migranti” (ad es., studenti e turisti) che sono già soggiornanti sul territorio nazionale. In secondo luogo la Corte d’appello ha ritenuto fondate le doglianze degli Stati in ordine al carattere discriminatorio dell’ordine esecutivo rispetto agli stranieri mussulmani (in base all’equal protection clause, XIV emendamento) e alla violazione del principio di neutralità dello Stato rispetto alle religioni (in base all’establishment clause, I emendamento). Sono stati così citati alcuni precedenti della Corte Suprema nei quali si precisa che, qualora una 20 V. supra, nota 13. 354 Roberto Cherchi Immigrazione, relazioni internazionali… legge persegua un fine non secolare ma religioso, essa viola il I emendamento (Lemon v. Kurtzman)21, e che una preferenza legislativa per una religione ha carattere discriminatorio in quanto implica il messaggio che i non aderenti alla confessione privilegiata non sarebbero autentici membri della comunità politica (Santa Fe Indep. Sch. Dist. v. Doe). È interessante notare il fatto che il carattere discriminatorio dell’ordine esecutivo sarebbe desumibile non dall’atto in sé considerato, ma dal contesto delle precedenti dichiarazioni del Presidente (allegate dagli attori nel giudizio), il quale a più riprese, come è noto, si era impegnato politicamente per l’introduzione di un Muslim ban. 4. Il secondo ordine esecutivo e le decisioni dei giudici. Il secondo ordine esecutivo, adottato il 6 marzo 2017, è stato scritto tenendo conto dei principali rilievi di incostituzionalità avanzati all’interno della comunità degli interpreti e nella decisione della Corte d’appello per il nono circuito. In primo luogo questo nuovo ordine esecutivo ha un ambito soggettivo di applicazione più circoscritto rispetto al precedente. L’Iraq non era più menzionato tra i Paesi ai cui cittadini l’ingresso era precluso. Inoltre erano esclusi dall’ambito di applicazione dell’atto i titolari di un permesso di soggiorno permanente, gli stranieri che già si trovavano negli Stati Uniti al momento dell’entrata in vigore dell’ordine esecutivo, i titolari di un visto valido per l’ingresso negli Stati Uniti e coloro che erano titolari di un visto valido rilasciato prima dell’adozione del primo ordine esecutivo. Infine, sebbene fosse stata confermata la temporanea sospensione del programma di accoglienza dei rifugiati (120 giorni), non si escludevano più i migranti siriani dal medesimo programma. A differenza del primo ordine esecutivo, il secondo non contiene norme idonee a recidere i legami costruiti da quegli stranieri che abbiano già intrapreso un percorso di vita sul territorio nazionale, e neppure contiene norme retroattive volte a impedire l’ingresso ai non residenti che abbiano ottenuto il visto prima del 27 gennaio 2017, rispettando così l’affidamento in essi ingenerato, secondo una concezione tipicamente contrattualistica22. In secondo luogo è divenuto più difficile affermare che il nuovo ordine esecutivo violava i diritti di due process di cui al V 21 In questa decisione la Corte Suprema ha elaborato un test, divenuto noto come Lemon test, da applicare ad atti apparentemente neutri ma sospettati di violare il I emendamento: questi atti, per essere fatti salvi devono: 1) avere uno scopo secolare primario; 2) non avere un effetto primario che rafforza o indebolisce la religione; 3) non devono legare in modo eccessivo il Governo alla religione. Su questo test si vedano, ex plurimis, J. Rheinstrom, Current Developments: One Hundred Days of President Trump’s Executive Orders, in Georgetown Immigration Law Journal, 2017, 443 e J. L. Barrow, Trump’s Travel Ban: Lawful but Ill-Advised, in Harvard Journal of Law and Public Policy, 2018, 707 ss. 22 Sullo schema contrattuale nel rapporto tra lo Stato e lo straniero negli Stati uniti cfr. L. Oren, The Legal Status of Undocumented Aliens: In Search of a Consistent Theory, in Immigration and Nationality Law Review, 19801981, 455; P. H. Schuck, The transformation of immigration law, in Columbia law review, 1984, 1 ss., in part. 6 e 44; S. H. Legomsky, Immigration law and the principle of plenary congressional power, in The Supreme Court Review, 1984, 255 ss.; V. C. Romero, United States immigration policy: contract or human rights law?, in Nova Law Review, 2007-2008, 309 ss.; Id., Everyday law for immigrants, London 2009, 5 ss. 355 Interventi  Parte III emendamento, in quanto la tesi secondo cui tali diritti sono propri anche degli stranieri che non siano residenti e che si trovino oltre la frontiera è controversa e non supportata da precedenti giurisprudenziali23. Rimaneva invece il dubbio, già formulato con riferimento al primo ordine esecutivo, in ordine alla violazione del principio di neutralità dello Stato rispetto alle religioni, di cui al I emendamento (establishment clause), pur se il secondo ordine non contiene – come la conteneva il primo – un’eccezione al divieto di ingresso a vantaggio dei richiedenti asilo appartenenti a minoranze religiose perseguitate, che in questi Paesi di regola sono cristiani (eccezione che da più parti era stata reputata un sintomo del fine religioso e non secolare perseguito attraverso l’atto). Tuttavia passando dal piano della legittimità costituzionale a quello della stretta legalità dell’atto, era rimasta irrisolta, nei giudizi relativi al primo ordine esecutivo, la questione del fondamento e dei limiti legali al potere del Presidente di sospendere l’ingresso di stranieri sul territorio nazionale. Due Corti federali distrettuali negli Stati del Maryland e di Hawaii, adite da questi Stati in giudizi nei quali si chiedeva la temporanea sospensione dell’atto presidenziale, hanno ritenuto probabilmente illegale e incostituzionale anche il secondo ordine esecutivo e ne hanno quindi sospeso l’efficacia su tutto il territorio nazionale. Sul piano del fondamento legale dell’atto, la Corte distrettuale federale del Maryland ha in primo luogo ritenuto verosimilmente fondata la tesi degli attori secondo i quali, in base alle norme vigenti dell’INA (Immigration and Nationality Act), l’ordine esecutivo non avrebbe avuto una base legale. Sebbene infatti una norma di legge conferisca al Presidente il potere di sospendere l’ingresso di stranieri o di categorie di stranieri, “migranti” (i lungo soggiornanti) o “non migranti” (come gli studenti e i turisti)24, tale potere sarebbe limitato dalla norma di legge che stabilisce il divieto di discriminazione in base al sesso, alla razza, alla nazionalità, al luogo di nascita o al luogo di residenza nel rilascio dei visti per gli stranieri “migranti” (8 U.S.C. S 1152 a 1 A)25. La norma attributiva del potere di sospendere gli ingressi risale al 1952, mentre la norma antidiscriminatoria risale al 1965. Un gruppo di amici curiae ha sostenuto che l’antinomia dovesse essere risolta con il criterio cronologico e, quindi, la prevalenza della norma successiva26. La Corte del Maryland non ha invece ritenuto esistente un conflitto tra le due norme. La norma antidiscriminatoria troverebbe infatti applicazione nel rilascio dei visti, che non può essere orientato da un indirizzo politico discriminatorio in base alla nazionalità; il potere Presidenziale di esclusione riguarderebbe, invece, solo la decisione sul se consentire o meno l’ingresso dello straniero alla 23 Nel senso dell’esistenza di un due process interest facente capo a questi stranieri v. il documento degli amici curiae presentato da F. E. Marouf, Brief of amici curiae law professors and clinicians supporting plaintiffs-appellees, in cdn.ca9.uscourts.gov, 6. 24 Cfr. 8 U.S.C. § 1182 f 2012: “whenever the President finds that the entry of any aliens or of any class of aliens into the United States would be detrimental to the interests of the United States, he may by proclamation, and for such period as he shall deem necessary, suspend the entry of all aliens or any class of aliens as immigrants or non-immigrants, or impose on the entry of aliens any restrictions he may deem to be appropriate”. 25 Cfr. 8 U.S.C. 9 1152 (a): “no person shall receive any preference or priority or be discriminated against in the issuance of an immigrant visa because of his race, sex, nationality, place of birth, or place of residence”. 26 Cfr. F. E. Marouf, Brief of amici curiae law professors and clinicians supporting plaintiffs-appellees, cit., 10. 356 Roberto Cherchi Immigrazione, relazioni internazionali… frontiera, ingresso che quindi, in base ad un ordine presidenziale, potrebbe essere temporaneamente sospeso. Nella discussione orale il Governo ha tuttavia ammesso che l’ordine esecutivo non costituisce semplicemente una direttiva per gli ufficiali di frontiera, ma implica un divieto di carattere generale di rilasciare visti ai cittadini provenienti da questi Paesi (salve le eccezioni previste); ad esso, peraltro, si collega una nota del Dipartimento della giustizia, rilasciata il 31 gennaio 2017, con la quale si revocavano provvisoriamente i visti validamente concessi fino ad allora. Alla luce di queste premesse, quindi, la Corte ha ritenuto sussistente il fumus boni iuris in ordine alla lamentata violazione della norma di legge che vieta la discriminazione fondata sulla nazionalità nel rilascio dei visti. Nel giudizio sulla legittimità costituzionale dell’atto la Corte distrettuale federale del Maryland, come già la Corte d’appello per il nono circuito con riferimento al primo ordine esecutivo, ha negato che ci si possa limitare ad applicare il test della facially legitimate and bona fide reason (Mandel test). Come si è già osservato, questo test trova applicazione nelle decisioni individuali relative allo straniero, ma non può esaurire lo scrutinio di legittimità di un atto funzionale al respingimento collettivo. In altri termini l’esercizio dei poteri sovrani in materia di immigrazione non implica la possibilità per il potere legislativo e per il potere esecutivo di servirsi di mezzi anticostituzionali per definire e implementare la politica migratoria, e non esclude un sindacato più intenso – anche se pur sempre deferente – attraverso la rational basis review. Nel merito, tale Corte ha ritenuto verosimile la violazione del principio di laicità di cui al I emendamento della Costituzione, che preclude l’adozione di norme che implichino l’istituzione di una religione ufficiale e impone la neutralità dello Stato tra le diverse religioni (establishment clause). Per la Corte del Maryland, il fine primario perseguito dall’ordine esecutivo è verosimilmente un fine religioso (la discriminazione dei mussulmani), mentre il fine secolare apparentemente perseguito (il fine securitario) sarebbe solo secondario. La finalità discriminatoria è stata desunta non dal testo ma dal contesto, ossia da numerose dichiarazioni pubbliche rilasciate dal Presidente Trump sin dal 2015, da cui si evincerebbe l’intenzione di introdurre un divieto di ingresso per i Mussulmani (Muslim ban) e, in più in generale, un sentimento anti-islamico e xenofobo27. La Corte – dissentendo sul punto dai difensori del Presidente – ha ritenuto rilevanti tali dichiarazioni, anche se rese al di fuori del formale procedimento che ha portato all’adozione dell’ordine esecutivo. Inoltre che la finalità della protezione della sicurezza nazionale fosse debole e secondaria lo si è altresì desunto dalla mancata consultazione delle agenzie federali il cui parere è acquisito nelle decisioni di questo tipo: tale consultazione è stata totalmente assente in relazione al primo ordine esecutivo, mentre, con riferimento al secondo, il parere dell’Attorney General e quello del segretario alla Homeland security sono stati rilasciati solo il 6 marzo 2017, ossia lo stesso giorno di adozione dell’ordine presidenziale. Queste considerazioni sono rafforzate dal fatto che – ha rilevato la Corte del Maryland – la misura ha una portata am- 27 Per una ricostruzione di questo contesto, oltre alle decisioni delle Corti, v. anche T. Lloyd, Closing the golden door: the potential legality of Donald Trump’s ban on Muslim immigration, cit., 399 ss. 357 Interventi  Parte III plissima e senza precedenti. La preclusione all’ingresso degli stranieri è stata infatti decisa in passato solo con riferimento ai cittadini provenienti da un singolo Paese che non rispettava i requisiti per l’immigrazione imposti dagli Stati uniti (Cuba, sotto il Presidente Reagan, nel 1986) o in cui era in corso una crisi internazionale che coinvolgeva gli Stati uniti (l’Iran durante la crisi degli ostaggi nel 1979), e mai per sei o sette diversi Paesi: fatto, questo, che confermerebbe come la finalità primaria perseguita dal Presidente Trump sia stata la discriminazione per motivi di religione e non la promozione della sicurezza. Analoghi sono gli argomenti con i quali la Corte distrettuale federale nello Stato di Hawaii ha sospeso l’efficacia del secondo ordine esecutivo. Si è in primo luogo ritenuta verosimilmente fondata la violazione dell’establishment clause di cui al I emendamento. In particolare tale Corte ha evidenziato che l’aver limitato la preclusione all’ingresso ai cittadini di soli sei Paesi, che sono il 9 % degli esseri umani che professano la religione islamica, non è sufficiente ad escludere che il primario fine perseguito mediante l’ordine esecutivo sia stato la contrazione dell’ingresso di mussulmani. Come la Corte nel Maryland, anche la Corte in Hawaii ha ritenuto che la reale portata discriminatoria per motivi di religione dell’atto possa essere desunta non solo dal testo, ma anche dal contesto delle dichiarazioni e degli obbiettivi politici manifestati da Trump sin dall’autunno del 2015. È ben vero, ha riconosciuto la Corte, che una serie di atti e dichiarazioni rese a partire dalla campagna elettorale non impedisce un revirement dell’indirizzo politico, ma, si è rilevato, non vi sono elementi per ritenere che questo mutamento nei fini si sia effettivamente verificato. Successivamente due diverse Corti d’appello hanno confermato la lamentata illegittimità di questo secondo executive order. La Corte d’appello per il quarto circuito ha aderito alla tesi secondo cui sarebbe stato violato il divieto, di cui al I emendamento, di istituire una religione di Stato (establishment clause). La Corte d’appello per il nono circuito, invece, dopo aver riaffermato l’ammissibilità di un sindacato giurisdizionale sugli atti in materia di immigrazione, ha ritenuto che l’ordine esecutivo fosse in violazione di legge, non esistendo alcuna disposizione che consenta al Presidente di compiere valutazioni connesse alla sicurezza nazionale in materia di immigrazione senza un’adeguata motivazione28. 5. La proclamation del 24 settembre 2017 e la decisione della Corte Suprema. Il 24 settembre 2017, una volta venuta meno l’efficacia del secondo ordine esecutivo, il Presidente Trump ha adottato una dichiarazione (proclamation n. 9645), recante il terzo e ultimo travel ban29. 28 Secondo la Corte d’appello per il IX circuito, “the order does not offer a sufficient justification to suspend the entry of more than 180 million people on the basis of nationality”, in quanto “National security is not a ‘talismanic incantation’ that, once invoked, can support any and all exercise of executive power”. 29 Ordini esecutivi e dichiarazioni presidenziali sono gli strumenti attraverso i quali il Presidente esercita il proprio potere normativo, fondato sulla Costituzione o su un’autorizzazione legislativa. Essi non sono formalmente previsti né dalla Costituzione né dalla legge, e non differiscono nella sostanza e negli effetti giuridici. 358 Roberto Cherchi Immigrazione, relazioni internazionali… Analogie e differenze tra i primi due e il terzo atto presidenziale devono essere evidenziate. Così come il secondo ordine esecutivo (e a differenza del primo), quest’ultimo atto non ha carattere retroattivo. Il suo ambito soggettivo non include i titolari di permesso di soggiorno permanente, coloro che hanno la doppia nazionalità e coloro che erano titolari di un visto il giorno dell’adozione della dichiarazione. Le restrizioni all’ingresso sono differenziate in ragione delle caratteristiche di ciascun Paese e, come nel secondo ordine esecutivo, si prevedono una serie di eccezioni, da valutare caso per caso, a vantaggio dello straniero che dimostri di patire una straordinaria sofferenza30 o il cui ingresso soddisfi l’interesse nazionale e non metta a repentaglio la sicurezza pubblica. A differenza di quanto previsto dai primi due ordini esecutivi, questa dichiarazione produce effetti a tempo indeterminato, anche se le preclusioni in esso contenute sono soggette a rivalutazione ogni 180 giorni. Inoltre, diversamente dai primi due ordini esecutivi, la dichiarazione non ha sospeso i procedimenti di riconoscimento dello status di rifugiato (tuttavia, con diversi atti adottati contemporaneamente alla proclamation, il Presidente ha sospeso i procedimenti di richiesta di asilo e il programma per i ricongiungimenti familiari dei cittadini di questi Paesi)31. Infine mentre i primi due ordini esecutivi erano stati elaborati senza acquisire il parere delle agenzie che sono di regola ascoltate in questi casi32, di contro questo terzo atto è stato stilato al termine di un’istruttoria amministrativa condotta dal dipartimento della sicurezza interna, che ha consultato agenzie statali e agenzie di informazione militare e civile. Tale attività istruttoria è stata diretta a selezionare i Paesi privi di un adeguato sistema di condivisione delle informazioni o che presentavano criticità sul piano della sicurezza nazionale, così come dei Paesi a rischio di non soddisfare tali requisiti. Al termine dell’istruttoria sono stati individuati sedici Stati aventi un insufficiente sistema di condivisione delle informazioni e altri trentun Paesi a rischio di fallire nel soddisfare questi requisiti. Nei successivi cinquanta giorni sono stati compiuti sforzi diplomatici diretti a incoraggiare tali Paesi a migliorare le proprie pratiche. Al termine di questa attività è stata adottata la dichiarazione, nella quale l’elenco degli Stati era in avvio così composto: Chad, Iran, Iraq, Libia, Corea del Nord, Siria, Venezuela e Yemen. La dichiarazione impone al dipartimento per la sicurezza nazionale una rivalutazione delle limitazioni ogni 180 giorni: dopo i primi sei mesi, il Presidente ha deciso che il Chad aveva sufficientemente migliorato le proprie pratiche e che quindi le restrizioni all’ingresso dei suoi cittadini potevano essere rimosse. 30 La dichiarazione reca un elenco esemplificativo di fatti che possono integrare la straordinaria sofferenza, come ad esempio l’aspirazione a risiedere vicino a un membro della propria famiglia, la necessità di accedere a cure mediche urgenti o di far fronte a obblighi d’affari. 31 Lo stesso giorno in cui è stata adottata la proclamation il Presidente ha sospeso, con un diverso atto, i procedimenti per il riconoscimento dello status di rifugiato dei cittadini di undici Paesi per ulteriori novanta giorni così come il programma follow to join, che accelerava il processo di ricongiungimento familiare a vantaggio di soggetti che già si erano visti riconoscere lo status di rifugiato negli ultimi due anni e di cui beneficiavano, principalmente, stranieri che professavano l’islam. Sul punto si vedano le osservazioni di S. Shebaya, Current Developments in Immigration Law: The Permanent Muslim Ban, in Georgetown Immigration Law Journal, 2018, 250, che evince anche da questo contesto il carattere discriminatorio degli apparentemente neutrali travel bans. 32 V. supra, par. 4. 359 Interventi  Parte III Anche questo terzo atto è stato impugnato. Il 17 ottobre 2017 due Corti distrettuali nel Maryland e nelle Hawaii hanno sospeso l’efficacia della dichiarazione33. Tali decisioni sono state confermate dalle Corti d’appello del IV e del IX circuito. Il 4 dicembre 2017 la Corte Suprema ha provvisoriamente reintegrato l’efficacia dell’atto. Il 22 dicembre 2017 la Corte d’appello per il IX circuito ha annullato la dichiarazione presidenziale in base alle stesse norme ed argomenti del giudizio sul secondo ordine esecutivo. Il Presidente ha impugnato tale decisione innanzi alla Corte Suprema, la quale ha concesso il proprio giudizio (certiorari) il 18 gennaio 2018. Il 15 febbraio 2018 anche la Corte d’appello per il IV circuito ha dichiarato invalida la dichiarazione, in base alle stesse norme ed argomenti del giudizio sul secondo ordine esecutivo. La Corte Suprema ha deciso la controversia il 6 giugno 2018. Tale decisione è stata assunta con uno stretto margine di maggioranza (cinque giudici favorevoli su nove) ed è accompagnata da due concurring opinions e da due dissenting opinions. Nella motivazione, la componente maggioritaria della Corte ha mostrato di non condividere gli argomenti elaborati in precedenza dalle Corti inferiori. La Corte Suprema ha in primo luogo ritenuto infondata la tesi, sostenuta dall’esecutivo nei giudizi di grado inferiore, secondo cui le decisioni in materia di ingresso non sarebbero suscettibili di essere sottoposte a judicial review, in quanto gli stranieri non hanno alcun diritto all’ingresso nel territorio nazionale e in quanto le decisioni sull’esclusione di uno straniero integrano un fondamentale esercizio della sovranità. A conferma di ciò l’esecutivo aveva evidenziato che l’Immigration and Nationality Act contiene un’articolata disciplina per l’impugnazione delle decisioni di allontanamento, e che tali norme sono a vantaggio solo di stranieri fisicamente presenti sul territorio nazionale. Cionondimeno, citando alcuni propri precedenti e in considerazione della carenza di una norma che espressamente escluda il controllo giudiziale, la Corte Suprema ha ritenuto di poter decidere nel merito. Come nei precedenti giudizi, la motivazione affronta le doglianze di illegalità e incostituzionalità dell’atto presidenziale. Per ciò che concerne la contestata legalità della dichiarazione, gli attori nel giudizio di appello sostenevano che la disposizione di legge su cui si fonda il potere (8 U.S.C. § 1182 f ), circoscrivendo l’ambito soggettivo dell’atto a “stranieri” o a “classi di stranieri”, conferirebbe al Presidente solo un potere residuale di inibire temporaneamente l’ingresso di un discreto gruppo di non cittadini impegnati in condotte pregiudizievoli. Di contro la Corte Suprema ha ritenuto che la lettera della disposizione attributiva del potere (8 U.S.C. § 1182 f) trasudi deferenza al Presidente e gli riconosca ampia discrezionalità, il ché gli consentirebbe di decidere se e quando sospendere l’ingresso degli stranieri, di quali stranieri, per quanto tempo si rende necessario e alle condizioni che ritiene di stabilire. L’unico presupposto dell’atto presidenziale, secondo la legge, è che l’ingresso possa essere ritenuto pregiudizie- 33 La Corte distrettuale nel Maryland ha sospeso l’efficacia della dichiarazione limitatamente ai cittadini di Chad, Iran, Libia, Somalia, Siria, e Yemen; la Corte distrettuale nelle Hawaii ha sospeso integralmente l’efficacia della dichiarazione. 360 Roberto Cherchi Immigrazione, relazioni internazionali… vole per gli interessi degli Stati uniti. Ad avviso della Corte tale presupposto ricorre nel caso di specie in quanto l’esecutivo ha posto in essere un’articolata istruttoria diretta a individuare quali Paesi osservano pratiche amministrative tali da non consentire agli Stati uniti di prevenire i rischi per la sicurezza nazionale. Gli attori avevano inoltre contestato che la motivazione dell’atto sarebbe stata insufficiente, in quanto non spiegherebbe perché quelle particolari nazionalità renderebbero di per sé gli stranieri un rischio per la sicurezza, ed avevano evidenziato la contraddittorietà dell’atto, che consente l’ingresso di molti cittadini di questi Paesi con un visto per stranieri “non migranti” (studenti o turisti). Di contro la Corte Suprema ha ritenuto adeguata la motivazione. Essa ha infatti evidenziato come la dichiarazione sia, nella parte motiva, più dettagliata di altri precedenti atti presidenziali assunti in base alla medesima norma; inoltre l’aspettativa di una motivazione più dettagliata si porrebbe in conflitto con la tradizionale deferenza per gli atti del Presidente nella sfera della relazioni internazionali e della sicurezza nazionale. Gli attori avevano altresì evidenziato che il potere di inibire l’ingresso di stranieri o di “classi” di stranieri implicherebbe il riferimento a gruppi sociali che condividono certe caratteristiche, non che condividono la stessa nazionalità. Anche sotto questo profilo la Corte Suprema ha invocato l’interpretazione letterale della disposizione, che non precisa il significato di classe e rende possibile, quindi, un divieto di ingresso in base alla nazionalità. Gli attori avevano anche messo in evidenza l’illegittimità della dichiarazione per difetto di proporzionalità, essendo questa una misura dalla portata troppo ampia con riferimento a una funzione amministrativa – il rilascio dei visti – che in base alla legge richiede un esame caso per caso. Di contro la Corte ha evidenziato come sono stati esclusi dall’ingresso solo i cittadini di quei Paesi che non danno sufficienti garanzie di fornire informazioni adeguate, per cui una documentazione fraudolenta o inaffidabile fornita dal singolo istante potrebbe indurre l’amministrazione in errore. Ad adiuvandum la Corte Suprema ricorre all’argomento letterale, sostenendo che in nessuna disposizione di legge si prevede che i problemi derivanti da informazioni insufficienti debbano essere risolti con una valutazione caso per caso. L’illegittimità della dichiarazione non sarebbe neppure desumibile dal fatto che la disciplina legislativa prevede condizioni di maggior favore ai fini dell’ingresso – l’esenzione dal visto – a vantaggio dei cittadini di Paesi ritenuti affidabili e alleati. La vigenza di questa disciplina speciale non preclude, di per sé, l’introduzione di norme di sfavore con un atto secondario in quanto – in questo punto si fa nuovamente ricorso all’argomento letterale – il linguaggio utilizzato dal legislatore tradisce l’intenzione di riconoscere al Presidente un potere ampio, e non un’autorità meramente residuale. Gli attori avevano inoltre censurato la dichiarazione facendo ricorso all’interpretazione storica della legge: dai lavori preparatori si evincerebbe come il potere presidenziale di sospendere l’ingresso dovrebbe essere limitato esclusivamente alle ipotesi in cui sia impossibile per il Congresso reagire prontamente. Non a caso, analoghe precedenti disposizioni vigenti durante la prima e la seconda guerra mondiale circoscrivevano espressamente tale potere ai casi di guerra o di emergenza nazionale, e l’enunciato di tali disposizioni del passato sarebbe stato ripetuto, quasi alla lettera, dalla disposizione su cui si fonda il potere. 361 Interventi  Parte III Anche questa interpretazione è stata ritenuta inadeguata dalla Corte Suprema, sempre in base all’argomento letterale: si è evidenziato che proprio il fatto che la precedente disciplina prevedesse come presupposto l’emergenza nazionale e che quella attualmente vigente faccia riferimento agli “interessi degli Stati Uniti” deve indurre a ritenere che il potere presidenziale sia divenuto molto più ampio. Parimenti infondato è stato ritenuto l’argomento che poggia sulla prassi applicativa della legge. Gli attori avevano sostenuto che in passato la sospensione dell’ingresso era stata decisa solo per categorie di stranieri impegnati in attività ritenute pregiudizievoli dalle leggi sull’immigrazione, e che la sospensione relativa a tutti i cittadini di una certa nazionalità era stata decisa per far fronte a emergenze diplomatiche non affrontate dalle leggi sull’immigrazione. Di contro la Corte Suprema ha ritenuto che proprio la prassi applicativa evidenzi l’ampia portata del potere riconosciuto dalla legge al Presidente. Non di rado, infatti, gli atti di esclusione di questo tipo sono stati adottati come ritorsione diplomatica nei confronti di un Paese, piuttosto che come misure dirette a stranieri o a categorie di stranieri impegnati in attività pregiudizievoli; inoltre due precedenti ordini esecutivi sono stati adottati per escludere tutti i cittadini di una determinata nazionalità (Il Presidente Carter sospese l’ingresso dei cittadini iraniani nel 1979-1980; il Presidente Reagan sospese l’ingresso dei cittadini cubani nel 1986). Infine gli attori hanno sostenuto che l’atto violerebbe il divieto di discriminazione in base alla nazionalità previsto da una disposizione dell’Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. S 1152(a)(1)(A)). Al contrario per la Corte Suprema la disposizione su cui si fonda il potere consente al Presidente di circoscrivere la platea degli ammissibili, escludendo stranieri e categorie di stranieri, “migranti” e “non migranti”, nell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale che tiene conto di varie esigenze, come ad esempio la diffusione di un’epidemia in una regione, una verificata minaccia terroristica che coinvolge i cittadini di un Paese, lo scoppio di una guerra. Una volta definita questa platea, l’amministrazione è vincolata al divieto di discriminazione nel rilascio dei visti agli stranieri “migranti”. Per ciò che concerne i profili di illegittimità costituzionale della dichiarazione, gli attori hanno evidenziato che il primo emendamento impedisce al Congresso di adottare una legge che istituisca una religione di Stato o ne proibisca la libera professione. Secondo gli stessi la dichiarazione presidenziale integrerebbe un religious gerrymander, in quanto la maggior parte dei Paesi per i quali è stato disposto il divieto di ingresso sono a maggioranza mussulmana: argomento, questo, che sarebbe suffragato dalle note dichiarazioni del Presidente Trump sull’opportunità di unmuslim ban. L’apprezzamento giudiziale di queste dichiarazioni dipende soprattutto dalla tecnica di giudizio osservata. Le Corti inferiori – si ricorderà – hanno applicato la rational basis review e non il Mandel test, in quanto tali ordini esecutivi integrerebbero non un atto particolare, ma atti a portata generale recanti una radicale politica migratoria. La Corte Suprema ha in primo luogo criticato questa lettura riduttiva dell’ambito oggettivo di applicazione del Mandel test, sostenendo che tale tecnica di giudizio è stata già applicata dalla Corte Suprema in casi nei quali era stata censurata una broad immigration policy, e ha messo in evidenza che la limitata sindacabilità di questi atti trova il proprio fondamento nel principio di sepa362 Roberto Cherchi Immigrazione, relazioni internazionali… razione dei poteri, che esclude interferenze del potere giudiziario nelle responsabilità presidenziali connesse agli affari esteri. Tuttavia la Corte, nel caso in esame, ha deciso di accogliere un suggerimento del Solicitor general che ha proposto, per motivi di opportunità, di sottoporre la dichiarazione alla rational basis review. La stessa Corte tuttavia ha evidenziato che quest’ultima tecnica di giudizio raramente conduce ad annullare un enunciato normativo, in quanto si annullano solo le disposizioni il cui esclusivo intento sia incostituzionale. Nel caso in esame per la Corte non è possibile affermare che la dichiarazione non persegue interessi nazionali, né che essa è animata esclusivamente da un intento discriminatorio. Il testo della dichiarazione – si evidenzia – non dice nulla sulla religione. I cittadini dei Paesi il cui ingresso è stato sospeso rappresentano appena l’8% della popolazione islamica mondiale. La dichiarazione è stata adottata al termine di un’articolata istruttoria amministrativa, né può dirsi – come affermato dalla Justice Sotomayor nel suo dissent – che l’istruttoria sia stata insufficiente per il solo fatto che il rapporto finale del Dipartimento per la sicurezza nazionale è lungo appena diciassette pagine. Gli attori – ha chiosato la Corte – chiedono di porre in essere giudizi di idoneità e di proporzionalità che ci condurrebbero ai confini del giudizio di merito proprio in un ambito nel quale gli interessi della sicurezza nazionale e degli affari esteri impongono un giudizio deferente. Come si è anticipato, la decisione è accompagnata da due concurring opinions e da due dissenting opinions. Tra le concurring opinions, il Justice Kennedy ha messo in evidenza che in numerosi ambiti – in primis, la politica estera – gli atti del Presidente non sono soggetti a judicial review. Eppure non può dirsi che l’esecutivo sia libero di violare la Costituzione. Tutti i funzionari pubblici giurano di rispettare la Costituzione, che anche quando non costituisce parametro di giudizio non cessa di essere un atto normativo per i pubblici poteri. Il Justice Thomas ha invece dissentito dalla maggioranza della Corte in ordine all’applicazione della rational basis review, ritenendo che l’atto presidenziale, che poggerebbe direttamente sul potere esecutivo riconosciuto al Presidente dall’art. 2 della Costituzione, sia semplicemente insindacabile da parte del potere giudiziario. Non potrebbe inoltre essere invocata la violazione del I emendamento, perché la lamentata discriminazione sarebbe patita da stranieri che si trovano all’estero. Thomas ha infine criticato l’adozione di decisioni universali da parte di Corti distrettuali, i cui effetti si producono in tutti gli Stati uniti, negando che le Corti di grado inferiore abbiano un tale potere. Tra le dissenting opinions, Breyer e Kagan hanno ritenuto che il fine perseguito sia quello discriminatorio. Ciò lo si deduce dal fatto che, sebbene la dichiarazione preveda una serie di deroghe a favore di quei cittadini dei Paesi banditi che si trovino in certe condizioni (ad esempio, che chiedano di entrare negli Stati uniti per adempiere a obblighi di affari o professionali), l’amministrazione non ha adottato delle linee guida per indirizzare l’attività amministrativa dei funzionari nell’applicazione di queste norme derogatorie. Parimenti, si evidenzia, la dichiarazione non si applica ai richiedenti asilo o ai rifugiati, ma a partire dalla sua adozione solo pochi rifugiati di queste nazionalità sono stati ammessi. Per i due Justices la natura discriminatoria della dichiarazione si evince quindi non tanto dal contesto della comunicazione politica di Trump, ma dalla prassi amministrativa. 363 Interventi  Parte III Articolata e assai critica – secondo alcuni irrispettosa34 – è infine la dissenting opinion della Justice Sotomayor, che si è concentrata sui profili di incostituzionalità dell’atto presidenziale, ricostruendo con dovizia di particolari la sequenza di dichiarazioni discriminatorie del Presidente Trump. Sotomayor ha altresì delineato il quadro della giurisprudenza “domestica” sull’establishment clause, da cui si evince che viola il primo emendamento ogni atto del Governo il cui fine dominante sia la discriminazione per motivi di religione; che le dichiarazioni di ostilità religiosa dei pubblici ufficiali e l’inerzia da parte dello Stato nel disconoscerle sono state ritenute “costituzionalmente significative” in un giudizio su un atto che era stato impugnato perché reputato lesivo della libertà religiosa; che un atto è da ritenersi in violazione del I emendamento se un reasonable observer converrebbe che il fine principalmente perseguito sia la discriminazione per motivi di religione (Mc Creary County v. American Civil liberties Union of Ky)35. Sotomayor ha anche affrontato il tema del tipo di scrutinio da porre in essere. Dopo aver ritenuto inappropriato applicare il Mandel test a un atto di portata generale, la Justice ha espresso dubbi anche sull’adeguatezza della rational basis review in quanto, nelle controversie in cui viene in evidenza la violazione della establishment clause, la Corte suprema pone in essere uno scrutinio più stringente, né si potrebbe affermare sic et simpliciter che la connessione di un atto del potere esecutivo con la sicurezza nazionale e la politica estera sia, di per sé, un motivo per escluderne la revisione giudiziale. Ad ogni modo per Sotomayor, anche applicando la rational basis review, l’impossibilità di evincere dal contesto fattuale un legittimo interesse statale perseguito, la mancanza di un accettabile rapporto tra l’ampiezza dei mezzi disposti e i fini dichiaratamente perseguiti, e infine le note dichiarazioni presidenziali, sono indici del fatto che l’unica ragione giustificativa dell’atto sarebbe l’ostilità religiosa. In punto di stretta legalità, Sotomayor ha criticato l’interpretazione letterale della disposizione su cui si fonda l’atto censurato e ha invece proposto una lettura sistematica della disciplina legale sugli ingressi che, nel prevedere il regime ordinario di rilascio dei visti e un regime speciale a vantaggio dei cittadini di un ristretto numero di Paesi che soddisfano certi requisiti, realizzerebbe tutti i possibili interessi nazionali e non consentirebbe, quindi, l’adozione in via amministrativa di un terzo regime, più sfavorevole, per i cittadini di determinati Paesi. Infine la Justice ha messo in evidenza le analogie con un odioso precedente, Korematsu v. United States, con il quale la Corte Suprema, chiamata a giudicare della legittimità di un ordine esecutivo che disponeva l’internamento dei cittadini americani di origine giapponese durante la seconda guerra mondiale, aveva legittimato “una odiosa e gravemente ingiuriosa classificazione razziale”: precedente che la Corte, proprio in questa decisione Trump v. Hawaii, ha avvertito l’esigenza di superare con un formale overruling. 34 Cfr. J. Blackman, The travel bans, in Cato Supreme Court Review, 2017-2018, 51. 35 Sul punto v. le osservazioni di D. S. Rubenstein, Immigration Blame, in Fordham Law Review, 2018, 141, secondo il quale, applicando questo canone, gli attori avrebbero forse potuto prevalere nel giudizio. In senso critico rispetto alla possibilità di applicare precedenti su casi “domestici” ad un atto intimamente connesso alla sicurezza nazionale e alle relazioni internazionali v. P. Margulies, Bans, Borders, and Sovereignty: Judicial Review of Immigration Law in the Trump Administration, in Michigan State Law Review, 2018, 73. 364 Roberto Cherchi Immigrazione, relazioni internazionali… 6. Considerazioni finali sui profili di illegalità degli ordini esecutivi. L’adozione dei tre ordini esecutivi esaminati in questo scritto offre alcuni spunti di riflessione sul rapporto tra Costituzione, legge e poteri normativi del Presidente. Secondo un primo orientamento – che trova riscontro nella concurring opinion del Justice Thomas – gli ordini esecutivi poggerebbero direttamente sul potere esecutivo riconosciuto al Presidente dall’art. 2 della Costituzione, per cui la norma di legge attributiva del potere avrebbe carattere dichiarativo e non sarebbe idonea a porre limiti all’autorità presidenziale36. In base a un secondo orientamento, gli ordini esecutivi sarebbero fondati su una norma di legge. In questa prospettiva l’estensione e i limiti del potere presidenziale sono controversi. Per alcuni autori (e per i giudici delle Corti di primo e di secondo grado) la norma riconoscerebbe al Presidente un potere di natura “interstiziale”, ossia residuale, non idoneo quindi a costituire il fondamento di una sweeping immigration policy. A questa conclusione si giunge in base all’interpretazione sistematica che mette in correlazione la disposizione attributiva del potere (8 U.S.C. § 1182 f ) con le altre disposizioni dell’Immigration and Nationality Act del 1952, così come modificato dall’Immigration and Nationality Act del 1965. Il quadro legislativo vigente è articolato e analitico. Esso prevede un regime ordinario di rilascio dei visti; un regime di esenzione dal visto per i cittadini di determinati Paesi; il superamento dell’originario sistema delle quote (che svantaggiava l’immigrazione asiatica) e della discriminazione per motivi di razza, religione e origini nazionali; un favor per i ricongiungimenti familiari. La legge inoltre regola dettagliatamente le cause di esclusione, tra le quali, oltre a quelle tradizionali, come la possibilità che lo straniero divenga un peso perché incapace di mantenersi, vi sono anche quelle connesse al pericolo di terrorismo, che sono state incrementate dopo l’11 settembre 2001. Da questa particolareggiata disciplina legislativa dovrebbe discendere che il potere del Presidente di sospendere gli ingressi sia da intendersi come residuale. Esso può essere quindi legittimamente esercitato per inibire l’ammissione di stranieri o di categorie di stranieri (financo di tutti i cittadini di una certa nazionalità), ma solo in presenza di circostanze eccezionali e per il tempo che si rende necessario in relazione alle stesse, e non per integrare il disegno legislativo, potenzialmente a tempo indeterminato, con norme di sfavore per i cittadini di determinati Paesi37. Inoltre si è evidenziato come una disposizione antidiscriminatoria nel rilascio dei visti (8 U.S.C. S 1152(a)(1)(A))è stata inserita nell’Immigration and Nationality Act del 1952 dal successivo Immigration and Nationality Act del 1965, e che di conseguenza anche il potere del 36 In questo senso v. anche J. Blackman, The 9th Circuit’s Contrived Comedy of Errors in Washington v. Trump, in Texas Law Review, 2016, 230-231. 37 Sul punto v. P. Margulies, Bans, Borders, and Sovereignty: Judicial Review of Immigration Law in the Trump Ad- ministration, cit., 5, 54, 57 ss.; E. Lee, Non-Discrimination in Refugee and Asylum Law (against Travel Ban 1.0 and 2.0), in Georgetown Immigration Law Journal, 2017, 511. 365 Interventi  Parte III Presidente di sospendere gli ingressi incontrerebbe il limite del divieto di discriminazione. In questo senso, quindi, gli ordini esecutivi sarebbero illegali perché rappresenterebbero un tentativo di far rivivere in via amministrativa quel meccanismo di selezione degli ingressi in base alle origini nazionali che era proprio del precedente sistema delle quote. Infine, è stato affermato, gli ordini esecutivi sarebbero illegali in quanto non necessari e sproporzionati in rapporto ai fini perseguiti38. In senso contrario da più parti si è sostenuto – e anche la Corte Suprema ha sostenuto – che la lettera della disposizione attributiva del potere trasuderebbe deferenza nei confronti del Presidente e gli avrebbe quindi delegato un potere ampio, debolmente collegato ad un presupposto generico come la salvaguardia degli interessi nazionali e, quindi, suscettibile esclusivamente di un sindacato deferente39. Date queste premesse, quindi, non sarebbe ammissibile l’applicazione dei test di necessità e proporzionalità. Neppure potrebbe sostenersi che il potere presidenziale sia limitato dalla disposizione antidiscriminatoria (8 U.S.C. S 1152(a)(1)(A)): con questo atto si facoltizzerebbe il diniego di ammissione degli stranieri, “migranti” e “non migranti”; la norma antidiscriminatoria, invece, avrebbe un più ristretto ambito soggettivo (i soli stranieri “migranti”) e un diverso ambito oggettivo (si applicherebbe al rilascio dei visti)40. Se si fosse in vigenza della Costituzione italiana, non credo che vi sarebbero dubbi: l’atto normativo secondario sarebbe illegittimo in quanto il principio di stretta legalità impone la determinazione con atto legislativo, e non amministrativo, delle condizioni per l’ingresso e l’allontanamento (Corte cost., sent. 148/2008). Anche con riferimento al contesto statunitense sono tuttavia diversi gli argomenti in questo senso convincenti. È noto il canone ermeneutico in virtù del quale tanto più la disciplina legislativa è dettagliata, quanto meno è possibile ritenere legittime norme secondarie volte a innovare sensibilmente il quadro normativo primario. Il carattere articolato e dettagliato dell’Immigration and Nationality Act ci induce a ritenere condivisibile la tesi secondo cui il potere del Presidente sia residuale, volto a far fronte a situazioni eccezionali, atipiche, imprevedibili, attraverso misure naturalmente circoscritte nel tempo in quanto collegate ad una situazione contingente. 7. Considerazioni finali sui profili di illegittimità costituzionale degli ordini esecutivi. Dai precedenti giurisprudenziali si evince che lo straniero gode di una diversa protezione costituzionale a seconda che sia già presente sul territorio nazionale o sia, invece, al suo primo ingresso. Con riferimento agli stranieri comunque presenti sul territorio, anche se 38 In questo senso v. anche K. Hong, How to End Illegal Immigration, in Maryland Journal Of International Law, 2018, 246-247. 39 Così B. Starr, Executive Power over Immigration, in Texas Review of Law and Politics, 2017, 285 e J. Blackman, The 9th Circuit’s Contrived Comedy of Errors in Washington v. Trump, cit., 231. 40 In questo senso, oltre alla decisione della Corte Suprema, v. J. Lee Barrow, Trump’s Travel Ban: Lawful but Ill-Advised, in Harvard Journal of Law and Public Policy, 2018, 700. 366 Roberto Cherchi Immigrazione, relazioni internazionali… irregolarmente soggiornanti, si è assistito al riconoscimento di alcuni diritti attraverso una serie di decisioni della Corte Suprema che hanno contribuito ad erodere la dottrina del plenary power 41. Tali diritti non sono invece propri dello straniero oltre la frontiera che non sia già a qualche titolo soggiornante, in quanto questi non può vantare un rapporto con il territorio nazionale. Come si evince dai precedenti Mandel e Fiallo, recentemente confermati dalla Corte Suprema in Kerry v. Din (concurring opinion del Justice Kennedy) e – almeno in linea di principio ora anche in Trump v. Hawaii – gli atti inerenti il primo ingresso sarebbero sostanzialmente immuni dal controllo giudiziale42. Il diniego dell’ingresso è legittimo se è fondato su una norma che lo autorizza e se si presenta come un atto in apparenza neutro (Mandel test). Tutte le Corti si sono tuttavia dovute confrontare – ed è questo uno dei caratteri innovativi del caso in esame – con misure di esclusione collettiva fondate sulla nazionalità. Di fronte ad atti che non integrano l’attuazione particolare e concreta di una norma, bensì una politica migratoria radicale e di ampio raggio, i giudici di primo e di secondo grado hanno affermato l’applicabilità della rational basis review, piuttosto che del Mandel test. La differenza è sostanziale: il Mandel test impone al giudice di limitarsi a constatare la formale legalità del fine primario dichiarato nel documento, astenendosi da ogni ulteriore indagine; con la rational basis review, al giudice è consentito verificare se l’atto governativo sia razionalmente collegato ad un interesse governativo legittimo, o se invece esso non abbia esclusivamente perseguito una finalità incostituzionale. La Corte Suprema, invece, ha affermato che dai propri precedenti si può evincere l’applicabilità del Mandel test anche ad atti che integrino un’azione politica di ampio raggio. Ciononostante, accogliendo un suggerimento in questo senso dell’esecutivo, la stessa Corte ha ritenuto di poter applicare nel caso di specie la rational basis review. Se la tecnica di giudizio è stata la stessa, le valutazioni delle Corti divergono. Per le Corti di grado inferiore (così come per il dissent di Sotomayor), non vi è dubbio che il contesto tradisce un intento discriminatorio. La Corte Suprema ha invece accolto l’invito del Solicitor General a guardare a come la dichiarazione è stata “scritta” e a come è “applicata”. Essa è stata restia a “guardare dietro” la legalità formale dell’atto, alla ricerca di ragioni di 41 Sull’erosione della dottrina del plenary power nella giurisprudenza della Corte Suprema degli ultimi decenni, in particolare a partire dalla decisione Zadvydas v. Davis, in cui la Corte Suprema ha riconosciuto allo straniero sottoposto a detenzione amministrativa il diritto al substancial due process of law, cfr. R. Canty, The new world of immigration custody determinations after Zadvydas v. Davis, in Georgetown Immigration Law Journal, 2003-2004, 470 ss.; J. W. Gardner, Halfway There: Zadvydas v. Davis Reins in Indefinite Detentions, but Leaves Much Unanswered, in Cornell International Law Journal, 2003-2004, 177 ss.; G. Martinez, Indefinite detention of immigrant information: federal and State overreaching in the interpretation, in The Yale law journal, 2010, 667 ss.; A. Bramante, Ending indefinite detention of non-citizens, in Case western reserve law review, 2011, 933 ss.; P. J. Spiro, Explaining the end of plenary power, in Georgetown Immigration Law Journal, 2001-2002, 339 ss.; sull’erosione del plenary power con specifico riferimento ai “nemici combattenti” detenuti al di fuori dal territorio nazionale si veda la sentenza della Corte Suprema Boumediene v. Bush, su cui, ex plurimis, v. S. H. Joseph, Hasta la vista? An assessment of the California governor’s proposal to send undocumented inmates to Mexico, in Boston College International and Comparative Law Review, 2011, 186 ss. 42 Sul punto v. le osservazioni di B. Starr, Executive Power over Immigration, cit., 288. 367 Interventi  Parte III carattere discriminatorio, e invece è parsa propensa a ricostruire gli elementi di una ragione legittima che ne giustificasse l’adozione. A nostro avviso si deve riconoscere la difficoltà esistente a dichiarare incostituzionale l’atto presidenziale applicando la rational basis review, che integra una presunzione di legittimità43. A conclusioni diverse si sarebbe verosimilmente giunti utilizzando lo standard del reasonable observer, applicato nella giurisprudenza “domestica” sulla establishement clause (McCreary County v. American Civil liberties Union of Ky). È ben vero che uno scrutinio più intenso è ritenuto anomalo se ha ad oggetto atti presidenziali che sono connessi alla sicurezza nazionale e alle relazioni internazionali, tuttavia una decisione in questo senso sarebbe stata non solo coerente con la riscontrata tendenza all’erosione della dottrina del plenary power ma, soprattutto nel caso di specie, avrebbe avuto la propria ragione giustificativa in una ricostruzione dei significati costituzionali (e delle tecniche di giudizio ad essi correlati) riconducibile alla volontà del legislatore. È il Congresso infatti che, con l’adozione dell’Immigration and Nationality Act del 1965, ha perseguito il superamento del sistema delle quote perché ritenuto discriminatorio e quindi, in definitiva, perché contrario allo spirito della Costituzione. È quindi il Congresso che ha scelto di espandere l’ambito di applicazione giudiziale della Costituzione alla politica degli ingressi, che pure è comunemente considerata un fondamentale esercizio di sovranità (Chae Chan Ping v. United States). Il filo rosso della non discriminazione lega pertanto le censure in punto di legalità e di legittimità, e avrebbe dovuto orientare non solo la selezione degli argomenti nel giudizio, ma anche la scelta della tecnica di giudizio. Al contrario l’applicazione della rational basis review ha avuto come esito la salvaguardia di un atto che, “no matter how many officials affix their names to it, … rests on a rotten foundation”44. Data l’originalità e l’alto contenuto politico della vicenda non si può tuttavia non riconoscere che si è trattato di un hard case aperto a più soluzioni, tutte potenzialmente divisive45, e che nel giudizio il dirsi repubblicano o democratico, piuttosto che le sottili interpretazioni, sembra aver tracciato la linea divisiva tra maggioranza e minoranza. In ultima analisi gli atti presidenziali e le decisioni dei giudici portano con sé un non trascurabile lascito. 43 In senso critico rispetto alle decisioni dei giudici di grado inferiore si è evidenziato che in tali giudizi lo scrutinio sarebbe stato in realtà stretto e non deferente: così J. Blackman, The 9th Circuit’s Contrived Comedy of Errors in Washington v. Trump, cit., 230-231. Parimenti in senso critico si è posta in dubbio la possibilità di utilizzare le dichiarazioni del Presidente Trump per ricostruire il fine perseguito dall’atto: anche la giurisprudenza “domestica” (McCreary County v. American Civil liberties Union of Ky) imporrebbe infatti un’indagine di carattere oggettivo, e non di carattere psicologico e subiettivo: cfr. B. Starr, Executive Power over Immigration, cit., 285. Peraltro, è stato evidenziato che le dichiarazioni medesime sarebbero meno inequivoche di quanto è stato ritenuto: cfr. P. Margulies, Bans, Borders, and Sovereignty: Judicial Review of Immigration Law in the Trump Administration, cit., 73. Sulla difficoltà di un eventuale annullamento attraverso l’applicazione della rational basis review, v. D. S. Rubenstein, Immigration Blame, cit., 141; J. Blackman, The travel bans, cit., 44 ss. 44 Si veda Sotomayor nella sua dissenting opinion, che a sua volta cita il Brief for Constitutional Law Scholars as amici Curiae 7, presentato il 2 aprile 2018. 45 Sul punto v. le osservazioni di D. S. Rubenstein, Immigration Blame, cit., 183. 368 Roberto Cherchi Immigrazione, relazioni internazionali… In primo luogo tutte le Corti adite hanno posto in essere la rational basis review. La Corte Suprema sembra aver voluto mettere in evidenza che l’applicazione di questa tecnica non costituisce precedente, ma tale decisione potrebbe comunque essere in futuro evocata per superare definitivamente il Mandel test ogni qual volta l’atto oggetto dello scrutinio abbia una portata generale e non particolare. In secondo luogo la Corte Suprema ha colto l’occasione per il formale overruling di Korematsu v. United States, ritenuto “gravely wrong the day it was decided”. Infine giova ricordare che i mutamenti costituzionali non sono solo l’effetto di revisioni costituzionali, ma anche dell’adozione di fondamentali atti normativi di rango inferiore e di decisioni giurisprudenziali, così come dell’evoluzione nelle inclinazioni e negli atteggiamenti culturali46. Ad esempio le trasformazioni nella declinazione del principio di uguaglianza tra uomini e donne, così come tra eterosessuali e omosessuali, trovano un fondamento in atti normativi e precedenti giurisprudenziali che sono stati legati al rinnovamento degli atteggiamenti culturali negli anni Sessanta e Novanta47. Allo stesso modo l’ascesa del populismo nazionalista può avere un’influenza sulla ricostruzione dei significati costituzionali. Non può essere certo ignorato il rilevante consenso di cui sembra essere stata investita la proposta di un Muslim ban nell’autunno 2015; inoltre se l’accademia statunitense si è trovata a discutere della legittimità costituzionale di una misura che, fino a pochi anni prima, sarebbe stata considerata un’assurdità, si è verosimilmente in presenza di una tensione non ordinaria all’interno del discorso costituzionale e politico. L’eredità di questi ordini esecutivi potrebbe quindi essere l’attribuzione di dignità costituzionale a pratiche contrarie all’uguaglianza, segregazioniste e xenofobe, come quelle di cui furono vittima i cinesi a partire dal chinese exclusion act e i cittadini americani di origine giapponese nel corso della seconda guerra mondiale: pratiche che finora, per un generale e diffuso intendimento, sono state annoverate tra i più grandi fallimenti della storia costituzionale statunitense. Tuttavia la reazione volta a riaffermare la narrazione inclusiva della Costituzione da parte di ampi settori dell’accademia come degli avvocati, di alcuni giudici come di importanti segmenti della società civile, così come il formale overruling del precedente Korematsu, ci inducono a pensare che la narrazione escludente, nel segno del razzismo della xenofobia, non è incontroversa e non è detto che divenga dominante, nonostante il patronage del Presidente. 46 Cfr. M. C. Dorft, Donald Trump and Other Agents of Constitutional Change, in The University of Chicago Law Review Online, 2016-2017, 72 ss. 47 Cfr. M. C. Dorft, Donald Trump and Other Agents of Constitutional Change, cit., 77 ss. 369 Interventi  Parte III PREVENZIONE DEL TERRORISMO ED ESPULSIONE DEGLI STRANIERI DOPO IL ‘‘DECRETO SICUREZZA’’ DEL 2018 ~ Nicola Gullo ~ 1. PREMESSA. TERRORISMO E DEMOCRAZIE CONTEMPORANEE • 2. LA DISCIPLINA DEI FLUSSI MIGRATORI E LA TUTELA DELLA SICUREZZA PUBBLICA • 3. L’ESPULSIONE AMMINISTRATIVA PER MOTIVI DI ORDINE PUBBLICO E DI SICUREZZA DELLO STATO, AI SENSI DELL’ART. 13, CO. 1 T.U.I. • 4. LE NOVITÀ DEL “DECRETO PISANU” DEL 2005: L’ESPULSIONE IN FUNZIONE DI PREVENZIONE DEL TERRORISMO INTERNAZIONALE • 4.1. IL REGIME PROCEDIMENTALE E PROCESSUALE • 4.2. LA REVISIONE DELL’ART. 13, CO. 2 T.U.I. • 4.3. LE MODIFICHE DEL “DECRETO MINNITI” DEL 2017: ULTERIORI NOVITÀ PROCESSUALI IN MATERIA DI ESPULSIONE PER MOTIVI DI TUTELA DELL’ORDINE PUBBLICO • 4.4. LE RECENTI INNOVAZIONI DEL “DECRETO SALVINI” • 5. IL CONTRASTO AL TERRORISMO DI MATRICE ISLAMISTA E LA PREVENZIONE AMMINISTRATIVA: L’«ANOMALIA» DEL CASO ITALIANO • 6. I DUBBI DELLA DOTTRINA SULLA LEGITTIMITÀ DELLE MISURE DI PREVENZIONE AMMINISTRATIVA • 7. SEGUE. I PROVVEDIMENTI DI ESPULSIONE PER LA PREVENZIONE DEL TERRORISMO E LA TUTELA DELL’ORDINE PUBBLICO TRA PRINCIPI COSTITUZIONALI ED ORIENTAMENTI DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO • 8. LE IMPLICAZIONI DELLA SENTENZA DE TOMMASO DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO: UNA REVISIONE GENERALE DELLE MISURE DI PREVENZIONE? • 9. IL DIFFICILE BILANCIAMENTO TRA TUTELA DELL’ORDINO PUBBLICO E DIRITTI FONDAMENTALI DEGLI STRANIERI NELL’ERA DEL TERRORISMO GLOBALE. 1. Premessa. Terrorismo e democrazie contemporanee L’emersione del terrorismo planetario nello scenario internazionale1 – a partire dall’attento alle “Torri gemelle” dell’11 settembre 2001 – ha messo in crisi i sistemi democratici contemporanei, perché l’emergenza terroristica non soltanto ha favorito l’affermazione, negli ordinamenti nazionali, di politiche securitarie che, in molti casi, implicano una «militarizzazione dell’ordine pubblico»2 e una controversa compressione delle libertà fondamentali3, ma ha anche contribuito a determinare un inasprimento normativo del tratta- 1 Per una ricognizione delle varie manifestazioni del terrore planetario si veda D. Di Cesare, Terrore e modernità, Torino 2017, 3 ss. 2 Cfr. V. Ruggiero, La radicalizzazione della democrazia: conflitto, movimenti sociali e terrorismo, in Studi sulla questione criminale 3, 2017, 12. 3 Si pensi, per esempio, all’impatto del Patriot Act: si veda, ex multis, J. Follorou, Démocraties sous contrôle. La victoire posthume d’Oussama Ben Laden, Paris 2014. 4 Sul fenomeno della crimmigration, si veda J. Stumpf, The crimmigration crisis: immigrants, crime, and sovereign, in American University Law Review LII, 2006, 367 ss. 370 Nicola Gullo Prevenzione del terrorismo ed espulsione… mento giuridico dei migranti che si pone in conflitto con i modelli di accoglienza e di integrazione che sono stati finora adottati in Europa4. Peraltro, anche la difficoltà di gestione dei flussi migratori da parte delle istituzioni statali ed europee ha aumentato le preoccupazioni e le ansie dell’opinione pubblica per le possibili ripercussioni dei nuovi arrivi sulla stabilità sociale e la sicurezza nazionale. Com’è stato osservato, «proprio i timori legati al radicamento del terrorismo islamico in Europa, da un lato, ed al massiccio afflusso di richiedenti asilo provenienti da zone di guerra, dall’altro, sono all’origine di una crisi di fiducia senza precedenti in alcuni degli ideali fondativi dell’Unione europea (su tutti la libera circolazione delle persone ed il rispetto dei diritti fondamentali)»5. L’individuazione del punto di equilibrio tra contenimento della spesa pubblica per le politiche sociali (anche di integrazione), salvaguardia dell’incolumità dei cittadini e della sicurezza pubblica e tutela dei diritti dei migranti non è semplice nell’attuale fase storica, ma la Corte di giustizia dell’UE e la Corte europea dei diritti umani non mancano di sollecitare gli Stati europei a non intraprendere percorsi regolativi in materia di immigrazione che possano comportare un depotenziamento dei diritti di matrice europea6. Anche l’introduzione, quindi, di specifici strumenti di prevenzione amministrativa in funzione antiterrorismo, in particolare dell’espulsione degli stranieri extracomunitari, richiede di essere valutata alla stregua dei parametri garantistici offerti proprio dal diritto europeo. 2. La disciplina dei flussi migratori e la tutela della sicurezza pubblica L’espansione del fenomeno migratorio nel corso degli ultimi anni ha determinato una rilevante oscillazione delle politiche nazionali di “governo” dei flussi migratori7. L’Italia per la sua posizione geografica, che la pone in una condizione di prossimità alle nuove rotte della migrazione internazionale che attraversano il continente africano e il medio oriente, ha dovuto far fronte, soprattutto nel triennio 2015-2017, ad uno straordinario incremento degli arrivi sul territorio nazionale8, attivando sia centri di prima assistenza in occasione 5 Così L. Masera, Il terrorismo e le politiche migratorie: sulle espulsioni dello straniero sospettato di terrorismo, in questionegiustizia.it/speciale/2016, § 1. 6 S. Mirate, Gestione dei flussi migratori e responsabilità statali: riflessioni problematiche tra normative interne, pras- si amministrative e giurisprudenza CEDU, in Responsabilità civile e Previdenza 2, 2017, 432. 7 Al riguardo M. Savino, La crisi migratoria tra Italia e Unione europea. Diagnosi e prospettive, in La crisi migratoria tra Italia e Unione europea. Diagnosi e prospettive (a cura di M. Savino), Napoli 2017, 7, osserva come «alla questione identitaria la crisi migratoria ha aggiunto una rilevante questione amministrativa», mettendo a dura prova i lacunosi meccanismi di selezione, accoglienza e rimpatrio dei migranti negli Stati europei che sono maggiormente esposti ai flussi migratori. 8 Va evidenziato che negli ultimi due anni si è assistito ad una significativa riduzione dei flussi migratori: i migranti sbarcati dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016 sono stati 181.143, mentre sono scesi a 119.369 nel 2017 e a 23.370 nel 2018, per effetto della (controversa) collaborazione con le autorità libiche: dati pubblicati in www.interno.governo.it. 371 Interventi  Parte III degli sbarchi9, sia una complessa rete di strutture di seconda accoglienza per un numero crescente di migranti10. I problemi gestionali che sono emersi derivano anche dalla contraddittorietà delle politiche europee in materia di migrazione11 che, se, per un verso, hanno imposto limiti e garanzie al trattamento dei migranti da parte degli Stati di primo approdo, per altro verso, non sono state in grado di assicurare un effettivo ricollocamento degli stranieri che hanno formulato una richiesta di protezione internazionale fra tutti gli Stati dell’Unione12. Malgrado le difficoltà operative e le preoccupazioni dell’opinione pubblica – sempre più allarmata dall’ampiezza del fenomeno e dalle indecisioni delle istituzioni europee nella regolazione dei movimenti migratori –, la disciplina italiana tradizionalmente non è stata improntata ad un atteggiamento di sostanziale chiusura, come si riscontra in altri ordinamenti statali europei ed occidentali, ma ha elaborato un modello ibrido di accoglienza ed integrazione13, quantunque nell’ultimo periodo la strategia nazionale sia decisamente 9 Sulle caratteristiche dei centri di primo soccorso ed accoglienza (CPSA) ed i Centri di accoglienza per ri- chiedenti asilo (CARA) si vedano L. Masera, G. Savio, L’Italia e la crisi: verso una gestione non emergenziale?, in La crisi migratoria tra Italia e Unione europea. Diagnosi e prospettive (a cura di M. Savino), cit., 35 ss. 10 Per quanto concerne il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) si rinvia anche a F. V. Virzì, La “seconda” accoglienza, in La crisi migratoria tra Italia e Unione europea. Diagnosi e prospettive (a cura di M. Savino), cit., 63 ss. Nondimeno, con il c.d. “decreto Salvini” – d.l. n. 113/2018 (“Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche’ misure per la funzionalita’ del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita’ organizzata”), conv., con modifiche nella l. n. 132/2018 – si procede ad una problematica e criticata ridefinizione complessiva del sistema di accoglienza. 11 Sugli sviluppi della politica migratoria nell’Unione europea si veda, ex multis, C. Kaddous, M. Dony (eds.), D’Amsterdam à Lisbonne. Dix ans d’espace de liberté, de sécurité et de justice, Bâle-Bruxelles-Paris 2010; A. Adinolfi, La politica dell’immigrazione dell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, in Rassegna di diritto pubblico europeo, 2011, 11 ss.; H. Labayle, La competence externe de l’Union européenne e matière migratoire, in Maes M., Foblets M.C., De Bruycker P. (eds.), Dimensions externes du droit et de la politiqued’immigration et d’asile de l’UE, Bruxelles, 2011, 185 ss.; C. Di Stasio, La politica migratoria europea: da Tampere a Lampedusa, Napoli 2012; G. Caggiano, I percorsi giuridici per l’integrazione. Migranti e titolari di protezione internazionale tra diritto dell’Unione e ordinamento italiano, Torino 2014; A. Lang, Art. 77, e A. Di Pascale, Art. 78 e Art. 79, in Trattati dell’Unione europea (a cura di A. Tizzano), Milano 2014, 825 ss., 834 ss. e 847 ss.; G. Caggiano, Studi sul diritto europeo dell’immigrazione, Torino, 2015; C. Hein, L’azione esterna dell’Unione europea in materia di migrazioni alla luce dei valori comuni, in I valori dell’Unione europea e l’azione esterna (a cura di E. Sciso, R. Baratta, C. Morviducci), Torino 2016, 170 ss.; sulle recenti prospettive della politica migratoria dell’Unione europea si veda M. Borraccetti, La politica europea della migrazione nel periodo 2017-2019: sviluppi e perplessità, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza 3, 2017, 1 ss. L’attuale obiettivo, sul quale sembrano trovare una convergenza gli Stati membri dell’Unione, è quello del contenimento dei flussi che, comunque, nel lungo periodo risulta velleitario; sicché nel complesso, la strategia europea richiederebbe una profonda revisione che dovrebbe puntare ad una valorizzazione delle vie di accesso legale all’Europa e ad un rilancio degli interventi rivolti all’integrazione sociale ed economica dei migranti, sia economici che umanitari: in questo senso, si veda sempre M. Savino, La risposta italiana alla crisi: un bilancio, in La crisi migratoria tra Italia e Unione europea. Diagnosi e prospettive (a cura di M. Savino), cit., 31. 12 Sui diversi regimi del migrante nel contesto della disciplina “speciale” dell’immigrazione si vedano, ex multis, F. Cortese, La difficile “classificazione” dei migranti, in La crisi migratoria tra Italia e Unione europea. Diagnosi e prospettive (a cura di M. Savino), cit., 141 ss.; Immigrazione, asilo e cittadinanza (a cura di P. Morozzo della Rocca), Rimini 2017. 13 Secondo M. Savino, La risposta italiana alla crisi: un bilancio, cit., 18, si è consolidato un tentativo di «realizzare un compromesso tra le ragioni umanitarie promosse dal diritto internazionale e l’esigenza politica (prim’ancora che giuridico-amministrativa) di dare una più puntuale attuazione alla normativa dell’Unione» in 372 Nicola Gullo Prevenzione del terrorismo ed espulsione… orientata a privilegiare un contenimento preventivo degli arrivi, puntando ad una cooperazione con gli Stati transfrontalieri, in particolare con la Libia14, per intensificare le procedure di allontanamento15. Tuttavia, anche se la legislazione italiana in tema di immigrazione sembra aver assunto, a fronte delle recenti emergenze e dei nuovi orientamenti dell’opinione pubblica, un tratto più marcatamente repressivo16, non vi è dubbio che l’esigenza di salvaguardare l’ordine pubblico ha sempre ispirato la regolazione dell’accesso dei migranti al territorio nazionale e la definizione della condizione giuridica degli stranieri17, al punto da segnare, come evidenziato in alcune approfondite ricostruzioni dottrinali, il «passaggio dal diritto di polizia al diritto della prevenzione amministrativa»18 nella gestione dei flussi migratori, con una forte compressione dei diritti fondamentali delle persone migranti19. merito ai controlli alle frontiere esterne dell’area Schengen; in termini particolarmente critici sull’inadeguatezza della politica europea si veda il volume curato da U. Curi, Vergogna ed esclusione. L’Europa di fronte alla sfida dell’emigrazione, Roma 2017. 14 Sulla complessa vicenda italiana si rinvia a E. Mitzman, Il rimpatrio dei migranti irregolari, in La crisi migratoria tra Italia e Unione europea. Diagnosi e prospettive (a cura di M. Savino), cit., 109 ss. 15 In questo senso, si muove gran parte della riforma realizzata con il “decreto Salvini”; tuttavia, non mancano nel nuovo modello non soltanto i profili di dubbia costituzionalità, ma anche le contraddizioni interne, legate, per esempio, alla riduzione delle risorse per i rimpatri volontari; parte della dottrina sottolinea, in sede di primo commento, come l’impostazione complessiva del decreto sia volta ad utilizzare la detenzione degli stranieri come deterrente nei confronti dell’immigrazione: in tal senso, M. Daniele, La detenzione come deterrente dell’immigrazione nel decreto sicurezza 2018, in Diritto penale contemporaneo 11, 2018, 95 ss. 16 Si pensi alla penalizzazione degli illeciti amministrativi collegati al titolo di soggiorno; per quanto riguarda le novità di ordine processuale introdotte dal decreto Minniti, d.l. n. 13/2017 (“Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonche’ per il contrasto dell’immigrazione illegale”), cfr. G. Savio, Le nuove disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale: una (contro)riforma annunciata, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza 3, 2017, 1 ss. Con riguardo agli aspetti controversi del decreto Salvini si rinvia a L. Pepino, Le nuove norme su immigrazione e sicurezza: punire i poveri, in www.asgi.it, 20/12/2018. 17 Sulle contraddizioni presenti nella tradizione amministrativistica italiana tra la dottrina liberale, ispirata ad un atteggiamento favorevole ad un esteso riconoscimento dei diritti agli stranieri, e la tendenza della legislazione statale, più orientata a limitare l’accesso e la permanenza degli stranieri nel territorio nazionale, si rinvia a M. Savino, Le libertà degli altri. La regolazione amministrativa dei flussi migratori, Milano 2012, e più recentemente a M. Mazzamuto, Il civis temporarius e il diritto amministrativo nell’ordinamento multilivello, in In cammino tra aspettative e diritti. Fenomenologia dei flussi migratori e condizione giuridica dello straniero (a cura di S. D’Acunto, A. De Siano, V. Nuzzo), Napoli 2017, 217 ss. 18 Così M. Savino, Le libertà degli altri. La regolazione amministrativa dei flussi migratori, cit., 220. 19 Per una rilettura fortemente critica del diritto amministrativo dell’immigrazione, e non solo per i profili processuali, si veda G. Tropea, Homo sacer? Considerazioni perplesse sulla tutela processuale del migrante, in Diritto amministrativo 4, 2008, 839 ss. Bisogna tener presente, però, che nell’ordinamento italiano si è verificata, sotto l’egida della giurisprudenza della Corte costituzionale, una progressiva estensione dei diritti fondamentali e dei diritti sociali, anche se con alcuni distinguo, agli stranieri: per una ricostruzione generale della problematica si rinvia a G. Corso, La disciplina dell’immigrazione tra diritti fondamentali e discrezionalità del legislatore nella giurisprudenza costituzionale, Roma 26 ottobre 2012, in www.antoniocasella.eu; nonché, con riguardo alla questione più specifica della tutela della salute, cfr. M. Immordino, Il diritto alla salute degli immigrati tra emergenza rifugiati e crisi economico/finanziaria: quale ruolo per le amministrazioni, relazione presentata il 4 maggio 2017, Siracusa, al Convegno di studi su Immigrazione e diritti fondamentali, organizzato dall’Università degli studi di Messina e dal gruppo San Martino. 373 Interventi  Parte III Il rilievo accordato alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica20 ha trovato, nell’evoluzione del quadro normativo, differenti declinazioni giuridiche, ma, in ogni caso, è stato in grado di condizionare i criteri di accesso al territorio italiano21, nonché quelli di permanenza, senza legittimare peraltro misure di allontanamento di massa22. In questa seconda prospettiva, lo strumento principale è stato rappresentato dall’espulsione, che è stata sottoposta ad una complessa disciplina in relazione alle sue ampie modalità di impiego. Nel “Testo unico sull’immigrazione” (T.U.I.), approvato con il d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, l’espulsione viene differenziata in due categorie, in base all’autorità competente: l’espulsione amministrativa e l’espulsione disposta dall’autorità giudiziaria. In entrambe le forme di espulsione – articolate in ulteriori fattispecie – può venire in rilievo, quale presupposto decisivo per l’adozione della misura ablatoria, l’esigenza di allontanare dal territorio italiano un soggetto qualificato come socialmente pericoloso o che costituisce un pericolo per l’ordine pubblico23. Peraltro, all’impianto normativo del T.U.I. sono state sovrapposte – ancor prima del recente inasprimento della disciplina dell’immigrazione – ulteriori ipotesi di espulsione nell’ottica della prevenzione del terrorismo internazionale, che hanno sollevato delicate questioni giuridiche e diffuse perplessità dottrinali, in quanto contribuirebbero a disvelare la situazione di deminutio dello straniero, sottoposto ad un potere amministrativo sostanzialmente “arbitrario”. È opportuno, quindi, per una comprensione dell’incidenza complessiva di questa normativa, effettuare una puntuale ricognizione delle diverse fattispecie. 20 Secondo la dottrina prevalente, l’ordine pubblico deve essere inteso, alla luce delle indicazioni costituziona- li, in senso materiale, come una condizione di pubblica tranquillità, di «pacifica convivenza immune da violenza»: cfr. G. Corso, voce Ordine pubblico (dir. pubbl.), in Enc. dir., 1980, 1061 ss.; sulla rilevanza della nozione si vedano, inoltre, O. Ranelletti, La polizia di sicurezza, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da V.E. Orlando, 1904, 205 ss.; P. Virga, La potestà di polizia, Milano 1954; A. Chiappetti, L’attività di polizia, Padova 1973; G.P. Volpe, Ordine pubblico (misure a tutela di), in Dig. Disc. Pubbl., Torino 1995, 1 ss.; A. Cerri, Ordine pubblico (diritto costituzionale), in Enc. giur., vol. XXII, Roma 1990, 1; G. Corso, Polizia di sicurezza, in Dig. Disc. Pubbl., vol. XI, Torino 1996, 328 ss. Recentemente è stato, però, evidenziato come nella giurisprudenza costituzionale emergano anche riferimenti ad una concezione ideale di ordine pubblico: così, M. Mazzamuto, Poteri di polizia e ordine pubblico, in Dir. Amm., 1998, 456; per una sintesi delle varie problematiche cfr. M. Raimondo, Ordine pubblico e sicurezza pubblica. Profili ricostruttivi e applicativi, Torino 2010, 119 ss. 21 La dottrina giuspubblicistica ha evidenziato come nella legislazione italiana, sia in quella unitaria che in quella repubblicana, l’ordine pubblico sia sempre stato annoverato tra gli interessi pubblici che legittimano specifici interventi dell’autorità amministrativa per limitare l’ingresso o il soggiorno degli stranieri: cfr. M. Consito, La tutela amministrativa del migrante involontario, Napoli 2016, 44; sulla rilevanza dei motivi di ordine pubblico nell’ambito dei procedimenti di concessione della cittadinanza si veda D. Anselmo, La Cittadinanza tra teoria e prassi. Brevi riflessioni a partire dalla giurisprudenza amministrativa italiana, in Diritto&Questioni pubbliche 1, 2016, 117 ss. 22 Di recente sulla disciplina dei flussi migratori alla luce delle indicazioni del diritto europeo cfr. S. Mirate, Gestione dei flussi migratori e responsabilità statali: riflessioni problematiche tra normative interne, prassi amministrative e giurisprudenza CEDU, cit., 431 ss. 23 Per una ricognizione delle diverse ipotesi di espulsione si rinvia a R. Cherchi, L’allontanamento dall’Italia dello straniero e del cittadino europeo, in Immigrazione, asilo e cittadinanza (a cura di P. Morozzo della Rocca), cit., 229 ss. 374 Nicola Gullo Prevenzione del terrorismo ed espulsione… 3. L’espulsione amministrativa per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 T.U.I. Anzitutto, bisogna rilevare che nel contesto della disciplina dell’espulsione amministrativa, è stata prevista, all’art. 13, co. 1 T.U.I.24, l’espulsione dello straniero extracomunitario per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, che può essere disposta soltanto dal Ministro dell’interno, il quale deve, però, darne preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri25. Si tratta di un tipo di provvedimento di natura eccezionale che produce effetti ablativi ed interdittivi nei confronti dei destinatari26 e si differenzia dall’espulsione riservata al prefetto, di cui al secondo comma del succitato articolo, non solo in ragione dell’autorità competente, ma anche per alcuni particolari profili sostanziali e processuali. In ordine ai presupposti della misura ablativa, nella disposizione legislativa de qua vengono richiamati, senza ulteriori elementi di specificazione normativa, i classici concetti giuridici indeterminati27 che caratterizzano il diritto di polizia – ordine pubblico e sicurezza dello Stato, appunto28 – conferendo in tal modo un ampio margine di apprezzamento all’autorità ministeriale, dato che l’espulsione viene configurata come una vera e propria 24 Per un commento al Testo Unico sull’immigrazione si vedano, ex multis, i contributi presenti in Immigrazione, asilo e cittadinanza (a cura di P. Morozzo della Rocca), cit. 25 Proprio la circostanza che sia stato delineato quest’obbligo di previa comunicazione del provvedimento di espulsione ministeriale al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri testimonia che si tratta di un atto di alta amministrazione, dotato di un rilievo nazionale ed internazionale: Cons. St., VI, 16 gennaio 2006, n. 88, in www.giustizia-amministrativa.it; cfr. M. Consito, La tutela amministrativa del migrante involontario, cit., 70. Sulla nozione di atto di alta amministrazione si rinvia, ex multis, a V. Cerulli Irelli, Politica e amministrazione tra atti politici e atti di alta amministrazione, in Diritto pubblico 1, 2009, 101 ss.; Id., Sugli atti di alta amministrazione, in Giurisprudenza costituzionale 3, 2012, 1377 ss.; G. Tropea, Genealogia, comparazione e decostruzione di un problema ancora aperto: l’atto politico, in Diritto amministrativo 3, 329 ss. 26 Il provvedimento amministrativo di espulsione è sempre corredato da un divieto di rientro senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’Interno: la durata del divieto deve essere determinata tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti il singolo, ma può operare per un periodo non inferiore a tre anni e non superiore a cinque (art. 13, co. 14 T.U.I.). 27 Sul tema esiste ormai una bibliografia sterminata: per i profili di ordine generale si veda, ex multis, D. De Pretis, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova 1995; per i profili legati al sindacato giurisdizionale si rinvia a S. Veneziano, Il controllo giurisdizionale sui concetti giuridici a contenuto indeterminato e sulla discrezionalità tecnica in Italia, relazione presentata all’XI Convegno di diritto amministrativo Concetti giuridici a contenuto indeterminato e giurisdizione amministrativa, organizzato dalla Associazione dei Giudici amministrativi tedeschi, italiani e francesi in Palermo, 14 ottobre 2005, e pubblicata in www.giustizia-amministrativa.it. 28 La nozione di “ordine pubblico” è stata precisata recentemente sul piano normativo con l’art. 159, co. 2, d.lgs. n. 112/1998 (“Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”): l’ordine pubblico è «inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale», che sembra riprendere la giurisprudenza costituzionale; la sicurezza pubblica riguarda «la sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni»: sulla particolare declinazione di queste nozioni nell’ambito della disciplina sull’immigrazione si veda M. Consito, La tutela amministrativa del migrante involontario, cit., spec. 54 ss. 375 Interventi  Parte III misura di prevenzione amministrativa ante delictum, il cui ambito di applicazione è rimesso in fondoalla valutazione della stessa amministrazione. Infatti, con l’espulsione ministeriale di cui all’art. 13, co. 1 T.U.I., il legislatore si propone di intercettare, in una logica preventiva, non tanto condotte penalmente rilevanti, bensì situazioni di pericolo, in cui vengono in rilievo i comportamenti degli stranieri che sono in grado di rappresentare un pericolo per i beni giuridici protetti dall’ordinamento tramite le clausole relative all’ordine pubblico e alla sicurezza dello Stato. Non vi è dubbio, quindi, che l’assenza di precisi indici normativi attribuisce al Ministro dell’interno una notevole sfera di discrezionalità – tecnica ed amministrativa – che investe sia la fase di individuazione delle fattispecie di pericolosità, sia le modalità di bilanciamento tra l’interesse alla sicurezza dello Stato e l’interesse dello straniero a risiedere nel territorio italiano29. Per quanto riguarda le modalità di esecuzione del provvedimento ministeriale, è stato previsto l’accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero, previa convalida dell’espulsione – sulla scorta di una disciplina di ordine generale che riguarda anche le altre fattispecie contemplate dall’art. 13 T.U.I. – da parte del giudice di pace. Peraltro, in base al combinato disposto dell’art. 9 e dell’art. 13 T.U.I., l’espulsione si adotta anche nei confronti dei titolari del permesso di soggiorno di lungo periodo. Sul piano della tutela giurisdizionale, a differenza di quanto previsto per gli altri tipi di espulsione, le relative controversie non sono devolute al giudice ordinario, ma riservate al giudice amministrativo, dato che è stata prevista espressamente la competenza funzionale del T.A.R. Lazio30. Non deve sorprendere, comunque, che la disposizione dell’art. 13, co. 1 T.U.I. sia stata ritenuta come altamente problematica dalla dottrina giuspubblicistica, in considerazione anche dell’orientamento di self restraint tradizionalmente assunto dal giudice amministrativo in sede di sindacato giurisdizionale nei riguardi di queste tipologie di provvedimenti31. 29 M. Savino, Le libertà degli altri. La regolazione amministrativa dei flussi migratori, cit., 239; secondo G. Savio, Espulsioni e respingimenti. I profili sostanziali, ASGI, 2016, § 4.2, il Ministro dell’interno dispone di una facoltà da esercitare in circostanze eccezionali, quando sia indispensabile allontanare immediatamente dal territorio nazionale uno straniero, la cui presenza possa costituire una minaccia concreta ed effettiva all’ordine pubblico e alla sicurezza dello Stato. 30 Questa competenza funzionale del T.A.R. Lazio, sede di Roma, è stata delineata già nella versione originaria dell’art. 13, co. 11 T.U.I.: nella nuova formulazione si rinvia al codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010) che, all’art. 135, co. 1, lett. i), inserisce tra le materie devolute alla competenza funzionale del T.A.R. Lazio, le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti di espulsione di cittadini extracomunitari per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato: tale competenza, peraltro, appare pienamente legittima sul piano costituzionale perché i provvedimenti relativi a questa tipologia di controversie hanno efficacia su tutto il territorio nazionale; sui problemi riguardanti il riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario si veda l’attenta ricostruzione di S. D’Antonio, Il riparto di giurisdizione in materia di ingresso, soggiorno e allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato italiano, in Diritto Processuale Amministrativo 2, 2017, 534 ss. 31 Cons. St. VI, 16 gennaio 2006, n. 88, osserva che, proprio perché si tratta di un atto «espressione di esercizio di alta discrezionalità amministrativa», risulta limitata la sindacabilità dello stesso in sede di giurisdizione di legittimità: cfr. M. Savino, op. ult.cit., 263; il punto sarò ripreso nel paragrafo 6. 376 Nicola Gullo Prevenzione del terrorismo ed espulsione… 4. Le novità del ‘‘decreto Pisanu’’ del 2005: l’espulsione in funzione di prevenzione del terrorismo internazionale Si deve rilevare che la crescente minaccia rappresentata dal terrorismo internazionale ha spinto il legislatore italiano a predisporre misure più adeguate ed incisive per evitare la realizzazione in Italia degli attacchi terroristici che hanno sconvolto l’Europa, a partire dall’attentato a Londra del 7 luglio 2005. Con il “pacchetto sicurezza”, approvato con il d.l. n. 144/2005, convertito con modificazioni in l. n. 155/2005, è stata varata una gamma molto varia ed articolata di misure sia di repressione penale32 che di prevenzione amministrativa, con l’obiettivo di inibire e neutralizzare, in special modo, i processi di radicalizzazione politico-ideologica di alcuni settori delle comunità islamiche. L’istanza preventiva è stata realizzata con la previsione di specifici reati, nonché con l’introduzione di particolari istituti nel contesto del diritto dell’immigrazione. Infatti, tra gli strumenti predisposti dal “decreto Pisanu” è stata inserita anche l’espulsione degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo. Com’è stato rilevato, si tratta di un’ulteriore ipotesi di espulsione33, che si aggiunge sia alle fattispecie regolate dall’art. 9 – secondo cui, nel caso di titolare del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, l’espulsione può essere disposta per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato –, sia a quelle indicate dal già citato art. 13 T.U.I.34 4.1. Il regime procedimentale e processuale L’art. 3 del “decreto Pisanu” detta una disciplina abbastanza articolata, che è stata poi completata ed integrata da successive disposizioni. Per quanto riguarda l’autorità competente, il provvedimento di espulsione, che assume la forma del decreto, può essere disposto dal Ministro dell’Interno o, su sua delega, dal prefetto. A differenza delle altre fattispecie, in cui la competenza è rigidamente predeterminata dalla legge, in questo caso si prevede la possibilità di una delega. In ordine al suo ambito di applicazione, appare chiaro dalle disposizioni de quibus che l’espulsione può essere disposta nei confronti dello straniero extraeuropeo. I presupposti che vengono individuati sono di due tipi e riguardano la particolare condizione del soggetto destinatario della misura di prevenzione: a) in primo luogo, si può 32 Per un’attenta analisi si veda L. Cordì, La disciplina penale connessa all’espulsione amministrativa o giudiziale del cittadino extracomunitario o apolide ed il sistema di allontanamento del cittadino comunitario, in Stranieri irregolari e diritto penale (a cura di L. Degl’Innocenti), Milano 2011, 89. 33 S. Scopelliti, La nuova fattispecie di espulsione amministrativa degli stranieri per motivi di prevenzione, in Terrorismo internazionale: modifiche al sistema penale e nuovi strumenti di prevenzione (a cura di E. Rosi, S. Scopelliti), Milano 2006, 25. 34 Cons. St., III, 23 settembre 2015, n. 4471, in www.giustizia-amministrativa.it, precisa che si tratta di una norma aggiuntiva rispetto alla previsione del T.U. sull’immigrazione, destinata a rafforzare il potere di espulsione degli stranieri per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato. 377 Interventi  Parte III trattare di soggetti appartenenti ad una delle categorie indicate nell’art. 18, l. n. 152/1975, c.d. “legge Reale”, cioè soggetti che sono autori di particolari gravi reati (insurrezione armata, strage), di cui quindi non si ritiene opportuna la permanenza nel territorio italiano dopo la sentenza non ancora definitiva o l’esecuzione della pena35; b) inoltre, il secondo presupposto, alternativo rispetto al precedente, ricorre quando «vi sono fondati motivi» che la permanenza dello straniero«nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali». In questa seconda ipotesi, sulla scorta dell’impostazione prevalente, vengono in rilievo tre requisiti36. Anzitutto, il presupposto materiale per l’applicazione della misura è l’agevolazione, che viene collegata alla permanenza nel territorio dello Stato e può essere attuata in qualsiasi modo. In secondo luogo, l’agevolazione deve riguardare organizzazioni o anche solo attività terroristiche, nazionali o internazionali. In terzo luogo, l’opera di agevolazione non si deve essere effettivamente svolta, ma è sufficiente che ricorrano fondati motivi che possa avere luogo, secondo un’impostazione prettamente preventiva. Parte della dottrina ritiene che questa norma possa, in fondo, essere considerata superflua, dato che si limita a specificare fattispecie astrattamente già comprese nel concetto di ordine pubblico37. In base ad un’altra lettura che prende spunto dalla sentenza n. 432/2007 della Corte costituzionale38, invece, le due espulsioni ministeriali non sono affatto sovrapponibili, con la conseguenza che il provvedimento ministeriale di espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo deve essere basato esclusivamente sui presupposti di agevolazione effettiva di organizzazioni terroristiche39. Invero, bisogna osservare che, anche se tali discipline, in origine, erano connotate da una più marcata differenziazione, in quanto contrassegnate da un diverso regime procedimentale e processuale, con la successiva evoluzione della normativa è venuta meno gran parte dei tratti più specifici. Non vi è dubbio, comunque, che l’intervento legislativo del 2005 si è proposto di riaffermare la specialità del diritto della sicurezza pubblica40, perché, nel tentativo di ridimen35 Bisogna rilevare che l’art. 18, l. n. 152/1975 (“Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico”) è stato abrogato dall’art. 120 del codice antimafia (d.lgs. n. 159/2011 “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136”, senza che sia stata formalmente sostituita. Per compensare questa carenza normativa è poi intervenuta la riforma del 2015: si veda il paragrafo successivo. 36 Al riguardo è puntuale la ricostruzione di E. Mazzanti, L’adesione ideologica al terrorismo islamista tra giustizia penale e diritto dell’immigrazione, in Diritto penale contemporaneo. Rivista trimestrale 1, 2017, 37. 37 M. Savino, Op. ult. cit., 260. 38 In questa sentenza la Consulta, sia pure incidentalmente, sembra optare per un’interpretazione che considera non sovrapponibili le due fattispecie, ma contraddistinte da un diverso ambito applicativo: in tal senso anche T.A.R. Lazio, Roma, I ter, 14 gennaio 2009, n. 155. 39 Così G. Savio, Espulsioni e respingimenti. I profili sostanziali, cit., § 4.2. 40 Secondo la dottrina, con la disciplina prevista dal d.l. n. 144 del 2005 è stata delineata «una sorta di diritto speciale anti-terrorismo»: cfr. A. Callaioli, Art. 3, in Commento al d.l. n. 144/2005, in Legislazione penale 2, 2005, 450. 378 Nicola Gullo Prevenzione del terrorismo ed espulsione… sionare le forme di contiguità e di collaborazione che possono supportare i circuiti terroristici, sono state introdotte rilevanti deroghe procedimentali e processuali alla disciplina generale delle espulsioni contenuta nel T.U.I., con un ulteriore abbassamento delle garanzie giuridiche degli stranieri. Anzitutto, giusta l’art. 3, co. 2, è stato delineato un regime procedimentale più semplificato, che non ha richiesto, così come predisposto per le altre fattispecie di espulsione, un coinvolgimento preventivo dell’autorità giudiziaria: l’espulsione, in questa ipotesi,doveva essere eseguita immediatamente anche in deroga alle disposizioni del comma 341 e del comma 5-bis dell’art. 13 T.U.I.42. La nuova disciplina è stata contrassegnata, però, da un carattere provvisorio43; sicché, decorso il periodo biennale di applicazione, anche l’espulsione in funzione di prevenzione del terrorismo è stata ricondotta al regime ordinario e deve, quindi, essere eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, co. 4, lett. a) T.U.I.), previa convalida nelle forme di cui all’art. 13, co. 5-bis T.U.I.44. Peraltro, perfino le rilevanti deroghe riguardanti le modalità di tutela giurisdizionale sono state, in massima parte, ridimensionate. Ferma restando la conferma della devoluzione delle relative cause alla giurisdizione amministrativa45 – che rimane un profilo comune ai provvedimenti di espulsione per ragioni (lato sensu) di sicurezza pubblica –, il decreto del 2005 ha comportato due importanti novità: la preclusione delle misure cautelari nell’ambito di tali procedimenti e la previsione di un’ipotesi speciale di sospensione del processo. In ordine al primo aspetto, dal combinato disposto dei commi 446 e 4-bis47, art. 3, d.l. n. 144/2005, si poteva evincere, in particolare, che non era consentita in sede giurisdizionalela sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di espulsione, in quanto si faceva prevalere l’esigenza di celerità sul diritto alla pienezza della tutela giurisdizionale dello straniero anche attraverso l’esperimento delle misure cautelari 48. Sulla conformità di tale 41 Per lo straniero sottoposto a procedimento penale deve essere richiesto da parte del questore il nulla osta all’autorità giudiziaria. 42 L’esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento è sospesa fino alla decisione sulla convalida del giudice di pace con decreto motivato. 43 L’art. 3, co. 6 del decreto ha stabilito che le disposizioni di cui ai commi 2 e 5 trovano applicazione fino al 31 dicembre 2007. 44 Anche il provvedimento ministeriale di espulsione per motivi di terrorismo comporta il divieto di reingresso, che può essere determinato in misura superiore ai cinque anni (art. 13, co. 14 T.U.I.). 45 Ai sensi dell’art. 3, co. 2, d.l. n. 144/2005 (“Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”), contro i decreti di espulsione del Ministro o, su sua delega, del prefetto è ammesso ricorso al tribunale amministrativo competente per territorio. 46 Tale comma, oltre a prevedere la competenza per territorio del T.A.R., stabilisce che «il ricorso giurisdizionale in nessun caso può sospendere l’esecuzione del provvedimento». 47 Il comma de quo sancisce che «nei confronti dei provvedimenti di espulsione … adottati dal Ministro dell’interno, o su sua delega, non è ammessa la sospensione dell’esecuzione in sede giurisdizionale ai sensi dell’art. 21» della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni o dell’art. 36 r.d. 17 agosto 1907, n. 642». 48 Su queste peculiari regole processuali si è espressa criticamente parte della dottrina: G. Tropea, Homo sacer? Considerazioni perplesse sulla tutela processuale del migrante, cit., 861; A. Saccucci, The Italian 2005 Anti-terrorism 379 Interventi  Parte III deroga ai principi costituzionali è stata chiamata a pronunciarsi la Corte costituzionale, la quale, però, si è limitata a dichiarare l’inammissibilità della questione di illegittimità costituzionale per la carente formulazione dell’ordinanza di rimessione49. Tra l’altro, secondo un certo indirizzo interpretativo, il nuovo regime procedimentale e processuale sarebbe stato esteso, con i suindicati limiti di ordine temporale, anche alle espulsioni per motivi di ordine pubblico e sicurezza regolate dall’art. 13, co. 1 T.U.I. Va rilevato, comunque, che la particolare disposizione di ordine processuale contenuta nel co. 4-bis del “decreto Pisanu” è stata successivamente abrogata dal codice del processo amministrativo50. Orbene, sulla scorta di tale abrogazione, si dovrebbe ritenere che sia stata cancellata la preclusione alla proponibilità dell’azione cautelare, non potendo il solo disposto del comma 4, considerato isolatamente nella sua portata euristica, continuare a legittimare una lettura più restrittiva della posizione del ricorrente51. Analoga vicenda ha riguardato la seconda innovazione di ordine processuale del “decreto Pisanu”. Infatti, il comma 5, art. 3, del “decreto Pisanu”, ha previsto la sospensione dei procedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto i provvedimenti di espulsione per la prevenzione del terrorismo o per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, allorquando la decisione nel merito dipenda dalla cognizione di atti per i quali sussiste il segreto d’indagine o il segreto di Stato52. Nondimeno, anche questa disposizione assumeva un carattere provvisorio ed ha cessato di essere applicata dopo il 31 dicembre 200753. Quindi, al netto di tali revisioni normative, la disciplina del 2005 risulta nel complesso piuttosto scarna, oltreché destinata a sovrapporsi parzialmente a quella dell’espulsione per motivi di ordine pubblico54, al punto che si può ritenere che sussista fra l’art. 3, d.l. n. 144/2005 e l’art. 13, co. 1 T.U.I. un rapporto di species a genus 55. Legislation in the Light of International Human Rights Obligations, in Italian Yearbook of International Law 15, 2005, 192 ss.; M. Vizzardi, Espulsione del sospetto terrorista e garanzie costituzionali, in Corriere di merito 12, 2005, 1305, il quale ha prospettato una questione di costituzionalità, poi esaminata dalla Consulta. 49 Corte cost. 10 dicembre 2007, n. 432, in www.cortecostituzionale.it, che rileva l’incompleta descrizione della fattispecie processuale su un punto decisivo riguardante l’attuale rilevanza della questione. 50 In particolare, dall’art. 4, co. 1, punto 32), Allegato 4, d.lgs. n. 104/2010 (“Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo”): Codice del processo amministrativo, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (a cura di E. Picozza), Torino 2010, 317. 51 Aderisce a questo orientamento G. Savio, La tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti di allontanamento, ASGI, 2017, § 1.6; in senso contrario, L. Masera, Il terrorismo e le politiche migratorie: sulle espulsioni dello straniero sospettato di terrorismo, cit., § 2.2. 52 La disposizione prevedeva che, qualora la sospensione si fosse protratta per un tempo superiore a due anni, il T.A.R. avrebbe potuto fissare un termine entro il quale l’amministrazione avrebbe dovuto produrre nuovi elementi per la decisione o revocare il provvedimento impugnato. Decorso tale termine, il tribunale amministrativo era tenuto a decidere allo stato degli atti. 53 Il legislatore governativo, in prossimità di questa scadenza, ha cercato di introdurre una nuova regolamentazione di questi aspetti processuali con il d.l. n. 249/2007 (“Misure urgenti in materia di espulsioni e di allontanamenti per terrorismo e per motivi imperativi di pubblica sicurezza”), che, però, non è stato convertito in legge. 54 G. Savio, Art. 13, in Codice dell’immigrazione, Rimini 2012, 112. 55 Cfr. E. Mazzanti, L’adesione ideologica al terrorismo islamista tra giustizia penale e diritto dell’immigrazione, cit., 37. 380 Nicola Gullo Prevenzione del terrorismo ed espulsione… Nei riguardi dell’espulsione per finalità di prevenzione del terrorismo sono state riproposte le critiche che hanno stigmatizzato l’espulsione ministeriale di cui all’art. 13, in quanto le particolari modalità applicative del nuovo istituto da parte dell’autorità amministrativa e le relative forme di controllo giudiziale sono state considerate come nettamente orientate ad assicurare una prevalenza dell’esigenza di tutela della sicurezza della collettività a discapito di un minimo di garanzie giuridiche per gli stranieri56. 4.2. La revisione del 2015 dell’art. 13, co. 2 T.U.I. Occorre segnalare, inoltre, che la disciplina in funzione antiterrorismo è stata ulteriormente integrata in occasione della riforma del codice antimafia nel 201557, quando è stato modificato il disposto normativo di cui alla lett. c), co. 2, art. 13 T.U.I., per coordinare la normativa sulle espulsioni con l’abolizione dell’art. 18 della “legge Reale” e le modifiche della legislazione antimafia58. In base alla nuova formulazione del comma 2, il prefetto59 può disporre anche l’espulsione dello straniero60 che «appartiene a taluna delle categorie indicate negli articoli 1, 4 e 16» del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159. Si tratta di soggetti socialmente pericolosi, che vengono individuati dalle norme del codice antimafia in materia di misure di prevenzione personali e patrimoniali e tra i quali si possono annoverare «coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I del titolo VI del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice, nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale ovvero a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all’articolo 270 sexies del codice penale». Con tale previsione, che rinvia al codice antimafia come modificato nel 2015, è stata innestata, quindi, nel contesto dell’espulsione amministrativa di competenza prefettizia una specifica esigenza di prevenzione del terrorismo, dando luogo ad un’ulteriore fattispecie prevenzionistica. Sicché ormai l’espulsione amministrativa per ragioni di terrorismo, che prescinde da una sentenza di condanna e riguarda solo gli stranieri extracomunitari, può essere di tre ti- 56 Le obiezioni circa l’ammissibilità di tale disciplina sono riprese ed esaminate in modo più puntuale nel pa- ragrafo 5. 57 La lettera c) è stata sostituita dall’art. 75-bis, co. 2, d.lgs. n. 159/2011, come modificato dall’art. 4, co. 2, d.l. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito con modificazioni dalla l. 17 aprile 2015, n. 43. 58 È stato eliminato il riferimento alle due previgenti leggi in materia di prevenzione (la l. n. 1423/1956 e la l. n. 575/1965), dato che tali provvedimenti sono state abrogati dal d.lgs. n. 159/2011. 59 La Corte di Cassazione ha chiarito che l’espulsione può essere disposta non solo dal prefetto, ma anche dal suo vicario e, in assenza dei primi due, da un vice prefetto aggiunto, munito di delega: Cass. pen. I, 3 maggio 2020, n. 16776. 60 Si tratta, comunque, dello straniero soggiornante regolarmente nel territorio dello Stato. 381 Interventi  Parte III pi: l’espulsione disposta dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 T.U.I.; l’espulsione disposta dal Ministro dell’interno – o, su sua delega, dal prefetto – per il contrasto al terrorismo internazionale, in riferimento all’art. 3, d.l. n. 144/2005; l’espulsione disposta dal prefetto nei confronti dello straniero riconducibile ad una delle categorie indicate negli artt. 1, 4 e 16, codice antimafia61. 4.3. Le modifiche del “decreto Minniti’’ del 2017: ulteriori novità processuali in materia di espulsione per motivi di tutela dell’ordine pubblico Per quanto riguarda l’incidenza del“decreto Minniti” (d.l. n. 13/2017, conv. con modificazioni nella l. n. 4/2017) sulla materia de qua, si deve rilevare che l’impatto sull’istituto dell’espulsione ministeriale è stato nel complesso limitato ad un profilo di ordine processuale, attraverso la revisione dell’art. 119, co. 1, d.lgs. n. 104 del 2010. Secondo le nuove disposizioni del codice del processo amministrativo, ai giudizi aventi ad oggetto le controversie relative ai provvedimenti di espulsione dello straniero adottati dal Ministro dell’interno, ai sensi degli artt. 13, co. 1, d.lgs. n. 286/1998, e 3, d.l. n. 144/2005, si applica la disciplina dei riti abbreviati62. 4.4. Le limitate innovazioni del “decreto Salvini’’ Il “decreto Salvini”, d.l. 4 ottobre 2018, n. 11363, convertito, con piccole modifiche, nella l. n. 132/2018, si caratterizza per una profonda revisione del sistema previgente di accoglienza e regolazione della condizione dei migranti nell’ordinamento italiano64: si va – per limitarsi agli aspetti più salienti – dall’eliminazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sostituito da permessi particolari per situazioni specifiche e limitate; al raddoppio del periodo massimo (da 90 a 180 giorni) di trattenimento nei centri di permanenza per il rimpatrio (CPR); al ridimensionamento del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) gestito dai Comuni, ora riservato esclusivamente ai titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati65; alla previsione di una pluralità di ipotesi che giustificano il rigetto della domanda di asilo per manifesta infondatezza. 61 Cfr. L. Masera, Il terrorismo e le politiche migratorie: sulle espulsioni dello straniero sospettato di terrorismo, cit., § 2. 62 Per una ricostruzione della disciplina del rito abbreviato si rinvia a N. Paolantonio, Il rito abbreviato, in Giustizia amministrativa (a cura di F.G. Scoca), Torino 2017, 513 ss. 63 Rubricato come “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’Interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”. 64 La normativa introdotta dal “decreto Salvini” riguarda tre principali macro-aree: la disciplina dell’immigrazione, il contrasto al terrorismo e alle mafie e la riorganizzazione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. In sede di conversione in legge sono state inserite altre disposizioni più eterogenee, come qualche modifica al codice della strada o in tema di gestione dei rifiuti. 65 I richiedenti asilo possono trovare accoglienza solo nei centri governativi di prima accoglienza e nei centri di accoglienza straordinaria (CAS). 382 Nicola Gullo Prevenzione del terrorismo ed espulsione… L’impostazione di fondo del provvedimento, sia per i suoi profili simbolici – la stretta “correlazione” tra immigrazione e sicurezza66 –, sia per i suoi contenuti sostanziali – la preferenza per i meccanismi di privazione della libertà dei migranti irregolari come deterrente nei riguardi del fenomeno migratorio67 –, riflette indiscutibilmente una tendenza di politica migratoria che punta ad una più estesa criminalizzazione delle condotte dei migranti e ad un’espansione delle ipotesi di detenzione amministrativa. Sul versante del contrasto al terrorismo internazionale, il “decreto Salvini”, per un verso, perfeziona alcune misure di prevenzione di recente conio, per altro verso, stabilisce, nel contesto della disciplina degli immigrati, nuove condizioni procedimentali e organizzative di ordine generale che sono destinate ad incidere sulle modalità di esecuzione delle espulsioni amministrative e giudiziali, senza modificarne, comunque, la tipologia che si è affermata nel diritto italiano. Nella prima prospettiva, si deve segnalare l’espansione della platea dei soggetti destinatari del D.A.Spo.68, prevista dall’art. 6, co. 1, l. 3 dicembre 1989, n. 40: in virtù del rinvio all’art. 4, co. 1, lett. d)69, codice antimafia, operato dall’art. 20 del “decreto Salvini”, tale misuraè stata estesa anche agli indiziati di reati di matrice terroristica, per limitare il rischio di attentati terroristici nei pressi degli stadi o in occasione di competizioni sportive di rilievo internazionale70. Altrettanto rilevanti sono le disposizioni contenute nell’art. 17, che impongono agli esercenti dei servizi di noleggio di autoveicoli di comunicare i dati identificativi riportati nel documento di identità esibito dal soggetto che richiede il noleggio71. Nella seconda prospettiva, vengono in rilievo alcune novità in tema di trattenimento ed espulsione degli stranieri. Per quanto riguarda l’esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale, che viene sospesa fino alla decisione sulla convalida, il d.l. n. 113/2018 ha previsto il prolungamento del periodo di trattenimento nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio, fino a 180 giorni, per assicurare lo svolgimento di tutte le attività propedeutiche all’allontanamento72. Tra l’altro, il decreto ha anche 66 Così, L. Pepino, Le nuove norme su immigrazione e sicurezza: punire i poveri, cit. 67 M. Daniele, La detenzione come deterrente dell’immigrazione nel decreto sicurezza 2018, cit., 96. 68 Si tratta del divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive. 69 Questa disposizione contiene ormai un ampio catalogo di fattispecie di c.d. “pericolosità sociale”: coloro che sono indiziati di uno dei reati di cui all’art. 51, co. 3-bis c.p.p., coloro che pongono in essere attività funzionali alla commissione di gravi reati, tra cui quelli connotati da finalità di terrorismo anche internazionale, ovvero dalla partecipazione a un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all’art. 270-sexies c.p. 70 Cfr. C. Forte, Il nuovo decreto sicurezza (d.l. 4 ottobre 2018, n. 113), Il penalista, Milano 2019, 12. 71 La comunicazione è effettuata contestualmente alla stipula del contratto di noleggio e comunque con un congruo anticipo rispetto al momento della consegna del veicolo. Il CED procede al raffronto automatico dei dati comunicati con quelli conservati. 72 La concreta rilevanza di tale disposizione, comunque, potrebbe essere del tutto marginale, perché è evidente che le modalità di espulsione dello straniero per motivi di terrorismo dovrebbero presentare un carattere di maggiore tempestività. In linea generale, si tratta di una norma che contribuisce, con altre disposizioni, a consolidare un processo di “amministrativizzazione dei diritti e delle libertà”: L. Pepino, Le nuove norme su immigrazione e sicurezza: punire i poveri, cit. 383 Interventi  Parte III stabilito che, qualora non vi sia disponibilità di posti nei Centri di cui all’art. 14 o in quelli ubicati nel circondario, il giudice di pace, su richiesta del questore, con il decreto di fissazione dell’udienza di convalida può autorizzare la temporanea permanenza dello straniero, sino alla definizione del procedimento di convalida, in strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’autorità di pubblica sicurezza73. 5. Il contrasto al terrorismo di matrice islamista e la prevenzione amministrativa: l’«anomalia» del caso italiano Al di là delle diverse fasi che hanno segnato la formazione del diritto amministrativo antiterrorismo, occorre interrogarsi, in via preliminare, sull’idoneità degli strumenti di prevenzione amministrativa, a fronte della minaccia rappresentata dal network terroristico di matrice islamista. La letteratura sociologica ha messo in rilievo che il terrorismo globaledi ultima generazione – specialmente quello islamista – si contraddistingue per alcuni profili di particolare pericolosità, che sono da collegare alla capacità delle organizzazioni jihadiste di creare una “militanza ideologica” diffusa tra gli immigrati residenti in Europa o i cittadini europei di origine islamica, attraverso attività di divulgazione, incitamento, propaganda, apologia dei valori e degli obiettivi dello Stato islamico74. Queste iniziative di sostegno ideologico, che sono condotte utilizzando i moderni strumenti di comunicazione di massa, sono in grado non solo di favorire un’ampia e traversale adesione identitaria al programma del c.d. Califfato75, ma anche di incrementare l’arruolamento nelle fila del radicalismo islamico e di promuovere la creazione di cellule terroristiche pronte ad agire anche con iniziative autonome nel continente europeo76. La recrudescenza degli attentati terroristici negli ultimi anni ha investito progressivamente la maggior parte dei Paesi europei, con effetti destabilizzanti sulla società civile e sul sistema politico77. Peraltro, la sconfitta politico-militare, nello scacchiere siriano ed irache- 73 Ai sensi dell’art. 4, qualora le condizioni di indisponibilità permangano anche dopo l’udienza di convalida, il giudice può autorizzare la permanenza in locali idonei presso l’ufficio di frontiera interessato, sino all’esecuzione dell’effettivo allontanamento e comunque non oltre le quarantotto ore successive all’udienza di convalida. In sede diconversione, è stato inserito l’inciso in base al quale «le strutture ed i locali di cui ai periodi precedenti garantiscono condizioni di trattenimento che assicurino il rispetto della dignità della persona». 74 A. Vedeschi, Da Al-Qa’ida all’IS: il terrorismo islamico si è fatto Stato?, in Rivista trimestrale di diritto pubblico 1, 2106, 52 ss., 76 ss. 75 R. Guolo, Jihad e ‘violenza sacra’, in Terrorismo internazionale e diritto penale (a cura di C. De Maglie, S. Seminara), Padova 2007, 14 ss., spec. 25. 76 Com’è stato sottolineato, spesso, per effetto della propaganda islamista, si determina una generica affiliazione al gruppo terroristico: F. Fasani, Terrorismo islamico e diritto penale, Padova 2016, 49. 77 Emblematica, a tale proposito, è la vicenda francese, con i suoi risvolti politici: in particolare, per l’incidenza della questione terrorismo sulla campagna elettorale francese si veda L. Equy, L. Alemagna, R. Laïreche, Le terrorisme fait dérallair une campagne folle, 21 aprile 2017, in www.liberation.fr; per i riflessi sul piano costituzionale e su quello delle politiche pubbliche in materia di sicurezza si rinvia all’analisi di S. Gaboriau, La Repubblica francese sconvolta, in questionegiustizia.it/speciale/2016/1/la-repubblica-francese-sconvolta_22.php. 384 Nicola Gullo Prevenzione del terrorismo ed espulsione… no, del progetto politico del Califfato non ha ridimensionato di per sé il pericolo di azioni terroristiche nel continente europeo78. Tuttavia, nello scenario internazionale è emersa quella che gli osservatori stranieri hanno definito come l’«anomalia italiana»79, dato che il nostro Paese è stato l’unico che è rimasto, nel corso di questi anni, indenne dalle manifestazioni del terrorismo internazionale. Le cause sono molteplici e probabilmente non si può pervenire all’individuazione di un unico fattore: secondo alcuni studiosi, un posto di rilievo deve essere accordato alla scarsa radicalizzazione degli immigrati di seconda e terza generazione presenti in Italia, che sono meno permeabili alla predicazione jihadista 80. Non vi è dubbio, comunque, che, nella strategia di contrasto alle sfide del terrorismo internazionale, uno strumento fondamentale, ampiamente utilizzato durante l’ultimo triennio, è stato rappresentato proprio dall’istituto dell’espulsione, regolato dal d.l. n. 144/2005 e dalle altre specifiche disposizioni del T.U.I. Anzi, è stato rilevato che l’ordinamento italiano ha deciso di puntare, in via prioritaria, proprio sul meccanismo delle espulsioni per fronteggiare la minaccia terroristica81. Dal 2005 al 2018, le espulsioni per motivi di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo ammontano a 31782 e sono diventate preponderanti, soprattutto dopo i tragici attentati di Parigi del gennaio 2015, anche rispetto agli arresti e ai casi di indagini penali per reati di terrorismo internazionale83. Le espulsioni sono state disposte nei confronti di varie tipologie di soggetti: da quello direttamente coinvolto nella propaganda, a quello trovato in possesso di materiale propagandistico, a quello in contatto con esponenti del radicalismo islamico. Né, d’altra parte, si può escludere che dietro queste espulsioni si possa rintracciare anche un lavoro di intelligence che, attraverso canali ufficiosi, sia in grado di individuare gli esponenti delle organizzazioni terroristiche, utilizzando fonti informative che solo parzialmente possono essere rivelate. Al di là dell’efficacia immediata di tali misure nel disporre l’allontanamento di soggetti pericolosi direttamente coinvolti nei circuiti del radicalismo islamico, è innegabile che il 78 Un problema particolare, per esempio, è rappresentato dai foreign fighters che hanno combattuto nelle file dell’Isis in Siria e Iraq e, dopo la caduta dello Stato islamico, potrebbero ritornare in Europa: cfr. R. Bongiorni, Senza città né risorse, ma la sconfitta del Califfato non è ancora la fine dell’Isis, in www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-03-24/la-sconfitta-califfato-non-e-fine-dell-isis-120012.shtml?uuid=AEelmCNE&refresh_ce=1. 79 Sulla situazione italiana, è quanto mai significativa la serie di articoli pubblicata sul quotidiano inglese The Guardian:Why has Italy been spared mass terror attacks in recent years?, 23 giugno 2017. 80 Questa tesi è prospettata da Arturo Varvelli, ricercatore dell’Ispi, nell’ambito dell’articolo Bravi o fortunati?, pubblicato il 24 giugno 2017, in www.huffingtonpost.it. 81 E. Mazzanti, L’adesione ideologica al terrorismo islamista tra giustizia penale e diritto dell’immigrazione, cit., 36. 82 I dati sono consultabili all’indirizzo in www.interno.gov.it, in cui si evidenzia che le espulsioni, eseguite con accompagnamento nel proprio Paese, di stranieri «gravitanti in ambienti dell’estremismo religioso» nel 2017 ammontano a 97. 83 Questi elementi sono evidenziati da E. Mazzanti, L’adesione ideologica al terrorismo islamista tra giustizia penale e diritto dell’immigrazione, cit., in cui è precisato che, se le espulsioni per motivi di sicurezza o mancanza di requisiti, nel triennio 2015-2017 (primi mesi), sono state 192, gli arresti e gli indiziati sottoposti ad indagini penali sono stati rispettivamente 121 e 138. 385 Interventi  Parte III sistema delle espulsioni amministrative per motivi di ordine pubblico ha svolto, nella società italiana, anche una funzione di “prevenzione generale” – attribuita in dottrina solitamente alle norme penali84 – avendo contribuito a scoraggiare e ridimensionare quelle forme pubbliche di adesione ideologica al progetto politico del Califfato che, senza integrare i reati di istigazione e apologia di reato, creano un clima favorevole alle azioni terroristiche85. 6. I dubbi della dottrina sulla legittimità delle misure di prevenzione amministrativa Il riconoscimento dell’importanza strategica dell’espulsione amministrativa nel contesto delle politiche nazionali di contrasto al terrorismo internazionale, pur presentando una sua indubbia rilevanza giuridica, quanto meno sul versante della proporzionalità delle discipline che sono state approvate, non può certamente inibire, né depotenziare l’analisi delle caratteristiche, nonché della compatibilità del diritto antiterrorismo con i principi dello Stato di diritto, da cogliere, peraltro, in una dimensione normativa multilivello. Va rilevato che, nella letteratura giuridica e sociologica di settore, l’istituto dell’espulsione dello straniero per motivi di ordine pubblico e di prevenzione del terrorismo, ai sensi, rispettivamente, dell’art. 13, co. 1 e 3, T.U.I. e dell’art. 3, d.l. n. 144/2005, è stato sottoposto ad una serie di serrate critiche e di penetranti censure da una duplice prospettiva, amministrativistica e penalistica. Cercando di sintetizzare le riflessioni più significative della scienza giuridica, si deve evidenziare come siano emerse tre principali obiezioni ai modelli di espulsione affidati all’amministrazione di pubblica sicurezza: la genericità dei presupposti, che comporta un margine troppo ampio di discrezionalità per l’amministrazione di pubblica sicurezza; la disparità di trattamento tra gli stranieri e i cittadini in ordine alle modalità di irrogazione delle misure di prevenzione; la carenza di adeguate garanzie giurisdizionali per questo tipo di misure. Con riguardo alla prima censura, la dottrina amministrativistica, che ha esaminato in maniera approfondita la disciplina pubblica dell’immigrazione, ha sottolineato come i presupposti normativi che giustificano l’espulsione dello straniero siano da considerare estremamente generici, essendo basati su concetti giuridici indeterminati come “ordine pubbli- 84 La dottrina ha già da tempo segnalato la formazione di un “diritto punitivo dell’immigrazione”, in cui si sa- rebbero integrati e/o sovrapposti strumenti amministrativi e penalistici, diversi per natura e caratteristiche, ma analoghi nell’obbiettivo, l’allontanamento dello straniero: in tal senso, cfr. A. Caputo, Irregolari, criminali, nemici: note sul ‘diritto speciale’ dei migranti, in Studi sulla questione criminale 1, 2007, 58 ss.; G. Morgante, Le ‘relazioni pericolose’ tra diritto penale dell’immigrazione e fonti dell’Unione europea, in Legislazione penale 1, 2012, 85; F. Viganò, Diritto penale e immigrazione: qualche riflessione sui limiti alla discrezionalità del legislatore, in Diritto, immigrazione e cittadinanza 3, 2010, 13; peraltro, da un’ulteriore punto di vista, è stata anche rimarcata la funzione ambigua dell’espulsione, misura non solo preventiva, ma anche repressiva: G. Varraso, Immigrazione, cit. 85 Su questo versante ha, comunque, giocato un ruolo importante anche la posizione delle principali associazioni rappresentative delle comunità islamiche in Italia, quanto mai ferme nel prendere le distanze da ogni forma di violenza politico-religiosa: si veda, per esempio, l’articolo di P. Gallori, Terrorismo, musulmani d’Italia scendono in piazza. “Stato islamico, non in mio nome”, pubblicato il 19 novembre 2015, in www.repubblica.it. 386 Nicola Gullo Prevenzione del terrorismo ed espulsione… co” e “sicurezza dello Stato”, inidonei quindi ad offrire una puntuale individuazione delle fattispecie sintomatiche di pericolosità sociale86. In tal modo, lo straniero si viene a trovare in una situazione di permanente incertezza giuridica circa la possibilità di continuare a risiedere nel territorio italiano. Analoghe considerazioni, secondo queste ricostruzioni, dovrebbero poi essere estese anche alla fattispecie di espulsione per la prevenzione del terrorismo internazionale, introdotta dal “decreto Pisanu”, che non sfuggirebbe ai difetti di una tecnica legislativa che, volontariamente, rinuncia ad una tipizzazione normativa delle situazioni di pericolo. Peraltro, a questa valutazione negativa di fondo si abbina anche una seconda obiezione più specifica, che evidenzia come la mancata tipizzazione dei presupposti sostanziali delle misure espulsive verrebbe a comportare, altresì, una disparità di trattamento tra gli stranieri e i cittadini, in considerazione della descrizione più puntuale delle fattispecie di pericolosità che si riscontra negli artt. 2 e 4 codice antimafia (d.lgs. n. 159/2011), in grado di offrire parametri giuridici più sicuri non soltanto alle scelte discrezionali dell’amministrazione in materia di prevenzione del crimine organizzato, ma anche al successivo controllo del giudice amministrativo87. Infine, un’ulteriore importante contestazione riguarda le insufficienti garanzie giurisdizionali che contrassegnano questo tipo di misure di prevenzione. Tale limite sarebbe emerso già in sede di applicazione dell’art. 13 T.U.I., per l’atteggiamento di condiscendenza della giurisprudenza amministrativa nei confronti del potere ministeriale di espulsione. Infatti, la qualificazione del provvedimento di espulsione come “atto di alta amministrazione” 88 o, comunque, come atto contrassegnato da un “alto tasso di discrezionalità” 89, avrebbe condotto il giudice amministrativo – in continuità con l’indirizzo più restrittivo in tema di sindacato sulla discrezionalità tecnica o, più in generale, sulla discrezionalità amministrativa che implica un giudizio prognostico sulla situazione di pericolosità sociale90 – ad ammettere soltanto un controllo estrinseco sulle decisioni ministeriali, escludendo la possibi- 86 Rilevante al riguardo è la puntuale analisi di M. Savino, Le libertà degli altri. La regolazione amministrativa dei flussi migratori, cit., passim, 257 ss.; ed in questo senso si veda anche D. Anselmo, La Cittadinanza tra teoria e prassi. Brevi riflessioni a partire dalla giurisprudenza amministrativa italiana, cit. 87 Tale obiezione si potrebbe considerare superata dalla nuova formulazione dell’art. 13, co. 2, lett. c) T.U.I., che estende proprio le fattispecie indicate negli artt. 1, 4 e 16, codice antimafia, agli stranieri: invero, si tratta, in ogni caso, di una legislazione che risponde ad una logica incrementalista dei presupposti che giustificano la misura dell’espulsione con finalità prevenzionistiche, piuttosto che ad un’esigenza di contenimento della sua portata applicativa. 88 In tal senso, T.A.R. Sardegna, 7 aprile 1981, n. 124, in Tribunali amministrativi regionali, 1981, I, 1971 ss.; in questo senso, anche Cass. civ., I, 28 novembre 2018, n. 30828, in Giustizia civile massimario 2019; si tratta di una qualificazione che viene riservata dal giudice amministrativo anche ad altri provvedimenti di prevenzione o alla regolamentazione della condizione giuridica dello straniero: così, per il provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale e la rimozione del sindaco (Cons. St., V, 21 novembre 1954, n. 849, in Cons. St., 1954, I, 752); o per il provvedimento di concessione della cittadinanza e, quindi, anche del suo diniego per ragioni di sicurezza nazionale (Cons. St., VI, 1 ottobre 2008, n. 4748, in www.giustizia-amministrativa.it). 89 T.A.R. Lazio, Roma, I ter, 23 marzo 2006, n. 5070, in www.giustizia-amministrativa.it. 90 Così, per esempio, in materia di rilascio del permesso di soggiorno: Cons. St., IV, 17 giugno 2009, n. 3963; Cons. St., VI, 23 marzo 2009, n. 1709, in www.giustizia-amministrativa.it. 387 Interventi  Parte III lità non solo di sostituire, ma anche di verificare in sede giurisdizionale l’attendibilità delle valutazioni dell’amministrazione circa la sussistenza dei fatti sintomatici della pericolosità di un soggetto, posti a fondamento del provvedimento di espulsione. In altri termini, l’accertamento giudiziale potrebbe riguardare soltanto il vizio dell’eccesso di potere per insussistenza o travisamento dei fatti, qualora risultino del tutto privi di rilevanza sintomatica91. In tal modo, però – è stato obiettato – si viene a precostituire, anche sul piano giurisdizionale, un bilanciamento asimmetrico tra l’interesse dello straniero a permanere nel territorio italiano e l’interesse dello Stato a garantire la sicurezza pubblica92. Anche la dottrina penalistica, che si è occupata dei nuovi strumenti della prevenzione amministrativa – in particolare dell’espulsione ministeriale – ha valutato negativamente le soluzioni elaborate dal legislatore italiano e gli orientamenti giurisprudenziali in subiecta materia93, mettendo in evidenza sia i carenti meccanismi di tutela giurisdizionale, sia le controverse modalità di accertamento del pericolo derivante per la collettività dai comportamenti di affiliazione o supporto alla causa jihadista. In ordine ai profili processuali del procedimento di espulsione, è stata, anzitutto, stigmatizzata la scarsa valenza giuridica della convalida, ai sensi dell’art. 13, co. 5-bis T.U.I., ridotta ormai ad una verifica meramente cartolare94. Viene, inoltre, ribadita la scarsa incisività del sindacato dei giudici amministrativi che concerne questa speciale tipologia di provvedimenti dell’autorità di pubblica sicurezza. All’attenzione dei penalisti sono venute quelle fattispecie particolari nelle quali il presupposto concreto della misura ante delictum è stato rappresentato da alcune manifestazioni della libertà di pensiero a sostegno del progetto jihadista, in cui l’agevolazione verbale delle organizzazioni o attività terroristiche non avrebbe attinto ad un livello di vero e proprio pericolo, attestandosi, invece, sulla soglia del semplice sospetto95. Ebbene, la diffusione di siffatte prassi amministrative con il pieno avallo del giudice amministrativo, per la sua posizione di self-restraint nei riguardi dei provvedimenti ministeriali (o prefettizi), verrebbe a compromettere il diritto fondamentale previsto dall’art. 21 Cost.96, che, secondo constante e consolidata giurisprudenza costituzionale, deve essere riconosciuto anche agli stranieri97. 91 Si veda Cons. St., 16 gennaio 2006, n. 88, in www.giustizia-amministrativa.it. 92 D. Anselmo, La Cittadinanza tra teoria e prassi. Brevi riflessioni a partire dalla giurisprudenza amministrativa italiana, cit., 124. 93 Si sofferma sul problema E. Mazzanti, L’adesione ideologica al terrorismo islamista tra giustizia penale e diritto dell’immigrazione, cit., 39, evidenziando come il rito camerale dinanzi al giudice ordinario sia del tutto inadeguato alla stregua del principio del giusto processo. 94 Secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, il giudice di pace non può sindacare la fondatezza degli elementi addotti dal Ministro (o dal prefetto), ma deve limitarsi ad un controllo meramente formale della legittimità dell’atto del questore esecutivo del provvedimento ministeriale: così, Cass. civ., I, 28 novembre 2018, n. 30828. 95 In tal senso si veda V. Masarone, Politica criminale e diritto penale, cit., 307. 96 Sul tema dei limiti alla libertà di parola si rinvia, per i profili penalistici, a C. Visconti, Aspetti penalistici del discorso pubblico, Torino 2008. 97 In altri termini, tali misure sarebbero disposte nei confronti di soggetti «che si limitano ad esprimere un’opinione oppure aderiscono a un’associazione … nel mero esercizio di un diritto»: cfr. R. Bartoli, Lotta al terrorismo internazionale. Tra diritto penale del nemico, jus in bello del criminale e annientamento del nemico assoluto, Torino 2008, 111. 388 Nicola Gullo Prevenzione del terrorismo ed espulsione… Peraltro, tale giudizio negativo viene confermato, altresì, dal confronto con le modalità del sindacato giurisdizionale che sono assicurate sia dal giudice civile – in sede di controllo su altri tipi di provvedimenti di espulsione di cui all’art. 13 T.U.I. -, sia dal giudice penale – nel caso di reati di terrorismo. Con riferimento, per esempio, all’espulsione prefettizia regolata dall’art. 13, co. 2, lett. c) T.U.I.98, è stato osservato che la giurisprudenza della Corte di cassazione richiede un «controllo puntuale» delle scelte del prefetto, in base al principio per cui il giudizio di pericolosità sociale dello straniero deve basarsi su criteri analoghi a quelli utilizzati per le misure di prevenzione ordinarie; in altri termini, occorre la sussistenza di almeno tre condizioni: (i) accertamento oggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni; (ii) attualità della pericolosità; (iii) valutazione globale della persona99. A sua volta, anche il giudice penale sembra garantire un accertamento più diretto sull’esistenza dei fatti che si possono ascrivere alle fattispecie penalmente rilevanti, in modo da verificare la presenza in concreto delle condizioni che giustificano l’irrogazione della sanzione penale100. L’esito più significativo di questa ricognizione della scienza penalistica è la constatazione che «lo slittamento sul piano amministrativo delle istanze preventivo-repressive, tradizionalmente riservate all’ordinamento penale, ha notevoli implicazioni sistematiche» sia sul bene giuridico tutelato che sul versante della compatibilità delle soluzioni adottate con i principi della CEDU: in altri termini, si assisterebbe all’introduzione di una misura impropriamente amministrativa, in quanto teleologicamente inquadrabile all’interno del sistema penale101. Sicché, in questa rilettura penalistica delle politiche di sicurezza, il contrasto al terrorismo internazionale, in fondo, dovrebbe avvenire prevalentemente attraverso gli strumenti della repressione penale – non esenti comunque da profili problematici102 –, soprattutto valorizzando i reati che implicano una limitazione della libertà di espressione (come l’istigazione di reato e l’apologia di associazione con finalità di terrorismo), in quanto il giudice penale è in grado di effettuare un’indagine più incisiva sulla sussistenza di un pericolo concreto per la collettività103. O, in alternativa, si potrebbe ipotizzare una valutazione pre- 98 Si tratta dell’espulsione che può essere disposta nei confronti degli stranieri che «operanti in gruppi o isola- tamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti diretti … alla commissione di reati con finalità terroristiche di cui all’art. 270-sexies c.p.». 99 Questi profili sono sintetizzati da M. Savino, Le libertà degli altri. La regolazione amministrativa dei flussi migratori, cit., 265 ss., e poi ripresi da E. Mazzanti, L’adesione ideologica al terrorismo islamista tra giustizia penale e diritto dell’immigrazione, cit., 40; per la giurisprudenza della Suprema Corte si possono richiamare Cass. civ., I, 30 agosto 2002, n. 12721; conf. Cass. civ., VI, 8 settembre 2011, n. 18482; Cass. civ., VI, 27 luglio 2010, n. 17585, pubblicate in www.giustizia.it/cassazione/ced_cass_index.htm. 100 E. Mazzanti, L’adesione ideologica al terrorismo islamista tra giustizia penale e diritto dell’immigrazione, cit., 41. 101 In questo senso G. Varraso, Immigrazione, cit., 603. 102 Si vedano al riguardo le osservazioni di A. Spena, La crimmigration e l’espulsione dello straniero-massa, in Materiali per una storia del pensiero giuridico 2, 2017, 495 ss., che si sofferma sul carattere discriminatorio dell’espulsione c.d. ripristinatoria. 103 Le sentenze della Cassazione hanno confermato le misure restrittive adottate dai giudici di merito: Cass. pen., sez. I, sent. 6 ottobre 2015, n. 47489, in Cass. pen. 2016, 6, 2470; Cass. pen., sez. I, 28 giugno 2016, n. 31249. 389 Interventi  Parte III ventiva di legittimità dei provvedimenti di espulsione da parte del giudice ordinario, per assicurare un ragionevole bilanciamento tra le esigenze di sicurezza dello Stato e quelle di rispetto del diritto di difesa dello straniero104. 7. Segue. I provvedimenti di espulsione per la prevenzione del terrorismo e la tutela dell’ordine pubblico tra principi costituzionali ed orientamenti del giudice amministrativo Queste autorevoli considerazioni mettono senza dubbio in risalto i punti controversi della disciplina delle espulsioni amministrative e richiedono un’attenta valutazione. Anzitutto, per quanto concerne l’ammissibilità dell’istituto dell’espulsione – almeno nella particolare declinazione fin qui considerata –, si deve rilevare, in via preliminare, che non si possono cogliere nella Costituzione italiana indicazioni tali da far ritenere che il c.d. “diritto di incolato” debba ricevere una protezione assoluta nell’ordinamento nazionale; al contrario, come stabilisce l’art. 10 Cost., deve essere regolato, come gli altri aspetti della condizione giuridica dello straniero, dalla legge italiana nel rispetto delle norme e delle convenzioni internazionali105. D’altronde, se si esamina lo scenario del diritto sovranazionale, non emergono nemmeno, nelle convenzioni internazionali106 o nel diritto dell’Unione europea, norme che impongano agli Stati una tutela incondizionata del diritto dello straniero alla permanenza nel territorio nazionale. Si tratta, pertanto, di una situazione giuridica che ben può essere bilanciata dal legislatore statale con l’interesse alla sicurezza nazionale, come riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale107 e dai giudici amministrativi108, così da giustificare l’adozione di misure di espulsione nelle evenienze in cui la condotta dello straniero metta a repentaglio la convivenza civile o l’assetto democratico dell’ordinamento statale. Da questo punto di vista, anche nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo non si possono individuare sostanziali limitazioni per le espulsioni individuali. Infatti, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha osservato, con la sentenza Saadi del 2008 – in cui riprende la propria giurisprudenza sul punto – che, in linea generale, nel diritto internazionale si può rintracciare il principio secondo cui gli Stati hanno il diritto di controllare l’ingresso, 104 Questa soluzione è stata proposta da L. Masera, Il terrorismo e le politiche migratorie: sulle espulsioni dello straniero sospettato di terrorismo, cit., § 2.2. 105 Per l’interpretazione dell’art. 10 Cost. si rinvia, ex multis, a A. Cossiri, Art. 10, in Commentario breve alla Costituzione (a cura di S. Bartole, R. Bin), Padova 2008, 80 ss.; G. Corso, La disciplina dell’immigrazione tra diritti fondamentali e discrezionalità del legislatore nella giurisprudenza costituzionale, cit., 1. 106 Da valutare, in termini teorici, al riguardo, è senza dubbio l’incidenza del Global Compact for Migration, con riferimento a Objective 21. 107 Per esempio, Corte cost., sent. 5 luglio 2010, n. 250 e 2 luglio 2012, n. 172, pubblicate in www.cortecostituzionale.it. 108 Così, T.A.R. Lazio, Roma, II, 4 luglio 2011, n. 5826, in www.giustizia-amministrativa.it. 390 Nicola Gullo Prevenzione del terrorismo ed espulsione… la residenza e l’eventuale allontanamento degli stranieri dal loro territorio e, peraltro, né la Convenzione, né i suoi Protocolli conferiscono un diritto d’asilo assoluto109. Inoltre, con la sentenza Cherif del 2009 i giudici di Strasburgo hanno chiarito che l’espulsione dello straniero ordinata dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato non viola l’art. 8 CEDU, in materia di diritto alla vita privata e familiare, se quest’ultimo ha precedenti penali tali da motivare la valutazione per cui la sua permanenza sul suolo dello Stato ospitante potrebbe rappresentare una minaccia per la sicurezza pubblica110. Un rilevante limite, comunque, al potere di allontanamento degli stranieri dal territorio statale viene offerto dall’art. 3 CEDU, qualora vengano in rilievo circostanze tali da far ritenere che il soggetto espulso correrebbe un rischio effettivo di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti nel Paese di provenienza111. Semmai, ancorché sia indiscutibile il riconoscimento della capacità statuale di regolare la permanenza dello straniero – che si può, nondimeno, contestare nella prospettiva della vocazione universalistica dei diritti112, ma ovviamente in una chiave de jure condendo –, si potrebbe configurare un problema più specifico, ovvero di compatibilità dell’istituto dell’espulsione amministrativa per motivi di ordine pubblico con il principio costituzionale della certezza del diritto e i diritti garantiti nel quadro della CEDU. E in tal senso, allora, vanno richiamate le puntuali contestazioni illustrate nel paragrafo precedente. Orbene, la concreta rilevanza di queste obiezioni deve essere puntualmente esaminata. Rispetto alla censura che riguarda la genericità dei presupposti delle misure di espulsione de quibus, occorre osservare che si tratta di una tecnica giuridica che è stata utilizzata per forgiare altri istituti del diritto della sicurezza pubblica, in cui è necessario assicurare flessibilità e celerità all’azione di polizia per fronteggiare, attraverso provvedimenti praeter delictum ad effetti interdittivi e/o ablatori, le situazioni di pericolo che minacciano gli interessi primari dell’ordinamento. Quindi, anche in settori diversi dalla disciplina dell’immigrazione ricorrono misure di prevenzione amministrativa, come, per esempio, nella legislazione antimafia, in cui sono state previste le misure di prevenzione personali disposte dal questore, ai sensi dell’art. 3, cod. ant., o la documentazione antimafia rilasciata 109 Corte europea dei diritti umani, Saadi c. Italia [GC], ricorso n. 37201/06, sentenza del 23 gennaio 2008, in Cass. pen., 2008, 6, 2679 ss. 110 Corte europea dei diritti dell’uomo, II, Cherif e altro C. Italia, ricorso n. 1860, sentenza del 7 aprile 2009. 111 La Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato, in più occasioni, che il rispetto dell’art. 3 CEDU com- porta per gli Stati contraenti non solo il divieto di porre in essere le condotte ivi proibite, ma anche di espellere lo straniero verso un Paese dove potrebbe subire i trattamenti vietati: per esempio, Corte europea dei diritti umani, Chahal c. Regno Unito, ricorso n. 22414/93, sentenza del 15 novembre 1996. Per un approfondimento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani si rinvia a A. Saccucci, Diritto di asilo e Convenzione europea dei diritti umani: il ruolo della Corte di Strasburgo nella protezione dello straniero da misure di allontanamento verso Paesi «a rischio», in Procedure e garanzie del diritto di asilo (a cura di C. Favilli), Padova 2011, 145 ss.; C. Costello, The Human Rights of Migrants and Refugees in European Law, Oxford 2016. 112 Si vedano, per esempio, F. Viola, I diritti umani tra cittadinanza e comunità internazionale, in Orientamenti sociali 1, 1996, 30 ss.; La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, (a cura di D. Zolo), Bari-Roma 1994. 391 Interventi  Parte III dal prefetto, ai sensi degli artt. 87 ss., cod. ant.113. In ogni caso, si deve trattare di strumenti giuridici che devono rispettare il duplice parametro costituzionale della riserva di legge e della riserva di giurisdizione in materia di diritti inviolabili dell’uomo114. Al riguardo, bisogna rilevare che il disposto dell’art. 3 del “decreto Pisanu” presenta un sia pur minimo grado di definizione normativa in più dei presupposti sostanziali, se confrontato con l’analoga disposizione dell’art. 13, co. 1 T.U.I., che risulta centrata sui classici concetti giuridici indeterminati, avvicinandosi in tal modo alla formulazione delle misure ordinarie di prevenzione amministrativa e rendendo meno fondato, almeno sul piano formale, il rischio di una palese disparità di trattamento tra stranieri e cittadini che è stato evidenziato da parte della dottrina amministrativistica115. Questa ulteriore evoluzione della prevenzione amministrativa nel contesto del diritto antiterrorismo, che si sovrappone al diritto dell’immigrazione, è preordinata ad impedire – alla luce delle peculiarità che manifesta il terrorismo internazionale di matrice jihadista – la formazione di una rete di propaganda, di sostegno ideologico e di supporto logistico alle attività dei gruppi dell’islamismo radicale, nonché il consolidamento di processi, palesi od occulti, di affiliazione diffusa al progetto politico-militare dell’Isis. Com’è stato rimarcato dal giudice amministrativo, la disciplina del 2005 è rivolta, in ultima istanza, a garantire la sopravvivenza dello Stato e la salvaguardia dell’intera collettività e dei singoli consociati da attacchi terroristici esterni e di tipo indiscriminato116. D’altra parte, puntare soltanto – o prevalentemente – sulla criminalizzazione delle fattispecie di pericolo potrebbe comportare un’estensione eccessiva della repressione penale, con effetti ben più incisivi sulla sfera di libertà degli stranieri, lasciando sempre aperta la questione circa la presenza nel territorio italiano di soggetti pericolosi. L’obiezione testé considerata, in ordine all’ammissibilità dell’espulsione amministrativa quale misura di prevenzione, potrebbe, invero, essere spinta su un piano più generale, fino a contestare, alla stregua di una rigorosa lettura dei principi costituzionali, l’intero novero delle misure di prevenzione – siano esse amministrative o giurisdizionali –, in quanto si tratterebbe di uno strumentario che prescinde dalla commissione di un reato e si fonda essenzialmente su elementi indiziari o, addirittura, sulla logica del sospetto. Sebbene tali censure siano state autorevolmente proposte, va precisato che la Corte costituzionale ha sempre ribadito come lo Stato di diritto costituzionale possa richiedere una soglia di difesa 113 Per una ricognizione dei principali problemi collegati alla documentazione antimafia si veda, ex multis, M. Noccelli, I più recenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa sul complesso sistema antimafia, in Foro amm., 2017, 2524 ss. 114 Per un recente e sintetico inquadramento del tema cfr. G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, Torino 2017, 378 ss. 115 M. Savino, Le libertà degli altri. La regolazione amministrativa dei flussi migratori, cit., 265; un problema, però, che risulta attenuato, come già rilevato, con la modifica della lett. c), co. 2) art. 13 T.U.I. 116 Così, T.A.R. Lazio, Roma (sezione II), sentenza del 4 aprile 2011, n. 5826 in Foro amministrativo - TAR, 2011, 2364. 392 Nicola Gullo Prevenzione del terrorismo ed espulsione… sociale più elevata, in grado di intercettare le condotte pericolose non penalmente rilevanti, purché siano osservate le garanzie e i limiti previsti dalla Carta costituzionale117. Sotto quest’ultimo versante, e tenendo conto dei rilievi critici della dottrina amministrativistica e penalistica in merito alla carenza di garanzie giurisdizionali, bisogna osservare che il regime giuridico delle misure di espulsione per la prevenzione del terrorismo non presenta attualmente aspetti di palese violazione o contraddizione con le regole costituzionali poste a presidio dell’effettività della tutela giurisdizionale, giacché le deroghe originariamente previste dal decreto del 2005 al meccanismo della convalida giudiziaria e al modello del processo amministrativo o avevano ab origine un carattere temporaneo o sono state successivamente abrogate. Nondimeno, anche se non emergono profili processuali derogatori, non si può misconoscere che colgono indubbiamente nel segno quelle critiche che lamentano l’eccessiva resistenza del giudice amministrativo ad effettuare un controllo di legalità che non sia superficiale o non si trasformi in una mera presa d’atto delle scelte compiute dall’autorità di pubblica sicurezza. La compatibilità costituzionale di questo importante segmento del sistema prevenzionistico, invero, richiede di compensare l’ampia discrezionalità di cui dispone l’amministrazione con un ruolo più incisivo del giudice amministrativo, che deve assumere paradigmi di valutazione più stringenti – pur nel rispetto dei limiti che circoscrivono il sindacato di legittimità sugli atti amministrativi – anche in tutti i casi in cui l’amministrazione abbia adottato misure anticipate di tutela della sicurezza nazionale nei confronti di soggetti che non possono essere sottoposti a procedimento giudiziario o che addirittura abbiano ottenuto una valutazione giudiziaria favorevole118. Il progressivo affinamento dei principi e criteri destinati ad orientare il controllo giudiziale sulla discrezionalità amministrativa e tecnica realizzato negli ultimi decenni offre ormai nuove opportunità di indagine e di verifica, senza peraltro dar luogo ad uno sconfinamento nel merito amministrativo119. Al riguardo, si deve evidenziare come la stessa giurisprudenza amministrativa abbia avviato un parziale cambiamento di impostazione nel sindacato giurisdizionale sulle misure di prevenzione120, dato che le sentenze più recenti, malgrado un formale ossequio alla tradizionale impostazione circa i limiti del sindacato giurisdizionale, manifestano un’attenzione più specifica alla ricostruzione del quadro indiziario complessivo posto a fondamento della valutazione e, quindi, della scelta operata dal potere esecutivo. 117 Si veda la giurisprudenza costituzionale in materia di misure di prevenzione patrimoniali per il contrasto alla criminalità organizzata: Corte cost., sent. 22 giugno 1988, n. 721; 8 dicembre 1993, n. 465; 8 ottobre 2010, n. 335, pubblicate in www.cortecostituzionale.it. 118 In questo senso, con riguardo alle tipologie di soggetti che possono essere destinatarie dei provvedimenti di espulsione,T.A.R. Lazio, Roma, (sezione I ter), sentenza del 23 marzo 2006, n. 5070 in www.giustizia-amministrativa.it. 119 Per una ricostruzione dei complessi problemi interpretativi che ruotano intorno a tale nozione si veda recentemente B. Giliberti, Il merito amministrativo, Padova 2013. 120 Non s’intende, in questa sede, affrontare il problema più ampio posto dal rilievo delle esigenze di sicurezza pubblica nell’ambito dei procedimenti di concessione della cittadinanza, di cui si occupa D. Anselmo, La Cittadinanza tra teoria e prassi. Brevi riflessioni a partire dalla giurisprudenza amministrativa italiana, cit. 393 Interventi  Parte III Così, in una pronuncia del T.A.R. Lazio del 2006121, i giudici amministrativi, pur riconoscendo l’alto tasso di discrezionalità dei provvedimenti di espulsione del Ministro dell’interno, ex d.l. del 2005, da cui discende l’ammissibilità del sindacato del giudice amministrativo soltanto in termini estremamente ristretti «in relazione ad eventuali profili di irragionevolezza e alla correttezza dell’iter logico seguito dall’amministrazione», hanno proceduto a verificare la sussistenza in concreto del requisito della pericolosità per la sicurezza nazionale: in particolar modo, è stata rilevata l’esistenza di una serie di elementi indiziari a carico del soggetto destinatario della misura di prevenzione – la posizione di spicco ricoperta nella Moschea di Varese dove si svolgeva attività di reclutamento di cittadini nordafricani per il conflitto bosniaco, i contatti accertati con esponenti dell’estremismo islamico, il coinvolgimento in numerose indagini condotte dalle Procure di Milano, Bologna, Torino e Varese – che hanno indotto ad escludere che il provvedimento di espulsione fosse affetto da evidente illogicità o istruttoria inadeguata122. In questo filone s’inserisce, ma con un altro esito, una pronuncia del T.A.R. Campania123 che dispone l’annullamento di un provvedimento di rigetto del Questore della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, presentata da uno straniero, in quanto la circostanza di essere stato condannato per reato di ricettazione non costituisce di per sé un indice della pericolosità sociale del soggetto richiedente. Peraltro, è stato ribadito che, anche se si deve ritenere che l’Amministrazione sia dotata di un’ampia discrezionalità nel valutare i presupposti di pericolosità per la sicurezza pubblica che possono essere posti a fondamento del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, il giudizio di pericolosità sociale «richiede l’accertamento di una serie di indizi e fatti da cui si possa ragionevolmente desumere l’inclinazione del soggetto a delinquere, ossia che il comportamento delittuoso rilevato non presenti il carattere di episodicità»124. In altra pronuncia più recente, il T.A.R. Lazio125 sottolinea come sia precluso al giudice amministrativo rivalutare l’attendibilità del giudizio sulla pericolosità sociale126 di un soggetto che è affidato all’amministrazione, potendo sindacare le relative valutazioni solo nel caso in cui «i fatti accertati e posti a fondamento del giudizio prognostico si rivelino insus- 121 T.A.R. Lazio, Roma, (sezione I ter), sentenza del 23 marzo 2006, n. 5070, in www.giustizia-amministrati- va.it. 122 Il giudice amministrativo ribadisce, quindi, che, alla luce degli elementi della fattispecie, «nel contempera- mento di interessi diversi risultano prevalenti le esigenze di salvaguardia della sicurezza nazionale e di assicurare l’espulsione di soggetti pericolosi» e rigetta il ricorso. 123 T.A.R. Campania, Napoli (sezione IV), sentenza del 20 aprile 2005, n. 6178, , in www.giustizia-amministrativa.it. 124 In tal senso anche Cons. Stato (sezione IV), sentenza del 29 agosto 2003, n. 4852, in www.giustizia-amministrativa.it. 125 T.A.R. Lazio, Roma (sezione II), sentenza del 4 luglio 2011, n. 5826, in Foro amministrativo-TAR, 2011, 2364. 126 Viene qualificato come un giudizio di tipo prognostico effettuato ex ante delle autorità competenti circa la possibilità che il soggetto possa contribuire ad azioni terroristiche: si ribadisce, inoltre, che un esame diretto sarebbe consentito solo nei casi in cui la relativa materia si potesse far rientrare nella giurisdizione di merito del giudice amministrativo. 394 Nicola Gullo Prevenzione del terrorismo ed espulsione… sistenti oppure, quantunque presenti, siano stati macroscopicamente travisati nel loro valore sintomatico oppure abbiano indotto alla formulazione di ipotesi di avveramento del tutto inverosimili o estremamente improbabili». La sentenza, comunque, è pur sempre sintomatica del cambiamento di paradigma del giudice amministrativo, in quanto non riprende l’orientamento giurisprudenziale contrassegnato da un’eccessiva acquiescenza nei confronti dell’amministrazione, ma chiarisce che è necessario supportare la valutazione di pericolosità con adeguati accertamenti istruttori: così, malgrado la (controversa) affermazione che l’autorità di pubblica sicurezza può adottare la misura dell’espulsione anche sulla base del «semplice sospetto», il T.A.R. aggiunge l’ulteriore precisazione che occorre, in ogni caso, la presenza di una serie di indizi che, nel loro complesso, siano tali da fondare un giudizio circa la possibilità che si verifichi l’evento terroristico. Nel caso di specie, poi, vengono rintracciati dai giudici di prime cure elementi sufficienti per ritenere, come motivato nel provvedimento di espulsione del Ministro dell’interno, che il ricorrente abbia instaurato «un consolidato circuito relazionale» con soggetti di primo piano nel panorama dell’integralismo islamico127. In conclusione, si tratta di un orientamento giurisprudenziale che muove da premesse sicuramente più garantiste e sembra abbandonare una verifica totalmente indiretta dei requisiti di pericolosità, per accogliere, in linea tendenziale, il criterio della pericolosità in concreto, quanto meno nella forma della sussistenza di un quadro indiziario più articolato e convergente, sulla falsariga degli indirizzi interpretativi più avanzati che stanno segnando il controllo giudiziale in ordine ad altre categorie di misure di prevenzione128. 8. Le implicazioni della sentenza de Tommaso della Corte europea dei diritti dell’uomo: una revisione generale delle misure di prevenzione? L’assetto complessivo del sistema della prevenzione amministrativa – nella sua triplice articolazione come diritto antimafia, diritto antiterrorismo e diritto anticorruzione129 – potrebbe richiedere un profondo ripensamento alla luce della recente sentenza della Corte europeo dei diritti umani, de Tommaso, Grande chambre del 2017, che impone una configu- 127 In particolare, emerge, quale riscontro oggettivo, la frequentazione tutt’altro che occasionale di esponenti integralisti, accertata nel corso di una perquisizione a casa dell’interessato, che, unita alla circostanza che il soggetto in questione fosse già stato processato e condannato nel paese d’origine proprio per il reato di finanziamento di organizzazioni ed attività terroristiche, induceva a ritenere ragionevolmente che la presenza del ricorrente nel territorio dello Stato avrebbe potuto rappresentare un pericolo per la sicurezza pubblica. 128 Emblematico è il (parziale) cambio di registro anche della giurisprudenza amministrativa che riguarda la documentazione antimafia: si veda, per esempio, Cons. giust. amm. Reg. sic., sentenza del 16 giugno 2016, n. 252, in www.giustizia-amministrativa.it; più spostato sull’approccio più tradizionale si presenta l’indirizzo del Consiglio di Stato. 129 Per una possibile lettura congiunta delle diverse discipline normative che riguardano il contrasto alle varie forme di emergenza criminale, si veda N. Gullo, Emergenza criminale e diritto amministrativo. L’amministrazione pubblica dei beni confiscati, Napoli 2017, spec. 134 ss. e 545 ss. 395 Interventi  Parte III razione più rigorosa dei presupposti per l’adozione delle misure di prevenzione, sia amministrative che giurisdizionali. Con questa pronuncia i giudici di Strasburgo hanno sancito che le disposizioni dell’art. 3, l. n. 1423/1956, ora trasfuse nel d.lgs. n. 159/2011, relative alla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di sicurezza fondata sulla fattispecie di “pericolosità generica”, hanno violato la libertà di circolazione, prevista dall’art. 2, prot. n. 4 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Prendendo le mosse dalla considerazione che l’art. 2, prot. n. 4, come altre disposizioni CEDU, ammette le misure restrittive delle libertà fondamentali se «previste dalla legge», la Corte chiarisce che non è sufficiente la mera previsione legislativa dell’istituto prevenzionistico, ma viene in rilievo anche la “qualità” della legge in questione, «esigendo che debba essere accessibile alle persone interessate e che i suoi effetti debbano essere prevedibili». Orbene, nella normativa italiana emerge, secondo i giudici di Strasburgo, un «difetto di prevedibilità e di precisione delle norme relative ai soggetti idonei e alle condizioni necessarie per l’applicazione delle misure di prevenzione, nonché alle prescrizioni che il giudice può imporre». Com’è stato evidenziato nei primi commenti dottrinali, la portata della pronuncia potrebbe essere molto ampia130 e travolgere i modelli finora consolidati, anche con il conforto della Corte costituzionale, nel sistema prevenzionistico italiano. 9. Il difficile bilanciamento tra tutela dell’ordino pubblico e diritti fondamentali degli stranieri nell’era del terrorismo globale La riflessione sull’espulsione amministrativa, dunque, se collegata alla dimensione più generale delle misure di prevenzione, si viene ad arricchire di una nuova prospettiva, in considerazione delle nuove indicazioni che derivano dall’ordinamento della CEDU non solo per la legislazione antimafia, bensì per tutte le discipline di settore che regolano strumenti di tipo prevenzionistico. Allora, in un’ottica de iure condendo, si possono ipotizzare le risposte o gli adattamenti dell’ordinamento italiano, con effetti anche sulla stessa disciplina in tema di espulsioni. A tale proposito sono configurabili, astrattamente, quattro possibili sviluppi. Il primo è rappresentato dalla totale chiusura del circuito giudiziario e legislativo alle sollecitazioni della Corte europea dei diritti umani, che contesta in termini radicali il modello italiano della prevenzione. In questo senso, sembrano muoversi i decreti dei tribunali di Milano e di Palermo che ritengono che nella giurisprudenza della Corte europea non 130 Si vedano, a tale proposito, F. Viganò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali, in www.penalecontemporaneo.it, 3 marzo 2017; A.M. Maugeri, Misure di prevenzione e fattispecie a pericolosità generica: la Corte Europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità della “legge”, ma una rondine non fa primavera, ibidem, 6 marzo 2017; R. Magi, Per uno statuto unitario dell’apprezzamento della pericolosità sociale, ibidem, 13 marzo 2017. 396 Nicola Gullo Prevenzione del terrorismo ed espulsione… sia ancora possibile individuare dei principi giurisprudenziali consolidati, in grado di imporre una revisione profonda delle regole attuali. Il secondo potrebbe condurre, all’opposto, allo smantellamento del sistema prevenzionistico: al riguardo, si è orientata in questa direzione la Corte di appello di Napoli che, con ordinanza131, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale con riferimento sia alle misure di prevenzione personali che patrimoniali per violazione, rispettivamente dell’art. 2, prot. n. 4 CEDU e dell’art. 1, prot. add. CEDU. In terzo luogo, in attesa di una pronuncia della Corte costituzionale che faccia chiarezza sulle implicazioni della sentenza De Tommaso, il diritto italiano potrebbe, comunque, rispondere alle sollecitazioni sovranazionali, in modo da pervenire alla perimetrazione giuridica di uno strumentario di grande efficacia, dato che permette di intercettare le situazioni di pericolo prima che si traducano in comportamenti di rilievo penale idonei a comprometterei beni primari dell’ordinamento. Da questa diversa angolazione, una soluzione potrebbe essere quella di avviare un itinerario di riforma normativa per assicurare un maggiore rigore nell’individuazione delle fattispecie di pericolosità che delineano i presupposti per l’esercizio dei poteri di polizia, nonché di quello di espulsione. Tuttavia, va considerato che risulta molto difficile procedere alla tipizzazione delle misure di polizia, come osservano alcuni autori132, per una duplice ragione: da un lato, si potrebbe compromettere la capacità di valutazione, da parte delle autorità di pubblica sicurezza, delle situazioni atipiche di pericolo che minacciano gli interessi protetti dall’ordinamento; dall’altro lato, un eccesso di tipizzazione potrebbe anche comportare il rischio di automatismi applicativi in grado di violare il principio di proporzionalità. Nondimeno, è una prospettiva che potrebbe essere verificata per risolvere i problemi di più evidente distonia rispetto alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, attraverso una (certamente non agevole) precisazione degli indici di pericolosità133. Un’ultima direttrice di intervento, sicuramente più praticabile, conduce, invece, a privilegiare, in sintonia con gli auspici più significativi espressi dalla dottrina giuspubblicistica in precedenza richiamata, proprio la ricerca di modalità più incisive di sindacato giurisdizionale, in modo da allineare le misure ablative in tema di sicurezza nazionale alle esigenze della CEDU134. Occorre ribadire che il controllo giudiziale non può che essere 131 Corte d’appello di Napoli, VIII Sez. pen. – misure di prevenzione, ord. del 14 marzo 2017. 132 In questo senso, si vedano le considerazioni di M. Savino, Le libertà degli altri,cit.; M. Mazzamuto, Poteri di polizia e ordine pubblico, cit., 453. 133 Si potrebbe operare sulla falsariga delle disposizioni del codice antimafia che delineano le cause ostative alla stipulazione dei contratti con la pubblica amministrazione: invero, anche queste fattispecie normative sono state considerate insoddisfacenti rispetto ad un’esigenza di tipizzazione delle situazioni di pericolosità sociale. 134 Si deve precisare che la sentenza De Tommaso contesta anche la circostanza che la legge n. 1423 del 1956 abbia lasciato ai giudici, cui spetta di applicare le misure di prevenzione in questione, «un’ampia discrezionalità senza indicare con sufficiente chiarezza la portata di tale discrezionalità». 397 Interventi  Parte III orientato alla verifica della pericolosità sociale “attuale”, da accertare cioè in concreto, senza rinviare semplicemente alle risultanze dei rapporti di polizia o far affidamento su eccessive semplificazioni di carattere probatorio, bensì valorizzando la presenza di elementi oggettivi, ancorché indiziari, e pienamente convergenti. Un percorso già intrapreso dal giudice amministrativo135, che, peraltro, può procedere parallelamente alle eventuali revisioni normative. Se l’emergenza del terrorismo può giustificare l’introduzione di misure anticipate (e quindi più invasive) per la tutela della comunità nazionale e dei singoli componenti – anche per preservare le condizioni sociali di pacifica convivenza che favoriscono gli imprescindibili percorsi di integrazione dei migranti nella realtà italiana –, il potere emergenziale va sempre ricondotto entro una cornice di legalità, che non può certamente prescindere da un’effettiva giustiziabilità delle misure straordinarie136. 135 Sul complesso bilanciamento tra i diritti degli immigrati ed alcuni rilevanti interessi pubblici – e quindi tra il modello della solidarietà e quello della paura – che è demandato al giudice amministrativo, si vedano le osservazioni di A. Pajno, Rapporti tra le Corti. Diritti fondamentali e immigrazione, in Federalismi 21, 2017, 1 ss. 136 Cfr. S. Cassese, I paradossi dell’emergenza, in AIPDA, Annuario 2005. Il diritto amministrativo dell’emergenza, Milano 2006, 221 ss., si sofferma sulle conquiste dello Stato di diritto rispetto alla concezione tradizionale dell’emergenza che induceva a sottrarre al principio di legalità i poteri emergenziali. 398 MIGRAZIONI PER CAUSE CLIMATICHE E IMPATTI SULLA SICUREZZA A LIVELLO LOCALE ~ Ilenia Ruggiu ~ 1. PREMESSA: I CONFINI DELLO IUS MIGRANDI • 2. MIGRAZIONI ECONOMICHE, MIGRAZIONI PER VULNERABILITÀ, MIGRAZIONI AMBIENTALI E CLIMATICHE: DEFINIZIONI E REGIME GIURIDICO •3. RAGIONI PRO E CONTRO IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE GIURIDICA PER LE “MIGRAZIONI CLIMATICHE”. • 4. IMPATTI DELLE MIGRAZIONI CLIMATICHE SULLA SICUREZZA LOCALE. IL CASO SARDEGNA. 1. Premessa: i confini dello ius migrandi 1. Il diritto a migrare, noto come ius migrandi, e consistente nella possibilità di circolare e soggiornare, anche in modo permanente, in qualsiasi parte del pianeta non è un diritto umano, non è presente in nessuna Carta internazionale né è riconosciuto nella sua interezza in nessuna Costituzione delle 194 esistenti. Il quadro giuridico attuale rivela, invero, il seguente paradosso. La libertà di emigrazione, ossia di lasciare il proprio Paese è riconosciuta in moltissime Costituzioni (tra cui quella italiana all’art. 35), ma essa non è specularmente accompagnata da un diritto alla circolazione, al soggiorno, alla mobilità in altri Stati: si tratta pertanto di una libertà irrealizzabile se il soggetto che desidera emigrare non trova uno Stato disposto a farlo accedere e risiedere dentro i suoi confini. Anche se migrare è chiaramente un fenomeno umano, che caratterizza da sempre la specie homo sapiens, la quale ha lo spostamento nel proprio dna come elemento adattativo2, esso non trova, dunque, riconoscimento giuridico nel catalogo dei diritti positivizzati. Nel mondo globale, le merci circolano con meno difficoltà degli esseri umani, la cui mobilità si trova subordinata alla sovranità statale. La regola generale è, dunque, che aldilà di una volontà statale che si esplica nell’indicare i flussi ammessi annualmente e in politiche di rilascio dei visti più o meno restrittive, lo spostamento di ciascuno di noi nel pianeta Terra, 1 I dati e le informazioni illustrate in questo articolo sono il frutto di un’attività di ricerca finanziata dal pro- gramma quadro per la ricerca e l’innovazione dell’Unione Europea Horizon 2020 H2020-DRS-2015, nell’ambito del contratto No. 700385 progetto CLISEL, Climate Security with Local Authorities (Sicurezza climatica con le autorità locali) e dalla Segreteria di Stato Svizzera per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI) nell’ambito del contratto No. 16.0038. L’articolo riflette unicamente le opinioni personali dell’autore e l’UE non è in alcun modo responsabile di qualsiasi uso venga fatto delle informazioni in esso contenute. Le opinioni ivi espresse e ogni argomentazione sviluppata non riflettono necessariamente le posizioni ufficiali del governo svizzero. 2 V. Calzolaio, T. Pievani, Libertà di migrare. Perché ci spostiamo da sempre ed è bene così, Torino 2016. 399 Interventi  Parte III è subordinato ad una autorizzazione pienamente discrezionale dello Stato in cui ci rechiamo. Ciò è vero anche per le cosiddette “migrazioni turistiche” che vanno a descrivere un fenomeno di mobilità temporanea il quale, per la sua portata globale, muove ingenti flussi di popolazioni. Anche chi voglia visitare temporaneamente un luogo per scopi culturali o edonistici, ha, infatti, bisogno di un visto di ingresso rilasciato dallo Stato ospite. Le teorie westfaliane della sovranità che definiscono lo Stato come una forma di organizzazione del potere politico caratterizzata da tre elementi costitutivi: popolo, territorio, sovranità saldati in un vincolo inscindibile, fa sì che lo Stato detenga il controllo su chi voglia entrare nei propri confini. Rispetto a questo quadro generale, il diritto vigente fa un’importante eccezione. In presenza di determinate situazioni di vulnerabilità, sancite in un numerus clausus dal diritto internazionale e aumentabili a discrezione dai singoli Stati, gli ordinamenti prevedono il diritto di asilo. Riconosciuto dalla Costituzione italiana all’art. 10, e disciplinato a livello internazionale dalla Convenzione di Ginevra del 1951, il diritto di asilo costituisce, al momento attuale, l’unico parziale inveramento dello ius migrandi nel senso che, in presenza di condizioni prestabilite (infra par. 2), conferisce un vero e proprio diritto a migrare e ad essere accolti in un altro Stato, a prescindere dalle politiche migratorie aperte o restrittive che lo stesso persegua. Al di là di questi casi o di accordi di mobilità lavorativa o di altra natura rientranti nella piena discrezionalità statale, gli Stati possono rimpatriare gli stranieri. La situazione giuridica di coloro che decidono comunque di varcare i confini di un altro stato pur non rientrando nelle condizioni previste dalla Convenzione di Ginevra o dalle singole Costituzioni e legislazioni è stata negli ultimi anni oggetto di diverse discipline statali che hanno portato a configurare tali migrazioni in due modi: o come reati o come illeciti amministrativi. Talvolta, l’atteggiamento degli Stati è stato quello di criminalizzare le migrazioni irregolari, considerandole un reato penale (il cosiddetto reato di clandestinità), con irrogazione di una pena detentiva che arriva a comprimere la libertà personale del migrante; altre volte, gli Stati hanno considerato l’ingresso e il soggiorno come un illecito amministrativo, che faceva scattare sanzioni, ma di tipo non penale. Il fatto che gli ordinamenti non prevedano lo ius migrandi non significa che la libertà personale di chi emigra in condizioni di irregolarità possa essere compressa nel territorio europeo: tra il 2011 e il 2016, i casi Achughbabian3, El Dridi4 e Affum5 hanno consolidato questo principio, implicando l’eliminazione progressiva dagli ordinamenti statali dei reati di clandestinità. Nell’interpretazione che la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha dato della direttiva rimpatri 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni in materia di rimpatrio di cittadini di 3 CGUE, Grande Sezione, Achughbabian c. Préfet du Val-de-Marne, causa C – 329/11, sentenza del 6 dicembre 2011. 4 CGUE, Grande Sezione, Hassen El Dridi, causa C – 61/11, sentenza del 28 aprile 2011. 5 CGUE, Grande Sezione, Affum, C – 47/15, sentenza del 7 giugno 2016. 400 Ilenia Ruggiu Migrazioni per cause climatiche… paesi terzi il cui soggiorno è irregolare in GU L 348 del 24 dicembre 20086, emerge, dunque, che la visione europea è quella che le migrazioni sono un fatto che accade, che può essere contrastato dagli Stati i quali restano i titolari (al di fuori dei casi disciplinati dalla Convenzione di Ginevra e dalle singole Costituzioni) di regolare l’ingresso nei propri confini, ma che non può portare a guardare al migrante come ad un criminale. Si tratta di un principio importante che serve a proteggere il diritto umano all’habeas corpus (libertà dagli arresti) e a riportare le migrazioni irregolari nell’ambito del diritto amministrativo, anziché di quello penale. Rispetto a questo scenario, l’irruzione di nuove tipologie di migrazioni mette attualmente in discussione i confini dello ius migrandi come fino ad oggi concepiti nel contesto di una statualità westfaliana. In questo contributo mi concentrerò sulla figura delle cosiddette migrazioni climatiche. In una prima parte (par. 2 e 3) esaminerò come queste premano per un riconoscimento giuridico, con conseguente estensione dello ius migrandi ai migranti climatici, in virtù della natura transfrontaliera del cambiamento climatico e delle responsabilità che di questo ha il cosiddetto Nord globale; in una seconda parte (par. 4) illustrerò quali sono le percezioni che di tali tipo di migrazioni hanno i territori, illustrando alcuni dati emergenti da un caso pilota europeo che vede i 377 Comuni della Sardegna coinvolti in un lavoro di preparazione nei confronti delle migrazioni climatiche a venire. 2. Migrazioni economiche, migrazioni per vulnerabilità, migrazioni ambientali e climatiche: definizioni e regime giuridico. Com’è noto, il diritto distingue tra diverse tipologie di migrazioni ricollegando ad esse un diverso regime giuridico. La distinzione tradizionale è tra migrazioni cosiddette “economiche” nella vulgata politica e migrazioni per situazioni di vulnerabilità. A questa bipartizione si sta aggiungendo, pur non ancora chiaramente disciplinata, una terza categoria: le migrazioni per cause ambientali, al cui interno si distingue la sottocategoria delle migrazioni per cause collegate al cambiamento climatico7. 6 A seguito del crescente numero di migranti che si affacciavano alle porte dell’Europa, l’Unione europea ha tentato di regolare la materia in modo comune ai 27 Stati membri con la Dir. 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni in materia di rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare in GU L 348 del 24 dicembre 2008. La direttiva ha come scopo quello di favorire il rimpatrio nel più breve tempo possibile, e nonostante presenti diversi aspetti d’ombra sotto il profilo della tutela dei diritti umani, soprattutto per il fatto di consentire un trattenimento di tipo amministrativo fino a 180 giorni per procedere all’identificazione degli stranieri, nell’interpretazione che ne ha dato la Corte di Giustizia è stato stabilito un importante principio: la migrazione irregolare che avviene verso l’Unione Europea non può essere criminalizzata. R. Cherchi, Il trattenimento dello straniero nei centri di identificazione e di espulsione: Le norme vigenti, i motivi di illegittimità costituzionale e le proposte di riforma, in www.questionegiustizia.it 3, 2014. 7 Sul nesso tra cambiamento climatico e migrazioni: E. Piguet, A. Pécoud, P. de Guchteneire, eds. Migration and Climate Change, Cambridge, 2011; J. Morrissey, Environmental Change and Forced Migration: A State of the Art Review, Refugee Studies Centre, Oxford 2009. 401 Interventi  Parte III Le migrazioni economiche sono quegli spostamenti effettuati allo scopo di migliorare le proprie condizioni di vita. Tale categoria ricomprende tipologie di migranti molto diverse che spaziano da chi versa in stato di povertà estrema ai centomila giovani che hanno lasciato l’Italia nel 2016 perché non trovavano un lavoro adeguato al proprio titolo di studio (noti nel linguaggio giornalistico come migranti “scientifici” o cervelli in fuga) o agli spostamenti di persone altamente qualificate che si spostano nel mondo globale impegnate nella ricerca e in lavori per i quali è richiesta un’alta competenza tecnica. Si pensi alla Silicon Valley della California, divenuta un polo di attrazione di informatici e matematici provenienti da tutto il mondo. Il regime giuridico dei migranti economici è interamente subordinato alle politiche migratorie dei singoli stati. Il diritto internazionale, infatti, come detto, non riconosce i migranti economici come titolari dello ius migrandi e affida agli Stati la discrezionalità: questi la esercitano tendenzialmente privilegiando migranti che possano coprire le esigenze lavorative dello Stato e considerando irregolari, dal punto di vista amministrativo, coloro che fanno ingresso senza visto. Diverso è invece lo status delle migrazioni per cause di vulnerabilità. Si tratta di tipologie tipizzate in un numerus clausus consistente in guerre e fattori di persecuzione predeterminati dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Tale documento stabilisce il diritto di richiedere asilo e quindi di conseguire lo status di rifugiato se si è perseguitati nel proprio paese per una di queste cinque ragioni: razza, religione, nazionalità, opinioni politiche, appartenenza a un gruppo sociale. In tutti questi casi, si riconosce che il fatto di migrare è una necessità determinata dall’impossibilità8 di continuare ad abitare lo Stato in cui si ha la cittadinanza e sia il diritto internazionale che molte Costituzioni prevedono il diritto di asilo come rimedio. L’esistenza del diritto di asilo trasforma il migrare da una situazione di fatto soggetta ad autorizzazione discrezionale in un vero e proprio ius migrandi. Quindi, se da un punto di vista antropologico e biologico entrambe le tipologie migratorie – economiche e per vulnerabilità – sono risposte adattative della specie umana, emerge con nettezza che dal punto di vista giuridico esse sono trattate in modo completamente diverso. Rispetto alla summa divisio sopra tracciata si è affermata, per il momento con una autonomia concettuale meramente descrittiva e non prescrittiva, la figura del migrante per cause ambientali. Si tratta di una figura ancora discussa e controversa in dottrina, ma che, a mio avviso, è molto utile per descrivere i casi in cui l’ambiente è una causa o concausa importante della migrazione. La generale figura dei migranti ambientali può, convenzionalmente e in modo non del tutto condiviso in dottrina, distinguersi, a sua volta in due sotto 8 Il criterio della volontarietà/obbligo di lasciare il proprio paese, invero, perde di peso se pensiamo che or- mai sempre più spesso anche le migrazioni economiche sono determinate da una mancanza di alternative nel proprio Paese d’origine, che rende il migrante di fatto obbligato ad andare via. È, infatti, difficile sostenere che una migrazione per fame o povertà estrema sia soltanto economica e migliorativa delle proprie condizioni di vita e non necessitata. 402 Ilenia Ruggiu Migrazioni per cause climatiche… categorie9: i migranti ambientali naturali, ossia coloro che sono costretti a lasciare il proprio Paese per una serie di disastri ambientali causati dalla natura (tsunami, terremoti, esplosioni naturali) senza che l’uomo abbia partecipato o compartecipato al disastro, da un lato; e dall’altro, i migranti climatici10 ossia coloro che sono indotti a migrare a seguito del cambiamento climatico causato dall’uomo. È scientificamente ormai accertato, infatti, che il cambiamento del clima a livello globale, che si sta concretizzando in un aumento generale (e non locale) delle temperature del pianeta Terra, veda l’uomo come principale concausa, tanto da produrre la concettualizzazione di una nuova era geologica: l’Antropocene11. Con “migrazioni climatiche”12 si intendono, dunque, quelle migrazioni ambientali non naturali, ma causate da un’ampia gamma di fenomeni collegati al cambiamento climatico prodotto nell’Antropocene: siccità, inondazioni, cicloni in zone dove in precedenza non si verificavano, cambiamento delle condizioni agricole per aumento della temperatura e dei fenomeni metereologici, innalzamento dei mari, scomparsa di intere isole o di parti di coste a seguito dello scioglimento dei ghiacci, tropicalizzazione o desertificazione. Se questi sono fenomeni diretti, vi sono anche una serie di fenomeni indiretti collegati al cambiamento climatico quali le guerre dell’acqua o per il controllo di risorse alterate a seguito del mutamento climatico che incidono sulle migrazioni. Un fenomeno indiretto è quello dei cosiddetti “migranti della conservazione”: com’è noto il dibattito sul cambiamento climatico ha prodotto ad accordi internazionali e a politiche nazionali volte a prevedere misure di mitigazione che contengano gli effetti devastanti del cambiamento climatico. Una di tali misure consiste nella creazione di parchi naturali e aree protette dove si vieta il taglio degli alberi e di qualsiasi attività umana a scopo conservativo, in modo da proteggere le aree verdi del pianeta che garantiscano la produzione di ossigeno. Spesso accade che i popoli che vivono in queste aree siano impediti di abitare nelle stesse e diventino sfollati interni. Questa realtà si verifica in diversi Paesi sudamericani e africani aumentando da prima il numero di sfollati interni che poi potrebbero divenire sfollati esterni. In linea generale, altri fenomeni indiretti possono essere instabilità politica, tensioni sociali, in quanto il cambiamento climatico può aggravare situazioni di vulnerabilità interne. Allo stato attuale, con qualche eccezione, la figura dei migranti ambientali e climatici non è riconosciuta, ed è tendenzialmente assimilata a quella dei migranti economici. A li- 9 Le formule che propongo in questo lavoro sono da me scelte tra una serie molto eterogenea di terminolo- gia: “profughi ambientali”, “rifugiati ambientali”, “persone forzate ad emigrare”, “eco profughi”. 10 L’espressione fu forgiata da Lester Brown nel 1976. L.R. Brown, P.L. McGrath, B. Stokes, Twenty-two di- mensions of the population problem, in Worldwatch Paper (USA), no. 5, Worldwatch Inst., Washington, DC (USA) 83. 11 Il termine è stato reso popolare da P. Crutzen, Benvenuti nell’Antropocene. L’uomo ha cambiato il clima, la Terra entra in una nuova era, Milano 2005. 12 L’organizzazione mondiale delle migrazioni ha fornito la seguente definizione: “I migranti ambientali sono persone o gruppi di persone che, per motivi imperativi di cambiamenti improvvisi o progressivi per l’ambiente che influenzano negativamente la loro vita o le condizioni di vita, sono obbligati a lasciare le loro case abituali o scelgono di farlo, in maniera temporanea o definitiva, e che si spostano sia all’interno del loro paese sia uscendo dai confini del proprio Paese”. 403 Interventi  Parte III vello internazionale non ci sono azioni concrete per allargare il contenuto della Convenzione di Ginevra. Si noti, peraltro, che spesso gli stessi migranti per cause o con-cause climatiche sono ignari di spostarsi per tali ragioni. A livello nazionale, l’Italia13 ha dato rilevanza alle migrazioni ambientali nell’art. 20 del Testo Unico sull’Immigrazione, l. n. 40/1998, art. 18, stabilendo “misure di protezione temporanea da adottarsi, anche in deroga a disposizioni del presente testo unico, per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea”. La formula “disastri naturali” è molto ampia e potrebbe essere interpretata nel senso di ricomprendere eventi collegati al cambiamento climatico. Il termine “disastri” evoca eventi circoscritti nel tempo, facendo pensare all’esclusione del deterioramento delle condizioni di lungo periodo: in questo senso una desertificazione o l’erosione progressiva delle coste che si protrae per decenni sembrerebbe non essere qualificabile come disastro secondo la nozione usata nel testo unico, tuttavia l’elasticità della formula potrebbe, a seconda dell’interpretazione anche consentire di sussumervi anche tali tipi di eventi. Il termine “naturali” è ugualmente suscettibile di interpretazione estensiva con esclusione dei soli fenomeni indiretti (guerre, tensioni sociali, instabilità politica, misure di mitigazione). Infatti, essa ricopre qualsiasi evento che incida e provenga dalla natura, quindi sia eventi stricto sensu naturali quali terremoti, sia eventi con-causati dall’uomo che hanno un impatto sulla natura, quali cicloni o siccità, che comunque sono sempre espressioni della natura. A tale articolo, si è aggiunto nel 2018 l’art. 20 bis. 3. Ragioni pro e contro il riconoscimento della protezione giuridica per le “migrazioni climatiche’’. I fattori ambientali, naturali o dovuti al cambiamento climatico, agiscono in modo complesso sulla scelta delle persone di migrare. A volte essi rendono direttamente impossibile la vita nel luogo, ma più frequentemente essi influiscono indirettamente, sommandosi ad altri fattori, già esistenti (es. scarse competenze tecnologiche o instabilità politica). Il riconoscimento giuridico del fattore climatico e ambientale come causa che attribuisce uno ius migrandi è molto dibattuto. 13 Art. 20: “1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato d’intesa con i Ministri degli affa- ri esteri, dell’interno, per la solidarietà sociale e con gli altri Ministri eventualmente interessati, sono stabilite, nei limiti delle risorse preordinate allo scopo nell’ambito del Fondo di cui all’articolo 45, le misure di protezione temporanea da adottarsi, anche in deroga a disposizioni del presente testo unico, per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea. 2. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o un Ministro da lui delegato riferiscono annualmente al Parlamento sull’attuazione delle misure adottate”. 404 Ilenia Ruggiu Migrazioni per cause climatiche… Da un lato si collocano coloro che premono per riconoscere a chi fugge per ragioni ambientali lo status di rifugiato.14 Alla base di tale posizione risiede l’idea che anche le migrazioni ambientali creano una situazione di vulnerabilità: esse sono in qualche modo equiparabili ad una guerra. Per il caso delle migrazioni climatiche l’argomento si rafforza e le stesse possono vedersi anche come il frutto di una persecuzione identificata nello sfruttamento derivante dal colonialismo, dal capitalismo globale e dalla attitudine predatoria dei Paesi industrializzati verso quelli non industrializzati. Secondo tale posizione, la rivendicazione della sovranità dei propri confini va bilanciata di fronte alle responsabilità morali che il Nord del Mondo ha nei confronti del Sud del Mondo15: visto che le migrazioni climatiche sono causate anche dagli Stati europei questi hanno precise responsabilità morali e giuridiche. Personalmente, mi trovo vicina a questa tesi e la estenderei anche ulteriormente, con tutti i caveat collegati alle instabilità che possono innescarsi da un’accoglienza non efficacemente organizzata. Infatti, le classificazioni con cui oggi il diritto verbalizza le proprie regole e trattamenti sono storicamente condizionate ed esprimono narrazioni ben precise volte a distinguere sulla base di criteri che non sempre soddisfano esigenze di giustizia e che sono comunque rispondenti ad una concezione dei diritti umani individualista, occidentale che magari non riesce a cogliere aspetti collettivi. Pensiamo, ad esempio, a come potrebbe cambiare la prospettiva se, ad affiancare l’attuale lessico di “migrante economico” introducessimo il concetto di “migrante coloniale”. Questa formula consentirebbe di evidenziare che alle radici di molte migrazioni attuali è il fenomeno del colonialismo, dell’imperialismo, del neo-colonialismo, per cui anche molti migranti economici sono in realtà persone le cui condizioni di vita sono state impoverite a causa di fenomeni di sfruttamento che tutt’oggi i Paesi industrializzati pongono in essere. Se è vero che la formula “migranti coloniali” potrebbe essere criticabile in quanto le migrazioni sono un fenomeno a causa complessa, motivato da un fascio spesso ampio di fattori, è altrettanto vero che anche la formula “migranti economici” oggi diffusa si rivela troppo semplificante rispetto alle complesse motivazioni che spingono a lasciare il proprio Paese. Chiudendo questa digressione e tornando al problema del riconoscimento giuridico dei “migranti climatici” le posizioni che, viceversa, si collocano contro il riconoscimento dello status di rifugiato sono eterogenee. 14 Tale posizione è stata rilanciata di recente dalla dottrina giuridica F. Gemmene, One good reason to speak of “climate refugees”, in Disasters and displacement in a changing climate, FMR 49, 2015, 70-71 e dalla euro-deputata Barbara Spinelli, insieme ad altri parlamentari europei nel Convegno Il secolo dei rifugiati ambientali?, Milano 24 settembre 2016. 15 S. A. Crate, M. Nuttall, Introduction, in Anthropology and climate change from actions to transformations (a cura di S.A. Crate, M. Nuttall), New York-London, 2016, 9 - 38, 11: “climate change is environmental colonialism at its fullest development – its ultimate scale – with far-reaching social and cultural implications. Climate change is the result of global processes that were neither caused nor can be mitigated by the inhabitants of the majority of climate-sensitive world regions now experiencing the most umprecedented change”. Sul concetto di debito ecologico si veda J.T. Roberts, B.C. Parks, Ecologically Unequal Exchange, Ecological Debt, and Climate Justice: The History and Implications of Three Related Ideas for a New Social Movement, in International Journal of Comparative Sociology 50(3–4) 2009, 385 – 409. 405 Interventi  Parte III Le scienze storico-geografiche sono critiche verso la categoria del migrante climatico in quanto prodotto di un’equazione non corretta definita come “determinismo” ambientale. Con questa formula si intende l’identificazione del clima quale causa scatenante e motivante la migrazione. I critici del determinismo ambientale sostengono tale equazione scorretta in quanto non tiene in conto che la scelta migratoria può essere il frutto di una pluralità di valutazioni, di cui il cambiamento climatico è solo una tra le tante. Inoltre evidenziano come non sempre il cambiamento climatico ha come sbocco naturale la migrazione, potendo esistere altre soluzioni, interne al Paese in cui si verifica. Tali posizioni sono più propense a leggere le migrazioni come “adattamento” frutto di diverse concause e a portarle fuori dalla categoria reificante del migrante come soggetto vulnerabile anziché dotato di agency. Da un’altra prospettiva, ma con analoghe conclusioni le scienze politiche e sociologiche temono che la figura dei migranti “climatici” possa portare a “depoliticizzare”16 il fenomeno migratorio rendendo “il clima” responsabile laddove le vere cause delle migrazioni hanno radici coloniali e di sfruttamento economico: il principale argomento contro la figura del migrante climatico, è che il clima semplicemente esacerba situazioni di vulnerabilità già esistenti: non si emigra quando si ha sufficiente tecnologia per contrastare gli effetti del cambiamento climatico (es. costruendo paratie meccaniche sulla costa per fronteggiare l’erosione) oppure quando il resto del paese interessato al cambiamento climatico è economicamente in grado di far fronte agli sfollati interni. Ugualmente se la situazione politica di base non fosse instabile, probabilmente le cosiddette guerre climatiche non scoppierebbero. Anche le discipline giuridiche, dal canto loro, sono scettiche sulla possibilità di ripensare la Convenzione di Ginevra per includervi la categoria del rifugiato ambientale. A parte l’ipotesi estrema di un intero stato che si desertifica o scompare perché affonda a seguito dell’innalzamento dei mari, in genere il migrante climatico diviene prima uno sfollato interno: è quindi il suo Stato a doversene far carico. Inoltre, essendo il clima più una con-causa che non la sola ed unica causa della migrazione, risulterebbe veramente complesso accertare il verificarsi della condizione. Infine, sono forti le implicazioni politiche della estensione della Convenzione di Ginevra che aumenterebbe il numero dei titolari del diritto di asilo: vanno anche considerate le difficoltà tecniche che verrebbero imposte alla amministrazione della giustizia se dovesse dotarsi di geografi, climatologi ed altri tecnici in grado di dire se la richiesta di asilo è fondata. Da queste considerazioni deriva l’opposizione di una parte consistente del mondo politico. Mentre il dibattito sul riconoscimento giuridico prosegue, le migrazioni climatiche accadono, non censite dal diritto. Destinate a crescere, secondo alcune stime da 25 milioni a 250 milioni nel 2050, queste stanno avendo già un impatto in quanto, anche se non sussi- 16 G. Bettini, Climate migration as an adaption strategy: de-securitizing climate-induced migration or making the unruly governable? in Critical Studies on Security 2(2), 2014, 180–195. 406 Ilenia Ruggiu Migrazioni per cause climatiche… stono misurazioni in quanto chi arriva sulle coste italiane non si dichiara “migrante climatico”, è certo che il clima può aver influito sulla sua scelta migratoria. Nel paragrafo successivo ci si concentrerà sugli impatti che le migrazioni climatiche potrebbero produrre sulla sicurezza, con un focus particolare sugli impatti a livello locale. 4. Impatti delle migrazioni climatiche sulla sicurezza locale. Il caso Sardegna. In uno dei primi studi17 che analizzano i rischi che l’incremento delle migrazioni climatiche potrebbe produrre sulla sicurezza questi venivano raggruppati in due grandi categorie: i rischi alla sicurezza umana e i rischi alla sicurezza nazionale. I primi rischi includevano: l’aumento della variabilità, l’aumento di eventi climatici estremi (es. tornado, siccità), la possibilità di conflitti. I secondi rischi includevano: la perdita di porzioni di territorio nazionale o, addirittura, la perdita dell’intero territorio nazionale (nel caso di isole che affondano); crisi economiche causate da alterazioni del tessuto produttivo; crisi sanitarie causate dalla riduzione di acqua potabile o da condizioni epidemiche causate da eventi estremi; crisi alimentari causate da rivolgimenti nei cicli agricoli o della pesca; instabilità politica causata da conflitti. I rischi di conflitti venivano ricollegati a incursioni transfrontaliere di grandi masse di popolazioni o a vere e proprie guerre per il controllo di risorse quali l’acqua. Tali studi hanno portato a forgiare il concetto di “sicurezza climatica” volto ad indagare le soluzioni che gli Stati nazionali e l’Unione europea possono porre in essere per fronteggiare gli impatti del cambiamento climatico. Come visto, le spinte migratorie ne costituiscono un capitolo importante. Nel capitolo della sicurezza climatica un aspetto rilevante e ancora poco approfondito è quello della sicurezza locale. Tale prisma di osservazione consente di rivedere, in parte decostruendolo, il paradigma securitario diffuso intorno alle migrazioni climatiche18. I comuni, infatti, presentano problemi di sicurezza e percezioni della stessa diverse da quelle che sussistono a livello nazionale o europeo. In questo contributo mi soffermerò su un caso di studio, quello dei 377 comuni della regione Sardegna che è stata scelta come caso pilota dell’Unione Europea19 per monitorare 17 J. Barnett, Security and climate change, in Global Environmental Change 13, 2003, 7 – 17. Sul nesso tra cambiamento climatico e sicurezza si veda anche G. White, Climate Change and Migration: Security and Borders in a Warming World. Oxford 2011; J. Scheffran, M. Brzoska, H.G. Brauch, P.M. Link, J. Schilling (eds.), Climate Change, Human Security and Violent Conflict: Challenges for Societal Stability, New York 2012. 18 I. Boas, Climate Migration and Security: Securitisation as a Strategy in Climate Change Politics, London 2015. 19 Nell’ambito di un progetto Horizon 2020 intitolato CLISEL, Clima e sicurezza con gli enti locali. Da destinatari di insicurezza a creatori di sicurezza: mobilitare le autorità locali per tutelare l’Unione europea rispetto all’impatto dei cambiamenti climatici nei Paesi terzi”, che ha preso abbrivio il 1° maggio 2016 e si è concluso il 1° maggio 2019. Testo disponibile al sito: www.clisel.eu. 407 Interventi  Parte III le relazioni tra clima, migrazioni e sicurezza a livello locale e per capire che impatto potranno avere in futuro le migrazioni climatiche sui comuni. Poiché, allo stato attuale, i migranti che arrivano in Europa (e in Sardegna) non sono classificati come climatici, l’analisi è stata fatta in via ipotetica testando che tipo di impatto hanno le migrazioni attuali. Una premessa sulla situazione migratoria in Sardegna è d’obbligo. L’isola ha visto un incremento progressivo dei flussi dei migranti sia nella forma di sbarchi diretti, tramite i cosiddetti “barchini” autogestiti dai migranti, che, in misura maggiore, di sbarchi tramite navi autorizzate nel periodo 2015-2017 della cosiddetta “crisi migratoria” che ha interessato l’Europa. Allo stato attuale, circa 80 dei 377 Comuni sardi accolgono a vario titolo migranti. Prevalentemente l’accoglienza si è svolta attraverso Centri di accoglienza straordinaria (CAS in numero di 160) e Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA attualmente chiusi) istituiti presso alberghi, ex scuole, ex caserme. Al contrario di altre regioni quali la Calabria, non è decollato in Sardegna il sistema SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) registrandosene soltanto 19 (al novembre 2018), anche per assenza di risposta ai bandi indetti dalle prefetture. Nonostante la maggior parte dei Comuni sardi non ospitino migranti, il tema è molto avvertito tra i sindaci. Un questionario statistico20 disseminato nel 2017 tra i sindaci sardi ha consentito di monitorare le loro posizioni rispetto al fenomeno migratorio di tipo climatico (e non) e ai rischi alla sicurezza. Poiché, a causa del mancato riconoscimento giuridico, la figura del migrante climatico non è ancora consolidata nel dibattito giuridico e politico italiano ed è risultata poco nota ai sindaci sardi, le considerazioni che seguono relative al caso Sardegna avranno come riferimento le migrazioni in generale. Il risultato principale emergente dal caso pilota sardo è che il concetto di sicurezza a livello locale si discosta dal medesimo concetto a livello nazionale ed europeo sotto due aspetti: in primo luogo, è inteso in accezione più ampia – sono ben sette le declinazioni della sicurezza emerse – e, in secondo luogo, è più incentrato su aspetti connessi al benessere sociale e alla coesistenza piuttosto che su questioni di ordine pubblico, quali violenza, crimine, terrorismo, rischi di destabilizzazione dell’Europa. Sulla base delle risposte date dai sindaci è possibile individuare le seguenti 7 declinazioni di sicurezza a livello locale su cui le migrazioni possono avere un impatto: 1. Sicurezza sociale relativa alla convivenza sociale in ordine all’equo accesso ai servizi del welfare; 2. Sicurezza come ordine pubblico quale assenza di violenza fisica nella società, assenza di criminalità, assenza di illegalità, ossia di attività illecite di qualsiasi natura (es. rischi di speculazioni economiche sul fenomeno migratorio trattato come “business” da privati per arricchirsi); 3. Sicurezza urbana relativa ad aspetti quali il decoro urbano e l’ordinato svolgimento della vita cittadina; 20 Il testo integrale del questionario con tutti i risultati alle domande è disponibile al sito: www.clisel.eu sia in versione italiana che in versione inglese. 408 Ilenia Ruggiu Migrazioni per cause climatiche… 4. Sicurezza climatica relativa ai rischi che il cambiamento climatico pone a livello locale; 5. Sicurezza economica relativa ai rischi per la stabilità finanziaria e i bilanci comunali; 6. Sicurezza culturale relativa ai rischi al tessuto antropologico del Comune in relazione sia alla sua identità culturale, sia ai conflitti multiculturali che possono sorgere a seguito del contatto con i migranti; 7. Sicurezza sanitaria relativa ai rischi per la salute dovuti al ritorno di malattie debellate o nuove e a situazioni di igiene pubblica compromessa. Soffermandoci su queste sette declinazioni emerge che quella intorno alla sicurezza sociale è la prima preoccupazione rilevata. I Comuni intervistati hanno evidenziato una situazione di tensione sociale dovuta alla competizione su risorse collegate al welfare: il risentimento da parte dei locali nei confronti dei migranti non appare dovuto a razzismo o paura del diverso bensì alla situazione di povertà in cui versano molte famiglie sarde che crea una competizione all’accesso ai servizi sociali e ai mezzi di sussistenza. L’antagonismo sociale è alimentato fino a divenire astio sociale dal fatto che i migranti siano percepiti come soggetti che non danno alcun contributo lavorativo alla comunità e che drenano risorse che potrebbero essere assegnate ad altre forme di assistenza per i locali. Sebbene la sicurezza sia prevalentemente declinata come tensioni sociali dovute al fatto che molte risorse sono destinate ai migranti e concorrenza nell’accesso ai servizi del welfare, va evidenziato che alcuni sindaci hanno anche fatto riferimento a problemi più strettamente connessi all’ordine pubblico. Questi sono di duplice natura: da un lato le tensioni sociali potrebbero in alcuni comuni, secondo i sindaci, spingere i locali a reazioni violente; dall’altro il fenomeno migratorio potrebbe favorire affari criminali. Viceversa, i temi caldi che compaiono spesso nel dibattito nazionale, ossia la paura di attacchi terroristici o di episodi di criminalità da parte dei migranti quasi mai rientrano tra le preoccupazioni dei Comuni sardi. La situazione nell’isola rileva che finora si sono registrati pochissimi episodi di violenza da parte di migranti, collegati principalmente a migranti che in situazioni di esasperazione hanno compiuto gesti dimostrativi, ma i sindaci riportano una generale preoccupazione che l’incremento del flusso migratorio possa portare a fenomeni violenti soprattutto da parte della popolazione locale (es. occupazioni o incendi di edifici destinati ai migranti), spesso allarmata all’idea che locali pubblici vengano destinati ad accogliere grandi numeri di migranti. Un altro aspetto collegato all’ordine pubblico è l’incremento della criminalità italiana favorito dal fenomeno migratorio. Ancora una volta il focus è non sui migranti, ma sugli italiani accusati di gestire i flussi di persone come un business poco trasparente. Riguardo alla terza dimensione, della sicurezza urbana, particolare rilievo assume per i sindaci la questione del decoro urbano e il rispetto delle norme igieniche. La concentrazione di migranti, la diversa concezione dello spazio pubblico che spinge i migranti a gettare in terra i rifiuti sono problematiche che allarmano la popolazione. Forte preoccupazione suscita nei sindaci la sicurezza economica. Con tale espressione si intende la sicurezza del Comune in riferimento alle proprie risorse. In particolare i sindaci denunciano che il ritardo nei fondi per aiutare i migranti crea spesso dei deficit di bi409 Interventi  Parte III lancio significativi. Particolarmente rilevante è in tale ambito la questione dei “minori non accompagnati” che costano molto ai comuni e che in alcuni casi hanno letteralmente svuotato il bilancio. Anche l’insicurezza che deriva dalla trasformazione in senso multiculturale della società presenta preoccupazioni diverse a livello locale, dove i grandi dibattiti intorno al burqa o a simboli che hanno infiammato il dibattito nazionale cedono il passo a questioni di più ordinaria amministrazione: sono le diverse norme igieniche, sia personale che riferita allo spazio pubblico, e le pratiche di sepoltura a preoccupare i sindaci. Mentre una donna che gira con il velo o con il burqa non desta nessuna preoccupazione, forse anche per un collegamento con il costume tradizionale sardo, un migrante che accende una pira per commemorare un defunto violando le norme anti-incendio della regione Sardegna può far scattare il sistema di sicurezza del Comune. Ugualmente molto sentite sono le diverse pratiche culturali relative all’educazione dei figli che spesso determinano un intervento dei servizi sociali per incomprensioni culturali su che cosa sia abbandono o maltrattamento. Infine, riguardo alla settima declinazione della sicurezza, quella sanitaria, meno avvertito è il possibile rischio sanitario collegato al fatto che alcuni migranti potrebbero portare malattie debellate. La diagnosi dei problemi affrontati a livello comunale, è coerentemente accompagnata dalle soluzioni che rivelano una netta preferenza da parte dei sindaci per l’accoglienza diffusa dei migranti caratterizzata da piccoli numeri per comune. Il modello hotspot o hub regionale caratterizzato da centri di centinaia di migranti può, dunque, funzionare solo per periodi di accoglienza limitati (massimo 2 mesi) e dovrebbe poi svilupparsi in forme di accoglienza diffusa. Vi sono due ragioni per cui i sindaci si esprimono a favore di questo modello: il fenomeno è più facile da gestire e vi è un minor rischio di ghettizzazione dei migranti. In conclusione, può rilevarsi che la conoscenza della prospettiva locale si rivela un tassello sempre più importante per una migliore gestione dei flussi migratori. Poiché le problematiche a livello locale sono parzialmente diverse da quelle nazionali e poiché i Comuni risultano sempre più coinvolti nella gestione dei migranti, è fondamentale tenere in conto tale prospettiva e predisporre il coinvolgimento dei sindaci nella governance delle migrazioni. 410 I ‘‘TRUMP’S TRAVEL BANS’’ E L’APPLICAZIONE EXTRATERRITORIALE DELLA CONVENZIONE DI GINEVRA DEL 1951 E DEL PROTOCOLLO DEL 1967 SULLO STATUS DEI RIFUGIATI ~ Livio Scaffidi Runchella ~ 1. INTRODUZIONE • 2. LA VICENDA GIUDIZIARIA DEL PRIMO E DEL SECONDO “TRUMP’S TRAVEL BAN” • 3. IL TERZO “TRUMP’S TRAVEL BAN” AL VAGLIO DELLA CORTE SUPREMA •4. L’INCOMPATIBILITÀ DEI “TRUMP’S TRAVEL BAN” CON I PRINCIPI DI NON-DISCRIMINAZIONE E DI NON-REFOULEMENT, CONCLAMATI NELLA CONVENZIONE DI GINEVRA DEL 1951 SULLO STATUS DEI RIFUGIATI • 5. I “TRUMP’S TRAVEL BAN” E L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA CONVENZIONE DI GINEVRA DEL 1951 E DEL PROTOCOLLO DEL 1967 SULLO STATUS DEI RIFUGIATI • 6. CONCLUSIONI. 1. Introduzione. Pochi giorni dopo l’insediamento alla Casa Bianca, precisamente il 27 gennaio del 2017, l’allora neo Presidente degli Stati Uniti Donal Trump adottava l’Executive Order 13769, intitolato Protecting the Nation from Foreign Terrorist Entry into the United States 1. Detto provvedimento, ribattezzato dalla stampa Muslim ban o travel ban, al fine di salvaguardare la nazione dalle minacce del terrorismo, vietava per novanta giorni l’ingresso nel territorio statale ai cittadini di sette paesi islamici (Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen)2 e a rifugiati, a prescindere se tali individui possedessero un visto di accesso valido. Nella parte introduttiva del provvedimento, veniva rilevato come un’accorta gestione della procedura di rilascio dei visti e del programma di accoglienza dei rifugiati fosse vitale per individuare le persone che intrattengono legami con organizzazioni terroristiche o che possono avvicinarsi a tali strutture criminali. In tal senso, i cittadini dei paesi sopraindicati venivano considerati ostili all’ordinamento statunitense perché portatori di ideologie che si collocano al di sopra della legge statale e colpevoli di compiere o appoggiare atti di intolleranza o di odio. 1 Il provvedimento, il cui testo è disponibile alla pagina www.whitehouse.gov è stato uno fra i primi punti della c.d. “Agenda Trump” ad essere realizzato. 2 Secondo l’ordine esecutivo, per consentire l’ingresso dei cittadini dei sette paesi designati si rendeva necessario un controllo supplementare perché «the conditions in these countries present heightened threats». Ciascuno di questi paesi, infatti, «is a state sponsor of terrorism, has been significantly compromised by terrorist organizations, or contains active conflict zones». 411 Interventi  Parte III L’impatto dell’Executive Order era immediato e di ampie dimensioni: migliaia di visti venivano annullati, in alcuni casi veniva impedito ai passeggeri di imbarcarsi su aerei destinati verso gli Stati Uniti, in altri casi veniva negato l’accesso al territorio statunitense all’arrivo, in altri ancora si procedeva all’arresto di viaggiatori e all’immediato rimpatrio. Tali eventi suscitavano accese reazioni nel mondo politico, della diplomazia, dell’economia e tra gli attivisti per i diritti umani, nonché una grande mobilitazione popolare, con manifestazioni di protesta nei grandi aeroporti del paese e di solidarietà in favore dei viaggiatori3. L’opposizione al provvedimento non rimaneva soltanto nell’alveo della critica politica, ma si esprimeva anche attraverso l’avvio di un imponente contenzioso giudiziario, al punto che, solo fra il 28 e il 31 gennaio, venivano presentati più di 50 ricorsi davanti alle Corti Federali, all’esito dei quali l’Executive Order 13769 veniva sospeso in numerosissimi Stati federati. In seguito, il governo statunitense rinunciava a difendersi davanti alle autorità giurisdizionali di grado superiore, ritenendo preferibile adottare un nuovo Executive Order, individuato dal numero 13780, che lo stesso Presidente Trump non esitava a definire “la versione annacquata e politicamente corretta dell’ordine esecutivo precedente”4. Il provvedimento, infatti, se per un verso revocava la precedente misura, per altro verso ripresentava larga parte del contenuto del precedente ordine esecutivo. Anche il nuovo ordine esecutivo veniva sottoposto all’attenzione delle autorità giurisdizionali e l’esecuzione dello stesso veniva sospesa in via cautelare dalle Corti federali di primo e secondo grado in ragione dell’illegittimità costituzionale e dell’incompatibilità con le norme federali in materia di immigrazione. In prossimità della scadenza delle misure temporanee previste dal provvedimento – che nel frattempo era stato sottoposto allo scrutinio della Corte Suprema – e prima che quest’ultima potesse pronunciarsi sul merito della questione, il Presidente Trump con il decreto presidenziale del 24 settembre 2017 dal titolo Presidential Proclamation enhancing vetting capabilities and processes for detecting attempted entry into the United States by terrorists or other public-safety threats adottava una terza versione del Travel Ban5. 3 In particolare, noti esponenti del partito dei democratici rilevavano come il provvedimento dovesse rite- nersi arbitrario, giacché dopo l’11 settembre non vi erano stati attentati attribuibili a cittadini degli Stati “banditi”. Diversamente molti attentati citati dal Presidente Trump per giustificare l’adozione del provvedimento erano stati compiuti da cittadini americani. Analogamente, il personale delle ambasciate statunitensi si opponeva all’Executive Order per il tramite di un documento sottoscritto da 900 diplomatici del Dipartimento di Stato. In detto documento veniva sottolineato che la nuova politica sull’immigrazione, per un verso, non garantiva adeguati livelli di sicurezza, per altro verso, nuoceva agli sforzi compiuti dall’intelligence per prevenire attacchi terroristici. Il respingimento dei cittadini degli Stati “a rischio” avrebbe causato, infatti, un peggioramento dei rapporti con i governi considerati importanti alleati nella lotta al terrorismo e avrebbe aiutato il diffondersi di sentimenti di ostilità nei confronti degli Stati Uniti. Anche accademici e studiosi di vari campi del sapere, fra cui oltre quaranta premi nobel, esprimevano la propria preoccupazione, attraverso un documento in cui si giudicava l’Executive Order 13769 discriminatorio, dannoso, contrario ai principi fondanti l’ordinamento giuridico degli Stati Uniti e, infine, eccessivamente gravoso per i membri della comunità. 4 Il provvedimento, adottato il 6 marzo 2017, dal titolo Executive Order Protecting The Nation From Foreign Terrorist Entry Into The United States è disponibile al sito: www.whitehouse.gov. 5 Il provvedimento è disponibile al sito www.whitehouse.gov. 412 Livio Scaffidi Runchella I ‘‘Trump’s travel bans’’ e l’applicazione… Il presente contributo, dopo aver delineato il contenuto dei tre provvedimenti e ripercorso sommariamente le relative vicende giudiziarie, intende offrire qualche spunto di riflessione nella prospettiva del diritto internazionale sulla legittimità dei c.d. “Trump’s travel bans”. In particolare, si proverà a valutare la compatibilità delle misure sui rifugiati contenute nei provvedimenti presidenziali con la Convenzione di Ginevra del 1951 e con il Protocollo del 1967, relativi allo status dei rifugiati, che a tutt’oggi rappresentano gli strumenti più importanti in materia. La questione appare degna di considerazione almeno per due ragioni: in primo luogo, perché gli Stati Uniti sono fra i paesi che maggiormente contribuiscono al programma di reinsediamento dei rifugiati6; in secondo luogo, perché i provvedimenti in esame sono espressione di una crescente tendenza delle politiche legislative degli Stati volte a prevenire o a dissuadere i rifugiati dalla ricerca di protezione all’interno del proprio territorio7. 2. La vicenda giudiziaria del primo e del secondo ‘‘Trump’s travel ban’’. Come anticipato, le misure contenute nell’Executive Order 13769 riguardavano sia la disciplina di accesso al territorio statunitense sia le condizioni di ammissione al programma di reinsediamento dei rifugiati. Relativamente alla loro posizione, nell’immediato si stabiliva il riallineamento del programma per l’anno 2017 con la riduzione da 110.000 a 50.000 del numero complessivo di nuovi rifugiati, la sospensione per centoventi giorni del United 6 Com’è noto, il reinsediamento in un paese terzo rappresenta la migliore soluzione in termini di accessibili- tà, stabilità e sicurezza per i rifugiati che vivono in situazioni rischiose o che hanno necessità specifiche che non possono essere soddisfatte nel paese in cui hanno cercato protezione. Gli Stati Uniti sono il principale paese ad attuare simili programmi, tanto che nell’anno 2015 hanno accolto il 60% del numero totale (pari a 66.500 persone) di rifugiati che hanno beneficiato della misura del reinsediamento. In proposito, Global forced displacement in 2015, United Nations High Commissioner for Refugees, disponibile al sito www.unhcr.org. 7 Manifestazioni di tale orientamento possono considerarsi le misure di emergenza adottate da Ungheria e Australia. In particolare, in Ungheria per respingere il flusso di profughi siriani è stata costruita una recinzione lungo porzioni della frontiera e sono stati creati appositi campi per impedire ai richiedenti asilo di spostarsi all’interno del paese. È stato inoltre eliminato il periodo di massima detenzione per i richiedenti asilo, ai quali viene pertanto consentito di uscire liberamente dal centro soltanto in caso di riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria o nell’ipotesi in cui decidano di far decadere la propria richiesta e accettino di tornare nel paese di origine. L’eccessiva durata della procedura di esame della richiesta di asilo e l’esiguo numero delle richieste di asilo che vengono effettivamente approvate, di fatto, scoraggiano i richiedenti asilo a presentare richieste di asilo o ad aspettare i tempi necessari per il completamento dell’iter di riconoscimento dello status. In Australia, sin dai primi anni ’90, sono state adottate misure che prevedono il coinvolgimento di paesi terzi, in particolare lo Stato di Nauru, il cui territorio viene utilizzato per la detenzione e lo screening dei richiedenti asilo. In tal modo viene, di fatto, precluso l’accesso al sistema di asilo australiano ed eluso l’obbligo di non-refoulement. Sulla condizione dei rifugiati nei due paesi citati v., più ampiamente, Fenced Out Hungary’s Violations of the Rights of Refugees and Migrants, Amnesty International Publications, 2016, disponibile alla pagina www.amnesty.org/ en/documents/eur27/2614/2015/en/; P. White, Let Me Be a Refugee: Administrative Justice and the Politics of Asylum in the United States, Canada, and Australia, 2016, 537-541; V. Moreno-Lax, The Interdiction of Asylum Seekers at Sea: Law and (mal) practice in Europe and Australia, 2017, disponibile al sito: www.kaldorcentre.unsw.edu.au. 413 Interventi  Parte III States Refugee Admissions Program (USRAP)8 e il divieto di accesso al territorio statunitense a tempo indefinito di rifugiati siriani9. In una prospettiva di più lungo termine, si prevedeva che, oltrepassato il periodo di sospensione, nell’ambito della procedura di selezione dei soggetti beneficiari del programma di reinsediamento sarebbe stata accordata una priorità alle persone che avessero subito persecuzioni in ragione del loro credo, solo nella misura in cui la religione degli interessati fosse stata minoritaria nel paese di origine. A distanza di pochi giorni dalla sua adozione, il provvedimento veniva impugnato davanti a diverse Corte Federali da persone fisiche, associazioni ed enti pubblici. Fra questi ultimi, vi era anche lo Stato di Washington che richiedeva alla Corte distrettuale l’emissione di una temporary restraining order per ottenere la sospensione degli effetti dell’ordine esecutivo. A sostegno della propria domanda, lo Stato ricorrente rilevava che il provvedimento impugnato colpiva illegittimamente i residenti all’estero, dividendo le famiglie e limitando i loro spostamenti, con il risultato di danneggiare l’economia dello Stato e le università pubbliche. Secondo l’ente ricorrente, il provvedimento presidenziale violava, a vario titolo, le leggi nazionali, in particolare l’Immigration and Nationality Act (INA)10 e l’Administrative Procedure Act (APA)11, le garanzie costituzionali, fra cui la due process clause (diritto ad un processo equo), l’equal protection clause (diritto alla pari tutela nell’ambito della legge previsto dalla Costituzione) e l’establishment clause (separazione tra Chiesa e Stato e terzietà della legge rispetto al culto della religione e al suo libero esercizio)12. Con specifico 8 Il programma degli Stati Uniti per i rifugiati (USRAP) si occupa di persone segnalate dall’UNHCR da amba- sciate degli Stati Uniti o da organizzazioni non governative. I rifugiati che vengono ammessi negli Stati Uniti devono superare una procedura di screening che generalmente dura dai nove ai 24 mesi. La procedura inizialmente coinvolge l’United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) che esegue una prima valutazione basata sui documenti d’identità, le informazioni biografiche e le interviste. Le persone che superano questa fase sono poi ulteriormente selezionate in conformità agli ulteriori e più approfonditi controlli condotti da diverse agenzie statunitensi. I candidati che hanno superato questa fase, prima di accedere al territorio statunitense devono, inoltre, affrontare uno screening medico e seguire programmi di orientamento culturale. In proposito, K. Welch, A Pivotal Moment for the US Refugee Resettlement Program, Hass Institute, Research Brief June 2017, disponibile al sito: haasinstitute.berkeley.edu. 9 Il provvedimento specificava, alla lett. e) della Section 5, che nonostante la sospensione temporanea i Secretaries of State e il Department of Homeland Security, di comune accordo, potessero ammettere i richiedenti asilo, sulla base di un approccio case by case. 10 L’Ordine Esecutivo 13769 cita l’Immigration and Nationality Act che autorizza il Presidente degli Stati Uniti, ai sensi del § 1182(f), a «suspend the entry of all aliens or any class of aliens as immigrants or nonimmigrants, or impose on the entry of aliens any restrictions he may deem to be appropriate» nel caso in cui ritenga che il loro ingresso nel territorio statunitense «would be detrimental to the interests of the United States» (§ 1182(f). Questa disposizione contenuta nell’Immigration and Nationality Act del 1952 è stata modificata dall’Immigration and Nationality Act del 1965 che prevede che «No person shall receive any preference or priority or be discriminated against in the issuance of an immigrant visa because of the person’s race, sex, nationality, place of birth, or place of residence». 11 L’Administrative Procedure Act che disciplina il procedimento amministrativo prevede, tra le altre cose, che le azioni eseguite da agenzie governative non possono essere arbitrarie, irragionevoli o non supportate da prove. 12 Nel ricorso contro l’Executive Order 13769, lo Stato di Washington evidenziava che le modalità caotiche con cui il provvedimento era stato applicato e l’impossibilità per gli individui di difendersi davanti ad un’autorità terza ed imparziale costituiva una violazione della due process clause. Inoltre, l’ordine esecutivo determinava una violazione del diritto alla non-discriminazione in ragione della nazionalità, nella misura in cui trattava 414 Livio Scaffidi Runchella I ‘‘Trump’s travel bans’’ e l’applicazione… riferimento ai rifugiati, veniva evidenziato come l’Executive Order contrastasse con l’Immigration and Nationality Act che accorda agli stranieri il diritto di entrare nel territorio dello Stato per presentare la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e che impedisce che questi possano essere respinti, nonché con la Convenzione di New York del 1984 contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, nella parte in cui tale strumento stabilisce che gli Stati parte non possono espellere, respingere o estradare una persona verso un altro Stato qualora vi siano serie ragioni di credere che in tale Stato essa rischi di essere sottoposta a tortura. Con provvedimento del 3 febbraio 2007, la District Court for the Western District of Washington at Seattle concedeva il temporary restraining order disconoscendo, limitatamente alla fase cautelare, la legittimità e la fondatezza di diverse parti dell’ordine esecutivo presidenziale, fra le quali il divieto di ingresso di cittadini di paesi considerati detrimental to the interests of the United States, nonché la sospensione temporanea del programma di reinsediamento degli Stati Uniti13. Inoltre la Corte, rilevata l’esigenza di uniformità nella disciplina della materia, estendeva l’efficacia della decisione a tutto il territorio nazionale, oltrepassando in tal modo i confini degli Stati che avevano preso parte al giudizio14. Tale decisione veniva successivamente confermata dalla Court of Appeals for the Ninth Circuit che dichiarava non sufficientemente fondata la richiesta del Governo degli Stati Uniti di sospendere in via d’urgenza gli effetti della precedente decisione sfavorevole15. I giudici rilevavano che «the Government has pointed to no evidence that any alien from any of the countries named in the Order has perpetrated a terrorist attack in the United States. Rather than present evidence to explain the need for the Executive Order, the Government has taken the position that we must not review its decision at all. We disagree, as explained above». Secondo la differentemente le persone sulla base del paese di origine. Infine, l’Executive Order trasgrediva l’establishment clause che prevede la separazione tra Chiesa e Stato e garantisce la terzietà della legge rispetto al culto della religione e al suo libero esercizio. Il provvedimento, infatti, pur impiegando un’espressione neutra, qual è “minoranza religiosa”, si indirizzava unicamente verso paesi a maggioranza musulmana, favorendo in concreto le persone di fede non musulmana. Sui profili di diritto costituzionale cfr. A. Cox, Why a Muslim Ban is Likely to be Held Unconstitutional: The Myth of Unconstrained Immigration Power, Just Security, 30 gennaio 2017, disponibile al sito: www.justsecurity.org; D. Cole, We’ll See You in Court: Why Trump’s Executive Order on Refugees Violates the Establishment Clause, ivi, 28 gennaio 2017; D. De lungo, Il bando di Trump al vaglio del costituzionalista, in www.affarinternazionali.it, 8 febbraio 2017. 13 Stati Uniti d’America, District Court for the Western District of Washington at Seattle, State of Washington v. Donald J. Trump, et al, causa n. C17-00141-JLR, Hearing del 2 marzo 2017. La decisione, analogamente alle altre che hanno contrassegnato gli sviluppi giurisprudenziali della vicenda dei Trump travel Bans, è disponibile sul sito web www.lawfareblog.com/topic/travel-ban. 14 La Corte evidenziava come lo Stato di Washington avesse soddisfatto le condizioni giuridiche necessarie per l’adozione del provvedimento cautelare, note come Winter Test, secondo le quali «a plaintiff seeking a preliminary injunction must establish that he is likely to succeed on the merits, that he is likely to suffer irreparable harm in the absence of preliminary relief, that the balance of equities tips in his favor, and that an injunction is in the public interest». 15 Stati Uniti d’America, Court of Appeals for the Ninth Circuit, State of Washington and State of Minnesota v. Donald J. Trump, 847 F.3d 1151 (9th Cir. 2017), causa n. 17-35105, D.C. N. 2:17-cv-00141, Order del 10 febbraio 2017. Sulla decisione v. V.P. Nanda, 49TH Annual Sutton Colloqium Crisis of Refugees and Mass Migration: Failure of International Law, Migrants and Refugees are Routinely Denied the Protection of International Human Rights: What Does the Future Hold?, in Denver Journal of International Law and Policy, 2017, 303-365. 415 Interventi  Parte III Corte il contenuto del provvedimento e le diverse dichiarazioni fatte dal Presidente Trump nel corso della campagna elettorale indicavano in modo non equivoco come l’ordine esecutivo mirasse a limitare l’accesso al territorio nazionale ai musulmani. Come risposta a questa decisione e ad altre successive pronunciate da altre Corti, il 6 marzo del 2017, il Presidente Trump ha adottato l’Executive Order n. 13780, ovvero una nuova versione del c.d. Muslim ban che ha revocato e sostituito il provvedimento precedente, realizzando alcuni aggiustamenti al testo16. Con riferimento alla procedura di rilascio dei visti, le novità più rilevanti hanno riguardato la rimozione dell’Iraq dall’elenco dei paesi “banditi”17 e il riconoscimento della possibilità di fare ingresso nel territorio degli Stati Uniti alle persone che, seppur cittadini di tali paesi, disponessero, alla data di entrata in vigore del provvedimento, di un valido titolo di accesso, nonché alle persone in possesso di doppia cittadinanza, a condizione che uno delle due fosse quella di un paese non considerato “a rischio”. A proposito della posizione dei rifugiati, il provvedimento ha confermato la riduzione della quota di ammissione dei rifugiati per l’anno 2017 da 110.000 a 50.000 e la sospensione per 120 giorni del Refugee Admissions Program (USRAP) e, più in generale, di tutte le decisioni collegate al riconoscimento dello status di rifugiato (Section 6). Viceversa sono state cancellate le disposizioni che esprimevano una preferenza per le persone che professavano una religione minoritaria nel paese di origine e che negavano ai cittadini siriani l’accesso al territorio statunitense a tempo indefinito18. Nonostante tali modifiche, i giudici federali delle Hawaii e del Maryland hanno “bloccato” il nuovo provvedimento ancor prima della sua entrata in vigore, prevista per il 16 marzo del 201719. In particolare, la District Court delle Hawaii ha emesso una temporary restraining order che ha colpito le parti del nuovo ordine esecutivo relative al divieto temporaneo di ingresso negli Stati Uniti per i cittadini di countries of particular concern e al riallineamento del programma di ammissione dei rifugiati. La Corte federale ha affermato che il ricorso presentato dallo Stato delle Hawaii avrebbe avuto molte probabilità di successo in relazione all’asserita violazione della Establishment Clause, respingendo fermamente la tesi del governo che sosteneva come la nuova versione dell’ordine esecutivo non favorisse una religione a danno delle altre. 16 L’Executive Order n. 13780 è stato accompagnato da un memorandum presidenziale, dal titolo “Implementing Immediate Heightened Screening and Vetting of Applications for Visas and Other Immigration Benefits, Ensuring Enforcement of All Laws for Entry into the United States, and Increasing Transparency among Departments and Agencies of the Federal Government and for the American People”, volto a facilitarne l’applicazione. Tale documento è disponibile al sito: www.whitehouse.gov. 17 Sul punto il nuovo ordine esecutivo evidenzia come il governo iracheno abbia collaborato con gli Stati Uniti per apportare i cambiamenti necessari per garantire che gli iracheni che richiedono il visto di ingresso possano essere adeguatamente controllati. 18 Con riguardo a tali profili v. S. Pierce e D. Meissner, Revised Trum Executive Order and Guidance on Refugee Resettlement and Travel Ban, testo disponibile al sito: www.migrationpolicy.org. 19 Stati Uniti d’America, District Court for the District of Hawai’i, State of Hawaii And Ismail Elshikh v. Donald J. Trump, causa n 1:17-cv-00050, Temporary Restraining Order del 15 marzo 2017 e District Court for the District of Maryland, International Refugee Assistance Project v. Donald J. Trump, causa n. 8:17-cv-361-TDC, Temporary Restraining Order del 16 marzo 2017. 416 Livio Scaffidi Runchella I ‘‘Trump’s travel bans’’ e l’applicazione… Entrambi i provvedimenti cautelari sono stati impugnati rispettivamente dinanzi alla Court of Appeals for the Ninth Circuit e alla Court of Appeals for the Fourth Circuit, che hanno sostanzialmente confermato le decisioni delle Corti inferiori20. In particolare, la Corte d’appello del 9° Circuito ha evidenziato come il Governo non avesse fornito alcuna prova a supporto dell’assunto secondo il quale l’ingresso dei cittadini degli Stati “banditi” sarebbe risultato dannoso per gli Stati Uniti. Inoltre l’ordine esecutivo era in contrasto con l’Immigration and Nationality Act, che vieta discriminazioni nel rilascio di visti di ingresso sulla base della nazionalità. La Corte d’appello del 4° Circuito ha ribadito che l’ordine esecutivo presentava profili di illegittimità costituzionale rispetto all’Establishment Clause, affermando che l’Executive Order rivisitato «speaks with vague words of national security, but in context drips with religious intolerance, animus and discrimination»21. La questione ha in seguito coinvolto la Corte Suprema che ha accettato di esaminare il ricorso presentato dal governo statunitense contro le preliminary injunctions che, di fatto, impedivano l’entrata in vigore di diverse parti del nuovo provvedimento. La Corte Suprema, nella decisione del 26 giugno 2017 pur rifiutandosi di sospendere il provvedimento cautelare integralmente, ne ha limitato l’applicazione, riferendolo ai soli foreign nationals who lack any bona fide relationship with a person or entity in the United States22. A seguito di tale decisione, il 29 giugno del 2017, la seconda versione del Trump’s travel ban è entrata in vigore. In conseguenza del nuovo regime giuridico che si è venuto a determinare, ai cittadini di Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen, che desideravano ottenere un visto di ingresso nel territorio degli Stati Uniti, è stato imposto l’onere di dimostrare la sussistenza di uno stretto legame familiare con una persona residente negli Stati Uniti o un rapporto formale e documentato con una persona giuridica, come una scuola o un datore di lavoro. Dopo la decisione della Corte Suprema, il Dipartimento di Stato e il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale hanno diffuso diversi documenti pubblici in cui si precisa che l’amministrazione interpreta il criterio della “bona fide” nel senso di escludere le persone che non presentano uno strettissimo legame familiare, con esclusione pertanto dei fidanzati, nonni e nipoti, fratelli e sorelle etc. Inoltre, il governo ha chiarito che dal suo punto di vista il rapporto tra un rifugiato e un’agenzia di reinsediamento non è di per sé sufficiente per poter affermare la sussistenza di una relazione qualificata ai sensi di detto criterio23. 20 Stati Uniti d’America, Court of Appeals for the Ninth Circuit, State of Hawai’i v. Donald J. Trump, causa n. 17- 15589, Opinion del 12 giugno 2017 e Court of Appeals for the Fourth Circuit, International Refugee Assistance Project v. Donald J. Trump, causa n. 17-1351, Opinion del 22 maggio 2017. 21 Già la District Court for the Eastern District of Virginia, nella decisione del 13 febbraio 2017, resa nel caso Aziz v. Trump, aveva osservato che, alla luce delle dichiarazioni rese da Trump, prima, durante e dopo l’adozione del bando, quest’ultimo appariva «animated by ‘the impermissible motive’ of, in the context of entry, disfavoring one religious group». A sostegno della propria decisione, la Corte citava quanto affermato dalla Corte Suprema nel caso McCreary, secondo il quale “the purpose” alla base di una normativa può influire sulla costituzionalità della stessa. 22 Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, Donald J. Trump v. International Refugee Assistance Project, et al., 582 U. S. __ (2017), causa n. 16–1436 (16A1190) e 16–1540 (16A1191), Opinions del 26 giugno 2017. 23 In proposito v. il documento dell’amministrazione statunitense dal titolo “Implementing Executive Order 13780 Following Supreme Court Ruling -- Guidance to Visa-Adjudicating Posts”, testo disponibile al sito: www.clearinghouse.net. 417 Interventi  Parte III 3. Il terzo ‘‘Trump’s travel ban’’ al vaglio della Corte Suprema. In prossimità della scadenza dei temporary restraining orders disposti dalle Corti d’Appello e prima che la Corte Suprema potesse pronunciarsi sul merito della vicenda, con il decreto del 24 settembre 2017, intitolato “Presidential Proclamation enhancing vetting capabilities and processes for detecting attempted entry into the United States by terrorists or other public-safety threats”, il Presidente degli Stati Uniti ha introdotto nuove restrizioni per i cittadini di otto paesi (Ciad, Iran, Libia, Somalia, Corea del Nord, Siria, Venezuela e Yemen). Tale provvedimento si sovrappone quasi integralmente al precedente, pertanto in conseguenza della sua introduzione i procedimenti giudiziari relativi all’Executive Order n. 13780, pendenti dinanzi alla Corte Suprema, sono stati cancellati per la sopravvenuta irrilevanza della questione oggetto del giudizio. Gli “Stati banditi” sono stati individuati sulla base delle indicazioni del Department of Homeland Security (DHS) che, di concerto con lo State Department e varie agenzie di intelligence, ha elaborato dei parametri per la valutazione del rischi legati all’ammissione di stranieri all’interno del territorio nazionale. I criteri impiegati poggiano su tre ordini di considerazioni. In primo luogo, si tiene conto della capacità dei governi stranieri di garantire l’integrità dei documenti di viaggio mediante l’emissione di passaporti elettronici, la segnalazione di passaporti smarriti o rubati e la disponibilità di informazioni aggiuntive sull’identità dell’interessato. In secondo luogo, si tiene conto della capacità dei governi stranieri di divulgare informazioni sui precedenti penali dell’interessato al rilascio del visto e sull’eventuale esistenza di legami con organizzazioni terroristiche. In terzo luogo, si tiene conto di ulteriori indicatori di rischio nella prospettiva del paese di origine e si ha riguardo del fatto che lo Stato straniero offra rifugio ai terroristi o che rifiuti il rimpatrio di propri cittadini espulsi dagli Stati Uniti. Il giudizio dello Stato straniero dipende in sostanza dalla sua attitudine a condividere le informazioni e dall’esistenza o meno, all’interno del territorio nazionale, di problemi di sicurezza. In tal senso, il decreto presidenziale persegue un duplice obiettivo: per un verso, garantire la sicurezza nazionale; per altro verso, stimolare i paesi considerati “a rischio” ad affrontare le proprie carenze strutturali e a promuovere una più proficua collaborazione con gli Stati Uniti. Le restrizioni all’ingresso nel territorio statunitense cambiano secondo le specificità di ciascuno degli otto paesi, non incidendo comunque sugli individui in possesso di un permesso di soggiorno permanente o, comunque, ammessi come rifugiati nel territorio statunitense. Parte delle disposizioni dirette ai rifugiati contenute nell’Executive Orders 13780 sono pertanto state mantenute in vigore. Il decreto presidenziale ammette inoltre deroghe, da valutarsi caso per caso, nell’ipotesi in cui il cittadino straniero dimostri di patire gravi ed indebite sofferenze, a condizione però che il suo ingresso corrisponda all’interesse nazionale e non costituisca una minaccia per la pubblica sicurezza. In un’ottica più generale, il provvedimento impone al Department of Homeland Security di valutare in maniera continuativa se le restrizioni debbano essere modificate o estese e prescrive a detto organo di riferire in merito al Presidente ogni 180 giorni24. 418 Livio Scaffidi Runchella I ‘‘Trump’s travel bans’’ e l’applicazione… Analogamente a quanto avvenuto con riferimento ai primi due ordini esecutivi, il decreto presidenziale ha generato un importante contenzioso giudiziario. In particolare, il 17 ottobre 2017 le District Courts delle Hawaii e del Maryland, con due distinte decisioni rese nei casi State of Hawaii v. Trump e International Refugee Assistance Project v. Trump25, hanno limitato l’operatività del nuovo travel ban, su tutto il territorio nazionale, facendo venir meno le restrizioni in materia di spostamenti, previste per i cittadini di sette degli otto paesi colpiti dal provvedimento. Nel giungere alla sua decisione, la District Court delle Hawaii ha richiamato ampiamente gli argomenti sviluppati nella decisione della Court of Appeals for Ninth Circuit con riguardo al precedente ordine esecutivo, affermando che il provvedimento impugnato violava l’Immigration and Nationality Act poiché non sussistevano sufficienti elementi in grado di avvalorare la tesi secondo cui l’ingresso dei cittadini stranieri provenienti dai paesi “banditi” sarebbe risultato pregiudizievole all’interesse nazionale. Secondo la Corte, inoltre, l’applicazione del provvedimento avrebbe determinato una discriminazione fra i richiedenti il visto di immigrazione in base alla nazionalità. Le suddette decisioni sono state in parte confermate dalla Court of Appeals for the Ninth Circuit e dalla Court of Appeals for for the Fourth Circuit, che hanno accordato una sospensione parziale del decreto presidenziale, ammettendo l’esecuzione delle restrizioni all’ingresso unicamente nei confronti di quei cittadini stranieri che non erano in grado di dimostrare una “credible bona fide relationship to a person or entity in the United States”26. In particolare, secondo la Court of Appeals for the Ninth Circuit il provvedimento oltrepassa i poteri presidenziali, che sarebbero confinati all’emanazione di misure di carattere temporaneo per far fronte a situazioni che il Congresso non è in grado di affrontare, e ha disatteso il divieto di discriminazione in base alla nazionalità nella procedura di rilascio dei visti di ingresso negli Stati Uniti. Con decisione del 26 giugno del 2018 la Corte Suprema ha sconfessato le precedenti decisioni, rimuovendo la sospensione che gravava sul provvedimento in tutto il territorio nazionale27. Nel dichiarare legittimo il Presidential Proclamation, la Corte Suprema ha affer- 24 In conformità a tale disciplina, al termine del primo periodo di revisione, il Presidente ha constatato che il Ciad ha migliorato sufficientemente la sua prassi e ha quindi revocato le restrizioni esistenti nei confronti dei suoi cittadini. 25 Stati Uniti d’America, District Court for the District of Hawai’i, State of Hawaii et al v. Donald J. Trump et al., causa n. 17-00050, Temporary Restraining Order del 17 ottobre 2017 e District Court for the District of Maryland, International Refuge e Assistance Project, et al. v. Donald J. Trump, causa n. 17-0361, Temporary Restraining Order del 17 ottobre 2017. 26 Stati Uniti d’America, Court of Appeals for the Fourth Circuit, International Refuge e Assistance Project, et al. v. Donald J. Trump, causa n. 17- 2231, Opinion del 15 febbraio 2018 e Court of Appeals for the Ninth Circuit, State of Hawaii et al v. Donald J. Trump et al., causa n. 17-17168, Opinion del 22 dicembre 2017. 27 Per una analisi critica dell’iter argomentativo sviluppato dai giudici della Corte Suprema si rinvia a A. Cox, R. Goodman, C. Rodríguez, The Radical Supreme Court Travel Ban Opinion–But why it might not apply to other immigrants’ rights cases, in www.justsecurity.org, 27 giugno 2018; S. Penasa, Mr. President and Dr. Trump: La Corte Suprema americana tra “facial neutrality” e “reasonable observer” standard. Ultima puntata della saga Travel Ban?, in DPCE Online, [S.l.], v. 36, n. 3, oct. 2018, 679-691; 419 Interventi  Parte III mato, sulla base dell’analisi testuale della norma § 1182(f) e della relativa prassi applicativa, che l’Immigration and Nationality Act conferisce al Presidente degli Stati Uniti un ampio potere discrezionale di introdurre restrizioni all’ingresso di stranieri negli Stati Uniti, che si aggiungono a quelle previste dalla legge federale sull’immigrazione. La sola condizione che deve essere soddisfatta è rappresenta, infatti, dalla riferibilità delle restrizioni a ragioni di interesse nazionale. Con riferimento al caso di specie, i giudici della Corte Suprema evidenziano che il provvedimento presidenziale si fonda sulla valutazione preventiva e di portata generale del livello di conformità degli Stati oggetto dell’indagine rispetto ai parametri definiti nella information and risk assessment baseline. Ad opinione della Corte, la presenza di tale analisi induce a ritenere che le restrizioni sono state disposte nell’interesse nazionale. La legittimità dell’atto è ulteriormente comprovata dal fatto che il travel ban, rispetto ai precedenti decreti adottati dai passati Presidenti degli Stati Uniti, ai sensi del §1182, risulta chiarire in modo più dettagliato gli elementi di fatto che ne hanno giustificato l’adozione. Con riferimento al divieto di discriminazione sulla base della nazionalità dei richiedenti il visto di ingresso, previsto dal §1152 dell’Immigration and Nationality Act, la Corte Suprema afferma che gli argomenti sostenuti dai ricorrenti e accolti dalle Corti d’Appello non tengono nella giusta considerazione la distinzione fondamentale che sussiste tra la fase di eligibility, che attiene alle condizioni generali di ammissibilità, e la successiva fase di valutazione delle condizioni di effettiva ammissibilità (admissibility /visa issuance). La tutela antidiscriminatoria, secondo la Corte, opera esclusivamente in relazione alla seconda fase, vietando ingiustificate disparità di trattamento nel conferimento dei visti di ingresso. Di contro, detta norma non limita il potere del Presidente, derivante dal §1182(f), di sospendere l’ingresso di determinati gruppi di stranieri, eventualmente individuati in ragione della loro nazionalità28. A proposito della compatibilità del provvedimento presidenziale con l’Establishment Clause, riferibile al I emendamento della Costituzione americana che, come detto, vieta l’emanazione di leggi che si fondino su ragioni di ostilità nei confronti di una confessione religiosa, la Corte Suprema ha adottato un approccio cauto, attribuendo alle dichiarazioni espresse dal Presidente degli Stati Uniti e dai suoi consiglieri, sia nel corso della campagna elettorale sia successivamente all’assunzione dell’incarico, un peso relativo29. Ad opinione dei giudici statunitensi, infatti, la tesi dei ricorrenti, secondo cui le limitazioni all’ingresso negli Stati Uniti, motivate da esigenze di sicurezza nazionale, celavano la volontà di “mettere al bando” i musulmani, non può ritenersi fondata. Per quanto le dichiarazioni rese da un Presidente possano essere prese in considerazione, al fine del giudizio di legittimità costituzionale, queste non possono ritenersi prevalenti rispetto alle giustificazioni che 28 In senso critico rispetto all’interpretazione della Corte Suprema, v. J. Weinberg, The Travel Ban – What You Need to Know, in Michigan International Lawyer 1, 2018, 5. 29 Su tale questione, più ampiamente M. C. Locchi, Il “Muslim Ban” del Presidente Trump alla prova dell’Establishment Clause: alcuni aggiornamenti, in www.diritticomparati.it, 29 maggio 2017. 420 Livio Scaffidi Runchella I ‘‘Trump’s travel bans’’ e l’applicazione… possono ricavarsi dall’esame obiettivo dell’atto adottato. In tal senso, il decreto previdenziale appare perseguire scopi legittimi e risulta formalmente neutrale rispetto alla appartenenza religiosa degli interessati. Secondo la maggioranza dei giudici statunitensi, le misure previste nella terza versione del Trump’s travel ban riflettono il risultato di un processo, condotto da una pluralità di agenzie governative, volto a valutare gli Stati e particolarmente quelli che nella loro storia recente hanno ingenerato dubbi riguardo la loro capacità di garantire adeguati livelli di trasparenza, collaborazione e sicurezza. La Corte non si ritiene quindi legittimata a svolgere un controllo di adeguatezza e di proporzionalità sulle misure previste, poiché questo equivarrebbe a sostituire la propria valutazione a quella rimessa dalla legge alla competenza dell’organo esecutivo. 4. L’incompatibilità dei ‘‘Trump’s travel ban’’ con i principi di non-discriminazione e di non-refoulement, conclamati nella Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati. Nonostante i Trump’s travel bans siano stati oggetto di valutazione da parte di numerose Corti federali degli Stati Uniti e finanche della Corte Suprema, all’interno di questi procedimenti, poca o nessuna attenzione è stata accordata al tema della conformità di detti provvedimenti con il diritto internazionale. Invero, a nostro avviso, la questione interessa diverse convenzioni internazionali: la Convenzione di Ginevra del 1951 e il Protocollo del 1967, relativi allo status dei rifugiati sono sicuramente i più importanti fra queste, poiché rappresentano gli strumenti di riferimento in materia di protezione dei rifugiati. Gli Stati Uniti, pur non essendo parte della Convenzione di Ginevra del 1951, hanno ratificato, sin dal 1° novembre del 1968, il Protocollo relativo allo status dei rifugiati del 1967, che incorpora le disposizioni fondamentali della Convenzione di Ginevra del 1951, senza tener conto della data limite del 1 gennaio 1951. Peraltro, l’obbligo di non-refoulement è diretto anche nei confronti degli Stati che non hanno ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 poiché è ampiamente riconosciuta la sua riconducibilità al diritto internazionale consuetudinario30. Nel quadro della Convenzione di Ginevra del 1951, appaiono particolarmente rilevanti le disposizioni di cui agli artt. 3 e 33 che riguardano rispettivamente il “divieto di discriminazioni” e il “principio di non-refoulement”. 30 Sul punto cfr., tra gli altri, D. Grieg, The Protection of Refugees and Customary International Law, in Australian Year Book of International Law, 1984, 108 ss.; R. Pisillo Mazzeschi, Il diritto di asilo 50 anni dopo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 1999, 694 ss.; E. Lauterpacht e D. Bethlehem, The scope and content of the principle of non-refoulement: Opinion’, in E. Feller, V. Türk e F. Nicholson (eds.), Refugee Protection in International Law, UNHCR’s Global Consultations on International Protection, Cambridge 2003, 140 ss.; J.C. Hathaway, The Rights of Refugees under International Law, Cambridge 2005, 363 ss.; F. Salerno, L’obbligo internazionale di non-refoulement dei richiedenti asilo, in Diritti umani e diritto internazionale, 2010, 487 ss. 421 Interventi  Parte III Il divieto di discriminazioni, contenuto nell’art. 3 della Convenzione, prevede che «gli Stati contraenti applicano le disposizioni della presente Convenzione ai rifugiati senza discriminazioni quanto alla razza, alla religione o al paese di origine». Ciò non significa che la Convenzione di Ginevra del 1951 non ammetta che possano esserci trattamenti differenziati fra categorie diverse come, ad esempio, fra rifugiati e cittadini o fra rifugiati e stranieri. Detta disposizione, tuttavia, non tollera che la disparità di trattamento colpisca i diversi gruppi di rifugiati. Con riferimento a questi ultimi, la norma richiede che lo Stato si astenga dal compimento di atti direttamente discriminatori e che si impegni ad adottare dei provvedimenti che assicurino l’uguaglianza sostanziale nel procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato, tenendo conto dei fattori relativi al sesso, all’età e alle circostanze relative ai diversi individui. La Convenzione non impone, invece, agli Stati di prevedere o implementare alcun programma di reinsediamento per i rifugiati. Tuttavia, quando uno Stato contraente implementa tali misure, esso è vincolato all’osservanza dei principi contenuti nelle norme convenzionali fra i quali, come detto, il divieto di discriminazione riveste notevole importanza. Pertanto, con riguardo alla versione originaria del travel ban, risulta evidente che l’esclusione dei rifugiati siriani dai programmi di accoglienza costituisca una violazione del divieto di discriminazione. Similmente, la clausola che favorisce le persone perseguitate per la loro appartenenza a una “minoranza religiosa” appare un tentativo mal riuscito di impedire che i cittadini di paesi che destano particolare preoccupazione per la sicurezza nazionale possano raggiungere il suolo americano. Poiché tali paesi sono notoriamente a maggioranza musulmana, la misura determina una discriminazione indiretta in quanto, nella sua concreta applicazione, penalizza irragionevolmente i musulmani. L’obbligo di non-refoulement, previsto all’art. 33, comma 1, della Convenzione di Ginevra del 1951, stabilisce che a un rifugiato non può essere impedito l’ingresso sul territorio, né può essere deportato, espulso o trasferito verso territori in cui la sua vita o la sua libertà siano minacciate31. Poiché la stessa definizione di rifugiato si incentra sul concetto di “persecuzione”, appare chiaro come il non-refoulement rappresenti l’obbligo più significativo che viene imposto agli Stati parti della Convenzione. Tale divieto, supportato dall’art. 3 della Convenzione di New York del 1984 contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti e dall’art. 7 del Patto sui diritti civili e politici, è garantito in maniera assoluta, non ammettendo eccezioni di nessun tipo, neppure per esigenze di lotta al terrorismo. 31 L’art. 33, comma 1 della Convenzione di Ginevra del 1951 espressamente prevede che «Nessuno Stato Con- traente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche». Sul contenuto dell’obbligo di non-refoulement, per tutti J.C. Hathaway, The Rights cit., 304 ss.; C. W. Wouters, International Legal Standards for the Protection from Refoulement, Diss. Intersentia Publishers, Antwerpen 2009, 56 ss.; F. Lenzerini, Asilo e diritti umani, Milano 2009, 335-430. 422 Livio Scaffidi Runchella I ‘‘Trump’s travel bans’’ e l’applicazione… Ai sensi dell’art. 3, comma 2, della Convenzione di Ginevra del 1951 il diritto a non subire l’espulsione o il respingimento non può essere fatto valere da un rifugiato se, per gravi motivi, lo stesso debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui si trova oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese32. L’espressione “pericolo per la sicurezza nazionale del paese in cui si trova” si riferisce ad atti molto gravi che si concretano nella minaccia diretta o indiretta del governo, dell’integrità o dell’indipendenza dello Stato nel cui territorio si trova il rifugiato. L’espressione “minaccia per la comunità” dello Stato in cui si trova si riferisce, invece, alla popolazione in generale e non agli interessi generali dello Stato. Un rifugiato non può essere privato del diritto a non subire il respingimento, a meno che non sia stato condannato in via definitiva per un reato particolarmente grave. A proposito di tale condizione, l’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione sui rifugiati non offre indicazioni con riferimento al luogo in cui è commesso il delitto e al tempo in cui la sentenza è stata emessa. Nonostante ciò la dottrina è concorde nel ritenere che il reato possa essere stato compiuto sia nel paese in cui si trova il rifugiato sia altrove e che il reato possa essere anche risalente nel tempo. È infine necessario che ai fini della valutazione della gravità del reato si possa tenere conto non soltanto della sua natura, ma anche delle circostanze che ne hanno accompagnato la commissione33. In ogni caso, analogamente alle altre eccezioni in materia di diritti umani, anche l’art. 33, comma 2 deve essere interpretato restrittivamente e applicato con cautela, nel senso che il respingimento deve essere impiegato come “ultimo rimedio”, ovvero solo nel caso in cui non siano praticabili altre misure per eliminare il pericolo, e solo a seguito di una decisione raggiunta in conformità a una corretta procedura giudiziaria34. Per la valutazione della pericolosità non si richiedono prove rigorose, essendo sufficiente verificare la sussistenza di elementi che, secondo il canone della ragionevolezza, appaiono attendibili e affidabili. L’onere della prova di dimostrare l’esistenza dei gravi motivi ricade comunque sullo Stato e richiede che venga effettuata una valutazione individuale35. 32 Il testo dell’art. 33, comma 2 prevede che il principio di non-refoulement «(…) non potrà tuttavia essere invo- cato da un rifugiato per il quale vi siano gravi motivi per considerarlo un pericolo per la sicurezza dello Stato in cui si trova, oppure da un rifugiato il quale, essendo stato oggetto di una condanna già passata in giudicato per un crimine o un delitto particolarmente grave, rappresenti una minaccia per la comunità di detto Stato». 33 Su questi aspetti, più ampiamente v. J.C. Hathaway, The Rights of Refugees under International Law cit.; UNHCR, Advisory Opinion from the Office of the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) on the Scope of the National Security Exception Under Article 33(2) of the 1951 Convention Relating to the Status of Refugees, 6 gennaio 2006, 5. 34 In tal senso cfr. E. Lauterpacht e D. Bethlehem, The scope and content of the principle of non-refoulement cit., 133-134; P. Benvenuti, La Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, in La tutela internazionale dei diritti umani a cura di L. Pineschi), Milano, 2006, 169 ss.; UNHCR, Advisory Opinion from the Office of the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) on the Scope of the National Security Exception Under Article 33(2) cit., 3-4. 35 J.C. Hathaway, The Rights of Refugees under International Law cit., 345-348; E. Lauterpacht e D. Bethlehem, The scope and content of the principle of non-refoulement cit., 136-137; UNHCR, Advisory Opinion cit., 4 ss. 423 Interventi  Parte III Le misure previste nei provvedimenti del Presidente Trump, nonostante siano dichiaratamente finalizzate a evitare potenziali attacchi terroristici, non si possono ricondurre nell’alveo di applicazione dell’eccezione di cui all’art. 33, comma 2 della Convenzione di Ginevra del 1951. Detta disposizione non consente, infatti, agli Stati di valutare la pericolosità dei rifugiati sulla base dell’appartenenza a un gruppo. I Trump’s travel bans, di fatto, inseriscono una sorta di presunzione relativa, che determina un’inversione dell’onere della prova a carico delle persone originarie dei paesi che destano particolare preoccupazione. Ciò non appare commisurato all’obiettivo che intende perseguire né in linea con il canone di proporzionalità, che impone agli Stati di dimostrare la sussistenza delle seguenti circostanze: l’esistenza di un nesso di casualità fra la presenza del rifugiato e il pericolo, la gravità e la possibilità del concretarsi della minaccia, l’adeguatezza e l’efficacia del respingimento, quale risposta al pericolo. 5. I ‘‘Trump’s travel ban’’ e l’ambito di applicazione della Convenzione di Ginevra del 1951 e del Protocollo del 1967 sullo status dei rifugiati. Da quanto detto in precedenza, risulta evidente come i Trump’s travel bans non siano conciliabili con il divieto di discriminazione e il principio di non-refoulement affermati dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e dal Protocollo del 1967, relativi allo status dei rifugiati36. La questione della compatibilità del provvedimento presidenziale con il diritto internazionale non può tuttavia essere risolta, senza considerare l’ambito di applicazione di detti strumenti. Con riguardo all’ambito di applicazione personale della Convenzione non sorgono particolari difficoltà, dal momento che il diritto alla non-discriminazione e l’obbligo di 36 L’incompatibilità dell’ordine esecutivo con il diritto internazionale è stata fin da subito evidenziata dalla dottrina; in proposito cfr. J. Hafetz, The Important Role of International Law in Legal Challenges to Trump’s Anti-Refugee Order, in Opinio Juris, 3 febbraio 2017, disponibile al sito: www.opiniojuris.org; J. C. Hathaway, Executive (Dis)order and Refugees – The Trump Policy’s Blindness to International Law, in Just Security, 1 febbraio 2017, testo disponibile al sito: www.justsecurity.org; J. Shooster, Trump’s Immigration Policy Risks Violating International Law – alienates US allies, in Just Security, 27 gennaio 2017, testo disponibile al sito: www.justsecurity.org; M. Satterthwaite, A. Zetes, Explainer on the Legal Obligation Not to Return Refugees and How Trump’s Exec Order Breaks It, ivi, 4 febbraio 2017; A. Liguori, Il Muslim Ban di Trump alla luce del diritto internazionale, in Diritti umani e diritto internazionale 11, 2017, n. 1, 173-188. Meno incisiva è stata la reazione dell’UNHCR che in un comunicato congiunto con l’International Organization for Migration (IOM) del 28 gennaio 2017 si è limitato ad esprimere la speranza che gli Stati Uniti non vengano meno all’impegno di accogliere i rifugiati, aggiungendo che «refugees should receive equal treatment for protection and assistance, and opportunities for resettlement», senza far alcun riferimento ai precisi obblighi incombenti sugli Stati, fra i quali quello di non- refoulement. Il rischio di violazione di tale principio è invece esplicitamente richiamato in un documento del 1° febbraio 2017 firmato dagli UN Special Rapporteurs on migrants, on racism, on human rights and counter-terrorism, on torture, on freedom of religion, nel quale viene evidenziato «The US recent policy on immigration [...] risks people being returned, without proper individual assessments and asylum procedures, to places in which they risk being subjected to torture and other cruel, inhuman or degrading treatment, in direct contravention of international humanitarian and human rights laws which uphold the principle of non-refoulement». 424 Livio Scaffidi Runchella I ‘‘Trump’s travel bans’’ e l’applicazione… non-refoulement tutelano chiunque «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese»37. Tali disposizioni si applicano indipendentemente dal fatto che la persona interessata abbia già ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato o che sia stata presentata una domanda diretta a ottenere tale riconoscimento38. In tal senso, si può sostenere come il riconoscimento dello status di rifugiato abbia natura dichiarativa e non costitutiva del relativo status. La Convenzione per proteggere i rifugiati impone agli Stati di trattare i richiedenti asilo39, sino a quando il loro status sia stato determinato, assumendo l’ipotesi che essi possano essere riconosciuti come rifugiati. Diversamente, il principio di non-refoulement sarebbe svuotato del suo “effetto utile”, poiché i richiedenti asilo potrebbero essere respinti alle frontiere o trasferiti verso territori in cui la loro vita o la loro libertà sono minacciate, in conseguenza della mancanza del riconoscimento formale dello status di rifugiato nello Stato di protezione40. Con riguardo all’ambito di applicazione spaziale della Convenzione di Ginevra del 1951, la questione della compatibilità dei provvedimenti presidenziali con detto strumento appare più complessa, anche in considerazione del fatto che la soluzione si presenta in termini diversi a seconda delle categorie di persone colpite dal provvedimento. Andando per ordine, è possibile osservare come gli individui che a causa dei travel bans non hanno potuto imbarcarsi sugli aerei destinati agli Stati Uniti e sono rimasti nel proprio paese di cittadinanza (o di residenza nel caso di apolidi) non possano invocare il sistema di protezione offerto dalla Convenzione di Ginevra del 1951. La definizione di rifugiato, contenuta nell’art. 1A(2) della Convenzione, fa infatti riferimento alle persone che si trovano fuori del paese di cui hanno la cittadinanza o nel caso di apolidi del paese in cui hanno fissato la propria residenza abituale. Per tale motivo il sistema di protezione internazionale previsto dalla Convenzione non può operare quando una persona si trovi all’interno del territorio del proprio Stato di origine. In altri termini, gli individui che non hanno attraversato i confini nazionali non possono avvalersi della protezione offerta dalla 37 Art. 1A, n. 2 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati. 38 Nel UNHCR, Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status dei rifugiati, settembre 1979, Ginevra, par. 28, si sottolinea che «Una persona è «rifugiato» ai sensi della Convenzione del 1951 quando soddisfa i criteri enunciati nella definizione. Questa condizione si realizza di conseguenza prima che lo status di rifugiato sia formalmente riconosciuto. Di conseguenza la determinazione dello status di rifugiato non ha l’effetto di conferire la qualità di rifugiato, essa constata l’esistenza di detta qualità. Una persona quindi non diventa rifugiato perché è riconosciuta come tale, ma è riconosciuta come tale proprio perché è un rifugiato». Tale interpretazione è confermata in diverse risoluzioni dell’Assemblea Generale UN GA A/RES/52/103, 9 febbraio 1998, p.to 5. UN GA A/RES/53/125, 12 febbraio 1999, p.to 5. Sulla natura dichiarativa del riconoscimento dello status di rifugiato si veda anche Lauterpacht e D. Bethlehem, The scope cit., 116-118; J.C. Hathaway, The Rights of Refugees under International Law cit., 278. 39 Con il termine “richiedente asilo”, come noto, si indica una persona che, avendo lasciato il proprio Paese, chiede il riconoscimento dello status di rifugiato o altre forme di protezione internazionale ed è in attesa di una decisione da parte delle autorità competenti riguardo al riconoscimento dello status di rifugiato. 40 In questo senso, ExCom, Note on International Protection, UN doc. A/AC.96/815, 31 August 1993, p.to 11. 425 Interventi  Parte III Convenzione giacché non possono essere qualificati come rifugiati ai sensi di detto strumento41. Diverso è il caso delle persone che intendevano raggiungere il territorio degli Stati Uniti da un paese diverso rispetto a quello di cittadinanza (o di residenza abituale nel caso di apolidia). La questione appare di particolare importanza anche in considerazione del fatto che l’amministrazione statunitense, antecedentemente all’adozione del primo travel ban, ha proposto che per i rifugiati siriani vengano create delle apposite “zone di sicurezza” non solo all’interno della Siria, ma anche nei territori attigui. In tali eventualità, la soluzione è legata alla possibilità di attribuire al divieto di discriminazione e all’obbligo di non-refoulement portata extraterritoriale42. Sul punto la dottrina non è concorde. Secondo una tesi risalente ai primi anni di entrata in vigore della Convenzione di Ginevra del 1951, questa trova applicazione soltanto quando lo straniero si trova all’interno del territorio dello Stato parte43. Tale orientamento che definisce in senso restrittivo l’ambito di applicazione territoriale della Convenzione gode però di poco sostegno ai giorni nostri. Più recentemente, la dottrina ha, infatti, rilevato che le disposizioni di cui agli artt. 3 e 33 della Convenzione non contengono alcuna limitazione geografica, a differenza di altre disposizioni che invece riconoscono diritti e benefici ai rifugiati in considerazione della presenza fisica nel territorio del paese ospitante o del possesso di un valido titolo di soggiorno. Per tale motivo il diritto alla non-discriminazione e l’obbligo di non refoulement spettano a tutti i rifugiati a prescindere dal luogo in cui si trovino, purché tale luogo si trovi all’interno del territorio di uno Stato parte della Convenzione44. 41 In proposito, nel UNHCR, Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status dei rifugiati, settembre 1979, Ginevra, par. 88 si afferma che non esiste nessuna eccezione a questa regola. Su tale profilo più ampiamente, C. W. Wouters, International cit., 49. La tesi secondo cui la Convenzione non trova applicazione quando la persona interessata è ancora all’interno del paese di appartenenza o di residenza abituale, è supportata dalla decisione del 2003 della United Kingdom’s Court of Appeal nella controversia European Roma Rights Centre and Others v Immigration Officer at Prague Airport and the Secretary of State for the Home Department, relativa ad una procedura di autorizzazione all’ingresso posta in essere da funzionari britannici che operavano presso l’Ufficio immigrazione dell’aeroporto di Praga. I giudici britannici hanno affermato che la pratica non violava l’art. 33 della Convenzione dal momento che tale disposizione proibisce il respingimento alla frontiera e non include azioni che hanno l’effetto di far rimanere qualcuno dallo stesso lato della frontiera. 42 A. Liguori, Il Muslim cit. evidenzia che in tal caso è possibile configurare un ulteriore profilo di responsabilità a carico dello Stato in cui si trova l’aeroporto di partenza. Questo potrebbe, infatti, essere ritenuto responsabile in applicazione della teoria degli obblighi positivi, per non aver impedito, prevenuto o represso la violazione di diritti umani da parte di privati nell’ambito della propria giurisdizione. 43 Nel corso dei lavori preparatori della Convenzione di Ginevra del 1951 alcuni delegati fecero presente che il concetto di non-refoulement doveva considerarsi applicabile soltanto nei confronti di coloro che avessero fatto ingresso nel territorio dello Stato. Sul punto v. F. Lenzerini, Asilo cit., 338-340 e 344 il quale rileva come anche nei primi tempi di attuazione della Convenzione non vi fosse fra la dottrina dell’epoca uniformità di vedute sull’estensione applicativa del principio di non-refoulement. 44 La dottrina ritiene che i diritti attribuiti dalla Convenzione di Ginevra del 1951 possano essere classificati in quattro categorie: la prima annovera i diritti che spettano a tutti i rifugiati a prescindere se sia intervenuto il riconoscimento formale dello status e indipendentemente dal luogo in cui si trovi l’interessato, purché tale luogo sia all’interno del territorio di uno Stato parte della Convenzione; la seconda contiene i diritti che ven- 426 Livio Scaffidi Runchella I ‘‘Trump’s travel bans’’ e l’applicazione… Con specifico riferimento all’obbligo di non refoulement, è stato sostenuto come questo trovi applicazione in situazioni di non ammissione alla frontiera, vietando le condotte dello Stato che consistono nell’impedire ai rifugiati di entrare all’interno del proprio territorio45. Tale interpretazione sembra essere maggiormente aderente al testo dell’art. 33, paragrafo 1 e all’oggetto e allo scopo di detta norma, che vieta “in qualsiasi modo” di respingere i rifugiati verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate. Detta disposizione, infatti, non presuppone che lo straniero che invoca la tutela sia stato preventivamente autorizzato a risiedere nello Stato di rifugio, ma richiede soltanto che sia soddisfatta la condizione secondo la quale, in caso di respingimento verso le frontiere di un determinato Stato, la vita o la libertà dell’individuo «would be threatened on account of his race, religion, nationality, membership of a particular social group or political opinion»46. A sostegno di questa tesi è possibile osservare come una diversa lettura della disposizione autorizzerebbe, di fatto, i governi a chiudere le frontiere, dal momento che il diritto a non essere respinto potrebbe essere negato fino a quando i rifugiati non abbiano raggiunto e fatto ingresso nel territorio statale. Riguardo gli individui che a causa della primo travel ban sono stati fermati all’interno degli aeroporti o in altri punti d’accesso al territorio statunitense e poi costretti a risalire sugli aerei, senza essere sottoposti a credible fear interviews, si può affermare che questi possono indubbiamente invocare il sistema di protezione offerto dalla Convenzione. Invero, le zone che generalmente vengono indicate come “frontiera” fanno in realtà parte del territorio Statale. Per tale ragione, ad esempio, le persone che arrivano ad un aeroporto internazionale devono reputarsi all’interno del territorio statale, anche quando gono garantiti ai rifugiati che sono fisicamente presenti nel territorio dello Stato contraente, a prescindere se sia intervenuto il riconoscimento formale dello status; la terza include i diritti che spettano ai rifugiati la cui presenza sul territorio non sia irregolare; la quarta categoria accoglie i diritti che vengono garantiti ai rifugiati che risiedono legalmente sul territorio dello Stato contraente. Nella prima categoria, oltre al diritto di essere protetto dall’espulsione e dal rinvio al confine e al diritto di non subire discriminazioni, rientrano il diritto di ricevere lo stesso trattamento concesso agli stranieri in generale (art. 7), il diritto di ricevere un trattamento almeno pari a quello accordato agli stranieri, riguardo l’acquisto della proprietà mobiliare e immobiliare e i diritti connessi (art. 13), il diritto di adire i tribunali (art. 16), il diritto alla pari partecipazione alla ripartizione generale di prodotti, nell’ipotesi in cui esista un sistema di razionamento (art. 20) e il diritto all’educazione pubblica alle stesse condizioni accordate ai cittadini (art. 22). Sulla questione e per ulteriori riferimenti bibliografici cfr. J.C. Hathaway, The Rights cit., 315; C. W. Wouters, International cit., 50, nota 86; UNHCR, Gene McNary, Commissioner, Immigration and Naturalization Service, et al. (Petitioners) v. Haitian Centers Council, Inc., et al. (Respondents). Brief Amicus Curiae of the Office of the High Commissioner for Refugees in Support of Respondents, Ottobre, 1992. 45 A sostegno di tali tesi è possibile osservare che il termine “refouler” (to retur) che corrisponde a respingere è aggiunto alla parola “expel” che copre la fattispecie dell’allontanamento dello straniero già presente sul territorio, presupponendo una situazione diversa rispetto a quella associata al primo termine. La tesi secondo cui il principio di non-refoulement include il respingimento alla frontiera è supportata dai seguenti documenti: ExCom Conclusion No. 6 (XXVIII), 1977, p.to (c); ExCom Conclusion No. 14 (XXX), 1979, p.to. (c); ExCom Conclusion No. 15 (XXX), 1979, p.to (b) and (c); ExCom Conclusion No. 53 (XXXIX), 1988, p.to. 1; ExCom Conclusion No. 85 (XLIX), 1998, p.to (q). 46 In tal senso, fra i tanti, F. Lenzerini, Asilo cit., 339 e 344-345, che evidenzia l’interdipendenza degli articoli 1 e 33 della Convenzione di Ginevra del 1951. 427 Interventi  Parte III non abbiano ancora superato i controlli predisposti dall’ufficio immigrazione. Anche la creazione di zone internazionali all’interno dell’aeroporto o la dichiarazione che parte del territorio rimane al di fuori della giurisdizione statale – a prescindere dalla legittimità della loro istituzione – non incidono sull’applicabilità dell’obbligo di non-refoulement. La questione è stata affrontata dalla Corte EDU nella decisione Amuur v. France del 199647. In tale occasione i giudici di Strasburgo hanno sostenuto che il soggiorno dei ricorrenti nella zona internazionale dell’aeroporto di Parigi-Orly implicava la soggezione della fattispecie alla giurisdizione francese giacché le c.d. “zone internazionali” non godono dello status di extraterritorialità dal momento che il diritto locale disciplina i profili relativi alla permanenza degli stranieri. In definitiva, la possibilità che le misure statali ricadano nell’alveo di applicazione della Convenzione di Ginevra del 1951 e del Protocollo del 1967 sullo status dei rifugiati è legata anche alle circostanze specifiche, in particolare al luogo in cui si trovano i rifugiati colpiti dal provvedimento statale. Relativamente all’obbligo di non-refoulement, è necessario dimostrare che in conseguenza del comportamento dello Stato, il rifugiato sia stato costretto ad andare “alla frontiera di territori” in cui viene minacciata la propria vita o la propria libertà. Pertanto, occorre che sussista una relazione consequenziale o un nesso di causalità tra la misura adottata dallo Stato e il fatto che il rifugiato sia stato costretto a recarsi in luoghi in cui è a rischio. Il fatto che, nell’ambito della Convenzione, il termine “rifugiato” non si riferisce solo agli individui il cui status sia stato ufficialmente riconosciuto, ma a tutti coloro che possiedono i requisiti previsti dall’art. 1(A)2, porta a qualificare l’obbligo di non-refoulement come divieto assoluto, nel senso che gli Stati, in presenza dei requisiti previsti dall’art. 33, non solo sarebbero obbligati ad astenersi dal respingere gli stranieri già presenti sul loro territorio o che si presentino alla frontiera, ma anche ad evitare di adottare misure, destinate ad operare al di fuori della propria giurisdizione, che abbiano l’effetto di impedire a stranieri la cui vita o libertà siano in pericolo di raggiungere il proprio territorio48. Il carattere extraterritoriale del principio di non-refoulement comporta che la responsabilità dello Stato, ai sensi dell’articolo 33, comma 1, si configuri indipendentemente da dove avviene questo comportamento, cioè se all’interno o al di fuori del territorio dello Stato, con l’eccezione del territorio del paese di origine, che viene escluso sulla base della limitazione geografica connessa alla stessa qualificazione di rifugiato49. 47 Corte Europea dei diritti umani, Amuur v. France, ric. n. 19776/92, sentenza del 25 giungo del 1996, dispo- nibile sul data base della Corte HUDOC. 48 In tal senso, v. F. Lenzerini, Asilo cit., 347. 49 L’eccezione del territorio del paese di origine potrebbe essere superata qualora si ricostruisse il principio di non-refoulement come norma consuetudinaria svincolata dalla definizione di rifugiato enucleata dalla Convenzione di Ginevra del 1951. 428 Livio Scaffidi Runchella I ‘‘Trump’s travel bans’’ e l’applicazione… 6. Conclusioni. La vicenda dei Trump’s travel bans evidenzia la parziale inadeguatezza del sistema di protezione dei rifugiati e del principio di non-refoulement ad affrontare le attuali sfide in materia. Se, per un verso, la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati vieta agli Stati parte di respingere i richiedenti asilo verso un paese in cui questi rischiano di subire persecuzioni, per altro verso, non affronta la questione di come queste persone possano fare ingresso nei paesi di destinazione in cui cercano protezione. Questa lacuna ha una serie di rilevanti conseguenze: in primo luogo, impedisce ai richiedenti asilo di arrivare in un paese sicuro; in secondo luogo, incentiva gli Stati a chiudere le proprie frontiere o a rendere difficoltoso l’accesso al proprio territorio per sottrarsi agli obblighi giuridici di protezione dei rifugiati; in terzo luogo, porta i richiedenti asilo ad affrontare lunghi viaggi, nel corso dei quali mettono a repentaglio la propria vita e subiscono lo sfruttamento di organizzazioni criminali. Tali preoccupazioni sembrano velatamente evocate dal giudice Breyer che, nella sua opinione dissenziente resa nella pronuncia della Corte Suprema del 26 giugno 2018, evidenzia come dopo l’adozione dei Trump’s travel bans il numero di rifugiati ammessi nel territorio statunitense sia diminuito drasticamente (oltre 15.000 rifugiati siriani nel 2016, solo 13 nei primi sei mesi del 2018). La Convenzione di Ginevra è stata concepita per proteggere individui che in Europa fuggivano dai regimi nazisti, comunisti e fascisti. Per questo motivo, non ha guardato oltre il continente europeo e non ha tenuto conto delle esigenze di tutela connesse a fenomeni migratori diversi da quelli che si presentavano all’epoca. Nell’attuale realtà, la sicurezza delle frontiere terrestri e marittime è diventata un’industria fiorente. Lo sviluppo della tecnologia consente agli Stati di difendere con più facilità i propri confini e all’occorrenza di respingere le persone che chiedono di essere accolte. L’adozione di misure che impediscono alle persone perseguitate di poter arrivare in un paese sicuro e di presentare una domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato si traduce in una negazione dei diritti proclamati dagli strumenti convenzionali in materia. Occorre pertanto ripensare a un sistema di protezione che riesca a garantire ai potenziali rifugiati percorsi sicuri, legali e accessibili. La questione riguarda gli Stati Uniti e tutti gli altri Stati che imponendo condizioni difficili da soddisfare per accedere al proprio territorio, di fatto costringono migliaia di richiedenti asilo ad intraprendere percorsi sempre più pericolosi. 429 Interventi  Parte III LO “STATO DI ECCEZIONE’’ DEL MIGRANTE. NOTE CRITICHE SULLA CONDIZIONE DELLO STRANIERO NEL DIRITTO AMMINISTRATIVO ~ Donato Vese ~ Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie (G. Ungaretti, Soldati, da L’Allegria, Bosco di Courton luglio 1918) 1. PREMESSA • 2. LA CADUCITÀ DELLA CONDIZIONE DI MIGRANTE NEL DIRITTO AMMINISTRATIVO • 3. LA DISCIPLINA AMMINISTRATIVA DELLE MIGRAZIONI E I LIMITI DELLA RISOLUZIONE DELLO STATUS DI MIGRANTE COME “STATO DI ECCEZIONE” • 4. LA RILEVANZA DEL CONCETTO DI CITTADINANZA NELLA DISCIPLINA AMMINISTRATIVA DELLE MIGRAZIONI COME FATTORE DI LIMITAZIONE DEI DIRITTI DEL MIGRANTE • 5. LO “STATO DI ECCEZIONE” IN CARL SCHMITT E LA REINTERPRETAZIONE DEL BINOMIO STRANIERO/NEMICO ATTRAVERSO LE FONTI CLASSICHE LETTERARIE • 6. CONCLUSIONI. 1. Premessa. È sotto gli occhi di tutti come in Italia il fenomeno dei flussi migratori si sia intensificato negli ultimi anni raggiungendo dimensioni considerevoli, eppure la legislazione statale non ha fatto altro che recepire la normativa europea in materia, senza darne, invece, un nuovo e diverso impulso come la politica aveva fatto credere. Sulla scorta dei tragici avvenimenti che hanno coinvolto alcuni Paesi delle democrazie occidentali, la legislazione italiana è andata così infittendosi con disposizioni che toccano lo status di migrante, segnando un pericoloso arretramento rispetto alle garanzie costituzionali previste per il cittadino. È sufficiente dare uno sguardo alla disciplina nazionale dettata in materia dai vari decreti che si sono susseguiti in ordine di tempo (d.lgs. n. 286/1998; d.lgs.n. 25/2008; d.lgs. n. 142/2015; d.l. n. 13/2017; d.l. n. 113/2018) per accorgersi di alcune evidenti criticità riguardanti la condizione del migrante. Ciò che risulta dall’insieme delle disposizioni dei vari decreti è il sostanziale “svuotamento” della fondamentale legge sul procedimento amministrativo e delle sue garanzie ad opera di leggi di settore. Si pensi, per fare qui un solo esempio, all’art. 6, d.lgs. n. 142/2015, sul trattenimento coattivo nei centri di permanenza per i rimpatri, che prevede la limitazione della libertà personale già durante la fase istruttoria di esame della domanda di asilo, nei casi in cui l’autorità amministrativa procedente valuti, «caso 430 Donato Vese Lo “stato di eccezione” del migrante… per caso», che il richiedente «costituisca un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica», o che «sussista rischio di fuga», o ancora che «vi siano fondati motivi per ritenere che la domanda sia stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione dell’espulsione». Non è difficile constatare come in questi casi il procedimento assuma i contorni di un procedimento derogatorio (o di “eccezione”) rispetto alle insopprimibili necessità del migrante, incidendo, in modo para-sanzionatorio sui diritti fondamentali dell’uomo. È in quest’ordine di idee che la similitudine ungarettiana richiamata in epigrafe vuole essere uno spunto per riflettere sulla condizione di fragilità e di precarietà che ha assunto lo status del migrante nell’ordinamento amministrativo1, e che sempre più va acquisendo dopo la riforma varata dal governo con il d.l. n. 13/20172 e il d.l. n. 113/2018. Su quest’ultimi decreti e in particolar modo sulla disciplina amministrativa e sulle problematiche che questa solleva in relazione allo status del migrante sarà rivolta l’attenzione di questo scritto, il quale, di volta in volta, ove si renderà necessario, ricorrerà oltre che all’analisi giuridica, anche alle conoscenze di altri saperi, di modo che la prima sia confrontata e, ove necessario, “integrata” dalle seconde. Così, nel secondo paragrafo, l’analisi giuridica è coadiuvata dall’analisi linguistica del termine migrante, in modo da comprendere meglio l’effettiva portata che questo assume nell’àmbito del diritto amministrativo. Così pure, nel quinto paragrafo, l’analisi giuridica è accompagnata da una (ri)lettura delle fonti letterarie classiche, in modo da offrire – in controtendenza rispetto all’affermarsi di un diritto e di un procedimento amministrativo che evoca lo “stato di eccezione” schmittiano per la condizione del migrante – una diversa interpretazione del noto binomio straniero/nemico. Il terzo paragrafo è dedicato all’analisi della disciplina dei procedimenti inerenti alla persona del migrante che si presenta come derogatoria all’ordinaria procedura amministrativa. Il quarto all’analisi del concetto di cittadinanza e alla sua rilevanza nella disciplina amministrativa delle migrazioni come fattore di limitazione dei diritti del migrante. 2. La caducità della condizione di migrante nel diritto amministrativo. Dal momento che la dottrina non se ne è occupata direttamente, come anticipato in premessa, in questo paragrafo si soffermerà l’attenzione sulla nozione giuridica di «migran- 1 Il paragone di Ungaretti per definire la provvisorietà della vita al fronte è qui assunto per descrivere la con- dizione in cui versano le vite dei migranti in fuga dal Paese che ne ha oppresso i diritti fondamentali. 2 Rispettivamente: d.l. n. 13/2017 (“Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”), convertito con modifiche nella l. n. 46/2017; d.l. n. 133/2018 (“Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”) convertito con modifiche nella 1 n. 132/2018. Come si dirà meglio nel corso della trattazione, quest’ultimi decreti si inseriscono idealmente nel lungo percorso di riforme sull’immigrazione che il legislatore ha avviato già a partire dagli anni Novanta del ventesimo secolo. 431 Interventi  Parte III te», cercando di mettere in evidenza le particolarità che tale termine possiede dal punto di vista semantico e le ricadute che lo stesso determina sul diritto. Va detto, sin d’ora, che non vi è una nozione univoca del termine migrante3. Esso, derivando dal participio presente del verbo migrare, suole indicare chi si trasferisce momentaneamente o stabilmente dal suo Paese d’origine in altri Stati. La stessa diffusione del termine, sebbene il suo impiego risulti già attestato nell’Ottocento4, è relativamente recente. Prima che l’uso del termine migrante si diffondesse, per riferirsi al soggetto che abbandonava la propria terra per raggiungerne un’altra si adoperavano due termini distinti: emigrato e immigrato; l’uno indicava lo spostamento dalla propria terra, l’altro l’approdo all’altrui terra. La locuzione migrante nel nostro lessico, come si diceva, si è affermata in tempi recenti, in particolar modo nel linguaggio sociologico5, dove a livello semantico viene usato al posto di altri termini allo scopo di non enfatizzare negativamente la condizione dell’individuo costretto a lasciare la propria terra di origine per cercare condizioni di vita migliori in altri luoghi. Seguendo il ragionamento della dottrina costituzionalistica in materia6, nel linguaggio giuridico si potrebbe assimilare la nozione di migrante alla nozione di «straniero»7, ossia colui che, rispetto al Paese di approdo, è privo della cittadinanza. Ne deriva che, per delimitarne l’àmbito soggettivo, occorre fare riferimento ai canoni di acquisto, di perdita e di riacquisto della cittadinanza, regolati, per l’ordinamento italiano, dalla l. 5 febbraio 1992, n. 91. È bene dire che oltre ai cittadini vi sono almeno altre sei categorie di individui. La prima è quella degli «italiani non appartenenti alla Repubblica». Si tratta di coloro che fanno parte della nazione italiana, ma che non appartengono più al popolo italiano, a séguito della perdita della cittadinanza8. La seconda categoria, assai diversa dalla precedente, è 3 Cfr. L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni, Roma‐Bari 2004, 24, la nozione di migrante sarebbe «valida solo in riferimento a un dato momento e luogo ed è destinata prima o poi a essere rimessa in discussione». 4 Cfr. A. Bencini, B. Manetti, Parole dell’Italia che cambia, Firenze 2005, 1 ss. 5 Nella dottrina sociologica l’uso del termine «straniero», per riferirsi al soggetto che migra da un luogo ad un altro, viene scarsamente adoperato. Tuttavia si v. F. Belvisi, Nemici, stranieri e pluralismo giuridico nella società multiculturale, in Soc. dir., 2016, 75-99, che però parla propriamente di «migranti» e di annessi «fenomeni migratori», considerando i migranti come una «minoranza etnico-culturale» in una società «multiculturale». Stessa cosa avviene in G. Torrente, “Saper farsi la galera”. Pratiche di resistenza (e di sopravvivenza) degli immigrati detenuti, ivi, 2016, 109-133, il quale, mentre usa nel titolo il termine immigrato, poi, però userà quasi sempre il termine migrante durante la trattazione. 6 S. Magnanensi, P. Passaglia, E. Rispoli, La condizione giuridica dello straniero extracomunitario (Madrid, 25-26 settembre 2008), in www.cortecostituzionale.it. 7 Sulla nozione di straniero nella dottrina si v.: E. Grosso, Straniero (status dello), in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano 2006, 5787 ss.; B. Nascimbene, voce Straniero nel diritto internazionale, in Enc. dir., vol. XLIII, Milano 1990, 179 ss.; Id., voce Straniero (condizione giuridica dello). II Diritto internazionale, in Enc. giur., vol. XXX, Milano 1993, 1 ss.; Id., Il trattamento dello straniero nel diritto internazionale ed europeo, Milano 1984, 35 ss.; B. Nascimbene, C. Favilli, voce Straniero (Tutela Internazionale), in Dizionario cit., 5796-5805. 8 S. Magnanensi, P. Passaglia, E. Rispoli, La condizione, loc. cit. Secondo gli Autori «si tratterebbe degli italiani residenti nei territori ceduti dall’Italia alla Francia ed alla ex-Jugoslavia dopo la fine della seconda guerra mondiale; un’interpretazione meno restrittiva (c.d. del genuine link) ha invece incluso in questa categoria anche tutti coloro che, emigrati, hanno dovuto abbandonare – di solito per motivi di lavoro – la cittadinanza italiana 432 Donato Vese Lo “stato di eccezione” del migrante… quella che include i cittadini di Stati membri dell’Unione europea, i quali, in virtù dell’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, possiedono la cittadinanza comunitaria la cui disciplina è di competenza del diritto europeo. In tal guisa, l’art. 1, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’impugnazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero), appare chiaro, circoscrivendo esso l’àmbito di applicazione della normativa sugli stranieri «ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e agli apolidi» (comma 1), con l’unica eccezione del caso in cui l’applicazione delle norme del testo unico si riveli, per i cittadini comunitari, più favorevole rispetto all’applicazione delle regole loro specificamente destinate (comma 2)9. In base a queste previsioni, può quindi delimitarsi l’uso del termine «straniero» alle persone che fanno parte delle quattro residue categorie. Tra queste rientrano coloro ai quali si riferisce l’art. 10, co. 3, Cost., ai sensi del quale «lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge»10. Dalla lettura della disposizione costituzionale si può appurare che la categoria dei titolari di un diritto di asilo11 in territorio italiano coincide solo in parte a quello di coloro che possono definirsi «rifugiati»12, ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 195113. La discrasia non impedisce, tuttavia, di assimilare tutti i titolari del diritto di asilo, ad una parte dei quali può essere riconosciuto anche lo status di rifugiato14. Va poi esaminata la categoria delle persone a cui si applica quasi integralmente la normativa in materia di ingresso, di soggiorno e di status giuridico degli stranieri. È il caso, innanzi tutto, degli apolidi, vale a dire di coloro che, per la sconveniente combinazione dei criteri di acquisto della cittadinanza, non sono cittadini di alcuno Stato. Gli apolidi sono equiparati, per la maggior parte delle ipotesi, agli stranieri extracomunitari, con l’esclusione di quei casi in cui taluni diritti od obblighi sono loro attribuiti – come, ad esempio, è per lo svolgimento del servizio di leva – essenzialmente in virtù della mancanza di collegamenti con altri Stati15. a vantaggio della cittadinanza del paese che li ospitava. Quale che sia l’estensione da riconoscere a questa categoria, ciò che va evidenziato in questa sede è che le persone che di essa fanno parte godono di uno status di particolare vantaggio, testimoniato dalla disposizione dell’art. 51, secondo comma, Cost., secondo cui “la legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificar[le] ai cittadini”». 9 S. Magnanensi, P. Passaglia, E. Rispoli, La condizione, loc. cit. 10 Sul punto è interessante riportare il passo della nota sentenza della Cass. civ., 26 maggio 1997, n. 4674, con cui la suprema Corte ha sancito la diretta operatività dell’art. 10, co. 3, Cost., stabilendo altresì che tale norma «attribuisce direttamente allo straniero […] un vero e proprio diritto soggettivo all’ottenimento dell’asilo, anche in mancanza di una legge che del diritto stesso specifichi le condizioni di esercizio e le modalità di godimento». 11 Cfr. S. Furlan, Diritto di asilo in base all’art. 10 Cost, e status di rifugiato, in Riv. dir. internaz., 2006, 1092 ss. 12 Cfr. G. Biscottini, voce Rifugiati, in Enc. dir., vol. XL, Milano 1989, 898. 13 Efficace in Italia, a seguito della legge di ratifica 24 luglio 1954, n. 722. 14 S. Magnanensi, P. Passaglia, E. Rispoli, La condizione, loc. cit. 15 S. Magnanensi, P. Passaglia, E. Rispoli, La condizione, loc. cit. 433 Interventi  Parte III Vi sono, infine, due categorie di individui, ossia quelle in cui rientrano gli stranieri extracomunitari, per i quali occorre distinguere a seconda che siano regolari o irregolari: i primi sono titolari di uno status tracciato in toto dall’applicazione della normativa in tema di condizione giuridica dello straniero; ai secondi vengono riconosciuti solo i «diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai princìpi di diritto internazionale generalmente riconosciuti» (art. 2, co. 1, d.lgs. n. 286/1998). Si può dire, dunque, che gli stranieri extracomunitari irregolari costituiscono quei soggetti la cui condizione giuridica è contraddistinta da «una protezione minimale da parte dell’ordinamento italiano, una protezione minimale che non può comunque in alcun modo intaccare quelli che sono i diritti consustanziali alla persona»16. Dal punto di vista strettamente giuridico il termine migrante, derivando, come detto, dal participio presente del verbo migrare, ha il vantaggio teorico di assommare in un unico vocabolo tutte le possibili situazioni che riguardano l’individuo che si sposta da un territorio ad un altro, ricomprendendo sia il processo di emigrazione, che quello di immigrazione17. Ciò può costituire un vantaggio per il diritto amministrativo, sia sul piano legislativo che sul piano ermeneutico. Sul versante legislativo, il beneficio sta nel fatto che la legge può fare riferimento a più fenomeni con il medesimo termine. Allo stesso modo, sul versante ermeneutico, l’interprete può applicare una disposizione che fa riferimento al migrante in tutte le situazioni (emigrazione, immigrazione ecc.) che connotano tale fenomeno. I vantaggi si possono ipotizzare anche dal punto di vista normativo, dato che per l’apparato burocratico, soprattutto per gli organi periferici di governo come le prefetture, l’uso di un termine onnicomprensivo costituisce una semplificazione che rende più veloce – o, perlomeno, meno farraginoso – l’espletamento delle varie tipologie di procedimenti attinenti ai migranti, perché accelera l’iter di una procedura che ha a che fare con una fattispecie in cui parte è la persona del migrante. Si pensi ad un provvedimento di espulsione che è eseguito dal prefetto nei confronti di un soggetto che si trova illegittimamente sul territorio dello Stato. In tal caso l’organo periferico del governo, nella relativa istruttoria, non deve procedere ad ulteriori accertamenti, ben potendo applicare le normative previste per lo status di migrante, e ciò in considerazione del fatto che le procedure amministrative relative alla persona del migrante non subiscono rallentamenti per le incertezze legate all’utilizzo del termine stesso. Si vuole dire, in altre parole, che l’affermarsi del termine migrante potrebbe non essere indifferente per il diritto, e soprattutto potrebbe non esserlo per il diritto amministrativo, dove l’ampliamento della portata del termine renderebbe più semplice la tecnica legislativa, meno incerta l’applicazione della norma alla fattispecie concreta, più veloce l’espletamento di una procedura amministrativa. 16 S. Magnanensi, P. Passaglia, E. Rispoli, La condizione cit. 17 Sulle particolarità di questi due termini cfr. G. Kojanec, Emigrazione ed immigrazione, in Diz. disc. pubbl. V, Torino 1990, 507. 434 Donato Vese Lo “stato di eccezione” del migrante… Seguendo questa impostazione si può dunque affermare che quella di migrante è una nozione che abbraccia tutte le diverse categorie di persone che abbandonano il luogo d’origine o di dimora abituale per stabilirsi in un altro luogo in modo temporaneo o permanente. D’altra parte lo stesso processo migratorio non fa altro che alludere a tutti quei casi in cui le persone si spostano volontariamente o forzosamente dalla propria terra. Lo spostamento può avvenire all’interno dei confini di uno stesso Stato o comprendere l’attraversamento di una o più frontiere internazionali18, creando così gli stessi presupposti su cui si fonda il fenomeno migratorio. Tant’è vero che non si potrebbe parlare tecnicamente di migrazione senza l’attraversamento da uno Stato ad un altro; ciò in quanto il fenomeno giuridico della migrazione si basa proprio sulla non appartenenza territoriale al luogo di approdo della persona che migra dalla terra propria verso l’altrui; sicché ove un individuo si sposti per raggiungere un altro Stato presso il quale vige un accordo internazionale sulla circolazione delle persone con lo Stato di origine, non potrà più parlarsi di migrazione; e ciò in virtù del fatto che tra i due Stati vi è un accordo che regola la circolazione delle persone, le quali, in base alle norme dell’accordo medesimo, sono libere, a determinate condizioni, di entrare ed uscire dalle frontiere dei rispettivi Stati di appartenenza. Vi è, in altri termini, una regolazione amministrativa degli spostamenti in ingresso e in uscita tra i due Stati che permette alle persone di circolare legittimamente e liberamente nei propri territori. È ciò che accade nell’Unione europea dove i principali Trattati prevedono la libera circolazione delle gentes fra gli Stati membri quale presupposto basilare su cui si fonda la stessa Unione. Va detto che nel diritto amministrativo, in realtà, il termine migrante non compare. Sin dalle prime leggi che hanno disciplinato il fenomeno della migrazione i relativi testi, nel fare riferimento ad alcune importanti procedure amministrative, hanno sempre usato il termine «straniero». Così è stato per una delle prime leggi che ha disciplinato organicamente il fenomeno migratorio, ossia la l. n. 286/1998 (c.d. legge Turco-Napolitano). All’art. 2, sui princìpi generali, la l. n. 286/1998 fa espressamente riferimento allo straniero, prevedendo per la sua persona una vasta gamma di «diritti e doveri», come è per i diritti fondamentali dello straniero contemplati dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai princìpi di diritto internazionale generalmente riconosciuti. Allo stesso modo, sempre il citato art. 2, stabilisce che lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, nonché usufruisce di parità di trattamento con il cittadino italiano relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi. Nella successiva l. n. 25/2008, che si occupa del fenomeno migratorio all’art. 2, c. 1, lett. d), compare il termine «rifugiato»: – così recita la norma – il cittadino di un Paese non appartenente all’Unione europea, il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può 18 Così S. Trevisanut, voce Immigrazione (dir. int.), in www.treccani.it, 2015. 435 Interventi  Parte III o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese. Il testo della citata legge riserva il termine «apolide»19 allo straniero che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale e che, per lo stesso timore sopra indicato, non può o non vuole farvi ritorno20. Neppure con il d.lgs. n. 142/2015, di recepimento della Dir. 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (rifusione), in GU L 180 del 29 giugno 2013, appare il termine migrante. Anche in questo testo di legge si usa il termine straniero per indicare il cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea e l’apolide. Di straniero nella citata legge del 2015 si parla nell’art. 9, a proposito delle misure di prima accoglienza e per l’espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica dello straniero. Anche nella legislazione più recente non compare il termine migrante – salvo per l’eccezione di cui si dirà fra poco –, ma il termine straniero. È il caso della l. n. 47/2017 (“Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati”). All’art. 2, l. n. 47/2017, si parla infatti di «minore straniero non accompagnato» per fare riferimento al minorenne non avente cittadinanza italiana o dell’Unione europea che si trovi nel territorio dello Stato o che venga altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana e che sia privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano. Va notato, sempre con riferimento alla questione terminologica, che sin dalla legge più risalente nel tempo, ossia la l. n. 286/1998, compare il termine «immigrato». Per fare solo alcuni esempi attinenti a questa legge, si pensi all’art. 3, l. n. 286/1990, che stabilisce le politiche migratorie e, quindi, l’assistenza e l’integrazione degli immigrati; e all’art. 4, ove sono usati entrambi i termini «immigrazione» ed «emigrazione», quando si parla di ingresso e di uscita da parte dello straniero nel e dal territorio dello Stato. Nella legislazione amministrativa, come si è accennato, un’unica eccezione è rappresentata proprio dal recentissimo d.l. n. 13/2017, in cui compare per la prima volta il termine migrante. Il termine viene impiegato nel capo III del citato decreto, dove, come da rubrica, sono previste «misure per l’accelerazione delle procedure di identificazione e per la definizione della posizione giuridica dei cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale e del traffico di migranti». Il ter- 19 V. Barel, voce Apolidia, in Enc. giur., vol. II, Milano 1988, 1. In base all’art. 1 della Convenzione relativa allo status degli apolidi, adottata a New York il 28 settembre 1954 (ratificata in Italia con l. 1 febbraio 1962, n. 306), l’apolidia è la situazione giuridica di colui che nessuno Stato considera come suo cittadino sulla base del suo ordinamento giuridico. 20 Secondo P. Farci, Apolidia: un fenomeno conciliabile con le leggi dello stato italiano?, in Dir. famiglia, 2013, 1227 ss., «l’apolidia è […] una nozione con cui lo Stato non vuole avere a che fare, che spesso tenta di negare, in quanto complica il lavoro dei legislatori e dei giudici non rientrando nel quadro della dottrina tradizionale. Si tratta di un fenomeno del tutto anormale, in contraddizione con l’idea che si ha abitualmente dell’ordine pubblico». 436 Donato Vese Lo “stato di eccezione” del migrante… mine migranti viene usato anche nell’art. 11, co. 1, d.l. n. 13/2017, ove viene stabilito che il Consiglio superiore della magistratura predispone un piano straordinario di applicazioni extra distrettuali diretto a fronteggiare l’incremento del numero di procedimenti giurisdizionali connessi con le richieste di accesso al regime di protezione internazionale e umanitaria da parte dei migranti presenti sul territorio nazionale e di altri procedimenti giudiziari connessi ai fenomeni dell’immigrazione. Come si può osservare l’impiego del termine migrante, largamente usato in altri settori, fa fatica a penetrare nella legislazione del diritto amministrativo, dove si preferisce l’utilizzo del termine straniero o dove sono ancora in uso – le leggi del 1998 e del 2008, benché profondamente modificate, sono ancora in vigore – termini come immigrato, immigrazione, emigrazione e così via. Se questa è la situazione della legislazione e della prassi, la stessa cosa non può dirsi della dottrina amministrativistica dove l’impiego del termine migrante si è pacificamente affermato da tempo21. Diversamente dalla legislazione e di pari passo con la dottrina procede invece la giurisprudenza che da molto tempo utilizza il termine migrante nella sua elaborazione22. 3. La disciplina amministrativa delle migrazioni e i limiti della risoluzione dello status di migrante come “stato di eccezione’’. Come detto, quando si decide di abbandonare il proprio Paese di origine per cercare altrove condizioni di vita migliori si assume lo status di migrante. Si tratta di una condizione che l’uomo conosce sin dall’antichità, essendo la nostra storia ricca di episodi di migrazioni. Particolarmente significativa è la vicenda della fondazione, in Italia, di una fra le più antiche colonie greche23. Più di duemilacinquecento anni fa la 21 Di recente, L.R. Perfetti, La legalità del migrante. Status della persona e compiti dell’amministrazione pubblica nella relazione paradigmatica tra migranti respinti, irregolari, trattenuti minori e potere pubblico, in Dir e proc. amm., 2016, 396. In passato, G. Tropea, Homo sacer? considerazioni perplesse sulla tutela processuale del migrante, in Dir. amm. 4, 2008, 839 ss. Sempre in dottrina, in altre branche del diritto, è diffuso l’uso dei termini immigrato/ immigrati. In tal senso senza pretesa di esaustività e per restare ai contributi più recenti, si v. F. Basile, I reati cd. ‘culturalmente motivati’ commessi dagli immigrati: (possibili) soluzioni giurisprudenziali, in Questione giustizia, 2017, 1, 126-135; O. Farkas, Gli immigrati e il mondo del lavoro, in www.osservatoriosullefonti.it 1, 2016, 19; P. Simone, I diritti derivati degli immigrati stranieri appartenenti a nuclei familiari “ricostituiti” o “ricomposti”, in Studi sull’integrazione europea, 2016, 427-454; D. Schiuma, Il caporalato in agricoltura tra modelli nazionali e nuovo approccio europeo per la protezione dei lavoratori immigrati, in Riv. dir. agr., 2015, 87-115. 22 Si possono fare alcuni esempi fra le tante pronunce che danno conto dell’uso, ormai invalso, del termine migrante. In tal senso si può richiamare la recente sentenza del Cons. Stato, sez. III, 3 aprile 2017, n. 1532, nella quale il termine migrante viene collegato alle disposizioni della l. n. 142/2015, che, invece, come ora sappiamo, non fa mai uso di questa definizione, bensì impiega la locuzione «straniero». L’utilizzo del termine si trova pure in una recente sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana del 23 maggio 2017, n. 222, che lo adopera a proposito della gestione di un servizio di accoglienza e protezione per migranti. E gli esempi potrebbero continuare. 23 Ad oggi la più antica colonia greca risulta Pithecusa. Sul punto si v. G. Buchner, Nuovi aspetti e problemi posti dagli scavi di Pithecusa, in Contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes, Napoli 1975, 63 ss. 437 Interventi  Parte III costa sicula orientale fu teatro di un’epica migrazione24 che vide come protagonista un gruppo di migranti corinzi guidati da Àrchia25. Questi era ritenuto colpevole di aver scatenato l’ira di Poseidone che da anni era causa di una mortale pestilenza che si abbatteva sull’intera città26. Odiato e detestato dai suoi concittadini, Àrchia assieme ai suoi compagni si mise alla ricerca di una terra che avrebbe potuto accoglierli e che sarebbe divenuta la loro nuova patria, riconosciuta dall’oracolo di Delfi nell’isola di Ortigia: così il migrante Àrchia fondò Siracusa27. Tale vicenda, se da un lato ricorda che fin dai tempi più remoti l’uomo ha conosciuto il bisogno di migrare, dall’altro è lontana dagli scenari che in questi ultimi anni sono sotto i nostri occhi. La condizione del migrante è difatti mutata radicalmente. Sebbene il termine alluda ancora oggi alla condizione di chi abbandona la propria terra, occorre precisare, con le parole di una dottrina, che oggi «i migranti sono [letteralmente] uomini senza terra e il nomos di cui sono portatori è quello di nessun dove»28. Proprio per il fatto di essere «uomini senza terra», i migranti sono assoggettati all’autorità dello Stato in cui essi approdano, che, come confermano le recenti vicende, si mostra spesso «nella sua pura veste di potere, faticando a far vedere il volto, che pure esiste, di garante dei diritti»29. In ordine al diritto amministrativo e, in particolare, alla disciplina dei procedimenti amministrativi inerenti alle migrazioni accade spesso che l’ordinamento si affidi a procedure derogatorie, che si ispirano allo “stato di eccezione”, vale a dire a quello stato in cui si sospende il diritto e prevale la forza30, con il fine di regolare un fenomeno che si presenta, nella mente del legislatore, come appunto “eccezionale”, ma che in realtà mette in luce, in modo ancora più evidente, la fragilità di cui il migrante è portatore quale detentore di diritti non astrattamente riconoscibili nella terra di approdo e quale soggetto con ridotta capacità di ricorrere alla protezione che l’ordinamento offre. Se si guarda alla legislazione statale in materia, questa ha recepito visioni politiche contrarie allo spirito dell’accoglienza e della solidarietà che da sempre hanno caratterizzato la nostra cultura. Anzi, a dir il vero, la riforma appena approvata con il d.l. n. 13/2017, sulla scorta dei tragici avvenimenti che hanno coinvolto alcuni Paesi delle democrazie occiden- 24 Ripercorrere le tracce lasciate da un gruppo di migranti più di duemilacinquecento anni fa può fornire gli spunti ideali per sviluppare e approfondire l’oggetto della trattazione. Per questa ragione, sulle vicende della fondazione di Siracusa, attribuita dalla storiografia all’ecista Àrchia, si rimanda a A. De Biasi, L’epica perduta. Eumelo, il Ciclo, l’occidente, Roma 2004, 48 ss. 25 Per le fonti classiche sulla fondazione di Siracusa si v.: Arch., Fr. 293 West (apud Athen. Deipn.IV, 63); Thuc., VI, 3-5; Paus., V, 7,3; Strabo VI, 269-27. 26 J. Bérard, La Magna Grecia, Torino 1963, 122 ss. 27 Per la dottrina sulla fondazione di Siracusa cfr.: M. Labate, L’iniziativa individuale nella colonizzazione greca come “topos” narrativo, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, serie III, vol. 2, 1, 1972, 91-104 ma in part. 102; G. Manganaro, La syrakosion dekate, camarina e morgantina nel 424 a.C., in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 128, 1999, 115-123 ma in part. 115-117. 28 L.R. Perfetti, La legalità cit., 396. 29 L.R. Perfetti, La legalità cit., 395. 30 L.R. Perfetti, La legalità cit., 398, “eccezione” alla normalità dello Stato, dello Stato di diritto. 438 Donato Vese Lo “stato di eccezione” del migrante… tali31, è andata infittendosi di disposizioni che, come vedremo, toccano in più punti lo statuto del migrante, vulnerandone la tutela e segnando un pericoloso arretramento rispetto alle garanzie costituzionali previste per il cittadino. In realtà, la riforma approvata con il d.l. n. 13/2017, se bene la si osserva, non rappresenta che un continuum ideale rispetto alla precedente legislazione in materia di immigrazione. Sicché basta dare uno sguardo alla disciplina dettata dal d.lgs. n. 25/ 2008 (T.U. sull’immigrazione), dalla l. n. 189/2002 (c.d. Bossi-Fini), dalla l. n. 94/2009 (c.d. pacchetto sicurezza) e dal più recente d.lgs. n. 142/2015 per accorgersi di alcune evidenti criticità. Criticità che investono anche il diritto amministrativo, il quale, come si è accennato e come ora si tenterà di mettere in luce, assume, dinnanzi al fenomeno migratorio e dinnanzi alla condizione dei migranti, i caratteri dell’eccezione, della deroga, dell’emergenza32. Già nella legislazione del 2008, la quale si limitava a recepire in larga misura la Dir. 2005/85/CE33, senza peraltro dare alla delicata materia un nuovo e diverso impulso, si era osservato un sostanziale svuotamento dell’ordinaria disciplina sul procedimento amministrativo e delle sue garanzie prevista dalla fondamentale l. n. 241/1990 ad opera di disposizioni derogatorie dei principali diritti previsti per il cittadino. Si pensi, in tal senso, alla sostanziale opera di sterilizzazione compiuta dall’art. 18 del d.lgs. n. 25/2008 che prevede la non applicazione di numerose disposizioni e di interi capi della l. n. 241/199034. Così, in particolare, secondo l’art. 18 del citato decreto ai procedimenti amministrativi in materia di immigrazione non si applicano i capi I (sui princìpi), II (sul responsabile del procedimento), IV-bis (sull’efficacia e invalidità del provvedimento amministrativo, la revoca e il recesso) e V (sull’accesso ai documenti amministrativi), nonché l’artt. 7 (sulla comunicazione di avvio del procedimento), l’art. 8 (sulle modalità di comunicazione di avvio del procedimento) e l’art. 10 (sulle azioni esperibili in relazione alla comunicazione di avvio del procedimento) del capo III della l. n. 241/1990 che disciplina la partecipazione al procedimento amministrativo da parte del migrante. Con la legislazione del 2015, anch’essa in larga parte attuativa della normativa europea (Dir. 2013/33/UE), si è inasprito ulteriormente il regime inerente alla disciplina amministrativa dello status di migrante, come si può evincere dall’art. 6, d.lgs. n. 142/2015, sul trattenimento coattivo nei centri di permanenza per i rimpatri (introdotti, da ultimo, 31 Si fa riferimento agli Stati – Francia, Germania, Belgio, Inghilterra, Svezia e, da ultimo, Spagna – che hanno subito gravi attentati terroristici. 32 Cfr. Associazione dei Professori di diritto amministrativo., Il diritto amministrativo dell’emergenza, in Annua- rio AIPDA, Milano 2006, passim; ma in quest’opera cfr. R. Cavallo Perin, Il diritto amministrativo e l’emergenza derivante da cause e fattori esterni all’amministrazione, in Annuario AIPDA, cit., 89 ss. Sul punto si v. A. Fioritto, L’amministrazione dell’emergenza tra autorità e garanzie, Bologna 2008, 1 ss. 33 Direttiva recante «Norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca di status di rifugiato». 34 L’art. 18, rubricato «Applicazione della legge 7 agosto 1990, n. 241», prevede che ai procedimenti per l’esame delle domande di protezione internazionale si applicano le disposizioni in materia di procedimento amministrativo e di accesso agli atti amministrativi, di cui ai capi I, ad esclusione dell’art. 2, co. 2, II, IV-bis e V, nonché agli artt. 7, 8 e 10 del capo III della l. n. 241/1990. 439 Interventi  Parte III dall’art. 19, d.l. n. 13/2017), che prevede la limitazione della libertà personale già durante la fase istruttoria di esame della domanda di asilo, nei casi in cui l’autorità amministrativa procedente valuti, «caso per caso», che il richiedente «costituisca un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica», o che «sussista rischio di fuga», o ancora che «vi siano fondati motivi per ritenere che la domanda sia stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione dell’espulsione». L’inasprimento della disciplina amministrativa nei confronti del migrante diviene ancora più marcato con l’ultimo provvedimento in materia, ossia il citato d.l. n. 13/2017. Se si prende ad esame l’art. 19 di tale decreto, ove sono previste disposizioni urgenti per assicurare l’effettività delle espulsioni e il potenziamento dei centri di permanenza per i rimpatri, si osserva anzitutto che il nuovo testo prevede la sostituzione dei CIE (centri di identificazione ed espulsione) di cui all’art. 14, d.lgs. n. 286/1998, con i «centri di permanenza per i rimpatri». Poi, rispetto alla precedente disciplina, viene allungato di ulteriori quindici giorni, salvo contraria decisione del giudice di pace, il termine di tre mesi per la procedura di trattenimento in custodia del migrante nei casi di particolare complessità dell’iter di identificazione e di organizzazione del rimpatrio. Altra modifica, sempre in senso peggiorativo dello status di migrante, è quella che viene apportata all’art. 16, d.lgs. n. 286/1998, il quale ora stabilisce che quando non è possibile effettuare il rimpatrio dello straniero per cause di forza maggiore, l’autorità giudiziaria dispone il ripristino dello stato di detenzione per il tempo strettamente necessario all’esecuzione del provvedimento di espulsione. Viene inoltre intensificata la rete dei nuovi centri per i rimpatri al fine di assicurare una più efficiente ed efficace esecuzione dei provvedimenti di espulsione dello straniero. In quest’ottica l’art. 19, d.l. n. 13/2017, prevede il coordinamento tra il Ministero dell’interno e il Ministero dell’economia e delle finanze, i quali, nelle rispettive competenze, adottano tutte le iniziative volte a garantire l’ampliamento della rete dei centri in modo da assicurare la distribuzione delle strutture sull’intero territorio nazionale. È così stabilito che la dislocazione territoriale dei centri di nuova istituzione avvenga, sentito il presidente della regione interessata, privilegiando i siti e le aree esterne ai centri urbani che risultano più facilmente raggiungibili e nei quali siano presenti strutture di proprietà pubblica che possano essere, anche mediante interventi di adeguamento o ristrutturazione, resi idonei al tale scopo. Interessante, per l’indagine che qui si sta conducendo, è pure l’art. 17 del nuovo decreto immigrazione che riguarda le disposizioni sull’identificazione dei cittadini stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare. Più in particolare secondo la nuova norma lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a séguito di operazioni di salvataggio in mare dovrà essere condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi. Presso i medesimi punti di crisi sono effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche per i fini di cui agli artt. 9 e 14 del Reg. (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 che istituisce l’«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame 440 Donato Vese Lo “stato di eccezione” del migrante… di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica il regolamento (UE) n. 1077/2011 che istituisce un’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (rifusione), in GU L 180 del 29 giugno 2013, ed è assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito. Va detto che la norma ora prevede che le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico siano eseguite, in adempimento degli obblighi di cui agli artt. 9 e 14 del Reg. (UE) n. 603/2013, anche nei confronti degli stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale. Il rifiuto reiterato dello straniero di sottoporsi ai prescritti rilievi configura rischio di fuga ai fini del trattenimento nei centri di cui all’art. 14. Il trattenimento è disposto caso per caso, con provvedimento del questore, e conserva la sua efficacia per una durata massima di trenta giorni dalla sua adozione, salvo che non cessino prima le esigenze per le quali è stato disposto. Sempre in relazione alla limitazione delle garanzie del migrante, e in palese contrasto con i princìpi fondamentali sanciti dalla l. n. 241/1990, si pone, per tutti i provvedimenti riguardanti le richieste di asilo, l’assenza dell’obbligo di motivazione. Obbligo di motivazione che, per i procedimenti in materia di immigrazione, è disciplinato secondo le modalità dell’art. 9, d.lgs. n. 25/2008, a mente del quale le decisioni sulle domande di protezione internazionale devono essere comunicate per iscritto (comma 1) e la decisione con cui viene respinta una domanda deve essere corredata da una motivazione di fatto e di diritto e deve recare le indicazioni sui mezzi di impugnazione ammissibili (comma 2). Non è difficile constatare come nei casi sopra descritti la disciplina dei procedimenti amministrativi inerenti alla persona del migrante assuma i contorni di un procedimento derogatorio rispetto alle insopprimibili necessità di questi, incidendo, in modo para-sanzionatorio, sui diritti fondamentali dell’uomo. Non a caso – quasi a volersi giustificare per la presenza della dura lex – il legislatore all’art. 7, d.lgs. n. 142/2015, tiene a chiarire che: «il richiedente sia trattenuto nei centri con modalità che assicurano la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità»; sia «assicurata in ogni caso alle richiedenti una sistemazione separata, nonché il rispetto delle differenze di genere»; «ove possibile, sia preservata l’unità del nucleo familiare [e sia] assicurata la fruibilità di spazi all’aria aperta». In materia di immigrazione è poi intervenuto il recentissimo d.l. n. 113/2018 (rubricato “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”) cui ha fatto seguito la l. 1 dicembre 2018, n. 132 che ha convertito con modificazioni tale decreto. Si tratta di un corpus di disposizioni che si pone in linea con il tenore normativo dei precedenti decreti dedicati alla materia delle migrazioni. In tal senso depongono le disposizioni del titolo I del citato decreto con riguardo al rilascio di speciali permessi di soggior441 Interventi  Parte III no temporanei per esigenze di carattere umanitario, nonché in materia di protezione internazionale e di immigrazione e particolarmente delle norme che compongono il capo I inerenti alle urgenti misure di contrasto all’immigrazione illegale. Nell’ottica derogatoria alle comuni regole procedimentali previste per lo status di cittadino si pongono le disposizioni di cui all’art. 2, comma 1, del d.l. n. 113/2018, dove il legislatore italiano ha stabilito un allungamento generalizzato dei termini per il trattenimento dello straniero nei Centri di permanenza per il rimpatrio. Disposizioni cui fanno seguito quelle previste dai commi successivi del medesimo articolo (ovverosia l’art. 2, commi 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater), dove, in corrispondenza dell’allungamento dei termini di trattenimento dei migranti, vengono contemplate altrettante misure derogatorie per ciò che concerne l’evidenza pubblica degli appalti per la costruzione, il completamento, l’adeguamento e la ristrutturazione dei Centri di permanenza. Nello specifico viene previsto che per un triennio, a partire dalla data di pubblicazione del decreto in parola, i lavori relativi ai Centri di permanenza possano essere appaltati mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, secondo la regola dell’art. 63 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016). La normativa appena entrata in vigore aggiunge che si deve trattare di lavori di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria e che in ogni caso devono rispettarsi i principi di trasparenza, concorrenza e rotazione nell’appalto delle relative opere. In ragione di ciò viene specificato che l’invito contenente l’indicazione dei criteri di aggiudicazione deve essere rivolto ad almeno cinque operatori economici, sempre che sussistano in tale numero soggetti idonei all’espletamento della commessa pubblica. Di rilievo è anche la disposizione di cui all’art. 3, e più ancora quella dell’art. 3-bis, del citato decreto, riguardante i provvedimenti amministrativi di trattenimento per la determinazione o la verifica dell’identità del migrante richiedente asilo. Quest’ultima norma stabilisce che il migrante può essere trattenuto, per il tempo strettamente necessario, e comunque non deve essere superiore a trenta giorni, in appositi locali presso i cc.dd. punti di crisi di cui all’art. 10-ter, comma 1, del d.lgs. n. 286/1998, per la determinazione o la verifica dell’identità. Nel caso in cui non sia possibile determinare o verificare l’identità del migrante, il richiedente può essere trattenuto nei centri di permanenza temporanea. La norma richiamata si pone già a priva vista in contrasto con le più ovvie regole di garanzia dei diritti fondamentali dell’individuo. Non si comprende, infatti, come essa possa in un primo momento stabilire un limite massimo di trenta giorni al trattenimento del migrante nei centri di identificazione e poi subito dopo rendere inoperante tale termine di garanzia, stabilendo un trattenimento di durata pressoché indefinita per i casi in cui non sia possibile accertare l’identità dello straniero. Ciò a maggior ragione se si considera – come le cronache di questi anni insegnano – che i migranti che approdano nei centri sono in genere sprovvisti dei documenti di identità. All’art. 5-bis del nuovo decreto si trovano importanti disposizioni di carattere sanzionatorio in materia di convalida del respingimento del migrante disposto dal questore e di registrazione dello straniero nel sistema di informazione stabilito nel trattato di Schengen. In forza delle nuove regole, lo straniero destinatario di un provvedimento amministra442 Donato Vese Lo “stato di eccezione” del migrante… tivo di respingimento non può rientrare nel territorio dello Stato italiano senza che prima si sia fatto rilasciare una speciale autorizzazione dal Ministro dell’interno. Qualora poi lo straniero non si attenga al provvedimento che ne respinge il suo ingresso nel territorio dello Stato italiano, la norma in parola prevede una particolare ipotesi di reato la cui pena è fissata nella reclusione da uno a quattro anni, oltre che nella misura amministrativa dell’espulsione coatta mediante accompagnamento immediato alla frontiera. Altra fattispecie incriminatrice contenuta del nuovo decreto è quella prevista per lo straniero che, essendo stato già denunciato per essere rientrato senza autorizzazione sul suolo italiano, abbia fatto reingresso nel territorio dello Stato. In tale ipotesi, in base alla normativa appena approvata dal Parlamento italiano, allo straniero trasgressore si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni. Inoltre, la norma in questione prevede, in deroga alle regole del codice di procedura penale, che per il migrante autore dei menzionati reati si proceda con la misura cautelare dell’arresto anche fuori dei casi della flagranza e che sia processato con il rito direttissimo. La norma al comma 2-sexies prevede che la durata del divieto di ingresso sul territorio dello Stato italiano per il migrante che abbia commesso uno dei reati summenzionati non possa essere inferiore a tre anni. Per rendere effettive le operazioni di rimpatrio degli immigrati irregolarmente e/o illecitamente entrati sul suolo italiano, il nuovo decreto ha poi disposto all’art. 6 il potenziamento del c.d. fondo rimpatri (che era stato originariamente istituito dal d.lgs. 286/1998) tramite l’incremento delle risorse finanziarie a disposizione del fondo medesimo ed ammontanti a 500.000 euro per il 2018, 1.500.000 euro per il 2019 e 1.500.000 euro per il 2020. Dalla legislazione appena esaminata si osserva, dunque, come quello che va delineandosi è un diritto e un procedimento amministrativo che spesso evoca per la condizione dei migranti lo “stato di eccezione”. Quest’ultimo, caratterizzandosi per la sospensione integrale dell’ordine giuridico, oltre a non fermare lo sguardo sulla contraddittorietà e sulla fragilità sulle quali poggiano i diritti delle persone, segna anche un pericoloso arretramento delle garanzie costituzionali. Ed è proprio per questi motivi che pare fuorviante cercare la spiegazione dello status amministrativo del migrante nello “stato di eccezione” schmittiano35 o nella parabola arendtiana del “campo”36. Se si parte da una forte affermazione della stessa Hannah Arendt, secondo la quale i migranti «[p]rivati dei diritti umani garantiti dalla cittadinanza, si trovarono ad essere senza alcun diritto, schiuma della terra»37, allora il problema ci apparirà più radicale, ossia 35 C. Schmitt, Politische Theologie: vier Kapitel zur Lehre von der Souveränität, Berlin 1985. 36 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Milano 1996. 37 H. Arendt, Le origini cit., 372. Secondo la Arendt gli individui nel corso del Novecento sono stati ricono- sciuti come umanità solo se appartenenti ad uno Stato sovrano. Solo l’essere cittadino e dunque il far parte di una comunità politica conduce l’individuo al riconoscimento dei diritti civili e politici. Tant’è che «[f]uori da tale comunità l’apolide è un reietto, non ha rilevanza giuridica». Cfr. S. Berni, Diritti naturali e umani nella politica di Hannah Arendt. Spunti per una lettura, in Il Politico 75, 1, 2010, 121-132. 443 Interventi  Parte III di cultura della Costituzione, di concezione dello Stato. Ed è su questo piano che pare doveroso discutere della condizione del migrante. Anche perché se si guarda allo straniero da tale prospettiva si scoprirà che questi è portatore del nomos globale dei diritti del cittadino38. Quest’ultima affermazione, ove opportunamente contestualizzata, è poi importante per la trattazione, perché consente di meditare sull’annosa questione della cittadinanza, vale a dire sul se possa esistere o meno un nuovo concetto di cittadinanza, idoneo a consentire l’estensione, anche ai non cittadini – e, dunque, anche ai migranti – della tutela dei diritti fondamentali quali diritti che prescindono dalle posizioni giuridiche e poi dallo status di cittadino. Va detto che l’analisi sin qui svolta e quella che seguirà vuole mettere soprattutto in luce i limiti dell’odierna impostazione del concetto di cittadinanza nel diritto amministrativo. Per poter fare ciò occorre offrire, seppur brevemente, alcune coordinate del concetto di cittadinanza, ricavandole anche dal diritto pubblico e dal diritto comunitario. 4. La rilevanza del concetto di cittadinanza nella disciplina amministrativa delle migrazioni come fattore di limitazione dei diritti del migrante. Dal punto di vista giuridico il concetto di cittadinanza39 può essere visto come una soluzione che la dottrina storicamente ha escogitato per connotare lo status degli individui appartenenti ad una nazione, di modo che fosse possibile, in base alla cittadinanza, attribuire diritti e sottoporre a doveri i cittadini40. Appare chiaro che una simile configurazione del concetto di cittadinanza vada di pari passo con l’evolversi dello Stato-nazione. Nell’àmbito della formazione e poi del culmine degli stati nazionali il concetto classico di cittadinanza era difatti costruito sull’idea della soggezione duratura del cittadino allo Stato. Intriso del rapporto tra libertà e sovranità che permea la relazione tra cittadino e istituzioni statali, ossia sull’esclusività della posizione giuridica della cittadinanza che lega i cittadini al territorio, questo concetto di cittadinanza provocava una reale quanto immotivata discriminazione inerente al godimento dei diritti 38 Così L.R. Perfetti, La legalità cit., 403. 39 Sull’argomento della cittadinanza di recente: A. Daniele, La cittadinanza tra teoria e prassi. Brevi riflessioni a partire dalla giurisprudenza amministrativa italiana, in Diritto & questioni pubbliche, 2016, 16 ss.; E.A. Ferioli, La cittadinanza “oltre” lo stato. Interferenze internazionali e sovranazionali nell’acquisto e conservazione della cittadinanza statale, in www.rivistaaic.it, 2017, 23 ss.; P. De Ioanna, La giurisdizione amministrativa come presidio dei diritti sociali di cittadinanza, in Rivista giuridica del Mezzogiorno, 2016, 531-537; M. Manetti, Profili costituzionali in materia di diritto alla cittadinanza degli immigrati, in Rassegna parlamentare, 2014, 515-534; E. Chiti. The content of Citizenship in Europe and the development of Global Administrative Law. Are new layers of complexity emerging?, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2007, 395-419. 40 Sul punto cfr. F. Parente, L’assetto normativo dei diritti fondamentali della persona tra status civitatis e posizione di migrante: le suggestioni della «condizione di reciprocità», in Rass. dir. civ., 2008, 1108. 444 Donato Vese Lo “stato di eccezione” del migrante… fondamentali fra chi è formalmente cittadino e chi, pur non essendolo, «partecipa»41 alla vita sociale, culturale, politica42 ed economica del Paese, dandone, per quanto può, un contributo43. Ma è con l’avvento dei diritti fondamentali sanciti dalle principali costituzioni democratiche che cambia la concezione di cittadinanza, non più legata bensì slegata dall’appartenenza dell’individuo allo Stato44. Basti pensare all’esperienza della creazione di una cittadinanza europea45, uno spazio che supera il confine statuale per abbracciare una realtà sovrannazionale46. In questa direzione va, e qui la si può richiamare, la nota sentenza della Corte di giustizia UE47, con cui il giudice comunitario ha sancito che «lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri»48. Secondo la Corte l’art. 20 TFUE pone un divieto allo Stato membro, da un lato, di negare al cittadino di uno Stato terzo, che si faccia carico dei propri figli in tenera età, cittadini dell’Unione, il soggiorno nello Stato membro di residenza di questi ultimi di cui essi abbiano la cittadinanza e, dall’altro, di negare al medesimo cittadino un permesso di lavoro, qualora queste decisioni possano privare i figli del godimento reale ed effettivo dei diritti 41 U. Allegretti, Verso una nuova forma di democrazia: la democrazia partecipativa, in Democrazia e diritto, 2006, 3, 7-13, nonché Id., Democrazia partecipativa e processi di democratizzazione, ivi, 2008, 2, 175-217. 42 Sul diritto di voto dei migranti, dunque, sulla loro inclusione politica, F. Piermartini. Cittadinanza e diritto di voto agli stranieri: strumenti d’integrazione, in Riv. della coop. giu. int., 2011, 37, 57-68. 43 In questi termini, F. Abbondante, S. Prisco, La condizione giuridica degli immigrati e le politiche degli enti territoriali tra integrazione e rifiuto, in www.rivistaaic.it, 2009, spec. 11-12. 44 G. Berti, Cittadinanza, cittadinanze e diritti fondamentali, in Riv. dir. cost., 1997, 11. 45 Nella dottrina straniera sull’evoluzione della cittadinanza europea, J. Shaw, Citizenship: Contrasting Dynamics at the Interface of Integration and Constitutionalism, in P. Craig, G. De Burca (ed. by), The Evolution of EU Law, Oxford, 2011, 575-609. Nella dottrina italiana, M. Cartabia, voce Cittadinanza europea”, in Enciclopedia giuridica, vol. VI, agg., Roma 1995, 4 ss; S. Cassese, La cittadinanza europea e le prospettive di sviluppo dell’Europa, in Riv. it. dir. pubbl. comp., 1996, 870 ss.; T. De Pasquale. Problemi interpretativi della nozione giuridica di cittadinanza: un concetto “europeizzato” di diritto pubblico interno? La controversa relazione tra cittadinanza dell’Unione europea e cittadinanze nazionali degli Stati membri, ivi, 3-4, 2012, 445-479; M. La Torre, Cittadinanza, democrazia europea e “ideologia italiana”. Per una critica del realismo politico, in Soc. dir., 1998, 5-59; L. Montanari, La cittadinanza in Europa: alcune riflessioni sugli sviluppi più recenti, in www.rivistaaic.it, 2012, 1. 46 M.R. Mauro, Immigrati e cittadinanza: alcune riflessioni alla luce del diritto internazionale, in La Comunità internazionale, 2007, 351-375. 47 CGUE, Ruiz Zambrano c. Office National de l’emploi, Causa C-34/098, sentenza dell’8 marzo 2011. Nel caso Ruiz Zambrano c. Office National de l’emploi, la Corte di giustizia si è pronunciata su una vicenda relativa al diniego reiterato delle autorità belghe di riconoscere il permesso di soggiorno a un cittadino colombiano, Gerardo Ruiz Zambrano, residente in Belgio con la moglie e il figlio maggiore, anch’essi colombiani, dal 1999 e padre di altri due bambini, Diego e Jessica, nati in Belgio e titolari della sola cittadinanza belga. Il giudice del rinvio ha sottoposto ai giudici del Lussemburgo tre questioni pregiudiziali volte ad accertare se le disposizioni del Trattato, relative alla cittadinanza dell’Unione, riconoscano ai cittadini europei un diritto di soggiorno nello Stato membro di cui hanno la cittadinanza anche se essi non hanno mai esercitato il diritto alla libera circolazione; e, eventualmente anche con gli artt. 21, 24 e 34 della Carta dei diritti fondamentali, conferiscano a un cittadino di uno Stato terzo, ascendente di cittadini dell’Unione, un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro di cui questi hanno la cittadinanza e dove essi risiedono. 48 CGUE, Ruiz Zambrano c. Office National de l’emploi, Causa C-34/098, sentenza dell’8 marzo 2011. 445 Interventi  Parte III connessi allo status di cittadino dell’Unione. Un divieto di soggiorno di tal genere porterebbe alla conseguenza che i figli si troverebbero costretti ad abbandonare il territorio dell’Unione per accompagnare i loro genitori. Parimenti, qualora a una persona non venga rilasciato un permesso di lavoro, quest’ultima rischia di non disporre dei mezzi necessari per far fronte alle proprie esigenze e a quelle della sua famiglia, circostanza che porterebbe i figli ad abbandonare il territorio dell’Unione. In ragione di ciò i cittadini dell’Unione si troverebbero nell’impossibilità di godere realmente dei diritti attribuiti dallo status di cittadino dell’Unione. Questa interpretazione che la Corte di giustizia dà dell’art. 20 TFUE permette a tale norma di conferire la condizione di cittadino dell’Unione a chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro; tale condizione, come già risulta dalla giurisprudenza della Corte, è destinata ad essere un principio fondamentale dei cittadini degli Stati membri. Su questo punto vale la pena soffermarsi un momento. La Corte di giustizia UE, nella citata sentenza, sviluppando in modo significativo l’orientamento giurisprudenziale che si era formato in passato, riporta in una veste politica, costituzionale e federale la nozione di cittadinanza dell’Unione; e lo fa svincolando i diritti che ne discendono, tra cui soprattutto quello di soggiornare nello Stato membro nel quale il cittadino europeo ha la nazionalità e la residenza, dal previo esercizio della libera circolazione nel territorio europeo. Si discute di un criterio nuovo, modulato sul «“godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status di cittadino dell’Unione”, diverso da quello tradizionale di carattere transfrontaliero»49. In sostanza, dunque, può affermarsi che la cittadinanza europea costituisce lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri. Pertanto l’art. 20 del TFUE non può tollerare provvedimenti nazionali che hanno l’effetto di privare i cittadini dell’Unione del godimento reale ed effettivo dei diritti derivanti dalla cittadinanza europea50. Va detto che l’orientamento della Corte di giustizia qui richiamato deve essere ridimensionato nella sua portata, come condivisibilmente ha osservato la dottrina51, per il fat- 49 Così D. Gallo, La Corte di giustizia rompe il vaso di Pandora della cittadinanza europea, in Gior. dir. amm., 2012, 40-49. Per l’analisi di questa sentenza, nella dottrina italiana: C. Berneri, Le pronunce Zambrano e McCarty: gli ultimi sviluppi giurisprudenziali sulle unioni famigliari tra cittadini comunitari ed extracomunitari, in Quad. cost. 2011, 696 ss.; A. Lollo, Eguaglianza e cittadinanza. La vocazione inclusiva dei diritti fondamentali, Milano 2016, 52 ss.; A.O. Cozzi, Un conflitto costituzionale silente: Corte di giustizia e deferenza verso il legislatore europeo nella più recente giurisprudenza sulla cittadinanza e sul riconoscimento di prestazioni sociali, in Costituzionalismo.it, 2016, 3, 43. Nella dottrina francese: A. Iliopoulou, Libre circulation et non discrimination, éléments du statut de citoyen de l’Union Européenne, Bruxelles 2007, spec. 68 ss., 82 ss., 157 ss.; S. Corneloup, Citoyenneté européenne: la Cour de justice apporte une nouvelle pierre à son édifice, in Dalloz, 2011, 1325-1328; D. Martin, L’actualité de la jurisprudence européenne et internationale. La Cour de justice et les situations internes à un Etat membre : vive la révolution?, in RJS, 2011, 450-452. Nella dottrina anglosassone, K. Hailbronner, D. Thym, Casenote, in CML Rev, 2011, 12531270; A. Hinarejos: Extending Citizenship and the Scope of EU Law, in CLJ, 2011, 309-312; G. Martinico, R. Castaldi (ed. by), Rethinking (EU) Citinzenship, in Perspectives on Federalism, 2011, 31-39. 50 Così S. Spinaci, Le sentenze Zambrano e McCarthy e i nodi irrisolti della cittadinanza europea, in Giur. cost., 2011, 2542; Id., Libertà di circolazione cittadinanza europea e principio di uguaglianza, Napoli 2011, passim. 51 R. Calvano, Cittadini «statici» e diritti disuguali, in Giur. cost., 2011, 2536 ss. L’A., in modo condivisibile, sottolinea come nell’Unione europea la tutela di diritti fondamentali assuma un ruolo accessorio e funzionale ri- 446 Donato Vese Lo “stato di eccezione” del migrante… to di non aver mai abbandonato la concezione economicistica dell’Unione, anche dinnanzi a diritti preminenti dell’individuo come quelli di cittadinanza di cui qui si discute. Dalla giurisprudenza della Corte, infatti, traspare tuttora una visione che pone al centro dell’Unione la libertà economica, mentre sullo sfondo rimangono le altre libertà, ivi compresa quella di circolazione e di soggiorno delle persone. È vero anche che l’impostazione che pone in rapporto di accessorietà la libertà di circolazione alla libertà economica dipende dallo stesso impianto su cui poggia l’Unione piuttosto che da una logica perversa del legislatore comunitario. Come sottolineato dalla dottrina costituzionalistica, l’Unione non rappresenta un «ente a competenze generali», bensì poggia le sue fondamenta sul principio delle competenze di attribuzione, attraverso il quale discende l’applicabilità del diritto dell’Unione solo ai settori ad esso attribuiti, e la conseguente garanzia dei diritti fondamentali in forza del diritto Ue «nei soli àmbiti rientranti nel “cono d’ombra” delle competenze dell’Unione»52. Questo peculiare aspetto dell’ordinamento comunitario fa si che la tutela dei diritti fondamentali in quegli àmbiti sia attanagliata da un problema che colpisce la rilevanza stessa delle predette situazioni giuridiche, giacché garantite esclusivamente ove attinenti a materie incluse o riconducibili alla competenza dell’Unione. Per questa ragione, la cittadinanza europea rischia di provocare più problemi di quanti ne risolva, poiché essa, come visto, ben può essere vista come un contenitore vuoto ogni qual volta venga chiamata in causa all’atto pratico53. Non è solo questa però la criticità maggiore che si può ravvisare nell’elaborazione di una cittadinanza slegata da un preciso àmbito territoriale. La cittadinanza europea nella sua intima veste resta pur sempre una confinazione, che, come tutte le confinazioni, ha il suo limite maggiore nella chiusura, nella demarcazione, nella limitazione dei diritti ad un preciso àmbito di appartenenza. E la disciplina del diritto amministrativo, soprattutto quella più recente, rappresenta un osservatorio privilegiato da cui il giurista può scorgere come le limitazioni dei diritti dovute al concetto di cittadinanza costituiscano un quid pluris per evocare lo “stato di eccezione” nei confronti del migrante. In questa prospettiva vanno senz’altro richiamate le novità apportate in materia di cittadinanza dal recentissimo d.l. n. 133/2018 (convertito, con modifiche, dalla l. n. 132/2018). Tali novità sono condensate in un unico articolo del decreto, l’art. 14, dove sono previste regole inerenti all’acquisizione e alla perdita della cittadinanza. spetto alle libertà economiche, essendosi formato un orientamento della Corte di giustizia secondo cui la libertà di circolazione e di soggiorno divengono «come una coppia inscindibile nella quale la pregnanza è data alla questione della circolazione all’interno del mercato, mentre il rilievo del diritto a soggiornare con i propri familiari nel luogo scelto da un individuo resta completamente secondario» (p. 2539). Per la critica inerente alla supremazia della libertà economica sulle altre libertà, ivi compresa quella di circolazione, M. Cartabia, Principi inviolabili e integrazione europea, Milano 1995, 1 ss. 52 R. Calvano, Cittadini cit., 2539. 53 R. Calvano, Cittadini, loc. cit. 447 Interventi  Parte III In dettaglio l’art. 14, d.l. n. 133/2018, stabilisce che la concessione della cittadinanza italiana sia subordinata al possesso, da parte dello straniero interessato, di un’adeguata conoscenza della lingua italiana, non inferiore al livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue. A tale scopo, i richiedenti la cittadinanza italiana, che non abbiano sottoscritto l’accordo di integrazione di cui all’art. 4-bis, d.lgs. n. 286/1998, o che non siano titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo di cui all’art. 9 del medesimo decreto, sono tenuti, all’atto di presentazione dell’istanza, ad attestare il possesso di un titolo di studio rilasciato da un istituto di istruzione pubblico o paritario riconosciuto dal MIUR e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, ovvero a produrre apposita certificazione rilasciata da un ente certificatore riconosciuto dal MIUR e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Per quanto concerne, invece, i casi di perdita della cittadinanza italiana l’art. 14, comma 1, lett. d), d.l. n. 133/2018, dispone che questa sia revocata in caso di condanna definitiva per delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni e previsti dall’articolo 407, comma 2, lett. a), n. 4), del codice di procedura penale, nonché per i reati di associazione con finalità di terrorismo internazionale o di eversione dell’ordine democratico e di addestramento alle attività terroristiche di cui, rispettivamente agli artt. 270-ter e 270-quinquies del codice penale. In casi sopra richiamati, la revoca della cittadinanza è adottata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, entro tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Analoghe considerazioni valgono per il d.l. n. 13/2017 che già nel preambolo stabilisce come le disposizioni ivi contenute, prendendo atto della «straordinaria necessità ed urgenza di adottare misure idonee ad accelerare l’identificazione dei cittadini stranieri», intendono «definire celermente la posizione giuridica di coloro che sono condotti nel territorio nazionale in occasione di salvataggi in mare o sono comunque rintracciati nel territorio nazionale». Ed in questa direzione vanno lette pure le disposizioni del capo II del d.l. n. 13/2017 che approntano le misure necessarie per la semplificazione e l’efficienza delle procedure amministrative davanti alle Commissioni territoriali, nonché per la semplificazione e l’efficienza dei procedimenti giudiziari di riconoscimento dello status di persona internazionalmente protetta e degli altri procedimenti giudiziari connessi ai fenomeni delle migrazioni. È interessante notare, già ad una prima lettura, come il d.l. n. 13/2017 ha apportato alcune corpose modifiche al testo del d.lgs. n. 25/2008. Le modificazioni al precedente testo unico del 2008 si sono rese necessarie anche al fine di adattare la procedura dinnanzi alle Commissioni territoriali con l’introduzione delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, previste ora dal capo I (artt. 1-5) del d.l. n. 13/2017, le quali, proprio nell’intento di accelerare la trattazione delle cause che hanno come parte il migrante, hanno l’obiettivo di definire efficientemente i relativi procedimenti amministrativi. 448 Donato Vese Lo “stato di eccezione” del migrante… Questi nuovi organi giudicanti saranno competenti per molte tipologie di controversie. Tra queste il nuovo decreto prevede quelle in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea o dei loro familiari54; quelle aventi ad oggetto l’impugnazione del provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea o dei loro familiari per motivi imperativi di pubblica sicurezza55, nonché per i procedimenti amministrativi di convalida dei provvedimenti previsti dall’art. 20-ter, d.lgs. n. 30/2007; quelle in materia di riconoscimento della protezione internazionale di cui all’art. 35, d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, e per i procedimenti per la convalida del provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento o la proroga del trattenimento del richiedente protezione internazionale, adottati a norma dell’art. 6, co. 5, d.lgs. n. 142/2015, e dell’art. 10-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nonché dell’art. 28, Reg. (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, del 26 giugno 2013, nonché per la convalida dei provvedimenti di cui all’art. 14, co. 6, d.lgs. n. 142/2015; quelle in materia di riconoscimento della protezione umanitaria nei casi di cui all’art. 32, co. 3, di cui al d.lgs. n. 25/2008; quelle in materia di diniego del nullaosta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché relative agli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare, di cui all’art. 30, co. 6, d.lgs. n. 25/2008. Il T.U. immigrazione del 2008 non è l’unico ad essere stato modificato. I successivi artt. 7, 8 e 9, d.l. n. 13/2017, intervengono rispettivamente sul testo del d.lgs. n. 150/2011, sul testo del d.lgs. n. 142/2015 e sul testo del d.lgs. n. 286/1998. In particolare per ciò che concerne le modifiche del d.lgs. n. 150/2011, è di rilievo l’introduzione dell’art. 19-bis che ora regola le controversie in materia di accertamento dello stato di apolidia e di cittadinanza italiana mediante il rito sommario di cognizione. Inoltre è prevista la competenza territoriale del tribunale ove ha sede la sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui il ricorrente ha la dimora. In controtendenza rispetto alla disciplina amministrativa sinora esaminata nelle principali leggi concernenti i fenomeni migratori si pone l’introduzione del nuovo art. 22-bis nel testo del d.lgs. n. 142/2015, sulla partecipazione dei migranti ad attività di utilità sociale. Venendo alla lettura di questa innovativa norma si scorge come diviene apprezzabile il ruolo degli organi periferici di governo nella promozione delle iniziative che hanno come scopo quello di coinvolgere i migranti in attività socialmente utili. In particolare i prefetti devono promuovere d’intesa con i comuni e con le regioni e le province autonome – anche nell’àmbito dell’attività dei Consigli territoriali per l’immigrazione di cui all’art. 3, co. 6, d.lgs. n. 286/1998 – ogni iniziativa utile all’implementazione dell’impiego di richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali. In quest’ottica i prefetti promuovono la diffusione delle buone prassi e di 54 In relazione all’art. 8 d.lgs. n. 30/2007. 55 Di cui all’art. 20 e 21 del d.lgs. n. 30/2007. 449 Interventi  Parte III strategie congiunte con i comuni, con le regioni e le province autonome e le organizzazioni del terzo settore, anche attraverso la stipula di appositi protocolli di intesa. Poi, per quanto riguarda proprio le organizzazioni del terzo settore, il nuovo decreto prevede che i comuni, le regioni e le province autonome, al fine di rendere effettivo il coinvolgimento dei migranti nelle attività di utilità sociale, possono redigere appositi progetti da finanziare con risorse europee destinate al settore dell’immigrazione e dell’asilo56. Si tratta di una considerevole previsione normativa che, come già da tempo auspicato dalla dottrina57, va accolta con favore e va sicuramente rielaborata da parte del legislatore per trasporla in un testo di più ampio respiro, in modo da rendere più evidente la politica di inclusione dei migranti da parte dello Stato italiano58. Ciò vale anche nella misura in cui le politiche di inclusione dello straniero servano a far sfumare le tinte fosche che, come visto, si sono via via addensate nelle varie tappe della disciplina amministrativa sull’immigrazione – dal primo decreto del 1998 all’ultimo del 2017 – le quali, come si sta cercando di dire in questo scritto, dipingono la figura del migrante come quella del reietto o peggio del nemico. 5. Lo ‘‘stato di eccezione’’ in Carl Schmitt e la reinterpretazione del binomio straniero/nemico attraverso le fonti classiche letterarie. Sull’eccezionalità del fenomeno migratorio e sulla risposta del diritto amministrativo come “diritto dell’eccezione” non si deve cedere alla tentazione di considerare lo straniero – e, dunque, il migrante – quale nemico59. 56 L’art. 8, co. 2, d.l. n. 13/2017 prevede anche che i progetti presentati dai comuni dalle regioni e dalle provin- ce autonome, i quali prestano i servizi di accoglienza di cui all’art.1-sexies del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416 (“Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato”, conv., con modifiche, nella l. 28 febbraio 1990, n. 39), siano esaminati con priorità ai fini dell’assegnazione delle risorse. 57 Nella dottrina italiana, M. Catarci, Formazione e inserimento lavorativo dei rifugiati in Italia, in Uomini senza qualità. La formazione dei lavoratori immigrati: dalla negazione al riconoscimento (a cura di S. Bonetti, M. Fiorucci), Milano 2006, 1 ss.; Id., L’integrazione dei rifugiati. Formazione e inclusione nelle rappresentazioni degli operatori sociali, Milano 2011, 5 ss.; V. Cesareo, G.C. Blangiardo, Indici di integrazione. Una ricerca empirica sulla realtà migratoria italiana, Milano 2009, 1 ss.; L. Calafà, Le azioni positive di inclusione sociale degli stranieri e il modello regolativo nazionale, in www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it, 2009, 29 ss. Nella dottrina straniera, H. Beirens, N. Hughes, R. Hek, N. Spicer, Preventing Social Exclusion of Refugee and Asylum Seeking Children: Building New Networks, in Social Policy and Society, 2007, 219-229; A. Triandafyllidou, Migrant Integration in 2020 Europe: the case for integration partnerships, in (S. Carrera, E. Guild, K. Eisele, ed. by), Rethinking the Attractiveness of EU Labour Immigration Policies. Comparative Perspectives on the EU, the US, Canada and beyond, Centre for European Policy Studies (CEPS), 2014, 29 ss; I. Martin, From Refugees to Workers Mapping Labour-Market Integration Support Measures for Asylum Seekers and Refugees in EU Member States, vol. I, Comparative Analysis and Policy Findings, Bertelsmann Stiftung, 2016, 11 ss., ma per il caso italiano si v. 79 ss. 58 Su quest’aspetto si rimanda a J. Habermas, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, Milano 1998, 1 ss. 59 Sul punto è opportuno ancora richiamare G. Tropea, Homo sacer? cit., 846, il quale, rileggendo ancora C. Schmitt, Le categorie cit., 109, rileva come il giurista tedesco identifichi il nemico con lo straniero (der Fremde). 450 Donato Vese Lo “stato di eccezione” del migrante… Si intende fare riferimento, in chiave piuttosto critica, alla nota associazione che Carl Schmitt ha fatto dei termini straniero/nemico60. Vale la pena, prima di muovere una critica a tale impostazione, richiamare i principali assunti con cui Schmitt è pervenuto ad una simile associazione. Nel fornire «il concetto di ‘politico’» (Begriff des Politischen), Schmitt afferma che bisogna trovare una soluzione che tenga distinta tale categoria da altre categorie, e in particolare da quelle morali, estetiche, economiche. Rifacendosi al pensiero hegeliano, Schmitt riconduce la validità di queste categorie all’esistenza di una antitesi di fondo capace di distinguere le une dalle altre. Così come nell’estetica la distinzione è rappresentata dal binomio bello/brutto, nella morale da buono/cattivo, nell’economia da utile/dannoso o da redditizio/non redditizio, per avere validità, secondo Schmitt, anche la politica deve fondarsi su di una propria antitesi, autonoma e indipendente dalle altre. Per il giurista tedesco «la specifica distinzione politica alla quale è possibile ricondurre le azioni e i motivi politici, è la distinzione di amico (Freund) e nemico (Feind)»61. A questa antitesi si può ricollegare la categoria del politico, senza necessità che ad essa sia attribuito un nuovo settore, purché la stessa non poggi su altre distinzioni. In questo modo non vi sarà più bisogno di ricondurre il concetto di politico alle antitesi di altre categorie; sicché non vi sarà necessità di indicare il politico come eticamente buono o cattivo o come esteticamente bello o brutto, o ancora come economicamente utile o dannoso. Per Schmitt il nemico «è semplicemente l’altro, lo straniero (der Fremde)»62. In questa visione è dunque lo straniero – in quanto intrinsecamente “altro” – a rappresentare il nemico. Lo straniero è il diverso, colui che è essenzialmente qualcosa d’altro, e lo è soprattutto nel modo in cui contro di lui si renda indispensabile ricorrere ad un conflitto. È «esistenzialmente altro», giacché la «possibilità di una conoscenza e comprensione corretta e perciò anche la competenza ad intervenire e decidere è qui data solo dalla partecipazione e dalla presenza esistenziale» da parte di colui che non è straniero. Tant’è che, secondo Schmitt, solo colui il quale partecipa in modo diretto può porre fine al «caso conflittuale estremo», solo «costui può decidere se l’alterità dello straniero nel conflitto concretamente esistente significhi la negazione del proprio modo di esistere, e perciò sia necessario difendersi e combattere, per preservare il proprio, peculiare, modo di vita»63. I concetti di amico e nemico, secondo la visione di Schmitt, valgono a condizione che vengano distinti dagli altri àmbiti con i quali possono essere «mescolati e affievoliti»; né, poi, devono essere concepiti in senso «individualistico-privato, vale a dire come espressione psicologica di sentimenti e tendenze private»64. Così, per Schmitt, in àmbito economico non vi sono nemici da sconfiggere, ma solo concorrenti da battere e in àmbito etico solo 60 C. Schmitt, Le categorie cit., 108. 61 C. Schmitt, Le categorie, loc. cit. 62 C. Schmitt, Le categorie, loc. cit. 63 C. Schmitt, Le categorie cit., 109 64 C. Schmitt, Le categorie cit., 110. 451 Interventi  Parte III avversari di discussione. Questa asserzione permette al giurista tedesco di affermare che nemico «è solo un insieme di uomini che combatte almeno virtualmente, cioè in base ad una possibilità reale, e che si contrappone ad un altro raggruppamento umano dello stesso genere»65. Questa idea rappresenta il fulcro del ragionamento schmittiano sul concetto di nemico, ed essa è rinforzata sùbito dopo laddove egli afferma che «nemico è solo il nemico pubblico, poiché tutto ciò che si riferisce ad un simile raggruppamento, e in particolare ad un intero popolo, diventa per ciò stesso pubblico66». È vero che Schmitt67, in questa prospettiva, cerca una soluzione interpretativa favorevole rifacendosi ai termini classici di πολέμιος e hostis e alla contrapposizione di questi rispettivamente a ἐχθρός e a inimicus che si riferiscono al nemico in quanto straniero o meglio al nemico pubblico. Più in particolare Schmitt, per sostenere la sua tesi, riprende la distinzione che Platone68 ebbe a fare nella Politica tra i termini πόλεμος (guerra) e στάσις (tumulto, sommossa, ribellione, guerra civile), per spiegare come per i Greci esista e può essere combattuta solo una guerra contro i barbari (che sono «per natura nemici»), mentre le lotte fra i greci sono definite στάσεις «discordie»69. Allo stesso modo Schmitt ricorda come in latino il termine nemico non si traduce con inimicus, ossia colui verso il quale si serba rancore o un «odio privato»70, ma con hostis, vale a dire «colui contro il quale si combatte pubblicamente una guerra»71 e che può essere reso con il termine «nemico politico». Schmitt, poi, rileva come la lingua tedesca non faccia distinzione fra nemico privato e nemico politico, tant’è che questa manchevolezza può creare fraintendimenti. Il giurista tedesco allora richiama i noti passi biblici (Matteo 5, 44; Luca 6, 27) nella parte in cui gli evangelisti esortano ad «ama[re] i […] nemici», per far notare come tali passi recitano «diligite inimicos vestros», «ἀγαπᾶτε τοὺσ εχθποὺς ὑμῶν» e non «diligite hostes vestros»72. Schmitt aggiunge come nella lotta millenaria tra occidente e oriente, tra Cristianità e Islam, «mai un cristiano ha pensato che si dovesse cedere l’Europa, invece che difenderla, per amore verso i Saraceni o verso i Turchi». Dunque, «non è necessario odiare personalmente il nemico in senso politico, e solo nella sfera privata ha senso amare il proprio “nemico”, cioè il proprio avversario»73. La tesi del presente scritto, ricorrendo alla (ri)lettura delle fonti letterarie classiche, mira a rilevare i limiti dell’impostazione schmittiana attraverso una diversa interpretazione dei termini ξένος e hostis, pervenendo così a risultati differenti da quelli che apparentemente condurrebbero a una facile associazione fra lo straniero e il nemico. 65 C. Schmitt, Le categorie cit., 111. (corsivo dell’autore). 66 C. Schmitt, Le categorie, loc. cit. (corsivo dell’autore). 67 C. Schmitt, Le categorie, cit., 111. 68 Politeia, Libro V, cap. XVI. 69 Secondo la traduzione di O. Apelt, Philosophische Bibliothek, vol. LXXX, Leipzig 1921, 208. 70 C. Schmitt, Le categorie cit., 112, nota 17. 71 Qui Schmitt si rifà alla traduzione di E. Forcellini, Lexikon totius Latinitatis, vol. III, 320 e 511. 72 C. Schmitt, Le categorie cit., 112 (corsivo dell’autore). 73 C. Schmitt, Le categorie, loc. cit. 452 Donato Vese Lo “stato di eccezione” del migrante… Questi due termini, come si è avuto modo di vedere, nella visione del giurista tedesco si equivalgono semplicemente, divenendo così componenti di una diade indistinta, nella quale l’un significato sfuma nell’altro. Tanto basta, poi, a Schmitt per provare e avvalorare il sillogismo secondo cui lo straniero è il nemico e il nemico è lo straniero, risultato, a mio modo di vedere, di una interpretazione etimologica e storica limitata e parziale che rivela non poche criticità. Pare dunque opportuno tentare di ripercorrere brevemente, mediante le fonti dei testi classici, la storia di entrambe le voci per fare luce sulla loro effettiva portata semantica. La più antica attestazione della parola ξένος nella tradizione greca si incontra nei poemi omerici, dove ξένος è l’ospite, l’individuo al quale si è legati da vincoli di ospitalità e protetto da Zeus Xenios, il nume che tutela la condizione dell’ospite straniero e predispone un rigoroso sistema di norme e consuetudini che occorre osservare. In numerosi canti è descritta la condizione dello straniero accolto con ospitalità. Nell’Odissea Ulisse è ospite straniero presso i Feaci (Od., VI-XII) e di nuovo ospite sarà ad Itaca sotto le mentite spoglie di un nobile cretese ridotto in miseria (Od., XVI-XXI). Così nel VI canto dell’Iliade il duello tra il licio Glauco e il greco Diomede si risolve in uno scambio di doni una volta che i due scoprono di essere uniti da un antico e sacro vincolo di ospitalità74. Gli eroi non esitano ad abbandonare il combattimento dopo l’avvenuto riconoscimento e ricongiungimento: il legame privato di amicizia sancito dalla ξενία finisce per imporsi sull’obiettivo comune che è rappresentato dalla guerra, così la dimensione individuale riemerge da uno stato di nebulizzazione entro cui pure era stata costretta in forza della necessità collettiva di un conflitto armato75. Appare dunque chiaro come da tale accezione del termine ξένος per indicare l’ospite straniero non emerga alcuna associazione con la categoria del nemico. Nella tradizione greca il termine che individua l’alterità e l’estraneità non è ξένος come Schmitt fa intendere, ma βάρβαρος, che trova diffusione durante gli anni delle guerre persiane per indicare i popoli non greci, o meglio, tutte le comunità o i singoli individui che si esprimevano in una lingua diversa dal greco. L’etimologia della voce, connessa alla radice onomatopeica bar-bar, doveva rilevare e riprodurre i suoni sgraziati e disarmonici delle parlate straniere, lingue primitive e lontane dal grado di evoluzione e raffinatezza del gre- 74 Cfr. Hom, Il. 6.119-236. L’interruzione è determinata dalla scoperta di un antico scambio di doni intercorso tra gli antenati dei due eroi, Oineo e Bellerofonte: «Tu sei dunque un ospite antico per me da parte di padre; il divino Oineo accolse un tempo il nobile Bellerofonte nella sua reggia e lo trattenne per venti giorni, e si scambiarono l’un l’altro doni ospitali, bellissimi; Oineo offrì una cintura di porpora, splendida, Bellerofonte una coppa d’oro a due manici […]. Io sono dunque per te ospite e amico in Argolide e tu in Licia, se mai io vi giunga. Non incrociamo le lance fra noi, anche se siamo in battaglia; sono molti i Troiani e gli illustri antenati che io posso uccidere […] e molti sono gli Achei che tu puoi abbattere. Scambiamoci invece le armi perché sappiano anche costoro che siamo ospiti per tradizione antica e questo è il nostro vanto». 75 Cfr. C. Schmitt, Le categorie, 33 ss., secondo il quale, proprio nei casi di emergenza, quando il diritto ordinario è sospeso, lo Stato afferma e rivela la fonte della propria sovranità e l’individuo finisce per annullarsi totalmente in esso: «[i]l sovrano è chi decide sullo stato di eccezione» ( 33). E ancora, «Il caso d’eccezione rende palese nel modo più chiaro l’essenza dell’autorità statale. Qui la decisione si distingue dalla norma giuridica, e (per formulare un paradosso) l’autorità dimostra di non aver bisogno di diritto per creare diritto» (40). 453 Interventi  Parte III co. Tale esclusiva caratterizzazione del termine per indicare lo straniero, che si sostanzia nell’espressione «πᾶς μὴ Ἕλλην βάρβαρος» – chiunque non sia greco è un barbaro – dunque – chiunque parli una lingua diversa dal greco non è un greco –, si spiega in quanto il mondo greco, scomposto in una miriade di patois politiche, riconosceva nella lingua comune il segno più distintivo della propria unità culturale. D’altra parte, l’evoluzione semantica del termine latino hostis deve aver convinto Schmitt dell’autenticità della sua asserzione: lo straniero è il nemico e il nemico è lo straniero. Il termine che più comunemente compare nei testi di storici, oratori e poeti latini per definire il nemico è appunto hostis, ma la voce aveva in origine un significato diverso. Così afferma Cicerone: «i nostri antenati chiamavano hostis quello che noi oggi chiamiamo peregrinus. Ne danno prova le dodici tavole […]. È ben vero che ormai il lungo tempo trascorso ha reso questo vocabolo assai più duro: esso ha perduto il significato di forestiero per indicare propriamente colui che ti vien contro con l’armi in pugno»76. E Varrone aggiunge che «molte parole oggi hanno un significato, mentre prima ne avevano un altro, come hostis: con quella parola chiamavano un tempo lo straniero, che faceva uso delle leggi proprie, ora chiamano con essa colui che allora chiamavano perduellis»77. È l’etimologia del termine a chiarire il passaggio semantico: hostis deriva da hostire dunque «contraccambiare», significato che ci riporta alla sfera della reciprocità e dello scambio di doni in rapporto allo straniero78. Il termine non sembra presupporre rilevanti barriere culturali come si è visto per il greco βάρβαρος, che definiva l’individuo “lontano” dall’ambiente culturale di appartenenza, e ciò per il fatto che i cittadini di Roma arcaica intrattenevano rapporti e scambi di diverso genere con le vicine genti italiche a un livello di sviluppo culturale che doveva essere il medesimo79. È con le prime campagne di conquista in età repubblicana che i popoli vicini, i quali fino a quel momento erano stati hostes, divengono nemici, avversari da conquistare e sottomettere. Una simile evoluzione non può essere intesa come uno sviluppo socio-antropologico indipendente e incondizionato, che è possibile generalizzare ed estendere a precetto universalmente valido: lo straniero è il nemico. Nel caso specifico esso viene piuttosto a rientrare entro un progetto di conquista ben definito, atto a realizzare il disegno di Roma caput mundi che può compiersi attraverso l’assorbimento di ogni alterità, di ogni elemento estraneo, in forza del quale si è finito per «[c]hiamare con un nome così benigno (hostis) colui col quale si combatte!»80. 76 Cic., De Off., 1.12.37. 77 Var., De l. Lat., 5.3. 78 Cfr. E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino 2001, 47 ss., ove viene approfondito il rapporto tra hostis e donum. 79 Cfr. M. Mauss, Saggio sul dono: forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, tr. di F. Zannino, Torino 2002, I ss., dove è descritto il modello «scambista» proprio delle società arcaiche e dove l’A. analizza «il carattere volontario, per così dire libero e gratuito e tuttavia obbligato e interessato delle prestazioni», che si realizza nella forma del dono. 80 Cic., De Off., 1.12.37. 454 Donato Vese Lo “stato di eccezione” del migrante… 6. Conclusioni. La risposta con la quale si intende sciogliere il rapporto tra lo status giuridico del migrante e il concetto di cittadinanza, così pure la spiegazione dello stesso status come “stato di eccezione” è resa nella conclusione del presente scritto del quale ne rappresenta anche la tesi. L’applicazione ai migranti delle garanzie costituzionali e con esse dei princìpi fondamentali e delle tutele giurisdizionali che sono propri del diritto amministrativo non subisce alcuna eccezione per il fatto che si è di fronte ad una situazione giuridica non disciplinata dall’ordinamento. Così come non subisce limitazioni l’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali per il fatto di trovarsi di fronte a non-cittadini, perché il «nomos dei migranti non ha né topos né Ortung, così come la loro persona non pertiene ad un territorio»81. Il declino della sovranità degli Stati82, la crisi della legalità formale83, la globalizzazione dei processi economici, la trasformazione della guerra, richiedono che sussista uno ius gentium – un diritto comune delle persone in movimento nello spazio84 con le loro aspettative giuridiche – che esista indipendentemente dall’ordine giuridico dell’autorità85. E il migrante è un paradigma di questa legalità: egli non ha patria, fugge dall’ordine giuridico dell’autorità che ne ha oppresse le libertà fondamentali e domanda ingresso in un territorio perché siano rispettate86. Il bisogno di cui il migrante è portatore ci fa prendere atto che deve esistere una realtà giuridica svincolata dall’ordine legale dello Stato nazionale o dell’Unione Europea, dai concetti di cittadinanza, e che abita nell’ordine giuridico della società, nel valore normativo della persona. Al contrario dell’ordine della legge, del nomos dello Stato, che, per riprende- 81 Così L.R. Perfetti, La legalità cit., 408. 82 Su cui si v. K. Jayasuriya, Globalization, law and the transformation of sovereignty: the emergence of global regulatory governance, in Indiana journal of global legal studies, vol. 6 1999, passim; G. Palombella, Oltre la certezza. Il diritto in equilibrio tra giustizia e democrazia, Bari 2006, 195 ss.; G. Silvestri, La parabola della sovranità. Ascesa declino e trasfigurazione di un modello, in Riv. dir. cost., 1996, 3 ss.; E. Cannizzaro, Esercizio di competenze e sovranità nell’esperienza giuridica dell’integrazione europea, ivi, 1996, 76; M. Luciani, L’antisovrano e la crisi delle istituzioni, ivi, 124; Molte considerazioni che si ritrovano già in S. Romano, Lo Stato moderno e la sua crisi, in Riv. dir. pubbl. II, 1910, 97 ss. 83 Secondo la definizione di L. Ferrajoli, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, vol. II, Teoria della democrazia, Roma-Bari 2007, 29-30, il principio di legalità deve essere inteso «quale norma di riconoscimento del diritto vigente» e quale «criterio esclusivo di identificazione del diritto valido». Nel diritto amministrativo, tra gli altri, si v. B. Sordi, Legge e amministrazione: incontri e scontri, in Le legalità e la crisi della legalità, (a cura di C. Storti), Torino 2016, 171-181. Ma più diffusamente si v. Id, Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia. La prospettiva storica, in Diritto amministrativo I, 2008, 1-28. 84 S. Angioi, Cittadino, straniero e immigrato: evoluzione del concetto e del rapporto di cittadinanza tra norme internazionali e diritto interno, in La Comunità Internazionale, 2001, 183-221. 85 P. Saitta, Integrazione, cittadinanza e immigrazione. I lenti mutamenti del diritto, in Soc. dir., 2002, 41-58. 86 Sul punto sono interessanti le considerazioni di S. Reda, Il diritto all’asilo nel continuo equilibrio fra etica e diritto. L’esigenza di tutela del diritto umano all’asilo ed il continuo e necessario intreccio con la cittadinanza, in Cultura e diritti, 2012, 49-58, sulla scorta delle quali, in tema di protezione del migrante, si sostiene la tesi dell’esistenza di un generale divieto di allontanamento combinato col generale rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, cui l’A. lega il concetto di cittadinanza. 455 Interventi  Parte III re ancora una volta il pensiero schmittiano87, hanno necessità di «Ortung»88, ossia di localizzazione in un dove preciso, in una terra precisa, mentre quel che il migrante personifica è il paradigma di una legalità senza luogo, senza autorità sovrana, senza legge. D’altra parte, nel pensiero di Schmitt il binomio terra/mare e soprattutto il binomio individuo/terra rappresenta un vero e proprio scontro tra tradizione e sradicamento. Egli coglie bene (pp. 80-81) come il legame con la terra non è più in grado di spiegare le decisioni planetarie del ventesimo secolo, l’epoca «dell’aria e del fuoco», della spazializzazione infinita (ivi). Schmitt ripensa allora all’argomento (mitico anch’esso) del finis historiae: il ventesimo secolo, così, contraddistingue la fine del nomos della terra e del mare (p. 82). Va tratteggiandosi per tale via la classica situazione schmittiana dell’eccezionalità, del vuoto «epocale» che richiede un nuovo nomos, frutto di una decisione il cui soggetto, tuttavia, è ignoto. Come nel mito l’epocalità rinnova, ad un livello più alto ed in forme mutate, l’eterna conflittualità89. Ciò che il migrante personifica è la necessità di riconoscere l’esistenza di un ordine di pretese giuridiche e di regole – anch’esse giuridiche – di natura realmente globale, che prescindano da confinazioni e localizzazioni di cui tipicamente fanno uso gli Stati-nazione per segnare il limite della validità dell’esercizio dei diritti90, anche di quelli fondamentali riconosciuti dalle costituzioni. Riaffiorano le idee che in Interpretazione costituzionale Giorgio Berti91 già ebbe su un simile concetto di cittadinanza. A proposito delle «[l]ibertà del cittadino» e delle «libertà dell’uomo», Berti auspica quel processo di “sostanzializzazione” della cittadinanza, che pure è presente fra le pieghe della Costituzione, ma che trova difficoltà ad emergere in quanto tale. In quelle pagine così dense di spunti si legge quanto segue. «Qualche riflessione merita la riserva di alcuni diritti, come la circolazione, la riunione, l’associazione, ai soli cittadini. Ebbene, pare si stiano verificando i presupposti perché anche questi diritti si affermino nei confronti delle persone, indipendentemente dalla cittadinanza come identificazione dell’appartenenza formale ad uno stato»92. Berti sa bene che nella Costituzione vi sono diversi articoli «che sembrano invece favorire, con la garanzia di alcuni diritti, i cittadini rispetto a coloro 87 Sul punto si v. G. Tropea, Homo sacer? cit., 846. Secondo l’A. «a Schmitt va anche ascritto il tentativo più ri- goroso di costruire una teoria dello stato di eccezione. Come noto, il tema centrale torna ad essere la sovranità: «sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione (Ausnahmezustand)». L’idea è quella di collegare direttamente eccezione e sovranità, iscrivendo lo stato di eccezione in un contesto giuridico. Operazione potenzialmente paradossale, se non aporetica, perché ciò che deve essere iscritto nel diritto è qualcosa di essenzialmente esteriore ad esso». 88 C. Schmitt, Land und Meer. Eine weltgeschichtliche Betrachtung, Leipzig, 1942, tr. it. Milano 2002, 73 ss. 89 Sul punto cfr. C. Bonvecchio, “Il Politico”, in Il Politico vol. 51, 1, 1986, 149-150. 90 G. Fiengo, La nuova frontiera dei diritti sociali e della cittadinanza europea alla luce del Trattato di Lisbona, in Dir. pubbl. comp. eur., 2015, 1029-1046. 91 G. Berti, Interpretazione costituzionale, Lezioni di diritto pubblico, Padova 2001. 92 G. Berti, Interpretazione cit., 377. 456 Donato Vese Lo “stato di eccezione” del migrante… che tali non sono (stranieri, apolidi)». Ciò a maggior ragione, secondo l’Autore, mette in evidenza «un certo contrasto con l’art. 2 [della Costituzione] e la libertà generale da esso riconosciuta a tutte le persone, indipendentemente dalla cittadinanza»93. Berti osserva come il concetto di sovranità nazionale vada adeguatamente ridimensionato alla luce dell’affermarsi del «mondo del sovranazionale» e del «diritto universale» che, «quanto più si articola e si sfaccetta, tanto più deve appoggiarsi all’unità della persona (non quindi del cittadino)»94. Il diritto di cui sono portatori i migranti – vale a dire il diritto che, nella prospettiva bertiana appena richiamata, si radica nella dimensione normativa95 della persona, nella natura extra-legale dei suoi diritti fondamentali – è una prima, significativa emersione di un nomos globale, a-territoriale, in movimento, la cui pretesa decisiva è di essere comune, indipendente dal confine degli ordinamenti, globale perché destinato ad essere riconosciuto da qualunque ordinamento locale96. Se davvero ciò si realizzasse, se davvero un nomos globale iniziasse ad essere riconosciuto e tutelato dagli stati, se davvero le tante vite dei nostri fratelli migranti che il mare ha inesorabilmente spezzato ci fossero da monito, allora, forse, potremmo pensare all’avvento di una nuova «koinè giuridica»97. 93 G. Berti, Interpretazione cit. 94 G. Berti, Interpretazione cit. 95 Sul punto va richiamato il pensiero di G. Berti, Interpretazione costituzionale, Padova 1990, 46, secondo il quale «la norma che scaturisce dal processo normativo è fondamentalmente una proposta o un progetto ovvero una direttiva, la quale va però saggiata e resa effettiva, e se si vuole cogente, attraverso una serie infinita di confronti e di processi attuativi. E su quest’ultimo, U. Allegretti, Il pensiero amministrativo di Giorgio Berti: l’amministrazione capovolta, in Legalità e illegalità le due facce del pluralismo, (a cura di G. Berti), nella rivista Ritorno al diritto. I valori della convivenza, 2007, 71 ss. 96 L.R. Perfetti, La legalità cit., 408. 97 I. Del Vecchio, “Koinè” costituzionale e cittadinanza europea. La lunga strada della tutela dei diritti in Europa, in Dir. soc. 2015, 423 - 441, secondo cui la «koinè costituzionale europea» deve fondarsi sulla equilibrata tensione tra due principi, quello della omogeneità costituzionale e quello delle identità nazionali e sul legame a doppio filo che collega la tutela dei diritti fondamentali alla cittadinanza europea. Mentre il primo binomio valoriale, omogeneità costituzionale e identità nazionali, è esplicitato nei Trattati post-Lisbona, il collegamento tra la tutela dei diritti fondamentali e la cittadinanza europea è frutto della giurisprudenza della Corte di giustizia UE. 457 Interventi Parte IV La tutela dello straniero tra giurisdizione e interpretazione Interventi  Parte IV OSSERVAZIONI SUL RIPARTO DI GIURISDIZIONE IN MATERIA DI TUTELA GIURIDIZIONALE DEL MIGRANTE ~ Ada Caldarera ~ 1. L’EMERGENZA IMMIGRAZIONE E LA CONDIZIONE GIURIDICA DELLO STRANIERO • 2. LA TUTELA PROCESSUALE E IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE • 3. IL GIUDICE AMMINISTRATIVO E LA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI. 1. L’emergenza immigrazione e la condizione giuridica dello straniero. Una riflessione sul fenomeno migratorio coinvolge una molteplicità di aspetti che superano la dimensione puramente sociologica e politica, per abbracciare anche, e soprattutto, quella giuridica. In tal senso, non solo la questione dei diritti – fondamentali1, da garantire al migrante2, ma anche quella della tutela giurisdizionale, specificazione della prima, da accordargli, costituiscono, senz’altro, aspetti di tale fenomeno estremamente interessanti e di attualità, specie a seguito del progressivo affermarsi di un nuovo tipo di società “multiculturale”, ossia, una convivenza sul medesimo territorio nazionale di una molteplicità di gruppi sociali con valori, pratiche, credenze, norme giuridiche, strutture di relazioni sociali differenti3. Se fino ad un passato recente la questione principale che poteva porsi a fronte del fenomeno migratorio era soltanto quella dell’individuazione di strategie di inclusione per mezzo del riconoscimento dei diritti fondamentali dei migranti4, i fatti della cronaca più attuale mostrano che tale fenomeno oltre ad essere in costante aumento, tanto da costituire una 1 Sui diritti fondamentali si veda, ex multis, V. Baldini, “Che cosa è un diritto fondamentale”. La classificazione dei diritti fondamentali. Profili storico – teorico- positivi, in www.dirittifondamentali.it, 2016. 2 M. Immordino, Pubbliche amministrazioni e tutela dei diritti fondamentali degli immigrati, in www.federalismi. it, 2014, 2. 3 Così, G. Cerrina Feroni, Diritto costituzionale e società multiculturale, in www.rivistaaic.it, 2017, 3. 4 Per lo più, peraltro, provenienti da Paesi con una economia debole, in cerca di un lavoro per poter migliorare le condizioni di vita proprie e delle famiglie rimaste nel Paese d’origine e, per lo più, ivi intenzionati a tornare. Quelli che, in altri termini, E. F. Kunz, The refugee in flight: Kinetic models and forms of displacement, in International Migration Review, 1973, 125 ss., definì “migranti economici”, intendendo così differenziare chi parte per necessità (i migranti che cercano asilo, i rifugiati) da chi lo fa per scelta (coloro, cioè, che lasciano il proprio Paese attratti da migliori prospettive economiche). 460 Ada Caldarera Osservazioni sul riparto di giurisdizione… vera e propria emergenza umanitaria5, induce a riconsiderare con sempre maggiore attenzione non solo le strategie volte a garantire la realizzazione dei presupposti giuridici, sociali e culturali orientati ad un’effettiva integrazione di chi giunge nel nostro Paese per sfuggire temporaneamente a condizioni di vita insostenibili, ma con l’intento di restare e porre le basi di un nuovo percorso di vita, ma anche i rapporti immigrazione – sicurezza, che caratterizzano una vicenda che certo supera i confini nazionali ed il cui esame ha senz’altro rilievo costituzionale6. Caratteristica principale di questa materia è, infatti, la varietà di interessi pubblici perseguiti: obiettivi di politica economica e sviluppo sociale dello Stato, tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale, interesse alla cooperazione con altri Stati; e, tutto ciò, nell’ambito degli obblighi di protezione e tutela dei diritti della persona, che lo Sato assume sul piano interno e, appunto, su quello internazionale7. Proprio l’idea del multiculturalismo8, è volta a garantire che i diversi gruppi culturali e le diverse etnie vivano l’uno accanto all’altra nel mutuo rispetto, nella massima tolleranza e nella massima libertà, senza reciproche forme di sovrapposizione o di influenza. In tal senso il “processo di inclusione dell’altro” non dovrebbe essere inteso né come assimilazione dell’altro nel senso dell’appiattimento di tutti i valori, né come chiusura verso il diverso, bensì nel senso che i confini della comunità sono aperti a tutti, senza che sia necessario che gli stranieri rinuncino, per poter entrare in quella comunità, alle loro credenze ed ai loro valori, bastando che accettino e facciano propri i principi della Costituzione9. Il c.d. esodo del terzo millennio ha, invece, profondamente complicato il quadro della mobilità in Europa, ove la prevalenza dell’esigenza di sicurezza, ma anche la grave crisi economica in corso, hanno trasformato la questione dell’inclusione “nell’esclusione dell’altro” che viene considerato un intruso, con la conseguenza del progressivo indebolirsi dei suoi diritti10 e, correlativamente, ha messo in crisi i sistemi di integrazione di alcuni grandi Pa- 5 I numeri sono altissimi: basti considerare che solo negli ultimi tre giorni della Pasqua appena trascorsa si sono verificati ben 8300 sbarchi sulle coste siciliane, mentre, nei primi sei mesi del 2017, circa 85.000 in tutta l’Italia. 6 Basti pensare alle norme contenute nella nostra Costituzione ma anche, e in particolare, a quelle contenute nella CEDU e nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE. 7 M.R. Spasiano, Principi sull’immigrazione, in Cittadinanza inclusiva flussi migratori (a cura di F. Astone, F. Manganaro, A. Romano Tassone, F. Saitta), Soveria Mannelli 2009, 9 ss.; M. D’Auria, L’immigrazione e l’emigrazione, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale (a cura di S. Cassese), vol. II, Milano 2003, 1063 ss. 8 Che si ispira ai principi della parificazione e della non discriminazione di individui e gruppi e discende dai c.d. post colonial studies sviluppatisi dopo la decolonizzazione con lo scopo di demolire l’idea della superiorità della cultura occidentale su tutte le altre (in proposito, L. Gandhi, The Common Cause: Postcolonial Ethics and the Practice of Democracy, 1900 – 1955, Chicago, 2014). Per il multiculturalismo è fondamentale riconoscere pari dignità alle espressioni culturali dei singoli e dei gruppi che convivono in un ordinamento democratico, ciascuna persona, infatti, avrebbe il diritto di crescere all’interno della propria cultura di nascita o d’elezione. In argomento, E. Ceccherini, Multiculturalismo (dir. comp.), in Dig. Disc. Pubbl., Aggiornamento, Torino 2008, 486 ss. 9 In tal senso, J. Habermas, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, trad. it. L. Ceppa, Milano 1998, 10. 10 In questi termini, P. Chiarella, Il terzo intruso: problemi del fenomeno migratorio in Europa, in www.federalismi.it, 2017, 2. 461 Interventi  Parte IV esi europei, quali Gran Bretagna, Francia e Germania. Paesi che, storicamente, sembrava fossero riusciti, per mezzo di particolari politiche di integrazione11, a creare società multiculturali perfettamente integrate12. Ciò evidenzia, peraltro, come il progetto kantiano di una universale unificazione dell’umanità13 – e quindi della costituzione di un’unica identità14 completamente inclusiva e priva di ogni volontà di tipo discriminatorio – risulta ancora ambizioso e ben lontano dall’essere raggiunto. Ne è testimonianza il recente orientamento della Corte di Cassazione sul c.d. “caso kirpan”15, ove la Suprema Corte, muovendo dall’assunto secondo cui, in una società multietnica, la convivenza tra soggetti appartenenti a diverse culture necessita dell’identificazione di un nucleo comune in cui gli immigrati e la società di accoglienza debbono riconoscersi, fermo restando il diritto dell’immigrato di non abbandonare la propria cultura d’origine in nome dell’integrazione, nonché il limite del rispetto, da parte di tali istanze culturali, dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante, con l’ovvia conseguenza che il c.d. diritto alla cultura – ossia, a mantenere la propria cultura – può essere sacrificato, in sede di bilanciamento, solo nel caso in cui ad esso sia contrapposto il nucleo incomprimi- 11 Sulle diverse varianti del multiculturalismo, P. Donati, Oltre il multiculturalismo, Roma – Bari 2008. Più in particolare, il modello multiculturale britannico parte dal presupposto del riconoscimento della frammentarietà e della diversità culturale della società e si orienta a tutelare l’identità originaria degli immigrati e il loro senso di appartenenza comunitaria, mentre il dialogo dello Stato con gli immigrati viene promosso a livello delle singole comunità, piuttosto che direttamente con i singoli individui. Tuttavia, oggi va affermandosi l’abbandono della c.d. “tolleranza passiva” e l’approccio indifferente ai valori (com’è noto, la Gran Bretagna aveva persino concesso alle comunità islamiche presenti nel territorio di regolare la giustizia in materia di famiglia ed eredità per mezzo delle Shari’a Councils). In altri termini, si afferma che l’identità nazionale è una sola e gli immigrati, sia come singoli che come comunità, devono rispettarne i fondamenti. La Germania, si è caratterizzata per una significativa varietà di approcci che vanno dal riconoscimento della diversità culturale, ossia dalla possibilità dei “culturalmente diversi” di ottenere una tutela differenziata, all’assimilazione delle diversità all’interno di uno standard uniforme. Il multiculturalismo alla tedesca si è contraddistinto per la convinzione che gli immigrati non si integrano e non si assimilano, ma, negli ultimi tempi, sono state adottate svariate misure legislative finalizzate a favorire una concreta integrazione degli stranieri: con la puntualizzazione che se le istituzioni devono promuovere il riconoscimento della diversità culturale, possono, per contro, pretendere che lo straniero venga educato al rispetto delle tradizioni e dei valori della società di accoglienza, ossia che partecipi alle misure di integrazione. Ciò anche per ottenere il pieno godimento delle prestazioni socio-assistenziali. Il modello alla francese, infine, si basa su alcuni pilastri che ne rappresentano la tipicità e la rigidità. Innanzitutto, è un sistema assimilazionista che punta a formare cittadini di elezione i quali, a prescindere dalla cultura, etnia, religione di provenienza, sono considerati uguali davanti alla Repubblica: una volta accettati e condivisi i valori di fondo dell’ordinamento costituzionale non vengono posti limiti alla possibilità di diventare, a tutti gli effetti, cittadini francesi. Il sistema si basa, poi, sul concetto di cittadinanza alla francese, modello astratto di cittadino non caratterizzato da alcuna appartenenza identitaria e con la netta separazione tra sfera pubblica e sfera privata. Lo Stato agisce secondo criteri universali, uguali per tutti e non accetta che ci sia un trattamento differenziato per gruppi che hanno una propria, specifica identità culturale, etnica o religiosa. Il modello, infine, si caratterizza per la laicità alla francese: valore irrinunciabile per il Paese, che impedisce qualsiasi esposizione di simboli religiosi nei luoghi pubblici. Si rinvia, per approfondimenti, a G. Cerrina Feroni, Diritto costituzionale e società multiculturale, cit., 6 ss. 12 Sia consentito rinviare, per approfondimenti sul punto, a A. Caldarera, Osservazioni sulla tutela giurisdizionale del migrante, in www.giustamm.it, 2017, 2. 13 I. Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico, Roma, 1985. 14 Sul concetto di identità, Z. Bauman, Intervista sull’identità, Roma – Bari 2003. 15 Cass. pen. (sezione I), 31 marzo 2017, n. 24084, in www.cortedicassazione.it. 462 Ada Caldarera Osservazioni sul riparto di giurisdizione… bile di un interesse costituzionalmente rilevante o di un diritto fondamentale della persona16, giunge a sostenere, forse eccedendo nelle valutazioni di sua competenza17, che sussisterebbe in capo all’immigrato un generale dovere di conformazione ai valori dell’ordinamento ospitante, nonché una sorta di dovere di verifica preventiva della compatibilità delle proprie condotte con i menzionati valori, con ciò affermando, in definitiva, l’automatica prevalenza riconosciuta all’ordine pubblico e, conseguentemente, alla tutela della sicurezza, sul diritto alla libertà religiosa sancito dall’art. 19 Cost18. Con ciò riprendendo peraltro, da un certo punto di vista, il pensiero schmittiano per cui, in linea di massima, lo straniero, in quanto esistenzialmente diverso da noi, è potenzialmente un nemico da combattere e, perciò, è necessario tracciare in modo sicuro i confini tra proprio ed estraneo, privato e pubblico, dal quale possa emergere l’identità del soggetto sovrano19. La necessità di una “strategia della prevenzione”20, tuttavia, ove non adeguatamente intesa e ponderata, rischia di rendere ancora più stridente la contrapposizione tra i principi propri dello Stato di diritto e le dinamiche dello Stato di prevenzione, archetipi che, astrattamente, mostrano presupposti e canoni che tendono a porsi su un parallelismo tendenzialmente non convergente e conciliabile21. Si può sottolineare che, se la sicurezza22 dei 16 Sul punto, P. Parolari, Culture, diritto, diritti. Diversità culturale e diritti fondamentali negli stati costituzionali di diritto, Torino, 2016; J. Luther, Le frontiere dei diritti culturali in Europa, in Diritti e Costituzione nell’Unione Europea (a cura di G. Zagrebelsky), Roma – Bari 2003, 221 ss.; A.D. Renteln, Cultural defense in international criminal tribunals: a preliminary consideration of the issue in Southwestern Journal of International Law, 2012, 270 ss. 17 In tal senso, A.M. Nico, Ordine pubblico e libertà di religione in una società multiculturale. (Osservazioni a margine di una recente sentenza della Cassazione sul kirpan), in www.osservatorioaic.it, 2017, 4. 18 Sul punto, criticamente, G. Cavaggion, Diritto alla libertà religiosa, pubblica sicurezza e “valori occidentali”. Le implicazioni della sentenza della Cassazione nel “caso kirpan” per il modello di integrazione italiano, in www.federalismi.it, 2017, 19. Anche in altri Stati dell’Unione, peraltro, si registra un deciso cambio di rotta sul tema: la Corte europea dei diritti umani, Belcacemi & Oussar v. Belgio, sentenza del 11 luglio 2017, ha stabilito, richiamando peraltro espressamente il suo precedente Corte europea dei diritti umani, S.A.S. v. France, sentenza del 1 luglio 2014, ricorso n. 43835/11, in www.echr.coe.int, che la legge belga dell’1 giugno 2011 sul divieto di indossare vesti che coprano parzialmente o totalmente il volto non viola la CEDU. La restrizione normativa, secondo i giudici europei, è riuscita a bilanciare l’esigenza di garantire le condizioni di convivenza civile con la tutela dei diritti e delle libertà individuali necessarie in una società democratica. Anzi, si legge nel comunicato stampa emesso dalla Corte, “il Belgio ha cercato di rispondere a una pratica che riteneva incompatibile con la comunicazione sociale e la creazione di relazioni umane, indispensabili per la vita della società” con ciò evidenziando che sia per il legislatore belga che per la Corte europea dei diritti umani tali interazioni sono essenziali per il funzionamento di una società democratica. 19 C. Schmitt, Le categorie del “politico”. Saggi di una teoria politica, Bologna 1972, 108 – 109. 20 D’altra parte dettata dal fatto che agli episodi di, per così dire, normale criminalità, si sovrappongono i fatti, di ovvia maggiore rilevanza mediatica, di terrorismo internazionale di matrice fondamentalista – religiosa legati alla c.d. jihad, che, a partire dal terribile 11 settembre 2001, occupano le cronache occidentali esasperando la “questione sicurezza” e riproponendo in termini viepiù drammatici la difficoltà di definire il rapporto tra diritti fondamentali e pubblici poteri nella cornice dello Stato costituzionale di diritto, democratico e pluralista. 21 In tal senso F. Famiglietti, La sicurezza “ai tempi dell’ISIS”: tra “stato di emergenza”, diritto penale “del nemico” e rivitalizzazione del diritto di polizia in un sistema integrato di azioni e strutture, in www.dirittifondamentali.it, 2016, 2. 22 Per la qualificazione della “sicurezza” come vero e proprio “primario e naturale diritto dell’individuo necessario al godimento delle libertà che l’ordinamento gli attribuisce” e non come categoria collegata esclusivamente all’inte- 463 Interventi  Parte IV cittadini è esigenza imprescindibile, che esula dagli orientamenti politici del momento e che deve essere, comunque, garantita avuto riguardo alle libertà fondamentali ed agli altri diritti garantiti dalla Costituzione23, altrettanto imprescindibile risulta che la medesima esigenza di sicurezza e le medesime libertà e diritti dovrebbero essere goduti anche dagli immigrati, pur non essendo cittadini. È noto, infatti, che, nonostante la loro natura di diritti fondamentali, alcuni di tali diritti non vengono riconosciuti a tutti i soggetti che si trovano nel territorio dello Stato, ma solo ad alcuni di essi, sulla base di criteri di inclusione – esclusione, in violazione del principio di uguaglianza e del principio comunitario di non discriminazione24. La legge che regola la condizione giuridica dello straniero, infatti, incontra non soltanto i limiti delle norme e dei trattati internazionali, cui espressamente rinvia l’art. 10, comma 2 Cost.25, ma anche quelli dettati da altre disposizioni della medesima Costituzione che prendono in esclusiva considerazione i cittadini26, nonché da alcune norme generali qual è, ad esempio, l’art. 16 delle disposizioni preliminari al codice civile27 sul trattamento dello straniero, ai sensi del quale “lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali”. Il valore giuridico dello straniero dipenderebbe, così, dalla sua appartenenza ad un altro Stato, secondo un tipico criterio del diritto internazionale classico, inteso come ordinamento che regola i rapporti tra gli Stati: l’individuo per questo diritto, è solo un riflesso dello Stato di appartenenza28. resse pubblico, P. Torretta, Diritto alla sicurezza e (altri) diritti e libertà della persona: un complesso bilanciamento costituzionale, in Diritti fondamentali e Costituzione, Aa.Vv., Milano 2003, 463; G. Cerrina Feroni - G. Morbidelli, La sicurezza: un valore superprimario, in Percorsi costituzionali, 2008, 30 ss., secondo cui la sicurezza va intesa come “diritto sociale costituzionalmente garantito”, come vero e proprio valore giuridico supremo, sebbene non espressamente enunciato; P. Barile, Garanzie costituzionali e diritti fondamentali: un’introduzione, in Garanzie costituzionali e diritti fondamentali (a cura di L. Lanfranchi), Roma 2004, 18, secondo cui la sicurezza potrebbe essere considerata come un “diritto sociale condizionato”, ossia come diritto “il cui godimento dipende dalla presenza di una organizzazione erogatrice delle prestazioni”. 23 G. Tropea, Homo sacer? Considerazioni perplesse sulla tutela processuale del migrante, in Dir. amm., 2008, 839 ss. 24 Così, M. Immordino, Pubbliche amministrazioni e tutela dei diritti fondamentali degli immigrati, cit., 3. Ma, si veda anche B.S. Turner, Cittadinanza, multiculturalismo e pluralismo giuridico: diritti culturali e teoria del riconoscimento critico, in www.postfilosofie.it, 2005, 86, per il quale i diritti umani sono diritti senza territori, mentre i sistemi di diritto sono generalmente collegati alle comunità politiche sovrane. Questo, dunque, sarebbe il cuore dello scontro tra cittadinanza (diritti sociali basati sull’appartenenza ad uno Stato-Nazione e sulla sicurezza nazionale) e diritti umani che esistono in virtù della vulnerabilità degli esseri umani. I diritti di cittadinanza, quindi, implicano doveri sociali dentro uno spazio definito, mentre i diritti umani offrono protezione e non ne specificano in quanto tali i doveri. 25 Si veda, ex multis, E. Cannizzaro – A. Caligiuri, Art. 10, in Commentario alla Costituzione (a cura di R. Bifulco – A. Celotto – M. Olivetti), Padova 2006, 242 ss. 26 G. Corso, La disciplina dell’immigrazione tra diritti fondamentali e discrezionalità del legislatore nella giurisprudenza costituzionale, in www.cortecostituzionale.it, 2012, 1. 27 Che l’art. 73 della Legge 31 maggio 1995, n. 218, di riforma della normativa di diritto internazionale privato, non ha abrogato. 28 Così, V. Onida, Lo statuto costituzionale del non cittadino, Relazione introduttiva svolta al Convegno di Cagliari dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti su “Lo statuto costituzionale del non cittadino”, 16 ottobre 2009, in www.rivistaaic.it, 2009, 9. 464 Ada Caldarera Osservazioni sul riparto di giurisdizione… Quanto detto, naturalmente, si riverbera sul rapporto tra diritti dell’uomo e diritti dei cittadini29. Il problema si pone in quanto nell’ordinamento internazionale la disciplina della condizione giuridica dello straniero è improntata al principio dell’obbligo di protezione in virtù del quale lo Stato deve apprestare misure volte ad evitare che ne venga lesa l’integrità fisica, morale e patrimoniale. Mentre, oggi, per i motivi che sono stati poc’anzi evidenziati, il migrante viene considerato un intruso, un soggetto sgradito, “un problema in persona” e non, come in realtà e per la maggior parte dei casi, una persona con dei problemi, la cui “soggettività è degradata al valore delle “vite di scarto”, di cui non ci si può fare carico per ragioni di economicità, di spazio e non solo. Sbiadisce così la gravità della condizione esistenziale dello straniero, sicché per provare il “il suo bisogno d’aiuto può bastare il fatto stesso della fuga”30. Non è un caso, allora, che le leggi sull’immigrazione emanate negli ultimi anni sembrano sempre più orientate a regolare i modi e le ragioni per mandar via gli stranieri che entrino nel territorio dello Stato, per lo più in maniera irregolare e dopo avere affrontato i terribili viaggi della speranza che ormai tutti conoscono, piuttosto che i mezzi per includere tali soggetti nella c.d. società civile31. Né, può essere considerato del tutto riuscito il tentativo operato in tal senso dal c.d. Accordo di integrazione tra lo Stato e il cittadino straniero, introdotto con la L. 15 luglio 2009, n. 94, che per la prima volta definisce normativamente il concetto di integrazione, ossia “quel processo finalizzato alla convivenza tra italiani e stranieri nel rispetto dei valori della Costituzione e alla partecipazione alla vita politica, economica e sociale” (art. 4 – bis, comma 1)32. Se formalmente questa politica di “integrazione culturale” (per vero di tipo assimilazionista alla francese) può sembrare 29 Sul punto, A. Pace, Dai diritti del cittadino ai diritti fondamentali dell’uomo, in www.rivistaaic.it, 2010, 1 ss. 30 Così, P. Chiarella, Il terzo intruso, cit., 3. In proposito, si vedano le considerazioni, richiamate dall’A., di Z. Bau- man, Wasted lives. Modernity and its outcasts, Cambridge 2003 e J. Habermas, Lotte di riconoscimento nello stato democra- tico di diritto, in Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento (a cura di J. Habermas, C. Taylor), Milano 2008, 102. 31 In proposito, però, si deve segnalare la norma contenuta nell’art. 8, lett.d), d.l. n. 13/2017, conv. con modificazioni in l. n. 46/2017, che aggiunge al d.lgs. n. 142/2015 (“Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale”) il nuovo art. 22-bis, relativo alla partecipazione dei richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali. La disposizione, nel rinviare alla legislazione vigente in materia di lavori socialmente utili, individua nel Prefetto, d’intesa con i Comuni, le Regioni e le Provincie autonome, il soggetto promotore di questo tipo di attività, anche con la stipula di protocolli d’intesa con i summenzionati enti, nonché con le organizzazioni del terzo settore. 32 Con l’accordo, che deve essere firmato al momento della presentazione della domanda di permesso di soggiorno, lo straniero s’impegna a raggiungere, entro la scadenza del permesso stesso, alcuni obiettivi quali la sufficiente conoscenza della lingua italiana, dei principi della Costituzione e delle regole della vita civile. Egli, inoltre, si impegna a rispettare tali regole oltre che i valori contenuti nella Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione (D.M. 23 aprile 2007), documento che descrive la storia e i principi su cui è basata l’identità italiana contenente, inoltre, una lista dei diritti e dei valori costituzionali più importanti e significativi nel campo dell’integrazione, quali il principio di uguaglianza, di libertà personale, di laicità, di libertà di religione e di opinione. L’accordo è articolato per crediti formativi e allo scadere del permesso di soggiorno lo straniero deve dimostrare di averne soddisfatto le condizioni. I punti vengono decurtati o persi in caso di accertamento di reati. Con l’accordo lo Stato, invece, si impegna a sostenere l’integrazione dello straniero attraverso il godimento dei diritti fondamentali, tra cui, ovviamente, rientrano quelli di natura sociale e assistenziale, nonché a predisporre gli strumenti idonei all’acquisizione della conoscenza della lingua e della vita civile italiana, ossia deve predisporre corsi di lingua e integrazione. 465 Interventi  Parte IV efficace, si è rivelata, invece, fallimentare nei suoi profili applicativi non esistendo, ad esempio, programmi a livello nazionale che prevedano una formazione linguistica unificata (e gli interventi a livello regionale e comunale non sono coordinati a livello locale)33. V’è da aggiungere, tuttavia, che l’Italia si caratterizza per un relativo ritardo nel predisporre una disciplina amministrativa dell’immigrazione, trattandosi di un fenomeno piuttosto recente in questo ordinamento34. Al di fuori delle scelte compiute in tema di flussi migratori, l’inesistenza di un diritto o di una pretesa tutelata all’ingresso e al soggiorno nel paese, è confermata dall’art. 10, comma 3 Cost.: solo lo straniero al quale sia impedito nel proprio paese l’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo in Italia, lo straniero che non si trovi in questa situazione, come ad esempio chi tornerebbe “in un paese in cui la situazione economica (…) sarebbe peggiore che nello Stato contraente di espulsione”35, non può vantare tale diritto. Ad ogni modo, ai rifugiati è riconosciuto un trattamento favorevole almeno quanto quello concesso ai cittadini in tema di libertà della pratica religiosa e dell’istruzione religiosa dei figli, protezione della proprietà intellettuale e industriale, libero accesso alla giustizia, istruzione pubblica, assistenza pubblica e legislazione del lavoro e della sicurezza sociale. Un trattamento non meno favorevole di quello accordato agli stranieri in generale riguarda, invece, la proprietà mobiliare e immobiliare, il diritto di associazione, l’esercizio di attività professionali dipendenti, le attività autonome e le libere professioni, l’accesso all’alloggio e alla libertà di circolazione36. Per il riconoscimento di tali diritti, fondamentali in quanto espressione concreta della dignità umana, un ruolo senz’altro decisivo è stato svolto dall’opera di interpretazione della Corte Costituzionale37, pur se nella maggior parte dei casi essa si esprime attraverso 33 G. Cerrina Feroni, Diritto costituzionale e società multiculturale, cit., 38. 34 L’Italia è stato, infatti, per gran parte del XX secolo, un Paese di emigrazione e solo a partire dagli anni ’80 si è assistito ad un’inversione di tendenza con i primi flussi migratori consistenti, per l’effetto congiunto dell’immigrazione economica, relativa all’ingresso per motivi di lavoro, e di quella forzata, per ragioni politiche, proveniente dai Paesi vicini. Le cause del fenomeno migratorio furono, quindi, plurime, dovute sia all’instabilità politica che alla crescente domanda di lavoro. Per una ricostruzione storica sul punto, si veda M. Savino, Le libertà degli altri: la regolazione amministrativa dei flussi migratori, Milano 2012. È stato anche evidenziato da una certa parte della dottrina (L. Einaudi, Le politiche dell’immigrazione in Italia dall’Unità ad oggi, Roma – Bari 2007, 60; C. Bonifazi, L’immigrazione straniera in Italia, Bologna 2007, 83) che a costituire un fattore di attrazione ulteriore per l’immigrazione economica in Italia, fu proprio l’assenza di una disciplina normativa in materia, allora “contenuta in poche rudimentali disposizioni del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, TULPS, concepite in epoca fascista, le quali ponevano problemi non soltanto sul piano funzionale (dell’effettività del controllo dei confini), ma anche su quello delle garanzie” (così, M. Savino, Le libertà degli altri, cit., 221) unitamente alla scarsa regolamentazione del mercato del lavoro in generale. 35 Corte europea dei diritti umani, Mohammed Abubker c. Austria e Italia, sentenza del 18 giugno 2013, in www. giustizia.it, 50 considerando. 36 P. Chiarella, Il terzo intruso, cit., 6 – 7. 37 Che già in epoca remota ha riconosciuto “l’eguaglianza dello straniero rispetto al cittadino nella sfera dei diritti fondamentali”, ossia “l’eguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarità dei diritti di libertà”: Corte Cost., sent. 16 luglio 1970, n. 144, in www.cortecostituzionale.it. 466 Ada Caldarera Osservazioni sul riparto di giurisdizione… pronunce di carattere interpretativo che avallano la disciplina vigente offrendo principi e criteri alla luce dei quali interpretarla, mentre relativamente infrequenti risultano le sentenze dichiarative di illegittimità costituzionale38. Si può, però, affermare che, rispetto alla valutazione delle politiche sull’immigrazione, la Corte si è mostrata molto meno tollerante, nei confronti del legislatore, quando le misure che hanno come destinatari gli stranieri coinvolgono la libertà personale (art. 13 Cost.) o i principi fondamentali del diritto e del processo penale (artt. 25 e 27 Cost.) o il diritto di difesa (art. 24 Cost.)39. Secondo la Corte, infatti, le garanzie della libertà personale non subiscono attenuazioni rispetto agli stranieri in vista della tutela di altri beni costituzionalmente tutelati: “per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell’immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi problemi di sicurezza e ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultare minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”40. L’art. 13 Cost. rileva quando la misura prevista dalla legge non è meramente obbligatoria, come l’ordine di rimpatrio in sé considerato, bensì coercitiva, come l’accompagnamento coattivo alla frontiera per mezzo della forza pubblica. Dal momento che è prevista l’immediata esecuzione dell’accompagnamento, prima della convalida da parte dell’autorità giudiziaria, risulta vanificata la garanzia dell’art. 13, comma 3 Cost., ossia la perdita di effetti del provvedimento in caso di diniego o di mancata convalida del giudice nelle successive 48 ore. Viene anche violato il diritto di difesa dello straniero poiché l’impugnato art. 13, comma 5 bis T.U. n. 286/1998, non prevede che questi debba essere ascoltato dal giudice con l’assistenza di un difensore41. La limitazione di un diritto fondamentale può ammettersi solo “in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante”42. Non è il caso di soffermarsi sulle garanzie accordate agli immigrati presenti nel territorio dello Stato in relazione ai diritti sociali e fondamentali, l’argomento esulando dal tema della presente trattazione. Solo si aggiunge che la funzione dei diritti fondamentali consi- 38 Questa tendenza è stata rilevata da A. Pugiotto, Purché se ne vadano. La tutela giurisdizionale (assente o carente) nei meccanismi di allontanamento dello straniero, in Dir. e soc., 2009, 527 e G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali. L’esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee, Napoli 2007, 218. 39 Sui profili costituzionali della materia immigrazione, anche nell’applicazione della Corte Costituzionale, si vedano, tra i tanti, P. Bonetti, Trattamento giuridico dello straniero, in Viva vox Constitutionis. Temi e tendenze nella giurisprudenza costituzionale dell’anno 2004 (a cura di V. Onida, B. Randazzo), Milano 2005, 336 ss.; G. Savio, Il ruolo della giurisprudenza costituzionale nella definizione del diritto degli stranieri, in “Effettività” e “seguito” delle tecniche decisorie della Corte Costituzionale (a cura di R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi), Napoli 2006, 739 ss.; F. Scuto, I diritti fondamentali della persona quale limite al contrasto dell’immigrazione irregolare, Milano 2012, 231 ss. 40 Corte Cost., 10 aprile 2001, n. 105, in www.cortecostituzonale.it. 41 G. Corso, La disciplina dell’immigrazione, cit., 12. 42 Così, Corte Cost., sent. 8 luglio 2010, n. 249, in www.cortecostituzionale.it. 467 Interventi  Parte IV ste nel proteggere coloro che non dispongono di quei diritti43. Servono a proteggere i soggetti più deboli dalle pressioni del gruppo di appartenenza44. Per contro, chi si trovi a vivere, volontariamente o per necessità, stabilmente o temporaneamente, nel territorio dello Stato italiano, dovrà rispettare i “valori fondanti per la Repubblica stessa, pur laddove non li sentano davvero e fino in fondo come propri”45. Qui, sembra opportuno evidenziare, inoltre, che all’immigrato, pur se irregolare, è riconosciuto il diritto di difesa previsto dall’art. 24 Cost., quale diritto fondamentale della persona umana, ai sensi del quale il destinatario, cittadino o straniero, di un provvedimento restrittivo sia posto in grado di comprenderne il significato ed il contenuto, come affermato anche dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici46. A ciò deve aggiungersi che, d’altra parte, il medesimo art. 24 Cost. afferma, prima di tutto, che “tutti” hanno il diritto di agire e resistere in giudizio “per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”, senza distinguere tra cittadini e non cittadini47. Dal pieno riconoscimento del diritto di difesa discende, inoltre, che anche lo straniero, ai sensi dell’art. 113 Cost., ha il diritto di impugnare i provvedimenti amministrativi in materia di immigrazione che ledano i suoi diritti e interessi legittimi48. Lo stesso art. 2 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. sull’immigrazione), peraltro, prevede espressamente che “allo straniero è riconosciuta parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione”49. 43 L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali, in Diritti fondamentali. Un dibattito teorico (a cura di L. Ferrajoli), Roma – Bari 2001, 338 ss. 44 Sono noti i casi per cui, ad esempio, in alcune famiglie islamiche presenti nel territorio si sono verificati episodi di sopraffazione nei confronti di adolescenti che seguivano uno stile di vita occidentale. In dottrina, si veda L. Ferrajoli, Diritti fondamentali e multiculturalismo, in Limitazioni di sovranità e processi di democratizzazione (a cura di R. Orrù, L. Sciannella), Torino 2004, 224 ss. 45 Così, A. Ruggeri, I diritti dei non cittadini tra modello costituzionale e politiche nazionali, in Metamorfosi della cittadinanza e diritti degli stranieri (a cura di C. Panzera, A. Rauti, C. Salazar, A. Spadaro), Napoli 2016, 54. 46 M. Immordino, Pubbliche amministrazioni e tutela dei diritti fondamentali, cit., 11. 47 Il diritto di difesa, peraltro, è pienamente riconosciuto anche a livello europeo dalla Corte di Giustizia in applicazione dell’art. 47 della Carta di Nizza che prevede il diritto a un ricorso effettivo ad ogni individuo “i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati” e che riprende il testo degli artt. 6 e 13 della CEDU. Sul punto, L.P. Comoglio, L’effettività della tutela giurisdizionale nella carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in La nuova giurisprudenza civile commentata 6, 2001, 471 ss. 48 Il diritto di impugnare tali provvedimenti prescinde anche dallo statuto amministrativo dello straniero e, in particolare, dal fatto che sia o meno regolare. Secondo Corte Cost., sent. 16 giugno 2000, n. 198, in www. giurcost.org, “il diritto al riesame di un provvedimento di espulsione, con piena garanzia del diritto di difesa, spetta non solo agli stranieri che soggiornano legittimamente il Italia, ma anche a coloro che sono presenti illegittimamente sul territorio nazionale”. 49 E, d’altra parte, alla materia dell’immigrazione risulta applicabile la l. n. 241/1990, sul procedimento amministrativo. Applicabilità peraltro confermata dal fatto che le eccezioni ai principi ivi contenuti sono espressamente enumerate nella disciplina del T.U. n. 286/1998, mentre la stessa Legge sul procedimento amministrativo prevede alcune eccezioni espresse all’applicabilità di alcuni istituti alla materia dell’immigrazione (in particolare gli istituti di semplificazione come il silenzio assenso). In proposito, S. Castellazzi, Profili procedimentali, in Il diritto dell’immigrazione (a cura di V. Gasparini Casari), Modena 2010, 253 ss. 468 Ada Caldarera Osservazioni sul riparto di giurisdizione… Tali ultime considerazioni rivestono maggior interesse ai nostri fini proprio perché il rispetto del dettato costituzionale in punto di tutela giurisdizionale sembra essere stato disatteso dal legislatore, dapprima con le previsioni contenute del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, e ancor di più oggi con la riforma operata dal D.l. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modificazioni in Legge 13 aprile 2017, n. 4650. 2. La tutela processuale e il riparto di giurisdizione. Dalle considerazioni sopra riferite emerge una particolare connotazione del diritto dell’immigrazione rispetto ai principî generali del diritto amministrativo51: lo statuto dello straniero appare, infatti, derogatorio rispetto all’ordinario quadro di regole e valori che disciplinano il rapporto tra il pubblico potere e i cittadini52. La materia è, infatti, caratterizzata dalla presenza di poteri pubblici che vanno ad incidere su beni di rilievo costituzionale a tutela dei quali è previsto un articolato sistema di riparto della giurisdizione. All’affermazione del diritto fondamentale sancito dall’art. 24 Cost., infatti, potrebbe non corrispondere un adeguato sistema normativo che lo garantisca: se, infatti, il tema della tutela giurisdizionale dello straniero non pone problemi dal punto di vista della titolarità formale dei diritti procedurali e processuali, poiché come appena asserito, questi sono riconosciuti e dichiarati dall’ordinamento, una riflessione può svilupparsi, invece, in relazione alle forme e ai modi in cui tale tutela si concretizza. Innanzitutto, in punto di giurisdizione la tutela giurisdizionale nei confronti degli atti di esercizio dei poteri amministrativi che possono incidere sulla sfera giuridica dello straniero è ripartita secondo un sistema dualistico imperniato sulla devoluzione di alcune controversie al giudice ordinario, quale giudice dei diritti soggettivi, e di altre al giudice amministrativo, quale giudice degli interessi legittimi. Tale criterio di riparto, pur se avallato dalla Corte Costituzionale53, è stato oggetto di critiche da parte della dottrina che non ha mancato di evidenziare che “allontana una parte delle controversie dal “giudice naturale del potere”54 ed altresì che “il riparto di giurisdizione an- 50 In G.U. Serie Generale 18 aprile 2017, n. 90. 51 Sulla questione, M. Consito, I procedimenti amministrativi sul riconoscimento allo straniero degli status di prote- zione internazionale, in Dir. amm., 2, 2017, 412-416, la quale evidenzia l’eccezione dell’immigrazione nella disciplina generale del procedimento amministrativo, dettata dalla l. n. 241 del 1990. 52 In tal senso, con diverse sfumature, M. Consito, La tutela amministrativa del migrante involontario. Richiedenti asilo, asilanti e apolidi, Napoli 2016, 41; S. D’Antonio, Il riparto di giurisdizione in materia di ingresso, soggiorno e allontanamento dello straniero dal territorio italiano, in Dir. proc. amm. 2, 2017, 534 ss.; M. Savino, La libertà degli altri, cit., 357, il quale sottolinea la forte specialità del diritto dell’immigrazione e dei connessi poteri riconosciuti all’Amministrazione. 53 Ord. n. 414 del 18 dicembre 2001, in Foro it. I, 2002, 1291. Sull’orientamento della Corte Costituzionale v., in particolare, G. Tropea, Homo Sacer? cit, 886-887. 54 S. D’Antonio, Il riparto di giurisdizione in materia di ingresso, soggiorno e allontanamento dello straniero dal territorio dello stato italiano, cit., 535. 469 Interventi  Parte IV che in questa materia è ben lungi dal potersi definire chiaro e lineare”55. Sotto questo aspetto è da considerare una distinzione, rilevante in termini di giurisdizione, che riguarda le (diverse) posizioni del c.d. migrante volontario (o economico) rispetto a quella del c.d. migrante involontario (o forzato). Questa distinzione non ha infatti carattere (esclusivamente) descrittivo ma incide sulla posizione giuridica dello straniero e rileva conseguentemente sulla tutela giurisdizionale assicurata dall’ordinamento. In particolare, al migrante volontario si applica precipuamente la disciplina del T.U.I. relativa all’ingresso ed al soggiorno in Italia, laddove al migrante involontario si applica la normativa di cui al d.lgs. n. 251 del 2007, relativamente ai rifugiati e alle persone altrimenti bisognose di protezione internazionale, dal d.lgs. n. 25 del 2008, sulle procedure relative al riconoscimento e alla revoca dello status di rifugiato, e dal d.lgs. n. 142 del 2015, quanto alle misure di accoglienza destinate ai richiedenti asilo. La tutela del migrante involontario è devoluta dall’art. 3, comma 1 lett. c) del d.l. n. 13 del 2017 alle Sezioni Specializzate in materia di immigrazione dei Tribunali ordinari56, laddove la tutela dei c.d. migranti volontari è ripartita tra giudice ordinario e giudice amministrativo. La tutela giurisdizionale dello straniero, dunque, è una tutela differenziata57, complicata e per molti versi ancora fortemente deficitaria e in potenziale contrasto con la Costituzione. Per rendersi conto di ciò è sufficiente riferirsi ad uno dei tanti Hard Case presenti nella disciplina della migrazione. Come è noto, i respingimenti, disciplinati dall’art. 10 del T.U. n. 286/1998, sono provvedimenti immediatamente eseguibili in base a due diverse ipotesi: il respingimento disposto dalla polizia di frontiera nei confronti degli stranieri che si presentino ai valichi sprovvisti dei requisiti necessari per l’ingresso nel territorio dello Stato; il respingimento disposto dal Questore con accompagnamento alla frontiera nei confronti degli stranieri che entrando nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, vengano fermati all’ingresso o immediatamente dopo l’ingresso, oppure di coloro che, pur essendo stati fermati dopo essere entrati illegalmente nel territorio dello Stato, abbiano dovuto essere accolti al momento del loro ingresso illegale per “necessità di pubblico soccorso”. In materia di ricorsi contro i respingimenti, la giurisdizione è del giudice amministrativo. Come è stato evidenziato58, soprattutto nel caso di respingimento dopo l’ingresso nel territorio dello Stato, l’atto (adottato a discrezione del Questore) assomiglia però ad un’e55 M. Nocelli, Il diritto dell’immigrazione davanti al giudice amministrativo, in Riv. Dir. Comparati, 2018, 216. 56 Osserva M. Nocelli, op. loc. cit., che i recenti interventi normativi – e, in particolare quelli di cui al d.l. n.13 del 2017 hanno ridisegnato in parte in parte il sistema della tutela giurisdizionale giurisdizionale garantita allo straniero con la finalità di riportare ordine ed organicità ad una legislazione fattasi ormai, nel tempo, confusa ed insoddisfacente. 57 In generale, sulla tutela processuale differenziata si veda, ex multis, A. Romano Tassone, Sulla differenziazione dei riti processuali (dalla decodificazione alla ricodificazione?), in Dir. e proc. amm., 2008, 77 ss. 58 G. Tropea, Homo sacer?, cit. 470 Ada Caldarera Osservazioni sul riparto di giurisdizione… spulsione59, materia in cui ha competenza giurisdizionale il giudice ordinario. In altri termini, non essendo facile individuare un criterio certo per stabilire il limite temporale dell’ingresso dello straniero (immediatamente, appena varcato il confine, o anche in seguito?), sembra consentirsi all’amministrazione non solo la più ampia discrezionalità in materia, ma anche la possibilità, indiretta, “di scegliersi il proprio giudice”60. Inoltre, mentre l’espulsione è un provvedimento tipico, impugnabile nei termini e nei modi legislativamente previsti, nel caso del respingimento ci si troverebbe innanzi ad una mera attività materiale di polizia, per la quale l’art. 10, comma 6 T.U. n. 286/1998 prevede solo la registrazione successiva, con evidente svuotamento di effettività della tutela giurisdizionale61. Ai respingimenti, inoltre, non sono applicabili alcune specifiche garanzie previste (anche dalla direttiva rimpatri) per il provvedimento di espulsione. Il d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, all’art. 3, comma 3, come modificato dall’art. 3, comma 1 del d.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334, ha però ridimensionato il problema introducendo alcune garanzie formali sul provvedimento di respingimento62. Il respingimento, quindi, è un vero e proprio atto amministrativo e non una mera attività materiale esecutiva e, a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 15/2005, non dovrebbero più residuare dubbi circa la piena estensione della garanzia del procedimento anche alle esecuzioni ammnistrative63. Il provvedimento di respingimento resta, comunque, immediatamente esecutorio ed eseguito dalle forze di polizia. La sua esecuzione, però, a differenza dell’ipotesi di espulsione, non produce effetti ulteriori, non comportando per lo straniero respinto un divieto assoluto di rientro nel territorio dello Stato. Conseguentemente sembra che, proprio a causa dell’immediata esecuzione del provvedimento, nella maggior parte dei casi il ricorso al giudice amministrativo dovrà ritenersi inammissibile per carenza di interesse, tranne che, ipoteticamente, lo straniero voglia far valere l’illegittimità del provvedimento di respingimento fondandola sulla violazione del divieto di respingimento verso Paesi in cui vi sia il pericolo di subire persecuzioni, ai sensi dell’art. 19 T.U. n. 286/1998. 59 E, d’altra parte, il respingimento produce effetti analoghi all’espulsione, tanto che sono previsti alcuni rinvii alla sua disciplina, in particolare sotto il profilo dei divieti previsti a favore di alcune categorie di stranieri, secondo il disposto dell’art. 10, comma 4 T.U. n. 286/1998. 60 P. Bonetti, Ingresso, soggiorno e allontanamento, cit., 280. 61 Critici su questo tipo di respingimento, F. Vassallo Paleologo, L’illegittimità del respingimento “differito” intempestivo tra tutela della libertà personale e legalità amministrativa, in Giur. di merito, 2012, 1138 ss. e F.B. Morelli, La tutela della libertà personale dello straniero presente sine titulo sul territorio nazionale tra respingimento, espulsione e trattenimento, in Diritto contro. Meccanismi giuridici di esclusione dello straniero (a cura di O. Giolo – M. Pifferi), Torino 2009, 156 ss. 62 Esso, infatti, deve essere comunicato allo straniero “mediante consegna a mani proprie o notificazione del provvedimento scritto e motivato, contenente l’indicazione delle eventuali modalità di impugnazione, effettuata con modalità tali da assicurare la riservatezza del contenuto dell’atto. Se lo straniero non comprende la lingua italiana, il provvedimento deve essere accompagnato da una sintesi del suo contenuto, anche mediante appositi formulari sufficientemente dettagliati, nella lingua a lui comprensibile o, se ciò non è possibile per indisponibilità di personale idoneo alla traduzione del provvedimento in tale lingua, in una delle lingue inglese, francese o spagnola, secondo la preferenza indicata dall’interessato”. 63 In tal senso, M. Renna, L’efficacia e l’esecuzione dei provvedimenti amministrativi tra garanzie procedimentali ed esigenze di risultato, in Dir. amm., 2007, 842. 471 Interventi  Parte IV E, tuttavia, resta l’incertezza poiché spesso, proprio nelle suddette ipotesi di respingimento differito, pur essendo indicato come competente il giudice amministrativo, questi, nei rari casi in cui si riesca a presentare il ricorso, si è dichiarato incompetente affermando la competenza giurisdizionale del giudice ordinario, il quale a sua volta, salvo pochissime eccezioni, ha declinato la propria competenza, privando in sostanza di qualsiasi diritto di difesa l’immigrato irregolare, sottoposto a misure sempre più rapide di respingimento e in stato di detenzione amministrativa. Volendo semplificare, dunque, la giurisdizione risulta così suddivisa: il giudice amministrativo è competente in relazione al contenzioso relativo ai provvedimenti del Questore sul permesso di soggiorno e a quello relativo ai decreti ministeriali di espulsione, nonché nelle ipotesi di espulsioni per motivi di prevenzione del terrorismo; il giudice ordinario (giudice di pace – ora Sez. specializzate del tribunale), invece, è competente in relazione ai decreti prefettizi di espulsione. La scelta del legislatore del 1998 è sembrata64 suggerita più che dalla preoccupazione di tutelare una data situazione soggettiva, dall’esigenza eminentemente pratica di definire nel più breve tempo possibile la situazione della permanenza irregolare dello straniero nel territorio dello Stato, in quanto solo il giudice ordinario ha una struttura e un’organizzazione diffuse sul territorio tali da consentirgli di operare nel breve tempo previsto dalla legge. Più recentemente, invece, è stato osservato65 che poiché quella della tutela giurisdizionale del migrante è materia che riguarda i diritti soggettivi e/o fondamentali della persona, la giurisdizione dovrebbe essere solamente quella ordinaria. Il suddetto criterio di riparto, comunque, va incontro a numerose perplessità non solo di ordine pratico, ma anche teorico. Innanzitutto, si deve rilevare che il provvedimento amministrativo di espulsione, pur se configurato dalla legge come obbligatorio, non può considerarsi veramente scontato ogni qualvolta si verifichino i presupposti previsti dalla legge. In presenza di uno straniero sprovvisto di un valido titolo di soggiorno, infatti, il Prefetto mantiene sempre un margine di discrezionalità nell’emanazione del provvedimento di espulsione, margine che può variare a seconda della più o meno lunga permanenza regolare dello straniero in Italia. D’altra parte, sono state anche distinte66 le ipotesi previste dalle lett. a) e b) dell’art. 13, comma 2 (ingresso nel territorio dello Stato con sottrazione ai controlli di frontiera e trattenimento nel territorio dello Stato senza permesso di soggiorno o con permesso revocato o annullato) da quella prevista dalla lett. c) (appartenenza a categorie di persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità ovvero indiziate di appartenere ad associazioni di 64 G. Sirianni, Le garanzie giurisdizionali avverso l’espulsione dello straniero, in Dir. pubbl., 2000, 898; F. Figorilli, Giurisdizione piena del giudice ordinario e attività della pubblica amministrazione, Torino 2002, 328. 65 P. Bonetti, Audizione sui temi dell’immigrazione, svoltasi presso la Comm. Aff. Cost. del Senato, 8 febbraio 2016, in www.senato.it, 26. 66 R. Caponigro, La tutela giurisdizionale dello straniero avverso l’espulsione amministrativa prefettizia, in Foro amm. – Tar, 2004, 3563 ss. 472 Ada Caldarera Osservazioni sul riparto di giurisdizione… stampo mafioso o camorristico). In quest’ultima ipotesi, infatti, l’attività amministrativa sarebbe vincolata nell’adozione dell’atto, mentre, nell’accertamento dei relativi presupposti, in quanto connotata dall’utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, può richiedere l’utilizzo di discrezionalità tecnica. V’è da aggiungere, inoltre, che anche al procedimento di espulsione in quanto procedimento amministrativo sono applicabili le norme contenute nella L. 7 agosto 1990, n. 241. Non è chi non veda, dunque, la contraddittorietà di una scelta legislativa che devolve le medesime controversie prima al giudice amministrativo e poi al giudice ordinario: in base al criterio di riparto imposto dalle norme costituzionali uno dei due sistemi dovrebbe essere ritenuto non conforme. Le alternative proposte in dottrina67 sono due: tornare alla giurisdizione amministrativa, prevista precedentemente alla riforma del 1998 dall’art. 5 d.l. 30 dicembre 1989, n. 303, conv. in L. 28 febbraio 1990, n. 39 (legge Martelli), introducendo però speciali norme di procedura, come previsto dalla normativa francese68, oppure estendere la giurisdizione civile su tutti i provvedimenti relativi all’ingresso e al soggiorno degli stranieri, proseguendo nella strada già intrapresa in materia di diritto all’unità familiare e di asilo politico. Anche in giurisprudenza, d’altra parte, si registra la complessità del rapporto tra giudizio amministrativo avverso il diniego del permesso di soggiorno e giudizio ordinario avverso il provvedimento di espulsione69. Di ciò è conferma nella giurisprudenza di merito. A titolo esemplificativo, può ricordarsi, Cons. Stato, sez. III, 2 dicembre 2015, n. 546970, che afferma la competenza giurisdizionale del giudice amministrativo nel caso del rifiuto da parte “dello straniero richiedente la protezione internazionale ad accettare il suo trasferimento in altro Stato competente ad esaminare la sua domanda d’asilo”; mentre, in tema di respingimenti c.d. differiti, di cui all’art. 10, comma 2 T.U. n. 286/1998, la Corte di Cassazione71 ha affermato la giurisdizione ordinaria, in quanto “il provvedimento del questore diretto al respingimento incide su situazioni soggettive aventi consistenza di diritto soggettivo: l’atto è infatti correlato all’accertamento positivo di circostanze-presupposti di fatto esaustivamente individuate dalla legge (art. 10, c. 2 lett. a) e b) del d.lgs n. 286 del 1998) ed all’accertamento negativo della insussistenza dei presupposti per l’applicazione dalle disposizioni vigenti che disciplinano la protezione internazionale nelle sue forme del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ovvero che impongono l’adozione di misure di protezione solo temporanea per motivi umanitari (art. 10, c. 2 e 19, c. 1 d.lgs. n. 286 del 67 G. Tropea, Homo sacer?, cit. 68 Sull’esperienza francese si veda, F. J. Laferrière, Droit des ètrangers, Paris, 2000, 161 ss.; B. Even, Les mutations du contentieux administratif des étrangers, in Défendre la cause des étrangers en justice, Dalloz, 2009. 69 In dottrina, segnala la problematicità del mancato coordinamento della tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti di espulsione con il giudizio amministrativo R. Rolli, Immigrazione e giurisdizione, in Immigrazione e diritti fondamentali. Fra costituzioni nazionali, Unione Europea e diritto internazionale (a cura di S. Gambino – G. D’Ignazio), Milano 2010, 553 ss. 70 In www.giustizia-amministrativa.it. 71 Corte Cass., s.u., 17 giugno 2013, n. 15115, in www.cortedicassazione.it. 473 Interventi  Parte IV 1998)”. Conseguentemente, è stato sostenuto72 che se a pronunciarsi sul respingimento differito deve essere il giudice ordinario, in quanto il diritto di libertà in discussione appartiene alla categoria dei diritti soggettivi e/o fondamentali, non si può escludere che il medesimo diritto, con la relativa tutela giurisdizionale, spetti a chiunque sia entrato nel territorio dello Stato, ma non abbia neppure ricevuto siffatto provvedimento formale, o sia destinatario, magari in vista del rimpatrio, di un provvedimento di respingimento immediato, ai sensi dell’art. 10, comma 1 T.U. n. 286/1998. Non solo, secondo la richiamata opinione73, quanto afferma la Corte di Cassazione, con riferimento ai richiedenti asilo, secondo cui “tali situazioni protette, in quanto coperte dalla garanzia apprestata dall’art. 2 Cost., non possono essere degradate a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, a tal potere potendo essere rimesso solo l’accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione, facendo uso di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservate al legislatore, fermo il rispetto delle convenzioni vigenti, e in particolare dell’art. 3 CEDU (in tal senso anche Cass. n. 3898 del 2011, 10636 del 2010, 26253 del 2009)”, non può non valere per tutti i migranti che fanno ingresso nel territorio dello Stato dal momento che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 105 del 200174 ha ritenuto applicabili a tutti gli immigrati irregolari e non solo ai richiedenti asilo, o a coloro ai quali veniva consentito di formalizzare una richiesta di asilo, la riserva di legge e la riserva di giurisdizione affermate dall’art. 13 della Costituzione per tutte le persone, in tutti i casi di limitazione della libertà personale da parte dell’autorità di polizia. La duplicità delle sedi di tutela si scontra, poi, con la strettissima correlazione tra i due atti con cui l’amministrazione esprime il proprio diniego sulla presenza, o permanenza, dello straniero sul territorio: l’atto del Questore di rifiuto, diniego di rinnovo o di revoca del permesso di soggiorno, ovvero di diniego di regolarizzazione o legalizzazione, è atto presupposto al decreto di espulsione del Prefetto, salvo che lo straniero non sia espellibile ai sensi dell’art. 19 T.U. n. 286/1998. In proposito, la Cassazione ha più volte affermato che non è “consentito al giudice dell’opposizione all’espulsione sindacare incidenter tantum la legittimità di un atto assunto a premessa della stessa espulsione”75. Secondo la giurisprudenza, infatti, il giudizio relativo al permesso di soggiorno riguarda interessi legittimi, poiché il provvedimento impugnato esprime esercizio di discrezionalità amministrativa, mentre il giudizio avverso l’espulsione coinvolge diritti soggettivi, in quanto rileva non solo la libertà di circolazione ma anche la libertà personale; l’espulsione rappresenta, poi, come già evidenziato, un’attività vincolata dell’amministrazione, esercita- 72 F. Vassallo Paleologo, Ci sarà un giudice che decida in materia di respingimenti degli immigrati irregolari?, in www.questionegiustizia.it, 2013, 2. 73 F. Vassallo Paleologo, op. ult. cit., 7. 74 Corte Cost., sent. 10 aprile 2001, n. 105, cit. 75 Così, Cass. civ., s.u., 16 ottobre 2006, nn. 22217 e 22221, in Dir. e giust., 2006, 21 ss., commentate da F. A. Genovese, Quegli atti a fondamento dell’espulsione. Se l’operato del questore non si discute. Ignorato il trend dottrinario sulla disapplicazione, in Corr. del mer., 2007, 205 ss. Più recentemente, cfr. Cass. civ, sez. VI, 13 luglio 2015, n. 14610, cit. 474 Ada Caldarera Osservazioni sul riparto di giurisdizione… bile nei soli casi previsti dalla legge; i due giudizi, dunque, riguarderebbero piani giuridici distinti, con la conseguenza che il giudicato amministrativo comporterebbe solo effetti materiali sull’espulsione ma non ne costituirebbe l’antecedente logico – giuridico. L’atto di espulsione produce effetti a lungo termine, e solo su tali effetti avrà efficacia la decisione del giudice amministrativo in ordine al permesso, consentendo allo straniero espulso, in caso di esito positivo del suo ricorso, di domandare nuovamente il permesso, chiedere la revoca dell’espulsione e, comunque, rientrare in Italia prima del termine finale di divieto posto dalla legge. Il giudice ordinario, allora, deve limitarsi ad attestare l’esistenza della revoca (o del diniego o dell’annullamento del permesso di soggiorno), poiché questa in via immediata, ed anche ove sia pendente un ricorso amministrativo sulla sua legittimità, ha fatto venir meno il diritto dello straniero a trattenersi in Italia. Il giudice ordinario non potrebbe sindacare né disapplicare l’atto presupposto, sottoposto al vaglio del giudice amministrativo, ed ignorare i limiti del proprio sindacato, attestati sulla presenza di una condizione legittima ed efficace di inesistenza in capo allo straniero di alcun permesso di soggiorno. Conseguentemente si esclude qualsiasi rapporto di pregiudizialità del processo amministrativo rispetto a quello pendente innanzi al giudice ordinario e avente ad oggetto la verifica della legittimità dell’espulsione76. La tutela giurisdizionale rispetto ai due provvedimenti si articola, quindi in due tronconi processuali del tutto indipendenti l’uno dall’altro, con evidenti conseguenze in punto di effettività della tutela. Se, innanzitutto, si considera il carattere “obbligatorio” e “vincolato” che viene attribuito all’espulsione, infatti, ci si avvede subito che il giudice ordinario esercita una semplice verifica dell’esistenza al momento dell’espulsione stessa dei requisiti normativi che ne impongono l’emanazione (nel caso di cui all’art. 13 comma 2 lett. b T.U. n. 286/1998, il mero fatto che il ricorrente non possiede un valido titolo di soggiorno – a prescindere dall’eventuale illegittimità del relativo provvedimento negativo dell’amministrazione -). Sicché, non potendo sindacare incidentalmente i presupposti del soggiorno, salva la verifica degli specifici divieti di espulsione previsti dal legislatore, può essere emesso solo un giudizio che risulta molto impoverito nei contenuti. Così stando le cose, si può affermare che un bilanciamento di interessi, peraltro da operarsi ai sensi dell’art. 8 CEDU77, può essere svolto dall’amministrazione solo nell’ambito del 76 Così, G. Tropea, Homo sacer?, cit. Un orientamento più risalente, invece, in un caso in cui la Prefettura lamentava il superamento da parte del giudice ordinario dei limiti della propria giurisdizione, invadendo la sfera riservata al giudice amministrativo, si è pronunciato nel senso che il giudice ordinario, chiamato a pronunciarsi su un ricorso avverso un provvedimento amministrativo che investa diritti soggettivi, “può sindacare in via incidentale l’atto che costituisca presupposto dell’atto impugnato, senza che ciò comporti il superamento dei limiti della sua giurisdizione”(Cass. civ., s.u., 18 ottobre 2005, n. 20125, in Dir. imm. Citt., 2006, 131 ss.). 77 Per il quale “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui”. 475 Interventi  Parte IV provvedimento sul soggiorno, mentre il successivo provvedimento di espulsione viene ricostruito come atto vincolato, automatico e meramente esecutivo rispetto al primo. Con la conseguenza che gli eventuali vizi attinenti alla ragionevolezza e alla proporzionalità di tale bilanciamento possono essere fatti valere soltanto innanzi al giudice amministrativo, in sede di impugnazione del provvedimento negativo sul soggiorno, mentre innanzi al giudice ordinario potranno essere fatti valere soltanto quei vizi relativi alla violazione, ad esempio, di uno dei divieti di espulsione elencati nell’art. 19 T.U. n. 286/1998, o vizi di forma e procedura. La sostanza della pretesa, quindi, rimane isolata all’interno del giudizio amministrativo relativo al denegato soggiorno, mentre il giudizio sull’espulsione finisce per costituire una mera appendice processuale del primo, priva di reale utilità per lo straniero, il cui interesse sostanziale non è quello di contestare il provvedimento di espulsione in sé e per sé, bensì la possibilità di far valere le proprie ragioni per il rilascio di un titolo di soggiorno. Da quanto detto, risulta veramente difficile non riconoscere che tra il provvedimento di espulsione e quello sul soggiorno sussiste un vero e proprio rapporto di presupposizione, inteso come quel rapporto in cui per esercitare legittimamente un potere è necessario che vi sia un determinato atto che funga da presupposto di un altro procedimento “in quanto crea una qualità in un bene, cosa o persona che costituisce l’oggetto anche del successivo provvedere” 78. Il sistema della doppia giurisdizione in materia di immigrazione è stato, comunque, confermato dalla Corte Costituzionale79 che ha escluso l’irragionevolezza della scelta discrezionale del legislatore di attribuire la tutela nei confronti dei provvedimenti di espulsione alla giurisdizione del giudice ordinario, per le conseguenze, nella quasi totalità dei casi, sulla libertà personale e non solo sulla libertà di circolazione dello straniero. “Non si può”, in particolare, “configurare una violazione dell’art. 24 della Costituzione, quando il sistema giurisdizionale preveda, in termini chiari e conoscibili, una effettiva ed ampia possibilità di tutela per tutti i provvedimenti che possono ledere un soggetto, ripartendola tra distinti procedimenti giurisdizionali, per alcuni atti avanti al giudice ordinario e per altri innanzi al giudice amministrativo, secondo una scelta non palesemente irragionevole o manifestamente arbitraria”, e, d’altro canto, “dovendosi escludere l’esistenza di pregiudizialità amministrativa nella materia considerata, il soggetto privato avrebbe potuto trovare piena tutela contro il provvedimento di espulsione avanti al giudice ordinario, che avrebbe potuto esercitare un sindacato incidentale sul presupposto atto di rifiuto o di rinnovo di permesso di soggiorno (e disapplicarlo), con effetti di illegittimità derivata sull’atto oggetto della sua giurisdizione piena, ovviamente se ritualmente adita”. Il riferimento alla sola libertà personale, però, non convince del tutto, se si pone mente al fatto che le implicazioni per tale diritto, più che dal provvedimento di espulsione in sé e per sé considerato, sembrano derivare dalle sue specifiche modalità di esecuzione. Mentre, 78 Così, E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2013, 433. 79 Corte Cost., ord. 18 dicembre 2001, n. 414, in www.cortecostituzionale.it, commentata da P.L. Di Bari, Doppia tutela giurisdizionale in materia di soggiorno ed espulsione dello straniero. Ovvero la strada tortuosa per raggiungere un giudice a Berlino, in Dir., imm., citt, 2002, 101 ss. 476 Ada Caldarera Osservazioni sul riparto di giurisdizione… la pretesa sostanziale dello straniero rispetto al provvedimento di espulsione consiste non tanto, o non soltanto, nel conservare il proprio diritto alla libertà personale, quanto piuttosto nel vedere riconosciuto il proprio titolo a restare nel territorio e a non essere espulso. Lasciando, inoltre, in disparte i divieti specifici di espulsione previsti dal legislatore, per i quali soltanto si potrebbe, forse, configurare un vero e proprio diritto dello straniero a non essere espulso, in tutti gli altri casi sembra inevitabile la qualificazione della posizione soggettiva dello straniero come di interesse legittimo: il bene della vita, consistente, come visto, nella possibilità di restare nel territorio, infatti, ottiene protezione attraverso il confronto con un potere attribuito alla pubblica amministrazione. Pertanto, non sembra condivisibile né il sistema a doppia giurisdizione, almeno per come è stato concepito dal legislatore, considerando che esso non è stato superato nemmeno dalla recentissima riforma dell’aprile 2017, né un’eventuale attribuzione, come richiesto da buona parte degli studiosi, al giudice ordinario di tutte le controversie in materia di tutela dei migranti. Sia in Francia che in Belgio, d’altra parte, l’ordre e l’obligation de quitter le territoire, emessi nei confronti dello straniero irregolare, si qualificano come atti accessori rispetto al provvedimento negativo sul soggiorno e, conseguentemente, vengono impugnati unitariamente innanzi al medesimo giudice (amministrativo)80. In questi ordinamenti le esigenze di semplificazione della tutela processuale del migrante sono state risolte attraverso un intervento del legislatore che ha adottato una soluzione imperniata sul principio di unitarietà sia della funzione amministrativa, in quanto i provvedimenti sono considerati inscindibili, sia della funzione giurisdizionale, in quanto la tutela è offerta dallo stesso giudice all’interno di un unico processo. La scelta italiana di separare la giurisdizione sui due provvedimenti, si ribadisce, risulta artificiosa e incongruente, in quanto non coglie nemmeno il nesso intrinseco tra questi due atti che in realtà non rappresentano altro che momenti diversi di un’unica vicenda amministrativa. 3. Il giudice amministrativo e la tutela dei diritti fondamentali. È già stato evidenziato in precedenza come in materia di giurisdizione sul provvedimento di respingimento emesso dal Questore si siano registrati diversi e contrastanti orientamenti81. 80 In tal modo, da un lato, la cognizione del giudice si estende in modo complessivo all’intera vicenda che inte- ressa lo straniero e, dall’altro lato, attraverso la richiesta di una misura cautelare, lo straniero può ottenere la sospensione dell’espulsione in pendenza di giudizio, fino alla pronuncia del giudice in merito alla sussistenza o meno di un titolo di soggiorno. 81 In proposito si vedano, ex multis, T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 9 settembre 2010, n. 10036, in www.giustizia-amministrativa.it; Cass. civ., 9 settembre 2009, n. 19393, in www.cortedicassazione.it; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 3 luglio 2007, n. 6441, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Umbria, Perugia, sez. I, 28 novembre 2012, n. 508, in www.giustamm.it; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 16 febbraio 2009, n. 1312, in www.giustizia-amministrativa.it. 477 Interventi  Parte IV Per effetto di tale regola di riparto, peraltro superabile, la realtà italiana sembra unica ed isolata in Europa, ove, invece, come ad esempio in Francia, i provvedimenti in materia di respingimenti vengono sindacati, in tempi brevissimi, dai giudici amministrativi82. Al fine di dimostrare che attribuire la materia dell’immigrazione alla competenza giurisdizionale del giudice amministrativo è possibile e potrebbe rivelarsi (rectius: si sarebbe potuta rivelare) una scelta più opportuna, si rende necessario un esame sulla fondatezza o meno dell’attuale criterio di riparto stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione83, che si è inserita nel solco di quel consolidato orientamento, criticato dalla dottrina84 e smentito anche dalla Corte Costituzionale85, per il quale i diritti costituzionalmente tutelati non sono degradabili a interessi legittimi. Una analisi attenta86 sul fondamento teorico del riparto di giurisdizione delineato dal legislatore nella materia considerata muove dalla constatazione che la legislazione affida al G.O. una serie di controversie relative alle modalità di esercizio di poteri amministrativi volti a regolare l’ingresso, la circolazione, il soggiorno e l’allontanamento degli stranieri dal territorio nazionale87 ,discostandosi, quindi, dal principio tradizionale secondo cui il giudice del potere è il G.A. La verifica puntuale dei criteri di riparto – carattere discrezionale o natura vincolata dell’attività amministrativa; situazione giuridica fatta valere (causa petendi); indegradabilità dei diritti dello straniero – soffre eccezioni ed alterazioni che non consentono di enucleare un unico fondamento della attribuzione della giurisdizione nella materia all’uno o all’altro plesso giurisdizionale. La conclusione che viene tratta è che la distribuzione delle controversie tra i due ordini giurisdizionali non risponde ad un unico criterio “ma a una pluralità di criteri diversi o forse eminentemente pratici”. Si può, dunque, semplicemente rilevare che al giudice amministrativo sono affidate le controversie nelle quali nel valutare il corretto esercizio del potere è chiamato a sindacare, oltre alla legittimità, la ragionevolezza e la proporzionalità del suo esercizio88. Le controversie attribuite al giudice ordinario si connoterebbero, invece, perché la valutazione circa la correttezza del potere esercitato, imprescindibilmente incide direttamente su tali situazioni giuridiche fondamentali. Sul punto può subito, senz’altro, convenirsi con chi89 ha avanzato forti dubbi “sulla sua 82 In questi termini, G. Tulumello, Il riparto di giurisdizione in tema di immigrazione, in www.questionegiusti- zia.it, 2013, 1. 83 Corte Cass., s.u., 17 giugno 2013, n. 15115, cit. 84 R. Chieppa, Quale giudice per gli immigrati? Questioni di giurisdizione e competenza, in Frontiere dell’immigrazione o migrazione delle frontiere?, Atti del Convegno di Trento, 25 – 26 novembre 2011, Aa. Vv., 171 ss. 85 In particolare, Corte Cost., sent. 27 aprile 2007, n. 140, in www.cortecostituzionale.it. 86 S. D’Antonio, op. cit., 578; M. Nocelli, op. cit., 226 ss. 87 Ci si riferisce ai poteri di autorizzazione all’ingresso ed al soggiorno dello straniero per motivi connessi all’unità familiare, quello di espellere lo straniero reo, pericoloso o clandestino, di respingerlo, di eseguire le misure di allontanamento. 88 M.Nocelli, op. loco cit. 89 G. Tulumello, Il riparto di giurisdizione in tema di immigrazione, cit., 2. 478 Ada Caldarera Osservazioni sul riparto di giurisdizione… premessa maggiore (la “degradazione” ad interesse legittimo del diritto dello straniero), e sui suoi esiti: che il giudice del potere ha, rispetto ad un potere che si assume illegittimamente esercitato, poteri molto più incisivi (e offra conseguentemente tecniche di tutela molto più effettive), del giudice ordinario”. La configurazione di diritti tutelabili ad oltranza contro ogni potere dell’amministrazione non convince più da molto tempo90: ragionare nel senso che “un diritto rimane diritto anche a fronte di un potere attribuito da una legge significa ritenere che esso sia stato giudicato “vincente” rispetto a qualsiasi altro interesse da una fonte superiore alla legge stessa e, dunque, dalla Costituzione”. Tuttavia, si deve sottolineare che in presenza di un potere conferito dalla legge “il giudice non può accordare la preferenza al diritto condannando l’amministrazione e sostanzialmente disapplicando la legge, ma semmai, ove ritenga che questa abbia attribuito all’amministrazione un potere che non le spettava, deve sollevare la questione di legittimità costituzionale della legge per contrasto con la disposizione costituzionale che configura come intangibile il diritto”. La prospettiva di una Costituzione che irrigidisce il sistema prevedendo diritti individuali, soprattutto in materie che interessano la collettività, non degradabili e sottratti ad ogni potere non sembra corrispondente alla realtà del diritto positivo, che non vieta, infatti, il conferimento di poteri pubblici in settori come quello dell’ambiente o della salute91. Negli ultimi tempi, però, le sentenze del giudice amministrativo in materia di diritti fondamentali sono notevolmente aumentate e ciò ha contribuito non solo all’intensificazione dei rapporti tra la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e il diritto nazionale e tra la giurisprudenza di Strasburgo e quella dei giudici nazionali, ma anche a far acquisire ai medesimi giudici amministrativi una consapevolezza maggiore della necessità della complementarietà dei rispettivi ruoli nell’ambito del sistema integrato della tutela dei diritti fondamentali92. 90 Sul punto, si veda F.G. Scoca, Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, Milano 1990, 136 ss., per il quale la titolarità di un diritto soggettivo in capo al destinatario dell’azione amministrativa non determina il radicarsi della giurisdizione ordinaria, stante che le relative controversie non hanno ad oggetto (direttamente) la lesione del diritto, bensì la legittimità degli atti di esercizio del potere che su quel diritto hanno inciso. Di qui deriva, inevitabilmente, che “la tutela del diritto sacrificato dal provvedimento comporta la verifica (…) della validità del provvedimento stesso”, il giudice amministrativo, pertanto, “è diventato il giudice generale della legittimità dei provvedimenti”. 91 In tal senso, G. Tulumello, Tutela dei diritti fondamentali o fondamentalismo nella tutela dei diritti?, in www. giustamm.it, 2011, 3, che richiama E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano 2009, 322. Quanto, in particolare, al diritto alla salute, la letteratura in materia è molto ampia, qui basti ricordare, tra i tanti, R. Ferrara, Il diritto alla salute: i principi costituzionali, in Id. (a cura di), Salute e sanità, in Trattato di biodiritto (diretto da S. Rodotà – P. Zatti), Milano 2010, 3 ss. 92 In argomento, G. Rolla, Il sistema europeo di tutela dei diritti fondamentali e i rapporti tra le giurisdizioni, Milano 2010. E, d’altra parte, come giustamente osservato da F. Zammartino, Diritti fondamentali e tutela del giudice amministrativo. Brevi spunti alla luce delle recenti sentenze nazionali e della Corte europea dei diritti di Strasburgo, in Diritti o giudizi? Le libertà tra regole e casistica interna ed europea in una riflessione comparata (a cura di E. A. Imparato), Napoli 2014, 96, il progressivo abbandono di una concezione autoritaria del diritto amministrativo e la conseguente tendenza all’attenuazione della posizione di assoluta subordinazione dei privati nei confronti della pubblica amministrazione, la nuova conformazione del processo amministrativo, che a partire dalla l. n. 205/2000 ha visto il giudice amministrativo dotato di nuovi strumenti e tecniche di tutela capaci di tutelare adeguatamente diverse posizioni soggettive, oltre all’ampliamento della giurisdizione esclusiva, la “rivoluzione copernicana” del riconoscimento della risarcibilità dell’interesse legittimo, oggi, peraltro, scisso dalla necessaria 479 Interventi  Parte IV Alla totale esclusione del giudice ammnistrativo, in favore del giudice ordinario, dalla cognizione dei diritti fondamentali, sulla base del fatto che i diritti fondamentali, quelli che qualificano un persona come tale, erano definiti come diritti assoluti impermeabili all’esercizio del potere autoritativo dell’amministrazione93, si va oggi, finalmente, sostituendo l’idea che in un ordinamento come quello italiano, in cui i diritti fondamentali trovano il proprio presupposto in precise e dettagliate disposizioni costituzionali, la giurisdizione amministrativa si presenta anche come giurisdizione sui diritti94, soprattutto alla luce della recente giurisprudenza della Corte Costituzionale che di fatto sottrae alla giurisdizione ordinaria l’esclusività della tutela dei diritti costituzionalmente protetti. La Corte Costituzionale95, infatti, si è dapprima orientata nel senso che la tutela dei diritti riconosciuta al giudice amministrativo è ormai priva del carattere di eccezionalità che storicamente l’ha caratterizzata, dichiarandosi favorevole ad un progressivo ampliamento della giurisdizione esclusiva, nonché ad una significativa riduzione del confine tra le due giurisdizioni sui diritti96, per, poi97, arrivare a negare la fondatezza del principio costituzionale che qualifica il giudice ordinario quale giudice naturale dei diritti fondamentali. Questa nuova prospettiva unitamente ad un quadro istituzionale in cui la tutela dei diritti fondamentali è garantita soprattutto dalle istituzioni sovranazionali98, inducono a ritenere che nel nuovo sistema integrato di tutela dei diritti, l’obiettivo principale della funzione giurisdizionale, non importa se esercitata dal giudice ordinario o da quello amministrativo, deve essere soltanto quello della protezione delle situazioni giuridiche soggettive, la cui misura si rinviene nelle disposizioni normative, e non negli interessi generalmente riconosciuti. Se, dunque, in un generale cambiamento di prospettiva, si parte dalla premessa che il riparto di giurisdizione deve tenere conto non della violazione di una data situazione giuridica soggettiva ma dell’esercizio o meno del potere amministrativo capace di influire negativamente anche sui diritti soggettivi, senza che sia necessario inventarsi una qualsi- previa impugnazione del provvedimento lesivo, operata dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 500 del 1999, nonché i chiarimenti della Corte Costituzionale, con la sentenza n. 204 del 2004, in materia di giurisdizione esclusiva e, in particolare, sul concetto di autorità, hanno senz’altro messo in crisi il sistema amministrativo tradizionale e aperto una nuova fase che, grazie ad una rilettura degli artt. 24 e 111 Cost., propone un modello organizzativo che non ammette più “spazi o margini rispetto ai quali il gioco della distinzione dei diritti soggettivi e interessi legittimi lasci il cittadino senza tutela” (così, A. Travi, Gli art 24 e 111 Cost. come principi unitari di garanzia, in Foro it., 2011, 11). 93 Si veda, ex multis, anche R. Giovagnoli, Diritti fondamentali e giudice amministrativo: un binomio davvero impossibile?, in Urb. e app., 2005, 1159 ss. 94 Sul punto, G. Rossi, Giudice e processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2012, 1230. 95 Corte Cost., 11 maggio 2006, n. 191, in www.giurcost.org, commentata da L. Marzano, Comportamenti e riparto di giurisdizione: la parola torna alla Corte Costituzionale, in www.giustizia-amministrativa.it, 2006. 96 P. Vittoria, Alcune considerazioni sulla questione di giurisdizione ed il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it, 2008. 97 Corte Cost., sent. 27 aprile 2007, n. 140, in www.giurcost.org. 98 F. Manganaro, Il potere amministrativo nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Dir. proc. amm., 2010, 428 ss. 480 Ada Caldarera Osservazioni sul riparto di giurisdizione… voglia degradazione del diritto ad interesse legittimo, si comprende più facilmente perché si può tranquillamente accordare piena fiducia nell’affidare al giudice amministrativo la decisione sui diritti, come ampiamente dimostrato, soprattutto nei tempi più recenti, nell’ambito della sua giurisdizione esclusiva99, riconoscendogli anche il potere di decidere su domande concernenti la tutela di diritti fondamentali, non degradabili appunto, purché questi, naturalmente, si confrontino non con meri comportamenti materiali dell’amministrazione pubblica, bensì con poteri da essa illegittimamente esercitati. In un’epoca, come quella attuale, in cui la soggettività ha la pretesa di essere tutelata in quanto tale, tanto da contribuire al mutamento della stessa definizione di diritto fondamentale100, il ruolo del giudice amministrativo sembra ancora più necessario onde evitare che il divario tra l’ampio dibattito teorico sui diritti fondamentali e la loro effettiva protezione negli Stati e nelle Comunità internazionali, aumenti notevolmente101. D’altra parte è vero anche che “nello Stato sociale la vuota enunciazione costituzionale o convenzionale del diritto è priva di contenuto se non è riempita dalla prestazione corrispondente, che deve essere resa dall’amministrazione: il potere conformativo, in altre parole, correlato alla funzione di regolazione (volta a ricercare una compatibilità nel potenziale conflitto fra le tante attività oggetto di tutela anche costituzionale e convenzionale), riempie di contenuto un catalogo di diritti dal contenuto altrimenti puramente simbolico” 102. Non è un caso, allora, se negli ultimi anni il giudice amministrativo nel conoscere alcuni diritti costituzionalmente garantiti ha esercitato una capacità di protezione verso gli stessi maggiormente incisiva103 rispetto a quella che può esercitare il giudice ordinario104. Il giudice amministrativo, in altri termini, non si limita più durante il controllo giurisdizionale esercitato sull’atto agli aspetti solo formali, ma estende il suo scrutinio alla valutazione della compatibilità di esso con l’oggetto e lo scopo della norma attributiva del potere. E, d’altronde, “solo attribuendo al giudice amministrativo la possibilità di accertare e valutare direttamente i fatti costitutivi del diritto o determinativi della sua estensione” 105 è possibile garantire concretamente una tutela incondizionata al titolare del diritto. 99 Emblematiche, in tal senso, sembrano le decisioni rese in tema di diritto alla salute dal T.A.R. Lombardia, Milano (sezione III), 26 gennaio 2009, n. 214 e 6 aprile 2016, n. 650, in www.giustzia-amministrativa.it, commentate da G. Pinotti, Nuovi profili di tutela dei diritti fondamentali da parte del giudice amministrativo alla luce delle sentenze TAR Lombardia, sez. III, n. 214 del 26 gennaio 2009 e TAR Lombardia, sez. III, 6 aprile 2016, n. 650, in www.giustamm.it, 2016, ove interessanti riflessioni sul punto. 100 P. Haberle, Le liberà fondamentali nello Stato costituzionale, Firenze 1993. 101 Così, F. Zammartino, Diritti fondamentali e tutela del giudice amministrativo, cit., 99. 102 G. Tulumello, Tutela dei diritti fondamentali, cit., 5. 103 Sul punto, G. Abbamonte, Attualità e prospettive di riforma del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2004, 335 ss. In giurisprudenza, si veda T.A.R. Lazio, Roma (sezione I ter), 26 giugno 2015, n. 8712, in www. dirittifondamentali.it, 2015. 104 Il nuovo codice del processo amministrativo, d’altra parte, nel quale si rinvengono ormai tutti gli strumenti necessari per garantire una tutela effettiva del cittadino, riconosce al giudice amministrativo non solo l’esercizio dello strumento demolitorio, ma anche quello risarcitorio, generando nel privato la concreta aspirazione a soddisfarsi anche sui c.d. diritti – pretesa. 105 F. Ledda, La giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato, in Scritti giuridici, Padova 2002, 160. 481 Interventi  Parte IV La possibilità per il giudice amministrativo di pronunciarsi nelle controversie che riguardano i diritti fondamentali in dipendenza dell’illegittimo esercizio del potere pubblico, trova conferma (e sostegno) nella stessa Convenzione europea dei diritti umani, che, conscia del fatto che nelle vicende procedimentali i diritti e le libertà si scontrano spesso con l’esercizio dei pubblici poteri, pone in una nuova luce la funzione giurisdizionale del giudice amministrativo definita, per tradizione e cultura, avvezza allo svolgimento della delicata funzione di contemperamento tra l’interesse pubblico e le posizioni soggettive dei singoli106. Non solo, ma è bene tenere sempre presente che il giudice ordinario non ha il potere di definire i contorni della fattispecie da cui scaturirebbe il vincolo per l’amministrazione, con la conseguenza che, a seguito del suo decisum, resterebbe comunque indefinita l’estensione della quantità e qualità degli obblighi di prestazione dovuti al privato in base alla disposizione costituzionale. Ciò in quanto, il giudice ordinario può al massimo disconoscere la sussistenza del potere dal quale l’atto è scaturito, con l’ulteriore conseguenza che con quel potere non può entrare in relazione107. Innanzi ai diritti della persona, la negazione del potere dell’amministrazione “rischia di far perdere di vista il fatto che la piena soddisfazione della pretesa che realizza il diritto comporta proprio l’esercizio di una serie articolata e complessa di attività amministrative”. Ed, infatti, “non è infrequente che la definizione dell’esatto contenuto della prestazione che realizza la pretesa non sia predeterminabile in modo astratto e tecnico, ma sia frutto proprio del rapporto fra singolo individuo ed amministrazione”108. Non è più una novità che l’evoluzione della tutela amministrativa non si esaurisce più nella tradizionale dialettica Stato – società civile, ma si estende nell’ambito di quel rapporto multipolare nel quale sono attori anche gli organismi sovranazionali. In questo rapporto composito, nel quale il riconoscimento dei c.d. “nuovi diritti” è principalmente il risultato dell’attività delle Corti nazionali ed europee, un ruolo non certo marginale è senz’altro ricoperto dal giudice amministrativo. Ecco perché non convince il reiterato atteggiamento del legislatore sulla tutela del migrante: lo scrutinio della legittimità dell’atto che incida sui diritti dello straniero, infatti, presuppone “una valutazione della conformità al – non sempre univoco – parametro normativo dell’esercizio della funzione, più che la fideistica affermazione di un diritto in quanto tale, che è riduttivo e miope cogliere nella sua attribuzione meramente formale, laddove esso assume rilevan- 106 In tal senso, F. Zammartino, Diritti fondamentali e tutela del giudice amministrativo, cit., 118. 107 Pur se la Corte Costituzionale (sent. n. 414/2001, cit.) ha affermato essere nella discrezionalità del legisla- tore attribuire all’uno o all’altro giudice il potere di conoscere della legittimità dei provvedimenti amministrativi e, conseguentemente, di tutelare gli interessi legittimi, con ciò sancendo che il principio della disapplicazione e i limiti ai poteri del G.O. a fronte di un provvedimento amministrativo non costituiscono una regola di valore costituzionale e, secondo un’opinione (S. D’Antonio, Il riparto di giurisdizione cit., 592 ss.), che non sembra del tutto condivisibile, la correttezza dell’attribuzione al G.O. delle controversie in materia di immigrazione. 108 A. Pioggia, Giudice amministrativo e applicazione diretta della Costituzione: qualcosa sta cambiando? in Dir. pubbl., 2012, 58. 482 Ada Caldarera Osservazioni sul riparto di giurisdizione… za – ed effettività – proprio in funzione della esatta ricognizione dei limiti della sua conformazione ad opera della pubblica autorità” 109. E nemmeno le reiterate conferme, da parte della Corte di Cassazione110, della giurisdizione del giudice ordinario in materia di respingimenti differiti degli stranieri, sulla base della natura di tali provvedimenti di atti amministrativi incidenti sui diritti soggettivi111. Come si è già avuto modo di sottolineare, la delicata disciplina dei respingimenti pone l’Italia in una posizione isolata rispetto ad altre realtà europee, quali Francia, Belgio e Regno Unito, in cui la giurisdizione amministrativa è autonoma e, in assenza di riparto, gode della cognizione circa le controversie sulle espulsioni112. Nell’ordinamento italiano, invece, il T.U. n. 286/1998, ma anche il D.l. n. 13/2017, si limitano ad attuare il c.d. criterio della doppia giurisdizione, sicché al giudice ordinario sono affidate quelle tipologie di controversie sulla base dell’implicito presupposto che si tratti di posizioni di diritto soggettivo, mentre al giudice amministrativo sono affidate 109 G. Tulumello, Sicurezza sociale e libertà individuali nell’area del Mediterraneo: fenomenologia del potere ammini- strativo, fisionomia del suo giudice e condizionamenti identitari, in www.giustamm.it, 2010. 110 Cass. civ., n. 19393/2009 e n. 15115/2013, cit. 111 In proposito, N. Vettori, Il respingimento dello straniero: le Sezioni Unite individuano i diritti e il loro giudice, in www.giustamm.it, 2013. 112 In Francia la tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti in materia di immigrazione è devoluta quasi interamente al giudice amministrativo (sul punto, in generale, B. Nascimbene, Expulsion and detention of aliens in the European Union Countries = L’éloignement et la détention des étrangers dans les états membres de l’Union Éuropéenne, Milano 2001; G. Cordini (a cura di), Il diritto dell’immigrazione. Profili di diritto comparato, Modena 2010. Sul contenzioso in materia di immigrazione, D. Seguin, Guide du contentieux des étrangers, Parigi 2013), eccezion fatta per alcune competenze riservate alla Cour nationale du droit d’asile in materia di asilo e al juge des libertés et la détention per i provvedimenti limitativi della libertà personale. In Belgio, invece, la tutela giurisdizionale dello straniero è affidata al Conseil du Contentieux des Etrangers, un giudice amministrativo specializzato, ma, come in Francia, le procedure in materia di immigrazione presentano alcune particolarità rispetto al modello generale della procedura amministrativa (termini per ricorrere generalmente brevi e speciali modalità di svolgimento dei procedimenti). La procedura innanzi al Conseil du Contentieux des Etrangers ricalca quella prevista per i giudizi innanzi al Consiglio di Stato. In Belgio, infatti, la giustizia amministrativa generale è rappresentata dal Consiglio di Stato, cui si affiancano una serie di tribunali amministrativi speciali, competenti in materie specifiche (sul Consiglio di Stato belga, D. Renders – J. Sohier, Les procédures devant le Conseil d’Etat, Waterloo 2009; P. Hubert, Le statut administratif des étrangers aprés les réformes du 15 septembre 2006, Waterloo 2009. In generale sul diritto dell’immigrazione in Belgio, D. Daie – E. Derriks – K. Sbai – C. Vaillant, Le droit des étrangers chronique de jurisprudence, Bruxelles 2012). Anche in Inghilterra la tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti in materia di immigrazione segue il modello generale della giustizia amministrativa, salvo alcune specificità proprie di questo settore. Qui, infatti, il modello di giustizia amministrativa risulta incentrato sul dualismo tra il giudizio di legittimità compiuto dalle Corti per mezzo del judicial review ed un sistema di rimedi alternativi alla giurisdizione, istituiti anche in funzione di deflazione del medesimo judicial review, costituito dagli administative appeals, istituto tipico del sistema inglese a metà strada tra amministrazione giustiziale e funzione giurisdizionale (in proposito, si vedano P. Cane, Administrative Tribunals and Adjudication, Oxford 2009; G. Ligugnana, L’altra giustizia amministrativa. Modelli ed esperienze d’oltremanica, Torino 2010; R. Thomas, Administrative justice and asylum appeals. A study of tribunal adjudication, Oxford – Portland, 2011; P. Leyland – G. Anthony, Textbook on Administrative Law, Oxford 2013; M. Phelan – J. Gillespie, Immiration Law Handbook, Oxford 2013; G. Clayton, Textbook on Immigration and Asylum Law, Oxford 2012; L.P. Vanoni, Il diritto dell’immigrazione nel Regno Unito, in Il diritto dell’immigrazione (a cura di G. Cordini), cit., 495 ss.). Sia consentito rinviare, per un approfondimento sui sistemi summenzionati, a A. Caldarera, Osservazioni sulla tutela giurisdizionale del migrante, cit., 22 ss. 483 Interventi  Parte IV quelle tipologie di controversie ricollegabili a posizioni di interesse legittimo. Ma, il confine tra diritto soggettivo e interesse legittimo, soprattutto nella materia dell’immigrazione, sembra a chi scrive alquanto labile. La lacunosità dei provvedimenti normativi che si sono succeduti fino ad oggi e l’orientamento della Corte Costituzionale113 che ha escluso l’incompatibilità assoluta tra l’esercizio del potere e la titolarità di un diritto soggettivo, inducono a ritenere che più opportuna sembra la scelta di affidare alla cognizione del giudice amministrativo sia i ricorsi avverso i provvedimenti di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, che quelli avverso i provvedimenti di espulsione, in ragione del fatto che, come visto poc’anzi, il giudice amministrativo nei confronti del potere autoritativo illegittimamente esercitato dispone di poteri e tecniche di tutela molto più efficaci rispetto al giudice ordinario. Né, sembra, sussistano ostacoli nell’inserire la materia dell’immigrazione, eventualmente, nel catalogo delle materie di giurisdizione esclusiva. Come recentemente ribadito dalla Corte Costituzionale114, infatti, nella definizione della giurisdizione esclusiva è necessario: “in primo luogo, che la controversia involga situazioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo strettamente connesse. È bene, però, aggiungere che, se è pur vero, in linea con le ragioni storiche all’origine della configurazione di tale giurisdizione, che è normalmente necessaria la sussistenza di un intreccio di posizioni giuridiche nell’ambito del quale risulti difficile individuare i connotati identificativi delle singole situazioni soggettive, non può escludersi che la cognizione del giudice amministrativo possa avere ad oggetto, ricorrendo gli altri requisiti indicati di seguito, anche soltanto diritti soggettivi (sentenza n. 259 del 2009); in secondo luogo, è necessario che il legislatore assegni al giudice amministrativo la cognizione non di “blocchi di materie”, ma di materie determinate; infine, è richiesto che l’amministrazione agisca, in tali ambiti predefiniti, come autorità e cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi sia mediante moduli consensuali ai sensi dell’art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, sia infine mediante comportamenti, purché questi ultimi siano posti in essere nell’esercizio di un potere pubblico e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio. In tale ultimo caso, infatti, la cognizione delle controversie nascenti da siffatti comportamenti spetta alla giurisdizione del giudice ordinario”. Fuor di dubbio, allora, sembra a chi scrive, che, per quanto evidenziato nel corso del presente lavoro, le condizioni affinché sia il giudice amministrativo a giudicare sulle controversie relative ai provvedimenti di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato e di espulsione, unitamente a quelli di respingimento, che rientrano indubbiamente nell’alveo degli atti amministrativi disciplinati dalla legge sul procedimento del 1990, vi siano tutte. D’altra parte, non può non sottolinearsi ancora una volta la contraddittorietà dello specifico caso del diniego del permesso di soggiorno e di espulsione dello straniero che pur essendo provvedimenti attinenti alla medesima vicenda vengono regolati da due diverse giurisdizioni. 113 Corte Cost., 5 luglio 2004, n. 204, in www.giurcost.org. 114 Corte Cost., 5 febbraio 2010, n. 35, in www.giurcost.org. 484 Ada Caldarera Osservazioni sul riparto di giurisdizione… Allo stesso modo contradittorio sembra, poi, la distinzione tra il provvedimento di espulsione prefettizia e quello ministeriale, entrambi incidenti su un diritto fondamentale dell’immigrato, qual è la libertà personale, ma assegnati alla cognizione di giudici diversi. Distinzione basata su un preteso carattere discrezionale dell’espulsione ministeriale, integrando l’esercizio di un vero e proprio potere, tale da negare la sussistenza di un diritto soggettivo, che mancherebbe nell’espulsione prefettizia, a carattere vincolato, tale, quindi, da risultare compatibile con posizioni di diritto soggettivo dello straniero115. In tal modo, però, si presume possibile fondare il riparto di giurisdizione sulla natura vincolata o discrezionale del potere, mentre “il carattere vincolato dell’attività amministrativa non è di per sé indice univoco della presenza di contrapposti diritti soggettivi”116, negando, tra l’altro, i profili di discrezionalità rinvenibili anche nel provvedimento di espulsione prefettizia117, con evidenti conseguenze sull’effettività della tutela processuale dello straniero118. 115 In tal senso, Cass. civ. (sezione I), 5 gennaio 2005, n. 210, in www.cortedicassazione.it. 116 M. Lipari, Il giudice ordinario e le nuove forme di tutela nei confronti della pubblica amministrazione. Aspetti pro- blematici della devoluzione al giudice ordinario delle controversie in materia di atti autoritativi, in www.giustizia-amministrativa.it, 1999, 13. In proposito, G. Falcon, Lezioni di diritto amministrativo, Padova 2013, 81 ss., ha sottolineato che “assimilare la situazione soggettiva correlata al potere vincolato al diritto soggettivo comporterebbe – al di là della questione della sua fondatezza teorica – notevoli inconvenienti pratici”, stante che la stessa distinzione tra potere discrezionale e potere vincolato è difficoltosa; “se è vero che quando il provvedimento è discrezionale il soggetto interessato non può vantare, sotto questo profilo, che un interesse strumentale, garantito nella legittimità del provvedimento, non è meno vero che molte sono le situazioni in cui i poteri amministrativi sono in realtà vincolati (o lo diventano nel corso del procedimento, sulla base degli esiti delle diverse attività istruttorie), di modo tale che il rispetto della legge assicura agli interessati all’emanazione di un provvedimento che esso debba essere emanato, o agli interessati alla non emanazione di un determinato provvedimento che esso non debba essere emanato” e di questa circostanza “è almeno in teoria possibile un pieno accertamento giurisdizionale”. In questi casi “la posizione dell’interessato rispetto all’amministrazione potrebbe essere definita non come quella di un mero interesse strumentale, ma come quella di un interesse sostanziale la cui soddisfazione è assicurata o non assicurata dal rispetto delle norme giuridiche, e quindi come situazione simile al diritto soggettivo, che finisce per distinguersene soltanto per il fatto che le norme istitutive del potere mirano almeno prevalentemente alla tutela dell’interesse pubblico”. 117 Condivisibili, in tal senso, le osservazioni di R. Caponigro, la tutela giurisdizionale dello straniero avverso l’espulsione amministrativa prefettizia, cit., 3563 ss., per il quale, se è vero che le prime due ipotesi contemplate dal comma 2 dell’art. 13 T.U. n. 286/1998 (ingresso nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera; permanenza nel territorio dello Stato in assenza di permesso di soggiorno) vincolano l’amministrazione non solo all’adozione del provvedimento di espulsione, ma anche nell’accertamento dei presupposti che sono riscontrabili con precisione assoluta, mentre nella terza ipotesi (appartenenza a categorie di persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità) la valutazione dei presupposti risultando connotata dall’utilizzo di cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca è chiaramente definibile tipico esercizio di discrezionalità tecnica, che non impedisce al giudice di formulare un giudizio di logica e congruità e di poter rilevare se i fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla norma, è anche vero che al fine di proteggere al meglio la posizione giuridica dello straniero, si deve aver riguardo alla finalità perseguita dalla norma alla quale l’atto si collega. Sicché, se, come evidenziato da Corte Cost., ord. 25 ottobre 2000, n. 485, in www.giurcost. org, la norma di cui all’art. 13, comma 2, T.U. n. 286/1998 è preordinata ad assicurare una razionale gestione dei flussi migratori nel nostro Paese, ne consegue che l’espulsione amministrativa è evidentemente finalizzata al perseguimento di un interesse pubblico, sicché l’attività prefettizia risulta chiaramente attività provvedimentale, nel senso che il Prefetto agisce nell’esercizio di un potere pubblico e, pertanto, la posizione giuridica del destinatario dell’atto è di interesse legittimo. 118 Possibili riduzioni di tutela dello straniero, infatti, sono rinvenibili sia sul piano sostanziale, a causa della dequalificazione dei vizi formali del provvedimento vincolato operata dall’art. 21 octies della l. n. 241/1990, sia 485 Interventi  Parte IV E, non può dimenticarsi che, all’interno del sistema processuale amministrativo italiano, l’effettività della tutela è garantita anche dall’inserimento della vicenda giurisdizionale all’interno della più ampia vicenda procedimentale. Ciò, in quanto, spesso il decisum del giudice non esaurisce il conflitto tra autorità e libertà espresso dalle parti nel processo, ma è necessario un ulteriore intervento dell’amministrazione, che, com’è noto, solo al giudice amministrativo è consentito sollecitare119. Se è vero che “le difficoltà nella gestione dei flussi migratori non possono giustificare il ricorso da parte degli Stati, a pratiche che sarebbero incompatibili con i loro obblighi derivanti da convenzioni”120, altrettanto vero è che il principio di effettività del diritto – dello straniero, in questo caso – richiede, anche per esigenze di razionalità del sistema, una concentrazione delle tutele innanzi ad un unico giudice. Se poi la garanzia della tutela delle libertà e dei diritti (ché di questo, in ultima analisi, si tratta) dovrà provenire essenzialmente dal risultato di un’indagine cognitoria non limitata alla mera valutazione delle Carte costituzionali e delle relative leggi, ma coinvolgente anche le concrete dinamiche dei rapporti tra privato e potere, la scelta non può che ricadere sul giudice amministrativo121. E si tratta di scelta che non può essere orientata negativamente sulla scorta di pretese esigenze di celerità del giudizio posto che il giudice amministrativo conosce riti accelerati ed acceleratissimi (si pensi al rito elettorale o al rito sugli appalti) di gran lunga più efficienti e garantisti del processo innanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria. Dubbi possono sorgere, semmai, circa l’attribuzione della competenza giurisdizionale al giudice ordinario laddove si ponga mente al fatto che, in linea di massima, il soggiorno sul territorio dei cittadini di Paesi terzi non viene generalmente garantito come un pieno diritto soggettivo, ma è costruito secondo lo schema di un interesse legittimo122, sicché, se, per quanto detto, risulta possibile attribuire al giudice amministrativo la cognizione sui diritti, anche fondamentali, lo stesso non può avvenire per il giudice ordinario che, per espressa disposizione dell’art. 103 Cost., non può avere cognizione sugli interessi. sul piano giurisdizionale, in quanto, in tal modo, il controllo del giudice viene qualificato come una verifica formale della sussistenza dei requisiti normativi come se essi non sottendessero valutazioni tecniche e discrezionali che, invece, non solo sono presenti, ma se negate, verrebbero di fatto sottratte ad una reale possibilità di controllo. Sulla riduzione delle garanzie procedimentali, si veda M. Savino, Le libertà degli altri, cit., 269. 119 Sul punto, F. Patroni Griffi, L’effettività della Giustizia Amministrativa in Italia, in I Consigli di Stato di Francia e d’Italia (a cura di G. Paleologo), Milano 1998, 225 ss. 120 Corte EDU, 23 febbraio 2012, Hirsi Jamaa e a. c. Italia, cit. 121 F. Zammartino, Diritti fondamentali e tutela del giudice amministrativo, cit., 120. 122 In tal senso, E. Rigo, Europa di confine: trasformazioni della cittadinanza nell’Unione allargata, Roma 2007, 193. 486 GIUDICE AMMINISTRATIVO E TUTELA DEI MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI ~ Giovanni Cocozza ~ 1. LA DIFFICILE DISCIPLINA DI UN FENOMENO COMPLESSO • 2. I PROBLEMI DI COORDINAMENTO TRA LE VARIE NORMATIVE NEL PERIODO 2009-2011 • 3. LA SOLUZIONE PROPOSTA DAL CONSIGLIO DI STATO ATTRAVERSO L’INTERPRETAZIONE SISTEMATICA • 4. DALLO SVILUPPO DI TALE LINEA ARGOMENTATIVA ALL’UTILIZZO ESCLUSIVO DELL’INTERPRETAZIONE AUTENTICA • 5. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE. 1. La difficile disciplina di un fenomeno complesso. Il tema della tutela dei minori stranieri non accompagnati, nell’ambito del più ampio problema dell’immigrazione, ha suscitato negli ultimi anni una crescente attenzione in sede giurisprudenziale e dottrinale1, in considerazione del progressivo aumento del fenomeno e delle connesse difficoltà di un efficace governo da parte degli apparati pubblici, alimentate soprattutto da interventi legislativi ispirati da logiche di gestione dell’emergenza. La disciplina legislativa di settore che regolamenta l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati ha mostrato nel tempo non poche difficoltà per la mancanza di una organica regolamentazione. Di qui la necessità di interventi del giudice amministrativo, che ha dovuto fronteggiare ostacoli interpretativi di notevole consistenza per offrire un quadro regolativo dotato di una coerenza applicativa e in sintonia con esigenze di garanzia da offrire a soggetti con particolare fragilità. Si mostra, così, opportuna una riflessione che tenda a cogliere quanto abbia contribuito la giurisprudenza amministrativa a configurare le politiche di accoglienza nei confronti di tali categorie, osservando il rapporto tra legislatore e giudice e indagando gli strumenti di cui quest’ultimo si è avvalso, che, seppur con qualche “forzatura”, si mostrano funzionali 1 Si v., sul tema, L. R. Perfetti, La legalità del migrante. “Status” della persona e compiti dell’amministrazione pub- blica nella relazione paradigmatica tra migranti respinti, irregolari, trattenuti minori e potere pubblico, in Dir. e proc. amm., 2016, 2, 393 ss.; G. Piluso, Il rischio di “default” per la ragion di Stato? La disciplina sui “minori stranieri non accompagnati” e la recente attuazione delle direttive comunitarie, con particolare riguardo alla realtà dei comuni siciliani, in www.federalismi.it, 2016; C. Mazza, Il trattenimento illegittimo di minori stranieri non accompagnati: prassi e anomalie del sistema d’accoglienza e del funzionamento dei centri per migranti, in Minorigiustizia 2, 2014, 186 ss.; F. Finocchiaro, La recente esperienza siciliana dei minori stranieri non accompagnati, ivi, 197 ss.; A. Lucifora, Il minore straniero tra ordine pubblico e superiore interesse del fanciullo, in I quaderni europei, dicembre 2012; Di recente, si v. M. Interlandi, Potere amministrativo e tutela delle relazioni familiari tra esigenze di ordine pubblico e “superiore interesse” del minore straniero, in www.giustamm.it 4, 2017. 487 Interventi  Parte IV per accedere a una ricostruzione lineare e coerente della regolamentazione di un fenomeno difficile da governare. Non si può, dunque, che esprimere soddisfazione per l’entrata in vigore della l. n. 47/20172, che introduce una serie di modifiche alla normativa vigente in materia di minori stranieri non accompagnati, con la dichiarata finalità di definire una disciplina unitaria e organica, volta, da un lato, a rafforzare gli strumenti di tutela approntati dall’ordinamento e, dall’altro, ad assicurare una qualche omogeneità nell’applicazione delle disposizioni in tutto il territorio nazionale3. In particolare, ha rilievo il principio che tale legge afferma, in base al quale, a prescindere dalla eventuale richiesta di protezione internazionale, i minori stranieri non accompagnati sono titolari degli stessi diritti, in materia di protezione dei minori, previsti per i minori di cittadinanza italiana o dell’Unione europea. Il testo di recente approvazione si inserisce, quindi, in un quadro normativo di per sé abbastanza complesso, con l’intento di proporsi come riferimento organico di disciplina. Analizzando le previsioni, rileva innanzitutto la definizione che la legge offre di minori stranieri non accompagnati, intesi come i minorenni non aventi cittadinanza italiana o dell’Unione europea presenti per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o comunque sottoposti alla giurisdizione italiana, privi di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano4. Viene, poi, fissato il principio del divieto di respingimento alla frontiera dei minori5 e disciplinato, attraverso l’inserimento dell’art. 19-bis nel d.lgs. n. 142/2015, in modo più accurato, il procedimento di identificazione6. 2 Recante “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati”. 3 Da ricordare che il Parlamento italiano aveva già evidenziato alcuni nodi critici e lacune del quadro norma- tivo vigente in materia di minori non accompagnati nel documento conclusivo della Commissione bicamerale per l’infanzia approvato in seguito allo svolgimento di una indagine conoscitiva nel 2009. E anche il Parlamento europeo è intervenuto con la risoluzione del 12 settembre 2013 per chiedere ai Paesi membri e alla Commissione europea un rafforzamento delle tutele garantite ai minori stranieri non accompagnati, suggerendo al contempo alcune azioni strategiche da intraprendere. 4 Cfr. art. 2. 5 Art. 3. 6 L’art. 5 prevede, infatti, un colloquio con il minore da parte del personale qualificato della struttura di prima accoglienza, sotto la direzione dei servizi dell’ente locale competente e coadiuvato, ove possibile, da organizzazioni, enti o associazioni con comprovata e specifica esperienza nella tutela dei minori, volto a far emergere ogni elemento utile per la protezione del minore. Vengono anche disciplinate le modalità per l’accertamento dell’età del minore, in via principale attraverso un documento anagrafico, o, nel caso in cui permangano dubbi fondati in merito all’età dichiarata dal minore, disponendo da parte della procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni esami socio-sanitari volti all’accertamento della stessa. Esami che la legge prevede debbano essere svolti in un ambiente idoneo con un approccio multidisciplinare da professionisti adeguatamente formati e, ove necessario, in presenza di un mediatore culturale, utilizzando modalità meno invasive possibili e rispettose dell’età presunta, del sesso e dell’integrità fisica e psichica della persona, con la preclusione che non devono essere eseguiti esami socio-sanitari che possano compromettere lo stato psico-fisico della persona. Nel caso in cui, anche dopo l’accertamento socio-sanitario, permangano dubbi sulla minore età, questa si presume ad ogni effetto di legge. 488 Giovanni Cocozza Giudice amministrativo e tutela… Tra le ulteriori novità della disciplina normativa, vi è anche la previsione del rimpatrio assistito e volontario, che può essere adottato dal tribunale per i minorenni competente, sentiti il minore e il tutore e considerati i risultati delle indagini familiari, nel caso in cui il ricongiungimento con i familiari nel paese di origine corrisponda al superiore interesse del minore, nonché la previsione di un sistema informativo nazionale dei minori stranieri non accompagnati7. Sono contemplate due tipologie di permesso di soggiorno. Il permesso di soggiorno per minore età, rilasciato al minore, su richiesta dello stesso, da parte del questore anche prima della nomina del tutore, con validità fino al compimento della maggiore età. E il permesso di soggiorno per motivi familiari, rilasciato dal questore in caso di minore di quattordici anni affidato o sottoposto alla tutela di un cittadino italiano convivente, oppure per il minore, che ha superato i quattordici anni, affidato o sottoposto a tutela di uno straniero regolarmente soggiornante o di un cittadino italiano convivente8. Vengono apportate anche alcune modifiche alla disciplina prevista per la conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età, contemplata dall’art. 32, comma 1-bis del d.lgs. n. 286/1998, che sarà oggetto di osservazione nel prosieguo del lavoro. Inoltre, vi è un espresso rinvio alle disposizioni contenute nell’art. 20, della l. n. 241/1990, in materia di silenzio-assenso, con una deroga al principio di cui al comma 4 dell’art. 20 della l. n. 241/90, che esclude l’applicazione della disposizione ai procedimenti riguardanti l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza. Infine, per i minori che hanno intrapreso un percorso di inserimento sociale, ma che alla maggiore età hanno necessità di un ulteriore supporto, si introduce la possibilità di affidamento ai servizi sociali, in ogni caso non oltre il compimento del ventunesimo anno di età9. Per quanto riguarda il sistema di accoglienza, mentre il già citato art. 4 apporta alcune modifiche alla c.d. “prima accoglienza”, l’art. 12 prevede che tutti i minori non accompagnati, a prescindere dalla richiesta di protezione internazionale, possono accedere al sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR). Di qui anche la modifica terminologica in “Sistema di protezione per richiedenti asilo, rifugiati e minori stranieri non accompagnati”10. Infine, nella nuova normativa sono previsti espressamente i diritti dei minori non accompagnati11. Così, ad esempio, l’iscrizione obbligatoria al Servizio sanitario nazionale an- 7 Cfr. art. 8 e 9. Quest’ultimo, in particolare, prevede, sempre nella tutela del superiore interesse del minore, la compilazione di un’apposita cartella sociale da parte del personale della struttura di accoglienza, volta ad evidenziare elementi utili per determinare una soluzione di lungo periodo migliore per il minore. 8 Art. 10. 9 Cfr. art. 13. 10 Si aggiunge inoltre che in caso di temporanea indisponibilità delle strutture per l’accoglienza, la stessa è temporaneamente assicurata dal Comune dove si trova il minore, secondo gli indirizzi stabiliti dal Tavolo di coordinamento nazionale, istituito ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 142/2015, presso il Ministero dell’interno, fatta salva la possibilità di trasferimento del minore in un altro Comune. 11 Sulla delicata tematica dei diritti fondamentali degli immigrati, cfr. M. Immordino, Pubbliche amministrazioni e tutela dei diritti fondamentali degli immigrati, in www.federalismi.it, 2014. Ci si limita altresì a richiamare, tra i 489 Interventi  Parte IV che nelle more del rilascio del permesso di soggiorno; il diritto all’istruzione, prevedendo la necessità di adozione di specifiche misure da parte delle istituzioni scolastiche e delle istituzioni formative; il diritto all’ascolto, che si concretizza in un’assistenza affettiva e psicologica assicurata dalla presenza di persone idonee indicate dal minore nonché di gruppi, fondazioni, associazioni di comprovata esperienza nel settore e nel diritto a essere ascoltato e a partecipare per mezzo di un rappresentante legale a tutti i procedimenti giurisdizionali e amministrativi che riguardano il minore; il diritto all’assistenza legale, ovvero di essere informato dell’opportunità di nominare un legale di fiducia. E ulteriori specifiche misure di tutela sono previste per i minori vittime di tratta e per i minori richiedenti protezione internazionale. Quanto tale ultimo intervento del legislatore sia idoneo a offrire una disciplina solida e organica potrà essere misurato solo valutando il momento applicativo. Fase nella quale ha già mostrato il suo fondamentale ruolo la giurisprudenza amministrativa che ha dovuto fronteggiare una disciplina di settore inidonea a offrire un quadro regolativo lineare e comprensibile. Come si anticipava, infatti, il giudice amministrativo sembra aver utilizzato tutti gli strumenti a sua disposizione per rinvenire e applicare una regola coerente con il sistema, facendo ricorso, peraltro, anche ad argomenti non proprio inattaccabili. Con riserva di osservare appena dopo il modo di proporsi delle formule dispositive utilizzate dagli atti legislativi citati, si può dire subito, anche se con riferimento solo ai minori affidati, che sono tre, in particolare, i momenti di regolamentazione che si sono mostrati rilevanti per la questione in esame: l’art. 32 del d.lgs. n. 286/199812, la l. n. 94/200913 e il d.l. n. 89/2011, convertito in l. n. 129/201114. Essi delineano dapprima un regime giuridico che consente di ottenere, al compimento della maggiore età, il permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo (nel 1998, secondo quanto stabilito dall’art 32, comma 1). Di poi, una disciplina alla stregua della quale è necessario, per ottenere tale permesso, essere stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni a un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato (che abbia determinati requisiti)15. E ancora, il ripristino della precedente condizione più favorevole, con la possitanti contributi, M. Immordino, C. Celone (a cura di), Diritto degli immigrati e diritto dell’immigrazione, in Nuove autonomie 2, 2013; A. A. Genna, G. Verde (a cura di), Immigrazione e garanzie dei diritti fondamentali, Torino 2012; M. Savino, La libertà degli altri. La regolazione amministrativa dei flussi migratori, Torino 2012; F. Scuto, I diritti fondamentali della persona quale limite al contrasto dell’immigrazione irregolare, Milano 2012; G. Corso, La disciplina dell’immigrazione tra diritti fondamentali e discrezionalità del legislatore nella giurisprudenza costituzionale, in www.cortecostituzionale.it, 2012. 12 Si tratta del “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”. 13 Recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”. 14 Recante “Disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari”. 15 Si ricorda che tale regime è stato introdotto dalla l. n. 94/2009. 490 Giovanni Cocozza Giudice amministrativo e tutela… bilità di ottenere tale permesso solo previo parere positivo del Comitato per i minori stranieri16 (con il d.l. n. 89/2011, convertito in l. n. 129/2011). Interventi, come si può notare, privi di una unitaria linea di ispirazione e, come tali, idonei a generare non tollerabili distinzioni causate esclusivamente dalla circostanza che le situazioni, pur equivalenti, sono valutate dall’autorità pubblica in momenti temporalmente diversi, sebbene anche molto vicini, con esiti ovviamente differenti alla stregua delle regole da applicare, se ricadenti sotto il governo dell’uno o dell’altro atto legislativo. Inevitabile il contenzioso che si è sviluppato soprattutto ad opera di chi, trovandosi ad essere destinatario della disciplina di maggior rigore portata dalla l. n. 94/2009, ha eccepito l’impossibilità di poter vantare il presupposto del biennio di inserimento in un progetto di integrazione sociale, tenendo conto del tempo fra il suo ingresso in Italia e il raggiungimento della maggiore età, inferiore, appunto, ai due anni. Il giudice amministrativo ha dovuto affrontare e risolvere dunque una questione oggettivamente intricata, che, come si diceva, lo ha costretto ad utilizzare tutti gli strumenti interpretativi per pervenire a un risultato ragionevole e plausibile, fino a prospettare, in maniera molto netta, con la sentenza del Consiglio di Stato n. 4394 del 201617, una soluzione meritevole di attenzione, e cioè che quanto disposto dal d.l. n. 89/2011 si proponga come una norma di interpretazione autentica, in quanto, in tal senso, è ormai la giurisprudenza del giudice amministrativo. Non è revocabile in dubbio il merito del Consiglio di Stato di aver risolto ciò che il legislatore ha soltanto reso complicato e non decifrabile e, nello stesso tempo, non si può non condividere l’assetto dei rapporti che da tale soluzione discende, essendo esso corrispondente a logica ed equità. Ma, tanto evidenziato, l’impianto motivazionale da ultimo esplicitato mostra due versanti che hanno qualche peculiarità da segnalare, per un preciso inquadramento dell’intervento giudiziario. Per un verso, il modo in cui il Consiglio di Stato ricorre all’interpretazione autentica nel caso di specie; per altro, la maniera in cui utilizza il precedente. Quest’ultimo – che sembra avere conseguito una incerta fisionomia attraverso una sorta di formazione progressiva di dati ricostruttivi che, seppur disomogenei, sono stati integrati – non è esattamente quello indicato. Al fine di un’osservazione mirata di questi due punti occorre, ovviamente, dar conto, innanzitutto, del modo di proporsi delle discipline normative e, di conseguenza, della maniera in cui si è sviluppata la correlata giurisprudenza. 16 Con riferimento alle funzioni del Comitato per i minori stranieri, occorre ricordare che il decreto l. n. 95/2012 recante “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario” (“Spending review”), convertito in l. n. 135/2012, ha previsto all’art. 12, comma 20 che le attività svolte dagli organismi collegiali operanti presso le pubbliche amministrazioni, in regime di proroga, sono definitivamente trasferite ai competenti uffici delle amministrazioni nell’ambito delle quali operano. 17 Cons. Stato, sez. III, 20 ottobre 2016, n. 4394, in www.giustizia-amministrativa.it. 491 Interventi  Parte IV 2. I problemi di coordinamento tra le varie normative nel periodo 2009-2011. Come si è anticipato, il problema si manifesta perché la disciplina dei minori stranieri ha conosciuto un confuso e contraddittorio avvicendarsi di diverse normative. Nel 1998 lo schema formulativo è chiaro. Si prevede, infatti, che al compimento della maggiore età, allo straniero nei cui confronti sono state applicate le disposizioni di cui all’art. 31, commi 1 e 2, e ai minori comunque affidati ai sensi dell’art. 2 della l. n. 184/1983 possa essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo per esigenze sanitarie o di cura18. Dunque, da un lato, i minori comunque affidati; dall’altro, lo straniero nei cui confronti sono state applicate le disposizioni a favore dei minori, di cui all’art. 31, commi 1 e 2 del medesimo testo normativo. Nel 2002 vi sono alcune aggiunte alla disposizione legislativa19. Il comma 1-bis dell’art. 32, infatti, detta una disciplina specifica anche per i minori stranieri non accompagnati, ammessi per un periodo non inferiore a due anni a un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ai quali può essere rilasciato il permesso di soggiorno (previsto dal comma 1) per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età, sempreché non sia intervenuta una decisione del Comitato per i minori stranieri. Quindi, i destinatari della norma sono i minori comunque affidati (comma 1) e i minori non accompagnati con l’inserimento nel progetto di integrazione sociale e civile per il periodo previsto (comma 1-bis). Nel 2009 la disposizione cambia20. L’art. 1-bis, infatti, stabilisce che il permesso di soggiorno può essere rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età, purché non vi sia stata una decisione del Comitato per i minori stranieri, ai minori stranieri non accompagnati, affidati ovvero sottoposti a tutela, richiedendo altresì che essi siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni a un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell’art. 52 del d.P.R. n. 394/1999. La disposizione legislativa richiede, così, per ottenere il permesso di soggiorno, che i minori non accompagnati siano affidati ovvero sottoposti a tutela con il requisito dell’inserimento nel progetto di integrazione sociale e civile. 18 In tal senso, l’art. 32 del d.lgs. n. 286/1998 citato. 19 Modifiche apportate dalla l. n. 189/2002. 20 Ad opera della l. n. 94/2009. 492 Giovanni Cocozza Giudice amministrativo e tutela… Nel 2011 la formulazione è ancora una volta diversa21. L’art. 1-bis, infatti, dispone che il permesso di soggiorno possa essere rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età, ai minori stranieri non accompagnati, affidati ovvero sottoposti a tutela, richiedendo però il previo parere positivo del Comitato per i minori stranieri, oppure ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni a un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell’art. 52 del d.P.R. n. 394/1999. Questa disposizione ripropone, dunque, tratti del testo originario del 1998, anche se con qualche modifica. Si deve osservare come dal raffronto tra le normative si trae che il contrasto fra le disposizioni è indubitabile. In particolare, poi, rileva, per l’aspetto che sarà analizzato, che nessuna di quelle sopravvenute all’originaria reca la denominazione di interpretazione autentica. Naturalmente resta l’anomalia in termini sistemici di una disciplina – quella del 2009 – che introduce requisiti prima non richiesti (e, come si vedrà, impossibili, in alcuni casi, da ottenere) e, per di più, da rispettare soltanto per il periodo dal 2009 al 2011, quando, come si è detto, la modifica in tale anno (2011) intervenuta ripropone una disciplina analoga a quella precedente il 2009. Per certi versi, è un vero rompicapo che il giudice amministrativo deve cercare di risolvere, anche perché vi sono valori in campo ed esigenze meritevoli di tutela anche a livello sovranazionale22. Si delinea un percorso ricostruttivo del giudice amministrativo nel quale assumono soprattutto rilievo due decisioni del Consiglio di Stato: la n. 269/201323 e la n. 2097/201624. 21 Il d.l. n. 89/2011, all’art. 3 dispone, infatti, la soppressione delle parole: «sempreché non sia intervenuta una de- cisione del Comitato per i minori stranieri di cui all’articolo 33» e aggiunge le seguenti: «previo parere positivo del Comitato per i minori stranieri di cui all’articolo 33 del presente testo unico, ovvero ai minori stranieri non accompagnati». 22 Naturalmente, tra le varie disposizioni poste a tutela dei minori, non si possono non ricordare anche l’art. 24 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (noto come Patto internazionale sui diritti civili e politici), il trattato delle Nazioni Unite adottato il 19 dicembre 1966 ed entrato in vigore il 23 marzo 1976, il cui contenuto prevede che «1. Every child shall have, without any discrimination as to race, colour, sex, language, religion, national or social origin, property or birth, the right to such measures of protection as are required by his status as a minor, on the part of his family, society and the State. 2. Every child shall be registered immediately after birth and shall have a name. 3. Every child has the right to acquire a nationality». Ancora, la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, adottata il 20 novembre 1989 ed entrata in vigore in Italia con l. n. 176/ 1991, nella quale emerge il rilievo del “superiore interesse del minore” nelle decisioni che lo riguardano; elemento che trova conferma anche nell’art. 24, par. 2. della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, secondo cui: «in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente». Sul tema, si v., anche, P. Alston, Commentary on the Convention on the Rights of the Children, UN Center for Human Rights and UNICEF, 1992; C. Focarelli, La Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e il concetto di «best interests of the child», in Riv. Dir. int., 2010, 981 ss.; P. Martinelli, J. Moyerson, L’interesse del minore: proviamo a ripensarlo davvero, in Min. giust., 2011, 7 ss.; R. Rivello, L’interesse del minore fra diritto internazionale e multiculturalità, in Min. giust., 2011, 15 ss. 23 Cons. Stato, sez. III, 17 gennaio 2013, n. 269, in Foro amm. C.d.S. 1, 2013, 120. 24 Cons. Stato, sez. III, 19 maggio 2016, n. 2097 in www.giustizia-amministrativa.it. 493 Interventi  Parte IV Esse mostrano, infatti, l’approccio interpretativo e gli aspetti che lo connotano, per poter cogliere la torsione che si realizza nell’essere utilizzati come precedenti. 3. La soluzione proposta dal Consiglio di Stato attraverso l’interpretazione sistematica. Nell’indicata sentenza del 2013, la questione è quella paradigmatica dell’anomalia determinata dalla nuova (per l’epoca) disciplina del permesso di soggiorno (di cui alla l. n. 94/2009). Si tratta, infatti, di un appello proposto nei confronti di una sentenza del T.A.R. Toscana Firenze25, con la quale era stato respinto il ricorso volto all’annullamento di un decreto del Questore di rigetto di una istanza per il rinnovo/conversione del permesso di soggiorno da “minore età” a “lavoro subordinato – attesa occupazione”26. Tale sentenza del giudice di primo grado si inserisce in un più ampio e vario contesto giurisprudenziale che ha affrontato la questione. Si considerino, così, ad esempio, alcune conclusioni del giudice amministrativo, quando si afferma che «la nuova disciplina, recata dalla l. n. 94/2009 – che anche per i minori affidati consente la conversione del permesso di soggiorno, dopo la maggiore età, in permesso per lavoro o studio, solo a condizione che il minore abbia partecipato a un progetto almeno biennale di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale (art. 32, comma 1 bis, d.lgs. n. 286/1998) – non possa che essere interpretata in modo che sia effettivamente consentito ai minori la partecipazione a tali progetti. Diversamente opinando la legge avrebbe un’inammissibile efficacia retroattiva ed imporrebbe ai minori stranieri un adempimento impossibile»27. Oppure ancora, quando si rileva come «la nuova disciplina recata dalla l. n. 94/2009, alla cui stregua anche per i minori affidati il rilascio del permesso di soggiorno dopo la maggiore età viene subordinato alla partecipazione ad un progetto di integrazione di almeno due anni, si applica ai minori affidati dopo la sua entrata in vigore, od anche affidati prima, ma che raggiungano la maggiore età almeno due anni dopo l’entrata in vigore della citata legge, in modo da consentire a tali soggetti di partecipare al progetto biennale. Non si applica, invece, ai minori affidati che raggiungano la maggiore età prima del suddetto periodo di due anni, ai quali continuerà ad applicarsi il testo dell’art. 32 del d.lgs. n. 286/1998 anteriore alla l. n. 94/2009, che consente, in favore dei minori 25 T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, sentenza del 7 ottobre 2011, n. 1469, in Foro amm. T.A.R. 10, 2011, 3106. 26 La sentenza di primo grado aveva ritenuto che con la modifica apportata nel 2009 l’obbligo della frequenta- zione biennale del progetto di integrazione sociale e civile deve reputarsi esteso anche ai minori affidati o sottoposti a tutela, il cui trattamento è stato dal legislatore equiparato a quello dei minori non accompagnati. Afferma il T.A.R. che «affatto diversa è la situazione di coloro, i quali abbiano fatto ingresso in Italia nel vigore della novella del 2009. Costoro, ancorché abbiano acquistato lo status di minori affidati, non possono infatti vedersi riconosciuta alcuna aspettativa meritevole di tutela per la semplice ragione di non essere mai stati destinatari della disposizione previgente e, pertanto, di non aver mai potuto fondatamente coltivare l’aspirazione ad avvalersi della conversione del permesso di soggiorno – una volta compiuta la maggiore età – senza doversi preventivamente assoggettare alla frequentazione del prescritto corso biennale di integrazione sociale e civile». 27 T.A.R. Lazio Roma, sez. II, sentenza del 7 dicembre 2011, n. 9630, in Foro amm. T.A.R. 12, 2011, 3968. 494 Giovanni Cocozza Giudice amministrativo e tutela… stessi, il rilascio del titolo di soggiorno per motivi di lavoro o di studio a prescindere dalla partecipazione al progetto di integrazione»28. Nel giudizio di appello, a fronte di una linea dell’appellante tesa a sostenere che la modifica apportata dalla l. n. 94/2009 all’art. 32 del d.lgs. n. 286/1998 è inapplicabile nei confronti dei minori affidati o sottoposti a tutela, i quali raggiungono, o abbiano raggiunto, la maggiore età prima dei due anni dall’entrata in vigore della novella normativa – perché costoro si troverebbero nella materiale impossibilità di conseguire il requisito richiesto dalla legge novellata, e cioè la frequentazione almeno biennale di un progetto di integrazione sociale e civile – il Consiglio di Stato propone un più strutturato percorso argomentativo. Innanzitutto rileva, e questo punto sarà poi decisivo nella soluzione proposta, che la linea interpretativa del Consiglio di Stato deve tener conto che l’art. 32, comma 1-bis, del d.lgs. n. 286/1998, è stato di nuovo modificato dalle disposizioni dell’art. 3, comma 1, lettera g)-bis, del d.l. n. 89/2011, convertito dalla l. n. 129/2011, che ha ripristinato la distinzione tra minori stranieri non accompagnati e minori stranieri, non accompagnati, ma affidati ex art. 2 e art. 4 della l. n. 184/1983 o sottoposti a tutela, «prevedendo solo per i minori non accompagnati la necessità della frequenza per almeno due anni del progetto di integrazione sociale e civile e la correlata permanenza in Italia per almeno tre anni, di cui al comma 1-ter, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età, mentre per i minori affidati o sottoposti a tutela si richiede il solo parere favorevole del Comitato per i minori stranieri». Di poi, preso atto dei contrasti giurisprudenziali e della contraddizione della l. n. 94/2009 con altre disposizioni previgenti29, si ritiene necessario utilizzare la modifica legislativa del 2011, valorizzandone la ratio. 28 T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, sentenza del 29 agosto 2011, n. 1344, in Foro amm. T.A.R. 7-8, 2011, 2306. 29 Il Consiglio di Stato evidenzia come vi siano una serie di aspetti contraddittori con altre disposizioni previ- genti non modificate. Così, in particolare, il contrasto tra la disciplina dei minori sottoposti a tutela prevista dall’art. 32, commi 1-bis e 1-ter, nel testo modificato dalla legge n. 94, e la norma di cui all’art. 29, comma 2, secondo periodo, che, regolando il connesso procedimento del ricongiungimento familiare, prevede che «i minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli». Afferma il giudice amministrativo che «non convince la tesi […] per la quale la equiparazione è prevista ai soli fini del ricongiungimento familiare. È invece paradossale proprio il fatto che tali minori potrebbero essere portati in Italia con il ben più complesso procedimento di ricongiungimento familiare, ma non possono avvalersi dell’assai più semplice trattenimento in Italia presso l’affidatario o tutore». Inoltre, sussistono difficoltà per cogliere la distinzione tra la categoria degli affidati a cui secondo l’art. 32, comma 1, sono state applicate le disposizioni di cui all’articolo 31, comma 1 e 2, dagli altri affidati o sottoposti a tutela che, in quanto rinviati al comma 1-bis, sono definiti affidati o sottoposti a tutela “non accompagnati”, a rischio di una diretta contraddizione in termini e quando sembrerebbe che, alla luce delle disposizioni dell’articolo 29 e dell’art. 31, a tutti gli affidati dovrebbero applicarsi le medesime disposizioni, mentre nel filo che lega art. 29, art. 31 e art. 32, comma 1, non si comprende perché non sono considerati anche i sottoposti a tutela, anche essi equiparati a figli dall’art. 29, comma 2. Vi è poi un contrasto con gli articoli 2, 4, e 9 della l. n. 84/1983, come interpretata dalla Corte costituzionale nel senso della sopradetta equiparazione e con le ulteriori indicazioni deducibili dalla consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale in materia. Infine, emerge la mancanza di qualsiasi rilevanza del rapporto di affidamento o di tutela, nel caso di uno stabile inserimento all’interno di un nucleo familiare, al fine di consentirne la prosecuzione dopo il compimento della maggiore età, che si pone in contrasto con gli articoli 8 e 14 della CEDU. 495 Interventi  Parte IV Quest’ultima è indicata, così, in finalità «riparatrici e correttive» rispetto al pregresso, in modo da ottenere un «primo e parziale rimedio (e perciò probabilmente anche esso temporaneo) ad una confusa e contraddittoria situazione normativa». In tale direzione, le norme sono da considerare e da utilizzare come norme interpretative «che operano per coordinare disposizioni contrastanti». In buona sostanza, in questa sentenza il giudice amministrativo non rinviene una interpretazione autentica né utilizza tale espressione, ma si avvale dell’intervento normativo sopravvenuto ai fini di una interpretazione sistemica. Conclusione non casuale perché nell’ipotesi in considerazione non sembrano esservi elementi che consentivano di configurare in modo diverso l’intervento legislativo. In nessuna parte dell’atto legislativo vi è una tale denominazione dell’intervento e, pur nella variabilità delle locuzioni possibili, non si rinviene un elemento formulativo che possa consentire l’individuazione di un’interpretazione autentica30. Ed ancora, nella successione delle norme, che si è prima ricordata, non si ravvisa il carattere di interpretazione autentica. Va sottolineato, per valutare il modo di proporsi del “precedente” che negli anni dal 2013 al 2015 vi sono altre decisioni del Consiglio di Stato, le quali, occupandosi della tematica, concludono il giudizio utilizzando, senza particolare motivazione, una interpretazione adeguatrice “secondo ragionevolezza” delle disposizioni sopravvenute31. 4. Dallo sviluppo di tale linea argomentativa all’utilizzo esclusivo dell’interpretazione autentica. Le difficoltà di inquadramento, però, permangono e si manifestano con evidenza nel 2016. Con la sentenza n. 1841 del 201632, infatti, il Consiglio di Stato si basa esclusivamente sull’assunto che l’intervento legislativo del 2011 configuri una interpretazione autentica e decide limitandosi a richiamare, come precedenti in tal senso, le sentenze del periodo 2013-2015 citate, che però non sembrano avere questo contenuto. Diversamente, la pronuncia n. 2097 del 2016 del Supremo giudice amministrativo reca un robusto apparato argomentativo, per giungere alla conclusione strutturato su un’interpretazione sistematica e conforme. 30 Cfr., in tal senso, le notazioni sviluppate da G. Verde, L’interpretazione autentica della legge, Torino 1997, 93, che, con riferimento alla l. n. 549/1995, ricorda le formule caratterizzanti l’interpretazione autentica e, in particolare: «l’articolo …, comma ... si applica nel senso che …»; «le disposizioni di cui … vanno interpretate nel senso che …»; l’articolo … si interpreta nel senso che …»; «il comma … deve essere interpretato nel senso che …»; «la disposizione … è da intendersi nel senso che …». 31 Cfr. Cons. Stato, sez. III, 13 settembre 2013, n. 4545, in Foro amm. C.d.S. 9, 2013, 2364; sez. III, 15 ottobre 2014, n. 5144, in Foro amm. 10, 2014, 2525; sez. III, 19 maggio 2015, n. 2537 in www.giustizia-amministrativa. it; sez. III, 13 maggio 2015, n. 2402, ivi. 32 Cons. Stato, sez. III, 9 maggio 2016, n. 1841, in www.giustizia-amministrativa.it. 496 Giovanni Cocozza Giudice amministrativo e tutela… I giudici di Palazzo Spada prendono atto che la posizione del soggetto si è definita tra la vigenza della l. n. 94/2009 e la nuova disciplina33. Osservano, però, che si deve procedere, nell’applicare la normativa, obbedendo al «necessario requisito della ragionevolezza»34. E che nel percorso interpretativo in base al quale ricercare le norme da applicare, occorre farsi guidare da principi di solidarietà, economicità dell’azione amministrativa ed effettività della tutela giurisdizionale35. In definitiva, sono indicati molti elementi (ragionevolezza, solidarietà, economicità dell’azione amministrativa ed effettività della tutela giurisdizionale) per ottenere un certo risultato applicativo. Operazione del tutto inutile se fosse stato rinvenibile il tratto dell’interpretazione autentica alla nuova disciplina. Però, e questo è il punto, seppur in maniera molto veloce ed esclusivamente ad adiuvandum di quanto il giudice ha ricavato con l’utilizzo di una tecnica interpretativa strutturata nel modo indicato, effettua un cenno ad una presunta interpretazione autentica già dichiarata dal Consiglio di Stato36. Insomma, la decisione non è fondata sul riconoscimento del carattere di interpretazione autentica della nuova regolamentazione, ma vi è ad esso un riferimento come argomento aggiunto a ulteriore sostegno di una motivazione che rinviene altrove il suo contenuto. L’incertezza è evidente. Essa viene confermata dalla sentenza n. 4394 del 201637. 33 Infatti, ricorda il Collegio che «lo stesso minore, entrato in Italia all’inizio del 2009, è divenuto maggiorenne nel febbraio 2010, per cui non ha avuto la possibilità di conseguire né il requisito della presenza in Italia nel triennio antecedente alla maggiore età né la possibilità giuridico-fattuale di partecipare al progetto di cui all’art. 32, c. 1-bis». 34 Così, si afferma come che il soggetto è divenuto maggiorenne poco dopo l’8 agosto 2009 e non è stato presente per un triennio nel territorio della Repubblica. Pertanto «l’applicazione retroattiva della norma (che richiederebbe, come detto, la maturazione di requisiti di impossibile realizzazione) si rileva palesemente non rispondere al necessario requisito di ragionevolezza, che sempre deve ispirare l’operatore nell’attività interpretativa della norma». 35 Di qui la conclusione del giudice amministrativo nel senso che «con la nuova formulazione dell’art. 32, il legislatore ha ripristinato la distinzione tra minori stranieri “non accompagnati” e minori stranieri “comunque affidati”, prevedendo solo per i primi, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età, la necessità che siano ammessi a frequentare, per almeno due anni, un progetto di integrazione sociale e civile, mentre per i secondi si richiede il solo parere favorevole del Comitato per i minori stranieri. In forza delle innovazioni sopravvenute, dunque, il ricorrente, in quanto minorenne sottoposto a tutela, non rientra più nella condizione ostativa costituita dalla circostanza di non essere stato ammesso, per un periodo non inferiore a due anni, ad un progetto di integrazione sociale e civile. Condizione già indispensabile per l’ottenimento del permesso di soggiorno a seguito di un precedente permesso per minore età. Quanto all’applicabilità della norma ulteriormente modificata, pur tenendo conto del principio del “tempus regit actum”, tuttavia, interpretandola sulla base dei principi di solidarietà, di economicità dell’azione amministrativa e di effettività della tutela giurisdizionale il Collegio non può che rilevare l’illegittimità di un provvedimento, che, in presenza di una nuova istanza dell’interessato, l’Amministrazione stessa sarebbe costretta, comunque, a revocare sulla base della normativa sopravvenuta». Sul punto va notato che, se il Consiglio di Stato utilizza l’espressione «il legislatore ha ripristinato la distinzione», ha colto una novità e non l’utilizzo di un’interpretazione autentica. 36 Il Consiglio di Stato afferma, infatti, che «in ogni caso il Collegio ha già avuto modo di interpretare la recente modifica come norma di interpretazione autentica di quelle preesistenti con la conseguenza di ritenerla quindi applicabile anche a tutte le situazioni ancora in corso di minori affidati o sottoposti a tutela». Come si è notato, però, il precedente richiamato non conteneva una tale conclusione. 37 Cons. Stato, sez. III, 20 ottobre 2016, n. 4394, cit. 497 Interventi  Parte IV Il Consiglio di Stato, nell’apparato argomentativo di quest’ultima, conclude che «la giurisprudenza della Sezione […] ha inteso tali ulteriori modifiche dell’art. 32, t.u. n. 286/1998 come norme di interpretazione autentica della normativa preesistente, con la conseguenza che sono applicabili, oltre che per il futuro, a tutte le situazioni ancora in corso di minori affidati o sottoposti a tutela». E perviene a tale conclusione valorizzando quelle «finalità riparatrici e correttive»38 che, costituendone la ratio, sono utili a sanare e regolare tutte le situazioni ancora pendenti secondo una logica omogenea e coerente nel rispetto dei principi costituzionali e dell’art. 8 della CEDU. 5. Osservazioni conclusive. Le notazioni che precedono mostrano che la parabola conformativa del “precedente” è interessante da osservare perché consegna alcuni elementi ricostruttivi funzionali a valutare le dinamiche di sistema. Pur con tutte le difficoltà recate dall’incerto ricorrere delle condizioni, il giudice “utilizza” l’interpretazione autentica (che il giudice stesso, di norma, contrasta perché menoma le sue attribuzioni) per conferire la necessaria forza alle sue conclusioni. Perviene a tale risultato connotativo senza tener conto degli elementi formali identificativi ma dando rilievo alle finalità di correzione del contraddittorio contesto normativo esistente, che dalla legge traspaiono. Nel contempo, l’esito è ottenuto attraverso tappe che fanno riflettere sul modo in cui il precedente si viene a configurare. Esso si è mostrato come una fattispecie a formazione progressiva con elementi che si sono aggiunti nel tempo in modo non coerente. Ne discende una peculiare e non del tutto certa connotazione, che risente di questo processo formativo. Ma proporlo come dato acquisito è utile al giudice per rendere solida la fase applicativa, recuperando quella “coerenza” della legge, smarrita nel disordinato succedersi delle normative. Una “coerenza” che il più recente intervento legislativo cerca di realizzare attraverso una sistemazione organica della materia, della quale sono state in precedenza ricordati alcuni passaggi caratterizzanti, utili per perseguire, anche con alcune novità di disciplina, una tutela più efficace a fini di garanzia. 38 Espressione, come si è visto, presente nella precedente sentenza del Consiglio di Stato n. 269 del 2013, ma diversamente utilizzata. 498 L’EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA DELLO STRANIERO EXTRACOMUNITARIO DINNANZI AL GIUDICE AMMINISTRATIVO ~ Silia Gardini ~ 1. INQUADRAMENTO DEL CAMPO D’INDAGINE • 2. LA TUTELA DEL CITTADINO EXTRACOMUNITARIO: IL NODO DELL’EFFETTIVITÀ, TRA PROCESSO E PROCEDIMENTO • 3. IL SINDACATO DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO SUI PROVVEDIMENTI IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE, ALLA LUCE DEL PRINCIPIO DI EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA • 3.1. SEGUE: LA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA SUI PERMESSI DI SOGGIORNO ED IL DIALOGO CON LA CORTE COSTITUZIONALE • 4. UNA BREVE RIFLESSIONE CONCLUSIVA. 1. Inquadramento del campo d’indagine. La branca del diritto dedicato al fenomeno dell’immigrazione si presenta, nel suo complesso, come un ambito di studio particolarmente problematico per il giurista, chiamato ad analizzare un fenomeno fortemente incidente sulla realtà sociale e che fisiologicamente tende a sfuggire ai, pur frequenti, slanci regolatori dello Stato, tesi tra i due poli dell’integrazione e della sicurezza1. Il settore ha, difatti, conosciuto negli ultimi vent’anni un notevole sviluppo normativo, a partire dall’emanazione del Testo Unico della materia del 1998 (d.lgs. n. 286/1998, ampiamente modificato qualche anno dopo dalla l. n. 189/2002)2, fino a giungere ai recenti d.l. n. 13 del 17 febbraio 2017 (convertito con la l. 13 aprile 2017, n. 46) e d. l. n. 113 del 4 ottobre 2018 (convertito in l. 1° dicembre 2018, n. 281) con i quali il Governo è intervenuto in via d’urgenza modificando profili rilevanti della materia, alcuni dei quali saranno richiamati nel corso della trattazione. 1 Tale settore del diritto involge una estesa ed eterogenea serie di interessi pubblici, a volte confliggenti, che vanno dagli obiettivi di politica e sviluppo sociale dello Stato, all’interesse alla cooperazione internazionale; dalla tutela dell’ordine pubblico nazionale, al dovere di tutela dei diritti della persona. Il tutto, nell’ottica dell’armonizzazione della disciplina nazionale agli standard di tutela previsti dal diritto sovranazionale. Cfr., sul punto, M.R. Spasiano, Principi sull’immigrazione, in Cittadinanza inclusiva e flussi migratori, Atti del Convegno di Copanello, 3-4 luglio 2008 (a cura di F. Astone, F. Manganaro, A. Romano Tassone, F. Saitta, Soveria Mannelli), 2009, secondo cui «[n]on è agevole la ricostruzione sistematica di quel coacervo di norme che definisce e regola il fenomeno dell’immigrazione, le politiche integrative o restrittive ad esso connesse». La stessa Corte costituzionale ha, in diverse circostanze, avuto modo di precisare come in particolare la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale sia collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, in relazione alla quale il legislatore ordinario possiede un’ampia discrezionalità, nel rispetto dei vincoli internazionali, degli obblighi comunitari e del principio di ragionevolezza (cfr., ex multis, Corte Cost., sentenze nn. 202/2013, 172/2012, 148/2008, 206/2006, 62/1994, in www.cortecostituzionale.it). 499 Interventi  Parte IV La complessa regolamentazione amministrativa dell’immigrazione – oggetto di uno spiccato policentrismo normativo ed organizzativo – coinvolge una varietà di funzioni e risulta scandita in procedimenti di natura eterogenea, tra loro intrecciati e differenziati nel contenuto, tanto sulla base della condizione personale del soggetto straniero, quanto in relazione all’interesse o al diritto da esso vantato. Sotto il profilo soggettivo, i procedimenti (e la connessa tutela giurisdizionale) subiscono delle differenziazioni regolamentative in base alla provenienza geografica o alle condizioni personali del soggetto straniero coinvolto3: si distinguono, così, stranieri cittadini europei e stranieri cittadini extracomunitari, mentre rivestono una posizione del tutto peculiare coloro che, richiedendo protezione internazionale, sono identificati come rifugiati, nonché gli apolidi, soggetti che non hanno alcuna cittadinanza4. Dal punto di vista oggettivo, invece, l’azione amministrativa in materia di immigrazione si articola in tre principali categorie di atti: i provvedimenti relativi all’ingresso dello straniero sul territorio nazionale, i provvedimenti finalizzati alla regolarizzazione della permanenza dello stesso in Italia ed i provvedimenti di espulsione o allontanamento. La tutela giurisdizionale prevista dall’ordinamento avverso tali atti si sviluppa a cavallo di due differenti giurisdizioni, quella ordinaria e quella amministrativa, da cui discende la previsione di tre diverse figure di giudice: il Tribunale Amministrativo Regionale, il Tribunale ordinario ed il Giudice di Pace, differenti quanto a competenze, strumenti e preparazione. Il recente d.l. n. 13/2017 (convertito con la l. 13 aprile 2017, n. 46), seppur con l’apprezzabile intento di implementare la predisposizione di una giurisdizione unica e specializzata in capo alla magistratura ordinaria5, non è intervenuto in maniera incisiva sulla problematica del coordinamento tra giudice amministrativo e giudice ordinario, mantenendo un sistema di tutela non privo di contraddizioni. 2 Una prima disciplina della materia si era già avuta con la l. n. 943/1986 (“Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine”), poi sostituita dalla l. n. 39/1990 (“Conversione in legge, con modificazioni, del Decreto Legge 30 dicembre 1989, n. 416, recante norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato. Disposizioni in materia di asilo”, c.d. “legge Martelli”), che per la prima volta affrontava in modo organico la disciplina dei provvedimenti amministrativi di ingresso, soggiorno e allontanamento dal territorio. 3 L’ordinamento prevede anche determinati procedimenti «semplificati» (ad es. per ottenere il permesso di soggiorno) per precise tipologie di soggetti richiedenti. I destinatari corrispondono a categorie di stranieri che sono considerati maggiormente “affidabili” sul piano della sicurezza o che lo Stato ha anche interesse ad attrarre nel proprio territorio (in tale direzione si pongono, ad esempio, le categorie di permessi speciali previste dall’art. 27 e ss. del T.U, in particolare quelli riservati ai lavoratori altamente qualificati). 4 Il Testo unico della materia, d.lgs. n. 286/98 si occupa direttamente di due soltanto di queste categorie di soggetti che sono – ai fini della relativa disciplina – qualificati come stranieri: i cittadini extracomunitari e gli apolidi. A norma dell’art. 1, comma 1 del d.lgs. n. 286/1998, la normativa del testo unico, infatti, «si applica ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e agli apolidi». 5 Il Decreto ha istituito presso i tribunali dei capoluoghi di regione delle nuove sezioni specializzate in materia di “Immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea”. Cfr., infra, par. 3. 500 Silia Gardini L’effettività della tutela dello straniero… Il tema dell’effettività della tutela assume, in un contesto così complesso e delicato, assoluta centralità e merita di essere scrutinato sotto differenti punti di vista. Pertanto, partendo dall’inquadramento della tutela che l’ordinamento riconosce in via generale ad ogni cittadino extracomunitario, si esaminerà la stretta ed imprescindibile relazione che sussiste in tale settore tra procedimento e processo, con particolare attenzione al modo di atteggiarsi delle garanzie partecipative nell’ambito di procedimenti, per loro natura, tendenzialmente vincolati. Sarà, poi, valutata l’incidenza che il sindacato del giudice amministrativo – tanto sotto il profilo della competenza giurisdizionale ad esso riconosciuta, quanto dal punto di vista strettamente cognitorio – ha sull’effettiva tutela delle situazioni giuridiche soggettive incise dall’azione amministrativa in materia. 2. La tutela del cittadino extracomunitario: il nodo dell’effettività, tra processo e procedimento. Nell’ordinamento italiano il diritto alla difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione rientra nel nucleo inviolabile di diritti che non può essere messo in discussione per alcun individuo ed è, pertanto, riconosciuto in capo a tutti i soggetti, anche non cittadini, che – entrando in rapporto con il nostro ordinamento – risultino titolari di una posizione giuridica qualificata6. Anche agli stranieri(comunitari ed extracomunitari) viene, dunque, pacificamente riconosciuto, pure alla luce dell’art. 113 della Carta costituzionale, il diritto di impugnare dinnanzi all’Autorità giurisdizionale i provvedimenti amministrativi che ledano i loro diritti o interessi legittimi7. In altre parole, dal momento in cui il migrante entra nella 6 La Corte costituzionale pacificamente ricomprende il diritto alla tutela giurisdizionale tra «i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intrinsecamente connesso – con lo stesso principio democratico – l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio» (sent. n. 18/1992). Cfr., sul punto, A. Pizzorusso, voce Garanzia costituzionale dell’azione, in Dig. disc. priv., 1992, 610; S. Sicardi, L’immigrato e la Costituzione. Note sulla dottrina e sulla giurisprudenza costituzionale, in Giur. it., vol. IV, 1996, 313 ss.; C. Corsi, Lo Stato e lo straniero, Padova 2001, 72 ss.; P. Passaglia, R. Romboli, La condizione giuridica dello straniero nella prospettiva della Corte costituzionale, in I problemi costituzionali dell’immigrazione in Italia e Spagna (a cura di M. Revenga Sanchez), Milano 2005, 13 ss.; F. Scuto, I diritti fondamentali della persona quale limite al contrasto dell’immigrazione irregolare, Milano 2012, 231 ss.; G. Savio, Il ruolo della giurisprudenza costituzionale nella definizione del diritto degli stranieri, in “Effettività” e “seguito” delle tecniche decisorie della Corte costituzionale (a cura di R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi), Napoli 2006. 7 Il diritto di impugnare i provvedimenti amministrativi che incidono su diritti o interessi legittimi dello straniero prescinde altresì dallo statuto amministrativo del soggetto e, dunque, non è influenzato dalla circostanza che esso sia presente in modo regolare o irregolare sul territorio nazionale: «(i)l diritto a un riesame del provvedimento di espulsione, con piena garanzie del diritto di difesa, spetta non soltanto agli stranieri che soggiornano legittimamente in Italia, ma anche a coloro che sono presenti illegittimamente sul territorio nazionale» (in tali termini, Corte Cost., sent. n. 198/2000, in www.cortecostituzionale.it.). Lo stesso Consiglio di Stato, con sentenza del 12 aprile 2016 n. 1425, in www.giustizia-amministrativa.it, sindacando (e riconoscendo) la legittimazione ad agire di uno straniero avverso di silenzio serbato dall’amministrazione su un’istanza di emersione proposta dal datore di lavoro, ha avuto modo di evidenziare che «in nessun caso nei moderni ordinamenti giuridici una persona può essere considerata mero oggetto di una procedura di cui è parte, tanto meno nell’ordinamento costituzionale italiano nel quale non vi è alcun dubbio sul fatto che l’art. 2 della costituzione sui diritti inviolabili della persona si applica allo stesso modo a cittadini e a stranieri». 501 Interventi  Parte IV giurisdizione territoriale o extra-territoriale del Paese, in capo allo Stato sorge il dovere di riconoscergli determinati diritti e di tutelarli, anche in sede giurisdizionale, da ogni potenziale lesione proveniente dall’attività di soggetti terzi o della pubblica amministrazione. Entro questa cornice costituzionale trovano legittimazione le numerose fonti interne e sovranazionali che espressamente individuano i diritti spettanti al soggetto immigrato, in primis il Testo unico sull’immigrazione, che riconosce espressamente la titolarità dei diritti fondamentali allo straniero «comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato» (art. 2, comma 1), includendo tra questi la necessaria parità di trattamento in sede processuale rispetto ai cittadini italiani8. Le vicende connesse alla tutela giurisdizionale dell’immigrato non presentano, a ben vedere, particolari problematiche inerenti alla formale titolarità dei diritti sostanziali e processuali che da essa discendono. Come spesso avviene in settori particolarmente delicati dell’ordinamento, le complicazioni emergono e si manifestano sul piano dell’effettività delle regole poste, dunque in relazione alle forme ed ai modi in cui la tutela della posizione giuridica soggettiva del privato viene in concreto garantita. Non basta, infatti, che il sistema processuale preveda degli strumenti di difesa in giudizio, ma è anche necessario che esso “funzioni” in modo tale da garantire in concreto l’esigenza di tutela che a tali strumenti si riconnette9. Rispetto a quanto avviene sul piano dell’ordinamento generale, in materia di immigrazione la possibilità per il ricorrente di esercitare efficacemente i propri diritti nell’ambito del processo può incontrare, già di per sé, specifiche difficoltà di natura “pratica”. Si pensi, in particolare, alla necessità di adattare l’iter processuale alla condizione culturale ed economica dell’immigrato (da cui discende, ad esempio, la previsione della traduzione degli atti amministrativi e processuali10 e del patrocinio legale a spese dello Stato), nonché alla sua instabile presenza sul territorio nazionale (nella cui ottica si pone la possibilità, ricono- 8 Il d.lgs. n. 286/1998 prevede che «[a]llo straniero è riconosciuta parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi, nei limiti e nei modi previsti dalla legge» (art. 2, comma 5). 9 Il principio di effettività della tutela giurisdizionale – fortemente supportato in ogni settore dalla giurisprudenza europea – ha, a livello nazionale, valore strettamente costituzionale poiché è parte integrante del diritto di difesa e del diritto al giusto processo. I due profili sono interconnessi e speculari. Mentre il principio del giusto processo attiene alle forme della tutela, imponendo il rispetto della parità delle parti, del contraddittorio, della ragionevole durata del giudizio, dinnanzi ad un giudice terzo e imparziale, il principio di effettività attiene al contenuto della tutela, che deve essere idonea a soddisfare adeguatamente la pretesa sostanziale del ricorrente. Sul principio di effettività in materia immigrazione, si vedano: G. Tropea, Homo sacer? Considerazioni perplesse sulla tutela processuale del migrante, in Cittadinanza inclusiva e flussi migratori, cit., 163 ss.; G. Sirianni, Il diritto alla difesa degli stranieri, in Giurisprudenza costituzionale, 2000, 2890 ss.; R. Rolli, Immigrazione e giurisdizione, in Immigrazione e diritti fondamentali. Fra costituzioni nazionali, Unione Europea e diritto internazionale (a cura di S. Gambino, G. D’Ignazio), Milano 2010, 553 ss.; M.G. Civinini, A. Proto Pisani, G. Scarselli, La tutela dei diritti dei cittadini extracomunitari, in Foro it. 1, 2000. 10 La legge prevede che debba essere garantita la traduzione in una lingua conosciuta dall’immigrato e, laddove non sia possibile, si deve procedere alla redazione del documento in francese, inglese o spagnolo (art. 13, comma 7, T.U.I.). 502 Silia Gardini L’effettività della tutela dello straniero… sciuta agli stranieri, di non essere allontanati dall’Italia durante lo svolgimento di determinate procedure giurisdizionali, ovvero il diritto di presentare ricorso direttamente dall’estero11). L’effettivo godimento del diritto alla tutela giurisdizionale è, poi, talvolta “negato” dallo stesso ordinamento12. Ciò può avvenire tanto de facto, in ragione delle particolari modalità esecutive delle misure amministrative poste a carico dello straniero, rese necessarie dalle concrete condizioni fattuali (si pensi ai provvedimenti emessi a tutela di interessi pubblici particolarmente sensibili come la sicurezza nazionale che possono, ad esempio, richiedere una riduzione delle garanzie di difesa, al fine di favorire l’efficacia e la tempestività dell’azione dell’amministrazione, o di proteggere la segretezza delle informazioni in possesso del soggetto coinvolto), quanto de jure, in virtù della discrezionale valutazione da parte del legislatore circa la preminenza di altri interessi13.In tali ultimi casi, a ben vedere, il giudizio sull’effettività della tutela giurisdizionale risulta particolarmente complicato, poiché si colloca sul terreno“fluido”delle politiche immigratorie statali ed involge profili giuridicamente evanescenti, diretta espressione di quel “diritto” degli Stati a regolamentare discrezionalmente l’ingresso di soggetti non cittadini nel proprio territorio14. La questione risulta ancor più complessa proprio nell’ambito della giurisdizione sugli atti della pubblica amministrazione, laddove il nodo principale dell’effettività della tutela è costituito dall’inserimento della questione giurisdizionale nella più ampia vicenda del procedimento. La decisione del giudice non può, infatti, sempre esaurire e risolvere il conflit- 11 Tali benefici devono essere garantiti a tutti gli stranieri, regolari o irregolari. Sul punto, la Corte EDU ha precisato che l’esclusione dei migranti irregolari può risultare discriminatoria e, quindi, contraria all’art. 14 della CEDU (Anakomba Yula vs. Belgium, causa n. 45413/07, 10 marzo 2009). 12 In dottrina è stato ampiamente rilevato come il diritto dell’immigrazione, spesso inciso da una legislazione di carattere emergenziale, presenti un connotato peculiare rispetto ai principi generali del diritto amministrativo e che «lo statuto dello straniero appaia derogatorio rispetto all’ordinario quadro di regole e valori che disciplinano il rapporto tra il pubblico potere e i cittadini»: così, M. Noccelli, Il diritto dell’immigrazione davanti al giudice amministrativo, in Federalismi 6, 2018, che richiama – a sua volta – S. D’Antonio, Il riparto di giurisdizione in materia di ingresso, soggiorno e allontanamento dello straniero dal territorio italiano, in Riv. trim. dir. proc. amm. 2, 2017, 534 ss.; M. Savino, La libertà degli altri. La regolazione amministrativa dei flussi migratori, Milano 2012, 357. 13 Cfr. A. Pugiotto, «Purché se ne vadano». La tutela giurisdizionale (assente o carente) nei meccanismi di allontanamento dello straniero, Relazione al Convegno nazionale dell’Associazione Italiana Costituzionalisti “Lo statuto costituzionale del non cittadino”, Cagliari, 16-17 ottobre 2009, in www.rivistaaic.it, rileva come la condizione di legale sbilanciamento della tutela del migrante rispetto al cittadino – inaccettabile sul piano strettamente costituzionale – trovi giustificazione sul piano della politica del diritto in materia di immigrazione, sulla quale gli stati nazionali conservano ancora oggi un’ampia discrezionalità. Sono proprio i diritti umani, garantiti dal diritto nazionale e internazionale, a svolgere, pertanto, un ruolo essenziale nella protezione dei migranti vittime di queste forti dinamiche sociali. 14 La disciplina dei provvedimenti in materia di immigrazione si segnala – per consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo – come uno dei pochi settori del diritto amministrativo in cui non trova diretta applicazione l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, norma che sancisce il diritto all’equo processo. In relazione a tali atti si applica soltanto l’art. 13 della CEDU, che opera, però, soltanto come limite esterno alla discrezionalità organizzativa degli Stati, al fine di evitare che l’esercizio delle relative funzioni possa dar vita a prassi amministrative lesive sottratte al controllo giudiziario interno. 503 Interventi  Parte IV to tra autorità e libertà espresso dalle parti del processo, poiché l’interesse tutelato, per trovare piena soddisfazione, può aver bisogno diun ulteriore intervento da parte dell’Amministrazione15. È evidente, allora, come la stessa effettività della tutela non possa considerarsi slegata dalla efficacia delle garanzie riconosciute al soggetto straniero già in seno al procedimento amministrativo che lo riguarda. Nei procedimenti in materia di immigrazione – ai quali si considera pienamente applicabile la l. 241/199016 – uno dei profili più controversi è relativo al modo in cui si atteggiano le norme sulla partecipazione. La questione più importante è relativa all’applicazione del secondo comma dell’art. 21-octies, norma che – com’è noto – esclude l’impugnabilità di quei provvedimenti «adottati in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti» il cui contenuto dispositivo, in virtù della natura vincolata dell’azione amministrativa, «non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». Invero, la norma de quo è ampiamente utilizzata e richiamata da parte delle amministrazioni nel testo dei provvedimenti di diniego e revoca del permesso di soggiorno e tale circostanza non pone problemi sul piano formale, dal momento che ciò che rileva è la carenza – in capo all’eventuale ricorrente – «dell’interesse a coltivare un giudizio da cui non potrebbe ricavare alcuna concreta utilità»17. Tuttavia, non può non considerarsi come l’applicazione concreta (e diffusa) di tale previsione ai casi di diniego o revoca dei titoli di soggiorno abbia come diretta conseguenza il quasi azzeramento della partecipazione dello straniero al procedimento amministrativo. In tale ambito, le amministrazioni, facendo leva sulla natura tendenzialmente vincolata dei provvedimenti e, in un certo senso,“abusando” della posizione particolarmente debole della parte privata18, il più delle volte concludo- 15 Cfr. F. Patroni Griffi, L’effettività della Giustizia Amministrativa in Italia, in I Consigli di Stato di Francia e d’Italia, Milano 1998, 285 ss. 16 L’applicabilità è confermata dal fatto che le eccezioni a tale regola (come, ad esempio, avviene in relazione alla motivazione dei visti d’ingresso, ex art. 4, comma 2 del TUI) risultano espressamente enumerate nella disciplina del testo unico dell’immigrazione, ovvero dalla stessa legge sul procedimento (si pensi alla disciplina della semplificazione o del silenzio assenso). In dottrina, cfr. L. Gili, Straniero e partecipazione al procedimento amministrativo, in Procedimento amministrativo e partecipazione. Problemi, prospettive ed esperienze (a cura di A. Crosetti e F. Fracchia), Milano 2002, 55 ss. Con specifico riguardo alla possibile assenza di motivazione del diniego del visto di ingresso, il T.a.r. Lazio Roma, Sez. I, con sentenza del 16 maggio 2011, n. 4199, in www. giustizia-amministrativa.it, ha, poi, chiarito che «la deroga al generale obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi, introdotta dall’art. 4 del d.lgs. n. 286 del 1998, deve essere intesa non già nel senso che la predetta norma abbia legittimato l’Amministrazione ad agire arbitrariamente (e che pertanto la stessa avrebbe la potestà di negare il visto anche nel caso in cui non vi sia alcuna legittima ragione per farlo) ma nel senso che nei casi in cui il visto può essere legittimamente negato (sempre, dunque, vi sia una ragione per farlo), il diniego può non essere motivato fermo restando il potere del Giudice di verificare la legittimità del diniego per cui l’Amministrazione non può esimersi dal fornire a quest’ultimo spiegazioni in merito alle ragioni che hanno condotto all’adozione del provvedimento». 17 In tal senso si è espresso Cons. di Stato (sezione VI), 16 maggio 2006, n. 2763, in www.giustizia-amministrativa.it, con una sentenza con cui i giudici di Palazzo Spada hanno altresì chiarito come la norma di cui all’art. 21-octies non determina in alcun modo l’assoggettamento del provvedimento viziato «ad un diverso regime di invalidità o irregolarità». Tale profilo sarà meglio chiarito infra. 18 Lo stesso giudice amministrativo ha avuto modo di accertare l’esistenza di “prassi” illegittime e «distorsive poste ingiustificatamente in atto da alcune unità territoriali» (T.A.R. Lazio, Roma, Sezione II quater, 26 febbraio 2014, n. 2257; Id., 6 settembre 2013, n. 8154, in www.giustizia-amministrativa.it) nei procedimenti per il rin- 504 Silia Gardini L’effettività della tutela dello straniero… no i procedimenti senza neppure ascoltare i rispettivi destinatari, in particolare omettendo anche di effettuare la comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 7 della l. n. 241/1990 (la cui mancanza, sempre a norma dell’art. 21-octies, non invalida la procedura laddove l’amministrazione dimostri in giudizio l’assenza di discrezionalità), ovvero la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, prescritta dall’art. 10-bis. Vero è che gli strumenti di partecipazione al procedimento non devono essere applicati in maniera meccanica, né possono ridursi a «mero rituale formalistico»19. Ciò non toglie che – come pure buona parte della giurisprudenza riconosce – il secondo comma dell’art. 21-octies non possa essere inteso come una norma idonea a degradare autonomamente un vizio di legittimità dell’atto a mera irregolarità20. Se la validità del provvedimento non è «un valore finale dell’ordinamento, ma un valore strumentale alla tutela delle situazioni soggettive (dei privati ma anche dei pubblici poteri)»21, la circostanza che la violazione delle norme procedurali e formali non abbia influito sul contenuto del provvedimento ne impedisce l’annullamento; ciò avviene, però, non perché venga meno l’antigiuridicità dell’atto, ma perché il soggetto che lamenta la lesione del proprio interesse non potrebbe ricevere alcun vantaggio effettivo dalla caducazione dello stesso. In altre parole, anche dinnanzi ad un provvedimento di natura vincolata, la violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti conduce sempre alla illegittimità del provvedimento, la cui (ir)rilevanza esterna non può esser data per presupposta dalla p.a., ma è valutata ex post dal giudice, «che può superare il vizio procedimentale, facendo applicazione dell’art. 21 octies (…), qualora sia palese che l’atto non avrebbe potuto avere un contenuto diverso»22. D’altro canto, le disposizioni dell’art. 21-octies non escludono in assoluto l’annullabilità del provvedimento: se l’atto illegittimo – ricorrendo i presupposti richiamati dalla norma – non può essere annullato dal giudice, non è invece escluso che lo stesso possa essere rimosso in sede di controllo amministrativo e, in particolare, in via di autotutela da parte dell’Amministrazione che lo ha emanato. novo o rilascio del permesso di soggiorno. Tali comportamenti – agevolati dalla diversità etnica, linguistica e culturale che allontana dai centri decisionali le istanze di soggetti particolarmente deboli tecnicamente e giuridicamente – si concretizzano spesso in atteggiamenti ingiustamente dilatori, come, ad esempio, quello di rilasciare un ulteriore titolo di soggiorno a tempo determinato o di sospendere ingiustificatamente la pratica, oppure di convocare lo straniero, invitandolo a sottoscrivere un atto di rinuncia predisposto dalla questura, fino a giungere al punto di ritirargli la ricevuta di presentazione della domanda. Cfr., in dottrina, M. Interlandi, Alla periferia dei diritti: l’effettività della tutela dei diritti degli immigrati tra i rimedi giurisdizionali interni e le indicazioni ricavabili dal contesto europeo, in Federalismi 17, 2017. 19 Così: Cons. di Stato (sezione VI), n. 2350/2013; Id. n. 1056/2013, in www.giustizia-amministrativa.it. 20 Cfr. Cons. di Stato (sezione VI), n. 6194/2006, in www.giustizia-amministrativa.it. 21 G. Corso, Validità (diritto amministrativo), in Enc. dir., vol. XLVI, Milano 1993, 84 ss. 22 In tal senso, Cons. di Stato (sezione VI), 17 gennaio 2011, n. 256; Id. 6 febbraio 2009, n. 552; Id., n. 2763/2006; Id. n. 4307/06, in www.giustizia-amministrativa.it. Secondo tale orientamento giurisprudenziale, il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno non preceduto dal preavviso di rigetto previsto dall’art. 10-bis della l. 241/90 deve sempre considerarsi viziato, trattandosi di una norma che (al di fuori dai casi espressamente esclusi dal legislatore) è applicabile a tutti i procedimenti ad istanza di parte e, dunque, anche ai procedimenti relativi al rilascio del permesso di soggiorno. In dottrina, si vedano le riflessioni di A. Canepa, Immigrati e procedimenti amministrativi. La complessa questione della partecipazione, in www.amministrazioneincammino.it, 2011. 505 Interventi  Parte IV Seguendo tale impostazione, si deve, dunque, considerare scorretto l’agire dell’amministrazione che si esima dall’applicare una determinata norma procedimentale invocando asetticamente a suo favore l’art. 21-octies, «essendo questa una norma di carattere processuale», la cui diretta utilizzazione in sede amministrativa determina una violazione del principio di legalità23. Tale interpretazione – che non è, tuttavia, pienamente consolidata in giurisprudenza24 – appare particolarmente appropriata nel settore dell’immigrazione, laddove, per ragioni connesse alla sensibilità degli interessi coinvolti ed alla particolarità delle vicende ad 23 «L’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 è una norma di carattere processuale applicabile anche ai proce- dimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della legge n. 15/2005, in quanto, sancendo la non annullabilità del provvedimento, il legislatore ha inteso escludere la possibilità che esso (comunque illegittimo) e i suoi effetti vengano eliminati dal giudice amministrativo, senza spingersi ad affermare che l’atto non sarebbe più qualificabile, sul piano sostanziale, come annullabile. (…) Errano, quindi, le Amministrazioni che intendono il ripetuto art. 21-octies come introduzione della facoltà per la p.a. di non rispettare le regole procedimentali; in tal modo, verrebbe violato il principio di legalità, mentre, al contrario, le amministrazioni non debbono tenere conto della disposizione in sede amministrativa, limitandosi ad utilizzarla in sede giurisdizionale, quando sono stati commessi degli errori e non si è riusciti a correggerli attraverso l’esercizio del potere di autotutela»: così, Cons. di Stato (sezione VI), 17 gennaio 2011, n. 256. Del medesimo avviso, Cons. di Stato, (sezione VI), 6 febbraio 2009, n. 552, cit. Sulla natura processuale dell’art. 21-octies, secondo comma, si veda anche Cons. di Stato (sezione V), 2 febbraio 2010, n. 4931, in www.giustizia-amministrativa.it. Per un inquadramento dottrinale della questione sul piano generale: R. Giovagnoli, I vizi formali e procedimentali, in Codice dell’azione amministrativa (a cura di M.A. Sandulli), Milano 2017, 1141 ss.; V. Cerulli Irelli, Considerazioni in tema di sanatoria dei vizi formali, in Vizi formali, procedimento e processo amministrativo (a cura di V. Parisio), Milano 2004; D. Corletto, Vizi “formali” e poteri del giudice amministrativo, in Dir. e proc. Amm., 2006, 43 ss.; D.U. Galetta, Violazione di norme sul procedimento e annullabilità del provvedimento, Milano 2003, 152 ss.; G. Sorrentino, Spunti di riflessione per un’applicazione vincolata del comma 2 dell’art. 21 octies della legge m. 241/1990, in Giustamm.it 1, 2007; A. Calegari, Sulla natura sostanziale o processuale sull’immediata applicabilità ai giudizi pendenti delle disposizioni concernenti l’annullabilità dei provvedimenti amministrativi contenute nell’art.21 octies della L. n. 241 del 1990, in Giustamm.it. 24 In materia di titoli di soggiorno, parte della giurisprudenza tende a non valorizzare le garanzie partecipative degli stranieri, ritenendo – ad esempio – che non incidano sul legittimo instaurarsi del procedimento né la mancata comunicazione di avvio del procedimento di revoca del permesso di soggiorno, né l’omessa comunicazione delle ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno (T.a.r. Firenze, Toscana sezione II, 6 giugno 2012, n. 1080; T.A.R Emilia Romagna, Bologna sezione I, n. 71/2008, in www.giustizia-amministrativa.it), ovvero che la doverosità del diniego renda legittima una motivazione sintetica, limitata alla menzione delle sentenze di condanna ostative (Cons. Stato sezione VI, 8 febbraio 2008, n. 415; T.a.r. Lazio, Roma, sezione II quater, 11 dicembre 2007, n. 12957, T.a.r. Puglia, Bari, sezione II, 3 aprile 2007, n. 947, in www.giustizia-amministrativa.it). Anche l’omessa traduzione del provvedimento nella lingua dello straniero è stata considerata, a determinate condizioni, non necessaria: «la mancata traduzione del provvedimento di diniego di un permesso di soggiorno nella lingua conosciuta dal destinatario extracomunitario dell’atto non inficia la validità dell’atto medesimo nelle ipotesi in cui la predetta omissione non ha impedito allo straniero di impugnarlo tempestivamente e di svolgere compitamente le proprie difese, risultando, in tale fattispecie, del tutto ininfluente la relativa violazione formale (in termini C. di S., III, 16 novembre 2016, n. 4736)» (Cons. di Stato, n. 525/2017, in www.giustizia-amministrativa.it). Sul versante opposto, in materia di revoca ed esclusione dalle misure di accoglienza previste dal Ministero dell’Interno, si segnala una recente sentenza del T.a.r. Piemonte che ha affrontato efficacemente il tema delle garanzie partecipative. Nel caso specifico, i Giudici amministrativi hanno ritenuto «fondata la censura relativa alla violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, non essendo stata data alcuna comunicazione dell’avvio del procedimento relativo alla revoca delle misure di accoglienza. Tale norma prevede che l’avvio del procedimento sia comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale sia destinato a produrre effetti diretti. La medesima disposizione esclude la necessità di tale comunicazione qualora sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento» (cfr. T.a.r. Piemonte, Sez, I, 12 luglio 2017, n. 949, in www.giustizia-amministrativa.it). 506 Silia Gardini L’effettività della tutela dello straniero… essi sottese,il bilanciamento tra partecipazione e semplificazione dovrebbe certamente tendere a favore della prima. Non tutti i provvedimenti di accertamento di requisiti – come quelli previsti per la concessione o il rinnovo dei titoli di soggiorno – possono, peraltro, essere considerati a priori atti vincolati: lo stesso T.U.I., al suo art. 5, comma 5, nel prevedere che la concessione ed il rinnovo del permesso di soggiorno dipendono dall’accertamento della sussistenza dei requisiti di legge, fa salva l’ipotesi in cui «siano sopraggiunti nuovi elementi». In tali casi, il provvedimento di diniego non può a monte configurarsi come atto vincolato in senso stretto, ben potendo subentrare, in un momento successivo all’avvio dell’azione amministrativa di accertamento, elementi in grado di far concludere positivamente il procedimento. Ed in tali casi è particolarmente evidente come l’incentivazione del coinvolgimento del soggetto migrante nella vicenda procedimentale si atteggi ad elemento fondamentale della garanzia di tutela effettiva della sua posizione giuridica25. Le considerazioni fin qui svolte valgono, a ben vedere, non soltanto in ragione della rilevanza individuale che assumono i provvedimenti di revoca o diniego dei titoli di soggiorno, ma anche con riguardo alla impostazione successiva e complessiva dell’azione amministrativa in materia. Gli effetti negativi che discendono dalla “presupposizione assoluta” di vincolatività dei provvedimenti de quibus e dal connesso abuso della norma di cui all’art 21-octies, secondo comma, si manifestano, infatti, anche nella speculare istituzione di prassi amministrative ab origine elusive delle norme sulla partecipazione ai danni degli stranieri. Ed è pure alla luce di tale circostanza che appare necessaria una valutazione giudiziale complessiva sull’agire dell’amministrazione, un giudizio “sul rapporto” che censuri l’asettica e generalizzata violazione delle garanzie partecipative – contenuto “intrinseco” del provvedimento –anche a prescindere dalla concreta annullabilità dell’atto finale illegittimo (e “salvato”, a norma dell’art. 21-octies). In dottrina è stato, infatti, ben evidenziato come la piena effettività dell’azione di annullamento si manifesti non soltanto nella rimozione del provvedimento illegittimo, ma anche nella “eliminazione” di «quella parte di esercizio del potere dannoso per non essere stato correttamente usato», anche laddove tale situazione non determini«la illegittimità del provvedimento stesso»26. 25 Tale profilo è stato valorizzato dallo stesso Consiglio di Stato, il quale ha riconosciuto l’opportunità di dare ri- levanza – in relazione al permesso di soggiorno – a fatti nuovi, intervenuti anche dopo l’adozione del provvedimento, ma prima della sua notificazione (ovvero in un momento in cui lo stesso può essere ritenuto non ancora efficace): cfr., Cons. di Stato, 8 febbraio 2011, n. 1053, in www.giustizia-amministrativa.it. Più di recente, il T.a.r. Lombardia (sezione IV), con la sentenza n. 2320 del 10 luglio 2014, in www.giustizia-amministrativa.it, ha ritenuto illegittimo un provvedimento di rigetto di rilascio di permesso di soggiorno adottato senza consentire all’interessato alcuna partecipazione in sede procedimentale, dal momento che lo stesso avrebbe potuto arricchire l’istruttoria con elementi significativi, atti a dimostrare che il suo ritardo nel reingresso in Italia era dipeso da gravi e validi motivi. Questi nuovi elementi, secondo la ricostruzione dei giudici, avrebbero dovuto essere considerati, in quanto sopravvenienze rilevanti ai sensi della normativa vigente, «dovendo l’amministrazione (…) salvaguardare il pieno rispetto del principio del contraddittorio e dell’effettiva partecipazione in sede procedimentale da parte dell’amministrato e, con essi, la legittimità di un’azione amministrativa congruamente motivata e accuratamente istruita». 26 Così, S.S. Scoca, L’effettività della tutela nell’azione di annullamento, in Dir. proc. amm. 4, 2012, 1397 ss., secondo cui «l’effettività dell’azione di annullamento impone che il giudice amministrativo fornisca tutto, e proprio tutto, quello che l’interesse legittimo garantisce al proprio titolare: la correttezza dell’uso del potere non solo come esplicato nel provvedimento amministrativo, ma anche in tutti gli elementi in cui si sostanzia l’esercizio del potere nell’ambito del rapporto». 507 Interventi  Parte IV Non si dimentichi, infine, che per garantire un procedimento amministrativo intrinsecamente “giusto” non è sufficiente il rispetto di una mera legalità formale dell’azione amministrativa, ma risulta necessario rimettere in gioco una dimensione giuridica che la legge (soprattutto nella più recente regolamentazione del diritto amministrativo) tende inesorabilmente a fagocitare: quella legittimità del diritto che discende dall’idea di giustizia espressa dai principi della nostra Costituzione27 e che nella ponderata azione dell’amministrazione trova la sua più naturale realizzazione. In tale prospettiva, come rilevato in dottrina, il fatto che sia possibile distinguere tra attività discrezionale e attività vincolata, non deve indurre a sottovalutare l’importanza che può avere la partecipazione procedimentale anche nell’ipotesi di attività vincolata. In tali casi non si tratta soltanto «di manifestare e rappresentare interessi dei quali si dovrà tener conto nella decisione amministrativa, ma il contributo partecipativo degli interessati potrà essere prezioso anche solo per individuare la interpretazione corretta di una norma o per ricostruire senza errori una circostanza di fatto»28. Alla luce di tali presupposti, le norme sulla partecipazione assumono senz’altro anche una valenza ultra-individuale, rappresentando un fondamentale strumento di arricchimento oggettivo della decisione pubblica. 3. Il sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti in materia di immigrazione, alla luce del principio di effettività della tutela. Come già accennato, la competenza giurisdizionale sui provvedimenti amministrativi in materia di immigrazione è attribuita solo in parte al giudice amministrativo. Storicamente, la legislazione e (spesso con effetti propulsivi) la giurisprudenza si sono, infatti, evolute nella direzione della graduale erosione della giurisdizione amministrazione a favore di quella ordinaria, con un vero e proprio capovolgimento del modello originariamente previsto dalla legge Martelli del 1990, che proprio al Giudice amministrativo attribuiva gran parte delle competenze (incluse quelle in materia di rifugiati e di provvedimenti di espulsione). Questo imponente trasferimento di funzioni è derivato tanto dalla qualificazione in termini di diritto soggettivo di una serie di posizioni di vantaggio che progressivamente sono state riconosciute allo straniero (si pensi, ad esempio, al diritto alla protezione internazionale, o al diritto alla vita familiare), quanto da valutazioni di mera opportunità operate a livello politico-legislativo (come è avvenuto, ad esempio, in materia di espulsione prefettizia). Alcune delle competenze ricondotte all’interno della giurisdizione ordinaria sono state, successivamente, affidate alla cognizione del Giudice di pace29, mentre altre 27 Cfr. L. Buffoni, Il rango costituzionale del “giusto procedimento” e l’archetipo del “processo”, in www.formumcostituzionale.it. 28 D. Sorace, Il principio di legalità e i vizi formali dell’atto amministrativo, in Dir. Pub. 2, 2007, 385 ss. 29 In tal senso ha disposto il d.l. n. 241/2004 (“Disposizioni urgenti in materia di immigrazione”), conv., con modifiche, nella l. 271/2004. La scelta del legislatore è intervenuta in concomitanza al trasferimento in capo al Giudice di pace delle competenze in materia penale sui reati connessi alla irregolare presenza dello straniero sul territorio italiano. 508 Silia Gardini L’effettività della tutela dello straniero… sono confluite, con il recente d.l. n. 13 del 17 febbraio 2017 (convertito con la legge 13 aprile 2017, n. 46), in capo alle nuove sezioni specializzate in materia di “immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea”, istituite presso i tribunali ordinari dei luoghi in cui hanno sede le Corti d’appello30. Così, ad oggi, i provvedimenti incidenti sulla posizione giuridica dei cittadini extracomunitari che devono ancora essere impugnati dinnanzi ai Tribunali amministrativi regionali sono essenzialmente tre: i visti di ingresso31, i permessi di soggiorno32 (fatta esclusione per i provvedimenti che interessano i minori, l’unità familiare, le richieste di asilo, protezione internazionale e “speciale”33) e gli atti di espulsione ministeriale34. Sono, poi, sotto- 30 È stata la legge di conversione n. 46/2017 ad aver esteso a tutte le sedi delle Corti d’appello la previsione di queste Sezioni che, nel testo dell’originario decreto legge, erano previste solo presso quattordici tribunali ordinari. Le nuove sezioni specializzate – ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del decreto legge – assorbono le competenze aventi ad oggetto: il mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea o dei loro familiari; l’impugnazione del provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell’UE o dei loro familiari per motivi di pubblica sicurezza; il riconoscimento della protezione internazionale e “speciale”; il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari; l’accertamento dello stato di apolidia e della cittadinanza italiana. In materia di protezione umanitaria, il recentissimo d.l. n. 113/2018 (“Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”), conv., con modifiche, nella l. n. 132/2018 ha abrogato la norma che consentiva il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, prima concesso qualora la Commissione territoriale, pur non accogliendo la domanda di protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria), ritenesse sussistenti gravi motivi di carattere umanitario, anche derivanti da obblighi costituzionali o internazionali. La nuova normativa mira a rendere del tutto eccezionali e tipizzate le ipotesi di protezione umanitaria, sostituendo i permessi di soggiorno per motivi umanitari con cinque tipi “speciali” di permessi di soggiorno, che danno al titolare una condizione giuridica assai più precaria e temporalmente limitata. Si tratta dei permessi per “protezione speciale” (con durata di un anno, rinnovabile); “per calamità” (con durata di sei mesi, rinnovabile); “per cure mediche” (con durata massima di un anno, rinnovabile); “per atti di particolare valore civile” (rilasciato su indicazione del ministro dell’Interno, con durata di due anni, rinnovabile); “per casi speciali” (rilasciabile in altre ipotesi gravi in cui in passato era rilasciato un permesso per motivi umanitari, con durata di sei mesi, rinnovabile per un anno, o per il maggior periodo occorrente per motivi di giustizia). 31 Il visto d’ingresso è il provvedimento amministrativo che attribuisce al cittadino extracomunitario il diritto di entrare in Italia ed è rilasciato dal Ministero degli affari esteri, che vi provvede per il tramite delle rappresentanze diplomatiche e consolari all’estero. 32 La competenza è attribuita in primo grado al T.a.r. competente per il territorio ove ha sede la Questura che ha emanato l’atto impugnato. 33 In tutti questi casi si ritiene che lo straniero faccia valere un diritto fondamentale della persona (diritto d’asilo, diritto all’unità familiare, diritto alla tutela dei minori) tutelato dalle norme internazionali, europee e costituzionali. La giurisdizione è dunque, assegnata – ora a norma dell’art. 3, comma 1, lett. e) del d.l. n. 13 del 2017 – al giudice ordinario. Le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 12 gennaio 2005, n. 383, avevano avuto modo di rilevare che, a differenza del permesso di soggiorno disciplinato in generale dall’art. 5 T.U.I., (connotato da ampi spazi di discrezionalità della p.a.), il permesso di soggiorno per motivi familiari, di cui all’art. 30, si configura – in presenza delle situazioni tassativamente elencate dalla legge – come atto dovuto e, dunque, si riconnette ad una situazione di diritto soggettivo. 34 Sia la materia dei visti sia quella delle espulsioni rientrano nella competenza del T.a.r. Lazio, trattandosi di provvedimenti adottati da amministrazioni statali che producono effetto su tutto il territorio (cfr. Cons. di Stato, n. 2783/2007, in www.giustizia-amministrativa.it). 509 Interventi  Parte IV poste alla cognizione del Giudice amministrativo anche le controversie in tema di regolarizzazione della posizione lavorativa dei cittadini extracomunitari, ai fini della c.d. emersione del lavoro irregolare35 e le questioni relative all’iscrizione di tali soggetti nel Sistema d’Informazione Schengen di seconda generazione (SIS II)36, con competenza funzionale del T.a.r. del Lazio37. Il Giudice amministrativo ha, infine, una limitata giurisdizione in materia di protezione internazionale, con riferimento alle controversie sui provvedimenti di revoca delle misure di accoglienza previste per i richiedenti asilo38. La ratio di tale ultima previsione non è del tutto comprensibile, dal momento che le misure di accoglienza sono connesse e strumentali al riconoscimento della protezione internazionale e che i provvedimenti di revoca di dette misure hanno natura prettamente sanzionatoria. Come rilevato in dottrina, la giurisdizione amministrativa potrebbe, sul piano logico, trovare giustificazione nel fatto che i provvedimenti di revoca delle misure di accoglienza presentano talora elementi di discrezionalità, che si manifestano, ad esempio, nella valutazione sulla disponibilità da parte del richiedente asilo di sufficienti mezzi economici o sulla gravità della violazione delle regole perpetrata da colui che chiede protezione39. Problemi interpretativi discendono, tuttavia, dal coordinamento di tale norma con quanto disposto 35 I provvedimenti di c.d. emersione del lavoro irregolare – ai sensi del d.lgs. n.109/2012 (“Attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”) – valutano la posizione di quei lavoratori stranieri che, assunti “in nero” come domestici, badanti e colf, intendano legalizzare la propria condizione lavorativa sul territorio nazionale. Si ritiene che, in questi casi, all’Amministrazione competa una valutazione di natura discrezionale in merito alla sussistenza delle condizioni previste dalla legge per la regolarizzazione. 36 Il Sistema d’Informazione Schengen consiste in una struttura comune d’informazione, istituita dal regolamento CE n. 1987/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006, attraverso cui i Paesi membri intendono evitare l’ingresso nella c.d. “area Schengen” a tutti i cittadini extracomunitari che, sulla base delle informazioni raccolte, possano costituire una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale. L’art. 24 del Regolamento dispone, al par. 1 che «i dati relativi ai cittadini di paesi terzi per i quali è stata effettuata una segnalazione al fine di rifiutare l’ingresso o il soggiorno sono inseriti sulla base di una segnalazione nazionale risultante da una decisione presa dalle autorità amministrative o giudiziarie competenti conformemente alle norme procedurali stabilite dalla legislazione nazionale, decisione adottata solo sulla base di una valutazione individuale. I ricorsi avverso tali decisioni sono presentati conformemente alla legislazione nazionale». 37 Per le controversie relative ai provvedimenti di espulsione di cittadini extracomunitari adottati dal Ministro dell’Interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (art. 13, comma 1, del T.U.I.) o, su sua delega dal Prefetto, per finalità di contrasto al terrorismo (art. 3 d.l. 27 luglio 2005, n. 144, convertito in legge 31 luglio 2005, n. 155), il d.l. n. 13 del 17 febbraio 2017 (convertito, con modifiche, con la legge 13 aprile 2017, n. 46) ha previsto l’assoggettamento al rito abbreviato di cui all’art. 119 c.p.a., all’interno del quale l’art. 16, comma 1, del decreto ha inserito la lettera m-sexies). L’art. 15, comma 2, del d.l. n. 13/2017 ha, poi, inserito nell’art. 135, comma 1, c.p.a., la lettera q-quinquies), a norma della quale vengono riunite sotto la competenza funzionale inderogabile del T.a.r. del Lazio le liti sulle condizioni per la segnalazione ai fini del rifiuto di ingresso o di soggiorno nell’ambito del sistema SIS II. 38 Così dispone l’art 23, comma 5, del d.lgs. n. 142/2015 (“Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale”). 39 In tal senso, M. Rinaldi, Il contenzioso in materia d’immigrazione tra trattati internazionali, normativa europea e disciplina interna: aspetti sostanziali e processuali, in www.giustizia-amministrativa.it, 2016. 510 Silia Gardini L’effettività della tutela dello straniero… dall’art. 3, comma 3, d.l. n. 13/2017, che ha attribuito alla competenza per materia delle neoistituite sezioni specializzate anche le controversie relative a procedimenti che presentano “ragioni di connessione” con quelli in tema di riconoscimento della protezione internazionale40. Sotto il profilo dell’effettività della tutela, quel che maggiormente rileva è che, in materia di titoli di soggiorno dei cittadini extracomunitari, il contenzioso relativo ai provvedimenti di rilascio, rinnovo e revoca dei relativi provvedimenti si colloca nella sfera di giurisdizione del Giudice amministrativo (art. 6, comma 10, d.lgs. n. 286/1998), mentre i ricorsi avverso i decreti di espulsione di competenza del Prefetto41 risultano devoluti alla giurisdizione ordinaria (art. 13, comma 8 del T.U.I.) esercitata, nelle forme del rito sommario, dal Giudice di pace42. I due giudici sono chiamati a sindacare situazioni soggettive del migrante formalmente distinte ma, al contempo, intimamente connesse tra loro. L’interferenza tra le due giurisdizioni è particolarmente evidente nelle ipotesi in cui l’espulsione prefettizia, sindacata dal Giudice di pace, venga disposta a seguito del diniego, della revoca o dell’annullamento del titolo di soggiorno, della cui legittimità è competente a conoscere il Giudice amministrativo. In questi casi, il cittadino extracomunitario è tenuto a impugnare il provvedimento presupposto del Questore (che nega o revoca il titolo di soggiorno) dinanzi al T.a.r. ed il conseguenziale provvedimento di espulsione del Prefetto dinanzi al Giudice di Pace. Il differente atteggiarsi delle due giurisdizioni, in particolare sotto il profilo dei poteri che sono riconosciuti a ciascuno dei due giudici, incide già di per sé negativamente sull’effettività della tutela del migrante, chiamato a destreggiarsi tra due procedimenti ad un tempo distanti e connessi. Anche i termini di impugnazione non coincidono: alle controversie attribuite alla giurisdizione del Giudice amministrativo si applica, infatti, il rito ordinario ed i provvedimenti considerati lesivi devono essere impugnati nel termine di 60 giorni dalla loro notificazione, comunicazione o piena conoscenza; avverso l’espulsione 40 La legge di conversione n. 46/2017 ha perso l’occasione per sopprimere o, quanto meno, meglio definire la portata della previsione di cui all’art. 3, comma 3, lasciando alla norma una vaghezza che rende difficile l’inquadramento di fattispecie come quella prevista dall’art 23, comma 5, del d.lgs. n. 142/2015. 41 Le espulsioni prefettizie costituiscono la forma più diffusa di espulsioni amministrative e riguardano, sostanzialmente, il casi in cui: 1) lo straniero sia entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera; 2) lo straniero si sia è trattenuto nel territorio dello Stato senza avere richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, ovvero dopo che il permesso di soggiorno sia stato revocato, annullato o rifiutato ovvero sia scaduto da più di sessanta giorni e non ne sia stato chiesto il rinnovo; 3) lo straniero venga identificato come persona pericolosa nei confronti della quale sarebbero applicabili misure di prevenzione (c.d. espulsioni per motivi di pericolosità sociale). 42 La giurisdizione ordinaria in materia di espulsione prefettizia è stata giustificata tanto dalla Corte costituzionale (Corte Cost., sentenza n. 240/2006, in www.cortecostituzionale.it), la quale ha osservato che il provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera incide direttamente sul suo diritto alla libertà personale dello straniero, quanto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. civ., s.u., n. 22217/2006; Cass. sezione I), 22 giugno 2016, n. 12976), che hanno rilevato come l’espulsione sia un provvedimento a carattere vincolato in relazione al quale il Giudice ordinario è chiamato a verificare esclusivamente la sussistenza dei requisiti di legge che ne impongono l’emanazione. 511 Interventi  Parte IV prefettizia il termine per impugnare dinnanzi al Giudice di pace è, invece, di 30 giorni. La possibilità che la pronuncia del Giudice di pace sull’espulsione intervenga prima di quella del T.a.r. non è, evidentemente, remota e può determinare la paradossale situazione in cui lo straniero, ormai privo del titolo di soggiorno necessario per rimanere sul territorio nazionale, venga espulso ancor prima che il T.a.r. si sia pronunciato sulla legittimità di tale privazione. A ben vedere, uno dei punti focali della vicenda è l’eventuale riconoscimento della effettiva autonomia del giudizio ordinario e, conseguentemente, del potere del g.o. di sindacare incidentalmente l’atto amministrativo presupposto all’espulsione. Le soluzioni che la giurisprudenza ha, in proposito, elaborato non sono state univoche; si sono, infatti, registrati nel tempo tre distinti orientamenti. Secondo una prima tesi, in caso di contestuale pendenza del giudizio amministrativo sul titolo di soggiorno e di quello ordinario sul decreto di espulsione, sussisterebbe una pregiudizialità necessaria ed il giudice ordinario dovrebbe sospendere il processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa che sul punto di pronunci il giudice amministrativo43. Una seconda ricostruzione – che è quella maggioritaria – esclude, invece, che vi sia alcuna connessione logica o pregiudizialità giuridica tra i due giudizi e ritiene che il giudice ordinario debba limitarsi a verificare la mera sussistenza del provvedimento amministrativo presupposto all’atto di espulsione, senza giungere mai a sindacarne (neppure incidentalmente) la legittimità, trattandosi di valutazioni spettanti unicamente al Giudice amministrativo44. Una terza tesi riconosce, infine, piena autonomia al giudice ordinario il quale, al fine di decidere in merito alla validità del decreto di espulsione, disporrebbe anche del potere di controllare ed eventualmente disapplicare in via incidentale l’atto in ragione del quale l’espulsione è stata disposta45. 43 Cfr. Cass. civ. (sezione I), 21 giugno 2000, n. 7867; Id., 20 giugno 2000, n. 8381. 44 Cfr. Cass., s.u., nn. 22217 e 22221 del 2006, in Dir. e giust., 2006, 21 ss., con nota di F.A. Genovese, Quegli atti a fondamento dell’espulsione. Se l’operato del questore non si discute; n.14610/2015; n. 12976/2016. Laddove il decreto di espulsione venga eseguito, l’eventuale successivo annullamento da parte del T.a.r. del diniego del permesso di soggiorno consentirà allo straniero espulso di rientrare in Italia prima della scadenza del termine del divieto di reingresso e di riproporre la domanda di permesso di soggiorno, salvo il risarcimento del danno eventualmente patito. Più di recente, con sentenza n. 22606/15, la VI Sezione della Suprema Corte ha affermato che in tema di immigrazione va cassato senza rinvio il provvedimento del giudice di pace che, investito dell’impugnazione del decreto di espulsione emesso dal prefetto, non si limiti a sindacare la legittimità del provvedimento impugnato ma ordini al questore il rilascio del permesso di soggiorno, trattandosi di attività che rientra nelle attribuzioni della P.A. e non in quelle giurisdizionali. 45 Quest’ultima ricostruzione è stata sostenuta dalla stessa Corte costituzionale con l’ordinanza n. 414/2001 (cfr. il commento di P. L. Di Bari, Doppia tutela in materia di soggiorno ed espulsione dello straniero ovvero la strada tortuosa per raggiungere un giudice a Berlino, in Dir., imm. e citt., 1/2002, 151 ss.), secondo cui lo straniero può «trovare piena tutela contro il provvedimento di espulsione davanti al giudice ordinario, che avrebbe potuto esercitare un sindacato incidentale sul presupposto atto di rifiuto o di rinnovo del permesso di soggiorno (e disapplicarlo), con effetti di illegittimità derivata sull’atto oggetto della sua giurisdizione piena, ovviamente se ritualmente adita». Successivamente, l’orientamento è stato ripreso dalle Sezione unite della Corte di Cassazione in sede di regolamento di giurisdizione: cfr. Cass., s.u., 18 ottobre 2005, n. 20125. 512 Silia Gardini L’effettività della tutela dello straniero… La tesi della c.d. “pregiudizialità necessaria” presenta delle evidenti contraddizioni interne, principalmente riconducibili al fatto che il ricorso avverso l’espulsione non ha efficacia sospensiva e che, dunque, durante il tempo necessario per la conclusione del giudizio dinnanzi al T.a.r., il decreto potrebbe comunque essere portato ad esecuzione coattivamente dalla Prefettura. L’eventuale emanazione, da parte del Giudice di pace, di un provvedimento cautelare sospensivo, determinerebbe poi, paradossalmente, la sua necessaria valutazione – in punto di fumus – in merito alla legittimità del provvedimento presupposto. Da un punto di vista oggettivo, peraltro, un sindacato del Giudice di pace così concepito, in quanto necessariamente subordinato alla decisione del T.a.r., non avrebbe ragion d’essere, essendo svuotato di qualsivoglia potere cognitorio. D’altro canto, l’orientamento maggioritario, che prevede la incomunicabilità tra i due giudizi, risulta potenzialmente lesivo della posizione giuridica dello straniero, poiché rischia di compromettere irrimediabilmente l’effettività della sua tutela giurisdizionale46. Tra le interpretazioni prospettate dalla giurisprudenza, quella che astrattamente appare più ragionevole e meglio inquadrabile nell’ottica dell’effettività della tutela giurisdizionale è quella che riconosce al Giudice ordinario la possibilità di sindacare in via incidentale (ed eventualmente disapplicare47) l’atto relativo al titolo di soggiorno, presupposto al provvedimento di espulsione. Lo è solo astrattamente poiché, sul piano pratico, anche tale impostazione si scontra con ostacoli di non poco conto. L’attribuzione al Giudice di pace di competenze di tale portata appare, infatti, evidentemente sproporzionata ed «estranea alla fisionomia e al ruolo di tale figura onoraria»48. Certo è che la frammentazione delle forme di tutela giudiziaria rende, già di per sé, più difficoltosa la tutela, poiché divide sul piano processuale vicende unitarie a livello sostanziale49. A 46 Per un approfondimento dottrinale delle vicende connesse alle diverse ricostruzioni giurisprudenziali della vicenda, si vedano: G. Tropea, Homo sacer? Considerazioni perplesse sulla tutela processuale del migrante, cit., spec. 875 ss.; N. Vettori, Doppia giurisdizione ed (in)effettività della tutela giurisdizionale dello straniero, in Dir., imm. e citt. 1, 2008; R. Caponigro, La tutela giurisdizionale dello straniero avverso l’espulsione amministrativa prefettizia, in Foro amm. Tar, 2004, 3563 ss.; A. Scognamiglio, Corte di cassazione e Corte costituzionale a favore di una pluralità dei giudici compatibile con effettività e certezza della tutela, in Dir. proc. amm., 2007, 1112; N. Zorzella, Giudizio avverso il diniego del titolo di soggiorno e giudizio relativo all’espulsione: due mondi non comunicanti? Spunti di riflessione per una nuova considerazione dello status di migrante in termini di diritto soggettivo, in Dir., imm. e citt., 2006, 27 ss. 47 In generale, sul potere di disapplicazione del giudice civile: A. Romano, La disapplicazione del provvedimento amministrativo da parte del giudice civile, in Dir. proc. amm., 1983, 22 ss. 48 G. Tropea, Homo sacer, cit., 897. 49 Tale sistema riparto è stato ritenuto costituzionalmente legittimo dalla Consulta che, con la già citata ordinanza n. 414/2001, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 10 e 13, comma 8, del d.lgs. n. 286/1998, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Le norme venivano censurate proprio nella parte in cui non devolvono ad un unico giudice (segnatamente, al giudice amministrativo) le controversie relative al soggiorno degli stranieri in Italia. La Corte – rilevando che rientra nella discrezionalità del legislatore ripartire, a seconda della tipologia e del contenuto dell’atto, la giurisdizione tra il giudice amministrativo ed il giudice ordinario e che non esiste sul piano costituzionale una esigenza inderogabile a che, una volta iniziato un giudizio tra due soggetti, tutti i rapporti e le pretese successive debbano subire una concentrazione avanti ad unico giudice – ha escluso l’irragionevolezza della scelta del legislatore di attribuire alla giurisdizione ordinaria la tutela nei riguardi dei provvedimenti di espulsione aventi implicazioni sulla libertà personale. 513 Interventi  Parte IV ciò si aggiunge l’evidente inopportunità di affidare a giudici non professionali competenze tanto complesse e che in maniera incisiva influiscono sulla stessa libertà dello straniero. Sotto la vigenza della l. n. 39/1990 la giurisdizione in materia di espulsione prefettizia, accanto al contenzioso in materia di diniego e revoca del permesso di soggiorno, era attribuita al Giudice amministrativo ed ancora oggi la forte esigenza di razionalizzazione del sistema richiederebbe la riunione della giurisdizione, in via esclusiva, dinnanzi ad un unico giudice. Come la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di affermare, non è accettabile che la pluralità dei giudizi attenui o, addirittura, vanifichi l’effettività della tutela giurisdizionale50. Laddove il legislatore non intendesse operare in tale direzione, non resterebbe che accogliere una poco rassicurante filosofia del “male minore”. 3.1. Segue: la giurisprudenza amministrativa sui permessi di soggiorno ed il dialogo con la Corte costituzionale. L’ambito in cui il Giudice amministrativo ha mantenuto nel tempo una estesa potestà giurisdizionale riguardala materia dei titoli di soggiorno. Si tratta, senza dubbio, di un settore decisionale molto ampio ed impegnativo per i T.a.r., chiamati a sindacare la legittimità di un provvedimento ampliativo dal quale dipende la regolare permanenza e, dunque, la conseguente integrazione sociale del soggetto extracomunitario sul territorio nazionale. In materia di permessi di soggiorno sono state, peraltro, sollevate negli anni diverse questioni di legittimità costituzionale che hanno nutrito un denso dialogo tra giudice amministrativo e giudice costituzionale e che hanno determinano – dal punto di vista dottrinale – l’intreccio tra gli studi più strettamente tecnico-processuali e le ampie riflessioni attinenti al soddisfacimento dei diritti del migrante. Ed è, dunque, nell’ambito di tale categoria di atti che meglio si appalesano le caratteristiche e le ricadute che il giudicato amministrativo ha sulle posizioni giuridiche dello straniero extracomunitario, anche ai fini della sua valutazione alla luce del principio di effettività della tutela. Com’è noto, escludendo i casi di protezione internazionale o umanitaria (ora protezione “speciale”51) e le situazioni in cui si manifestino necessità di tutela dell’unità e della coesione familiare ovvero esigenze di salvaguardia di soggetti minori, per i cittadini extracomunitari non è configurabile un diritto ad “immigrare” nel nostro paese. L’ingresso ed il soggiorno dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e degli apolidi sono, 50 «Se è vero, infatti, che la Carta costituzionale ha recepito, quanto alla pluralità dei giudici, la situazione all’epoca esistente, è anche vero che la medesima Carta ha, fin dalle origini, assegnato con l’art. 24 Cost. (ribadendolo con l’art. 111 Cost.) all’intero sistema giurisdizionale la funzione di assicurare la tutela, attraverso il giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi. Questa essendo la essenziale ragion d’essere dei giudici, ordinari e speciali, la loro pluralità non può risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione della tutela giurisdizionale» (cfr. Corte cost., 14 marzo 2007, n. 77, www.cortecostituzionale.it). 51 Cfr., quanto previsto dall’art. 1 del recentissimo Decreto legge n. 113 del 4 ottobre 2018 (convertito in Legge 1° dicembre 2018, n. 132), come già richiamato supra, sub nota 30. 514 Silia Gardini L’effettività della tutela dello straniero… infatti, consentiti solo a seguito dell’emanazione di appositi provvedimenti ampliativi52 da parte dell’Amministrazione (il visto d’ingresso ed il permesso di soggiorno), il cui rilascio presuppone una valutazione relativa alla sussistenza di determinate condizioni previste dalla legge53 e nei confronti dei quali gli stranieri sono titolari di una posizione di interesse legittimo54. Sul piano sostanziale, la regola generale – sancita dall’art. 5 del d.lgs. n. 286/1998 – è quella dell’obbligo per tutti gli stranieri extracomunitari che abbiano regolarmente fatto ingresso nel territorio italiano (attraverso un visto) di richiedere, nel termine perentorio di otto giorni lavorativi, il rilascio del permesso di soggiorno alla questura del luogo in cui intendono soggiornare55. Il permesso di soggiorno deve essere richiesto per le stesse ragioni per cui si è ottenuto il visto d’ingresso, salva la successiva possibilità di conversione. Per conservare il permesso di soggiorno, il cittadino extracomunitario deve dimostrare di aver mantenuto i medesimi requisiti che aveva al momento dell’ingresso, che sono prevalentemente legati a determinate condizioni morali (che non lo facciano considerare pericoloso per la sicurezza pubblica) ed alla sua sufficiente capacità reddituale56. Così, ad ogni rinnovo del titolo di soggiorno, il cittadino straniero, pure se soggiornante da lungo tempo sul territorio nazionale, deve, tra le altre cose, dimostrare necessariamente di avere un lavoro regolare ed un determinato reddito. Tale pretesa, a maggior ragione in un periodo 52 I titoli di soggiorno sono assimilati alla categoria delle autorizzazioni amministrative. Valorizzando la ten- denziale assenza di un previo diritto dello straniero all’ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale parte della dottrina (A. Cacciari, La tutela giurisdizionale nelle vicende del cittadino extracomunitario, in Foro amministrativo T.a.r., 2004, 3193, richiamato da M. Rinaldi, Il contenzioso in materia d’immigrazione, cit.) ha, però, ricondotto il visto d’ingresso e il permesso di soggiorno alla categoria della concessione amministrativa e non a quella dell’autorizzazione, sul rilievo che tali provvedimenti attribuiscono allo straniero una posizione giuridica nuova, costituita dal diritto di entrare (visto d’ingresso) o di soggiornare (permesso di soggiorno) in Italia. 53 Cfr. art. 4, commi 3 e 6, del T.U. in materia di immigrazione. I visti si distinguono per le ragioni per le quali viene richiesto l’ingresso in Italia (motivi di lavoro, di studio, ricongiungimento familiare, visita turistica, transito o altro), nonché per la durata del soggiorno. I requisiti richiesti per il rilascio sono sia oggettivi (come, ad esempio il rispetto delle quote d’ingresso annualmente stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri: con il D.P.C.M. 13 febbraio 2017, è stata prevista per l’anno 2017 una quota complessiva di n. 30.850 cittadini non comunitari, da ammettere in Italia per motivi di lavoro) che soggettivi (di tipo economico e morale). In certi casi tali requisiti conferiscono un margine di discrezionalità all’amministrazione, mentre in altri operano come impedimenti automatici (come ad esempio l’esistenza di una segnalazione Schengen, che viene considerata automaticamente preclusiva). Lo straniero entrato in Italia grazie al visto di ingresso deve poi richiedere, entro otto giorni lavorativi, il rilascio del permesso di soggiorno al Questore della provincia nella quale si trova. 54 Per una più completa configurazione della posizione dello straniero che intenda entrare e soggiornare sul territorio italiano, si veda il recente contributo di G. Savio, Il diritto amministrativo dell’ingresso e del soggiorno, in Immigrazione, asilo e cittadinanza, a cura di P. Morozzo Della Rocca, Santarcangelo di Romagna, 2017, 15 ss. 55 È esonerato da tale obbligo lo straniero che entri in Italia con un visto di ingresso di breve durata (non superiore a tre mesi) per visite, affari, turismo o studio. In tali casi, infatti, la richiesta di permesso è sostituita dalla dichiarazione di presenza. 56 Per un inquadramento dottrinale della tematica, si faccia riferimento al già citato contributo di M. Rinaldi, Il contenzioso in materia di immigrazione, cit., nonché alle riflessioni di A. Deffenu, La condizione giuridica dello straniero nel “dialogo” tra Corte costituzionale e Giudice amministrativo, in Diritto costituzionale e diritto amministrativo: un confronto giurisprudenziale, a cura di G. Campanelli, M. Carducci, N. Grasso, V. Tondi della Mura, Torino 2010. 515 Interventi  Parte IV di gravissima crisi economica, si ripercuote negativamente sulla condizione e sui diritti dello straniero, la cui regolare permanenza andrebbe per lo più valutata in relazione ad indici più articolati di integrazione sociale, prim’ancora che economica. Sul punto, il Consiglio di Stato ha, tuttavia, in più circostanze ribadito come il possesso di un reddito minimo costituisca una «condizione soggettiva non eludibile», dal momento che tale requisito «attiene alla sostenibilità dell’ingresso dello straniero nella comunità nazionale, essendo finalizzato ad evitare l’inserimento di soggetti che non siano in grado di offrire un’adeguata contropartita in termini di lavoro e di partecipazione fiscale alla spesa pubblica e che, d’altra parte, la dimostrazione di un reddito di lavoro o di altra fonte lecita di sostentamento è garanzia che il cittadino extracomunitario non si dedichi ad attività illecite o criminose (cfr. tra le tante, Cons. Stato, III, n. 2227/2016; n. 2335/2015; n. 3596/2014)»57. Una rilevante mitigazione a tale regola è stata, tuttavia, configurata in sede di rinnovo del titolo di soggiorno, laddove i giudici amministrativi hanno ritenuto che la Pubblica Amministrazione, più che limitarsi ad una mera ricognizione della sussistenza di redditi adeguati, debba effettuare un giudizio prognostico che tenga conto anche delle occasioni lavorative favorevoli sopravvenute nelle more dell’adozione del provvedimento, compiendo una adeguata valutazione delle prospettive di integrazione del lavoratore straniero nel tessuto socio economico dell’area in cui risiede. In sostanza, la Questura, nel valutare il requisito reddituale,è tenuta, secondo i giudici amministrativi, a prendere in considerazione non soltanto il reddito maturato nei periodi pregressi, ma (qualora questo sia mancato, o comunque si attesti al di sotto della soglia desumibile dall’art. 29 del d.lgs. 286/1998) anche le capacità reddituali prospettiche, desumibili dalla documentazione presentata dall’interessato nell’ambito del procedimento58 e disponibile al momento dell’adozione del provvedimento59. Si tratta, a ben vedere, di quegli “elementi nuovi” che l’art. 5, comma 5 del T.U.I. impone all’amministrazione di considerare al momento dell’accertamento dei requisiti previsti dalla legge per la concessione o il rinnovo del titolo di soggiorno e che – come rilevato nel paragrafo precedente – rappresentando il più importante temperamento alla natura vincolata di tali provvedimenti, rendono fondamentale il coinvolgimento diretto dell’interessato nella vicenda procedimentale60. 57 Sul punto si vedano le sentenze del Consiglio di Stato (sezione III), nn. 843 e 1524 del 2017, in www.giustizia-amministrativa.it. 58 Cfr., tra le pronunce più recenti, Cons. di Stato, (sezione III), n. 3655/2018; n. 2335/2018; n. 2585/2017; n. 843/2017; n. 4549/2016; n. 3569/2016; n. 5108/2015, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. 59 L’orientamento del Consiglio di Stato è consolidato nel ritenere che l’art. 5, comma 5 del T.U.I., nell’imporre all’Amministrazione di prendere in considerazione i “nuovi sopraggiunti elementi” favorevoli allo straniero, si riferisca a quelli esistenti e formalmente rappresentati o comunque conosciuti dall’Amministrazione al momento dell’adozione del provvedimento (anche se successivamente alla presentazione della domanda: cfr. Cons. di Stato (sezione III), n. 1714/2016; n. 5466/2015, in www.giustizia-amministrativa.it, mentre nessuna rilevanza (salvo quella di giustificare un eventuale riesame della posizione dello straniero da parte dell’Amministrazione) può essere attribuita ai fatti sopravvenuti (cfr., in ultimo, Cons. di Stato, sezione III, n. 2645/2015; n. 2735/2015, in www.giustizia-amministrativa.it). La valorizzazione degli elementi favorevoli allo straniero sopravvenuti alla proposizione dell’istanza incontra, dunque, un limite temporale insuperabile nell’emissione del provvedimento. 60 Cfr., supra, par. 2. 516 Silia Gardini L’effettività della tutela dello straniero… Come opportunamente rilevato in dottrina, la cauta ma sensibile apertura della giurisprudenza amministrativa alla valorizzazione di elementi sopravvenuti, volta ad compiere una lettura globale della posizione dello straniero,che non sia strettamente ancorata all’asettica valutazione dei requisiti di legge, costituisce un evidente esempio di «sindacato incrementale»61, che il giudice amministrativo ha costruito in questa materia, ritagliando e definendo significativi spazi di tutela tra le “maglie larghe” del T.U.I. Uno dei terreni più spinosi su cui il giudice amministrativo è intervenuto per garantire allo straniero una tutela più effettiva e che ha direttamente interessato, in diverse circostanze, anche la Corte costituzionale, è quella relativa al meccanismo del c.d. “automatismo ostativo”, da cui peraltro discende buona parte dei provvedimenti di revoca o mancato rinnovo dei titoli di soggiorno. Il T.U.I. prevede, infatti, che, per poter soggiornare in Italia, il cittadino extracomunitario non debba aver subito condanne per taluni reati individuati dalla stessa legge (artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del T.U.I.)62, indipendentemente dall’entità della pena prevista o comminata63. Ciò vuol dire che, in tutti i casi in cui si appalesi una responsabilità penale per taluno di tali reati ostativi, l’Amministrazione non dispone di alcuna discrezionalità decisionale, poiché il diniego o la revoca del titolo di soggiorno costituiscono un “atto dovuto” che deriva iuris et de iure dal verificarsi di condizioni che il legislatore stesso ha considerato sintomatiche di pericolosità sociale, a prescindere dalle circostanze del caso concreto64. La commissione dei reati c.d. “ostativi” è, dunque, un elemento oggettivo che impedisce il rinnovo il o rilascio del permesso di soggiorno, non alla stregua di una sorta di sanzione accessoria alla condanna o alla misura di sicurezza65, ma in quanto vincolato effetto di natura amministrativa previsto dal legislatore. 61 In tal senso, M. Noccelli, Il diritto dell’immigrazione davanti al giudice amministrativo, cit. L’A. spiega come il sindacato del giudice amministrativo si sia spinto, in materia di permessi di soggiorno, fino alla «rigorosa verifica del corretto uso del potere, sul piano della motivazione, e in termini di ragionevolezza, [alla] misura in cui l’uso di tale potere si ponga in contrasto irrimediabile con i diritti fondamentali dello straniero». 62 Sono reati ostativi: i reati di cui all’art. 380, commi 1 e 2, c.p.p. (reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza), i «reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o (…) diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite» (art. 4, comma 3, del T.U.I.), nonché i reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale (contraffazione o uso dei marchi e introduzione e commercio di oggetti falsi). 63 Per la generalità dei reati ostativi è sufficiente che intervenga una sentenza penale di condanna in primo grado, anche a seguito di patteggiamento. L’irrevocabilità della condanna è richiesta solo per i reati previsti dalla legge n. 633/1941 e dagli articoli 473 e 474 c.p. 64 Il solo elemento di cui si può tenere conto per evitare l’automatismo ostativo è il provvedimento – quale una sentenza di appello, di cassazione o di revisione – che, eliminando la rilevanza della stessa causa ostativa, faccia venir meno la condanna (cfr., Cons. di Stato, sezione III, 4 luglio 2011, n. 3996, in www.giustizia-amministrativa.it). 65 Come ha chiarito la stessa Corte Costituzionale, «il rifiuto del rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno (…) non costituisce sanzione penale, sicché il legislatore ben può stabilirlo per fatti che, sotto il profilo penale, hanno una diversa gravità, valutandolo misura idonea alla realizzazione dell’interesse pubblico alla sicurezza e tranquillità, anche se ai fini penali i fatti stessi hanno ricevuto una diversa valutazione» (Corte Cost., sent. n. 148/2008, in www.cortecostituzionale.it). 517 Interventi  Parte IV Come anticipato, tale meccanismo è stato diverse volte sottoposto – su impulso del giudice amministrativo – al vaglio della Consulta, che ne ha, tuttavia, quasi sempre affermato la compatibilità con i principi costituzionali. In particolare, con la nota sentenza n. 148 del 2008, la Corte ha ben spiegato come la disciplina dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale – anche in ragione della pluralità degli interessi pubblici coinvolti nelle relative fattispecie (che vanno dalla sicurezza e dall’ordine pubblico, alla tutela della salute, al rispetto dei vincoli internazionali, nonché della politica nazionale in tema di immigrazione) – sia caratterizzatada un’ampia discrezionalità, limitata soltanto sotto il profilo della non manifesta irragionevolezza delle scelte legislative66. Anche alla luce del fatto che la libertà di circolazione e di soggiorno nel territorio nazionale è riservata dall’art.16 della Costituzione ai soli cittadini e non può essere ricompresa tra le garanzie riconosciute allo straniero67, il Giudice delle leggi – adottando un controllo di legittimità “a maglie larghe”68 – ha ritenuto che non è «manifestamente irragionevole condizionare l’ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio nazionale alla circostanza della mancata commissione di reati di non scarso rilievo»69. Sotto il profilo dell’effettività della tutela, che più interessa il presente lavoro, un elemento particolarmente controverso analizzato dalla Corte costituzionale riguardala mancanza di uno specifico giudizio di pericolosità sociale in capo ai singoli soggetti, a causa della quale situazioni ontologicamente diverse tendono ad essere egualmente penalizzate. Non pare difficile che, sulla scorta della scelta operata dal legislatore, si possa vedere irragionevolmente sacrificata la posizione di chi, ad esempio, pur risiedendo in Italia da un lungo periodo, compiendo un reato di scarsa rilevanza penale (come quello in materia di violazione del diritto d’autore, ricompreso dal legislatore nella schiera delle condotte ostative70), si veda improvvisamente costretto ad abbandonare il paese. Sul punto, la Consulta 66 La Corte aveva dichiarato inammissibili o manifestamente inammissibili questioni analoghe con l’ord. n. 9/2005, a sent. n. 240/2006 e l’ord. n. 431/2006, tutte in www.cortecostituzionale.it. 67 Anche sulla scorta di tale considerazione, non pare scorretto considerare il permesso di soggiorno come un provvedimento amministrativo di natura concessoria e non meramente autorizzatoria. Sul punto si veda la dottrina richiamata sub nota 52. 68 Cfr. A. Deffenu, La condizione giuridica dello straniero nel “dialogo” tra Corte costituzionale e Giudice amministrativo, cit. 69 Prosegue la Corte, affermando che «(…) la condanna per un delitto punito con la pena detentiva, la cui configurazione è diretta a tutelare beni giuridici di rilevante valore sociale – quali sono le fattispecie incriminatrici prese in considerazione dalla normativa censurata – non può, di per sé, essere considerata circostanza ininfluente ai fini di cui trattasi, al punto di far ritenere manifestamente irragionevole la disciplina legislativa che siffatta condanna assume come circostanza ostativa all’accettazione dello straniero nel territorio dello Stato». Secondo i giudici della Consulta, non può essere considerata manifestamente irragionevole neanche la scelta legislativa di non aver dato rilievo alla sussistenza delle condizioni per la concessione del beneficio della sospensione della pena. 70 «Ai sensi dell’art. 26, comma 7 bis, del d.lgs. n. 286/1998, la condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sez. II, l. 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore, e dagli artt. 473 e 474 c.p., quali la ricettazione e il commercio di prodotti con segni falsi, comporta automaticamente la preclusione del rilascio o rinnovo, o la revoca, del permesso di soggiorno allo straniero per lavoro autonomo e l’espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera (…)»: in tal senso, di recente, Cons. di Stato, sez. III, 10 ottobre 2018, n. 5839, in www.giustizia-amministrativa.it. 518 Silia Gardini L’effettività della tutela dello straniero… è stata, però, molto chiara: ha, infatti, ritenuto che il c.d. automatismo ostativo «altro non è che un riflesso del principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione e che costituisce, anche per gli stranieri, presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di scongiurare possibili arbitri da parte dell’autorità amministrativa». La pronuncia della Corte del 2008 è stata da subito recepita dal Consiglio di Stato(e – a catena – dalla prevalente giurisprudenza amministrativa successiva), che, uniformandosi all’orientamento da essa espresso, ha definito l’automatismo ostativo come uno strumento di bilanciamento «fra una “politica dell’accoglienza” (che privilegi il lato personale ed umano, ovvero l’indubbia possibilità di recupero sociale di chi sia incorso in vicende anche penalmente rilevanti) ed una “politica del rigore”, che punti ad inserire nel tessuto sociale solo i numerosissimi lavoratori stranieri che offrano le migliori garanzie di positivo apporto e migliore inserimento nella collettività, senza che l’una o l’altra di tali scelte trovino ostacolo nella Carta costituzionale». Secondo il Giudice amministrativo, dunque, dalla normativa in vigore non discenderebbe «alcuna presunzione assoluta di pericolosità sociale del singolo, ma solo una esigenza di condotta irreprensibile per l’ingresso e la permanenza dello straniero sul territorio nazionale, peraltro non senza possibilità di valutare nuove circostanze sopravvenute (...), che possano in via eccezionale giustificare anche singole condotte devianti»71. La situazione non cambia nel caso in cui la condanna penale, rilevante ai fini dell’applicazione della normativa del T.U.I., sia stata oggetto di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. Anche di questa fattispecie è stata interessata la Corte costituzionale ed anche in tal caso le argomentazioni dei giudici a quibus sono state respinte. Il Giudice delle leggi ha, infatti, colto l’occasione per precisare che non è irragionevole la scelta legislativa di fare riferimento a condanne penali intervenute a seguito di sentenza penale patteggiata (equiparata dalla stessa legge ad una pronuncia di condanna), posto che, al momento della scelta tra il patteggiamento e il procedimento ordinario, lo straniero imputato è posto ex ante nella piena condizione di conoscere tutte le conseguenze scaturenti dalla scelta processuale operata72. La dichiarazione d’incostituzionalità è, invece, intervenuta in relazione alla particolare fattispecie disciplinata dall’art. 1-ter, comma 13, lett. c, del d.l. n. 78/2009, norma che disponeva l’automatico rigetto dell’istanza di emersione di lavoro irregolare per i cittadini extracomunitari, impiegati come col fo badanti, che fossero stati condannati per uno dei reati di cui all’art. 381 c.p.p. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 172/2012, ha in tal caso ritenuto fondata la questione di legittimità sollevata dal T.a.r. delle Marche e dal T.a.r. Calabria73, sulla scorta della valutazione della sussistenza di una presunzione assoluta di 71 Cfr. Cons. di Stato (sezione VI), 8 febbraio 2008, n. 415, in www.giustizia-amministrativa.it. 72 Sul punto si veda anche l’ordinanza della Corte costituzionale n. 456 del 2007, in www.corte.costituzionale.it. 73 Cfr. sentenza n. 172 del 2012, in Foro it., vol. I, 2013, 76. La vicenda traeva origine dall’impugnazione ad opera di un cittadino senegalese del provvedimento con cui la Prefettura di Ancona aveva respinto la dichiarazione di emersione presentata dal suo datore di lavoro, in quanto lo straniero risultava condannato, con sentenza definitiva, per avere commercializzato prodotti con marchi contraffatti. Poiché tale reato, compreso fra 519 Interventi  Parte IV pericolosità sociale esclusa dalla stessa norma che disciplina il reato74. Non di minore importanza veniva considerata la circostanza che l’espulsione dei soggetti in questione senza previo accertamento in concreto della loro pericolosità – in virtù della particolarità del loro impiego – avrebbe irragionevolmente pregiudicato l’interesse delle persone non autosufficienti da questi assistite75. Quella appena descritta è, tuttavia, una fattispecie ben circoscritta e limitata ai soli casi emersione del lavoro irregolare, al di fuori della cui area applicativa la regola dell’automatismo espulsivo non trova deroghe. La giurisprudenza amministrativa ha, in realtà, tentato in più di un’occasione di ampliare la portata della sentenza n. 172/2012, rivolgendosi alla Corte costituzionale con numerose ordinanze di rinvio. In particolare, nel 2014 un’ordinanza del T.a.r. Trento ha espressamente sottoposto alla cognizione della Consulta la valutazione della possibilità di estendere quanto previsto in materia di emersione del lavoro irregolare ai reati-materia richiamati dagli art. 4, comma 3, e 5, comma 5, del Testo Unico, che – per legge – sono automaticamente ostativi al rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, anche quando rientrino quoad poenam nella fattispecie prevista dall’art. 381 c.p.p.76. La questione è stata, però, ritenuta inammissibile dalla Corte, che – con la sentenza n. 277 del 2014 – ha dato prevalenza all’espressa volontà del legislatore di applicare il meccanismo dell’automatismo ostativo a determinate tipologie di reati, puntualmente individuati, a prescindere dalla concreta gravità del fatto77. A livello legislativo, l’unico temperamento alla rigidità della regola dell’automatismo ostativo si rinviene in alcune norme contenute nel Testo Unico dell’immigrazione – emanate su impulso della normativa comunitaria – attraverso le quali è stato dato rilievo a specifiche ragioni solidaristiche. quelli di cui all’art. 381 c.p.p., impediva ex lege l’ammissione alla procedura di emersione, il T.a.r. delle Marche sollevava la questione di legittimità costituzionale, denunciando la violazione dell’art. 3 Cost. Analogamente operava il T.a.r. Calabria, in relazione a una fattispecie in cui lo straniero era stato condannato per il reato di lesioni personali. 74 L’art. 381 c.p.p. consente l’arresto (facoltativo) in flagranza soltanto se la pericolosità del reo sia desumibile dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto. La Corte richiama, sul punto, il principio in virtù del quale «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit» (cfr. Corte Cost., sentenze nn. 231 e 164 del 2011, in www.corte.costituzionale.it). 75 In linea con la pronuncia della Consulta: Cons. di St., n. 4504/2016, n. 2204/2014 e n. 1687/2013, in www. giustizia-amministrativa.it, secondo cui l’Amministrazione che intenda negare la regolarizzazione non può limitarsi a prender atto del carattere ostativo della condanna per uno dei reati di cui all’art. 381 c.p.p., ma deve esprimere un’autonoma e motivata valutazione circa la concreta pericolosità sociale dello straniero lavoratore. L’esclusione dell’automatismo ostativo ha, dunque, una portata circoscritta a tali fattispecie di reato. 76 La fattispecie era quella del diniego del permesso di soggiorno sulla base della condanna dello straniero richiedente per il reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti previsto dall’art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 308/1990 (fattispecie rientrante in quelle disciplinate dall’art. 381 c.p.p. per la lieve entità del fatto). 77 Sulla stessa linea si pone la più recente sentenza 24 febbraio 2017, n. 45 con cui la Corte ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità – sollevate dalla sezione II del T.a.r. per il Piemonte con l’ordinanza 16 novembre 2015 n. 1579 – con riferimento alla irragionevolezza della disciplina che impedirebbe il rilascio del permesso di soggiorno, pur a seguito di una completa procedura di emersione del lavoro irregolare, a fronte dell’automatico effetto ostativo di una condanna per reato concernente sostanze stupefacenti. 520 Silia Gardini L’effettività della tutela dello straniero… La prima di tali norme – introdotta in attuazione della direttiva comunitaria 2003/86/ CE – è disposta in favore degli stranieri che abbiano esercitato il diritto al ricongiungimento familiare (art. 5, comma 5, secondo periodo, T.U.I.)78; la seconda – introdotta a seguito della direttiva 2003/109/CE – è invece prevista a beneficio di coloro che abbiano un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (art. 9, comma 4, T.U.I.). Quest’ultima previsione, in particolare, si riconnette e si giustifica in virtù dello status premiale di “soggiornante di lungo periodo”, riconosciuto ai cittadini di Paesi terzi che abbiano soggiornato legalmente ed ininterrottamente per cinque anni in uno Stato membro dell’Unione79. Solo in tali casi gli stranieri che sono presenti in Italia possono godere di una tutela “rafforzata”, che li pone al riparo dall’applicazione automatica di misure capaci di compromettere la loro permanenza nel territorio. Di conseguenza, la condanna per un reato ostativo non è può mai considerarsi automaticamente preclusiva del rilascio o del rinnovo del titolo di soggiorno, ma richiede una valutazione discrezionale dell’Amministrazione che contemperi le esigenze di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale con l’interesse dello straniero a rimanere in Italia, tenendo conto di elementi quali la durata del soggiorno, il grado di inserimento sociale e lavorativo dello straniero e i suoi legami familiari, nonché dell’effettiva rilevanza della sua pericolosità sociale80. In sostanza, la legge prevede in tali casi una sorta di disparità di trattamento – sostanziale e processuale – sulla base dello status dello straniero autore della condotta penalmente rilevante, con livelli di tutela evidentemente difformi. Soltanto in relazione ai soggiornati 78 In relazione alla prima di tali deroghe, la Corte costituzionale è intervenuta a rimodulare l’originaria formula- zione legislativa. Con la sentenza n. 202 del 3 luglio 2013 il Giudice delle leggi – accogliendo una questione di costituzionalità sollevata dal T.a.r. del Veneto con l’ordinanza n. 223 del 16 luglio 2012 – ha, infatti, dichiarato l’illegittimità dell’art. 5, comma 5, del T.U.I. nella parte in cui prevedeva che la tutela rafforzata ivi prevista si applicasse esclusivamente ai casi in cui fosse stata formalmente attivata una pratica di ricongiungimento familiare e non anche a tutte le altre situazione in cui lo straniero avesse comunque “legami familiari” nel territorio dello Stato (cfr., Corte cost., 3 luglio 2013, n. 202, in www.osservatorioaic.it, con nota di V. Picalarga, Brevi note sulla recente giurisprudenza amministrativa in tema di rilascio – rinnovo del permesso di soggiorno, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 202 del 2013, 2014). Tale previsione determinava, secondo la Corte, una irragionevole disparità di trattamento tra situazioni simili e la illegittima compromissione di diritti fondamentali della persona legati alla tutela della famiglia e dei minori. Una formale procedura di ricongiungimento non è, ad esempio, necessaria nel caso di familiari che giungono insieme in Italia oppure di nuclei familiari che si formano in Italia (per matrimonio o nascita dei figli). La nozione di legame familiare valorizzata dalla Corte costituzionale corrisponde, comunque, a quella prevista dall’art. 29 T.U.I. per il ricongiungimento e include solo le relazioni fra coniugi, fra genitori e figli minori e qualche altra ipotesi particolare, ma non anche quelle fra parenti di altro grado. 79 Per conseguire il permesso di soggiorno di lungo periodo – che è un provvedimento ampliativo a tempo indeterminato e non richiede un vero e proprio rinnovo, ma solo il suo aggiornamento – lo straniero deve dimostrare: di possedere un permesso di soggiorno in corso di validità da almeno 5 anni; di poter far affidamento su di un reddito minimo; di avere disponibilità di un alloggio idoneo; di conoscere la lingua italiana; di non essere un pericolo per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. 80 Sul punto, la giurisprudenza è salda. Si vada, tra le sentenze più recenti, la pronuncia del Consiglio di Stato (sezione III) del 23 luglio 2018, n. 4455, in www.giustizia-amministrativa.it, che ribadisce come «[i]n materia di permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, ai sensi dell’art. 9, comma 4, del TUI, il diniego e la revoca non possono essere adottati per il solo fatto che lo straniero abbia riportato sentenze penali di condanna: al contrario, tali misure richiedono un giudizio di pericolosità sociale dello straniero e una motivazione articolata su più elementi (…)». 521 Interventi  Parte IV di lungo periodo, infatti, l’Amministrazione è tenuta ad operare una valutazione di natura discrezionale sulla concreta pericolosità sociale dello straniero, confortata da idonei elementi di riscontro, motivando in tal senso il provvedimento di revoca o di mancato rinnovo del titolo di soggiorno; così pure il Giudice amministrativo che – di riflesso – ha solo in tali casi il potere di scrutinare a fondo la ragionevolezza dell’iter valutativo che ha condotto al provvedimento stesso, slegato dalle strette maglie dell’automatismo ostativo. 4. Una breve riflessione conclusiva. Dall’analisi fin qui compiuta, è emerso con chiarezza come nell’ambito delle vicende connesse al fenomeno immigratorio si verifichi sempre una necessaria commistione tra piani differenti e talvolta contrastanti: da un lato il necessario riconoscimento di diritti garantiti dalla Costituzione e dal diritto europeo ed internazionale, dall’altro il controllo ed il saldo mantenimento del sistema legale degli ingressi e del soggiorno nel territorio nazionale, alla luce di sensibili interessi statali e di politica legislativa. Ciò tende a conferire una immanente relatività al sistema,con ricadute anche sul piano della tutela giurisdizionale e, in particolare, della sua effettività. Talune problematiche possono essere inquadrate con precisione e, in egual misura, potrebbero essere risolte a monte da interventi legislativi meglio ponderati. Sul piano processuale, assume in primis centralità il problematico frazionamento delle competenze tra giudice ordinario e giudice amministrativo che non può essere sterilmente risolto in sede di riparto, ma che richiede a gran voce – anche per esigenze di razionalità del sistema – una concentrazione delle tutele davanti ad un unico giudice. Non potendo in tale sede approfondire il profilo dell’opportunità di definire il giudice amministrativo ancora oggi – dopo la lunga evoluzione culminata con l’attuazione del codice del processo del 2010 – esclusivamente come giudice di interessi e dell’attività discrezionale della p.a., è necessario, tuttavia, porre l’accento sulla sensibilità che i Tribunali amministrativi regionali hanno da sempre dimostrato per talune questioni concernenti i diritti dei non cittadini. Lo conferma innanzitutto il continuo dialogo con la Corte costituzionale da cui, malgrado la “chiusura” che discende dall’ampia discrezionalità riconosciuta al legislatore in tale settore, sono spesso derivati importanti risultati in termini di implementazione dei livelli di tutela. Non trascurabile è, poi, il profilo sostanziale delle vicende, in relazione al quale la rigidissima vincolatività (o l’interpretazione in tal senso) dei relativi provvedimenti amministrativi incide negativamente sull’effettività dell’intero sistema. In tale ambito, al di là del formalismo normativo, sarebbe auspicabile una maggiore responsabilizzazione delle pubbliche amministrazioni, alla luce di una legalità più “elastica”, funzionale ad assicurare che il diritto posto dall’autorità sia sempre integrato e vivificato dalla sua concreta funzionalizzazione81. 81 Cfr. L. Perfetti, La legalità del migrante. Status della persona e compiti dell’amministrazione pubblica nella relazione paradigmatica tra migranti respinti, irregolari, trattenuti, minori e potere pubblico, in Dir. e proc. amm. 2, 2016, 412. 522 Interventi Parte V Gli obiettivi e il metodo del progetto di ricerca “La disciplina e la tutela dell’asilante” del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino Interventi  Parte V GLI OBIETTIVI E IL METODO DEL PROGETTO DI RICERCA ‘‘LA DISCIPLINA E LA TUTELA DELL’ASILANTE’’ DEL DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO ~ Roberto Cavallo Perin e Manuela Consito ~ 1. L’OGGETTO DEL PROGETTO DI RICERCA: INQUADRAMENTO • 2. IL METODO DI ANALISI E D’INDAGINE • 3. LE COLLABORAZIONI AVVIATE • 4. LA RELAZIONE CONCLUSIVA DEL PROGETTO. 1. L’oggetto del progetto di ricerca: inquadramento I significativi arrivi di migranti, a partire dalle vicende relative ai paesi nordafricani nel 2011, hanno posto al diritto nuove sfide. Il riferimento è alla definizione dello status giuridico del migrante involontario, all’analisi del procedimento di esame delle istanze di asilo e di protezione internazionale, alle modalità di individuazione dei soggetti che, a vario titolo, possono essere destinatari di finanziamenti pubblici funzionali all’accoglienza. La definizione della condizione giuridica dello straniero titolare di un diritto alla protezione incontra oggi alterne vicende, ove forte appare la tensione tra l’esigenza di tutela e di garanzia dei diritti umani – tra i quali spicca il diritto di asilo – e la protezione della sovranità statuale, che vede forte l’affermazione, quale prerogativa esclusiva di ogni Stato sovrano, della protezione delle proprie frontiere attraverso la regolamentazione dei flussi migratori a difesa dell’integrità nazionale. A ciò si affianca l’enucleazione di una disciplina dello straniero funzionale alla disciplina dello status dei singoli individui in forza dell’esigenza del rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, intesi volta a volta come diritti civili, sociali, personali e familiari. Una simile tensione dicotomica si ritrova anche nella disciplina europea di riferimento ove, ferma restando la competenza degli Stati per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri c.d. migranti “volontari” sul proprio territorio, la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo è posta tra gli obiettivi dell’Unione europea a garanzia della migrazione “forzata”, alla cui realizzazione è teso lo sforzo normativo di tutte le sue istituzioni. Si apre un processo nuovo di progressiva «comunitarizzazione» quantomeno della disciplina sulla migrazione involontaria che vede rafforzarsi istanze di cooperazione amministrativa che procedono dal piano dell’Unione europea sino al particulare delle amministrazioni italiane locali. 524 Roberto Cavallo Perin e Manuela Consito Gli obiettivi e il metodo del progetto di ricerca… In tale contesto si collocano le evidenze fattuali, da più parti testimoniate, che vedono una spesso confusa valutazione circa la condizione del migrante che conduce a non legittime sovrapposizioni di condizioni che, ab origine, necessitano di approcci differenziati (il riferimento è, tra gli altri, alla condanna dell’Italia per l’illegittimità del trattenimento nel Centro di prima accoglienza di Lampedusa e dell’espulsione di tre richiedenti asilo tunisini: Corte EDU, Khlaifia et Autres c. Italie, 1 settembre 2015). L’analisi del procedimento sulla domanda di asilo e di protezione internazionale importa un necessario confronto tra la disciplina, legislativa e regolamentare, di esame delle istanze di protezione e la sua concreta applicazione, ove, nonostante l’aumento del numero delle Commissioni territoriali, individuate come organi competenti alla valutazione, si registrano prassi difformi in merito sia alla durata del procedimento sia agli esiti. Ciò apre alla possibile configurazione di ipotesi di responsabilità della pubblica amministrazione, declinata anzitutto come responsabilità extracontrattuale e amministrativa (art. 28 Cost.) per mancato rispetto dei termini procedimentali (c.d. danno da ritardo della p.a.) nonché per il danno conseguente all’illegittimo diniego del riconoscimento dello status di protezione, seguito dal trattenimento del richiedente asilo. Inoltre, consente di porre in evidenza come alla pretesa universalità – anche geografica – dei diritti dell’asilante si opponga di fatto l’organizzazione amministrativa, ove è l’efficienza organizzativa dello Stato di accesso la vera garanzia del godimento dei diritti in astratto riconosciuti al richiedente protezione. A tale proposito l’ottimizzazione del procedimento impone un’attenzione specifica rivolta alla formazione degli agenti pubblici che vi sono addetti, che sappia cogliere e valorizzare le migliori esperienze in cui i funzionari pubblici hanno svolto un ruolo centrale in chiave – anche – di integrazione dei migranti (v. da ultimo Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2013/33/UE, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale nonché della direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, Atti Parlamentari, XVII, Camera dei deputati, Atto n. 170, art. 24, co. 2, approvato dal Consiglio dei Ministri il 18 agosto 2015, che promuove la predisposizione di corsi di formazione per componente delle Commissioni territoriali da parte delle Università). È d’interesse in tale prospettiva altresì il riferimento alle teorie della c.d. “representative bureaucracy”, diffuse in tutti in paesi in cui siano presenti significative minoranze etniche, sociali, razziali, religiose o linguistiche (es. Belgio, Canada, India, Libano, Sudafrica, USA, ecc.), che evidenziano l’apporto delle politiche ispirate alla c.d. “diversità” nei processi d’integrazione e ai fini della stessa implementazione dell’efficacia della azione amministrativa: l’amministrato che si senta “rappresentato” dall’amministrazione cui si rivolge è normalmente maggiormente disposto alla collaborazione con essa, o quantomeno alla “non contrapposizione” (in tal senso nel nostro ordinamento la pur circoscritta esperienza dei mediatori culturali). Le modalità di individuazione dei soggetti che, a vario titolo, possono essere destinatari di finanziamenti pubblici funzionali all’accoglienza registra notevoli criticità a cagione delle «oggettive difficoltà programmatorie e di esecuzione del contratto in un settore nel 525 Interventi  Parte V quale è necessario garantire una continuità dei servizi a volte a sfavore del sistematico rispetto delle norme che regolano la materia» (Autorità Nazionale Anticorruzione, Deliberazione 8 marzo 2012, n. 25, sui servizi di gestione dei centri di accoglienza per immigranti affidati per l’ultimo biennio dai Comuni Città di Torino, Comune di Bologna, Comune di Foggia, Comune di Bari, p. 9). Con specifico riguardo al Comune di Torino si sottolinea il ricorso a «distinte modalità di affidamento rappresentate a) da procedure ad evidenza pubblica e b) da affidamenti mediante accordi di collaborazione di cui all’art. 9 della Deliberazione della Giunta Regionale 22 maggio 2006 con organizzazioni no profit e di volontariato, vincolando le associazioni con apposita convenzione pluriennale», volendosi più in generare registrare le difficoltà di «una differenziazione degli approcci adottati dalle stazioni appaltanti per l’affidamento della gestione dei centri di accoglienza, con il diverso utilizzo delle regole proprie del settore dei servizi sociali per l’immigrazione» (Ibidem). La funzione di accoglienza può essere ricompresa nella solidarietà sociale e legittimare la deroga alla procedura di evidenza pubblica. Secondo la giurisprudenza europea, la disciplina di favor per il no-profit legittima lo Stato al ricorso alle associazioni di volontariato purché corrisponda alla finalità sociale e che sia idoneo a contribuire al controllo dei costi legati a tale servizio. Tale possibilità, però, non è priva di limiti, o meglio di garanzie per il corretto funzionamento del mercato interno. Il ricorso in via prioritaria ad associazioni di volontariato deve effettivamente contribuire alla finalità sociale. Le associazioni in questione non possono perseguire obiettivi diversi, ed in ogni caso non debbono trarre profitto alcuno dalle loro prestazioni che vada al di là del “rimborso di costi variabili, fissi e durevoli nel tempo necessari per fornire le medesime”. Ciò che assume rilievo per ammettere l’operatore a svolgere la funzione è in ogni caso l’effettivo possesso dei requisiti di capacità economica finanziaria e tecnico professionale richiesti dalla lex specialis, non importa se in esercizio della discrezionalità amministrativa o in attuazione di una disposizione generale e astratta. Più in generale a fronte di una sempre più diffusa “esternalizzazione della gestione della migrazione” è dunque imposta la scelta dei gestori tramite procedure a evidenza pubblica ogniqualvolta possa dirsi individuato un corrispettivo per il servizio reso, secondo modalità che non possono obliterare l’applicazione dei principi in materia di affidamento dei contratti pubblici a prescindere dalla particolare qualifica soggettiva di taluni offerenti quali enti esponenti del c.d. terzo settore. A fronte delle enunciate sfide il Progetto “La disciplina e la tutela dell’asilante”, che è risultato vincitore di un finanziamento da parte della “Fondazione CRT - Contributi ordinari 2016” con lo scopo di consentire l’attivazione di borse di studio dedicate, vede il suo focus nell’analisi della disciplina del diritto di asilo e della tutela del richiedente asilo con riguardo alla definizione dello status giuridico del migrante involontario, all’analisi del procedimento di esame delle istanze di asilo e di protezione internazionale, alle modalità di individuazione dei soggetti che, a vario titolo, possono essere destinatari di finanziamenti pubblici funzionali all’accoglienza secondo un approccio interdisciplinare che vede coinvolti docenti di diritto e procedura penale, di diritto amministrativo e di diritto dell’immigrazione. 526 Roberto Cavallo Perin e Manuela Consito Gli obiettivi e il metodo del progetto di ricerca… 2. Il metodo di analisi e d’indagine La ricerca ha inteso svolgere una riflessione generale sul procedimento di riconoscimento della protezione internazionale e sul sistema dei centri di accoglienza straordinaria (CAS) partendo dall’analisi di un contesto specifico come quello offerto dal territorio torinese, che si distingue nell’accoglienza dei richiedenti asilo, sì da meglio comprendere chi sono i migranti accolti in Piemonte, quali le forme di accoglienza attivate, quali le modalità di esperimento delle procedure amministrative funzionali al riconoscimento dello status di asilante. Due in particolare sono stati i fronti d’indagine: 1) l’avvio di una ricerca applicata presso la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, sede di Torino, attraverso lo svolgimento di un’analisi del procedimento sulla domanda di asilo e di protezione internazionale condotta con il necessario confronto tra la disciplina generale sull’azione amministrativa e la disciplina speciale, legislativa e regolamentare, di esame delle istanze, analizzando la concreta applicazione degli istituti nelle procedure di riconoscimento dello status di asilante con un focus dedicato al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari; 2) l’analisi delle procedure di individuazione dei soggetti gestori che, a vario titolo, possono essere destinatari di finanziamenti pubblici funzionali all’accoglienza, con attenzione anche alla fase di esecuzione dei contratti pubblici conseguenti alla “esternalizzazione della gestione della migrazione”, attraverso l’esame della documentazione relativa all’affidamento in gestione dei Centri di accoglienza straordinaria (CAS) nell’ambito del territorio torinese negli anni 2016 e 2017 e delle informazioni raccolte nel corso di visite-studio condotte in una rosa selezionata di CAS per richiedenti asilo. Il Progetto ha visto l’attivazione di borse di studio dedicate allo sviluppo delle attività di ricerca applicata, di studio e di analisi previste dal medesimo in stretta collaborazione con la Prefettura di Torino e il Tribunale di Torino. Con riferimento al primo ambito d’indagine l’obiettivo è stato di comprendere chi siano i richiedenti asilo accolti in Piemonte (condizione personale, paese d’origine, motivi di emigrazione) e quali siano le concrete modalità di svolgimento del procedimento amministrativo da parte della Commissione territoriale di Torino. La stretta collaborazione con i funzionari della Commissione Territoriale e la disponibilità della Presidente della Commissione, Dott.ssa Laura Cassio, hanno permesso di analizzare un campione casistico ampio di cui è stata riconosciuta la significatività. Si è deciso di focalizzare la ricerca sui procedimenti amministrativi conclusisi negli anni 2015-2016 con il diniego della protezione internazionale e la trasmissione degli atti al Questore per il rilascio al richiedente di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ciò in ragione della forte incidenza di tali casi sul lavoro complessivo della Commissione territoriale, pur nata specificamente per istruire e decidere le sole domande d’asilo, eppur gravata da una notevole mole di lavoro proprio a cagione della progressiva emersione di esigenze di protezione umanitaria in un numero di casi via via superiore alle ipotesi di riconoscimento di una delle due forme di protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria). 527 Interventi  Parte V Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Torino Anno 2015 Audizioni Dinieghi PROTEZIONE UMANITARIA Status di rifugiato Protezione sussidiaria Sospensioni 2985 1515 671 142 376 – 50,07% 22,50% 4,7% 12,5% – Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Torino Anno 2016 Audizioni Dinieghi PROTEZIONE UMANITARIA Status di rifugiato Protezione sussidiaria Sospensioni 4384 2009 945 127 350 373 45,82% 21,55% 2,89% 7,98% 8,50% Su 1616 procedimenti amministrativi conclusisi negli anni 2015-2016 con il diniego della protezione internazionale e la trasmissione degli atti al Questore per il rilascio al richiedente di un permesso di soggiorno per motivi umanitari è stato analizzato un campione di 335 fascicoli, ritenuto dalla stessa Presidente della Commissione significativo poiché rappresentativo del percorso decisionale e motivazionale normalmente seguiti dai Commissari per l’esame delle domande. Ciascun fascicolo istruito dalla Commissione Territoriale è composto dal modello di richiesta di protezione internazionale (modello C3), dal verbale di audizione sottoscritto dal relatore, dall’interprete e dal richiedente, dal decreto decisorio e da tutta la documentazione personale che il richiedente ha ritenuto potesse essere rilevante ai fini della decisione. Di essi – per ragioni di tutela della riservatezza – non è stata concessa l’estrazione di copia, dunque ne è stata possibile la consultazione in loco appuntando tutto quanto poteva essere d’utilità per la ricerca. Per meglio comprendere la storia personale del richiedente si è dedicata particolare attenzione all’età, al Paese di origine, all’etnia e alla lingua/dialetto parlato. Si è inoltre preso nota della data e del luogo di presentazione del modello C3, da cui è stato possibile trarre la durata media complessiva del procedimento di riconoscimento della protezione internazionale, dall’istanza di parte alla notificazione del provvedimento conclusivo. Particolare rilievo è stato dato alla narrazione dei fatti resa dal richiedente in sede di audizione poiché nella maggioranza dei casi la decisione della Commissione Territoriale si basa su quanto il richiedente racconta in sede di colloquio con riferimento al suo personale vissuto, ai motivi che lo hanno portato a lasciare il Paese di origine e al timore che nutre in caso di rimpatrio. Si è sempre preso nota anche della documentazione prodotta dal richiedente a corredo 528 Roberto Cavallo Perin e Manuela Consito Gli obiettivi e il metodo del progetto di ricerca… del fascicolo istruttorio, che spesso contiene documentazione medica, relazioni psicologiche o psichiatriche, relazioni dei servizi socio-sanitari, contratti di lavoro e copie di documenti di identità. L’analisi più attenta è stata dedicata alla motivazione della decisione finale, onde pervenire a una declinazione dei motivi umanitari normalmente ritenuti meritevoli di protezione da parte della Commissione territoriale di Torino che possa divenire un’utile base per la definizione di standard da assumersi a linea guida per tutti i procedimenti amministrativi di riconoscimento della protezione internazionale condotti sul territorio nazionale, a maggior tutela della trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa. L’intento, attraverso l’analisi di talune esperienze significative, è stato offrire un confronto tra il disposto normativo e la sua concreta applicazione sì da pervenire all’individuazione di talune promising practices e alla formulazione di eventuali proposte migliorative che investano i modelli organizzativi, i procedimenti, la modulistica e i relativi protocolli. In parallelo il Dipartimento di Giurisprudenza ha avviato una proficua collaborazione con la Sezione IX del Tribunale di Torino, grazie alla disponibilità e collaborazione della Presidente Dott.ssa Michela Tamagnone e della Cancelliere Dott.ssa Tiziana Bastiancich, finalizzata all’analisi delle sentenze sui provvedimenti di diniego della protezione internazionale per gli anni 2016 e 2015, con esiti rivelatisi di utile completamento della ricerca. Si sono esaminate in particolare le decisioni del Tribunale di riforma dei decreti di diniego della Commissione territoriale di Torino, dunque le sentenze che hanno riconosciuto ai ricorrenti la protezione internazionale e soprattutto quelle che hanno riconosciuto ai ricorrenti la protezione umanitaria. Nello specifico si è proceduto a catalogare il Paese di provenienza del ricorrente, il Giudice della decisione, la data di emissione del decreto della Commissione Territoriale e quella di notifica del medesimo, per meglio comprendere il lasso di tempo che decorre tra la data di emissione del decreto e la data di emissione dell’ordinanza. Anche in questo caso grande spazio è stato dato alle motivazioni: a quelle che avevano portato la Commissione Territoriale di Torino a negare al richiedente una qualsiasi forma di protezione e a quelle che hanno convinto il Giudice in senso contrario. Tribunale di Torino – sez. IX civile specializzata in materia di riconoscimento della protezione internazionale – periodo dal 01/04/2016 al 21/06/2017 Cause decise Rigetti Protezione umanitaria Status di rifugiato Protezione sussidiaria 1117 872 138 15 33 Con riferimento al secondo ambito di indagine poiché a livello nazionale nel primo semestre del 2017 sono stati registrati 85.150 sbarchi di migranti sulle coste italiane, con un incremento di quasi il 15% in più rispetto allo stesso periodo riferito all’anno precedente, la domanda di servizi di accoglienza ha registrato un aumento esponenziale. 529 Interventi  Parte V Su tale fronte la ricerca è stata condotta a partire dall’analisi della documentazione inerente la procedura a evidenza pubblica per l’affidamento in gestione del servizio di accoglienza straordinaria nei CAS per l’anno 2016, seguita da una fase di esame sul campo con visite a centri individuati dalla Prefettura sul territorio torinese. La ricerca ha avuto il duplice obiettivo di offrire un quadro giuridico delle procedure di individuazione dei gestori dei CAS di Torino e provincia e di esaminare le modalità di erogazione dei servizi all’interno delle strutture. A tale scopo, la Prefettura di Torino ha attivamente collaborato nel fornire un elenco di diciassette enti aggiudicatari del servizio di accoglienza straordinaria e delle relative strutture di accoglienza, individuate in ragione della distribuzione sul territorio e delle dimensioni dei centri: sette piccoli (fino a 20 posti), sei medi (21-50 posti) e tre grandi (oltre 50 posti), per un totale di sedici strutture visionate, attesa l’inagibilità opposta dal gestore di una delle strutture presenti in elenco. 3. Le collaborazioni avviate Il Progetto ha trovato compiuto svolgimento grazie alla fattiva e proficua collaborazione della Prefettura di Torino, nelle persone del Sig. Prefetto Dott. Renato Saccone, della Presidente della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale Dott. ssa Laura Cassio, del Funzionario Assistente Sociale presso l’Area IV Immigrazione Diritti Civili ed Asilo della Prefettura di Torino Dott.ssa Donatella Giunti e della Sex. IX del Tribunale di Torino, nella persona della Presidente Dott.ssa Michela Tamagnone e della Cancelliere Dott.ssa Tiziana Bastiancich. Il Progetto ha potuto concludersi positivamente grazie anche al costante e dedito lavoro di raccolta e sistematizzazione dei dati condotto dai vincitori delle apposite borse di studio dedicate: Dott.ssa Giulia De Chirico; Dott.ssa Francesca Pisano; Dott.ssa Daniela Cardinale; Dott.ssa Flavia Vittoria Arneodo. A conclusione del Progetto il 27 ottobre 2017 è stato organizzato a Torino un Convegno dedicato alla Disciplina a tutela dell’asilante, dove accanto a esponenti dell’Accademia, le cui relazioni sono confluite nel presente Volume, hanno preso parte e presentato il punto di vista delle Istituzioni il Prefetto di Torino (Dott. Renato Saccone), la Presidente della Sez. IX del Tribunale di Torino (Dott.ssa Michela Tamagnone) e la Presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo (Dott.ssa Sandra Sarti). 4. La Relazione conclusiva del progetto I risultati del Progetto “La disciplina e la tutela dell’asilante” sono raccolti nella Relazione conclusiva, il cui testo completo, che è parte della presente pubblicazione, è disponibile al seguente link: https://drive.google.com/file/d/1svbnChZchjyZNvs9JArSSk2xIy7tUQrA/view?usp=sharing 530 ISBN: 9788875901356