Incroci europei
nell’epistolario di Metastasio
a cura di
Luca Beltrami, Matteo Navone, Duccio Tongiorgi
M. Navone, L. Beltrami, D. Tongiorgi (a cura di) - Incroci europei nell’epistolario di Metastasio - Milano, LED, 2020
ISBN 978-88-7916-936-3 - https://www.ledonline.it/ledonline/936-Epistolario-Metastasio.html
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Palinsesti
Studi e Testi di Letteratura Italiana
DIREZIONE
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COMITATO SCIENTIFICO
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Angelo Colombo (Besançon), Fabio Danelon (Verona),
Francesca Fedi (Pisa), Enrico Garavelli (Helsinki),
Christian Genetelli (Friburgo), Gino Ruozzi (Bologna),
Anna Maria Salvadè (Milano), Francesca Savoia (Pittsburgh),
Francesco Spera (Milano), Roberta Turchi (Firenze)
I volumi accolti nella Collana
sono sottoposti a procedura di revisione e valutazione (peer review).
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ISSN 2283-6861
ISBN 978-88-7916-936-3
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sito web www.aidro.org <http://www.aidro.org/>
Il volume è pubblicato con il contributo
del DIRAAS (Università degli Studi di Genova) e
del MIUR (PRIN 2017: La costruzione delle reti europee nel ‘lungo’ Settecento:
figure della diplomazia e comunicazione letteraria)
In copertina:
Carlo Maria Viganoni, Monsignor Angelo Mai (1822),
part. (il palinsesto vaticano del De re publica di Cicerone).
Piacenza, Musei Civici di Palazzo Farnese.
C.D.J. Eisen - D. Sornique, Ritratto di Metastasio, acquaforte (part.),
in Poesie del signor abate Pietro Metastasio, tomo primo,
Parigi, presso la vedova Quillau, 1755.
Videoimpaginazione: Paola Mignanego
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Sommario
«Oh quanto mi resterebbe da dire!»: appunti in margine
all’epistolario
Luca Beltrami - Matteo Navone - Duccio Tongiorgi
7
Metastasio in Europa. Considerazioni introduttive
Alberto Beniscelli
13
Metastasio e il repertorio dell’Arte. Considerazioni
su Adriano in Siria
Francesco Cotticelli
33
Felicità sonore: le passioni musicali di Metastasio
nello specchio dell’epistolario
Raffaele Mellace
53
Calzabigi e Metastasio: Napoli, Parigi, Vienna e ritorno
Lucio Tufano
71
Dalla specola dell’abate: i movimenti delle «stelle»
sui palcoscenici d’Europa
Paologiovanni Maione
91
Lettori iberici di Metastasio: Eximeno, Andrés, Arteaga
Franco Arato
111
Da Vienna a Madrid: Ensenada, Osuna e Medinaceli
nell’epistolario Metastasio-Farinelli. Con una speculazione
statistica proemiale
Javier Gutiérrez Carou
125
Metastasio, Eugenio di Savoia e gli italiani a Vienna:
primi appunti
Pietro Giulio Riga
145
Metastasio e il mondo inglese
Carlo Caruso
165
5
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SOMMARIO
«Novus rerum nascitur ordo»: Metastasio e la Russia
William Spaggiari
179
Il teatro della diplomazia: Pietro Metastasio tra Vienna
e Dresda
Andrea Lanzola
195
Metastasio a Vienna, tra il sogno del ritorno e la favola
delle Muse amanti
Gianfranca Lavezzi
213
Gorizia, Trieste, Vienna: le lettere di Metastasio
a Francesca Torres Orzoni
Paola Cosentino
231
Tra diplomazia e teatro: Giuseppe Bonechi nell’epistolario
di Metastasio
Luca Beltrami
253
«Riveritissima mia signora donna Eleonora»: Metastasio critico
letterario nel carteggio con Eleonora de Fonseca Pimentel
Silvia Tatti
271
Indice dei nomi
291
6
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Raffaele Mellace
Felicità sonore:
le passioni musicali di Metastasio
nello specchio dell’epistolario
DOI:
https://dx.doi.org/10.7359/936-2020-mell
La riflessione qui proposta intende soddisfare una curiosità più che
legittima nel caso del letterato che più di ogni altro ha influito sul panorama musicale del suo secolo. Se i compositori potevano ritenere il
poeta «lo maestro dei maestri di cappella drammatici», stando a quanto avrebbe dichiarato Giovanni Paisiello nel 1784 1, qual era la musica
che piaceva a Metastasio? Dove si orientavano i suoi gusti? E dunque,
implicitamente, quale musica avrebbe auspicato il poeta per i suoi testi,
drammatici e da camera? Inutile dire come anche in questa circostanza
l’epistolario rappresenti la fonte più generosa d’indicazioni, se non l’unica: una fonte da maneggiare, si sa, con la dovuta cautela, e tuttavia un
documento di straordinaria importanza, in cui la relativa parsimonia dei
giudizi critici è compensata dall’ampiezza dell’arco cronologico che tali
giudizi, spesso impliciti e somministrati tra le righe, vengono a coprire,
dalla varietà delle occasioni che li determinarono e degli interlocutori
cui vennero diretti; infine dalla puntualità della loro formulazione. Il
presente contributo non si propone alcuno spoglio sistematico di tali
occorrenze, né intende ripercorrere i sentieri di indagini già condotte
su altro piano 2. Si propone semplicemente di interrogare il poeta, in1 G.G. Ferrari, Aneddoti piacevoli e interessanti occorsi nella vita di Giacomo Gotifredo Ferrari da Roveredo, vol. I, London, presso l’Autore, 1830, p. 110.
2 Alludo al saggio antesignano di N. Pirrotta, I musicisti nell’epistolario
di Metastasio, in Convegno indetto in occasione del II centenario della morte di
Metastasio (Roma, 25-27 maggio 1983), Roma, Accademia Nazionale dei Lincei,
1985, pp. 245-255.
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RAFFAELE MELLACE
tervistarlo, per così dire, sulla base delle annotazioni lasciate trapelare,
con studiata nonchalance, fra le pagine del monumentale epistolario.
1. UNA SPONDA DA CUI STACCARSI
Giungendo a Vienna nell’aprile 1730, Metastasio vi trovava, insediato
ormai da quattordici anni nella carica di Vicemaestro di Sua Maestà
Cesarea e Cattolica, il veneziano Antonio Caldara. Lasciata già a fine
Seicento la Serenissima dove si era formato nei medesimi anni e ambienti di Vivaldi, il musicista mise il suo cospicuo talento al servizio di
principi e prelati, diventando maestro di cappella prima di Ferdinando
Carlo, ultimo duca di Mantova, e poi, come successore di Handel, di
Francesco Maria Ruspoli, principe di Cerveteri, nella Roma in cui lavorò a stretto contatto con Corelli, gli Scarlatti e Bernardo Pasquini.
Già dal 1708 corteggiava l’arciduca Carlo d’Asburgo, prima inviandogli una serenata a Barcellona, al tempo dell’incoronazione a Carlo III
di Spagna, poi facendosi notare a Vienna. Col 1716 giunse la nomina
ufficiale alla Corte imperiale, dove Caldara s’impose come il principale
interlocutore musicale di Carlo VI, tra i membri più dotati d’una dinastia molto appassionata di musica. Benché ufficialmente fosse Johann
Joseph Fux a ricoprire la carica di maestro di cappella, era infatti il
vice Caldara a sostituirlo sovente (anche nella direzione dell’opera Costanza e fortezza che nel 1723 celebrò l’incoronazione di Carlo a re di
Boemia), a riscuotere uno stipendio generosissimo, ben maggiore del
collega, e ad assumersi l’onere, oltre che di molta musica da chiesa e
oratori, della produzione per il teatro di corte, per il quale, nelle varie
sedi e nei vari generi, Caldara realizzò oltre cinquanta lavori contro la
decina scarsa di Fux. In quella posizione toccò al musicista produrre
ben tredici prime intonazioni tra drammi, azioni sacre, azioni e feste
teatrali, metastasiane tra il 1730 e il dicembre 1736, quando Caldara
passò a miglior vita 3.
E tuttavia il poeta non trovò in Caldara la musica che si sarebbe
augurato. Erano ormai ben consolidati nel compositore, già sessantenne
(classe 1670 o al più tardi ’71) all’arrivo di Metastasio, gusto e concezio3 In ordine cronologico: La Passione di Gesù Cristo Signor nostro, Sant’Elena al Calvario, Il Demetrio, La morte di Abel, L’asilo d’amore, Adriano in Siria,
L’Olimpiade, Demofoonte, La clemenza di Tito, Le Grazie vendicate, Le cinesi,
Achille in Sciro e Il Temistocle.
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LE PASSIONI MUSICALI DI METASTASIO
ne drammaturgica maturati nel corso di quasi mezzo secolo di attività
instancabile, profusa a ogni latitudine e virtualmente in tutta la gamma
dei generi e delle forme disponibili ai musicisti di quella generazione,
coltivati con assiduità in ciascuna stazione d’una carriera brillante, di
cui ci resta un catalogo di circa 3.400 composizioni, inaugurato da una
prima raccolta a stampa uscita già nel 1693 4. Invece di convertire il musicista al proprio progetto drammaturgico innovatore, il poeta, di una
generazione intera più giovane, dovette piuttosto subire l’autorevolezza
del compositore e del gusto viennese da lui incarnato, ad esempio nella
traduzione come cerimoniale minuetto della scena di Olimpiade, I, 4,
prescindendo dall’evidente intenzione del poeta di stabilire un clima
pastorale 5. Se è vero da un lato che i due artisti erano sicuramente accomunati nella prassi scenica dal «moderno insistere sulla matrice razionalistica e quasi astratta della propria poetica teatrale» 6, l’epistolario
restituisce con chiarezza lo scarso entusiasmo del poeta per il compositore. Certo, costante e apparentemente sincera risulta la stima verso
Caldara nelle poche lettere in cui quest’ultimo viene nominato: una stima che consiste tuttavia essenzialmente nell’apprezzamento per la sola
scienza contrappuntistica. Caldara è ricordato come «insigne contrappuntista» sia nella lettera del 22 luglio 1776 a Antonio Eximeno 7, sia in
quella di sei anni prima, del 7 maggio 1770, a Saverio Mattei 8, quasi che
tale qualifica si fosse insediata nella memoria del poeta come divisa propria del compositore a quarant’anni dalla scomparsa di quest’ultimo.
In un’altra lettera gli è riservato l’onore di venire affiancato a Porpora,
l’antico maestro a Napoli del poeta, nella veste di giudice qualificato
delle stravaganze dei salmi di Benedetto Marcello 9. Altrove il giudizio
4 Lo notava già Robert Freeman: «By the time he [Metastasio] succeeded
Zeno in Vienna during 1729, Caldara had apparently become too accustomed
to his own operatic premises and procedures to have been much affected»
(R. Freeman, Opera without Drama: Currents of Change in Italian Opera, Ann
Arbor, University of Michigan, 1981, p. 171).
5 Cfr. L. Bianconi, Die Pastoralszene in Metastasios Olimpiade, in Bericht
über den internationalen musikwissenschaftlichen Kongreß Bonn 1970, herausgegeben von C. Dahlhaus, H.J. Marx, M. Marx-Weber, G. Massenkeil, Kassel,
Bärenreiter, 1971, pp. 185-191.
6 J. Joly, Dagli Elisi all’inferno. Il melodramma tra Italia e Francia dal 1730
al 1850, Firenze, La Nuova Italia, 1990, p. 295.
7 P. Metastasio, Tutte le opere, a cura di B. Brunelli, 5 voll., Milano, Mondadori, 1943-1954 (voll. III-V: Lettere), vol. V, pp. 399-402: 402.
8 Ivi, pp. 7-10: 9.
9 Ibidem: vi rievoca Caldara, «infastidito un giorno dal prolisso ed eccessivo
elogio che gli andava facendo il cardinale Passionei, allor nunzio in Vienna, de’
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sul «rotondissimo consorte» 10 della signora Nina suona decisamente
più ambiguo. Ad esempio, laddove, parlando alla Bulgarelli, imputa sì
l’insuccesso della musica scritta da Caldara per il Demetrio, prima fatica
scenica di Metastasio a Vienna, alla volubilità degli spettatori, ma non
manca di accompagnare questo parere con una maliziosa osservazione
sulla collocazione stilistica della partitura: «La musica è delle più moderne che faccia il Caldara; ma non ha tutta la fortuna appresso il mondo incontentabile» 11. La mancata congenialità tra i due artisti emerge
con chiarezza, si direbbe a mo’ di bilancio – insieme al rimpianto del
poeta per il destino d’aver avuto un simile compagno di strada proprio
nel momento della sua massima felicità creativa –, nella già citata, ben
tarda lettera a Eximeno:
Come poss’io informarla delle migliori musiche de’ miei drammi, non
avendo quasi intese se non quelle che si sono prodotte su questo cesareo
teatro? E di queste la maggior parte scritte dal celebre Caldara, insigne
maestro di contrappunto, ma eccessivamente trascurato nell’espressione
e nella cura del dilettevole. 12
Lo sconforto di quest’affermazione dell’anziano poeta trova certo
un’evidente giustificazione nel tentativo di dissuadere il suo corrispondente dall’«immensa e dispendiosissima operazione […] d’una nuova
ristampa de’ miei drammi con le loro più felici musiche» 13. E tuttavia
resta incontrovertibile la mancanza di mutua dilectio tra i due artisti,
incomprensione che, per quanto se ne sa, non risulta determinata
da dissapori personali, ma andrà ricondotta, non tanto alla distanza
generazionale tra i due autori, quanto alla vera e propria rivoluzione
estetica che aveva investito il mondo musicale negli anni Venti del Settecento.
Salmi del Marcello, gli disse in mia presenza: ‘Io non saprei trovare in quei salmi
altro di raro che la stravaganza’». Episodio cui Metastasio fa seguire il racconto
di uno analogo che sarebbe avvenuto a Venezia, dove Porpora avrebbe contestato allo stesso Marcello, sempre alla presenza del poeta, una serie di errori,
attribuendoli malignamente all’imperizia dello stampatore.
10 Così ci si riferisce a Caldara nella lettera a Giuseppe Peroni del 22 gennaio 1735, in Metastasio, Tutte le opere, III, pp. 120-121: 121.
11 Lettera del 10 novembre 1731, ivi, pp. 58-59: 59.
12 Ivi, V, p. 402.
13 Non sembra che Pirrotta (I musicisti nell’epistolario, p. 248) prenda adeguatamente in considerazione questa imprescindibile attenuante del pur netto
giudizio del poeta.
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LE PASSIONI MUSICALI DI METASTASIO
2. UN NUOVO IDEALE MUSICALE
«Eccessivamente trascurato nell’espressione», è infatti un’accusa difficilmente sostenibile in un ipotetico processo intentato alla musica di
Caldara. Non regge alla prova della congerie di arie inventate in mezzo
secolo per gli affetti, le situazioni, i personaggi più disparati di drammi
sacri e profani. Non regge neppure rispetto ai testi metastasiani che
Caldara fu il primo a intonare 14. Sarebbe sufficiente ascoltare la capitale aria del primo uomo, Sesto, «Se mai senti spirarti sul volto» dalla
Clemenza di Tito per verificarne l’attenzione alla retorica musicale degli affetti funzionale alla tensione emotiva, la perfetta congruenza col
messaggio veicolato dal testo, la resa attenta della prosodia, infine proprio la cura per l’espressione. Certo, l’invenzione tematica che presiede
all’aria è evidentemente di natura strumentale, ha un che di squadrato,
è in qualche misura autonoma rispetto al testo (la versione strumentale proposta dal ritornello introduttivo potrebbe aprire agevolmente
un tempo di concerto): non nasce insomma dal canto, come sonorizzazione dei versi del poeta come invece avviene per l’intonazione del
medesimo testo proposta da Johann Adolf Hasse l’anno dopo al nuovo
Teatro Pubblico di Pesaro. E proprio qui sta la questione: Caldara e
Metastasio si trovano sulle due sponde opposte di quella rivoluzione
che impose – non esclusivamente ma in misura determinante dalla
Napoli dove Metastasio aveva sviluppato, esattamente in quel frangente, il proprio gusto – una nuova concezione della musica promossa
da autori nati dopo il 1690 (Porpora, classe 1686, è l’antesignano di
questa sensibilità moderna). Questa nuova leva di compositori porta a
compimento, in termini che risultarono subito evidenti a tutti, quella
tendenza verso la semplificazione caldeggiata dalla cultura dell’Arcadia
letteraria. Voltare le spalle all’artificiosità dell’arte barocca, convertirne
l’opulenza delle forme nel segno più snello e grazioso del rococò, sostituire l’horror vacui delle decorazioni pletoriche con linee più chiare
e razionali, rinunciare alla densità semantica della metafora per una
comunicazione meno concettuale e più diretta costituivano già da due
14 È possibile verificare all’ascolto la qualità di alcune intonazioni metastasiane di Caldara grazie alle registrazioni integrali della Passione di Gesù Cristo
(Europa Galante, dir. F. Biondi, CD Virgin, 1999) e della Clemenza di Tito (Orchestra della Stagione Armonica, dir. S. Balestracci, CD Bongiovanni, 2004) e
a una selezione importante di arie da diversi titoli proposta dai CD Philippe
Jaroussky, Caldara in Vienna. Forgotten Castrato Arias (Concerto Köln, dir.
E. Haim, CD Virgin, 2010) e Caldara – In dolce amore (R. Johannsen, Academia
Montis Regalis, dir. A. De Marchi, CD Sony, 2014).
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RAFFAELE MELLACE
decenni parole d’ordine comuni alla poesia, alle arti figurative e all’architettura. Nella musica tale svolta – cioè il primato della naturalezza e
del sentimento sull’artificio d’una costruzione ricercata 15 – introdusse
una dicotomia tra colto e galante, una contrapposizione tra due concezioni della funzione stessa dell’evento musicale tale da caratterizzare
il secolo intero. È quanto s’intendeva a Napoli quando, nel 1732, si
qualificava Pergolesi tra i «sogetti che compongono sopra il gusto moderno», mentre Rousseau, alla voce Compositeur del suo Dictionnaire
de musique distingue tra un deprecabile «gusto bizzarro e capriccioso
che semina ovunque il barocco e il difficile, che non sa ornare l’armonia se non a forza di dissonanze, di contrasti e rumore» e il vero genio
musicale, cioè quel «fuoco interiore […] che ispira senza tregua canti
nuovi e sempre piacevoli; espressioni vive, naturali, dirette al cuore;
un’armonia pura, toccante, maestosa, che rinforza e prepara il canto
senza soffocarlo» 16. Sul piano compositivo il nuovo stile comporta il
primato dell’omofonia sul contrappunto, della melodia sull’accompagnamento, che dovrà essere il più trasparente possibile per esaltare lo
svettare della linea melodica, quest’ultima a sua volta dall’invenzione
succinta; maggiore simmetria nella costruzione delle frasi, chiare e
regolari; sottigliezze ritmiche ammiccanti come il ritmo lombardo (in
cui la nota più breve precede la più lunga), antitetico al solenne ritmo
puntato dell’ouverture, o un dislocamento imprevisto dell’accento sul
tempo debole della battuta; prevalenza assoluta delle tonalità maggiori (nella prima Didone abbandonata di Jommelli, 1747, su 26 arie una
soltanto, e non tra le principali, è in modo minore); passo armonico
Espresse in modo icastico il concetto come contrapposizione tra «musica per gli occhi» e musica «per l’orecchio» Johann Joachim Quantz, a Napoli
negli anni della gioventù metastasiana, che raccontò in questi termini a Charles
Burney il suo percorso: «M. Quantz, after studying counterpoint [l’arte in cui
eccelleva Caldara], which he calls music for the eyes, during six months, under
this master [Francesco Gasparini], went to work fort the ear, and composed solos, duos, trios and concertos» (Ch. Burney, The Present State of Music in Germany, the Netherlands, and United Provinces, vol. II, London, Becket and Co.,
1773, pp. 182-183).
16 «Ce que j’entends par génie n’est point ce goût bisarre & capricieux qui
seme par-tout le baroque & le difficile, qui ne sait orner l’Harmonie qu’à forcé
de Dissonances, de contrastes & de bruit. C’est ce feu intérieur qui brûle, qui
tourmente le Compositeur malgré lui, qui lui inspire incessamment des Chants
nouveaux & toujours agréables; des expressions vives, naturelles & qui vont au
cœur; une Harmonie pure, touchante, majestueuse, qui renforce & pare le Chant
sans l’étouffer» (J.J. Rousseau, Dictionnaire de musique, Paris, Duchesne, 1768,
p. 109).
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LE PASSIONI MUSICALI DI METASTASIO
placido; primato del diatonismo; declassamento del basso a pura base
armonica, privato di qualsiasi funzione contrappuntistica; andamento
agogico mosso, che sostituisce ai solenni Grave, Largo, Adagio più cordiali Andanti e Andantini, spesso connotati come affettuosi.
Non è dunque tanto «nell’espressione» che Caldara doveva suonare
«trascurato» alle orecchie di Metastasio, aduso al linguaggio più progressivo da un intero decennio trascorso nell’Italia in cui questo dolce
stil novo imperversava, quanto piuttosto rispetto al secondo membro
del giudizio metastasiano, ovvero «nella cura del dilettevole». Fa eco al
poeta quella che fu per quarant’anni la sua padrona, Maria Teresa d’Austria, che il 17 agosto 1771, scrivendo alla nuora Maria Beatrice d’Este a
proposito di Hasse, che nel 1734 era stato suo maestro di musica, lo definisce «le premier qui a rendu la musique plus agréable, plus légère» 17.
Anche per Maria Teresa il termine di riferimento era Caldara, già in carica a Vienna alla nascita dell’arciduchessa, alle cui nozze il compositore
avrebbe assicurato la festosa solennità della partitura per Achille in Sciro,
penultimo spettacolo della sua lunga carriera. Proprio come per la sovrana, che aggiungeva a quel giudizio su Hasse un non meno lusinghiero
«J’ai toujours estimé, de préférence à toutes autres, ses compositions»,
anche per Metastasio l’ideale musicale fatto proprio negli anni giovanili
rimase per tutta l’esistenza – non soltanto, si badi, come idealizzazione
senile di felici esperienze esistenziali e intellettuali di gioventù – il punto
di riferimento indefettibile, per quante novità, e furono molte, la scena
viennese gli venisse a offrire nel corso dei decenni.
3. TRE VOCI PER UN POETA
È evidente come la formazione e lo sviluppo del gusto musicale di Metastasio fossero avvenuti in un ambiente fortemente influenzato dagli
autori che a Napoli negli anni Venti andavano propugnando il nuovo
stile, autori cui andrà anche riconosciuta una qualche influenza nell’orientare alcuni tratti genetici del teatro metastasiano, del quale a loro
volta colsero la straordinaria musicalità. Se tra questi rivestono un ruolo di primo piano Nicola Porpora e Leonardo Leo, entrambi interpreti
fondamentali della prima ora del verbo metastasiano, di cui restituirono realizzazioni emblematiche e dalla qualità estetica eccelsa, furono
17 Briefe der Kaiserin Maria Theresia an ihre Kinder und Freunde, herausgegeben von A.R. von Arneth, Bd. III, Wien, Braumüller, 1881, p. 119.
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in particolare altre tre le «voci» che agli occhi, anzi, alle orecchie del
poeta riuscirono nell’intento di sonorizzare nei termini più convincenti
i suoi versi, e incarnarono così nell’immaginario metastasiano il paradigma della più autentica musicalità melodrammatica. Tre voci con le
quali Metastasio ebbe modo di collaborare variamente e sulle quali i
giudizi espressi nell’epistolario non lasciano adito a dubbi. Anzi, i tre
nomi in questione compaiono come una serie coerente e compatta in
una lettera in cui il poeta, nell’elogiarne uno, chiama in causa direttamente gli altri due. Si tratta della missiva inviata il 12 novembre 1749
al Farinello, interlocutore col quale la comunicazione attorno ad argomenti musicali assume naturalmente carattere di sincerità e puntualità,
anche lessicale. Metastasio ha appena ascoltato della musica di Niccolò
Jommelli, giunto a Vienna a intonare l’Achille in Sciro e, per la seconda
volta, la Didone abbandonata 18. Nell’elogiare Jommelli, come si dirà,
per farne comprendere a tanto corrispondente le qualità, il poeta non
trova di meglio se non confrontarlo con altri due autori ben noti al
Farinello: «Ho trovato in lui tutta l’armonia del Sassone, tutta la grazia
tutta l’espressione e tutta la fecondità di Vinci» 19. Inconsapevolmente,
con un colpo di penna ben assestato Metastasio aveva già delineato, a
metà della sua parabola viennese, la triade destinata a rimanere il punto
di riferimento del suo gusto musicale.
3.1. Vinci
La prima delle tre voci a risuonare della parola metastasiana è quella
di Leonardo Vinci, il compositore calabrese di formazione napoletana che il poeta frequentò assiduamente tra il 1726 e il 1730. In quel
lustro, l’ultimo italiano del poeta, Vinci ebbe la ventura di realizzare,
tra Venezia e Roma, la prima intonazione di ben cinque dei sei nuovi
drammi messi in scena da Metastasio: tutti i titoli tra il Siroe (la Romanina vi cantava Emira) e l’Artaserse 20 con la sola eccezione dell’Ezio, il
cui battesimo spettò a Porpora. La morte, improvvisa e in circostanze
misteriose, del compositore, che probabilmente non aveva compiuto
nemmeno i 35 anni (era nato forse nel 1696, un paio d’anni prima del
18 Le edizioni critiche dei due drammi sono in preparazione, rispettivamente per le cure di Giada Viviani e Daniele Carnini, nel quadro della collana «Musica teatrale del Settecento Italiano – I drammi di N. Jommelli», Pisa, ETS.
19 Metastasio, Tutte le opere, III, pp. 437-446: 444.
20 Cioè, oltre ai due drammi estremi, il Catone in Utica, la Semiramide riconosciuta e l’Alessandro nell’Indie.
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poeta), tre mesi dopo quel 1730 in cui aveva messo in scena l’Alessandro nell’Indie e l’Artaserse, limitò forzatamente il canone delle sue
intonazioni metastasiane alle opere del periodo italiano del poeta. Alla
serie già notevolissima delle cinque prime intonazioni citate occorrerà
aggiungere la ripresa della primogenita Didone abbandonata, intonata
a Roma due anni dopo il debutto napoletano con musica di Sarro. Se
si considera che, stando a Saverio Mattei, il primo titolo metastasiano era stato affidato a Sarro poiché questi era all’epoca maestro di
musica di Anna Francesca Pinelli principessa di Belmonte, mecenate
del poeta 21, risulta ancora più evidente quanto Vinci rappresentasse
negli anni italiani per Metastasio il punto di riferimento primario,
preferenziale rispetto al numero cospicuo di operisti di vaglia attivi a
Napoli; non tanto Pergolesi, la cui breve stagione ebbe luogo quando
il poeta era già a Vienna, ma soprattutto Sarro, Porpora e Leo. Tutti
e tre avrebbero fatto propri assai precocemente i testi metastasiani: i
primi due tenendone a battesimo uno ciascuno, il terzo intonandone
diversi fino alla sua scomparsa nel 1744; tutti e tre offrendo intonazioni di riferimento e storicamente importanti. Per limitarsi a Sarro,
sono sue la versione canonica, quella poi consegnata alle edizioni a
stampa, del Siroe (Napoli, 1727), così come l’Achille in Sciro che nel
1737 inaugurò il Teatro di San Carlo. Eppure nessuno dei tre fece
mai breccia nei gusti del poeta: non Sarro, il cui nome mai compare
nell’epistolario; non Leo, che attraversa l’epistolario come una meteora, con due occorrenze esclusivamente «di servizio», prive di qualsiasi
giudizio estetico 22; non Porpora, la cui frequentazione napoletana,
sin dall’Angelica del 1720, fu sicuramente assidua e tempestosa, ben
documentata anche dall’epistolario, ma che, forse anche per ragioni
personali, non fruttò altro se non l’ammirazione per «un uomo di quel
merito nella sua professione», come il poeta scrisse al Farinello nella
splendida lettera del 7 maggio 1757 in cui intercede per il musicista,
ridotto sul lastrico dalle vicende della guerra dei Sette anni 23. Vinci
L’asserzione si baserebbe su una comunicazione diretta della principessa
al Mattei: cfr. S. Mattei, Memorie per servire alla vita del Metastasio, Colle Val
d’Elsa, Martini, 1785, p. 66.
22 Una prima volta quando il poeta sta proponendo al Farinello, nella lettera citata sopra, di scritturare Jommelli per Madrid: «se vi trovaste più comodo
a farlo scrivere e mandare le sue composizioni, come si è fatto per Leo»; una
seconda quando, scrivendo sempre al Farinello il 6 novembre 1751, Leo vi è ricordato in qualità di maestro di Giuseppe Bonno (cfr. Metastasio, Tutte le opere,
III, rispettivamente pp. 444 e 682).
23 Rivelatrice, rispetto a trascorsi che non potevano evidentemente che
mettere in cattiva luce Porpora agli occhi tanto di Metastasio che di Farinello,
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fu insomma il partner ideale degli anni italiani del poeta e rimase ben
saldo nella memoria di quelli viennesi, complice anche la circostanza
tragica dell’improvvisa scomparsa del compositore, avvenuta quando
Metastasio si trovava da poche settimane a Vienna: scomparsa che, un
anno più tardi, detterà al poeta questa riflessione accorata offerta alla
Bulgarelli:
Povero Vinci! Adesso se ne conosce il merito, e vivente si lacerava. Vedete se è miserabile la condizione degli uomini. La gloria è il solo bene
che può renderci felici; ma è tale che bisogna morire per conseguirla, o
se non morire, essere così miserabili per altra parte che l’invidia abbia
dove compiacersi. 24
Morendo tanto giovane, questo Bellini ante litteram lasciava un canone
di lavori percepiti, in primis da Metastasio, come classici 25. Fu infatti la
musica di Vinci a rappresentare per il poeta l’ideale melodrammatico,
senz’altro nei vent’anni che seguirono la scomparsa del musicista, come
attesta la lettera citata del 1749, che elogia la «grazia», l’«espressione»
e la «fecondità» del compositore calabrese. Dopo di allora il nome di
Vinci scompare tuttavia dall’epistolario: un dato forse non meritevole
di attenzione, oppure al contrario indizio che in realtà il gusto metastasiano, complice anche l’affievolirsi della memoria di eventi musicali
che non potevano godere degli attuali mezzi di riproduzione sonora,
si stava orientando verso gli altri due autori del triumvirato che quella
stessa lettera aveva costituito.
la chiusa della lettera: «Se mai il demonio vi facesse sovvenire di qualche irregolarità nel costume di Porpora, pensate che le infermità dell’animo non meritano minor compassione di quelle del corpo; e che quando anche il Porpora non
meritasse d’esser beneficato, merita Farinello d’esser benefattore» (cfr. ivi, IV,
pp. 10-11: 11).
24 Lettera del 7 luglio 1731, ivi, III, pp. 57-58: 57.
25 Vinci sta godendo di una cospicua fortuna scenica, disco e videografica, che permette di ascoltare, e talvolta persino di vedere, fra le sue intonazioni
metastasiane, la Didone abbandonata (Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, dir. C. Ipata, CD e DVD Dynamic, 2017), il Siroe (Orchestra del Teatro di
San Carlo, dir. A. Florio, CD Dynamic, 2019), il Catone in Utica (Il pomo d’oro,
dir. R. Minasi, CD Decca, 2015), l’Artaserse (Concerto Köln, dir. D. Fasolis, CD
Virgin Classic, 2012 e DVD Waner Classics - Erato, 2014); è persino disponibile
la Didone arrangiata nel 1737 da Handel a Londra (Lautten Compagney, dir.
W. Katschner, CD Sony Music, 2018), così come un’ormai storica registrazione di un florilegio di arie vinciane (Vinci, Arie d’opera, dir. M.A. Peters, Solisti
dell’Orchestra internazionale d’Italia, CD Nar, 1994).
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3.2. Jommelli
La lettera al Farinello citata prima registra l’incontro con la musica di
Jommelli nei termini d’una folgorazione:
Sappiate che ha composte qui due opere mie un maestro di cappella
napolitano chiamato Niccolò Jomelli, uomo di trentacinque anni in circa, di figura sferica, di temperamento pacifico, di fisionomia avvenente, d’ottime maniere e di costume amabilissimo. Egli mi ha sorpreso.
Ho trovato in lui tutta l’armonia del Sassone, tutta la grazia tutta l’espressione e tutta la fecondità di Vinci. […] Voi ne avrete certamente
notizie altronde, ma è bene che ne sappiate anche il mio voto. Mi pare
ch’egli desideri di farsi sentire in Spagna. Se mai vi occorre, io vi assicuro che vi farà onore. […] Fate uso della notizia, che non è raccomandazione […]. 26
Lo Jommelli che il poeta ha appena conosciuto e ascoltato a Vienna,
classe 1714 come il poeta correttamente riferisce al «caro gemello»,
è reduce dal decennio che l’ha lanciato in una fortunata carriera internazionale: decennio posto sotto la tutela di due successi teatrali in
prospettiva assai remunerativi: quello romano del Ricimero re de’ Goti (1740) e appunto la duplice affermazione viennese con l’Achille in
Sciro e la riveduta Didone abbandonata, alla Corte imperiale e con la
benedizione di Metastasio. Al trionfo dell’operista infaticabile (26 titoli tra il 1740 e il ’49) e al pubblico riconoscimento dell’autorevolezza
del giovane compositore (nel 1745 Jommelli è chiamato a selezionare
con Perti Hasse e Costanzi il successore di Leo a primo maestro della
Cappella reale di Napoli), si andava accompagnando, come accadeva
spesso all’epoca, l’attività nel campo della musica da chiesa, incentivata da due nomine prestigiosissime, alla testa del veneziano Ospedale
degli Incurabili e della Cappella Giulia in San Pietro in Roma (dove
Jommelli fu maestro coadiutore dal 20 aprile 1749, e maestro dall’anno
successivo). Intensa in particolare in quegli anni la frequentazione degli
oratori, con le intonazioni di ben quattro (e forse un quinto, Gioas)
degli otto titoli metastasiani realizzate in meno di un decennio: Isacco
figura del Redentore (1742), Betulia liberata (1743), La passione di Gesù Cristo, una delle partiture oratoriali più fortunate di tutto il secolo,
e Giuseppe riconosciuto (1749). Affascinato dai modi del compositore – anche Burney, che lo conobbe a Napoli venerdì 26 ottobre 1770,
nel notarne la somiglianza fisica con Handel lo rinvenne «yet far more
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Metastasio, Tutte le opere, III, pp. 437-446: 444.
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polite and soft in his manner» 27 – e soggiogato dalla sua musica, Metastasio intrattenne con Jommelli una corrispondenza assidua; quindici
anni più tardi, quando il compositore sarà ormai insediato in qualità di
Ober-Kapellmeister a Stoccarda, gli rimprovera il ritardo nel dar notizia
di sé, «a dispetto dell’amor mio per voi quasi peccaminoso» 28. Sulla
presenza di Jommelli nell’epistolario rimando al saggio assai circostanziato di Alberto Beniscelli contenuto in un volume monumentale che
ben compendia lo stato degli studi sul maestro di Aversa 29. Mi limito in
questa sede a segnalare una lettera cruciale per la comprensione della
concezione estetica metastasiana in campo musicale. Il 6 aprile 1765
il poeta indirizza a Jommelli una perorazione che, prendendo spunto
dalla ricezione di una scelta di arie inviatagli da Stoccarda 30, presenta
in termini inequivocabili e con memorabile efficacia retorica una posizione estetica puntuale.
Mi è stato carissimo il prezioso dono delle due arie magistrali che vi
è piaciuto inviarmi; e, per quanto si stende la mia limitata perizia musicale, ne ho ammirato il nuovo ed armonico intreccio della voce con
gl’istrumenti. L’eleganza di questi, non meno che delle circolazioni, e
quella non comune integrità del tutto insieme, le rende degne di voi.
Confesso, mio caro Jomella, che questo stile m’imprime rispetto per lo
scrittore; ma voi, quando vi piace, ne avete un altro che s’impadronisce
subito del mio cuore senza bisogno delle riflessioni della mente. Quando
io risento dopo due mila volte la vostra aria Non so trovar l’errore, o
quella Quando sarà quel dì, ed infinite altre che non ho presenti e sono
anche più seduttrici di queste, io non son più mio, e convien che a mio
dispetto m’intenerisca con voi.
Ah, non abbandonate, mio caro Jomella, una facoltà nella quale non
avete e non avrete rivali! Nelle arie magistrali potrà qualcuno venirvi
appresso con l’indefessa e faticosa applicazione; ma per trovar le vie del
cuore altrui bisogna averlo formato di fibra così delicata e sensitiva come voi l’avete, a distinzione di quanti hanno scritto note finora. È vero
che, anche scrivendo in questo nuovo stile, voi non potete difendervi di
Ch. Burney, The Present State of Music in France and Italy, London,
Becket and Co., 1773, pp. 327-328.
28 Metastasio, Tutte le opere, IV, pp. 565-566.
29 A. Beniscelli, Metastasio al bivio. Corrispondenze con Jommelli e Mattei,
in Le stagioni di Niccolò Jommelli, a cura di M.I. Biggi, F. Cotticelli, P. Maione,
I. Yordanova, Napoli, Turchini Edizioni, 2018, pp. 67-86.
30 Cfr. Metastasio Tutte le opere, IV, pp. 383-384. Non è dato sapere di
quali arie si tratti. Nei mesi immediatamente precedenti, Jommelli aveva messo
in scena al teatro di Corte di Ludwigsburg Il re pastore (4 novembre 1764), la sua
seconda versione della Clemenza di Tito (6 gennaio 1765) e un’edizione rivista
del Demofoonte (11 febbraio 1765).
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tratto in tratto dall’espressione della passione che il vostro felice temperamento vi suggerisce; ma obbligandovi l’immaginato concerto ad interrompere troppo frequentemente la voce si perdono le tracce de’ moti
che avevate già destati nell’anima dell’ascoltante, e per quella di gran
maestro trascurate la lode di amabile e potentissimo mago.
«Gran maestro» vs «potentissimo mago»: l’antitesi fa capo a una diatriba ben insediata nella cultura musicale del secolo dei Lumi, che sembra
rinnovare le riserve espresse da Johann Adolf Scheibe su Bach nel 1737,
quando, nell’ambito d’una querelle a più riprese, il compositore e teorico lipsiense esaltava la naturalezza della melodia di Johann Mattheson
contro l’armonia artificiosa (fondata cioè sulla complessità del contrappunto) dell’illustre Thomaskantor. Reagendo alle più recenti evoluzioni
dello stile di Jommelli, maturate nel corso del servizio di ben sedici
anni presso la Corte di Carlo Eugenio di Württemberg, ovvero l’inedito spazio riservato allo strumentale, nel segno di una complessità comunque distintiva dello stile di Jommelli, Metastasio richiama il compositore prediletto alla vocazione primigenia della musica drammatica,
quella di promuovere «l’espressione» della passione, termine – tecnico
si direbbe a questo punto – che ritorna a decenni di distanza tanto nella stroncatura di Caldara quanto nell’esaltazione di Vinci, e compare
anche qui. Nemmeno il «nuovo ed armonico intreccio della voce con
gl’istrumenti» è in grado di soffocare il genio di Jommelli – quello la
cui esistenza Rousseau nel Dictionnaire de musique proponeva di verificare leggendo e intonando i versi di Metastasio –, quel «felice temperamento» portato appunto naturalmente «all’espressione della passione»,
frutto di un cuore «formato di fibra così delicata e sensitiva» da trovare
«le vie del cuore altrui», in grado di celebrare quelle «nozze del piacere
con la ragione, che nelle note degli altri stanno quasi sempre in discordia», magnificate già in una lettera al compositore dell’8 aprile 1750 31.
E tuttavia l’operista dovrà vigilare affinché la tentazione del plauso
per la sottigliezza compositiva non finisca con l’offuscare la centralità
dell’operazione demandata al musicista: «destare nell’anima dell’ascoltante» i «moti» di volta in volta suggeriti dalla penna del poeta 32.
Ivi, III, pp. 508-509: 509.
Dello Jommelli metastasiano è possibile ascoltare La Passione di Nostro
Signore Gesù Cristo (Società Cameristica di Lugano, dir. A. Sacchetti, CD Accord, 1994; Berliner Barock Akademie, dir. A. De Marchi, CD 617, 1996 e Pan
Classics, 2017), la Didone abbandonata (versione 1763, Stuttgarter Kammerorchester, dir. F. Bernius, CD Orfeo, 1995), l’Ezio (versione 1763, Orchester der
Ludwigsburger Schlossfestspiele, dir. M. Hofstetter, CD Oehms, 2007).
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3.3. Hasse
Il compositore che corrispose, apparentemente senza cedimenti e per
l’intero percorso biografico, all’ideale musicale metastasiano fu però
un musicista tedesco, per quanto profondamente italianizzato: Johann
Adolf Hasse, il Sassone 33. L’anziano poeta non ne fece mistero a
Charles Burney, quando questi gli fece visita a Vienna, ormai a oltre
quarant’anni dalla scomparsa di Vinci.
I shall therefore only observe here, that he [Hasse] pursued the elegant
and simple manner of Vinci in his vocal compositions, and as he long
survived this first reformer of lyric melody, he frequently surpassed
him in grace and expression; and the operas of Metastasio, which he
set for Rome and Venice after the decease of Vinci, were not only
more applauded by the public, but more consonant to the ideas of the
poet himself, as I discovered in conversing with him on the subject, at
Vienna, in 1773. 34
Hasse – che, non sfugga nell’ottica del gusto metastasiano, Burney
mette immediatamente in relazione con lo stile di Vinci – rappresentò
per sessant’anni una presenza costante, benché in forme diverse, nella
biografia e nell’orizzonte estetico del poeta. Nulla si sa dell’eventuale
frequentazione negli anni di Napoli, dove Hasse iniziò a intonare cantate e singole arie metastasiane 35, benché sulle assi del S. Bartolomeo
abbiano entrambi debuttato ad appena due anni di distanza. La prima
evidenza d’un rapporto diretto risale all’intonazione dell’Artaserse, in
scena a Venezia dall’11 febbraio 1730, ad appena una settimana dalla
prima intonazione realizzata a Roma da Vinci. È infatti difficile immaSul rapporto tra i due artisti rimando a un mio contributo specifico,
Metastasio und Hasse, ossia Wer war Hasse für Metastasio, in Johann Adolf
Hasse. Tradition, Rezeption, Gegenwart. Bericht über das Symposion vom 23.
Bis 25. April 2010 in der Hochschule für Musik und Theater Hamburg, herausgegeben von W. Hochstein, Stuttgart, Carus-Verlag, 2013, pp. 17-23, e
al capitolo Metastasio e Hasse, in R. Mellace, Johann Adolf Hasse, Palermo,
L’Epos, 2004, pp. 261-273 (ed. ted. riv. Beeskow, Ortus Musikverlag, 2016,
pp. 224-234).
34 Ch. Burney, A General History of Music, from the Earliest Ages to the
Present Period, vol. IV, London, the Author, 1789, p. 549.
35 La cantata Orgoglioso fiumicello (L’inciampo) veniva già copiata nel 1727
a Vienna per il duca Anton Ulrich di Sassonia-Coburgo-Meiningen: cfr. L. Bennett, A Little-known Collection of Early-eighteenth-century Vocal Music at Schloss
Elisabethenburg, Meiningen, in «Fontes Artis Musicae», 48 (2001), pp. 250-302:
270, 275 e 298.
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ginare che il compositore ottenesse la scrittura all’insaputa del poeta 36.
Scomparso pochi mesi più tardi Vinci, nel breve giro d’un lustro Hasse
si impone come l’alfiere nella diffusione dei drammi del poeta cesareo sulle scene europee. Per Hasse Metatasio costituisce il riferimento
drammaturgico-letterario fondamentale, in un rapporto che conobbe
diverse fasi nel corso di mezzo secolo. Complessivamente nella propria
carriera, che si concluderà insieme a quella di Metastasio nel 1771, il
Sassone intonerà – caso unico – tutti i drammi del poeta cesareo salvo
il solo Temistocle, ma incluso il Siface scritto dal poeta «non volendo» 37
(col titolo di Viriate), diversi dei quali in più versioni nelle varie stazioni della sua attività, a Dresda, a Venezia e in altre piazze italiane:
Milano, Torino, Pesaro e naturalmente Napoli 38. Tra il 1727 e il 1776,
l’anno del Ciclope veneziano, mise inoltre in musica cantate, azioni,
feste teatrali e azioni sacre metastasiane; tra queste ultime il Giuseppe riconosciuto, la Sant’Elena al Calvario, in due versioni lontanissime
separate da trent’anni, e quella Conversione di Sant’Agostino che non
rientra nel canone degli oratori metastasiani, ma al cui testo, firmato
dalla principessa Maria Antonia Walpurgis, il poeta contribuì in misura
determinante, con «molte variazioni» 39.
36 Cfr. R. Strohm, Dramma per musica. Italian Opera Seria of the Eighteenth
Century, New Haven - London, Yale University Press, 1997, pp. 78-79.
37 Lettera del 27 gennaio 1748 a Giovanni Claudio Pasquini, in Metastasio,
Tutte le opere, III, pp. 333-336: 335.
38 Dei drammi metastasiani intonati da Hasse è possibile ascoltare l’Artaserse (Orchestra Internazionale d’Italia, dir. C. Rovaris, CD e DVD Dynamic,
2012), la Cleofide (cioè l’Alessandro nell’Indie, Cappella Coloniensis, dir.
W. Christie, CD Capriccio, 1987 e 2011), la Didone abbandonata (Hofkapelle
München, dir. M. Hofstetter, CD Naxos, 2013), l’Attilio Regolo (Cappella Sagittaria Dresden, dir. F. Bernius, CD Profil, 2018) e il Siroe (seconda versione,
Armonia Atenea, dir. G. Petrou, CD Decca, 2014).
39 Lettera del 14 febbraio 1750 a Giovanni Claudio Pasquini, in Metastasio, Tutte le opere, III, pp. 487-488: 487. L’estensione, si direbbe l’invasività,
della collaborazione del poeta si può desumere da un’altra lettera metastasiana,
non autografa e cassata, mancante dall’edizione Brunelli, inviata alla principessa l’8 luglio 1750 in merito a un’altra operazione di revisione, questa volta sulla
pastorale Il trionfo della fedeltà. La lettera (Wien, Österreichische Nationalbibliothek, A-Wn, cod. 10277, cc. 240-243), è edita in R. Candiani, Sull’epistolario di Pietro Metastasio. Note e inediti, in «Giornale Storico della Letteratura
Italiana», CIX (1992), pp. 49-64: 56, 58-60. Sul tema cfr. A. Lanzola, Fra Metastasio e Hasse. La conversione di Sant’Agostino di Maria Antonia Walpurgis
di Baviera (1750), in Il Settecento e la religione, a cura di P. Delpiano, M. Formica, A.M. Rao, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2018, pp. 265-278:
268-269.
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Sebbene Hasse si trovasse già nel 1734 a Vienna, dove, come si è
detto, insegnò musica all’allora arciduchessa Maria Teresa, un rapporto stretto tra i due artisti è documentato solo col 1744. È lo stesso poeta
a informarcene, in termini che parrebbero denunciare il compiersi di
una svolta, di un approfondimento più personale nei rapporti:
mai fin ora non mi era avvenuto di vederlo all’intero suo lume, […] di
modo che era un’aria senza stromenti; ma ora lo vedo padre, marito ed
amico, qualità che in lui fanno un accordo mirabile con quei solidi fondamenti di abilità e di buon costume per i quali io l’apprezzo da tanti
anni e l’amo quanto egli merita. 40
Da allora Hasse si guadagna gli elogi costanti del poeta, per le
tante illustri prove di sapere, di giudizio, di grazia, d’espressioni, di
fecondità e destrezza, con le quali avete voi solo finora interrotto l’intiero possesso del primato armonico della nostra nazione, dopo aver
voi, con le vostre note seduttrici, inspirata a tanti e tanti componimenti
poetici quell’anima e quella vita, delle quali gli autori non avean saputo
fornirgli; 41
per aver «scoperta tanta terra incognita nel vastissimo Oceano armonico» e perché «ogni volta che ritorno a considerare un’opera vostra,
m’incontro in qualche nuova bellezza che mi era da prima sfuggita,
e mi paga generosamente la replicata applicazione» 42; perché «la vivacità e la novità ch’io ritrovo in questa musica non so come possa
esser concepita in un’anima così frequentemente tormentata dai dolorosi inconvenienti della macchina in cui s’alloggia, e non so com’egli
si fecondi in vece d’insterilirsi nella perpetua produzione» 43; infine,
perché
senza impulso di partito, e con quella sincerità che professo specialmente con voi, posso assicurarvi che non ho mai sentita musica più armoniosa, magistrale e popolare insieme di quella che ha scritta il Sassone
in questa occasione: onde è stata conosciuta, applaudita e ammirata non
solo dagli intendenti, ma anche da quelli che son al mondo unicamente
per vegetare. 44
Lettera del 9 maggio 1744 a Giovanni Claudio Pasquini, in Metastasio,
Tutte le opere, III, pp. 246-247: 246.
41 Lettera del 20 ottobre 1749 a Johann Adolf Hasse, ivi, pp. 427-436: 428.
42 Lettera del 22 febbraio 1755 a Johann Adolf Hasse, ivi, pp. 990-991: 991.
43 Lettera del 7 gennaio 1756 a Faustina Bordoni Hasse, ivi, pp. 1084-1085:
1085.
44 Lettera del 26 aprile 1764 a Carlo Broschi, Farinello, ivi, IV, p. 355.
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LE PASSIONI MUSICALI DI METASTASIO
Tra il 1744 e il 1750 toccò a Hasse l’onore di intonare tre nuovi drammi della stagione teresiana del poeta: l’Ipermestra, l’Antigono e l’Attilio
Regolo, il primo per le nozze dell’arciduchessa Maria Anna, sorella di
Maria Teresa, con Carlo Alessandro di Lorena, fratello dell’imperatore;
gli altri due alla Corte di Dresda, dove il compositore era maestro di
cappella. L’allestimento dell’Attilio Regolo ispirerà quella celebre lettera
che rappresenta un documento unico del suo genere in cui Metastasio
propone un’interpretazione della costellazione dei personaggi di un suo
dramma, prodigando suggerimenti puntuali sul contributo che si attende dalla musica 45. L’epistolario registra una serie di episodi che costellarono i lunghi decenni di questo rapporto: l’invio di arie e solfeggi tra
il 1751 e il 1757; oppure la difficile vertenza che nell’allestimento del
Demofoonte di Dresda nel carnevale 1748 contrappose Faustina Bordoni, moglie di Hasse, a Regina Mingotti, vertenza che suggerì al poeta di
Corte Giovanni Claudio Pasquini di interpellare direttamente l’Autore
del dramma. Ragioni politico-militari e dinastiche rinnoveranno inaspettatamente e con singolare intensità il sodalizio tra i due artisti nella loro
ultima, feconda stagione. Entrambi contemporaneamente a Vienna dal
gennaio 1760 all’aprile 1773, realizzeranno insieme tre drammi e altrettante feste per le nozze dei figli di Maria Teresa e altre occasioni di primo piano da celebrarsi nella capitale asburgica, ma anche a Innsbruck
e a Milano 46. Negli stessi anni Hasse intonò, con accompagnamento
orchestrale, complimenti e cantate metastasiane.
Ricevendo alcune arie dell’Olimpiade nella primavera 1756, Metastasio non aveva potuto esimersi dal riconoscere una straordinaria sintonia artistica con l’amico:
Con la presenza del signor Belli io vado ripassando le belle arie che vi è
piaciuto mandarmi, ed insuperbisco nel trovarmi d’aver per lo più indovinata la vostra intenzione. Questo non può nascere dalla mia dottrina
armonica: onde mi giova crederlo l’effetto d’una certa somiglianza di
pensare, che suol essere l’origine ed il nutrimento della vera amicizia. 47
Quella stessa «somiglianza di pensare» che rileverà Charles Burney tre
lustri più tardi quando visiterà Vienna. I due artisti, identificati come i
Ivi, III, pp. 427-436. Per un commento dei suggerimenti metastasiani cfr.
Mellace, Johann Adolf Hasse, ed. it., pp. 266-271.
46 Mi permetto di rimandare alla monografia che ho dedicato a quella stagione: L’autunno del Metastasio. Gli ultimi drammi per musica di Johann Adolf
Hasse, Firenze, Leo S. Olschki («Historiae Musicae Cultores», 110), 2007.
47 Lettera del 1° maggio 1756 a Johann Adolf Hasse, in Metastasio, Tutte le
opere, III, p. 1113.
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M. Navone, L. Beltrami, D. Tongiorgi (a cura di) - Incroci europei nell’epistolario di Metastasio - Milano, LED, 2020
ISBN 978-88-7916-936-3 - https://www.ledonline.it/ledonline/936-Epistolario-Metastasio.html
RAFFAELE MELLACE
capi di una delle principali «sects» del gusto musicale viennese (l’altra
essendo la consorteria guidata da Calzabigi e Gluck), gli appariranno la
manifestazione vivente di una straordinaria coerenza stilistica, anzi di
una sintonia archetipica:
Questo poeta e questo musicista sono le due metà di ciò che un tempo – come l’Androgino di Platone – formava una cosa sola, poiché sono
entrambi in egual misura posseduti dai medesimi tratti caratteristici del
vero genio, del gusto e della misura; il decoro, la coerenza, la chiarezza e
la precisione sono infatti gli inseparabili compagni di entrambi. 48
48 «This poet and this musician are the two halves of what, like Plato’s Androgyne, once constituted a whole; for they are equally possessed of the same
characteristic marks of true genius, taste, and judgement; so propriety, consistency, clearness, and precision, are alike the inseparable companions of both»
(Burney, The Present State of Music in Germany, the Netherlands, and United
Provinces, I, pp. 235-236).
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M. Navone, L. Beltrami, D. Tongiorgi (a cura di) - Incroci europei nell’epistolario di Metastasio - Milano, LED, 2020
ISBN 978-88-7916-936-3 - https://www.ledonline.it/ledonline/936-Epistolario-Metastasio.html