RECENSIONI E SEGNALAZIONI
ESTRATTO
da
NUOVI ANNALI DELLA SCUOLA SPECIALE
PER ARCHIVISTI E BIBLIOTECARI
2020 ~ a. 34
S A P I E N Z A U N I V E R S I TÀ DI RO M A
Anno XXXIV, 2020
LEO S. OLSCHKI EDITORE
Anno XXXIV, 2020
Direzione:
Dipartimento di Lettere e culture moderne
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nel suo scritto.
Pubblicato nel mese di ottobre 2020
S A P I E N Z A U N I V E R S I TÀ DI RO M A
Anno XXXIV, 2020
LEO S. OLSCHKI EDITORE
«Nuovi annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari»
is a peer-reviewed journal
Direttore
Alberto Petrucciani
Comitato di direzione
Paola Castellucci, Giovanni Paoloni, Francesca Santoni
Hanno collaborato a questo volume:
Enrico Pio Ardolino, Eleonora De Longis, Lorenzo Mancini, Simona Turbanti
Comitato scientifico • Editorial Board
Alberto Bartola, Sapienza Università di Roma
Maria Teresa Biagetti, Sapienza Università di Roma
Rosa Marisa Borraccini, già Università degli studi di Macerata
Simonetta Buttò, Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane
Flavia Cristiano, IBBY Italia
Flavia De Rubeis, Università Ca’ Foscari Venezia
Giovanni Di Domenico, Università degli studi di Salerno
Luciana Duranti, University of British Columbia, Vancouver
Marina Giannetto, Archivio storico della Presidenza della Repubblica
Andrea Giorgi, Università degli studi di Trento
Giovanna Granata, Università degli studi di Cagliari
Elio Lodolini, Roma
Luca Loschiavo, Università degli studi di Teramo
Antonio Manfredi, Biblioteca Apostolica Vaticana
Guido Melis, Sapienza Università di Roma
Antonella Meniconi, Sapienza Università di Roma
Outi Merisalo, University of Jyväskylä
Martín M. Morales, Pontificia Università Gregoriana
Stefano Moscadelli, Università degli studi di Siena
Fermín de los Reyes Gómez, Universidad Complutense de Madrid
Gino Roncaglia, Università degli studi Roma Tre
Mariangela Roselli, Université de Toulouse-Le Mirail
Antonella Rovere, Università degli studi di Genova
Pedro Rueda Ramírez, Universitat de Barcelona
Deanna Shemek, University of California, Irvine
Marc Smith, École nationale des chartes, Paris
Giovanni Solimine, Sapienza Università di Roma
Federico Valacchi, Università degli studi di Macerata
Paul Gabriele Weston, Università degli studi di Pavia
La rivista è pubblicata con il contributo
della Sapienza Università di Roma
INDICE
Joan Abela – Emanuel Buttigieg, NAV: a survey of the past, present,
and future of the Notarial Archives of Valletta, Malta
Elena Gatti, Il catalogo culturale di Giovanni Antonio de’ Benedetti
(1499-1512 circa), fra nuove proposte e crepuscolo del sogno bentivolesco. Una prima mappatura
Marco Lanzini, Tra teoria e prassi: riflessioni intorno ad alcuni precursori del ‘metodo di ordinamento storico’
Paul Gabriele Weston, «The age of periodicals»: la formazione della
working class negli anni della Rivoluzione industriale
Vincenzo Trombetta, La Biblioteca Molisana di Pasquale Albino
(1865)
Stefano Gambari – Mauro Guerrini, Di un rapporto epistolare tra
Francesco Bonaini e Antonio Panizzi
Alessandra Toschi, Organizzazione e percezione dei servizi al pubblico nella Biblioteca nazionale centrale di Firenze all’inizio del Novecento
Eleonora De Longis, «Il velo trasparente»: politica e letteratura nello
specchio della Biblioteca dell’Istituto italiano di studi germanici
Fiammetta Sabba, Tra bibliografia e documentazione: la proposta di
Guerriera Guerrieri per un catalogo collettivo dei periodici
Alberto Petrucciani, Dai censimenti bibliografici alla storia della cultura e della società: riflessioni sul ruolo delle biblioteche tra ricerca e
comunità
Francesca Nemore, Minerva: «Mille dea est operum» e mille sono i
suoi archivi. Il patrimonio archivistico della Sapienza Università di
Roma
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Armando Petrucci, Scrittura documentazione memoria: dieci scritti e
un inedito, 1963-2009, con una premessa di Attilio Bartoli Langeli; Armando Petrucci, Scritti civili, a cura di Attilio Bartoli
Langeli, Antonio Ciaralli, Marco Palma (Simona Inserra)
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INDICE
Per una storia delle biblioteche dall’antichità al primo Rinascimento, a
cura di Antonio Manfredi, con la collaborazione di Francesca
Curzi e Stefania Laudoni (Enrico Pio Ardolino)
Pratiques d’archives à l’époque moderne: Europe, mondes coloniaux,
sous la direction de Maria Pia Donato et Anne Saada (Stefano
Gardini)
Lorenzo Baldacchini, Il libro antico: storia, diffusione e descrizione,
3ª ed (Maria Gioia Tavoni)
Maria Alessandra Panzanelli Fratoni, Edizioni del XV secolo nella collezione Tiezzi Mazzoni della Stella Maestri (Federica Fabbri)
Itinéraires du livre italien à la Renaissance: Suisse romande, anciens
Pays-Bas et Liège, sous la direction de Renaud Adam et Chiara
Lastraioli (Lorenzo Baldacchini)
Dennis E Rhodes, Una tipografia del Seicento fra Roma e Bracciano:
Andrea Fei e il figlio Giacomo (Lorenzo Mancini)
Valentina Sestini, Rara ac erudita volumina: la biblioteca di Carlo
d’Aquino (1654-1737) (Paolo Tinti)
Storia della Biblioteca apostolica vaticana V: La Biblioteca Vaticana
dall’occupazione francese all’ultimo papa re (1797-1878), a cura di
Andreina Rita (Alberto Petrucciani)
Carteggio Ceriani-Mercati, 1893-1907 Introduzione, edizione e annotazioni a cura di Cesare Pasini, con la collaborazione di Massimo Rodella (Eleonora De Longis)
L’eredità di Ernesto Rossi: il fondo della Biblioteca Paolo Baffi, a cura di
Simonetta Schioppa e Silvia Mastrantonio; Massimo Omiccioli, La «strana» biblioteca di uno «strano» economista: viaggio tra i
libri di Ernesto Rossi (Antonella Trombone)
Wayne A Wiegand – Shirley A Wiegand, The desegregation of
public libraries in the Jim Crow South: civil rights and local activism; Mike Selby, Freedom libraries: the untold story of libraries for
African Americans in the South (Maddalena Battaggia)
Mauro Chiabrando, Il particolare superfluo: atlante delle minuzie editoriali (Maria Gioia Tavoni)
Maurizio Lana, Introduzione all’information literacy: storia, modelli,
pratiche (Paola Castellucci)
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parte reso accessibile a un assai più gran numero di persone un certo tipo di
prodotto librario e dall’altra ha contribuito a separare in modo più netto e più
chiaro l’élite dei colti dalle masse non acculturate o semiacculturate» (p 238)
Si tratta di riflessioni, queste ultime, che, naturalmente a mio avviso, aiutano a comprendere la visione che Petrucci aveva della cultura scritta, del suo uso
e del suo studio, da non limitare entro rigidi confini di ricerca; riflessioni che,
in qualche modo, accompagnano un paleografo a transitare e poi a immergersi
nei territori del libro antico a stampa, come bene ci sta insegnando, oramai da
alcuni anni, Marco Palma, con i suoi progetti dedicati allo studio degli incunaboli delle biblioteche italiane (si vedano i volumi pubblicati da Viella a partire
dal 2015, Incunaboli a Siracusa, Incunaboli a Catania I: Biblioteche riunite “Civica e
A. Ursino Recupero”, Incunaboli a Ragusa, Incunaboli a Cesena, e si rimane in attesa
dei prossimi in preparazione).
In chiusura, desidero ringraziare i tre curatori, che non solo attraverso le
pagine di questi due libri, ma anche attraverso altre operazioni culturali ed
editoriali incentrate sugli scritti e sull’insegnamento di Armando Petrucci, ci
hanno permesso e continuano a permetterci di conoscere meglio la sua figura
straordinaria, la varietà dei temi trattati e lo spessore dell’uomo e dei suoi scritti. A partire, infatti, da queste letture sarà possibile, forse, mettere in pratica
quella nuova immagine della cultura e della civiltà di cui in modo tanto bello
Petrucci ha scritto, in chiusura di un articolo, Scritture dimenticate ci narrano
un diverso medioevo, apparso su «Il manifesto» del 28 febbraio 1992, riportato al
n. 30 di Scritti civili, in cui riferendosi alla necessità di approfondire e rivedere
la nostra conoscenza del Medioevo (e recensendo a sua volta il libro di Paolo
Cammarosano, Italia medievale: struttura e geografia delle fonti scritte, pubblicato
da La nuova Italia scientifica nel 1991), diceva: «Il quadro che ne risulta, affascinante e mosso, non può non indurre a pensare in modo diverso l’immagine
stessa del medioevo italiano. Ora occorre realizzare tale nuova immagine nella
ricerca e nella didattica, trasfondere la ricerca in conoscenza e trasformare la
conoscenza in coscienza comune» (p. 129).
Simona Inserra
Per una storia delle biblioteche dall’antichità al primo Rinascimento, a cura di Antonio Manfredi, con la collaborazione di Francesca Curzi e Stefania Laudoni,
Città del Vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, 2019, 287 pp. (La casa dei
libri, 3).
Vista dall’esterno, e cioè da chi ne ha scarsa confidenza, la storia delle biblioteche può apparire come una vicenda pacifica e in costante progresso: a
partire dal mutamento dei loro spazi – dai templi ai musei, passando per le
cattedrali e i monasteri, sino ai castelli e ai palazzi –, le biblioteche hanno accumulato il sapere prodotto nei secoli tramite un lungo ma naturale processo
di sedimentazione. Una teoria che vedrebbe agire le biblioteche alla luce di un
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lineare processo di continuità, e che avrebbe dapprima visto aumentare le persone capaci di leggere e scrivere, poi moltiplicare i libri disponibili (inizialmente
fabbricati con tecniche modeste e poi sempre più accurate e precise), infine
garantire l’accesso alle biblioteche a una fascia sempre più larga di individui. A
ben vedere, però, occuparsi di biblioteche non corrisponde affatto a tracciare
un profilo statico e descrittivo di depositi di libri, ma significa anzitutto fare i
conti con i ‘residui’ materiali del passato (documenti e monumenti), che assai
spesso ci restituiscono una storia di precari equilibri, di dispersioni, distruzioni
e fallimenti, cioè di contraddizioni, variabili, fratture e discontinuità. Se dal
punto di vista delle fonti ciò può risultare a prima vista meno evidente – ma pur
sempre valido – per chi si occupa di storia delle biblioteche in età contemporanea, è invece tangibile per gli studiosi di biblioteche più antiche, di cui rimane
una piccolissima porzione di testimonianze in grado di darci una visione viva
e concreta dei loro scopi e delle loro funzioni, ovvero farci capire come esse si
presentavano e chi le utilizzava.
Non può allora che destare interesse e curiosità la pubblicazione di un manuale di storia delle biblioteche dall’antichità al Rinascimento, soprattutto in
un contesto scientifico come quello italiano, finora carente di un volume con
queste coordinate spazio-temporali e in generale piuttosto timido nel proporre sintesi di questo tipo. Curato da Antonio Manfredi con la collaborazione
di Francesca Curzi e Stefania Laudoni, il volume si presenta anzitutto come
strumento indirizzato alla comunità degli studenti, e in particolare agli allievi
della Scuola vaticana di biblioteconomia. Il manuale è stato infatti progettato
in stretta collaborazione con alcuni studenti della Scuola nell’ambito di due
annualità del corso di Storia delle biblioteche tenuto dallo stesso Manfredi. E
se un manuale è prima di tutto un coraggioso esperimento – un tentativo, potremmo dire, di semplificare la complessità –, lo è a maggior ragione in questo
caso, in cui emerge anche un elemento collettivo e laboratoriale.
Ma una storia delle biblioteche, dunque, di che tipo e da quale punto di
vista? Come chiarito da Manfredi nella densa introduzione, il manuale non
si propone di tracciare una storia istituzionale o bibliografica delle raccolte,
ma intende soprattutto soffermarsi – comprensibilmente, visto anche il taglio
cronologico – su elementi come la produzione e la conservazione dei libri, la
fruizione e la trasmissione dei testi. L’accento viene dunque posto anche sulla
dimensione umana, in un’ottica che intende studiare le biblioteche come luoghi vivi e popolati tanto dai libri quanto dalle persone: «La biblioteca per molti
secoli, fino a tempi a noi assai vicini, è stata infatti principalmente una raccolta
di libri, di testi, di carte, ed è perciò opportuno domandarsi come essi vi siano
giunti, come siano stati poi gestiti e collezionati, catalogati e studiati; e anche
come tali documenti (libri/testi) abbiano interagito con gli uomini del passato
che li hanno voluti, usati, studiati e tramandati» (p. 11).
Così delineata, la prospettiva del volume dichiara un debito metodologico
tanto verso gli studi filologici, essenziali per un lavorio critico delle fonti (come
nel caso degli inventari), quanto verso quelli paleografici, intesi come storia
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culturale delle scritture e dei testi, cioè di chi li ha prodotti, studiati, conservati
e trasmessi (e viene così alla mente la definizione – forse in parte anche provocatoria – che Augusto Campana diede della paleografia: «una filologia non
di testi ma di forme grafiche»). Questo forte nesso tra le due discipline converge evidentemente verso due distinte tradizioni di studi nate in Italia a partire
dagli anni Cinquanta: mi riferisco da un lato ai lavori di Augusto Campana e
Giuseppe Billanovich – si pensi ad esempio, nel mare magnum della loro produzione, alle fondamentali ricerche dedicate rispettivamente alle biblioteche di
Poliziano e di Petrarca –, e dall’altro ai pioneristici scritti di Guglielmo Cavallo
e Armando Petrucci. Studiosi che, muovendosi all’interno della tradizione greco-latina, hanno percorso la storia delle biblioteche antiche, medievali e umanistiche attraverso una serie di contributi trasversali, spesso interconnessi con
altri campi disciplinari come la storia della letteratura ma anche l’epigrafia, la
topografia, l’archeologia e la storia dell’arte.
L’itinerario proposto nel corso del volume si snoda in due sezioni tematiche,
entrambe suddivise in quattro capitoli. La prima, dedicata all’antichità, prende
avvio con le biblioteche presenti nelle civiltà più antiche (mesopotamica, egizia
ed ebraica), si concentra poi sulla complessa realtà greco-romana e si arresta
intorno al IV secolo d.C., con lo sviluppo delle prime biblioteche vescovili e la
nascita della biblioteca papale. Tra le altre di questa sezione, particolarmente felici risultano le pagine di Anna Berloco sulle raccolte librarie del mondo ebraico
(pp. 30-35) e quelle di Alessandra Mazzoccone dove vengono ricostruite – senza
rinunciare a spunti di natura storiografica – le vicende relative alla nascita e allo
sviluppo della Biblioteca di Alessandria (pp. 46-50). Più corposa e articolata è
la seconda sezione del volume, dedicata al lungo Medioevo e all’Umanesimo.
Per l’età romanica e gotica vengono analizzate nel dettaglio le varie tipologie di
biblioteche ecclesiastiche, dalle capitolari a quelle dei conventi e dei monasteri
(si veda, ad esempio, il paragrafo di approfondimento sulle biblioteche di Montecassino e Pomposa a cura di Francesca Mugnano), e per il periodo successivo
le raccolte nate presso le corti o nelle università. Lungo tutto il corso del volume
una specifica attenzione è rivolta, naturalmente, verso la storia della biblioteca
papale (dal patrimonio librario e archivistico conservato presso la sede lateranense alla straordinaria raccolta allestita presso il palazzo apostolico avignonese) e più avanti alla fondazione della Biblioteca Vaticana sotto i papati di Niccolò
V e Sisto IV. Le pagine conclusive del volume sono infine dedicate all’Umanesimo italiano, con un riuscito bilanciamento tra approfondimenti dedicati alle
biblioteche private dei grandi umanisti (Petrarca, Boccaccio e Salutati, tra gli
altri) e alla nascita della biblioteca ‘pubblica’ (S. Marco a Firenze, la Malatestiana, la Vaticana e dunque le grandi raccolte appartenute alle famiglie signorili
italiane). La trattazione si arresta in un’epoca nella quale è ancora il manoscritto
a dominare la scena delle biblioteche, prima della diffusione capillare del libro a
stampa e della nascita, in tutta Europa, di un nuovo modello biblioteconomico.
Il volume, nel quale vengono anche forniti puntuali approfondimenti bibliografici in coda a ogni paragrafo, è purtroppo privo di un corredo iconogra-
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fico. Vengono tuttavia assai spesso segnalati utili link ai manoscritti citati nel
testo e dei quali è disponibile in rete una digitalizzazione. Si tratta quasi sempre
di richiami a esemplari vaticani, dunque provenienti da fondi librari con i quali
gli studenti della Scuola Vaticana possono entrare in diretto contatto anche
durante le lezioni. Chiudono il testo il fondamentale e gustoso indice dei nomi
propri e dei luoghi e un indice dei manoscritti e dei documenti d’archivio, ricco
di quasi 150 occorrenze.
Enrico Pio Ardolino
Pratiques d’archives à l’époque moderne: Europe, mondes coloniaux, sous la direction
de Maria Pia Donato et Anne Saada, Paris, Classiques Garnier, 2019, 481
pp. (Rencontres, 402).
Poiché dichiarazioni d’intenti tanto concise ed efficaci non sono comuni,
pare utile presentare l’opera a partire dalle sue stesse parole, tradotte dall’incipit dell’introduzione: «Come sono creati, organizzati e impiegati gli archivi in
età moderna? Chi accede a quei depositi documentari, perché e a quali condizioni? Cosa rappresentano gli archivi, non dal punto di vista teorico o giuridico,
quanto piuttosto nell’esperienza degli uomini e delle donne del passato? Che si
fa negli archivi? Queste sono le originarie e ambiziose domande che attraversano gli articoli raccolti in questo volume». Appare chiaro fin dalle prime parole
che l’opera nel suo complesso intende porsi nel filone di studi di una «nouvelle
histoire culturelle “désenclavée” des archives» (p. 9): quel modo di fare storia
degli archivi che, godendo negli ultimi decenni di particolare fortuna a livello
internazionale, si fonda in definitiva sull’inclusione dell’oggetto di indagine in
un contesto ampio, allargato alle condizioni sociali e materiali della produzione
documentaria, a tutto ciò che abbia rilevanza a determinare le pratiche concrete che si svolgono attorno all’archivio e in particolare lo iato, sempre presente,
tra le istanze poste dai soggetti produttori e la reale risposta da parte degli attori materiali, su per giù secondo linee interpretative che in ambito italiano sono
state inaugurate da Claudio Pavone circa mezzo secolo fa.
L’Introduction (pp. 7-22), oltre a indicare in modo così preciso il baricentro culturale dell’opera – fornendo peraltro nelle prime note un ragguaglio
piuttosto ampio della più recente letteratura internazionale in materia –, non
manca di delineare un quadro complessivo della sua struttura. I diciassette
saggi che la compongono, in lingua francese o inglese, di autori – prevalentemente storici – attivi presso università e centri di ricerca di sette diversi paesi,
sono infatti raggruppati in tre sezioni intitolate rispettivamente Archives et histoire, XVIe-XIXe siècle (pp. 45-133), Les archives comme capital social et «outil du
métier» (pp. 135-246), Changement d’échelle: les Empires aux archives (pp. 247-416).
I saggi sono in genere costruiti attorno a casi di studio ben delimitati e dotati
di un’ampiezza tematica variabile ma comunque circoscritta, il più delle volte,
a fenomeni di portata nazionale, anche se la declinazione coloniale della ter-
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