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I Ligari. Fonti e fortuna critica

2008, In: P. Vanoli, "I Ligari. Atlante delle opere", Fondazione Gruppo Credito Valtellinese, Sondrio 2008, pp. 152-159.

I Ligari. Fonti e fortuna critica a cura di Gianpaolo Angelini La prima menzione di Pietro, Cesare e Vittoria Ligari nella letteratura artistica risale alle Dissertazioni di Francesco Saverio Quadrio (1695-1756), il quale dedica ai pittori suoi conterranei tre distinti medaglioni biografici1. Al di là della ben nota tendenza dell’autore a enfatizzare il dato storico, secondo i dettami dell’erudizione di stampo barocco, è opportuno sottolineare che egli scrive a tre anni di distanza dalla morte di Pietro e mentre sono ancora in vita i figli Cesare e Vittoria. Sicuramente l’abate valtellinese potè usufruire di notizie di prima mano, sia scritte sia orali, come si evince dall’elenco accurato dei dipinti e dei manoscritti di Pietro che egli fornisce, nonché dalla precisione nell’indicare le date. Benché non si disponga di uno studio sulle fonti utilizzate da Quadrio nel compilare le biografie degli artisti inserite nel terzo volume della sua monumentale opera, “in cui degli uomini illustri di essa valle è trattato”2, si può comunque rilevare che tanto Pietro Ligari quanto Quadrio avevano comuni frequentazioni nell’ambiente milanese e non solo: dai marchesi Trivulzio al cardinale Angelo Maria Querini a Domenico Giuseppe Lavizzari3. In questo contesto si spiega, in particolare, l’attenzione rivolta dallo storico all’attività di Pietro e Cesare per l’aristocrazia e il clero milanesi, attività documentata unicamente dalle pagine delle sue Dissertazioni. La memoria dei Ligari, dopo Quadrio, è recuperata da Johann Caspar Füssli che inserisce Pietro nel novero dei migliori artisti svizzeri, in virtù dell’appartenenza politica della Valtellina alle Leghe Grigie. Se da un punto di vista contenutistico egli ricalca quanto pubblicato da Quadrio aggiungendo ben poco, di grande interesse sono le osservazioni critiche sull’opera del pittore valtellinese. Attento a mettere in evidenza i diversi apporti, romani e veneti, della formazione di Pietro, Füssli ne traccia un profilo certo non indulgente ma puntuale, con uno sguardo specifico alle modalità operative e ai modelli, soprattutto statuari. Con il testo di Füssli alla mano, un colto viaggiatore inglese, William Coxe (1747-1828), di passaggio attraverso le Alpi svizzere, compì a cavallo la salita al convento delle monache di San Lorenzo sopra Sondrio per ammirare la pala dedicata a san Benedetto, perduto capolavoro di Pietro4. Pochi anni più tardi, nel 1784, Giovanni Battista Giovio riprende alla lettera le osservazioni di Füssli nel suo Dizionario ragionato, pur dimostrando di avere conoscenza diretta almeno della Crocifissione per l’oratorio della compagnia del Suffragio ad Ardenno. In linea con un gusto ormai pervaso da istanze neoclassiche5, Giovio esprime un giudizio piuttosto severo su Cesare, mentre riserva parole generose per Vittoria di cui forse conosceva i quadri di piccolo formato in casa Odescalchi. Mentre limitate sono le occorrenze dei Ligari nelle guide settecentesche, da Latuada a Bartoli6, dove per altro Cesare fu privato di una delle sue opere migliori, la Cena in Emmaus nella chiesa di San Filippo Neri, ritenuta di Tiepolo, nel corso dell’Ottocento i pittori valtellinesi figurarono nelle opere di Luigi Malvezzi7, Filippo De Boni8, Antonio Caimi9, sia pure con ridotto apprezzamento. Con Luigi Gandola, storico locale, socio fondatore della Società Storica Comense e membro del Comitato Archeologico Provinciale di Sondrio, Pietro Ligari ricomparve come il “più rinomato pittore che vanti questa nostra provincia”10. 152 All’interno di una sfera privata rimase invece il cosiddetto Anonimo I, un manoscritto composto da tre fogli in formato notarile, compilato con buona probabilità poco dopo il 1864, data del trasferimento della Messa di san Gregorio Magno di Pietro nella collegiata di Sondrio. Tradizionalmente attribuito ad Angelo Ligari (1801-1885), nipote di Cesare, pittore formatosi sotto la guida di Sabatelli a Brera e cultore appassionato delle memorie familiari, il manoscritto spetta sicuramente a una persona vicina alla famiglia Ligari, come dimostra la ricchezza dei dati desunti in buona parte dal Mastro N. È tuttavia un brogliaccio, non destinato alla stampa; una versione appena diversa passò tra le mani dello storico chiavennasco Pietro Buzzetti, che ne pubblicò un riassunto arricchito da altre notizie nel 1913. Questo secondo manoscritto, il cui originale risulta perduto, viene identificato da Camillo Bassi nel cosiddetto Anonimo II11. Prima che l’attenzione sui Ligari risorgesse con i contributi di Pietro Buzzetti prima e di Camillo Bassi poi, nel 1898 il letterato morbegnese Guglielmo Felice Damiani aveva dato alle stampe un discorso dedicato a Pietro Ligari. Damiani, poeta incerto tra retaggi classicisti e una tenue vena romantica, era però studioso di Giovan Battista Marino e della poesia barocca, circostanza che lo agevolò nel formulare una calibrata valutazione della pittura di Pietro. Egli distinse tra gli affreschi, pervasi da un’esuberanza cromatica e compositiva affatto barocca, e i dipinti su tela, in cui il soggetto sacro viene drammaticamente risolto in termini di luce ed espressione. A tal proposito citava il Battesimo di Cristo dipinto nell’abside della collegiata di Morbegno e la Discesa dello Spirito Santo nella stessa chiesa: “Tutto negli affreschi è aria, luce, colore, movimento; nelle tele predomina l’oscurità, il colorito monotono, la pace; l’affresco dà l’idea di una aperta campagna inondata di sole, smaltata di fiori; la tela di un luogo chiuso penetrato d’ombra e di mestizia, nel quale l’anima si raccoglie a pensare; nell’affresco è la giocondità, la spensieratezza della vita, nella tela è la meditazione. […] Due elementi concorrono: la ricerca dell’effetto, del nuovo, del meraviglioso e l’efficacia della tradizione classica: perciò le composizioni, ancora accademiche nell’insieme, sono estremamente ardite nei particolari: la linea si scosta dall’asse normale e poi vi ritorna; alla retta è sostituita la spezzata, l’ondulata. […] Nel colorito il Ligari è veramente maestro: le tinte lucide, serene, freschissime nei dipinti murali; sicure, vive, armoniose nelle tele fanno perdonare le esagerazioni del disegno”12. Alle soglie del Novecento, mentre Baudi di Vesme, sulla scorta di Quadrio, restituiva a Cesare la paternità della Cena in Emmaus13, Camillo Bassi gettava le basi per una seria ricostruzione dell’attività dei Ligari in quello che rimane il primo studio monografico dedicato alla dinastia di pittori valtellinesi14. La voce popolare aveva nel frattempo eletto Pietro a vero campione dell’arte valtellinese del Settecento, al punto che già nel 1905 Francesco Malaguzzi Valeri lamentava il fatto che “vien fatto di trovare attribuiti al Valorsa tutti gli affreschi del secondo Rinascimento e al Ligari o al Marni tutte le tele più piacenti del XVII [sic] secolo”15. Le tappe successive, che è qui appena il caso di ricordare, comprendono gli studi di Edoardo Arslan16, Rodolfo Pallucchini17, Rossana Bossaglia18, Angiola Maria Romanini, Laura Meli Bassi – autrice nel 1974 di una fondamentale monografia – e, in tempi più recenti, di Simonetta Coppa. Parimenti l’attenzione si è spostata dai grandi dipinti murali e su tela alla ricchissima produzione grafica, tanto di figura quanto di architettura, presentata al pubblico in due importanti mostre nel 1982 e nel 199819. Nel panorama degli studi degli ultimi anni il dato emergente, a una prima rapida disamina, è la progressiva riabilitazione di Cesare, il cui personaggio, sacrificato dall’incombente memoria paterna, appare alla sensibilità moderna “figura più interessante che non il padre”20, ma pur sempre “emblematica quanto suo padre della parabola borghese, e di lui tanto più drammatica, per i segni evidenti della fame di orizzonti, la coscienza dei limiti obiettivi della propria condizione e gli inani tentativi di porre rimedio alle proprie frustrazioni”21. Nota ai testi Nel riproporre i testi di Quadrio e Giovio ci si è strettamente attenuti alle edizioni originali, mentre nel caso di Füssli ci si limita a dare in questa sede la traduzione del capitolo relativo a Pietro, mancando a tutt’oggi un’edizione italiana dell’opera dello storico svizzero. L’Anonimo I viene trascritto direttamente sull’originale, rispetto al quale si sono corretti alcuni refusi; rimane inalterata la successione sintattica delle frasi, nonostante le numerose incertezze. Dell’Anonimo II non si conserva il manoscritto originario, consultato e compendiato nel 1913 da Buzzetti; il testo dello storico chiavennasco viene pertanto riprodotto integralmente, anche in ragione della sua rarità. L’esemplare consultato appartiene alla Biblioteca “Luigi Credaro” della Banca Popolare di Sondrio, Fondo Leoni, cart. 024/45; si coglie l’occasione per ringraziare Pier Carlo Della Ferrera e Alessandro Scilironi. Le note di corredo sono limitate a pochi cenni essenziali; per la discussione e l’elenco completo delle opere si rimanda alle schede e ai Regesti, in questo volume. (g.a.) I. F.S. Quadrio, Dissertazioni critico-storiche intorno alla Rezia di qua dalle Alpi, oggi detta Valtellina, Stamperia della Società Palatina, Milano 1755-1756, tomo III, pp. 496-500. [496] X. Ligarj Cesare. Una picciola Contrada delle Quadre sopra Sondrio, in sulla Pendice del vicin Monte situata, è detta la Casa de’ Ligarj. Di tal Luogo, a cui la Famiglia Ligaria o ha dato il nome, o da cui l’ha preso, uscirono già Gervasio, e Giovanni Andrea Ligarj22, i quali essendo in Vienna a far loro studj nell’anno, che dall’Armi Ottomane fu detta Città assediata, questi due Fratelli alla testa della numerosa Scolaresca di quella Università fecero in difesa di quella Capitale tali prove di valor militare, che meritarono, che loro fosse applicato un motto da Virgilio tratto, che fu: Duo Fulmina Belli, Ligarii. Giovanni Andrea si applicò dapoi allo stato Ecclesiastico: e fatto indi Parroco della Colorina, morì con buon nome di pietà, e di sapere. Gervasio ammogliatosi con Maddalena Motalina, ebbe da essa tra altri figliuoli Pietro, del quale in appresso diremo. Di questo Pietro frattanto, e di Nunziata Steininghen sua Moglie nacque Cesare a’ 28 d’Aprile del 1716 in Milano nella Parrocchia di S. Babila in Porta Orientale per occasione, ch’ivi i suoi Genitori in quel tempo si trattenevano. Egli essendo prima dal Padre suo stato bene nell’Arte della Pittura informato, passò indi a Venezia, dove sotto gli insegnamenti di Giambattista Pitoni, e d’altri valorosi Pittori di quella Città continuò in quell’Arte i suoi studj. Dopo lunga dimora però colà fatta, volle suo padre, che a Milano si trasferisse: e quivi cominciò egli ben tosto a farsi conoscere con varie sue Opere. Fra queste è una Pala di Altare rappresentante la Cena d’Emaus per li Padri Filippini di Turino, e vari altri Pezzi ad oglio dipinti, che estano presso la Casa Visconti: Suo lavoro fu pure una vasta Prospettiva in Cernusco23 fatta a fresco 153 per lo Conte Galesio Segretario di Stato, e un’altra Prospettiva nel Giardino di Casa Corneliana; una Tavola di Altare per la Chiesa di Cerro24, [497] una Volta a fresco dipinta nella Chiesa delle Monache della Santissima Trinità in Como sotto l’Architettura del celebre Francesco Riva Palazzi; l’Altare de’ Padri Somaschi, con le Figure, e Finte a bronzo nella Sala da Ballo del Marchese Don Ottavio Casnedi in Birago; e diverse altre Opere. Ma inoltre all’Arte della Pittura accoppia pure questo valent’Uomo lo studio della Musica: e in essa uguale abilità, che nella predetta Arte mostrando, si fa pure con una sua Sorella, di cui pure faremo menzione, egualmente da’ Periti ammirate. Vive ora in Sondrio sua Patria felicemente. XI. Ligarj Pietro. Padre del predetto Cesare fu Pietro, che ebbe di Gervasio Ligario, e di Maddalena Motalini, come abbiam detto, nacque l’anno 1686. Cresciuto in età, e dando segni d’un intelletto vivace, e d’una forte immaginativa fu da’ suoi Genitori spedito a Roma; dove già instruito ne’ primi elementi della Pittura, entrò nella famosa Scuola di Lazzato Baldi. Sotto questo valoroso Uomo apprese egli il Disegno, e il Colorito in ogni genere di dipingere. Di là passò poi a Venezia, dove quella pulita, e gaja maniera di figurare similmente imparò. Di Venezia finalmente si trasferì a Milano: dove divenuto già valente Maestro cominciò la sua Arte ad esercitare in servigio di molti. E Opere sue sono un Rame da lui inciso rappresentante il Martirio di S. Pietro, del quale ne estano molte copie: quattro Quadri rappresentanti il Martirio di S. Bartolomeo, che si espongono nelle solennità della S. Croce al Corso di Porta Nuova in Milano; una Tavola da Altare esistente nella Chiesa de’ Padri Agostiniani di S. Marco; altro Quadro esistente nella Sagrestia de’ Padri Somaschi di S. Maria Segreta; un altro esistente nella Chiesa Parrocchiale di S. Rafaello, rappresentante detto Angelo che si manifesta a Tobia. L’anno poi 1722 ricco de’ due predetti Figliuoli prese risoluzione di restituirsi alla Patria per poter con più agio compier le molte commissioni, che gli venivano inca[498]ricate. Da Sondrio però fu tosto in Coira chiamato, dove nel nuovo Palazzo del ragguardevole Cavaliero Pietro Salici Inviato del Re d’Inghilterra molte cose dipinse, e molte altre Pitture fece, che furono indi da Monsieur Sablonier, Inviato del Re Cristianissimo a’ Grigioni, trasportate in Francia. Restituitosi poi di novello alla Valtellina, tutto il Coro della sontuosa Chiesa di Morbegno egli a fresco dipinse, e una Cappella de’ Signori Cotta similmente a fresco tutta figurò, con due Quadri laterali fatti ad oglio dove la Pala dell’Altare da Pietro Maggi Milanese fatta si trova. Fece pur quivi la Pala dell’Altare rappresentante la Venuta dello Spirito Santo nella Cappella Paravicina, e un’altra nella Cappella del Crocifisso rappresentante una Pietà, opera di molta estimazione. In oltre sue Opere sono dodici Quadri Ovali di mezze figure rappresentanti le Sibille, e quattro altri rappresentanti i quattro Profeti Maggiori, oltre ad altri Pezzi assai buoni, che estano parte in Delebio in casa de’ Peragalli, parte in Ardeno, e parte in Cedrasco. In Sondrio poi non poche Pitture egli fece, che lungo sarebbe il ridire, tralle quali sono nella insigne Chiesa Collegiata di detto Luogo la Tavola della B. Vergine del Rosario, e due figure in piedi de’ SS. Gervasio, e Protasio. Non era però soddisfatto quest’Uomo fornito di acutissimo Intendimento di tenersi fra’ limiti della detta Arte: ma le ore che al sollevamento dell’animo suo destinato aveva, impiegava egli in ingegnosi suoi lavorerj di mano, che lo facevano ammirare per un non ordinario Talento. E rimane pur al dì d’oggi un Organo da esso lavorato di maravigliosa struttura, con una Tuba al maggior segno armonica, ch’egli memesimo fabbricò con un intreccio di molti altri strumenti rappresentanti Flauti, Voci Umane, ed Augelli, e quanto mai di vago si può immaginare, con diciassette Registri di otto piedi, e con contrabbassi di sedici. Fabbricò ei pure un Orologio col Pendolo a Cicloide, che nell’altezza di sole due braccia Milanesi tirava, senz’altro mutarlo, ben nove dì interi, mostrando colla sfera non pur le Ore, e i Minuti, ma i secondi altresì, e batteva, e ribatteva con ogni esatezza le Ore. Tanto però è vero, che non impiegava in tali suoi lavori, che le ore destinate al sollievo dell’animo, che nel tempo stesso uscir si videro dal [499] suo Pennello due Tavole assai grandi d’Altare, l’una per la Chiesa delle Monache di S. Anna, l’altra per la Chiesa delle Monache di S. Leonardo di Como; e un altro Quadro per la Cattedrale della stessa Città25, e una Pala rappresentante S. Benedetto per lo Monistero di S. Lorenzo di Sondrio, che fu però l’ultima sua fatica, ma fu anche per la bellezza la corona di sue fatiche: perciocchè sorpreso egli da acuta febbre in pochi giorni finì di vivere. Era quest’Uomo alto di statura, ma gracile, e all’usanza degli Ingegni profondi malinconico piuttosto, che no. Il suo divertimento però, oltre le dette cose, era la coltura di Piante, Viti, e Semplici, come si vede anche in oggi nel Giardino annesso alla sua Casa, il quale non è altro in realtà, che uno Scoglio, ma con sì bel disegno, e con tanta vaghezza per opera di lui vestito, che fa invidia a qualunque altro di miglior fondo dorato. Scrisse quindi intorno all’Agricoltura, e all’Economia, della quale senza sordidezza, nè taccia studiosissimo era, un’Opera, che intitolò Lettere Famigliari scritte per Instruzione de’ suoi Figliuoli, Manoscritto, che si conserva da’ suoi Eredi. A questi rari talenti, congiungeva ben egli ancora una Indole assai divota con costumi onestissimi, e pieni di pulitezza; nè mai s’udì egli alcuna Opera altrui biasimare. Amantissimo era poi della pace, mansueto, e pio: onde sovente in solitudine si ritirava ad orare: e diversi colloquj altresì di fervoroso spirito in ogni parte ripieni, e di tenerissime espressioni, lasciò egli similmente scritti di proprio pugno, che andava in quelle sue Ritirate facendo con Dio. La sua piissima Morte cadde a’ 7 di Aprile del 1752, non contando egli più, che 66 anni d’età: e fu sepolto con molta onorevolezza nella Collegiata di Sondrio sua Patria. XII. Ligarj Vittoria. Del testè mentovato Pietro, e di Nunziata Steiningher sua Moglie nacque pure a’ 14 di Febbrajo del 1713 Vittoria, che applicata da suo Padre alla Pittura, e alla Musica si fa in oggi e nell’una, e nell’alt’Arte ammirare, come raro e [500] non ordinario Talento. E delle Pitture di sua mano due se ne veggono in Casa Odescalchi all’Olmo, l’una rappresentante Mosè raccolto dal Nilo: l’altra rappresentante Mosè sprezzator di Faraone. Una Pala di Altare ha pur in Cepina26 da lei dipinta: ed altre molte Pitture in piccioli pezzi qua e là si conservano con molta stima da essa lavorate. Il suo raro talento poi egualmente nel suono di varj strumenti, che nel Canto, è veramente meraviglioso. Vive tuttavia Celibe, avendo più partiti rifiutati sul pensiero di volersi piuttosto monacare. II. J.C. Füssli, Geschichte der besten Kuenstler in der Schweitz, Zürich 1779, V, pp. 43-46. [43] Pietro Ligario. Questo insigne artista nacque nel 1686 a Sondrio, capoluogo del territorio grigione della Valtellina. Suo padre era Gervasio Ligario e sua madre Maddalena Mottalini. Andò in gioventù a Roma per diventare pittore e fraquentò la scuola del famoso Lazzaro Baldi27, che gli insegnò il disegno romano e il suo stile audace. [44] Ma poichè Ligario non voleva diventare solo un disegnatore, anche un pittore, andò a Venezia, per fondere alla scuola del Tiziano il colore con il disegno, cosa che gli riuscì a meraviglia. Venne poi a Milano, dove nei suoi primi approcci con il pubblico trovò molti ammiratori, attratti dalla sua strana fusione di colore e disegno. Le numerose opere che fece in questa città portarono la sua fama sino in patria, da dove gli fecero capire che l’avrebbero accolto volentieri se si fosse deciso a rientrare. Egli corrispose alla loro fiducia e nel 1727 tornò a casa con la moglie e i due figli. Il suo primo lavoro consistette in alcuni dipinti nel palazzo del Signor Inviato Salis a Coira, ai quali seguì la meravigliosa volta affrescata nella chiesa principale di Morbegno; nella stessa chiesa due tele per altare che rappresentano la Deposizione dalla Croce e la Discesa dello Spirito Santo, di cui la prima molto ammirata. Molti suoi dipinti si trovano nelle chiese di Sondrio, di Ardenno e di Cedrasco. Nella galleria della nobile dimora della Pergola28 ci sono due affreschi, che raffigurano la Presentazione della Vergine e la Nascita di Cristo, due grandi pitture a olio, la Nascita della Vergine e l’Apparizione dell’angelo a Gioachino, inoltre alcuni altri dipinti. [45] Nel palazzo del Signor Capitano di Valle e Vicario di Sondrio29 ci sono alcuni dipinti particolarmente belli. In tutta la regione non c’era nessuna famiglia benestante a cui non facesse piacere un quadro di questo artista. Il suo ultimo dipinto è ritenuto il migliore da tutti gli intenditori: si tratta di una grande tela per altare, nella chiesa del convento delle suore a Sondrio e raffigura S. Benedetto. Ligario morì nel 1748 e lasciò un figlio Cesare e una figlia Vittoria, che si dedicarono alla pittura. Non raggiunsero però la fama e la bravura del padre, anche se non si può negare, soprattutto al figlio, il titolo di un buon pittore perchè seppe elevarsi al di sopra della media. Costui seguì più la maniera di Sebastiano Ricci e Giambattista Tiepolo che quella di suo padre. In diverse località si trovano alcuni suoi begli affreschi. Le capacità artistiche del Ligario sono quelle di grande disegnatore: le sue figure sono molto ben raggruppate; ne cura soprattutto il portamento; i suoi colori sono bellissimi e molto naturali; si seppe servire magistralmente dei colori, secondo l’età e il sesso, possedette inoltre il pregio di pittore di architettura, di fiori e di frutti, molto raro nei pittori di storia. E poichè in gioventù si era abituato, forse troppo spesso, a disegnare 154 copiando delle statue, non di rado le sue figure sembrano statue; manca loro la pienezza di sentimento di un Raffaello. [46] Le sue teste e i suoi volti sono nobili e semplici e di gusto greco; si assomigliano però tutti, come se fossero fratelli e sorelle. Spesso le gambe sono troppo corte, gli abiti e il panneggio rigido, come nelle statue. Ebbe un notevole genio artistico, non solo nel campo della pittura. Già in gioventù fece su sua invenzione una grande incisione in rame che rappresenta il Martirio di S. Pietro, ed è lavorata così bene e così finemente da meritare ancora oggi un posto nelle migliori raccolte di incisioni. Fabbricò un organo con molti registri e un orologio di eccezionale inventiva. III. G.B. Giovio, Gli uomini della comasca diocesi antichi, e moderni nelle arti, e nelle lettere illustri. Dizionario ragionato, Modena 1784, p. 137 Ligario Pietro nacque in Sondrio nel 1686. Suo padre era Gervaso Ligario, e la madre Maddalena Mottalini. Frequentò in Roma la scuola di Lazaro Baldi pistoiese. In Ardenno nell’oratorio del Suffragio vi è un Cristo moribondo del nostro pittore, che è veramente un’opera degna: il cielo è tinto d’una bene intesa tenebria, che ajuta l’immaginazione nel sublime pensiero di que’ divini spasimi. Ligario studiò in Venezia il colorire di Tiziano, e vi riuscì. Operò anche a fresco nella chiesa principale di Morbegno, a Coira pel Signor inviato de Salis, e altrove. Morì nel 1748 [sic]. Ebbe per figlio Cesare pittore più che mediocre, ed una figlia di molto talento per l’arte. Pietro disegnava bene, coloriva naturalmente, ed aggruppava con eccellenza le figure. Le sue arie di testa erano nobili, ma si rassomigliano, e pajon sorelle. I suoi abiti erano pesanti, e solidi, e le gambe da lui disegnate son troppo corte. Da giovane incise il martirio di S. Pietro da lui dipinto in un quadro maestoso30. Ligario aveva un ingegno meccanico, e si sa, che ei fece un organo con molti registri, ed un orologio di foggia nuova. IV. Anonimo I. Sondrio, Museo valtellinese di storia e arte, NIL 1006 [199], c. 1864. [2] In uno piccolissimo gruppo di case situato sulle alture del vicino monte sopra Sondrio, è chiamata Case dei Ligari, da questi sono discesi due fratelli, Giovanni Andrea e Gervasio Ligari, i quali dopo aver fatti i loro studi in Viennaa, e ritornati in patria, il primo dedicatosi allo stato ecclesiastico venne fatto parroco della Collorina e ivi morì col nome di uomo sapiente e caritatevole; e Gervasio stabilito in Sondrio ed amogliatosi con Madalena Motalina, ebbe diversi figli, fra questi nel 1686 nacque Pietro ed avendo mostrato vivissimo genio nell’arte della pittura, fu da’ suoi genitori mandato a Roma nell’ettà di circa 12 anni, ivi studiò architettura e pitture e fu distinto dagli altri nella scuola di Lazaro Baldi. Poi venne a Venezia, dove acquistò un bellissimo modo di colorire, in seguito desideroso di vedere molte cose d’arte volle passare alcuni anni nell’esercizio di sua professione in diverse città d’Italia, cioè nella Rezia, Loretto, tutta la Marca e Provincia d’Ascoli, ed Ancona, Pesaro, Fano, Sinigaglia, Rimini, Forlì, grande e piccola, Firenze, ove fece maggior dimora, Siena, Bologna, Parma e Piacenza, Trento e suo territorio, Padova, Vicenza, Verona, Brescia, Cividale e Udine, tutto il territorio del Friuli e parte della signoria de’ Grigioni31, che compreso il tempo che dimorò in Roma e Venezia decorser diversi anni, indi si accasò a Milano ove dimorò 20 anni in esercizio di sua pittorica ed architettonica professione, e si unì in matrimonio colla figlia d’un capitano Steiningher nativa di Milano ed ebbe due figli, Cesare e Vittoria. Il primo dopo aver studiato per molti anni sotto la sua direzione, fu poscia mandato a Venezia, ove studiò il Piazeta e Giovan Battista Pittoni. La seconda rimase coi genitori e sotto la direzione del padre divenne pittrice di considerazione. In quella dimora che fece Pietro a Milano, ma per la sua salute costretto a dovere recarsi di tanto in tanto nella sua patria perchè il suo temperamento amava la fresca temperatura, talchè nell’ettà di 45 anni prese casa e fondi vitati32 in Sondrio, e nel 1727 si trasferì da Milano colla famiglia. [3b]33 Le prime opere che fece in grande il Pietro a Milano furono il Ratto di Proserpina ed il Ratto di Europa per il Sig.r Marchese Luzino34 di Milano ed altri due in grande tratti dalla Storia di Davide, poi Ceffalo rapito dall’Aurora ed altro Endimione. Allorchè il figlio Cesare si restituì ai genitori e divenuto anch’esso valente pittore in Venezia ove si fece molto onore come si vedrà di alcune opere fatte per il Sig.r Marchese Casnedi di Milano nell’opera dipinta nel grande salone della sua deliziosa Villa in Birago, poi nell’una delle tre ancone di garra fatte in Milano da’ primi pittori ordinate da Monsignor Corneliano, poi una tavola d’altare per la chiesa di Cerro, poi nel gran pezzo laterale dirimpetto e compagno al già fatto dal Conca in Roma per la chiesa dei Padri Filippini in Turino. Nella provincia di Como ne furono fatte non poca quantità, ma la maggior parte pei conventi di monache e frati, per esempio nel volto della SS. Trinità chiesa e convento delle monache in Como (ora soppresso), poi per le monache di S. Anna e di S. Leonardo ne eseguì quattro pezzi in mezza figura grandi al vero dipinti con molto brio di collore, nella qual chiesa esisteva pure una bellissima pala d’altare rappresentante la Beata Vergine con Gesù di cui S. Leonardo intercede la liberazione d’un carcerato, questa [4] ultima di molto merito, fatta da Pietro suo padre e maestro; ora in Como si possono ancora vedere con facilità nel Duomo un Angelo Custode che difende un’anima dalle insidie di Satana35, in forma ovale del medesimo Cesare e trovasi sull’altare vicino alla sagristia a mano sinistra, il cui colorito non ha sugezione da qualsiasi colorito di que’ tempi; poi una pala d’altare nela chiesa del Collegio Gallio, altro dipinto a fresco in due medaglioni laterali nel coro della chiesa parrocchiale di Domaso e quindici medaglie a fresco parimenti a Bolvedro (lago di Como) in Casa Brentani Grianta. Nella Valtellina le opere dei Ligari sono innumerevoli ed in generale sono mal conservate, poichè quasi in tutti i paesi ve ne sono sparse in quelle chiese o di Pietro o di Cesare o di Vittoria ed alcuni bellissimi abozetti furono trascinati dal fiume Mallero nell’irruzione del 1834, che erano stati raccolti dal buon conoscitore Pietro Martire Rusconi che egli pure si dilettò oltre alla poesia in cui si distinte, anche nella pittura specialmente di paesaggio e divenne un buon schizzatore in quel genere, come può vedersi alcuni suoi schizzi36. Nella chiesa di Lanzada in Valle Malenco vi è la cupola37 tutta del medesimo Pietro Ligari dipinta a fresco e composta con bell’idea e buon disegno ed ottimo effetto e forse superiore al coro di Morbegno, di cui dirassi in appresso. Nella parrocchiale di Chiesa ancora Valle Malenco vi sono le stazioni della Via Crucis, la prima ed ultima di queste sono di Pietro e sono le migliori, le altre di Cesare e Vittoria, anche questi deperiscono sensibilmente. Negli altri paesi incominciando da Delebio, nella nobile Casa Peregalli, non che in quella chiesa, vi sono bonissimi dipinti dei medesimi, poi in Ardenno una pala grande, in Andalo una medaglia ed un pala di Pietro, in Cedrasco due pale d’altare, una di Pietro e l’altra di Cesare, la prima si conosce che doveva essere assai bella ma fu capitata nelle mani di qualche profano ristauratore che la rovinò, altra quale rappresenta la Beata Vergine, S. Agostino, S. Tomano, altra la Beata Vergine col Bambino, S. Vincenzo Ferrerio, S. Luigi Gonzaga di braccia 5 e lunghezza proporzionata trovasi a Polaggia, altre in Albosaggia, quella nell’oratorio che rappresenta S. [5] Ciriaco è di Pietro, anche questa nell’imbiancare la chiesa da operatori villani venne lordata da stilli di calce; nella chiesa di Montagna ve ne sono due laterali in mezza figura di Cesare ed in rovina a Pendolasco, in Piateda un S. Vittore di Pietro, a Ponte nella nobile Casa Guicciardi un Redentore morto con angeli di buonissimo impasto; nel comune di Teglio in varie chiese ed alla Tresenda nella chiesa collocata nella strada postale nella cappella a mano sinistra, pure questa di Pietro, a Bormio un S. Giovanni Nepomuceno, a Cepina una pala d’altare di Vittoria38, a Villa [di Tirano] e Chiuro diverse opere di Cesare sì a fresco che a olio. Venendo a Morbegno molti sono i dipinti di Pietro fatti per quella bellissima chiesa, vi è fatto il coro a fresco con molta bella prospettiva aerea e seppe far giocare benissimo la luce fra tutti quelli angioli maestrevolmente dipinti. Vi fece diversi buonissimi quadri, fra questi una pala d’altare a sinistra che rappresenta una Pietà, questo è un dipinto che non si sdegnerebbe certamente crederlo di Paolo Veronese ed anche di Tiziano tanto quel colorito è pieno di sugo, peccato essere questa alquanto annerita e non si sa per qual causa; avvi eziandio un’altra pala assai grande con buon colorito e trattata con spirito, rappresenta la Venuta dello Spirito Santo sopra gli apostoli, sarebbe molto buona anch’essa, ma inferiore alla prima; ancora in detta chiesa esistono diversi quadri in forma ovale che stanno appesi in giro al coro che rappresentano le Sibille ed i quattro Profeti Maggiori, questi ultimi di Pietro, gli altri di Cesare e di Vittoria, alcuni di questi soffrono alquanto le ingiurie del tempo; due altre veramente belle e ben conservate esistono nell’interno della cappella di Casa Cotta a destra di detta chiesa, uno sta di fronte all’altro e gli abozzetti di questi sono accuratamente posseduti dal Sig.r Conte Paolo Paravicini39, che dalla medesima nobil famiglia ebbero i Ligari molte protezioni e gli commisero molti lavori, e questi sono una Madonna col Bambino e S. Giuseppe fatti da Pietro con molta forza d’impasto ed altri due pezzi di braccia 12 per 15, uno rappresenta il [6] Sacrificio d’Isacco, l’altro la Benedizione usurpata di Giacobbe, quelli furono fatti da Cesare a Venezia, ancora due altri fatti in grande 155 parimenti a Venezia del medesimo Cesare, l’uno rappresenta la Moltiplicazione dei 5 pani e 2 pesci e l’altro la Sete nel deserto estinta da Mosè, più un’Addolorata in mezza figura ed un Salvatore grandi al vero di Pietro, ed un Riposo in Egitto, questo fatto dalla Vittoria ed una Carità in lapis rosso di Pietro. Esisteva pure un vasto quadro di Cesare nella chiesa di S. Antonio in Morbegno nella cappella di S. Vincenzo tratto dalla vita di S. Agata che tirò molta ammirazione pel vago colorito e singolare composizione; ora questa chiesa essendo soppressa, non si sa qual fine avranno fatte tante belle cose d’arte che esistevano in quella de’ migliori autori di quel tempo. In Coira nel gran Palazzo del Cav.e Pietro Salis lavorò Pietro alcuni anni in affresco e molte opere vennero eseguite a olio in Sondrio, storie sacre e mitologiche, che troppo si vorrebbero descriverle e venivano spedite a quell’illustre casa; fra quelle tante di Pietro vi mandò anche due quadretti della Vittoria, uno l’Adorazione dei Magi, l’altro la Natività ed una testa di vecchio presa dal vero dalla medesima. In Sondrio, patria dei Ligari, vi esistono alcune bellissime opere sì nella collegiata che nell’oratorio, ed in altre chiese sussidiarie, ma di maggior considerazione sarebbero quelle collocate nella parrocchiale che rappresenta il Santo Rosario, il tipo della Madonna non potrebbe meglio essere espressa la grazia e la bontà e tutto insieme è un bellissimo quadro, ma essendo mal favorito dalla luce si gode pochetto; altro ivi collocato di recente40, quale stette quasi abbandonato a tutte le ingiurie nella chiesa di S. Rocco per più di 100 anni, che rappresenta S. Gregorio nell’atto che alza l’ostia, composto con fare grandiosissimo con bella prospettiva aerea e lineare di modo che le figure sembrano rilevate, e venendo ai dettagli si può dire che nel carattere della testa di quel santo non potrebbe esprimere meglio la sicura fede cui in quell’istante è compreso il celebrante; detto quadro con figure più grandi del vero, ora fu per cura della benemerita attuale [7] Fabbriceria così ben collocato che si direbbe essere meglio di quello che gli sta di fronte del Santo Rosario già descritto ma in sostanza non è superiore. Nella casa del Nob. Sig.r Pietro Sertoli del fu Sig. Cav.e Cesare di Sondrio vi esistono eziandio diverse opere del medesimo cioè un quadro nella sua chiesa che rappresenta un Battesimo con figure al vero ben disegnate e con buon effetto; ma di rara bellezza sono alcuni ritratti quali sono fatti con tanta maestria e destrezza che pochi se ne vedano di qualsiasi autore che destino tanta ammirazione, uno di questi in abito arcipretale sembrava vivo, e spiegasse il proprio suo naturale, ma questo disgraziatamente cadde nelle mani ad un ristauratore che gli rovinò interamente la faccia avendola tutta coperta co’ suoi colori; ancora altri nella medesima illustre casa, si distingue quella d’una signora già avanzata in età e di un altro in mezza figura, colla mano destra tiene una carta su cui sono scritti i suoi titoli, e vestito con mantellina da provicario, pure questi due sono i capilavori in tal genere di Pietro; ma si può osservare anche altro ritratto fatto dallo stesso che esiste nella Regia Pinacoteca di Brera a Milano nella Sala dei Pittori Lombardi41, quale fra tutta quella schiera di ritratti non si sapra se porti il vanto d’essere il secondo oppure il migliore. Nello studio del pronipote di questi illustri esistono di- verse cosette sì in genere d’architettura che di pittura e molti altri disegni, fra questi il disegno all’acquarello che rappresenta il Martirio di S. Pietro Apostolo che venne poi intagliato dallo stesso in rame all’acquaforte, ed ancora alcune stampe estratte da questo e molte stimate dagli artisti sì per la composizione che per l’intaglio. Sabatelli stesso, professore della Regia Accademia di Milano, allorchè gli capitò nelle mani quella stampa volle averla ed osservato il ritratto esistente nella Real Galleria si fece gran concetto di questo uomo; vi esiste ora presso il medesimo erede il disegno della chiesa collegiata di Sondrio da Pietro architettata, salvo il coro che venne eseguito dopo la sua morte d’altro architetto; del medesimo Ligari è pure il disegno del campanile che non è ancora salito alla sua altezza e per conseguenza non ancora arricchito delle parti ornamentali: e vengono conservati alcuni ritratti della [8] sua propria famiglia fatti da Pietro e Vittoria, quelli del primo bellissimi; e per assomiglianza e libertà di pennello sono pregevoli anche quelli della Vittoria, così pure conservansi alcuni abozetti e qualche quadro, fra questi la Presentazione del Bambino al tempio, un altro grande al vero in mezza figura che rappresenta il Venerando Valeriano che fiacca l’eresia che non è però finito, ma di bella composizione piena di foco che a chiunque non spiacerebbe esserne l’autore; dal erede viene pure conservato un quadro di Cesare in figure un terzo del vero che rappresenta il Serpente di bronzo inalzato da Mosè42, detto fu fatto in Venezia, pienissimo di spirito con stravaganti gruppi, colori vivaci e variati; quadro di buon effetto, molti degli artisti lo giudicano del Tiepolo, ed alcuni abozetti, due dei quali di storia favolosa che vennero eseguiti a fresco in Casa Malacrida a Morbegno. Nel principio di questo secolo furono veduti in Olanda nella Regia Galleria di Amsterdam due quadri che si tenevano in molto pregio, sotto i quali eravi scritto di Pietro Ligari. È sicuro che nel monastero di S. Lorenzo di Sondrio vi esistevano i due capi d’opera di questi valenti uomini, Pietro e Cesare, l’uno collocato di fronte all’altro, il primo che rappresentava S. Benedetto con molte fiigure, ma colla soppressione di questi sparirono tosto dai due altari queste opere e nisuno se ne curò della loro fine. L’altro era di Cesare e rappresenta S. Lorenzo con molte figure. Il predetto Pietro non si occupava soltanto nella pittura ed architettura nè di tante altre belle arti del medesimo fondatamente sperimentate nella sua gioventù sopra le diffuse regole della geometria, non che nel suono di vari strumenti che soleva alcune volte dilettarsi co’ suoi figli per sollievo nelle loro occupazioni; ma ancora si dedicava con buon successo nella meccanica e fece per suo diletto un orologio a pendolo di particolare meccanismo dell’altezza di circa due braccia che si monta solo ogni nove giorni e batte e ribatte con ogni esattezza le ore, quale si conserva tutt’ora dal suo erede nel medesimo studio di pittura in Sondrio; esistevano anche in detta casa due organi da esso fabbricati con singolarissimo ingegno con 17 registri e otto piedi, che durante la sua vita venivano suonati in casa dalla sua figlia Vittoria, che cantava pure meravigliosamente e dopo la morte di Vittoria che seguì l’8 [9a] dicembre 1784 venivano venduti e s’ignora ove siano andati. Pietro era uomo pulitissimo e modestissimo, sincero religioso, pieno di riservatezza ed amante soprattutto della pace; morì in Sondrio nell’aprile del 1752 di febbre verminosa e fu deposto nella collegiata di Sondrio nel monumento del Nob. Sig.r Capitano don Antonio Sassi, sopra il quale vennero impressi i seguenti caratteri: + Io. Petrus Ligarius Sondrij Pictor / Huiusce Templi delineator obdormiuit in Domino VI Idus Aprilis 1752 aetatis suae 66, [mensis 1,] 20 dies. Lasciò alcuni suoi scritti sulla coltivazione delle viti e sull’economia domestica adottata al suo paese, per istruzione de’ suoi figli che non voleva che avessero a conoscere l’ozio, e la morte di questo valente uomo e della propria sua moglie Anonziata Stainingher milanese, aggravati dalla stessa malattia che ambedue morirono in otto giorni, trasse i suoi figli nella massima afflizione ed a Cesare dovette, oltre alle molte opere affidate a lui stesso, dovette eseguire anche quelle assunte dall’amato genitore che non erano poche e nel giovedì santo 12 aprile 1770 morì ancora il medesimo Cesare in Como, e sepolto nella chiesa di S. Nazaro, lasciando più figli, uno di questi chiamato Giovan Battista si ammogliò, da cui nacque Angelo ora vivente e possessore delle citate coserelle rimaste. [9b]43 Taluni forse metteranno [segue parola illeggibile] cenni biografici per la sola ragione della quantità delle opere rispettivamente attribuite a quei maestri dell’arte, opere che ragionevolmente dovrebbero ancora essere maggiori, perchè non è possibile dopo due secoli raccogliere tutto quello che fecero. Anche a noi questa considerazione fece peso, ma tale era la franchezza e lo slancio del loro pennello, che ciò che ora non si compie in un anno, allora pareva essere il lavoro di tre mesi. Noi produciamo una lettera del Cesare [biffato: da verificare], il quale mette in luce questa verità. La sua lettera può leggersi in originale presso il suo abiatico Angelo Ligari. Segue il tenore della lettera. V. P. Buzzetti, I pittori Ligari di Sondrio, Unione Tipografica Ferrari Dottor Rodolfo & C., Como 1913 [Anonimo II]44. [7] I. Un manoscritto inedito. Alcune notizie relative ai Ligari furono pubblicate dal Quadrio nella sua preziosa Storia della Valtellina, da Giambattista Giovio nel volumetto contenente l’elenco di illustri persone della Diocesi Comense (Modena, 1784), da Santo Monti in Storia ed Arte (Como; Ostinelli, 1902), da Ercole Bassi nella Guida Illustrata della Valtellina. Il caso però mi fece pervenire nelle mani quattro fogli in formato notarile, scritti, verso la metà del XIX secolo, da un anonimo discendente dell’illustre Pietro Ligari; e siccome in essi si contengono alcune notizie non conosciute e degne di fede, perchè quasi certamente desunte da documenti di famiglia o almeno da vicine tradizioni orali, mi parve bene tenerne calcolo e stender questa qualsiasi nota d’arte, spiacente non aver potuto dare in extenso il manoscritto – da me donato alla Biblioteca Civica di Sondrio – per il troppo poco ordine in esso conservato e per la infelicissima sua forma. Manifestamente esso fu vergato in modo affrettato come semplice pro-memoria di casa, per nulla quin- 156 di destinato alla stampa – come esuberamente provano le frequanti cancellatuire, le aggiunte marginali e quelle nel testo, le postille ed i poscritti – per opera di persona assai bene informata delle opere ligariane e della nobile arte dai Ligari coltivata. [8] II. Pietro Ligari. Ed eccoci a dire primeramente di Pietro, il principe della pittura in Valtellina. Nato dai coniugi Gervasio Ligari e Maddalena Mottalini in Sondrio nel 1686, avendo ben presto manifestato propensione e genio per la gentile arte della pittura, i genitori lo mandarono a Roma, verso il dodicesimo anno di sua età, ove non solo apprese i primi elementi di disegno sotto la guida del pistoiese Lazzaro Baldi, ma ancora si distinse nel disegno, nel colorire e nella conoscenza dell’architettura. Indi gli parve bene recarsi dal Tevere alla città di S. Marco per studiare Paolo Veronese e Tiziano e Tintoretto, e diffatti ivi si perfezionò assai. Da Venezia passò poi alla Metropoli lombarda. Qui dimorò per circa vent’anni, trascorsi quasi sempre con poca favorevole salute, e qui s’ammogliò con Maria Aurogietta (Ambrogietta?) Steininger45. La necessità della vita, l’amore all’arte sua, il desiderio legittimo di prodursi e affermarsi, lo legarono al lavoro, e così uscirono dalle sue mani il Ratto di Proserpina ed il Ratto di Europa per il marchese Lucini, altri due grandi quadri tratti dalla storia di Davide, Cefalo rapito da Aurora, Endemione, e via. Tuttavia raramente i figli delle Alpi ponno sottrarsi alla malìa affascinante delle valli native e, come una fata benefica e sollecitante, la nostalgia sospingeva il nostro Pietro alle patrie sponde del Mallero: onde lasciò le lusinghe e le seduzioni di Milano, le promesse ed i vantaggi che poteva spe[9]rare. Ci risovvengono i mesti e gentili versi di Ovidio (Pont. I. 3): ……………………… sed tamen optat Fumum de patriis posse videre focis: Nescio qua natale solum dulcedine cunctos Ducit, et immemores non sinit esse sui. Fece però una sosta alla regina del Lario, e in essa, con una lodatissima pala pel Convento di S. Leonardo, tratteggiò la Vergine con Gesù e S. Leonardo chiedente la liberazione d’un carcerato. Giunto a Sondrio nel 1722, ivi trascorse il resto di sua vita: e quante opere disseminate nella Valle Abduana dovute alla sua tavolozza! Stese i disegni per la nuova Chiesa Plebana di Sondrio fabbricata secondo suo progetto – salvo il Coro eseguito dopo il suo decesso – e vi aggiunse quelli della maestosa Torre Campanaria, non ancora addotta all’altezza da lui delineata. Al vicino Monastero S. Lorenzo recò un quadro di somma bellezza, ricordante S. Benedetto, sparito poi all’epoca della avvenuta soppressione del Monastero stesso, senza che sappa ora alcuno additare il luogo di suo giacimento! Parecchie altre tele spedì a Coira rappresentanti fatti ricordati dalla Storia Sacra e dalla mitologia, per decorare il palazzo della nobile famiglia Salis. E per la casa, già del nobile Pietro Sertoli (figlio del cavaliere Cesare), pinse tre ritratti eseguiti con tanta maestrìa che tosto l’occhio ne resta ammirato; il primo, raffigurante un arciprete, da un guastamestiere sedicente restauratore fu rovinato nel viso che sembrava vivo affatto: il secondo presenta le sembianze di una veneranda dama: il terzo, circa mezza figura con mantellina da Pro-vicario46, tiene nella destra un foglio menzionante le onorevoli sue qualifiche. [10] Quei di Andalo possiedono una sua medaglia: quelli di Cedrasco conservano una pala sgraziatamente ancora guastata da mano presuntuosa, sempre col pretesto di restaurare: i terrieri di Albosaggia venerano nell’Oratorio un quadro effigiante S. Ciriaco pur troppo spruzzato da gocce di latte di calce per opera imprudente di certi muratori barberini che imbiancavano la chiesa: a Lanzada affrescò tutta la cupola con buona invenzione e disegno ed ottimo effetto: a Chiesa lavorò nella prima ed ultima Cappella47 della Via Crucis: a Piateda colorì un S. Vittore: alla Tresenda s’affaticò nella chiesa collocata sulla strada carrozzabile, precisamente nella Cappella a mano sinistra. In modo particolare egli legò la sua memoria a Morbegno. Con bellissima prospettiva aerea, facendovi giocare benissimo la luce fra tutti quegli angeli genialmente rappresentati, affrescò il coro di quella chiesa monumentale: per il coro stesso tratteggiò su tele ovali i quattro profeti Maggiori; per la Cappella del Crocifisso compose il quadro della Pietà, così pregiato che si poteva attribuire a Paolo Veronese od anche a Tiziano, tanto quel colorito era vigoroso48: altra pala di minor merito, ma di maggiore dimensione, rimarcabile però per svolgimento e bontà di tinte, rappresenta la Discesa dello Spirito Santo nella Cappella omonima. Inoltre per commissione del munifico conte Paolo Paravicini49, patrono dell’anzidetta Cappella dello Spirito Santo, con molta forza d’impasto, raffigurò una Madonna col Bambino e S. Giuseppe. Ed allo stesso benemerito conte consegnò un’Addolorata in mezza figura, [11] un Salvatore grande al vero, ed una Carità in matita rossa. Si recò pure a Coira, chiamato dal cavaliere Pietro Salis rappresentante del Re d’Inghilterra, e colà lavorò a fresco pel gran palazzo saliceo già fregiato, come vedemmo, di molti suoi quadri. Ai suoi eredi passarono poi diversi lavorietti in genere di architettura e di pittura, molti disegni, e fra questi l’acquarello che rappresenta il martirio di S. Pietro, dal nostro valentuomo inciso coll’acqua forte, alcune stampe cavate da essa incisione e molto stimate dagli artisti, e alcuni ritratti di famiglia. Fu così riconosciuto il valore non comune del pennello di Pietro Ligari, che pubbliche quadrerie si procacciarono sue opere. Per esempio, in Olanda, nella reale galleria di Amsterdam nel principio del XIX secolo facevano bella mostra due tele da lui sottosegnate. La Pinacoteca di Brera in Milano presenta ancor oggi due opere di Pietro: il ritratto del Padre e quello dell’abate Mottalini. Oltre occuparsi nella pittura ed architettura, dilettavasi egli anche nella meccanica, e ciò con ottimo successo, come provò con un orologio a pendolo di particolare congegno, e con due organi da lui fabbricati. Lasciò inoltre alcuni suoi scritti sulla Coltivazione delle Viti e sull’Economia Domestica. Pulitissimo sempre negli abiti, modestissimo di parola e di tratto, riservato per prudenza, amante di pace, morì in patria nell’aprile 1752, all’età di anni 66, e fu onorato di tumulazione nel monumento del nobile capitano Antonio Sassi, posto nella Collegiata. Se ne dolse tutta la città, e sinceramente lo piansero i figli Cesare e Vittoria. Fin qui abbiamo seguite fedelmente e ordinate le notizie presentateci dal citato Manoscritto. Conviene ora aggiungere altri complementari ragguagli. [12] Il Quadrio, che essendo contemporaneo poteva parlare con molta cognizione, giustamente lo collocò tra gli illustri valtellinesi. Registrò le sue opere eseguite a Milano: 4 quadri rappresentanti il Martirio di S. Bartolomeo (soliti esporsi nella solennità di S. Croce in corso di Porta Nuova), una ancona da altare nella chiesa degli Agostiniani in S. Marco, altro quadro nella Sacrestia dei Somaschi in S. Maria Segreta, un terzo nella chiesa di S. Raffaele (recante l’Angelo che si manifesta a Tobia). Additò in Como una pala lavorata per le Monache di S. Anna ed un quadro per il Duomo. Ricordò in modo generico lavori eseguiti in casa Peregalli a Delebio, ad Ardenno, a Cedrasco. Segnalò nella Parrocchiale di Morbegno due tele pendenti nella Cappella Cotta, oltre la già accennata della Pietà: e gli ascrisse pure i quadri delle Sibille appesi nel Coro della stessa chiesa, in ciò contraddetto dal nostro Anonimo, come più avanti si vedrà. Rammentò il gran quadro della Vergine del Rosario ed altro raffigurante i Santi Gervasio e Protasio, ambedue nella Arcipretale di Sondrio. Disse di tele in Coira passate dal palazzo Salis in Francia per opera del Sabloner, inviato del Re cristianissimo presso le Tre Leghe50. Dal Giovio si indica un Redentore moribondo nell’Oratorio del Suffragio in Ardenno, e lo elogia come opera veramente degna pel cielo tinto d’una bene intesa tenebria che aiuta l’imaginazione nel sublime pensiero di quei divini spasimi. Accenna anche un quadro maestoso recante il martirio di S. Pietro che poi, lo si vide, venne inciso51. E for[13]mola il seguente giudizio: «Disegnava bene, coloriva naturalmente ed aggruppava con eccellenza le figure: le sue arie di testa erano nobili ma si rassomigliano e paion sorelle: i suoi abiti erano pesanti e solidi e le gambe da lui disegnate son troppo corte». Giudizio abbastanza benevole, mentre altri lo dicono esagerato talvolta negli affetti (come nella Crocifissione del Camposanto in Delebio) e deficiente nei dipinti sacri perchè non invita dolcemente lo spirito a quella ascensione che lo avvicina a Dio e che fa desiderare e gustare le cose celesti: finalità che necessariamente dovrebbe proporsi l’artista di soggetti chiesastici, eppure da pochi intesa e raggiunta. Da Luigi Gandola52 furono fatte conoscere presso il pubblico le due grandi tele nella collegiata di Sondrio: la Vergine del Rosario e la Messa di S. Gregorio Papa: tele che il nostro manoscritto nomina come opera dei Ligari senza designazione di nome particolare53. L’elenco venne notevolmente accresciuto da Santo Monti che registrò lavori di Pietro a Delebio (pala e paliotto in Oratorio Peregalli, rappresentanti la Vergine con S. Girolamo: medaglia luminosa recante il Trionfo di S. Carpoforo, in una sala del palazzo Peregalli: una tela nella Cappella del Cimitero); a Morbegno (assegna la tela dello Spirito Santo al 1733 e quella della Pietà al 1739 e nota un Transito di S. Giuseppe); a Cino (altro Transito); a Pusterla di Mantello (una Maddalena); a Cercino (8 quadri ovali, un S. Rocco, un S. Sebastiano; a Piussogno, un S. Vincenzo Ferreri): a Dazio (pala di S. Carlo): a Castione Andevenno (tele ed affreschi): 157 a Sondrio (ancona di S. Giovanni Battista nella chiesa di Ligario). [14] Lo scrivente vi aggiunse54 la icona di S. Rocco nella Cappella omonima della Basilica Laurenziana in Chiavenna. Notevole contributo arrecò pure Ercole Bassi che nominò la pala d’altare in Andalo: l’affresco della volta della chiesa plebana di Traona: il disegno della facciata nella parrocchiale di Caspano: l’architettura della collegiata di Morbegno, ed, ivi stesso, il quadro di S. Domenico e l’eretico: altri dipinti a Biolo; il telone dell’organo a Ponte, l’apoteosi di San Lorenzo nell’arcipretale a Villa di Tirano; l’ancona di Ravoledo; quella dell’altare S. Giuseppe a Sondalo. Senonchè penso sarebbe assai bene non venisse mai mescolato il dubbio colla certezza, per la quale ponno far fede solo documenti ineccepibili, che si dovrebbero citare, o persone versatissime in critica d’arte per larga conscenza di tecnica e di dettagli di quell’autore che viene sottomesso al paragone ed all’analisi dell’esame in confronto di altri lavori a lui attribuiti da incerte credenze; e ciò onde evitare tante erronee classificazioni, frequenti a succedere, non sempre volute a scopo di lucro commerciale o d’ambizione campanilistica. III. Cesare Ligari. Vigeva nei secoli scorsi la lodevole consuetudine per cui il padre tramandava ai figli e nepoti la sua professione, l’arte sua o il suo mestiere. Così successe dei figli di Pietro Ligari. Essi alla scuola del genitore appresero la nobile arte della pittura e riescirono non indegni del nome paterno. Cesare, dopo il primo tirocinio nella casa pater[15]na, durato parecchi anni, fu mandato a Venezia onde perfezionarsi sotto la direzione del Piazzetta e di Giovanni Rota55. Di là mandò a Morbegno per l’illustre casa dei conti Paravicini, veri mecenati delle arti in genere e dei Ligari in specie, due grandi tele, di braccia dodici per quindici, raffiguranti il Sacrificio d’Isacco e la Benedizioni d’Isacco a Giacobbe; poi due altre, Mosè che disseta gli Ebrei e Gesù che sazia le turbe con moltiplicare i cinque pani ed i due pesci. Nella quiete dei canali compose pure una tela in cui si ammirava il Serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto, con figure ad un terzo del vero, pieno di vaghezza, con stravaganti gruppi, con colori vivaci e variati, con scena di effetto, tutta mossa ed animata, ancora visibile a Milano nella prima metà del XIX secolo presso gli eredi di lui: così stimata che alcuni artisti non sdegnarono paragonarla alle tele del Tiepolo. Addivenuto valente pittore quando si restituì ai genitori, camminò sulla via fiorita e lusinghiera dell’onore. Pel marchese Casnedi di Milano dipinse un gran salone nella villa di lui a Birago. Riescì vincitore in un concorso bandito in Milano da monsignor Corneliano, perchè sopra sei pittori intervenuti alla gara tre soli furono i premiati, e fra essi il nostro Cesare. La chiesa di Cerro presso Milano ebbe una sua tavola d’altare. E mandò pure altra gran tela56 alla chiesa S. Filippo in Torino, di eguali proporzioni e fronteggiante quella che il Conca vi aveva spedito da Roma. Nella provincia di Como disseminò molte opere, specialmente nelle chiese di Conventi e di Monasteri. In Como decorò la volta nella chiesa della Trinità: lavorò per le monache di S. Anna; per [15] quelle di S. Leo- nardo eseguì quattro pezzi in mezza figura, grandi al vero, con molto brio di colore; nel Duomo lasciò un Angelo Custode in atto di difendere un’Anima da Satana, in forma ovale; nella chiesa del Collegio Gallio appese una pala d’altare. A Bolvedro presso Lenno raccomandò la sua memoria con quindici medaglie a fresco in casa Brentani. Due medaglioni dipinse pure per la parrocchiale di Domaso. In Morbegno aiutò il padre nei lavori alla plebana, e colla sorella Vittoria vi lasciò quadri ovali raffiguranti le Sibille: esisteva pure un suo quadro allusivo a S. Agata nella Cappella S. Vincenzo della chiesa S. Antonio dei Domenicani, molto osservato per vago colorito e singolare composizione, ma, soppressa poi essa chiesa, non si sa qual fine miseranda abbia avuto in un con tante altre belle cose d’arte che ivi con intelletto d’amore i migliori autori di quel tempo vi avevano allogato: quanto è vero che la religione protegge, alma tutrice, le arti, e che la miscredenza spande rovine e aggela! Già vedemmo che Pietro pennelleggiò la prima ed ultima Cappella57 della Via Crucis a Chiesa di Val Malenco: le rimanenti vennero lavorate da Cesare e da Vittoria. Alla chiesa S. Lorenzo sopra Sondrio mandò una delle sue più belle composizioni e fronteggiava altra di suo padre. Oltre la pala di Pietro, altra di Cesare rimase a Cedrasco. Il qual Cesare ne mandò una pure a Polaggia, altra ad Albosaggia, due a Montagna in mezza figura, come anche eseguì diverse opere per Chiuro e per Villa di Tirano sia a fresco che ad olio. Alcune sue tele andarono pure ad unirsi a quelle del padre nel palazzo Salis di Coira. Moriva il 12 aprile 1770 in Como, e fu onoratamente tumulato nella chiesa S. Nazaro, lasciando più figli, dei quali due si ascrissero al ceto ecclesiastico: Giambattista si ammogliò e da lui nacque Angelo, pure colorista. [17] Qui torna abbandonarci il nostro Anonimo che col suo manoscritto ci faceva da guida. Di Cesare porge alcune notizie ancora il Quadrio: lo diceva nato il 28 aprile 1716 a S. Babila di Milano; gli ascrive alcune tele a olio nella casa Visconti, la prospettiva a fresco in Cernusco pel conte Galesio segretario di Stato, e altra prospettiva nel giardino di casa Corneliana. Santo Monti58 gli attribuisce lodevoli composizioni in S. Domenica e in casa Peregalli a Delebio, nel palazzo Malacrida in Morbegno, a Mantello e Cino e Mello e Roncaglia aggiungendo che con fare elegante ed efficace conservò la forza di colorito del padre pur sfuggendo il disegno di lui spesso pesante ed esagerato. Il Bassi segnalava la Via Crucis a Mezzomanico di Monastero; la Via Crucis (con Vittoria) a Rooncaglia nel 1756 e, ivi pure, la Sacra Famiglia e S. Filippo Neri nel primo altare della parrocchiale a sinistra entrando; l’Aurora in palazzo Malacrida a Morbegno; un medaglione nella volta della chiesa dei Gesuiti a Ponte. IV. Vittoria Ligari. E, ritornando al nostro Manoscritto, dedichiamo alcune linee a Vittoria pittrice di considerazione anch’essa. Come sopra vedemmo, collaborò con Cesare nel dipingere le Sibille del coro nella plebana di Morbegno, e con lui attese pure alla Via Crucis di Chiesa. Mandò una pala a Cepina59; spedì a palazzo Salis in Coira tre quadretti e cioè la Natività, l’Adorazione dei Magi ed una testa d’un vecchio presa al naturale; lasciò a Sondrio, in casa paterna, ritratti di famiglia, bellissimi per rassomiglianza. Esperta suonatrice d’organo e cantatrice ammirata, mostrò che possedeva uno spirito pronto e versa[18]tile come il padre ed il fratello. Moriva l’8 dicembre 1784, nubile, di ornati e intemerati costumi. Ne segna la nascita il Quadrio ai 14 febbraio 1713: indica come sue pitture nella villa dell’Olmo presso Como, un Mosè salvato dalle acque ed altro Mosè avanti Faraone: ed elogia il suo virtuosissimo carattere morale. Ampio elogio le tributa pure il Gandola. Il Bassi poi insegna che cooperò col fratello Cesare nella Via Crucis di Roncaglia e che due tele di lei si conservavano nel principio di questo secolo nello studio Gavazzeni a Talamona60. V. Ligarini anonimi. Ma il nostro Manoscritto accenna ad altre opere dei Ligari senza tassativa attribuzione di persone. Dice che sono innumerevoli nella Valtellina benchè generalmente mal conservate, che alcuni bellissimi bozzetti, già custoditi presso Pietro Martire Rusconi, furono miseramente strappati dal furibondo Mallero nel disastro del 1834, e nomina, fra altre terre che ebbero la ventura di possedere lavori ligariani, Delebio (chiesa e palazzo Peregalli), Ardenno, Sondrio (nella Collegiata, nell’Oratorio, nelle chiese filiali: un Battesimo con figure al vero, ben disegnato e dipinto, nella Cappella annessa al palazzo Sertoli), Pendolasco, Ponte (un Redentore morto e Angeli di ottimo impasto nella Casa Guicciardi), Teglio (in varie chiese), Bormio (un S. Giovanni Nepomuceno). Gli eredi di Pietro e dei suoi figli conservano pure un quadro raffigurante la Presentazione di Gesù al Tempio, ed altro quadro al vero, a media figura, recante un Santo in atto di fugare l’Eresia. [19] VI. Culto per l’arte. Mentre chiudo questi brevi cenni biografici e questa affrettata rassegna di lavori pittorici esprimo l’augurio che ogni piaga della Valtellina abbia la fortuna di un paziente ed intelligente indagatore d’opere d’arte, il quale, provvisto di un abbondante corredo storico e artistico, nonchè di un provvidenziale benessere di salute e di finanze, voglia illustrare la Pieve od il Mandamento nativo. E perchè ogni rettore di Parrocchia non potrebbe e non dovrebbe far ciò per quanto riguarda la propria chiesa, dal momento che a sua disposizione si trovano documenti e registri? E anche non sarebbe desiderabile che qualche nostro ente morale – p.e. la benemerita Pro Valtellina61 – promuovesse la pubblicazione di un Album contenente la riproduzione eliotipica dei migliori fra i migliori artisti valtellinesi, onde far conoscere la nostra scuola pittorica attraverso questi secoli? L’industria cartolinaria potrebbe molto favorire questo patriottico e nobile intento. Gli avi nostri si sottoposero a enormi sacrifici per onorare la maestà di Dio col magistero delle arti, cercarono ansiosamente valentuomini che rispondessero alla finalità intesa, e profusero tesori nell’architettura e nella pittura, nella orificeria e nei tessuti preziosi. Ci tramandarono dei capolavori in fide commesso: ed il rispetto verso i maggiori, carità di patria e dovere verso la posterità impongono di salvaguardare il patrimonio affidatoci, di conservarlo e tramandarlo accresciuto, la- 158 sciando così, alla nostra volta, onorate vestigie di fede e di civismo. Tante volte l’arte è il viale che invita alla casa di Dio, e quindi tanti illuminati Santi – basterebbe citare il grande Borromeo – la predilessero e di lei [20] si servirono opportunamente perchè esercitasse la benefica sua funzione sociale di attrarre gli animi e di imporre venerazione alle più alte idealità. Sì, l’arte – imitazione della bella natura – è opera di Dio, come la natura stessa. Riunisce in un punto le vaghezze che la natura sparpaglia qua e là, parla dolce e soave alla mente ed al cuore, sollleva il pensiero alle serene e pure regioni ove le virtuose e grandi azioni sono condegnamente retribuite, ove gli eroi trionfano nella gloria, istiga la volontà all’emulazione ed all’imitazione, rende l’uomo quasi immortale nel farne l’apoteosi. Non è dunque dessa – quando, come deve, si propone il solo bene morale – un’ascensione verso la contemplazione del bello, del vero e del buono? All’uomo si addice coltivare il bello, come praticare il bene e conoscere il vero, perchè il genere umano non ha solo bisogno di educazione morale ed intellettuale, ma anche di estetica: come il sole colora i fiori, così l’arte colora la vita. Onorate gli artisti! Sono precursori di civiltà: amano l’arte per il progresso umano: la loro viva fantasia e luminosa genialità, diffonde luce e calore, e ingentilisce. A loro corone di fiori! Francesco Medici non parlò mai a Michelangelo senza levarsi di capo il berretto: Giulio III [sic] volle che il sommo artista gli sedesse a fianco mentre una dozzina di cardinali lo circondava in piedi. Carlo V cedette il passo a Tiziano, e un giorno che a questi cadde un pennello di mano egli si chinò a raccattarlo, dicendo: «Voi meritate bene di essere servito da un imperatore». Anche Leone X assistette Raffaello morente. Chiavenna, 20 Luglio 1913. Una bibliografia completa sino al 1974, comprensiva di un esteso ragguaglio delle fonti più antiche, è offerta da Meli Bassi 1974, pp. 249-255. Per una rassegna delle fonti e della guidistica relativa al territorio lariano e valtellinese si rimanda a Parisio 1994. 2 Dal frontespizio del tomo III. 3 Pinchetti 1913, pp. 30 e 32; rist. 2006, pp. 54 e 56. 4 Coxe 1790, III, pp. 150-153; il brano di Coxe (dato in traduzione da Noè 1988, pp. 155-156) riprende in modo quasi letterale il Füssli. 5 Su G.B. Giovio committente di opere d’arte, cfr. Angelini, in corso di pubblicazione. 6 Latuada 1738, V, p. 283; Bartoli 1777, I, pp. 21, 124, II, p. 118. 7 Malvezzi 1882, p. 258. 8 De Boni 1840. 9 Caimi 1862, p. 41. 10 Gandola 1879, pp. 53-55: la citazione a p. 53. 11 Bassi 1930, p. 7 dell’estr. Buzzetti sostiene di aver fatto dono dell’Anonimo II alla Biblioteca Comunale di Sondrio. Non si tratta tuttavia dello stesso manoscritto, poiché Buzzetti descrivendo l’Anonimo II precisa che esso era composto da quattro fogli in formato notarile anziché tre. L’Anonimo I giunse alla Biblioteca di Sondrio e quindi al Museo valtellinese di storia e arte nel 1935, poiché esso figura nell’inventario redatto in quella circostanza (inv. 199). 12 Damiani 1898, pp. 18-19. Meno coerenti i giudizi espressi nella serie di articoli sull’arte della Bassa Valtellina scritti due anni più tardi a quattro mani con il pittore Giovanni Gavazzeni, di stretta osservanza accademica (Angelini 2003). 13 Baudi di Vesme 1912, p. 321. 14 Bassi 1930. 15 Malaguzzi Valeri 1905, p. 3. 16 Arslan 1952. 17 Pallucchini 1960, p. 172. 18 Bossaglia 1959; Bossaglia 1974. 19 Disegni... 1982; Pietro Ligari... 1998. 20 Romanini 1959, p. 713. 21 Giordano 1998, p. 14. 22 Gervasio (1647-1725) e Giovan Andrea Ligari (1656/591719). 23 Cernusco sul Naviglio. 24 Cerro nella pieve di Legnano. 25 L’Angelo Custode (Pinacoteca Civica, Palazzo Volpi, Como) (v. infra, nota 35). 26 Forse Quadrio confondeva la località con Ganda di Lanzada, dove si trova l’unica pala d’altare nota di Vittoria. 27 Lazzaro Baldi, nato a Pistoia nel 1624. Imparò dal Berrettini a Roma, dove morì nel 1703 [Nota di Füssli]. 28 Casa Peregalli a Delebio. 29 Il palazzo di Giovan Antonio Sassi a Sondrio (casa ex Perego, via Paravicini), affrescato nel 1742. 30 In realtà non risulta che Pietro avesse trasposto l’incisione in un dipinto. 31 Cfr. Semplici notizie per la prattica che si ricerca nell’agricoltura, Mvsa, NIL 996, cap. II, Miei viaggi e ritorno alla Pattria, c. 1v. 32 Coltivati a vite. 33 Brano soppresso, su cartoncino incollato: “[3a] Pietro Ligari nacque in Sondrio nel 1686 ed avendo mostrato vivisso genio nell’arte della Pittura fu da’ suoi genitori mandato a Roma nell’ettà di circa 12 anni: ivi studiò sotto la scuola di Lazaro Baldi, si distingueva dagli altri suoi condiscepoli nella Pittura ed Architettura. Poi venne a Venezia studiando Paolo Veronese, Tiziano e Tintoretto, per cui acquistò un bellissimo colorito. In seguito si trasferì a Milano ove vi stette per circa 20 anni in esercizio di sua professione, godendo però poca salute. Ivi si unì in matrimonio con Anonciata Steiningher da cui ebbe due figli, Cesare e Vittoria. Il primo dopo aver studiato per molti anni sotto la sua direzione, fu poscia mandato a Venezia, ove si diede alla scuola del Piazetta e Giovan Battista Pittoni”. 1 159 34 Lucini. Qui per la prima volta attribuito a Cesare, probabilmente sulla scorta della copia eseguita da questi (oggi Mvsa, NIL 830). 36 Cfr. Dell’Oca 1998, pp. 22 e sgg. 37 In realtà volta e pareti del presbiterio. 38 Cfr. nota 26. 39 Pietro Paolo Paravicini, fratello di Pietro Antonio, abate del convento dei cappuccini di Morbegno e di Raffaele, arciprete dal 1700 al 1713. 40 La Messa di san Gregorio Magno venne trasportata nella collegiata di Sondrio dalla chiesa di San Rocco nel 1864 e in quella occasione fu restaurata da Angelo Ligari. 41 Angelo Ligari donò alla Pinacoteca di Brera i ritratti di Gervasio Ligari e dell’abate Francesco Mottalini, entrambi di Pietro, in due tempi, rispettivamente nel 1831 e nel 1874 (Coppa 1989e, nn. 140-141, pp. 250-252). 42 Donato da Angelo Ligari alla Pinacoteca Ambrosiana nel 1874 (Coppa, in corso di pubblicazione). 43 Brano coperto da cartoncino incollato. 44 Estratto da “L’Ordine di Como”, 21-22 luglio 1913. Una versione priva del paragrafo introduttivo e di quello conclusivo è successivamente apparsa in “Pro Valtellina”, a. IX, n. 3 (15-31 agosto), n. 4 (1-15 settembre), n. 6 (ottobre), 1913. I numeri tra parentesi quadre fanno riferimento alle pagine dell’estratto. 45 Nunziata Steiningher, presso il Quadrio (Nota di Buzzetti, d’ora in avanti N.d.B.). 46 Questa vaga qualifica ci lascia incerti se trattasi di dignità civile od ecclesiastica (N.d.B.). 47 Stazione. 48 Rovinata la tela da inesperta – ripetizione di parola troppo frequente e sempre dolorosa – si dovette levare e riporre in ripostiglio tra i rifiuti (N.d.B.). La tela venne ricollocata solo nel 1925 (G. Perotti, in Albertario-Perotti 2007, p. 10). 49 Cfr. nota 39. 50 Fra le Lettere Pittoresche raccolte dal Ticozzi, ve n’è una del Quadrio inviata a Pietro Ligario. E lo stesso Quadrio nella lodata sua Storia, fa il ritratto fisico di Pietro, accenna a sue Lettere Familiari inedite, alle molte specchiate sue virtù e descrive l’ingegnoso orologio già accennato (N.d.B.). Cfr. Bottari-Ticozzi 1822, I, pp. 549 e sgg. 51 Cfr. nota 30. 52 Albo storico-biografico degli Uomini Illustri Valtellinesi (Sondrio: Moro, 1879) (N.d.B.). 53 L’Anonimo I, p. 4, cita i due dipinti con un implicito riferimento a Pietro. 54 Arte ed Artisti nel contado di Chiavenna (Rassegna d’Arte di Milano: novembre 1910 e giugno 1911) (N.d.B.). Cfr. Buzzetti 1910-1911. 55 Secondo il Quadrio ebbe anche per maestro sulla Laguna G.B. Pittoni valente musico (N.d.B.). 56 Ricordate la Cena in Emmaus (Quadrio) (N.d.B.). 57 Stazione. 58 Monti 1902, ad indicem. 59 Cfr. nota 26. 60 Bassi 1927-1928, p. 91, con ill. 61 Sorto nel 1904, il comitato Pro Valtellina aveva tra i suoi compiti statutari lo studio della storia e dell’arte e la compilazione di un inventario del patrimonio storico e artistico (Angelini 2004, pp. 352-353). 35