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Laura Cerasi Il lavoro corporativo Cultura politica ed esperienze istituzionali di un sindacalista fascista Quaderni / 36 QUADERNI Il lavoro corporativo Cultura politica ed esperienze istituzionali di un sindacalista fascista di Laura Cerasi Il lavoro corporativo. Cultura politica ed esperienze istituzionali di un sindacalista fascista Di Laura Cerasi © 2020 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Viale Pasubio 5, 20154 Milano (MI) www.fondazionefeltrinelli.it ISBN 978-88-6835-400-8 Prima edizione digitale novembre 2020 Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo elettronico, meccanico, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dalla Fondazione. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Segui le attività di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli: facebook.com/fondazionefeltrinelli twitter.com/Fondfeltrinelli instagram.com/fondazionefeltrinelli Il Testo Nella storia del fascismo il ruolo del sindacato è rimasto in ombra, oscurato prima dalla strisciante competizione con il corporativismo e poi dall’espulsione dal recinto del sindacalismo democratico dopo la caduta del regime. Del sindacalismo fascista non è stato pertanto colto sino in fondo il ruolo storico. La vicenda di Giuseppe Landi – dirigente sindacale, deputato, docente universitario, e nel dopoguerra fra i fondatori del MSI e della CISNAL – costituisce quindi un osservatorio privilegiato per indagare le radici storiche dell’inclusione del lavoro nell’ordinamento istituzionale. L’azione sindacale di Landi si situa infatti negli snodi cruciali fra la dimensione organizzativa, politica e di governo, consentendo di ricostruire il radicamento della centralità “costituzionale” del lavoro nel fascismo. Seguirne la carriera, ricostruirne l’attività sindacale, decifrarne la cultura politica consente di mettere a fuoco il ruolo del sindacalismo fascista nel funzionamento delle istituzioni e nella complessa dinamica dello Stato corporativo. Indice Introduzione. Le radici corporative della centralità del lavoro 1 Capitolo 1. Il sindacato come carriera Dalla provincia al Parlamento Un sindacalista fascista al Bureau International du Travail Dalla Scuola sindacale alle aule universitarie 6 6 10 17 Capitolo 2. Pedagogia del mito corporativo Un paradigma storicistico L’Impero del lavoro Centralità del lavoro 24 24 30 35 Capitolo 3. L’importanza della categoria Nazione, famiglia, gruppi sociali Gli orientamenti corporativi della previdenza sociale Tecnica e politica della previdenza sociale 40 40 42 46 Capitolo 4. Previdenza e assistenza come progetto totalitario Sulla soglia del governo Corporazioni e sindacato Un sindacalismo corporativo 51 51 54 58 Capitolo 5. In tempo di guerra La dissoluzione del sindacato fascista La Confederazione Fascista dei Lavoratori dell’Industria Gli scioperi del marzo 1943 61 61 65 72 Conclusioni. Dopo il fascismo 78 Il lavoro corporativo Cultura politica ed esperienze istituzionali di un sindacalista fascista Introduzione Le radici corporative della centralità del lavoro Che il “lavoro” fosse posto dai fascisti più impegnati nella costruzione dello stato nuovo a fondamento della cittadinanza totalitaria, non è qui in discussione. È con la Carta eponima del 1927 che Alfredo Rocco e Giuseppe Bottai hanno inteso ridisegnare le coordinate della rappresentazione della società nello stato, individuando nella dimensione produtti-va, nell’estrinsecarsi della vita activa il punto di snodo in cui la “società degli individui” del rigettato liberalismo assumeva lo spessore e la consi-stenza dell’organizzazione sociale, la cui articolazione gerarchica, dispo-sta nella cornice nazionale, andava tradotta nel fatto politico e configura-ta negli ordinamenti corporativi. In tal modo situandosi nella prospettiva non solo dell’appropriazione totalitaria della società, ma facendo carico alla politica di individuare i fini verso cui indirizzare la nuova frontiera statualistica della vita pubblica. Certo, era uno statualismo la cui ambizione al comando monistico si frantumava e si scomponeva nei diversi rivoli degli interessi e del-le aree particolaristiche, in cui è stato riconosciuto risiedere l’autentico tratto di originalità nell’esperienza storica e 1 istituzionale del fascismo italiano, con la sua combinazione di concentrazione personalistica del potere e pluralizzazione centrifuga e negoziale della prassi di governo1. E va inoltre rilevato come il “lavoro” cui veniva fatto riferimento nel discorso politico del fascismo fosse un “lavoro” disincarnato, più evocato che concretamente rappresentato, spossessato di soggettività, imbrigliato in canali coattivi di rappresentanza, privato dello strumento della conflittualità e subordinato agli obiettivi di grandezza nazionale dichiarati dal regime2. Si trattava, comunque, di un lavoro industriale, operaio, contrassegno della modernità, e in quanto tale perno della riorganizzazione corporativa dei rapporti fra la società e lo stato. Non sono questi, del resto, i soli aspetti contraddittori del fascismo italiano, che davano luogo, secondo una recente sistemazione, a «un totalitarismo sempre annunciato e mai interamente realizzato, un sistema di istituzioni imperfetto, fatto di vecchi e nuovi materiali confusamente assemblati senza un progetto lineare, con un’evidente vocazione, nei momenti cruciali della ricostruzione dello Stato, al compromesso tra vecchio e nuovo»3. Tuttavia, pur nella sua torsione autoritaria, il peculiare impasto di aspirazione monistica e prassi particolaristica che si determinava nelle articolazioni centrali e periferiche dello Stato consentiva di intercettare, insieme agli interessi settoriali, anche esigenze di più stretta aderenza ad una configurazione sociale in via di modernizzazione; in tal modo impiantando nuclei di enti e istituzioni speciali che, come gli storici dell’amministrazione hanno per primi segnalato, avrebbero trovato continuità anche nell’Italia postfascista4. La damnatio memoriae del sistema corporativo fascista, innescatasi fin dalle prime battute della ricostruzione democratica5, ha voluto 1 2 3 4 5 Sul punto Sabino Cassese, Lo Stato fascista, Il Mulino, Bologna, 2010, pp. 17-20; inoltre Id. Governare gli italiani. Storia dello Stato, Il Mulino, Bologna, 2019. Una semantica storica del concetto di lavoro in periodo interbellico non è stata ancora intrapresa: rinvio al mio Le libertà del lavoro. Percorsi nella storia di un concetto in Le libertà del lavoro. Storia, diritto, società, a cura di L. Cerasi, Palermo, Edizioni Sislav-NDF, pp. 1-30. Guido Melis, La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello Stato fascista, Il Mulino, Bologna, 2018, p. 566. Id., Storia dell’amministrazione italiana (1861-1993), Il Mulino, Bologna, 1996. Si vedano: Maurizio Cau, «Grufolare ancora in un passato maledetto». Il discorso sul corporativismo dopo il fascismo (1943-1953), in «Rivista Storica Italiana», 1, 2019, pp. 2 Introduzione sottolineare la netta discontinuità con le istituzioni corporative, per il loro inestricabile intreccio genetico con le finalità politiche del passato regime. Con ciò oscurando tuttavia un punto, che i giuslavoristi per la specificità del loro campo disciplinare hanno invece tenuto ben presente: che la radice giuridica della centralità del lavoro stava nel riconoscimento della contrattazione collettiva, la cui sanzione si era determinata nel dispositivo delle leggi sindacali e corporative del 3 aprile 1926, artefice Alfredo Rocco6. Così come era il partito il luogo della “mobilitazione passiva” delle masse coattivamente politicizzate, il luogo della mobilitazione burocratica del lavoro corporativo era il sindacato. E tuttavia, mentre la funzione chiave del partito nell’architettura e nel funzionamento dello Stato fascista è stata messa a fuoco dalla ricerca7, e il corporativismo fascista è stato oggetto di una vera e propria ripresa di interesse negli ultimi anni8, il sindacato, che del sistema corporativo era architrave e che del partito doveva costituire il complemento nel campo economico e sociale, è rimasto confinato a studi meritori, ma la cui circolazione è rimasta settoriale9. Il ruolo storico del sindacato fascista è stato messo in ombra da fattori diversi, in primo luogo dal giudizio sul carattere decisivo della sconfitta subita con lo “sbloccamento”, ossia la disarticolazione in comparti, dal sindacato unitario di Rossoni, e sulla conseguente perdita di terreno del sindacato nella strisciante competizione tra corporativismo e 6 7 8 9 306-332; Id., Tra discontinuità e sopravvivenze. I retaggi del corporativismo nella cultura costituente, in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 1, 2018, pp. 75-118. Vedi sempre sul punto Umberto Romagnoli, Il lavoro in Italia. Un giurista racconta, Il Mulino, Bologna, 1995. Si vedano, per tutti, Massimiliano Gregorio, Parte totale. Le dottrine costituzionali del partito politico in Italia tra Otto e Novecento, Giuffré, Milano, 2013, e Loreto Di Nucci, Lo Stato-partito del fascismo. Genesi, evoluzione e crisi, 1919-1943, Il Mulino, Bologna, 2009. Gianpasquale Santomassimo, La terza via fascista. Il mito del corporativismo, Carocci, Roma, 2006; Irene Stolzi, L’ordine corporativo. Poteri organizzati e organizzazione del potere nella riflessione giuridica dell’Italia fascista, Giuffrè, Milano, 2007; Alessio Gagliardi, Il corporativismo fascista, Roma-Bari, Laterza, 2010; Matteo Pasetti, L’Europa corporativa. Una storia transnazionale, Bononia University Press, Bologna, 2016. Vedi Francesco Perfetti, Il sindacalismo fascista, Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo (1919-1930), Bonacci, Roma, 1988; Giuseppe Parlato, Il sindacalismo fascista, II, Dalla “grande crisi” alla caduta del regime (1930-1943), Bonacci, Roma 1989. Adolfo Pepe, Il sindacato nell’Italia del ’900, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1996. 3 Il lavoro corporativo sindacalismo. E più ancora, forse, dal retaggio dell’espulsione, esito della durezza dello scontro politico nel periodo interbellico, del sindacalismo fascista, aconflittuale e nazionale, dal recinto del sindacalismo democratico, operata da dirigenti in esilio come Bruno Buozzi, a cui si sarebbe dovuta poi la ricostruzione del sindacalismo libero dopo la sconfitta del fascismo. Al sindacalismo fascista è stata riconosciuta una dimensione al massimo parentetica. Tuttavia, benché non privi di fondamento, tali motivi di oscuramento non hanno consentito finora di porne in rilievo il ruolo storico, che in effetti era costitutivamente subordinato agli obiettivi politici del regime, ed era in competizione con le istituzioni corporative. Tali circostanze non esaurivano però il complesso panorama dei rapporti fra sindacato e corporazione, dove la dialettica delle parti era più articolata, e i ruoli spesso sovrapposti se non intercambiabili: si pensi a una figura come Riccardo del Giudice, bottaiano, sindacalista, intellettuale e uomo di governo10. Il sindacalismo fascista aveva, certo, un suo gruppo di punta, con uomini come Edmondo Rossoni, Tullio Cianetti, Luigi Razza, dal profilo spiccato, ma anche un tessuto ampio di dirigenti e delegati che avevano modellato il proprio profilo politico e professionale attraverso la militanza nelle organizzazioni del regime. Giuseppe Landi era un dirigente che aveva costruito la propria carriera all’indomani della Grande guerra partendo dalla periferia, e che pur ricoprendo ruoli di rilievo nazionale non è mai arrivato ad una ribalta di primo piano, né è entrato mai nelle stanze del governo. Seguirne la carriera, ricostruirne l’attività sindacale, decifrarne la cultura politica consente di mettere a fuoco proprio l’aspetto cruciale del sindacalismo cui abbiamo accennato sopra, il suo ruolo nel funzionamento delle istituzioni e nella complessa dinamica dello Stato corporativo. La vicenda di Giuseppe Landi – dirigente sindacale, deputato, docente di Legislazione del Lavoro all’Università di Genova, rappresentan10 Si veda Giuseppe Parlato, Riccardo Del Giudice. Dal sindacato al governo, Fondazione Ugo Spirito, Roma, 1992. 4 Introduzione te al Bureau International du Travail, e nel dopoguerra fra i fondatori del MSI e del sindacato autonomo CISNAL – costituisce un osservatorio privilegiato per indagare le radici storiche dell’inclusione del lavoro nell’ordinamento istituzionale. L’azione sindacale di Landi si situava negli snodi cruciali fra la dimensione organizzativa, politica e di governo, consentendo di ricostruire il radicamento della centralità “costituzionale” del lavoro attraverso la prassi dell’esperienza sindacale e corporativa imperniata sul rilievo della “categoria”, in particolare attraverso la creazione delle prime strutture previdenziali, ora al centro dell’indagine storiografica. Con ciò delineando la prospettiva non universalistica, ma particolaristica e “corporativa” nell’accezione corrente del termine, della costituzionalizzazione del lavoro fra le due guerre. La cornice nazionale e nazionalista della dimensione sociale e produttiva posta a fondamento della cittadinanza totalitaria integrata nello Stato corporativo non avrebbe infatti trovato continuità nella Carta costituzionale del 1948. Ma la generalizzazione e l’istituzionalizzazione delle strutture sindacali operata durante gli anni Trenta, snodo essenzia-le della ridefinizione del nesso in chiave totalitaria fra Stato e società, ha aperto un canale di rappresentazione e rappresentanza del lavoro, le cui strutture e la cui funzione non sarebbero state azzerate. La ricerca alla base di questo volume è stata generata dal Workshop a porte chiuse organizzato da Nadia Urbinati per l’area di Innovazione po-litica della Fondazione Feltrinelli, e pubblicato a cura di Michele Battini e Luca Baldissara, Lavoro e cittadinanza. Dalla Costituente alla flessibilità: ascesa e declino di un binomio (Utopie, 2017), dove nel mio contributo esaminavo tre diverse culture politiche (la cattolica, la socialista, la fasci-sta) attraverso le quali in periodo interbellico veniva elaborata la centra-lità costituzionale del lavoro. Ringrazio gli animatori del Workshop per avere creato, insieme a Spartaco Puttini, una rara occasione di intenso scambio di idee e dibattito di ricerca. Ringrazio la Fondazione Feltrinelli, in particolare il suo settore editoriale, per ospitare questo lavoro fra le sue pubblicazioni. 5 Capitolo 1 Il sindacato come carriera Dalla provincia al Parlamento Giuseppe Landi aveva abbracciato la carriera sindacale prima ancora di concludere gli studi universitari, ma la sua originaria esperienza fondativa era stata quella militare. Nato nel 1895 in provincia di Arezzo, a Castel san Nicolò, dopo aver compiuto gli studi liceali a Firenze avrebbe frequentato per due anni, dal 1912 al 1914, l’Accademia militare di Modena, conseguendo il grado di sottotenente. Landi avrebbe partecipato alla guerra per tutti e quattro gli anni del conflitto, raggiungendo il grado di tenente e poi quello di capitano, con il quale sarebbe stato congedato, venendo insignito di tre medaglie di bronzo al valor militare, e decorato della croce di guerra. Dichiarato invalido di guerra, sarebbe stato collocato nel “ruolo speciale” nel 1920, a 25 anni. Non era giovanissimo dunque quando intraprendeva gli studi di scienze economiche e commerciali, laureandosi nel 1923 a Genova, dove si era trasferito l’anno precedente come impiegato presso la Cassa nazionale infortuni, e parallelamente ricoprendo l’incarico di vicesegretario della Corporazione 6 Capitolo 1 Il sindacato come carriera provinciale fascista dell’impiego pubblico e privato del capoluogo ligure. L’impegno sindacale e quello politico procedevano infatti di pari passo: Landi risultava iscritto al PNF dal 1 luglio 1921, essendo stato fra i fondatori del fascio nel paese di origine, e fra gli animatori del movimento fascista nella provincia di Arezzo1. La sua attività principale si sarebbe configurata quella sindacale, svolgendosi per quasi un ventennio nel settore impiegatizio, all’interno del quale avrebbe costruito la sua carriera ascendendo lentamente dai ruoli provinciali ad incarichi nazionali e internazionali, senza mai assumere, tuttavia, posizioni di primissimo piano. Nel 1926, ancora a Genova, veniva nominato segretario dei Sindacati fascisti del commercio e dell’Associazione fascista del pubblico impiego. Nei due anni successivi era segretario dei Sindacati fascisti dell’industria e vice segretario generale dell’Ufficio provinciale dei sindacati fascisti del capoluogo ligure. Il passaggio al livello nazionale avveniva nel 1929, venendo eletto deputato al parlamento e assumendo incarichi direttivi federali e confederali. Nello stesso anno otteneva infatti la carica di segretario della Federazione nazionale dei lavoratori delle aziende commerciali, che manteneva fino a tutto il 1933, quando diventava prima commissario, poi presidente della Confederazione fascista dei lavoratori delle aziende del credito e dell’assicurazione2: una carica che avrebbe conservato fino all’ottobre 1941, quando sarebbe stato nominato alla presidenza della Confederazione fascista dei lavoratori dell’industria (Cfli) in successione a Pietro Capoferri. Dal punto di vista delle funzioni, la presidenza del sindacato dei bancari sarebbe stato il ruolo che meglio avrebbe definito il suo profilo di organizzatore e funzionario. Sul sindacato impiegatizio per eccellenza avrebbero fatto perno altre cariche - oltre all’assunzione della direzione 1 2 Così Landi dichiarava nel suo curriculum, stilato nel 1937. Nel curriculum Landi si sarebbe fregiato anche del titolo di Squadrista e Sciarpa Littorio (Archivio Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice [Afus], Carte Giuseppe Landi, Busta 58, Varie Università, fasc. Pratica generale relativa alla libera docenza, stampato Curriculum Vitae, Roma 1937). Per una prima sistemazione del profilo di Landi si veda l’eccellente voce di Benedetta Garzarelli, Giuseppe Landi, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. 63, Roma, 2004, ad vocem. Curriculum Vitae, cit., p. 4. Come prevedeva la legge, la nomina era stata disposta con D.M. 31 dicembre 1933. 7 Il lavoro corporativo della rivista dell’organizzazione, «Il lavoro impiegatizio» - che nel tempo, soprattutto verso la fine del decennio tendevano a cumularsi, come la partecipazione al Consiglio tecnico dell’Opera nazionale dopolavoro, alla Consulta coloniale del lavoro, alla Commissione suprema dell’autarchia, al Consiglio superiore delle scienze, delle professioni e delle arti, e dal gennaio 1941 come commissario all’Associazione nazionale tra mutilati e invalidi del lavoro. Ma soprattutto, essere presidente della Confederazione dei bancari costituiva il terreno su cui Landi intrecciava le sue relazioni sindacali, svolgeva le sue osservazioni di carattere tecnico, e indirizzava la sua azione politica, come nel caso della legge di riforma bancaria del marzo 1936, dove aveva contribuito all’abolizione del divieto degli impiegati bancari di diritto pubblico di far parte di associazioni sindacali, rafforzando così la presenza dei sindacati negli istituti bancari pubblici3. Dal punto di vista istituzionale, le cariche sindacali e quelle corporative tendevano ad intrecciarsi. Landi era infatti anche membro del Comitato tecnico corporativo del credito, e poi della Consulta coloniale tecnico-corporativa per la previdenza e il credito. Nel 1934, anno della nomina alla presidenza della confederazione dei bancari, Landi assumeva anche quella del Patronato nazionale dell’assistenza sociale, organo tecnico dei sindacati fascisti per l’applicazione delle leggi sull’assistenza e previdenza sociale. Era, questo della previdenza, un ambito su cui avrebbe investito molto. Dal 1932 Landi era infatti membro della Commissione speciale permanente istituita presso il Consiglio nazionale delle corporazioni per la legislazione sul lavoro, l’assistenza e la previdenza sociale e la cooperazione, e dal 1935 sarebbe diventato membro del consiglio di amministrazione dell’Infps (Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale). Il tema della previdenza sarebbe stato al centro della sua attività di pubblicista tecnico e politico, e dei suoi interventi a supporto dell’azione di governo; e l’impegno in ambito previdenziale si sarebbe esteso ai possedimenti del nuovo Impero, favorendo l’espansione nelle colonie 3 Cfr. Garzarelli, Giuseppe Landi, cit. 8 Capitolo 1 Il sindacato come carriera del Patronato per l’assistenza sociale con nuovi uffici4. In particolare, la presidenza del Patronato nazionale per l’assistenza sociale, con l’attenzione all’aspetto attuativo dei dispositivi legislativi, avrebbe sollecitato una produzione pubblicistica dal profilo scientifico, che gli avrebbero consentito di ottenere la libera docenza in Legislazione del Lavoro. Il profilo di dirigente sindacale comportava quindi anche l’assunzione di ruoli negli organi corporativi. Del Consiglio nazionale delle corporazioni Landi aveva fatto parte dalla fondazione per due trienni, dal 1930 al 1936, e del Comitato Corporativo centrale dal 1934. Nello stesso anno diventava membro della Corporazione della previdenze e del credito, e in seguito dei Comitati tecnici del credito e dell’assicurazione. La partecipazione agli organi corporativi comportava un impegno preciso nel campo della legislazione sindacale. Per rispondere al problema della compatibilità fra le norme corporative e l’esistente legislazione sul lavoro, nel 1930 Giuseppe Bottai aveva insediato presso il Consiglio nazionale delle corporazioni la Commissione di studio per la riforma della legislazione sul lavoro, di cui Landi avrebbe fatto parte sotto la presidenza di Dino Alfieri. Due anni dopo, Landi avrebbe fatto parte della Commissione speciale permanente per la legislazione sul lavoro, sotto la presidenza del sottosegretario Bruno Biagi, per mettere allo studio le modificazioni alla legislazione più urgenti, e che raccogliessero i temi oggetto di discussione nel Bureau International du Travail (Bit) di Ginevra, di cui Landi era membro come “consigliere tecnico operaio” dal 1929 fino alla fuoriuscita dell’Italia dalla Società delle Nazioni, e quindi dal Bit, nel 19375. 4 5 Si veda G. Landi, L’assistenza sociale per gli operai in Africa orientale, in «Rivista del Lavoro», n. 11, novembre 1935; Id., La tutela del lavoro impiegatizio nei territori dell’Impero, estratto dalla «Rassegna Economica delle Colonie», gennaio 1937, pp. 11-14. Una documentazione dell’attività di studio svolta da Landi nelle Commissioni si trova in Istituto Storico per la Storia della Resistenza in Toscana (Isrt), Fondo Giuseppe Landi, Fascicolo 14, Appunti sulle Corporazioni, fascicolo 15, Comitato Corporativo Centrale, fascicolo 16, Relazioni, minute e appunti. 9 Il lavoro corporativo Un sindacalista fascista al Bureau International du Travail La ribalta del Bit, su cui recentemente, con il rinnovamento in corso degli studi sul lavoro e per il carattere intrinsecamente transnazionale e corporatista dell’organizzazione della rappresentanza, si è tornata ad accendere l’attenzione degli storici6, ha costituito per Landi un passaggio significativo per la sua legittimazione nel complesso e mutevole panorama della classe politica del fascismo. Landi si sarebbe accreditato come esponente del gruppo di sindacalisti di punta “non rossoniani”, disponibili cioè a una interlocuzione e alla ricerca di soluzioni di compromesso con le istituzioni corporative, al fine di mantenere una misura di forza contrattuale del sindacato. Nella commissione impiegati della delegazione italiana al Bit, guidata da Giuseppe De Michelis, Landi si sarebbe trovato accanto ad Anselmo Anselmi, Ferruccio Lantini, Nazareno Mezzetti7. La delegazione italiana alla XIX conferenza, del 1935, vedeva ancora De Michelis e Anselmi come delegati governativi, Gino Olivetti delegato per gli imprenditori, e Tullio Cianetti delegato operaio, con Pietro Capoferri supplente, Landi e Edoardo Malusardi consiglieri tecnici8. I contributi di Landi ai lavori delle assise di Ginevra si sarebbero sempre concentrati su temi di ambito impiegatizio, assicurativo o previdenziale. Il suo primo intervento riguardava la questione della durata del lavoro degli impiegati. Landi sosteneva la settimana di quaranta ore, in 6 7 8 Il riferimento è al recente convegno L’Italia nell’Organizzazione Internazionale del Lavoro: un bilancio storico. 1919-2019, Università degli studi di Padova-Sislav, 6-7 dicembre 2019. Oltre ai pionieristici Renata Allio, L’organizzazione internazionale del lavoro e il sindacalismo fascista, Il Mulino, Bologna 1973, e Franco De Felice, Sapere e politica. L’organizzazione internazionale del lavoro tra le due guerre (1919-1939), FrancoAngeli, Milano, 1988, fra i recenti studi si veda Stefano Gallo, I viaggi di Albert Thomas nell’Italia fascista e la questione sindacale (1922-1932), in «Contemporanea», 2, 2017, pp. 263-285; Id., Fascismo, sindacato e democrazia secondo Albert Thomas, in corso di pubblicazione in «Studi Storici». Per il rinnovamento della storia del lavoro si veda fra l’altro: Guido Mellinato, Il ritorno della storia del lavoro, in Italia e oltre, in «Contemporanea», n. 2, 2017, pp. 319-334. Afus, Carte Landi, Busta 9, Confederazione Nazionale Sindacati Fascisti del Commercio, Fascicolo Partecipazione ai lavori di Ginevra nell’anno 1930, dattiloscritto Formazione delle commissioni e sottocommisssioni, s.d. Afus, Carte Landi, Busta 9, Confederazione Nazionale Sindacati Fascisti del Commercio, Fascicolo Partecipazione ai lavori di Ginevra nell’anno 1935, dattiloscritto «Bollettino Italiano dell’O.I.L.», anno XV, n. 8, Roma, 25 maggio 1935. 10 Capitolo 1 Il sindacato come carriera osservanza delle strategie di ridefinizione del rapporto tra orario di lavoro e tempo libero, avviata da regime con l’introduzione del “sabato fascista”. In quell’occasione, coglieva l’opportunità di illustrare la migliore funzionalità degli strumenti disposti dal sistema corporativo italiano nella regolazione dei rapporti di lavoro, grazie soprattutto all’istituzionalizzazione della contrattazione collettiva, che garantiva agli impiegati del commercio italiani condizioni migliori di quelle previste dalle raccomandazioni del Bit. Proponeva anzi un emendamento che estendesse il modello italiano di contrattazione collettiva con valore erga omnes, come dispositivo di collaborazione di classe e garanzia di giustizia sociale, «C’est dans cet esprit que j’avais, au sein même de la Commission, proposé un amendement qui, à mon avis, marquait ce besoin de façon particulièrement claire et qui avait pour but de donner effet juridique aux contrats collectif. En Italie, où nous procèdons ainsi, presque un million d’employès et de travailleurs du comerce jouissent, en vertu du contrat collectifs librement conclus, de conditions de travail bien plus favorables que celles prévues par ce priojet de convention et même par nôtre législation. [… ] M. Forbes Watson a dit ce matin quel es contrats collectifs rendaient difficile la collaboration et la coopération entre les diverses clases. Je veux, sur la base de l’expérience que j’ai acqui moi-même en Italie, affirmer le contraire et indiquer que c’est soulement dans la parité des droits des employeurs et des ouvriers et dans la possibilité de conclure des contrat de travail légalement valables qu’on peut trouver les conditions de justice sociale nécessaire à la collaboration de classes»9. 9 Afus, Carte Landi, Busta 9, Confederazione Nazionale Sindacati Fascisti del Commercio, Fascicolo Partecipazione ai lavori di Ginevra nell’anno 1935, La durée du travail des employées. L’assurance chômage. Chômage des jeunes gens. Extrais des Comptes-Rendus des Travaux de la Conférence Internationale du Travail, Genève, 1930, 1934, 1935. Stabilimento tipografico “Europa”, Roma, s.d. Si tratta di un opuscolo probabilmente fatto comporre da Landi per finalità di documentazione della sua partecipazione al Bit. La citazione si riferisce all’intervento La durée du travail des employées, del 1930. 11 Anche l’intervento su un tema difficile come l’assicurazione contro la disoccupazione in agricoltura, cui Landi era favorevole, era condotto lungo le linee della valorizzazione dell’originalità e maggiore efficacia delle soluzioni italiane alla questione, in quanto poggianti sulle fondamenta dell’edificio corporativo: «J’ai eu l’occasion au sein de la Commission qui s’est occupée du problème, d’exposer comment l’organisation syndicale que je représente qui est fondée sur le principe corporatif, estime que l’inclusion même des travailleurs agricoles dans un régime d’assurance-chômage ne résout pas le problème». La sola introduzione dell’assicurazione contro la disoccupazione era una misura insufficiente, perché la risoluzione del problema, per essere efficace, avrebbe richiesto la combinazione di misure previdenziali e assistenziali a misure di collocamento e di disciplinamento della produzione, come avveniva appunto nel fascismo: «On a dit également qu’il est difficile de contrôler le chômage agricole, mais nous avons réalisé ce contrôle en Itale sans la moindre difficulté, par l’institution de bureaux de placement auxquels le recours est obligatoire»10. In altre occasioni, la tribuna del Bit era invece utilizzata, specularmente, per lanciare messaggi sulla indispensabilità del sindacato in regime corporativo, che si intuisce fossero pensati più per i suoi interlocutori connazionali che per l’arena internazionale: la risonanza dei contributi dei “consiglieri tecnici operai” non rimaneva confinata a Ginevra, ma era infatti affidata ai resoconti del Bollettino italiano del Bit, che circolava regolarmente tra gli addetti ai lavori; inoltre a questi si sommavano, per sottolineare gli interventi svolti le relazioni ad uso interno che i rappresentanti compilavano11. In una congiuntura come quella del 1934, all’in10 Ivi, p. 5, Assurance chômage (18 Session, 20 séance tenue le 21 juin 1934, à Genève) 11 Landi ad esempio preparava un sunto per Cianetti dei lavori della Commissione per la disoccupazione, mettendo in evidenza l’approvazione di un emendamento proposto da lui stesso contro l’esclusione dall’indennità di disoccupazione per coloro che godono dell’indennità di licenziamento: «Tale emendamento è stato approvato con una forte maggioranza con viva soddisfazione del gruppo operaio che aveva affidato al sottoscritto l’incarico di siffatta affermazione, che aveva evidente importanza di carattere generale» (Afus, Carte Landi, Busta 9, Confederazione Nazionale Sindacati Fascisti del Commercio, Fascicolo Partecipazione ai lavori di Ginevra nell’anno 1934, dattiloscritto Rapporto per il delegato operaio on. Cianetti. Commissione per la disoccupazione). 12 Capitolo 1 Il sindacato come carriera domani del completamento del sistema con l’istituzione delle ventidue corporazioni, assumeva pertanto particolare significato la difesa dell’individualità del sindacato: «Je prends la liberté de remonter à cette tribune pour une brève declaration […] On a invoqué ici la collaboration nécessaire entre employeurs et employés. Je suis d’avis que cette collaboration n’est pas possibile en dehors des organisations syndicales […]. Il convient que le syndicat garde entière son individualité, sans la quelle la parité est impossible»12. Ma in linea di massima prevaleva l’uso strategico della ribalta del Bit per la promozione delle soluzioni corporative italiane all’estero. In questa chiave, Landi pur appoggiandole dichiarava insufficienti le misure proposte a Ginevra per alleviare la disoccupazione giovanile, che ancora nel 1935 erano in discussione: «Du point de vue géneral, tout en votant la recommendation et la résolution qui ont soumises à notre examen, nous pensons que ces mesures ne sont pas tout à fait suffisantes en face des nécessités urgentes provenantes du chômage des jeunes gens». Quello che occorreva erano misure più radicali, modellate sugli istituti dell’economia corporativa: «Pour nous, qui avons foi en nôtre système corporatif, cela ne sera possible que sous un régime dans lequel le système économique et capitaliste, dont le chômage est un des aspects inéluctables, sera transformé en un nouveau système d’économie dans laquelle la production sera disciplinée non plus par le principe de la speculation individuelle, mais par celui du bien-être social du producteur»13. D’altra parte, che nella piena partecipazione dei delegati sindacali fascisti alle assise di Ginevra, nonostante la non preconcetta ostilità del segretario Albert Thomas, fosse in gioco la legittimazione non solo del fascismo italiano, ma della sua soluzione corporativa ai rapporti e ai con12 Ivi, p. 8, Assurance chômage (18 Session, 21 séance tenue le 21 juin 1934, à Genève). 13 Ivi, p. 9 (Chômage des jeunes gens, 19 session, 27 Séance tenue le 22 juin 1935, à Genève). 13 flitti di lavoro era chiaro a tutti i protagonisti; e non a caso contro la loro integrazione la componente socialista del Bit aveva opposto un lungo ostruzionismo. Alla risoluzione del quale Landi pubblicava un commento nella rivista di Gino Arias, la «Rassegna corporativa» di Firenze, rilevando come fosse venuto a cadere il tentativo di «aprire ogni anno un processo politico al Fascismo», ma anche come fosse fallito il tentativo di escludere dai lavori del consesso ginevrino «gli esponenti di un sindacalismo i cui principi sono apertamente e profondamente contrastanti col verbo socialista»14. In un intervento pubblicato nella rivista giuridica di Carlo Costamagna «Lo Stato», volto a contrastare la (evidentemente) efficace presentazione del sistema corporativo fascista da parte di un autorevole e ascoltato sindacalista socialista in esilio come Bruno Buozzi15, Landi sosteneva come osteggiare il sistema corporativo fascista significasse non vedere «L’aspetto veramente rivoluzionario che assume nel Regime corporativo fascista la partecipazione del lavoro inteso come forza viva e produttiva alla vita politica, economica e sociale della Nazione, in condizioni di assoluta parità col capitale. E ciò non solo per quanto riguarda tutti gli organi rappresentativi dello Stato, ma soprattutto per il reale e quotidiano concreto intervento delle rappresentanza dei lavoratori in tutti i problemi della produzione: che oggi è considerata e disciplinata in Italia non più come interesse egoistico individuale, ma come interesse nazionale e quindi collettivo»16; e ancora: 14 I rappresentanti fascisti per partecipare alla conferenza avevano posto la condizione di una modifica del regolamento, tendente ad assicurare «la legittima piena ed efficace partecipazione dei rappresentanti operai fascisti non solo all’assemblea, ma anche in tutte le commissioni della Conferenza» (G. Landi, Il Sindacalismo Fascista e l’Internazionale operaia, in «Rassegna corporativa», n. 3, 1932, pp. 3-6, citaz. a p. 4) 15 Cfr. B. Buozzi, V. Nitti, Fascisme et Sindacalisme [sic], Libr. Valois, Paris 1930. Sulle tesi di Buozzi si vedano le considerazioni di Adolfo Pepe in A. Pepe, O. Bianchi, P. Neglie, La CGdL e lo Stato autoritario, Ediesse, Roma, 1999, p. 135. 16 G. Landi, I fuorusciti e l’ordinamento corporativo, in «Lo Stato», ottobre 1931, fasc. II, n. 2, estratto a cura dello Stabilimento Tipografico de «Il Lavoro Fascista», Roma 1937, pp. 4-5. 14 Capitolo 1 Il sindacato come carriera «Poiché lo Stato interviene in modo razionale e costante attraverso gli organi corporativi, e poiché il lavoro in questi organi istituzionali ha parità di rappresentanza con il capitale, non v’ha dubbio che in tale fatto innegabile, si consacra una grande rivendicazione dei lavoratori. Le masse proletarie di tutte le social-democrazie, asservite oggi più che mai alla burocrazia internazionale, attendono invece ancora il realizzarsi di tale rivendicazione»17 Nell’opera di legittimazione del sindacalismo corporativo all’estero, Landi era in sintonia con il lavoro di promozione del modello corporativo italiano condotta dal capo delegazione presso il Bit, Giuseppe De Michelis, di cui era appena stato tradotto in francese e in inglese il fortunato volume La corporazione nel mondo (1934) nel quale proponeva la “terza via corporativa” come soluzione praticabile a livello mondiale18. Nelle more di questo impegno, Landi incrociava anche gli esponenti superstiti della frazione “collaborativa” con il sistema corporativo della CGdL, che vedevano, oltre a Rinaldo Rigola e al direttore del «Lavoro» di Genova Giuseppe Canepa19, anche Angiolo Cabrini nelle vesti di corrispondente in Italia del Bit e direttore del foglio «Informazioni sociali», con il quale intrecciava una cordiale corrispondenza e colla- 17 Ibidem. 18 G. De Michelis, La Corporation dans le monde, Denoël et Steele, Paris, 1935; Id., World Reorganisation on Corporative Lines, Allen & Unwin, London, 1935. Su de Michelis si vedano le osservazioni di Pasetti, L’Europa corporativa, cit., pp. 227229. Pasetti peraltro, pur ricostruendo accuratamente la disseminazione del dibattito sul corporativismo su un piano internazionale, non si occupa del Bureau International du Travail. 19 Cfr. Paolo Mattera, Rinaldo Rigola. Una biografia politica. Ediesse, Roma, 2011; anche: Gian Biagio Furiozzi, Il partito del lavoro, Era Nuova, Perugia 1997 15 borazione, venata di una certa sudditanza da parte di Landi20, e da forse un filo di condiscendenza da parte di Cabrini21. Dopo la fuoriuscita dalla Società delle Nazioni a seguito della guerra Italo-Etiopica, l’attenzione di Landi, la cui partecipazione al Bit era stata comunque confermata nel 1936 per un triennio22, si sarebbe rivolta al Fronte tedesco del lavoro: nell’ottobre 1938 partecipava, a capo di una commissione di studio, al congresso annuale della Sezione banche e assicurazioni del Fronte, tenutosi a Düsseldorf, trattenendosi poi in visita all’organizzazione; e tornando poi in Germania alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, nel maggio 1940, per «esaminare alcuni aspetti della organizzazione bellica della vita economica e sociale del Reich»23. Ma a quell’altezza, Landi come vedremo sarebbe stato impegnato nell’incarico, ricevuto dal suo camerata sindacalista e allora ministro alle Corporazioni Ferruccio Lantini, di predisporre la relazione al bilancio preventivo del Ministero per l’esercizio finanziario 1939-40 e 1940-41; che sarebbe stato anche quello che lo avrebbe avvicinato di più alle stanze del governo, senza però entrarvi. 20 Landi ringraziava «infinitamente» Cabrini «del rapporto e dei resoconti della Conferenza preparatoria ripartita sulla riduzione della durata del lavoro […] e altresì della tua cortese premura nel fornirmi le altre note e notizie sulla Commissione degli impiegati ed i suoi costi della Assicurazioni Sociali che mi interessano particolarmente» (AFUS, Carte Landi, Busta 10, Confederazione Nazionale Sindacati Fascisti del Commercio, Fascicolo Corrispondenza con Cabrini 1929-39, minuta dattiloscritta Landi a Cabrini, Roma, 11 febbraio 1933). 21 Cabrini, da canto suo, inviava a Landi i suoi «Ringraziamenti per i particolari della tua attiva e intelligente partecipazione ai lavori della Commissione per i problemi degli impiegati. Ti avevo seguito attraverso il “Lavoro Fascista”. Felicitazioni e saluti cordialissimi». (Ibid., Lettera firmata di Cabrini a Landi, Roma, 5 aprile 1933). 22 Afus, Carte Landi, Busta 9, Confederazione Nazionale Sindacati Fascisti del Commercio, Fascicolo Partecipazione ai lavori di Ginevra nell’anno 1936, Lettera di Giuseppe De Michelis a Giuseppe Landi, Roma, 5 Ottobre 1936, che informa della conferma governativa di Landi a membro del Comitato di corrispondenza per le assicurazioni sociali per il periodo 1936-1939. La fuoriuscita dalla Società delle Nazioni, annunciata da Mussolini l’11 dicembre 1937, avrebbe di conseguenza posto fine alla partecipazione della delegazione italiana al Bit. 23 Addendum dattiloscritto a Curriculum Vitae, cit., p. 8. 16 Capitolo 1 Il sindacato come carriera Dalla Scuola sindacale alle aule universitarie A Genova, Landi era stato fra i fondatori della Scuola sindacale annessa al Centro di cultura corporativa di Genova. Nate su impulso di Giuseppe Bottai, le Scuole sindacali avrebbero dovuto costituire, fra i canali di formazione della nuova classe dirigente del fascismo di cui era fra i principali fautori, quello rivolto alla giovane generazione di sindacalisti, pienamente integrati nel sistema corporativo e affrancati da residui di conflittualismo rossoniano e sindacal-rivoluzionario. In gioco, nell’idea di Bottai, non era solo l’adeguata preparazione delle nuove leve di dirigenti sindacali, ma la garanzia di un nesso stretto fra gli indirizzi politici e la realtà sociale, attraverso l’acquisizione di una preparazione tecnica specifica: «Essi devono formarsi una autorità tecnica e morale insieme, se vogliono essere quella legittima gerarchia di valori, di capacità, di intelletti e di spiriti, da cui può ogni consiglio, ogni ammonimento, ogni ordine discendere con la sicurezza di essere ascoltato. Aristocrazia attiva della società italiana riorganizzata, essi saranno nelle organizzazioni gl’interpreti del Regime»24. Non casualmente perciò le nuove Scuole, che non dovevano avere una vocazione angustamente tecnica ma dovevano guardare ad una prospettiva politica complessiva, non erano poste alle dirette dipendenze delle organizzazioni sindacali. Erano invece collocate all’interno della neocostituita rete dei Centri di cultura e propaganda corporativa, modellata su quella degli istituti fascisti di cultura di Giovanni Gentile e promossa nell’ambito del Ministero delle Corporazioni dal direttore generale Anselmo Anselmi, da Arturo Marpicati e soprattutto da uno dei giuristi collaboratori di Bottai, Dario Guidi25. 24 G. Bottai, Discorso alla Camera dei deputati, 15 marzo 1927, in Id., Esperienza corporativa, Edizioni del Diritto del Lavoro, Roma 1929, p. 230. Sul punto si veda Gagliardi, Il corporativismo fascista, cit., p. 64. 25 Un prima analisi della costituzione delle Scuole sindacali si deve a Giuseppe Parlato (Id., La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Il Mulino, Bologna, 2000, pp. 8088). Per una ricostruzione delle scuole sindacali nel quadro dei canali di formazione e diffusione della cultura corporativa mi permetto di rinviare al mio: Corporativismo e politica culturale. Partito, Sindacato, Università, in corso di pubblicazione nella rivista «Studi Germanici» per gli Atti del convegno Le istituzioni e la politica culturale del fascismo, Istituto Italiano di Studi Germanici, Roma, Villa Sciarra-Wurts, 10-12 gennaio 2019. 17 La scuola sindacale di Genova era sorta fra le prime, e sarebbe stata fra quelle ad avere vita più longeva. A testimonianza della sua ispirazione in linea con gli indirizzi bottaiani, nel 1932 sarebbe stata intitolata a Dario Guidi; e nello stesso periodo, a norma di legge, integrata nelle strutture dell’Università, sotto la presidenza del Rettore, e la direzione del civilista Antonio Uckmar. Landi vi prendeva parte fin dalle origini nel 1927, prima con un corso di Legislazione del Lavoro, e poi con corsi di Legislazione sulla previdenza ed assistenza sociale e Previdenza ed assistenza nell’aspetto economico-politico e sociale. In particolare, la sua impronta si sarebbe letta nell’istituzione, nel 1934, di un Corso di specializzazione nella tecnica della previdenza ed assistenza sociale, dove il nesso fra formazione, professionalizzazione, e nuove funzioni previdenziali veniva richiamato sottolineando l’importanza della «conoscenza di materie e discipline così profondamente connesse all’ordinamento corporativo e alla funzione assistenziale cui esso tende», per dare «nuovo impulso allo studio delle assicurazioni che tanta importanza hanno nella vita del Paese, nell’attuale momento di ardite realizzazioni sociali»26. I corsi alla scuola sindacale genovese avrebbero formato la matrice di un ventaglio di rielaborazioni, riproposte a vari livelli di specializzazione e approfondimento, presso istituti di cultura e di partito: a Napoli (Scuola sindacale, Corsi di preparazione politica) e Roma (Istituto superiore di Belle Arti, Istituto della Maddalena, Istituto superiore di Studi Corporativi del Lavoro e della Previdenza). Gli anni di esperienza didattica extra-accademica gli avrebbero consentito di approdare come docente incaricato alla Facoltà di economia e Commercio di Napoli, e all’Istituto di medicina legale e delle Assicurazioni dell’Università di Roma, con il corso Politica assistenziale ed assicurativa del regime, nell’anno accademico. 1936-37. Dopo l’ottenimento della libera docenza in Legislazione del lavoro nel dicembre 1937, avrebbe tenuto come titolare i corsi di Diritto corporativo e del Lavoro presso la Facoltà di Economia e commercio dell’Università di Genova. 26 Afus, Carte Landi, busta 55, Fascicolo Scuola Sindacale ‘Dario Guidi’ 1929-1937, Stampato Centro di Cultura e Propaganda corporativa di Genova, Programma del Corso di specializzazione nella tecnica della previdenza e assistenza sociali, s.d. 18 Capitolo 1 Il sindacato come carriera Azione sindacale, attività divulgativa e didattica, produzione tecnica e scientifica costituivano la base su cui poggiava l’acquisizione di un profilo accademico. Anche la sua unica monografia, che usciva al termine del suo primo corso in Legislazione del lavoro tenuto nell’Ateneo ligure nell’a. a. 1938/1939, era una messa a punto degli studi di argomento creditizio condotti durante la presidenza del sindacato bancario27. Il criterio stesso che aveva guidato Landi a cimentarsi nel concorso per la libera docenza è indicativo della connessione fra orizzonti culturali strategici del regime e discipline scientifiche, fra indirizzi politici e (ri)assetti universitari; in questo caso, tra corporativismo e accademia: e della loro ricaduta nella costruzione delle carriere individuali. La selezione, da parte di Giuseppe Landi, di Legislazione del lavoro come obiettivo praticabile non era avvenuta a caso: nel quadro del riordino dell’assetto dell’istruzione superiore attuato dal ministro De Vecchi, veniva indicata fra le preferenze per il conferimento degli incarichi l’essere annoverati fra «coloro che per opere, uffici o insegnamenti tenuti siano di riconosciuta competenza nella materia che forma l’oggetto dell’incarico»28. Si trattava di un requisito che si attagliava bene al profilo di Landi, caratterizzato da un insieme di esperienze di carattere soprattutto pratico più che scientifico. Un tratto pragmatico, questo, che non sarebbe stato però premiato dalla commissione giudicatrice, che gli avrebbe conferito il titolo a maggioranza e con alcune riserve. Mentre infatti del candidato veniva apprezzata «la vasta sua preparazione nel campo politico e sociale, nonché la conoscenza dei principali problemi cui dà luogo la disciplina del lavoro e una ricca esperienza della prassi sindacale», non si poteva però «fare a meno di constatare che l’indagine giuridica, non è sempre condotta con quel rigore di metodo che sarebbe desiderabile e spesso l’esame teorico-giuridico degli argomenti trattati non è adegua27 Giuseppe Landi, La disciplina del credito nell’ordinamento corporativo, ed. Carlo Cya, Firenze, 1939. 28 R. D. L. 20 Giugno 1935, n. 1071, art. 9, In una copia dell’estratto del decreto conservata fra i documenti del fascicolo relativo alla libera docenza l’articolo 9 era evidenziato a matita insieme all’articolo 11, dove si dichiarava che «L’abilitazione alla libera docenza può essere concessa soltanto per quelle materie alle quali corrispondano insegnamenti costituitivi nelle Facoltà». 19 tamente approfondito»29. D’altra parte, il vaglio dei candidati per diritto Legislazione del lavoro e Diritto corporativo era affidato alla medesima commissione, comprensibilmente incline a privilegiare una formazione di carattere più accademico che pragmatico30. Le perplessità e le parziali resistenze del corpo accademico non arrivavano a negare a Landi la libera docenza, seppure conseguita a maggioranza31. Landi tuttavia aveva comunque sentito forse il bisogno di predisporre qualche strumento a sostegno della propria candidatura. In una nota dattiloscritta conservata nel fascicolo dei documenti preparatori al concorso si legge infatti la formulazione di un argomento politico di pressione per assicurare maggior peso accademico alla disciplina prescelta: «Si dice che nel riordinamento degli Statuti delle Facoltà la legislazione del lavoro sarebbe stata assegnata fra le materie complementari e non fondamentali. Poiché il Duce ha dichiarato che il lavoro non è più l’oggetto ma il soggetto dell’economia, che il secolo XX sarà il secolo della gloria e della potenza del lavoro, che il Fascismo ha instaurato la legislazione del lavoro pare opportuno anzi indispensabile che alla legislazione del lavoro venga dato il posto che le spetta tra le materie fondamentali. Si propone quindi che nella Facoltà di Scienze Politiche la legislazione del lavoro sia compresa tra le materie fondamentali, mentre dovrebbe essere introdotta fra le materie complementari nelle facoltà di giurisprudenza e scienze economiche. 29 Afus, Carte Landi, Busta 58, Varie Università, Fasc. Pratica generale relativa alla libera docenza, Relazione della commissione giudicatrice presentata al Ministro dell’Educazione Nazionale, Roma, 11 febbraio 1938. 30 In base al decreto ministeriale di formazione delle commissioni giudicatrici per il conferimento dell’abilitazione alla libera docenza per l’anno 1937, la commissione era composta da Celestino Arena, Renato Balzarini, Paolo Greco, Nicola Iäger, Silvio Lessona. Arena sarebbe stato poi sostituito da Ferruccio Pergolesi (Estratto dal «Bollettino Ufficiale», 19 Agosto 1937, parte II, n. 33. Il decreto faceva seguito all’O.M. 29 Maggio 1937, con cui era stata indetta la sessione per l’anno 1937). 31 Svolgo alcune considerazioni sulla occasionale resistenza delle discipline accademiche alla penetrazione delle direttive del regime motivata da ragioni non politiche ma di corpo nel mio Attraverso il fascismo. Le lingue a Ca’ Foscari da sezione a Facoltà, in Le lingue occidentali nei 150 anni di storia di Ca’ Foscari, a cura di A. Cardinaletti, L. Cerasi, P. Rigobon, ECF Edizioni Ca’ Foscari, Venezia, 2018, pp. 177-212. 20 Capitolo 1 Il sindacato come carriera Per evitare poi che venga confusa la legislazione del lavoro con il diritto corporativo si fa rilevare che la distinzione fra queste due materie è nettamente affermata e precisata nella dottrina»32. La nota esprimeva certo un’esigenza di rafforzamento della proprie prospettive accademiche; tuttavia, si fondava sul tratto originario dell’esperienza sindacalista di Landi, radicato nell’esperienza di guerra e nella sua precoce militanza nei fasci di combattimento. Si trattava in sostanza di un orientamento corridoniano, ispirato direttamente al sindacalismo nazionale del periodo bellico, che aveva come riferimento primario il “lavoro” e si richiamava alla “trincerocrazia” dei primi appelli mussoliniani. Il riferimento a Filippo Corridoni era una costante del sindacalismo di Landi, esplicitata in momenti anche molto diversi: si trovava in discorsi pronunciati nella fase di ascesa alla ribalta nazionale, a fine anni Venti, come anche nel pieno della guerra, nel 1942, e poi negli anni Cinquanta, fra le pubblicazioni dell’area del Movimento sociale italiano33. Landi, tuttavia, non aderiva alla versione pansindacalista, rossoniana, che aveva vissuto lo “sbloccamento” del 1928, ossia la disarticolazione del sindacato unico fascista guidato da Edmondo Rossoni in sei confederazioni nazionali parallele alle corrispettive e preesistenti organizzazioni padronali, come una sconfitta strategica e politica complessiva34. Piuttosto, si collocava in una posizione accuratamente mediana e mediatrice tra la rivendicazione dell’irrinunciabilità del ruolo del sindacato, e la sua risoluzione “costituzionale” nell’ordinamento corporativo, ponendo fra 32 Afus, Carte Landi, Busta 58, Varie Università, Fasc. Pratica generale relativa alla libera docenza, 1937. Nota dattiloscritta, senza data e autore. Sottolineature, maiuscole e minuscole nell’originale. 33 Si vedano di Giuseppe Landi: la nota La centuria Filippo Corridoni, in «Il Giornale di Genova», 23 ottobre 1928, e Filippo Corridoni, in «Il lavoratore del commercio», 1930 (cfr. G. Landi, Curriculum Vitae, cit. pp. 18-19); il discorso Nel solco Corridoniano, 1942 (Afus, Carte Landi, Busta 63, Dattiloscritti di articoli e discorsi, dattiloscritto di 9 pp., probabilmente discorso pronunciato di fronte alle maestranze di Milano in qualità di presidente della Cfli), e ancora, il più tardo Sindacalismo nazionale. Filippo Corridoni nell’anniversario dell’eroica morte, a cura del settore Stampa e propaganda del MSI, supplemento di «Lotta politica», datato 23 ottobre 1953 (Ivi, Busta 62, Pubblicazioni e estratti a stampa). 34 Si veda sempre F. Perfetti, Il sindacalismo fascista. I, Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo (1919-1930), Bonacci, Roma 1988, pp. 155-165. 21 Il lavoro corporativo i due termini una relazione di mutua e reciproca necessità. Come aveva sostenuto in un intervento pubblicato nella rivista giuridica di Costamagna «Lo Stato», volto a contrastare l’interpretazione del sistema corporativo fascista diffusa all’estero da Bruno Buozzi35, osteggiare il sistema corporativo fascista significava non vedere «l’aspetto veramente rivoluzionario che assume nel Regime corporativo fascista la partecipazione del lavoro inteso come forza viva e produttiva alla vita politica, economica e sociale della Nazione, in condizioni di assoluta parità col capitale»36. Il successo che, comunque, aveva coronato l’aspirazione ad uno status universitario, metodicamente perseguito facendo leva sulle materie di competenza sindacale e politica per approfondirle sul piano scientifico e darvi forma sul piano didattico, testimoniava non solo della caparbietà dell’uomo, ma anche dell’apertura di originali canali di accesso alla carriera accademica. Il suo percorso, che costituiva una novità rispetto alle modalità di reclutamento universitario del periodo prefascista, era il segnale della graduale ma progressiva penetrazione delle esigenze di formazione di una nuova classe politica, adeguata alle funzioni del nuovo stato, all’interno del recinto universitario37. Landi rimaneva a tutti gli effetti un dirigente sindacale e politico. Le sue lezioni nell’Ateneo ligure si tenevano il venerdì sera e il sabato mattina; talvolta, quando il protrarsi delle discussioni nell’aula parlamentare gli impedivano di prendere il treno per recarsi a Genova, avvertiva dell’imprevisto con un telegramma urgente. Soprattutto, il confronto fra il contenuto delle lezioni tenute nelle Scuole sindacali, nei corsi di preparazione politica, nelle conferenze per la formazione degli insegnanti, con quello dei corsi universitari evidenzia in effetti in questi ultimi una 35 Cfr. B. Buozzi, V. Nitti, Fascisme et Sindacalisme [sic], Libr. Valois, Paris 1930. Sulle tesi di Buozzi si vedano le considerazioni di Adolfo Pepe in A. Pepe, O. Bianchi, P. Neglie, La CGdL e lo Stato autoritario, Ediesse, Roma 1999, p. 135. 36 G. Landi, I fuorusciti e l’ordinamento corporativo, in «Lo Stato», ottobre 1931, fasc. II, n. 2, estratto a cura dello Stabilimento Tipografico de «Il Lavoro Fascista», Roma 1937, pp. 4-5. 37 Ha richiamato l’attenzione sul fenomeno Luisa Mangoni, Scienze politiche e architettura: nuovi profili professionali nell’università italiana durante il fascismo, in L’Università italiana tra Otto e Novecento. I modelli europei e il caso italiano, a cura di Ilaria Porciani, Iovene, Napoli, 1994, pp. 381-398. 22 Capitolo 1 Il sindacato come carriera commistione la trattazione di argomenti specifici e tecnici, e la presenza di considerazioni di natura culturale e politica più generale. Attraverso i suoi corsi universitari si realizzava così un travaso di competenze ed esperienze che, elaborate in prima istanza su un terreno pratico e in parte militante, venivano trasferite nel campo disciplinare accademico. 23 Capitolo 2 Pedagogia del mito corporativo Un paradigma storicistico Landi era consapevole della particolare caratterizzazione del suo profilo di docente, e sceglieva di non attenuare, quanto piuttosto di accentuare l’aspetto pragmatico del suo programma. Rivolgendosi agli studenti della Facoltà di Economia di Genova per introdurre il suo primo corso come titolare, Diritto corporativo del lavoro, annunciava che nelle sue lezioni avrebbe fatto ampio ricorso ad esempi pratici, per porre la disciplina anche «a contatto della realtà». E precisava essere «il mio metodo speciale, siccome sono dirigente sindacale oltre ad essere docente di Università ed ho una esperienza particolare, di indicare ai giovani ciò che è utile e interessante»1. Il richiamo all’esperienza concreta andava considerato vieppiù necessario, in quanto era rivolto a giovani destinati a ricoprire 1 Afus, Carte Landi, Busta 55, Varie Università, fasc. Lezioni tenute alla Scuola di Scienze Economiche e Commerciali dell’Università di Genova – 1939, dispensa dattiloscritta, 5° lezione, p. 1. Vale la pena di richiamare che la pratica corrente al tempo era quella di affidare ai Guf la compilazione delle dispense delle lezioni, che spesso, come in questo caso, riproducevano fedelmente il verbale di quanto pronunciato. 24 Capitolo 2 Pedagogia del mito corporativo ruoli chiave nel campo dei rapporti di lavoro: «sia nella vostra qualità di professionisti, sia nella vostra qualità di uomini, dovrete avere una posizione nel sistema organizzativo della nuova Italia». I giovani studenti, futuri esponenti della classe dirigente, era opportuno avessero in primo luogo nozione dell’importanza strategica della materia oggetto dell’insegnamento: il lavoro, che «ormai è entrato in tutti gli aspetti della vita»2. Conoscerne il profilo giuridico era perciò imprescindibile, e occorreva chiedersi quali fossero «le forme, i modi, i sistemi attraverso i quali il lavoro come attività politica, umana e sociale si avvia ad una sistemazione e del mondo della produzione e anche nel mondo della ricchezza [cosi] detta utile che ha attinenza al lavoro»: fra le quali spiccava la contrattazione collettiva, perché «sul piano corporativo il sistema collettivo è uno degli elementi fondamentali»3. Nelle intenzioni dichiarate, le fonti del diritto del lavoro sarebbero state perciò esaminate non tanto nella dottrina, quanto nelle condizioni sociali e istituzionali da cui avevano tratto origine. In particolare, sarebbe stata presa in esame la creazione di nuovi istituti da parte del regime, oltre alla «regolarizzazione che deriva dall’istituzione di organi nuovi che sono stati fondati dalla rivoluzione per identificare e disciplinare numerosi gruppi e sistemi attraverso i quali si sviluppa la regolarità sociale»4. E insieme, andava considerata anche la concezione originale sulla quale le nuove realizzazioni del regime andavano a poggiare. Le fonti del diritto del lavoro che sarebbero state prese in esame avrebbero mostrato «questo fatto fondamentale che fino da ora dovrete fissare nella mente e cioè: il lavoratore nel nostro sistema lavorativo non è un elemento di debolezza che deve essere assistito nei confronti dell’elemento capitale». Al contrario, «nel sistema corporativo non solo il lavoratore è a parità 2 3 4 Ibidem. Ivi, pp. 3-4. La letteratura sul contratto collettivo è come noto vastissima. Anche Landi vi aveva contribuito con gli articoli Leggi e contratti collettivi degli impiegati, e Contratto collettivo ed inquadramento sindacale, rispettivamente nei fascicoli di aprile e Giugno 1930 della rivista «Il lavoratore del commercio» (vedi G. Landi, Curriculum Vitae, cit., p. 15). Lezioni tenute alla Scuola di Scienze Economiche e Commerciali, cit., p. 3. Imprescindibile ora, per la lettura complessiva data dell’articolazione assunta dagli ordinamenti statuali durante il fascismo, è Melis, La macchina imperfetta, cit. 25 Il lavoro corporativo con l’industriale, ma è la base della produzione perché il lavoratore è responsabilità, è vita, insomma è quello che rappresenta l’energia, l’aiuto di chi dirige e di chi scopre. E’ una forma tale che lo Stato non lo riconosce più come elemento debole. Il lavoratore è una funzione sociale e come tale viene perfettamente assistito e tutelato»5. Nonostante gli intenti pragmatici, gran parte del corso sarebbe tuttavia stato dedicato ad una ricostruzione delle forme assunte nel corso dei secoli dalle relazioni fra capitale e lavoro, e fra società e stato, dove Landi rielaborava e riversava i principali temi di cui si era occupato negli anni e a cui aveva dato forma in contributi diversi, sia in pubblicazioni scientifiche o d’occasione, sia negli altri corsi tenuti in contesti sindacali, politici o professionali. Considerati nel loro insieme, potevano comporre la matrice culturale dei temi elaborati nelle lezioni. La prospettiva era storicistica, centrata sul progressivo emergere del lavoro industriale, e sulla progressiva assunzione della funzione regolativa de rapporto fra capitale e lavoro da parte degli ordinamenti pubblici. La messa a fuoco del tema del lavoro nel tempo portava dunque con sé, senza soluzione di continuità, il tema corporativo. Il sistema corporativo costruito dal fascismo italiano veniva presentato come il punto d’arrivo di una lunga evoluzione, e l’unico capace di superare le aporie del capitalismo liberale, nelle quali anche il socialismo era arenato, perché unico fra i sistemi istituzionali ed economici ad assumersi in toto la gestione dei rapporti fra capitale e lavoro attraverso l’istituzionalizzazione della contrattazione collettiva. La superiorità del sistema corporativo italiano tuttavia non era tanto data dal fatto di aver istituzionalizzato i rapporti fra capitale e lavoro, quanto di aver attuato l’organizzazione della produzione in funzione dell’interesse nazionale. La ricapitolazione dei tratti distintivi della successione delle epoche storiche per far emergere, in una versione particolarmente teleologica dell’impianto storicistico, gli elementi di superiorità del sistema corrente era un’impostazione che Landi condivideva con gran parte della manualistica del tempo sul tema corporativo. Questo tratto, più che essere indi5 Lezioni tenute alla Scuola di Scienze Economiche e Commerciali, cit., p. 4. 26 Capitolo 2 Pedagogia del mito corporativo ce, come è stato osservato, di debolezza dottrinaria6, costituiva invece un indicatore della politicità del discorso corporativo in tutte le sue manifestazioni, anche quelle che intendevano porsi sul piano più rigidamente accademico, nella tessitura di una rete di riferimenti costanti e comuni, attraverso la quale rappresentare la novità del sistema corporativo e la sua capacità di dare risoluzione ai problemi del tempo, condensati nel ricorrente e fondante riferimento al lavoro su cui era intessuto il discorso. La politicità era garantita dall’orizzonte statuale e pubblico adottato come punto di arrivo della ricostruzione, che era orientata a definire quale fosse «la posizione dello Stato dinanzi al fenomeno produttivo e dinanzi al fatto sociale». Pertanto, «Noi su questi argomenti esamineremo molto celermente i vari aspetto che lo Stato ha assunto nelle varie epoche perché questo problema non è nato oggi. Perché il Governo sociale non è nato adesso e quindi il fenomeno della disciplina è lontano come la storia. Poi vedremo quali sono stati gli interventi dello Stato nel mondo più vicino a noi, nel modo come ho accennato, al mondo della Rivoluzione. Quindi al liberalismo dal punto di vista economico e sociale. Vi farò una lezione sul punto di vista del fenomeno socialista perché solo apprendendo questa incongruenza potrete rendervi conto dell’aspetto del presente»7. Nella prospettiva di una presentazione agli studenti del suo primo corso genovese una ricostruzione del rapporto che nelle diverse epoche e nei diversi regimi politici intercorreva fra lo Stato e la società, intendendo quest’ultima nei termini inconsapevolmente durkheimiani di vita sociale e produttiva, Landi poteva contare su materiali elaborati in precedenza. Negli appunti preparatori ad uno scritto occasionato dal decennale della 6 7 Cfr. Riccardo Faucci, Nicola Giocoli, Manuals of economics during the Ventennio: forging the Homo corporativus?, paper presentato al primo convegno Cipei, (Centro interuniversitario di documentazione sul pensiero economico italiano), Economisti e scienza economica in Italia durante il fascismo, Pisa, 13-14 dicembre 2018. Lezioni tenute alla Scuola di Scienze Economiche e Commerciali, cit., p. 2. 27 Il lavoro corporativo Carta del lavoro si leggevano considerazioni che andavano nella medesima direzione: «Lo Stato, qualunque reggimento esso abbia avuto, dalle antiche forme oligarchiche, repubblicane, imperiali, a quelle feudali, ai comuni, alle signorie, alle monarchie autoritarie fino ai regimi moderni rappresentativi, non si è potuto mai disinteressare completamente della organizzazione del lavoro. E non poteva essere diversamente poiché indipendentemente da ogni altra considerazione di carattere più tipicamente sociale, sta il fatto che le masse del lavoro costituiscono in ogni sistema e regime politico il nucleo fondamentale della vita sociale e pertanto è indispensabile che esse siano legate allo Stato da un vincolo di solidarietà, che non si può non manifestare quando lo Stato si renda conto dei bisogni e delle necessità delle masse stesse»8. Ne seguiva una considerazione di massima, che costituiva anche un’indicazione politica, o meglio un trasparente, benché indirettamente enunciato, programma di governo: «In questo senso, ogni qualvolta lo Stato era forte interveniva direttamente nella sfera del lavoro; solo quando lo Stato veniva meno subentravano gli interventi delle Associazioni religiose e delle Associazioni professionali, come si è verificato nelle varie epoche»9. L’impianto storicistico consentiva di disegnare nitidamente un percorso che, lungo l’Ottocento, muoveva dallo Stato liberale postrivoluzionario, individualistico e indisponibile all’intervento nella vita economica, indifferente rispetto alle esigenze di protezione della società, cui nei secoli precedenti avevano dato risposta i corpi professionali e religiosi, al primo socialismo. Ma il socialismo rivoluzionario novecentesco, oltre a perpetrare il grave e irredimibile errore originario di fratturare l’unità 8 9 Afus, Carte Landi, Busta 12, Previdenza sociale, fasc. Assistenza Mutualistica- Dati vari – Appunti, dattiloscritto L’assistenza e previdenza nella Carta del Lavoro, data a matita: 19/4/37, p. 2. Ibidem. 28 Capitolo 2 Pedagogia del mito corporativo della nazione praticando la lotta di classe, commetteva anche la leggerezza di trascurare la questione della protezione del lavoro, considerandola come «un esplicito riconoscimento del regime borghese capitalistico nell’ambito del quale veniva ad istituirsi», e temendo perciò che «le previdenze potessero addormentare lo spirito rivoluzionario dei lavoratori»10. Come effetto della combinazione fra le due fasi storiche sopra accennate, emergeva la politica sociale delle democrazie contemporanee. Infatti «gli Stati cosiddetti democratici, che in fondo sono il compromesso politico tra le due opposte tendenze del liberalismo e del socialismo», hanno in una qualche misura preso in carico la funzione di protezione sociale e del lavoro, ma in termini riduttivi, e soprattutto senza riconoscere al lavoro la necessaria e dovuta centralità. Essi «hanno considerato, come considerano, l’intervento dello Stato nella tutela del lavoro come compromesso sociale», offrendo una soluzione parziale e insufficiente al «grosso problema sociale della posizione del lavoro nella moderna società e della partecipazione del lavoro stesso alla possibilità della ricchezza prodotta»11. Questa impianto interpretativo veniva travasato nelle lezioni. L’evoluzione storica attraversata dal rapporto lo Stato e la società nelle varie epoche ha sortito ovunque, tranne che nel fascismo italiano, ad una impostazione assistenzialista della protezione sociale, per l’incapacità di riconoscere al lavoro e al lavoratore la centralità che occupa nell’assetto economico e sociale della nazione «Dalla legislazione sociale di altri Stati è nato questo principio essendo il lavoratore un povero disgraziato bisognoso di assistenza perché non possiede che la sua energia che offre. Dal Duecento all’evoluzione moderna si basavano su questo punto di vista. Da noi il principio è completamente diverso»12. 10 Ivi, p. 3. 11 Ibidem. 12 Lezioni tenute alla Scuola di Scienze Economiche e Commerciali, cit., p. 4. 29 Il lavoro corporativo Il passaggio fondamentale compiuto dal fascismo era stato quello di riconoscere tale centralità alla vita sociale ed economica, ed al lavoro che ne era fondamento. Ma non solo. Il fascismo riconosceva al lavoro anche un valore etico e politico, superando con ciò il materialismo della tradizione liberale che lo considerava una merce, e di quella socialista, che lo riteneva una «perenne condanna»13. In definitiva, con la Carta eponima, il fascismo «dà al lavoro la sua posizione ben determinata, proclamandolo “dovere sociale” in tutte le forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche e manuali (dichiarazione II della Carta del Lavoro), cosicché esso dalla sua precedente funzione di servizio economico, passa alla nuova funzione sociale che non ha soltanto una valutazione materiale, ma soprattutto un alto valore umano e politico». In questa prospettiva, veniva ridimensionato il significato politico della garanzia di libertà di iniziativa economica e proprietà individuale assicurata alla parte imprenditoriale dal titolo VII della Carta del lavoro, che «considera l’iniziativa privata nel campo della produzione come lo strumento più efficace e più utile nell’interesse della Nazione». Essa infatti andava inquadrata appunto nel sovraordinato interesse nazionale, per cui nel sistema corporativo del fascismo «l’imprenditore ed il lavoratore sono posti sullo stesso piano di parità politica, morale e giuridica che si realizza attraverso il riconoscimento giuridico delle associazioni professionali e nel sistema dei rapporti fra le associazioni stesse»14: un’ulteriore dimostrazione, questa, della superiorità del sistema corporativo italiano sulle esperienze storiche contemporanee. L’Impero del lavoro Non sorprende che, anche nell’impianto del corso universitario, il riferimento alla dimensione nazionale come principio regolatore dei rapporti fra capitale e lavoro si condensasse nella figura di Giuseppe Mazzini. Nelle lezioni del 1939, della teoria mazziniana interessava infatti rilevare 13 Dattiloscritto L’assistenza e previdenza nella Carta del Lavoro, cit., p. 4 14 Ibidem. 30 Capitolo 2 Pedagogia del mito corporativo non solo l’«aspetto di misticismo e di religiosità», «contrapposto con il materialismo della associazione marxista», ma soprattutto il carattere di italianità: «Mazzini è il primo sociologo veramente nazionalista da un punto di vista attuale, non del nazionalismo del partito. Mazzini afferma la Nazione come quella entità di natura anzitutto etnica, spirituale e poi storica. Noi vedremo che tutto il movimento marxista è un fenomeno di forza internazionale e di negazione nazionale. Effettivamente è interessante l’affermazione mazziniana perché è una caratteristica del socialismo italiano»15. Landi si inseriva nel solco ben dissodato di un uso politico del patriottismo mazziniano, elaborato da Alfredo Oriani e canonizzato dallo stesso Mussolini16, e anche in questo caso riversava nelle lezioni materiali e argomenti messi a punto in precedenti occasioni. Sulla religiosità dell’ispirazione mazziniana Landi si era soffermato in un intervento tenuto alcuni anni prima presso il Centro di cultura e propaganda corporativa di Napoli, dove l’impegno dell’”apostolo” genovese a favore della diffusione dell’associazionismo mutualistico presso le classi popolari veniva letto in chiave spiritualistica, e orientato in prospettiva politico-patriottica: quando anche Mazzini si applicava allo «scopo immediato» dell’«assistenza materiale», andava riconosciuto che ciò aveva carattere strumentale; infatti «il fine è quello di dar modo alle masse di elevarsi spiritualmente, per elevare l’associazione, che serve ad elevare la patria, fulcro necessario alla organizzazione dell’umanità. L’aspetto fondamentale dell’associazione mazziniana è, quindi, un contenuto etico quasi religioso, che influisce profondamente nelle concezioni e nei metodi d’azione»17. La prima ragione di contrapposizione del mazzinia15 Lezioni tenute alla Scuola di Scienze Economiche e Commerciali, cit., Lezione 3 marzo 1939, p. 2. 16 Si veda sul punto Simon Levis Sullam, L’apostolo a brandelli. L’eredità di Mazzini tra Risorgimento e fascismo, Laterza, Roma-Bari, 2010. 17 G. Landi, Dall’Associazione Mazziniana alla Corporazione Fascista, Studio pubblicato nel 1932 nel n. 3 della collana di pubblicazione del Centro di cultura e propaganda corporativa di Napoli. Estratto, Stab. Tip. de “Il lavoro fascista”, Roma, 1937, pp. 6-7. 31 Il lavoro corporativo nesimo rispetto al liberalismo e al socialismo marxiano era quindi il suo antimaterialismo, «lo spirito contro la materia»: «Lo scopo della vita – dicono insieme i capi della scuola liberale classica come quelli del socialismo marxista – è quello di raggiungere il benessere materiale. Il fattore economico, quindi, domina qualunque altro, e, poiché è determinato da leggi universali e immutabili, sovrasta su ogni azione degli individui, dei gruppi e dei popoli». Proprio l’antimaterialismo e lo spiritualismo mazziniani, anche quando rivolti quindi a quel tanto di azione di protezione sociale promossa dall’associazionismo mutualistico, conducevano al primato della dimensione nazionale. Socialismo e liberalismo erano entrambi antinazionali: il primo internazionalista, il secondo altrettanto, «pur ammantandosi spesso di patriottismo». «Spesso la plutocrazia internazionalmente coalizzata sacrificò, infatti, umiliò e compromise la Nazione la cui individualità ed indipendenza politica è strettamente subordinata all’indipendenza economica. Per Mazzini, invece, l’idea di patria costituisce per tutti i popoli la missione fondamentale del secolo XIX»18. Attraverso la guerra, fin dalla lotta per l’intervento, il fascismo aveva raccolto il testimone di religiosità e patriottismo mazziniano: «Il Fascismo ha accettato le realtà scaturite dalla guerra; le ha anzi precorse e determinate, quando all’insuccesso della mancata rivoluzione materialistica e fatalistica del socialismo contrappose il gesto volontaristico ed eroico dell’intervento, che significò comprensione dell’unica possibilità rivoluzionaria anche come mezzo di ascesa delle classi lavoratrici: la guerra. Proclamando l’accettazione della guerra da parte delle masse come superamento dell’avvilente positivismo e come aspirazione delle stesse ad esercitare funzioni più elevate nella società. Riconoscendo, infine, la realtà storica della Nazione, ai cui destini sono legate le sorti e la prosperità di tutto il popolo in ogni classe e in ogni ceto sociale. La conciliazione fascista fra l’idea di patria a quella di giustizia sociale si riallaccia così alla più bella tradizione italiana»19 18 Ivi, pp. 8-11. 19 Ivi, p. 15. 32 Capitolo 2 Pedagogia del mito corporativo L’uso della figura di Mazzini come antecedente della conciliazione patriottica fra capitale e lavoro realizzata dal corporativismo fascista si innestava quindi su un terreno ampiamente frequentato, quello della religiosità della sua idea di patria, imprimendovi però una torsione significativa all’altezza della funzione nazionale della protezione sociale, così come sarebbe stata realizzata dal fascismo. Erano questi i termini in cui il tema mazziniano veniva riproposto nelle lezioni universitarie: «Mazzini afferma questo principio, che prenderà la azione [sic] nel Fascismo, che per poter essere libero sul piano sociale bisogna essere libero sul piano politico e per essere libero sul piano politico bisogna che la Nazione non sia assoggettata ad altre Nazioni»20. Il passaggio logico e politico insieme compiuto qui da Landi era quello compiuto dal nazionalismo originario, l’assimilazione cioè della dimensione dell’individuo con quella della nazione, che la riproduce su scala aumentata. Così come per l’individuo la libertà politica si fonda sulla sicurezza sociale, così la nazione trae la sua indipendenza dal non “assoggettamento” ad altre nazioni. Il nesso non era immediato né forse facilmente comprensibile, perciò veniva riproposto: «Questo concetto è perciò alla base delle organizzazioni mazziniane, la Patria da un punto di vista non estetico sentimentale, la Patria sociale, quel nucleo sociale che dà all’individuo la possibilità di essere socialmente libero, per cui Mazzini ha iniziato la sua lotta sociale sostenendo la necessità dell’indipendenza politica prima e dell’indipendenza sociale poi»21. Era però un nesso che consentiva di integrare, senza soluzione di continuità, il tema imperiale nella trattazione della centralità del lavoro nell’edificio corporativo fascista, anche nella sua declinazione in termini di costruzione di un sistema previdenziale. Prevedibilmente, dopo la conquista dell’Etiopia il tema imperiale veniva spesso evocato, soprattutto nelle occasioni pubbliche. Particolarmente significativo è il modo in cui andava ad innestarsi nel tronco del discorso su lavoro e previdenza, che restava prevalente. In una conferenza tenu20 Lezioni tenute alla Scuola di Scienze Economiche e Commerciali, cit., Lezione 3 marzo 1939, p. 2. 21 Ivi, p. 3. 33 Il lavoro corporativo ta al Centro di cultura fascista di Terni, nel maggio 1938, il riferimento al valore fondativo della Carta del lavoro si risolveva in un appello per l’Impero, attraverso il richiamo al carattere originariamente nazionale del sindacalismo fascista: «La realtà è che il lavoratore è legato disperatamente alla Nazione, è legato al focolare, alla casa, al campo, all’officina e se il capitale, sotto forma di denaro, può ancora circolare nel mondo bancario fra le nazioni e al di là delle frontiere, il lavoro è sempre necessariamente unito alle sorti della sua Nazione e se essa è ricca e prospera, il lavoro sta bene; se essa è misera e avvilita, il lavoro si trova in condizione di miseria e avvilimento»22. I lavoratori dovevano comprendere naturalmente che la «vera lotta» è quella che «si svolge fra Nazioni ricche e Nazioni povere, fra Nazioni che hanno realizzato il loro benessere attraverso secoli di battaglie e di conquiste e Nazioni che sono arrivate tardi a quella che poteva essere la conquista delle materie prime» e che solo una maggiore produzione nazionale poteva portare a una maggiore distribuzione di ricchezza: «quando la storia ci insegna che i grandi imperi fanno star meglio i lavoratori, quando abbiamo la certezza che la massa di ricchezza in circolazione è la condizione essenziale per distribuire un po’ meglio la ricchezza stessa, lo scopo dello stato dev’essere quello di dirigere la economia nazionale per questo fine». Attualizzando, però la concezione mazziniana dell’indipendenza come “non sottomissione” alle altre nazioni, ne derivava la necessità di indipendenza economica; meglio, «della autonomia economica, dell’autarchia economica»23. Perciò, proprio per dare realizzazione al contenuto sociale del fascismo, occorreva l’impero: «La realtà è che l’Impero è una condizione essenziale per realizzare l’ordinamento corporativo fascista, perché è la condizione per 22 Afus, Carte Landi, Busta 63, Dattiloscritti di articoli e discorsi, dattiloscritto Il Contenuto sociale del fascismo. Conferenza tenuta al Centro di Cultura Fascista di Terni il 15 maggio 1938, p. 5. 23 Ivi, p. 6. 34 Capitolo 2 Pedagogia del mito corporativo un accrescimento di ricchezza materiale, che può essere distribuito al popolo italiano. Chi ha avuto la possibilità di avere contatti con i rappresentanti delle organizzazioni di altri paesi, ed ha studiato quelle che sono le condizioni salariali degli operai ed impiegati dei vari Paesi, si è fatto questo convincimento molto preciso: che la remunerazione del lavoro è in proporzione direttamente elevata a quelle che sono le entità imperiali delle varie Nazioni. L’Inghilterra, l’Olanda, il Belgio, la Francia in ordine non di gradazione gerarchica, non di entità politica, ma di capacità economica, hanno dei salari che sono due o tre volte i lavoratori italiani»24. Centralità del lavoro L’affermazione della centralità del lavoro nel regime fascista, nella prospettiva di Landi, comportava il riconoscimento dei suoi aspetti nelle diverse dimensioni politiche prese in considerazione, dall’Impero alla protezione sociale. L’elemento qualificante, per il corso universitario del 1939, era in effetti la valorizzazione delle nuove funzioni assistenziali e previdenziali approntate dal regime e il riconoscimento del loro impatto nella società: «Vedremo l’assistenza e previdenza del lavoratore, perché in questo terzo aspetto si esamineranno tutte le norme che disciplinano l’assistenza concreta del lavoratore, cioè quelle forme di assicurazione, di organizzazione attraverso le quali una parte del salario del lavoratore viene trattenuto quotidianamente per poter far fronte a determinati rischi sulla persona del lavoratore stesso. E questo sarà un altro aspetto molto importante dell’assistenza di lavoro: assistenza e non beneficenza di altri Paesi ed altri regni. La tutela oggi non si limita alla persona del lavoratore ma si estende alla famiglia dello stesso perché la famiglia ha una importanza demografica fondamentale. Da ogni nostro concetto dei nostri postulati vi ho già detto che il 24 Ivi, p. 15. 35 Il lavoro corporativo lavoro è un fatto sociale, umano, non è più un attinente [sic] della domanda e dell’offerta»25. Anche nel corso tenuto presso la Scuola sindacale “Dario Guidi” di Genova, che pure aveva un carattere più tecnico, la funzione previdenziale riassumeva i principali caratteri dello Stato corporativo: «Come già per gli individui da secoli alla violenza ed all’auto-difesa del singolo si è sostituito la Giustizia assicurata dallo Stato, che ha la forza necessaria a far applicare agli individui il diritto riconosciuto dal Magistrato, così lo Stato fascista, che per la sua concezione totalitaria e la sua organizzazione ha i mezzi necessari per imporre una disciplina a tutte le classi, ha istituito una Magistratura, che decide le controversie collettive fra i gruppi economici ed assicura così una giustizia sociale senza quelle distinzioni di ricchezze e gli sconvolgimenti politici ed economici cui davano luogo gli scioperi e le serrate. La legislazione protettiva del lavoro in regime corporativo va quindi considerata non a sé stante, ma nel quadro completo assicurativo ed assistenziale che il Fascismo ha creato a tutela dei lavoratori ed a garanzia di tutte le classi produttrici italiane»26. La stretta correlazione tra sindacato, corporazione e politiche sociali, in particolare nel campo della previdenza, era un nesso su cui Landi aveva molto lavorato. Nel suo curriculum vitae, preparato per la libera docenza in Legislazione del lavoro, elencava 24 pubblicazioni raccolte sotto il titolo Assistenza e previdenza sociale, che comprendeva non solo saggi di rilievo scientifico, ma anche – a testimonianza del valore politico riconosciuto al tema - svariati articoli pubblicati nel «Lavoro fascista», il quotidiano dei sindacati diretto da Gherardo Casini, oltre a diversi testi di radioconversazioni e conferenze; ed era in questi interventi, per la loro natura pubblica e comunicativa, che la correlazione veniva articola- 25 Lezioni tenute alla Scuola di Scienze Economiche e Commerciali, cit., p. 5. 26 Afus, Carte Landi, Busta 55, Università, fasc. Attività della Scuola sindacale “Dario Guidi” di Genova, 1939-40, dispense dattiloscritte Lezioni di legislazione sull’assistenza e la previdenza sociale, p. 26. 36 Capitolo 2 Pedagogia del mito corporativo ta con particolare nettezza. Uno di questi era la conferenza La previdenza sociale nel regime corporativo tenuta su invito del rettore Riccardo Dalla Volta al Cesare Alfieri di Firenze nel 1932, dove Landi aveva messo a fuoco alcune delle tesi distintive che avrebbe poi utilizzato nel suo corso genovese. Dopo aver ricostruito le tappe dell’affermazione del principio di socialità nella storia, come superamento dell’«egoismo inumano del liberalismo economico», Landi sottolineava il carattere politicamente compromissorio della legislazione sul lavoro della tarda età liberale, e del connesso sviluppo degli istituti di assistenza e previdenza: «È così che dalla democrazia liberale e dal riformismo socialista nasce la social democrazia – regime intermedio di compromesso politico e sociale ed è questo regime che dà un grande sviluppo all’assistenza e alla previdenza. Tutta la legislazione del lavoro ne riceve un grande impulso – diviene un po’ il prezzo della transazione e del modus vivendi fra la borghesia preoccupata di conservare l’ordine sociale ed economico preesistente anche a prezzo di qualche concessione che servisse ad ammansire le masse ed il proletariato preoccupato di ottenere qualcosa che soddisfacesse almeno un poco l’attesa dei lavoratori»27 Naturalmente, nella concezione socialdemocratica la previdenza sociale non costituiva un valore in sé, ma aveva una funzione strumentale, veniva «considerata come soluzione transattiva del problema politico e sociale scaturito dalla lotta di classe», e pertanto ad essa sarebbe data attuazione per motivi contingenti. Lo Stato sociale, secondo Landi, non sarebbe mai potuto diventare un aspetto caratteristico dei regimi socialdemocratici, che non vi avrebbero mai dato una sistemazione definitiva e duratura, per una ragione in sostanza etica, cioè politica: «Si trattava infatti di una transazione, di un compromesso e come tale portava sempre a delle reciproche resistenze. Per cui il lavora27 Afus, Fondo Landi, Busta 63, Dattiloscritti di articoli e discorsi, dattiloscritto: Giuseppe Landi, La previdenza sociale in regime corporativo, Conferenza tenuta all’Istituto superiore di Scienze economiche e commerciali di Firenze, 28 aprile 1932, pp. 9-10. 37 Il lavoro corporativo tore mentre accettava spinto dalla necessità l’assicurazione sociale che gli veniva dal paternalismo dello Stato borghese, conservava in cuor suo un certo rancore proprio di colui che ha bisogno di stendere la mano ad un suo nemico. Perché anche nelle social democrazie le finalità ultime rimangono classiste – sono infatti di lotta, di battaglia e di sopraffazione. Lo stato d’animo sia degli uni come degli altri era insincero – non era quindi possibile che in queste condizioni la social democrazia avesse un contenuto etico»28. Mentre il fascismo, poggiando «tutta la sua costruzione sul concetto di nazione e di Stato», era il solo in grado di dare una nuova soluzione al problema sociale, e della convivenza delle classi attraverso l’ordinamento corporativo, a cui era «strettamente connessa una diversa sistemazione dell’assistenza e previdenza sociale»29. Pertanto il fascismo, per il quale «la nazione è soprattutto unità spirituale, che significa unità della razza nella storia», postulava anche una sostanziale «parità sociale e politica delle classi di fronte allo Stato», in quanto «la convivenza sociale deve essere organizzata sulla base di una maggiore giustizia da realizzarsi nell’ambito della Nazione e dello Stato, che non è più di classe o di partito ma che diventa espressione organica di tutte le classi, per disciplinarle tutte, armonizzarne gli interessi ed indirizzarle alle superiori finalità»30. E la forma assunta da questa organica composizione degli interessi sociali in regime corporativo era precisamente la previdenza, che nell’ordinamento corporativo «non ha come in regime social democratico il prezzo del compromesso sia pur provvisorio del problema sociale», ma essendo il suo carico ripartito fra i datori di lavoro e i lavoratori, «è solidarietà mutualistica che si esplica nell’ambito delle categorie come reciproco riconoscimento di datori di lavoro e lavoratori, ed ha finalità etiche in quanto entro il clima politico del corporativismo eleva anche educando i lavoratori»31. 28 29 30 31 Ivi, p. 11. Ivi, p. 12. Ivi, pp. 13-14. Ivi, pp. 15-16. 38 Capitolo 2 Pedagogia del mito corporativo Attraverso, cioè, la valorizzazione dell’aspetto tecnico della progressiva messa in opera del sistema previdenziale veniva elaborata un’interpretazione politica degli interventi del regime in campo sociale, come cifra tangibile dell’attuazione del progetto di integrazione del lavoro nell’assetto corporativo della nazione. 39 Capitolo 3 L’importanza della categoria Nazione, famiglia, gruppi sociali Non a caso, il tema era messo a fuoco con particolare attenzione nel decennale della Carta del Lavoro, per sceverare i principi informatori della previdenza corporativa da quelli posti in essere dai regimi liberali e democratici, nei quali assistenza e previdenza «sono pressoché tollerate come ripiego provvisorio in attesa di diverse soluzioni della vita sociale, [mentre] nella concezione corporativa trovano una loro funzione organica e permanente che consente una sistemazione razionale alla quale è assicurata la attuazione dei postulati primo fra tutti quello della solidarietà fra le categorie e la direttiva unitaria nelle soluzioni che derivano dallo spirito unitario che informa tutto l’ordinamento corporativo»1. Il riconoscimento e l’individuazione dei principi attraverso cui la previdenza veniva organizzata ed erogata permettevano tuttavia di fare un passo ulteriore. Nel corporativismo fascista non solo si realizzava il pas1 Dattiloscritto L’assistenza e previdenza nella Carta del Lavoro, cit., p. 7. 40 Capitolo 3 L’importanza della categoria saggio dalla beneficenza privata di ascendenza di antico regime alla previdenza pubblica, riconosciuta dal diritto del lavoro, ma «il lavoratore non è più tutelato e protetto secondo una concezione individuale, bensì secondo l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale attraverso il quale il lavoro esplica la sua funzione»2. Il corporativismo fascista, cioè, pur essendo statalista si articolava attraverso la rivalorizzazione dei corpi intermedi, dei gruppi dei quali la società era costituita. Il primo gruppo di appartenenza era quello della famiglia. Le realizzazioni previdenziali del regime, che nelle diverse occasioni venivano sempre accuratamente enumerate e illustrate, erano pertanto commisurate e dimensionate in relazione al contesto familiare del lavoratore. La ragione stava nella necessità di tutelare «l’elemento etico del nucleo familiare», di cui veniva sottolineata la finalità popolazionista, «in quanto il dovere del cittadino produttore si identifica con quello del cittadino soldato e non vi è possibilità di realizzare la potenza economica ed il benessere sociale senza aver prima assicurata la potenza politica della quale il numero è l’elemento essenziale». In questa prospettiva, acquistava sostanza la concezione organica della previdenza corporativa: «La difesa sociale della razza e la preoccupazione dell’incremento demografico, che sono alla base dello sviluppo e dell’affermarsi della razza stessa, influisce notevolmente sulle concezioni fasciste della previdenza sociale, è considerato soprattutto in rapporto ai bisogni della collettività fascista in quanto a fianco del concreto interesse dell’individuo e delle categorie vi è sempre il presupposto di un interesse generale e nazionale»3. Ma veniva anche data una interpretazione più estensivamente unitaria dell’ambito previdenziale corporativo, che da un lato doveva includere organicamente anche l’assistenza sanitaria, e dall’altro doveva essere riconosciuto di competenza delle organizzazioni sindacali: «l’azione per l’assistenza e previdenza sociale non può essere considerata una branca 2 3 Ivi, p. 8. Ivi, p. 9. 41 Il lavoro corporativo separata dell’attività dell’azione sindacale, che è preminente nella formazione delle relative norme e nella loro regolamentazione, come nelle realizzazioni che ne derivano»4. E veniva avanzata una soluzione tecnica precisa, che sarebbe stata più volte riproposta negli interventi dei tardi anni Trenta, vale a dire l’incardinamento dell’organizzazione della previdenza sulla base della categoria produttiva, sia dal punto di vista contributivo che delle prestazioni: «Con questo non riteniamo che si possa addivenire a tanti Istituti assistenziali e previdenziali quante sono le categorie inquadrate sindacalmente. Pensiamo invece che la categoria considerata dal punto di vista sindacale e corporativo possa entrare in pieno, come del resto si sta realizzando in parte nella struttura dei grandi Istituti delle Assicurazioni e dell’Assistenza sociale, in modo che la corrispondenza delle forme di gestione nell’ambito degli Istituti stessi con le categorie interessate, si renda sempre più efficiente e che le categorie stesse possano partecipare sempre più alla vita amministrativa delle forme assistenziali e previdenziali»5. Gli orientamenti corporativi della previdenza sociale Le considerazioni sopra esposte erano state svolte in occasione di una conferenza tenuta a Roma il 27 aprile 1937, su invito dell’Istituto di cultura fascista. La parte conclusiva, intitolata Gli orientamenti corporativi della previdenza sociale, sarebbe diventata il nucleo del contributo di Landi forse più impegnativo e commentato, pubblicato nel Q uaderno n. 8 de «L’Assistenza sociale»6. Landi si inseriva, nel flusso di pubblicazioni uscite per il primo decennio della Carta del Lavoro, fra quelle che trattavano lo sviluppo della previdenza sociale, in particolare da parte 4 5 6 Ivi, p. 22. Ivi, p. 23. G. Landi, Gli orientamenti corporativi della previdenza sociale, in «Quaderni de L’Assistenza sociale», n. 8, luglio 1937 [in Afus, Carte Landi, Busta 62, Pubblicazioni. Estratti a stampa]. 42 Capitolo 3 L’importanza della categoria di Bruno Biagi e Riccardo Del Giudice7, e intendeva sottolineare «taluni aspetti generali, che assume la previdenza sociale nel regime Corporativo fascista, in rapporto alla posizione che essa ha di fronte agli altri elementi della politica sociale, alle sue finalità specifiche ed al metodo delle sue realizzazioni»8. Sviluppava poi la consueta ricostruzione delle fasi storiche della previdenza, partendo dalla considerazione che «alla base di ogni manifestazione di assistenza e di previdenza costituite in forma collettiva, per iniziativa di gruppi o dello stesso pubblico potere, si è sempre ravvisata la necessità di creare un vincolo di solidarietà fra individui per legarli ad un nucleo organizzato, nel campo religioso o in quello professionale od infine, nella stessa compagine politica dello Stato». Dopo la Rivoluzione francese e l’affermazione del capitalismo, allo Stato liberale si poneva il problema di «contemperare» la lotta di classe, adottando come soluzione di compromesso i primi provvedimenti di legislazione sociale «a mezzo delle quali lo Stato “democratico” – che per altro è tuttora dovunque la espressione del regime capitalistico – tenta di difendere l’ordine economico e sociale che rappresenta, anche ormai storicamente condannate all’insuccesso, mediante concessioni alle masse di assistenze e provvidenze, che assicurando un minimo di garanzia ai lavoratori attutiscano lo spirito rivoluzionario e ribellista degli stessi»9. L’unico ad impostare la previdenza in termini non compromissori e condiscendenti era il regime corporativo, per il ruolo di dovere e funzione sociale riconosciuto al lavoro: «Cosicché lo strumento fondamentale della politica sociale del Fascismo, è costituito non già da un sistema più o meno perfezionato di assicurazioni sociali, bensì dal complesso degli organi corporativi e degli istituti che ne derivano»10. 7 Bruno Biagi, La previdenza sociale nel primo decennio della Carta del Lavoro, in «Le assicurazioni sociali», Marzo-Aprile 1937, n. 2, poi ripubblicato in Id., La politica del lavoro nel diritto fascista, Le Monnier, Firenze, 1939, pp. 160-178; Riccardo Del Giudice, La politica sociale del regime nell’anno XIV, in «Rassegna della Previdenza sociale», 9-10 settembre 1936, poi ripubblicato in Id., Problemi del lavoro, Unione editoriale italiana, Roma, 1937, pp. 199-201. 8 G. Landi, Gli orientamenti corporativi della previdenza sociale, cit., p. 6. 9 Ivi, pp. 7-8-9, corsivi nel testo. 10 Ivi, p. 13, corsivo nel testo. 43 Il lavoro corporativo Va rilevato come in questo contributo venisse messo a fuoco con particolare chiarezza come il sistema corporativo, per sua natura, tendesse a realizzare un sistema previdenziale unitario ma non universalistico: «Ogni tanto si manifestano tendenze a voler trasformare in un sistema rigido e parastatale quello snodato e corporativo oggi esistente, della assicurazione malattie, così come si è realizzato anche in Italia dopo la Carta del Lavoro nel grandi settori dell’attività produttiva»11. La l’organizzazione del sistema previdenziale doveva invece essere incardinata nella categoria produttiva. Era alla categoria produttiva che spettava la determinazione degli oneri e delle prestazioni in rapporto ai bisogni ed alle possibilità dei gruppi interessati: «non si può non considerare la categoria professionale che nel nostro sistema sociale ha notevole importanza in quanto rappresenta la gerarchia delle funzioni lavorative, alla quale deve corrispondere la valutazione del lavoro»12. In questa prospettiva, andava rifiutata l’ipotesi di «un trattamento unico livellatore per tutte le categorie produttive e professionali, sia pure considerate minimo di garanzia», e andava messo allo studio invece il perfezionamento di «un sistema di prestazioni differenziate nella forma e nella misura, tali da aderire maggiormente alla forma lavorativa, ed alle possibilità delle singole branche dell’attività economica». In sintesi, occorreva tener fermo il ruolo della categoria, per riaffermare la centralità del sindacato: «A nostro avviso la categoria produttiva, ai fini specifici della previdenza sociale, dovrebbe essere identificata in quei complessi di attività similari per affinità economiche e professionali, i quali, dopo oltre undici anni di esperienza organizzativa in base all’ordinamento sindacale e corporativo, sono stati organicamente raggruppati nelle grandi branche di attività, corrispondenti alle attuali Confederazioni sindacali del datori di lavoro e dei lavoratori. Le quali hanno, come è noto, identica struttura sul piano del parallelismo organizzativo e rispondono ai grandi settori dell’industria, dell’agricoltura, 11 Ivi, p. 31. 12 Ivi, p. 22. 44 Capitolo 3 L’importanza della categoria del commercio e dei servizi accessori a tali attività fondamentali (quali il credito, l’assicurazione, i servizi tributari, ecc.)»13. Era lo stesso Landi a sintetizzare i punti salienti del suo contributo in un successivo promemoria, che vale la pena riportare per esteso: «In uno studio intitolato “Gli orientamenti corporativi della previdenza sociale” (Quaderno n. 8 de «L’Assistenza sociale» – Luglio 1937-XV°) ho prospettato le seguenti tesi: I) – che la previdenza sociale, pur adempiendo ad una funzione essenziale, è uno strumento accessorio ed integrativo dell’azione sindacale e corporativa; 2) – che la categoria economica e professionale costituisce il nucleo basilare delle realizzazioni previdenziali con la determinazione dei contributi, delle prestazioni e delle forme regolatrici della previdenza mediante il contratto collettivo di lavoro o la norma corporativa, consensualmente accettati; 13 Ivi, p. 23, corsivo nel testo. In proposito veniva citato in nota Bruno Biagi, in un passo che merita riprodurre: «La valorizzazione del Sindacato nel campo della previdenza sociale è del resto in atto anche per merito degli uomini che presiedono i grandi Istituti ai quali le vigenti leggi demandano la gestione delle previdenze fondamentali. S. E. Biagi, presidente dell’Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale, nell’opera citata, così si esprime: “L’avere conferito alla previdenza il carattere di manifestazione del principio di collaborazione ha nettamente modificato il campo stesso della produzione delle relative norme giuridiche, le modalità e lo spirito della loro elaborazione e della loro applicazione. Per il passato, se si prescinde dalle manifestazioni, sempre limitate nei loro effetti, della mutualità operaia, le norme regolatrici delle varie forme di previdenza sociale emanavano direttamente dallo Stato, sotto la esclusiva forma della legge, ed erano conseguenza o di pressioni unilaterali da parte delle associazioni dei lavoratori che, con intimidatorie minacce, spingevano lo Stato ad intervenire in questo settore, o dell’attività e della propaganda filantropica di coloro che non potevano restare insensibili di fronte alle talora tristi condizioni dei lavoratori. Il principio di collaborazione ha determinato il superamento di queste concezioni e di questi metodi; in piena armonia di intenti, con la visione costante dei propri particolaristici interessi, le organizzazioni professionali dotate di un adeguato statuto giuridico, permeato di uno spirito nuovo, sono le principali artefici del perfezionamento della previdenza sociale; sono esse che concepiscono ed elaborano, in buona parte, gli sviluppi della previdenza sociale; sono esse che esplicano le più efficaci funzioni di consulenza presso gli organi statali preposti alla definitiva elaborazione dei provvedimenti di legge; sono esse che, laddove non sia possibile, opportuno o tempestivo provvedere a mezzo di disposizioni legislative, stipulano appositi contratti collettivi, manifestazione caratteristica del principio di collaborazione”». (Ivi, p. 36). 45 Il lavoro corporativo 3) – che alla tradizionale struttura previdenziale per rischi assicurativi differenziati secondo rischi specifici di portata generale, dovrebbe sostituirsi una struttura basata su una valutazione complessa rispondente a tutte le possibilità di riduzione o di perdita della capacità lavorativa nell’ambito della categoria produttiva, il che consentirebbe l’unificazione dei contributi assicurativi, l’automatismo del controllo e la generale applicazione delle norme; 4) – che la gestione previdenziale, per le forme assistenziali che implicano un sistema di finanziamento a ciclo breve e definito (come l’assicurazione malattie) dovrebbe essere affidata agli organi professionali, pur conservandosi l’organizzazione unitaria dei servizi sanitari, mentre per le forme complesse che si basano sul sistema della copertura dei capitali (servizi assicurativi che si realizzano a tempo indeterminato) la gestione non può essere che nazionale, accentrata in appositi Enti a base corporativa non solo per la rappresentanza sindacale negli organi amministrativi, ma anche per la struttura che dovrebbe aderire a quella delle categorie produttive. Si avrebbero così, nell’ambito dei grandi Istituti unitari, gestioni assicurative di categoria, per la distribuzione funzionale in senso corporativo della previdenza sociale (come è avvenuto per gli assegni familiari). In tal modo la categoria entrerebbe in pieno nel campo della previdenza ed il Sindacato compirebbe “tutte le funzioni sociali che dalla legge e dal Regime gli sono attribuite nel campo del contratto, del collocamento, dell’assistenza e dell’educazione nazionale” [non precisa la pagina della citazione]14. Tecnica e politica della previdenza sociale Il nodo del riordinamento della macchina di assistenza e previdenza, nella combinazione fra risvolti tecnici e fini politici, tornava con insistenza negli interventi di Landi. Dal confronto fra le versioni più “pubbliche” 14 Afus, Carte Landi, Busta 12, Previdenza Sociale, Fasc. Assistenza mutualistica – Dati Vari – Appunti, dattiloscritto Pro Memoria, s.d., pp. 1-2. 46 Capitolo 3 L’importanza della categoria e comunicative, come i testi delle conferenze, e gli articoli tecnici che riprendono il medesimo oggetto, si rileva l’inscindibilità della motivazione e finalizzazione politica dalle argomentazioni tecniche. Durante una conferenza sul tema del Coordinamento e unificazione della previdenza sociale pronunciata di fronte all’uditorio della “settimana medica” presso l’Università di Padova veniva dato infatti rilievo al nesso originario e politico fra l’esperienza di guerra e la politica sindacale e corporativa del regime: «Se è vero come è vero, che l’intervento o la guerra sono le prime fasi della rivoluzione delle camicie nere, se è vero come è vero che è in trincea che il popolo lavoratore ha conquistato i diritti di una nuova cittadinanza nella nazione e nello Stato, tutto quello che facciamo per assistere il lavoro è la conseguenza diretta del nostro sacrificio e della nostra vittoria»15. Veniva poi riproposta in chiave diacronica la differenza di ispirazione dei provvedimenti sociali del fascismo rispetto a quelli attuati dai regimi liberali, rilevando quanto i presupposti dei primi provvedimenti nella legislazione del lavoro, avviati in periodo liberale, fossero «radicalmente diversi» da quelli poi attuati dal fascismo, perché «il lavoro, nel sistema preesistente al 1922 era una entità economica, una merce qualsiasi». Allo stesso modo, «il lavoro nei regimi democratici, liberali e socialistoidi, e pure bolscevici [sic] è considerato un elemento declassato di fronte alla società», e dunque viene posto sotto tutela e protetto «perché lo si considera bisognevole di cure e di assistenza, una specie di mendicante che dà una attività alquanto modesta, per cui è necessario che si organizzi una qualche cosa che assomigli al soccorso legale»16; mentre nel fascismo «il lavoro è un dovere sociale, è una funzione sociale, è un atto di pubblico interesse, è un pubblico bene, e come tale lo Stato ha il dovere di proteggerlo, non come il mendicante che chiede il soccorso, ma come colui 15 Afus, Carte Landi, Busta 12, Previdenza sociale, fasc. Coordinamento e unificazione della previdenza sociale, dattiloscritto Id., Conferenza tenuta a Padova il 18 giugno 1938 (con segni a matita di revisione), p. 1. 16 Ivi, p. 3. 47 Il lavoro corporativo che assolve una finzione, adempie un dovere, ed è quindi in condizione non di inferiorità, ma di superiorità»17. Da questa diversa considerazione discendevano sia la rilevanza e nazionale del lavoro che la funzione redistributiva del sistema di protezione sociale; ne discendeva, inoltre, l’assetto non universalistico ma l’aderenza categoriale - “corporativa” appunto - dei provvedimenti di previdenza all’articolazione della gerarchia sociale e delle professioni. «Qualunque assicurazione del lavoro non può essere considerata per alcun motivo un atto di soccorso fatto da una parte della popolazione all’altra parte, ma deve essere considerato un modo diverso di distribuzione del reddito, ed è una parte di rimunerazione che anziché data al momento in cui si paga il salario, viene accantonata per i bisogni futuri del lavoratore. Detto questo è risolto in atto il concetto nuovo della previdenza sociale, che è un atto integrativo e correlativo della rimunerazione del lavoro, così che l’assicurazione per la previdenza sociale deve essere organizzata sullo stesso piano in cui si realizza la concezione del lavoro, sia in atto, che in potenza»18. Nell’articolo pubblicato poche settimane dopo con lo stesso titolo, questa premessa veniva riproposta, con ulteriori specificazioni. Nel campo della previdenza sociale il fascismo aveva «ripudiati i residuati di una concezione materialistica e privatistica, che considera il solo uomo economico e si basa esclusivamente sui principi del diritto privato per il risarcimento del danno senza elevarsi alla funzione pubblica della tutela del lavoro, quale elemento essenziale della nuova civiltà fascista»19. Inoltre si precisava come nella concezione corporativa il lavoro era considerato non solo un’attività economica ma un dovere sociale in quanto «elemento di pubblico interesse e di alto valore non solo morale e politico ma 17 Ivi, p. 4. 18 Ibidem. 19 Giuseppe Landi, Coordinamento e unificazione della previdenza sociale, in «l’Assistenza sociale», anno XII, n. 8, agosto 1938, pp. 3-19 (Afus, Carte Landi, Busta 62, Pubblicazioni. Estratti a stampa), citaz. a p. 4. 48 Capitolo 3 L’importanza della categoria anche etnico e razziale». In quanto tale, lo Stato fascista non solo «tutela il lavoro e dà allo stesso, anche dal punto di vista del regolamento giuridico della funzione e della rappresentanza politica e amministrativa, la piena parità nei confronti di ogni altro elemento della produzione», ma vi attribuisce una «preminenza». «Tale preminenza si concreta – a parte la considerazione che ogni realizzazione del Regime tende al benessere del popolo italiano – nella concezione etica che, attraverso le parole del capo, pone il lavoro a soggetto della economia nell’ordinamento corporativo fascista»20 Nel testo della conferenza, la centralità strategica della categoria nel sistema previdenziale del fascismo veniva rilevata «non soltanto in linea politica, non soltanto in linea economica, ma anche in linea tecnica, attuariale e medico-legale»21, e osservando come «la categoria produttrice può essere presa a base per stabilire l’elemento di incontro delle varie forme assicurative, sulle quali creare il coordinamento e la unificazione»22. Nell’articolo, il tema veniva meglio elaborato: «la categoria produttiva, nell’ambito della quale il lavoratore svolge la propria attività, ha rilievo fondamentale per quanto si attiene alla capacità di guadagno del lavoratore, nonché alla portata che assumono i singoli rischi specifici, e può considerarsi l’elemento basilare sul quale far convergere tutte le forme che sono coordinabili e unificabili»23. La conclusione era comunque la medesima: «Nella categoria, quindi, si realizza il punto di incontro per il coordinamento, e ciò sia dal punto di vista tecnico- assicurativo, sia da quello dei contributi, potendosi questi stabilire in rapporto alle modalità di partecipazione del lavoratore alla distribuzione del reddito nelle rispettive branche dell’attività produttiva. In effetti, la categoria economica e produttiva è alla base del rapporto assicurativo non soltanto in linea politica ed economica, ma anche in linea tecnica, attuariale e medico-legale, perché se l’assicurazione è un sistema 20 21 22 23 Ivi, pp. 5-6. Dattiloscritto conferenza Coordinamento e unificazione, cit., p. 6. Ivi, p. 9. Giuseppe Landi, Coordinamento e unificazione, cit., p.8. 49 Il lavoro corporativo solidaristico fra gli individui, quando essa deve essere realizzata in un mondo sociale dove già è in atto una forma di solidarietà, quella della categoria produttiva voluta dallo Stato Corporativo, occorre che l’assicurazione stessa aderisca alla concezione solidaristica dell’ambiente in cui si attua»24. 24 Ivi, pp. 8-9. 50 Capitolo 4 Previdenza e assistenza come progetto totalitario Sulla soglia del governo Dopo questo ciclo di interventi1, e nello stesso anno in cui teneva il suo primo corso all’Università di Genova, a Landi veniva attribuito l’incarico di relatore per la conversione in legge del del D.L. 14 aprile 1939 sulla riforma delle assicurazioni di invalidità e vecchiaia. Il dispositivo 1 Alla vigilia dell’incarico, oltre agli studi citati, e ad una serie di radioconversazioni sui temi tipici delle politiche sociali, trasmesse soprattutto nell’anno 1936 e poi pubblicate nel «Lavoro fascista» (L’assistenza sociale del lavoratore, La tutela della lavoratrice madre, La casa del lavoratore, La famiglia nell’assistenza fascista, La famiglia dell’impiegato nella tutela sociale del Regime), Landi aveva pubblicato in quel torno di tempo anche: I lavoratori del credito e dell’assicurazione in Germania e in Italia, in «Il lavoro fascista», n. 108, 1938; Le categorie impiegatizie del credito e dell’assicurazione in A.O.I, in «Espansione Imperiale», n. 9, 1938; Coordinamento dell’assistenza e previdenza sociale in A.O.I, in «Rassegna economica dell’Africa Italiana», n. 7, 1938; La mostra delle colonie estive e dell’assistenza all’infanzia, in «l lavoro fascista», n. 208, 1937; La funzione sociale delle assicurazioni private, in «Il lavoro fascista», n. 22, 1938; Categorie e previdenza, in «L’Assistenza sociale», n. 3, 1938; Realizzazioni sociali dell’anno XV, in «Il lavoro fascista», n. 64, 1938; Gli sviluppi della tutela per la lavoratrice madre, in «Politica sociale», n. 8, 1939; Le nuove realizzazioni previdenziali per gli impiegati privati, in «Rivista dell’impiego privato e del mandato commerciale», n. 4, 1939 (si veda l’elenco nell’appendice dattiloscritta a Giuseppe Landi, Curriculum Vitae, cit.). 51 Il lavoro corporativo legislativo, di cui è stata data in passato una lettura estremamente riduttiva2, veniva invece presentato da Landi come il «coronamento di quella vasta opera di riforma degli istituti di previdenza sociale che iniziatasi dopo la emanazione del Regio decreto-legge 4 ottobre 1935-XIII, n. 1827, è stata perseguita nel volgere di un quadriennio in molteplici campi», con l’obiettivo di attuare una «più alta giustizia sociale». Si trattava secondo Landi di un provvedimento che introduceva «innovazioni vaste e profonde, che incidono in maniera sostanziale nel sistema previdenziale già vigente, tanto che, mercé loro, è assicurato decisamente all’Italia un nuovo primato in un campo nel quale le mete raggiunte collaudano veramente il grado di civiltà e di maturità cui un popolo è pervenuto»3. Al netto dei toni declamatori, va rilevato come il provvedimento, che nella sostanza andava ad estendere il campo di pertinenza dell’INFPS, istituto «al centro del vasto campo della previdenza obbligatoria, [a cui] dovranno essere ricondotte le iniziative esistenti in tal campo e verso [il quale] dovranno convergere le iniziative future»4, nonostante la natura spiccatamente tecnica5 venisse considerato da Landi come un atto eminentemente politico. La politicità derivava direttamente da carattere ob2 3 4 5 Nell’opera di Cherubini, a lungo rimasta di riferimento per gli studi non tecnico-specialistici sul tema, il nodo dei «rapporti fra organizzazione sanitaria sindacale e centrale» nell’ambito dei provvedimenti legislativi nel campo previdenziale (fra i quali non è citata la legge dell’aprile del 1939) è visto come cruciale ma irrisolto, prova ne essendo la riproposizione, da parte degli stessi relatori Landi e Scotti, di misure di coordinamento dell’assistenza malattie e di unificazione dei contributi previdenziali e di tutela sanitaria per i familiari dei lavoratori anche nella relazione al bilancio del Ministero delle Corporazioni per l’anno 1940-41 (Arnaldo Cherubini, Storia della previdenza sociale, Editori Riuniti, Roma, 1977, pp. 341-345). Afus, Carte Landi, Busta 12, Previdenza sociale, Fasc. Relazione allo schema di provvedimento concernente il nuovo ordinamento della previdenza sociale, Bozze di stampa, stesso titolo, 1939, p. 3. Ivi, p. 8. Nella discussione a commissioni riunite, infatti, il sottosegretario alle Corporazioni Renato Ricci proponeva di modificare il titolo del disegno di legge con quello più ampio e ambizioso di Riordinamento della previdenza sociale; mentre Bruno Biagi, allora presidente della Commissione legislativa dell’Industria, proponeva quello più asettico e circoscritto di Modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per la invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi e la disoccupazione involontaria, che sarebbe stato accettato (Atti Parlamentari, Camera dei Fasci e delle Corporazioni, XXX legislatura (I della Camera dei fasci e delle corporazioni), Commissioni Legislative riunite Bilancio, Industria e Agricoltura, Resoconto dell’Adunanza di giovedì 25 Maggio 1939, Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del RDL 14 Aprile 1939, n. 636, 52 Capitolo 4 Previdenza e assistenza come progetto totalitario bligatorio della previdenza: questa, infatti, «inserita saldamente nell’ordinamento corporativo dello stato fascista, ha il suo centro di gravità nella massa organizzata dei lavoratori»6, rinviando con ciò alle finalità complessive del sindacalismo corporativo del regime. In questa chiave, dunque, l’irrinunciabilità della funzione previdenziale per l’attuazione delle finalità politiche del regime veniva associata all’affermazione della centralità del sindacato nel porle in essere nel quadro del sistema corporativo. Questa correlazione veniva riproposta poche settimane dopo, avendo Landi ricevuto dal ministro delle Corporazioni Ferruccio Lantini – con il quale condiviso a suo tempo la partecipazione alle conferenze di Ginevra del Bit - l’incarico di compilare la relazione al bilancio preventivo delle Corporazioni per l’esercizio finanziario 1939-40, nella parte relativa all’attività sindacale e corporativa. L’incarico sarebbe stato rinnovato per l’anno successivo, ma interrotto poi dall’entrata in guerra nel giugno 1940. Per l’espletamento del compito, certamente impegnativo – al quale forse sperava facessero seguito futuri ma non ottenuti incarichi di governo, - Landi aveva messo in campo una rilevante raccolta di materiali, che consentono di dare uno sguardo in profondità all’interno del funzionamento del Ministero, del quale notoriamente è andato perduto l’archivio7. Dalla natura e dall’ampiezza delle richieste di materiali diramate ai responsabili degli uffici ministeriali emerge l’intenzione di fare il punto sull’azione corporativa complessiva realizzata durante la XIX legislatura. Landi infatti per la preparazione della relazione chiedeva ad Anselmo Anselmi, allora Direttore generale del Lavoro e del Segretariato delle Corporazioni, non solo «tutte le notizie ed elementi che normalmente vengono forniti in tali occasioni», ma «qualora nulla osti, gradirei anche i dati relativi a quegli aspetti particolari, che mi permetto di indicarvi 6 7 recante modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l’invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria, pp. 19- 35). Relazione allo schema di provvedimento concernente il nuovo ordinamento della previdenza sociale, cit., p. 7. Il materiale, spesso però frammentario e incompleto, è conservato nelle buste 5 e 6. Sulla dispersione dell’archivio si veda il lavoro sistematico di Francesca Nemore, L’archivio scomparso. La documentazione per la storia del Ministero delle Corporazioni, Aracne Editrice, Roma, 2018. 53 Il lavoro corporativo in apposito promemoria allegato alla presente»8. La bozza di promemoria conteneva un elenco in dieci punti, che specificavano la richiesta di documentazione sul funzionamento degli organi corporativi, visti come «strumenti fondamentali della politica economica e sociale, in vista delle finalità politiche della Nazione e dello Stato Fascista, ai fini di realizzare le mete imperiali, che costituiscono d’altra parte la realizzazione sul piano internazionale, che costituiscono d’altra parte la realizzazione sul piano internazionale di una più alta giustizi sociale»9. Fra i punti da toccare, che delineavano in controluce uno schema interpretativo del tema corporativo in chiave sindacale, al primo posto si trovava il «perfezionamento della struttura degli organi corporativi- Funzionamento dei Comitati Tecnici e dei Comitati consultivi delle Corporazioni, Comitati di conciliazione» e Consorzi, seguito dall’«Azione degli organi corporativi per la disciplina dei prezzi, determinazione dei costi di produzione, difesa della capacità di acquisto dei redditi di lavoro», dagli «aspetti sociali della politica degli approvvigionamenti», dal «salario familiare, la sua elaborazione, la sua evoluzione ed i recenti adeguamenti», dall’ispettorato corporativo, dall’«evoluzione del contratto collettivo di lavoro», con riferimento alla sua «notevole influenza nella tutela assistenziale e previdenziale del lavoratori», e infine dalla «funzione conciliativa delle Associazioni professionali nel campo delle controversie collettive ed in quelle individuali di lavoro», raccomandando di fornire anche cifre relative agli anni precedenti per la necessaria comparazione10. Corporazioni e sindacato L’ampio materiale preparatorio di provenienza ministeriale, che in effetti conteneva una serie di regesti relativi all’intera precedente legislatura11, 8 Afus, Carte Landi, Busta 5, Fascicolo Ministero Corporazioni, Attività 1938-1940, minuta dattiloscritta Giuseppe Landi ad Anselmo Anselmi, Roma, 8 Aprile 1939). 9 Ivi, Dattiloscritto Direzione Generale del lavoro e del segretariato delle corporazioni, Funzionamento degli organi corporativi, con annotazioni manoscritte di Landi. 10 Ibidem. 11 Ivi, sottofasc. Attività corporativa, che contiene una serie di riassunti dattiloscritti, tutti della stessa mano, che sintetizzano per ogni sessione annuale di bilancio l’attività mi54 Capitolo 4 Previdenza e assistenza come progetto totalitario confluiva nella redazione della Relazione della commissione generale del Bilancio stilata da Landi, che si discostava dai testi preparatori per alcune significative aggiunte e altrettanto significative omissioni. Due rilevanti discrepanze fra il materiale preparatorio e la relazione vanno in particolare segnalate. La prima è l’apposizione di una parte introduttiva, che prevedibilmente sintetizzava il punto di vista del relatore, dove emergeva la convinzione che la fase di costruzione dell’edificio corporativo «iniziatasi nell’anno XIII con la costituzione e il primo funzionamento delle Corporazioni», fosse ormai giunta a termine e concretata «nelle conquiste autarchiche e nelle realizzazioni sociali dell’anno XVII»12. Una realizzazione che si compendiava nell’«intervento organico e permanente dello Stato […] realizzato così in ogni campo di attività economica, nelle forme e nei modi previsti dalla dichiarazione IX della Carta del Lavoro. Landi riteneva che con questo avesse trovato «piena attuazione il principio base del sistema corporativo, cioè che l’elemento economico debba essere sempre subordinato al fattore politico, e che, pertanto, nella produzione, come nella distribuzione della ricchezza, gli interessi particolari siano subordinati agli interessi generali della Nazione e dello Stato, che è l’espressione totalitaria del popolo italiano»13. Proprio per la convinzione di essere alla chiusura di un primo periodo, veniva data da Landi una sistemazione ai materiali oggetto della relazione che rifletteva la sua lettura retrospettiva non solo delle funzioni assunte dalle istituzioni corporative, ma del particolare equilibrio da queste raggiunto con i sindacati. L’indice della relazione sulla Politica sociale e corporativa, che modificava la struttura prevista nella bozza, era articolato in Organizzazione sindacale, Attività sindacale nel campo sociale, nisteriale per le materie in esame, raggruppati secondo i titoli indicati dal promemoria di Landi. 12 Afus, Carte Landi, Busta 5, Fascicolo Ministero Corporazioni, Attività 1938-1940, estratto Camera dei Fasci e delle Corporazioni, XXX Legislatura- I della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, Relazione della Commissione Generale del Bilancio (Relatori Landi e Scotti) sul Disegno di Legge presentato dal Ministro delle Finanze (Thaon di Revel) – Stato di previsione della Spesa del Ministero delle Corporazioni per l’esercizio finanziario dal 1 luglio 1939 al 30 Giugno 1940, presentato alla Presidenza il 25 Aprile 1939, p. 1. 13 Ivi, p. 2. 55 Il lavoro corporativo Perfezionamento della legislazione sociale e Organizzazione corporativa14, dando così uno speciale rilievo alla politica sociale e previdenziale nella dinamica dei rapporti fra sindacato e corporazione. La seconda discrepanza riguarda il peso relativo fra corporazioni e sindacato. Gli appunti ministeriali, in tema di contratto collettivo, sottolineavano la prassi conciliativa sedimentata dall’azione degli organi corporativi, dove le funzioni di sindacato e corporazione tendevano a sovrapporsi e in prospettiva a riassorbire le funzioni del primo nella seconda: «Da parte delle organizzazioni degli imprenditori come da parte di quelle dei lavoratori, in ogni settore, non si verificano atteggiamenti contrastanti con lo spirito delle istituzioni sindacali bensì si manifestano […] segni tangibili e confortanti del rafforzarsi di un metodo corporativo, di uno spirito che è in vari casi già divenuto spirito connaturatosi, per cui il contratto collettivo, una volta arena non sempre incruenta di lotte e di gare perniciose per la Nazione, si è trasformato in uno strumento di ordinata amministrazione degli interessi sindacali […] Concludendo si può affermare che tutto l’ordinamento contrattuale tende a sdrammatizzare il fattore salario integrandolo con altri elementi di origine extra contrattuale; e gli stessi imprenditori dimostrano con gli accordi che stipulano su tutto l’insieme dei loro rapporti con i dipendenti di intendere che non può essere veramente economico ciò che prima di tutto non sia sociale»15. 14 Ibidem. La bozza invece prevedeva in primo luogo un Esame tecnico del bilancio finanziario, poi gli Aspetti organizzativi, economici e sociali dell’attività del Ministero delle Corporazioni di previsione, e a seguire il Perfezionamento degli organi sindacali e corporativi, diviso nei due capitoli, poi l’Azione svolta dagli organi sindacali e corporativi, articolata in Autarchia, prezzi e salari, e infine l’Assistenza e la previdenza sociale, articolata in Collocamento, Mutualità, Assicurazioni sociali, assicurazioni private, Formazione ed istruzione professionale (Ivi, dattiloscritto Relazione al bilancio del Ministero Corporazioni, Schema della relazione). 15 Ivi, dattiloscritto Relazione sull’attività svolta dal ministero e dalle associazioni sindacali sul piano della regolamentazione dei rapporti di lavoro e della difesa della capacità di acquisto delle categoria lavoratrici, p. 6. 56 Capitolo 4 Previdenza e assistenza come progetto totalitario Nella relazione, Landi al contrario sottolineava in più punti e a più livelli il ruolo autonomo del sindacato: non solo, infatti, dopo un decennio dall’emanazione della Carta del Lavoro «la funzione contrattuale delle organizzazioni sindacali si è confermata uno dei mezzi più efficaci per agire sul piano dell’accorciamento delle distanze, secondo le direttive date dal Duce, poiché, mentre aderisce perfettamente alle caratteristiche e necessità assistenziali delle categorie lavoratrici, non si discosta dalla realtà economica e dai bisogni della produzione»16; ma soprattutto, a suo parere, «il Sindacato è, dunque, alla base della Corporazione, ne costituisce l’elemento essenziale e, lungi dall’essere sminuito o svuotato dal sempre maggiore sviluppo assunto della funzione corporativa, trae da ciò nuovo potenziamento e appare, anzi, sempre più l’elemento originale e differenziatore del nostro sistema economico e sociale nei confronti di ogni altro»17. In questa chiave, il ruolo del sindacato non avrebbe mai potuto essere riassorbito all’interno delle funzioni della corporazione, ma al contrario era elemento indispensabile per la loro vitalità: «Si può, dunque, affermare che, nella concorde azione di quasi un ventennio, il Sindacato fascista, lungi dal costituir elemento di lotta o di contrasto tra le classi e le categorie, ha sempre servito ad identificare gli interessi, ad avvicinarli, ad armonizzarli […] Ciò ha reso anche possibile la più stretta collaborazione tra gli organi sindacali e corporativi e gli organi della pubblica amministrazione […] E non poteva essere diversamente, in quanto, nel sistema corporativo la partecipazione della categoria alla vita dello Stato non si limita alla pura funzione normativa, ma si estende, attraverso le corporazioni, sino alla stessa funzione regolamentare e amministrativa; il che rappresenta, a nostro avviso, un aspetto tipicamente rivoluzionario del nostro sistema nei confronti degli altri»18 16 Relazione della Commissione Generale del Bilancio (Relatori Landi e Scotti), cit., p. 5. 17 Ivi, p. 7. 18 Ivi, p. 8. 57 Il lavoro corporativo Un sindacalismo corporativo Che il punto focale intorno al quale ruotava l’asse della posizione di Landi fosse il ruolo del sindacato, tanto da fargli teorizzare una sorta di “sindacalismo corporativo” come tratto distintivo del regime, emergeva dal dibattito in Aula sulla sua relazione al bilancio, durante il quale ripeteva quasi verbatim i passi della relazione, cui evidentemente attribuiva importanza cruciale. Vale la pena riportare l’intero passo: «Camerati, io voglio concludere, ma debbo prima intrattenervi un momento sulla funzione veramente fondamentale che nel congegno e nel sistema corporativo ha assolto il sindacato il quale, lungi dall’essere elemento di contrasto, di squilibrio, come poteva apparire in tempi lontani, oggi invece è elemento che disciplina i produttori, che identifica gli interessi, che li inquadra e li armonizza per portarli poi sul piano corporativo, con un concetto che è già generale e nazionale, prima di essere particolare (Applausi). Ora a questo riguardo penso che stia proprio nel sindacato l’aspetto caratteristico e geniale della nostra costruzione, in quanto nel nostro sistema pure attuandosi una disciplina, che va in profondità, fra l’individuo e lo Stato c’è questo organo intermedio, che vuol dire possibilità dell’individuo di avere una propria individualità collettiva, che vuol dire poter determinare le responsabilità dell’individuo e delle categorie in funzione dei superiori interessi e dei compiti assegnati dal Regime e dalla Rivoluzione»19. Contestualmente, Landi disegnava un parallelismo fra sindacato e partito che rivelava una sua attenzione agli equilibri interni all’assetto del regime e adombrava forse una sua aspirazione a ruoli più impegnativi: 19 Discussione del disegno di legge: Stato di previsione della spesa del Ministero delle Corporazioni per l’esercizio finanziario 1 luglio 1939-30 giugno 1940, in Atti Parlamentari, XXX legislatura, Assemblea Plenaria, 4 maggio 1939, p. 94. 58 Capitolo 4 Previdenza e assistenza come progetto totalitario «Non possiamo poi trascurare, pure essendo questo evidentissimo, quella che è la funzione formidabile che ha il Partito nella costruzione sindacale e corporativa. Sul piano sindacale, la vita delle Corporazioni, la scelta dei dirigenti, la funzione conciliativa, la funzione contrattuale, trovano sempre nel Partito, nei Federali e nel centro, nel Direttorio e nel Segretario del Partito tutto l’appoggio, tutta la comprensione, tutta la tutela necessaria per superare gli inevitabili contrasti degli interessi particolari e portarli sempre sul piano generale e politico»20. Nella relazione per l’anno 1940-41 alla previdenza veniva riservato un intero capitolo; tuttavia, il fatto stesso della reiterazione dei medesimi argomenti suggerisce la loro scarsa incidenza. Landi cercava di rilanciare il tema previdenziale anche all’inizio del secondo anno di guerra, ritornando ad una trattazione più culturale e politica che tecnica. La politica sociale del regime era presentata, in linea con diversi interventi del periodo21, come fattore per la costruzione della “Civiltà del lavoro”, da raggiungersi in armonia con l’alleato tedesco: «Le più recenti realizzazioni sul piano sociale, quali l’adeguamento del salario familiare ed il perfezionamento dell’assistenza ai disoccupati, stanno a provare come in Italia, anche quando urgono più gravi i problemi inerenti alla condotta della guerra, non si perdano di vista le esigenze delle classi lavoratrici che, appunto per le loro condizioni, sono portate a sentire maggiormente i disagi imposti dalla guerra a tutta la Nazione»22. Dopo la consueta ricostruzione, in questo caso trattata ampiamente, dell’evoluzione dell’assistenza nei diversi periodi storici, dall’antichità greco-romana agli Stati assoluti, e dopo aver indicato, come in diversi altri scritti, la Rivoluzione francese come momento di svolta in cui «venne definitivamente acqui20 Ibidem. 21 Cfr. Parlato, La sinistra fascista, cit., p. 177, e F. Amore Bianco, Dalla Carta del lavoro alla Carta della scuola: mito e pratica del lavoro nell’università italiana durante gli anni del fascismo maturo (1936-1943), in «Annali di storia delle università italiane», 2/2017, pp. 301-321. 22 Giuseppe Landi, L’Assistenza e previdenza sociale nel sistema e nel diritto fascista, in «Quaderni de “L’Assistenza sociale”», seconda serie, numero 10, giugno 1941, pp. 3-23 (Afus, Carte Landi, Busta 62, Pubblicazioni. Estratti a stampa), citaz. a p. 3. 59 Il lavoro corporativo sito il concetto della “beneficenza” come dovere dello Stato e diritto del povero»23, Landi qui si discostava da formulazioni precedenti per una sottolineatura del ruolo storico della Germania nello studio e nella promozione della legislazione sociale, e per il riconoscimento delle difficoltà di attuazione del sistema previdenziale corporativo, dovute secondo Landi al retaggio del sistema assicurativo preesistente : «Ma questi caratteri privatistici e individualistici che ancora rivestono il nostro sistema assicurativo, sono indubbiamente destinati ad essere eliminati e, pertanto, riteniamo che si debba passare dall’assicurazione all’assistenza con copertura dei rischi non più individuale, ma collettiva, attuabile, a nostro avviso, nell’ambito della categoria, od anche con estensione a tutte le categorie, soprattutto per quanto si riferisce ai rischi della invalidità e della vecchiaia secondo i recenti orientamenti programmatici del Nazional-socialismo»24. 23 Ivi, p. 11. 24 Ivi, pp. 22-23. 60 Capitolo 5 In tempo di guerra La dissoluzione del sindacato fascista L’anno successivo, in un intervento che avrebbe conosciuto una certa diffusione, Landi avrebbe posto in evidenza gli aspetti più critici del sindacalismo corporativo realizzato1. Si trattava di una ricognizione lucida dei problemi del sindacato in tempo di guerra, che si discostava dal tono assertivo degli interventi precedenti, e rivelava in alcuni punti aspetti drammatici. Landi intendeva con il suo intervento rispondere alle critiche che da più parti venivano mosse all’azione sindacale nel suo com-plesso. Riconosceva innanzi tutto il vincolo di dipendenza funzionale cui era per sua stessa natura sottoposto il sindacato fascista rispetto agli obiettivi del regime: 1 Giuseppe Landi, Vitalità del sindacato, estratto dalla rivista «Carattere. Rassegna del lavoro italiano», n. 7, 20 luglio 1942, pp. 3-14. Vale la pena rilevare che una copia dell’articolo si trova fra le carte di Giuseppe Bottai (Afus, Fondo Bottai, Busta 7). 61 Il lavoro corporativo «Il Sindacato fascista, nella sua esperienza pratica ormai ventennale e nei suoi sedici anni di esistenza giuridica per la rappresentanza legale delle categorie, ha dovuto subordinare sovente la realizzazione dei suoi compiti ad elementi di ordine esterno, e precisamente a speciali condizioni politiche e militari, e quindi economiche, della Nazione giunta in forza della rinascita fascista al suo momento storico di affermazione imperiale»2. Se il sindacalismo fascista, in quanto sindacato nazionale, aveva sempre condizionato la difesa degli interessi dei lavoratori ai più generali orientamenti politici del fascismo, questa circostanza aveva secondo Landi anche permesso al sindacato fascista di superare il trauma del blocco dei salari imposto dalla situazione bellica, che avrebbe minato la credibilità di qualunque altro sindacato: «Per un Sindacato tecnico, o economico, o “senza aggettivi”, che dir si voglia, in sostanza, per un Sindacato che non portasse in sé i motivi politici, sociali e anche spirituali del Sindacato fascista, il “fermo” all’attività di dinamica salariale avrebbe significato probabilmente la fine», mentre per il sindacato fascista il blocco dei salari costituiva «soltanto un aspetto particolare in un momento di eccezione»3. Le critiche mosse al sindacato andavano comunque secondo Landi riassunte in tre punti: «a) Burocratizzazione delle organizzazioni sindacali; Insufficiente tecnicismo delle organizzazioni sindacali, con particolare riferimento a quelle dei lavoratori; c) Rallentata, o non realizzata, funzione di rappresentanza delle organizzazioni sindacali nei confronti dei componenti le categorie»4. Il primo e il terzo punto erano in realtà secondo Landi interdipendenti, perché «Nelle organizzazioni dei lavoratori il personale di funzioni burocratiche e gli elementi con funzioni rappresentative delle categorie non sono nettamente distinti: sia alla periferia come al centro l’ufficio tecnico del Sindacato, più che confinare si confonde sovente con 2 3 4 Ivi, p. 3. Ivi, p. 4. Ivi, pp. 5-6. 62 Capitolo 5 In tempo di guerra l’organo dirigente amministrativo, con la gerarchia della categoria: l’organizzatore che dirige un ufficio sindacale sovente rappresenta egli stesso la categoria lavoratrice, il segretario di Federazione nazionale riassume in sé le due funzioni di Presidente (rappresentativa) e di direttore (burocratica)»5. Landi cercava di dimostrare che questa commistione non doveva essere «drammatizzata come la palla al piede destinata a segnare l’immobilità del Sindacato», perché se era vero che gli organizzatori «assommano in sé la duplice figura di funzionario e di rappresentante», tuttavia andava ricordato che spesso «provengono essi stessi dalle file del lavoro, e pertanto sono degli autentici esponenti delle categorie lavoratrici; che sovente essi hanno dovuto assumersi il duplice compito di interpretare le aspirazioni dei lavoratori e di agire in forma burocratica per impostare e risolvere i problemi, cioè per far agire il Sindacato»6. Gli esempi che Landi poteva avanzare per illustrare il fatto che «tutte le volte che è apparso opportuno e possibile, l’organizzazione ha chiamato i lavoratori a ad assumere rappresentanza e responsabilità della categoria»7, erano tuttavia limitati e confermavano il problema, tanto che dichiarava senz’altro che «Per quanto riguarda il futuro la tendenza delle Confederazioni del lavoratori è rivolta ad attuare una sempre più decisa differenziazione fra l’elemento burocratico-amministrativo e l’elemento amministrativo e dirigente. Mentre il primo deve essere tratto dalle università e dalle specializzazioni delle scuole, il secondo deve essere fornito dalle categorie stesse, le quali avranno la possibilità di esprimere con sempre maggiore facilità, attraverso la cosiddetta ginnastica sindacale, i dirigenti comunali, provinciali e anche nazionali»8. 5 6 7 8 Ivi, p. 6. E’ importante rilevare che secondo Landi questa commistione non si registrava nei sindacati imprenditoriali, dove i funzionari erano nettamente distinti dai dirigenti sindacali in rappresentanza degli imprenditori; né poteva imputarsi agli imprenditori scarsa competenza tecnica. Ibidem. Ivi, p. 7. Ivi, p. 8. Interessanti le cifre, dove dichiarava che «solo nel campo dell’industria si contano oggi 50.102 fiduciari e corrispondenti aziendali, 25.712 fiduciari e fiduciari e 63 Il lavoro corporativo La stessa interdipendenza andava rilevata fra i problemi della burocrazia e della rappresentanza, e in quelli della capacità tecnica del sindacato, perché «da tempo le organizzazioni sindacali hanno deciso il proprio orientamento, che appunto perché tende a potenziare la capacità tecnica del Sindacato, a tutti i fini, si rivolge con attenta cura a risolvere la necessità di una sempre migliore attrezzatura burocratica». E in conclusione, Landi rivendicava le realizzazioni concrete, «i formidabili problemi del lavoro risolti appunto in virtù della capacità tecnica del Sindacato», fra i quali menzionava «la eliminazione di sistemi di lavoro che mortificavano l’intelligenza professionale dei nostri operai, la regolamentazione preventiva del cottimo, il graduale ma costante perfezionamento delle leggi per la tutela dei lavoratori, per l’assistenza e la previdenza sociale, la salvaguardia della nostra giovinezza attraverso una razionale disciplina dell’apprendistato»9. Non poteva però negare che lo stato di guerra avesse profondamente modificato obiettivi e compiti del sindacato, che si doveva ora occupare soprattutto di «alimentazione dei lavoratori, approvvigionamenti, razioni e supplementi, spacci aziendali; fornitura generi di abbigliamento, abiti e scarpe da lavoro per gli operai; assistenza ai lavoratori e famiglie; disciplina del collocamento della manodopera; collaborazione con gli organi corporativi con esperienze e consigli»10. E se qualcuno dovesse meravigliarsi «che il Sindacato oggi si occupa delle scarpe», «allora dovremmo precisare che non solo le razioni alimentari, ma le scarpe da lavoro, le tute, la maglia di lana pesante per andare a lavorare in altri Paesi, e altri simili argomenti, costituiscono problemi che seppure non propriamente sindacali sono di diretta competenza di un Sindacato che funzioni»11. Era questo, certo, un cambio di passo rispetto alle più rarefatte teorizzazioni del ruolo costituzionale del sindacato avanzate alla vigilia del conflitto. Ma la rivelazione drammatica della completa sudditanza dell’azione componenti di direttorio di Sindacato comunale, 24.652 segretari e componenti di direttorio di Sindacato provinciale, i quali sono tutti autentici lavoratori» (Ibidem). 9 Ivi, p. 14. 10 Ivi, p. 10. 11 Ivi, pp. 11-12. 64 Capitolo 5 In tempo di guerra sindacale agli scopi di guerra era la presentazione di quello che secondo Landi costituiva il migliore esempio della sua efficienza, vale a dire la disciplina del trasferimento dei lavoratori al fronte, e soprattutto in Germania, «con una razionale e apprezzabilissima regolarità»: «Fermiamoci a ricordare le multiformi e complesse operazioni per il trasferimento di centinaia di migliaia di lavoratori in Germania, i trasferimenti di operai di diverse categorie in Africa, in Albania, in Dalmazia, l’organizzazione di speciali compagini di portuali compiuta talvolta in quarantotto ore per i porti d’oltremare dove la loro opera era essenziale per i rifornimenti bellici, ed oggi la partecipazione al più vasto fenomeno della manovra della mano d’opera che è indispensabile per l’efficienza economica della Nazione»12. La Confederazione Fascista dei Lavoratori dell’Industria Questa difesa dell’efficienza della collaborazione del sindacato alle operazioni di guerra era stata stilata da Landi dal suo nuovo osservatorio di presidente della Confederazione Fascista dei Lavoratori dell’Industria (Cfli), a cui era arrivato nell’ottobre 1941 subentrando a Pietro Capoferri, dopo aver presieduto per sette anni la Confederazione degli impiegati bancari e assicurativi. La presa in carico del sindacato industriale era stata inaspettata («Io tutto credevo fuorché di venire a fare il Presidente qui; quindi non mi ero prospettato i problemi che in questi giorni mi sono venuti avanti con una certa urgenza»13), ma Landi aveva comunque cercato di fare fronte alle enormi difficoltà in cui versava il comparto produttivo per eccellenza provando a riorganizzare l’assetto della confederazione, promuovendo il coordinamento interno attraverso riunioni, relazioni e 12 Ivi, p. 13. 13 Afus, Carte Landi, Busta 28, fasc. Testo stenografico della riunione dei segretari di Federazione del 26/10/41 XX, dattiloscritto, stesso titolo, p. 11. 65 Il lavoro corporativo rapporti e intraprendendo personalmente visite nelle diverse province nonostante le difficoltà di spostamento14. La massa di resoconti stenografici delle riunioni tenute a regolare cadenza costituisce una fonte preziosa sulle condizioni economiche e sociali del paese nel tempo15; e testimonia anche dell’estremo tentativo di rivitalizzazione di un’organizzazione sindacale piegata dallo sforzo bellico e dalla subordinazione alle esigenze del regime, che Landi avanzava in base alla convinzione della sua indispensabilità. L’organizzazione sindacale avrebbe dovuto secondo Landi riacquistare una funzione politica («ho il convincimento che le Organizzazioni di categoria devono avere tutta la responsabilità politica e sindacale che ad esse compete per statuto e per sistema»). Il sindacato avrebbe dovuto essere vitale, per far vivere la corporazione: «Penso e desidero che le Federazioni funzionino, perché la Federazione è la base della Corporazione, e senza la Federazione la Confederazione non funziona»16. Al ruolo del sindacato rispetto alla corporazione corrispondeva una proporzionata concezione del ruolo del dirigente sindacale, a cui Landi richiamava i segretari federali: «Voi non siete dipendenti della Confederazione; voi siete coloro che dirigono la Confederazione insieme al Presidente confederale. Voi dovete venire dal Presidente come da un vostro pari. […] Io conside- 14 Landi elencava 45 suoi personali viaggi di ispezione e riunione in tutto il Paese nell’arco di un anno, oltre a 71 voci di riunioni confederali; mentre il totale delle visite di ispezione attuate da funzionari della Presidenza confederale ammontava a 243 (Ivi, Dattiloscritti Attività del Presidente confederale dal 29/10/1941 al 30/11/1942, s.d.; Allegato: Elenco dei convegni, rapporti, Riunioni Confederali dal 25/1/ 42 XX al 31/12/42 XXI, s.d.; Prospetto delle ispezioni effettuate da 1 gennaio al 20 ottobre 1942 XX, Roma, 21 ottobre 1942 XX). 15 Diversi fascicoli di resoconti stenografici delle riunioni con i dirigenti confederali, con i segretari di Federazione nazionale, con i dirigenti e gli organizzatori provinciali, oltre che dei discorsi agli operai durante le visite tenute nelle diverse città della penisola in Afus, Carte Landi, buste 29-35. 16 Ivi, p. 2. Si trattava di un intento di rivitalizzazione delle Federazioni apprezzato dai Segretari, uno dei quali dichiarava «Se qualche volta siamo stati un po’ seduti non è certo per il nostro spirito. Ti parlo anche a nome di tutti nel dirti che finalmente noi respiriamo. Effettivamente le Federazioni non sono state tenute fino ad oggi nella considerazione che dovrebbero avere. Non sono nemmeno attrezzate come dovrebbero esserlo. Effettivamente, se dovessimo fare un esame di coscienza, dovremmo dire che nel campo tecnico, ad esempio, purtroppo non siamo attrezzati» (Ivi, p. 13). 66 Capitolo 5 In tempo di guerra ro i Segretari di Federazione come collaboratori che rispondono con me della Federazione. I funzionari sono un’altra cosa: sono persone rispettabilissime, ma voi siete i dirigenti sindacali. Se voi mancate alla vostra responsabilità, mancate anche al vostro prestigio»17, Nel sollecitarli alla trasmissione periodica e diretta di informazioni, l’intento di Landi sarebbe stato di riavvicinare i delegati alla concretezza dei luoghi di lavoro, invitandoli ad «andare in mezzo ai lavoratori senza la cerimonia, senza il gerarca ecc., ma all’improvviso andare, riunire i camerati di una determinata categoria». Certo, la reiterazione della necessità di un riavvicinamento ai luoghi di lavoro e di un complessivo cambio di passo nei rapporti fra il centro e la periferia adombrava la realtà di un profondo scollamento, rivelato dalla sua negazione retorica («con questo non voglio dire o pensare che fino ad oggi non si sia fatto niente o si sia fatto male»), tanto da rendere necessari alcuni cambi della guardia per la riorganizzazione interna degli incarichi18. Dal punto di vista programmatico, nelle prime dichiarazioni di fronte ai lavoratori Landi intendeva «in rapporto alla precedente gestione, rafforza[re] questo punto essenziale: difesa della lira, collaborazione con le autorità per difendere e tenere duro sui prezzi, per indicare e accusare gli accaparratori», in tal modo cercando di difendere almeno indirettamente i salari: «La Confederazione, dicevo, sarà intransigente in questo principio, in questo concetto della tutela del salario operaio, della capacità di acquisto della retribuzione operaia, e metterà in atto tutte le iniziative quali la costituzione di spacci aziendali e iniziative similari che consentano la possibilità di distribuzione di viveri, anche di quelli non razionati. Soprattutto, anzi, di questi, e ciò non soltanto per ragioni di ordine strettamente assistenziale con riguardo ai lavoratori e alle loro famiglie, ma anche per ragioni superiori di carattere produttivo, perché noi vogliamo che il lavoratore non perda la sua 17 Afus, Carte Landi, Busta 28, fasc. Testo stenografico della riunione dei segretari di Federazione del 26/10/41 XX, dattiloscritto, stesso titolo, p. 6. 18 Ivi, citazioni alle pagine 1, 7, 9. 67 Il lavoro corporativo capacità produttiva, che in questo momento è più che mai indispensabile alla vita e alla ricchezza della nazione»19. In prospettiva, come dichiarava nelle riunioni con i direttori confederali, la sua intenzione sarebbe stata quella di fare leva sulle condizioni eccezionali dovute allo sforzo bellico per spingere sulle trasformazioni del sistema produttivo in senso più compiutamente corporativo: riteneva ad esempio opportuno incoraggiare i lavoratori al risparmio, «far accantonare al lavoratore qualche cosa che sia veramente suo, dargli una previdenza in modo che i lavoratori che sono nelle condizioni di avere un minimo salariale possano accantonare un’aliquota per sé», come presupposto per il raggiungimento di uno dei più dibattuti obiettivi del sindacato, l’azionariato operaio, da consolidare dopo la fine del conflitto: « si potrebbero autorizzare le società anonime ad emettere azioni a valore nominale, facendo godere il lavoratore stesso del beneficio proveniente dal prezzo rialzato delle azioni. Studiare, quindi, il problema dell’azionariato operaio su larga scala, nel senso che nel dopoguerra non dobbiamo accontentarci del salario, ma, uscendo da questa situazione, arrivare a far partecipare i lavoratori agli utili dell’azienda»20. Tuttavia, al netto dei progetti per il dopoguerra, il tentativo di stringere le fila del sindacato industriale non avrebbe evitato il progressivo deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro nelle fabbriche nel corso dell’anno 1942. A febbraio 1943 Landi si recava a Milano per conferire con i dirigenti del sindacato industriale del capoluogo lombardo presieduto da Edoardo Malusardi. La riunione, l’ultima prima dell’esplosione degli scioperi, è di grande interesse, perché testimonia sia la cognizione nei dirigenti sindacali della natura dei problemi concreti e drammatici che in misura cre- 19 Ivi, fasc. Discorso in seguito alla nomina alla presidenza della CFLI, Milano 9/11/41, dattiloscritto, stesso titolo, p. 11. La lotta agli accaparratori aveva un significato politico: era intesa ad impedire cioè che «mentre tutta la nazione è in armi e sui campi di battaglia nella sua azione definitiva e decisiva, vi sia qualcuno che possa da questo trarre giovamento e trarre possibilità di ricchezza e di benessere» (Ibidem). 20 Ivi, Fasc. Riunione dei direttori confederali, 5-7/11/1941, dattiloscritto, stesso titolo, p. 2. 68 Capitolo 5 In tempo di guerra scente affliggevano le maestranze, sia, d’altra parte, l’inconsapevolezza del sentimento di esasperazione che in esse andava maturando. Malusardi enumerava le assillanti criticità del lavoro industriale, in primo luogo i problemi di ricollocamento dei lavoratori le cui aziende erano state sinistrate dai bombardamenti (il cosiddetto «avviamento al lavoro»), e poi i problemi di alimentazione e trasporto dovuti ai trasferimenti fuori porta delle industrie colpite, che la misura assistenziale prevista dal governo con l’«indennità di sfollamento» non era in grado di colmare. Il problema dei trasporti, «che è assillante in provincia di Milano», era francamente ritenuto «piuttosto grave, anzi insolubile»21. Significativamente, Malusardi poneva in evidenza un aspetto che poi sarebbe stato ripreso da Landi nel suo “testamento sindacale”, ossia l’effetto deflagrante, in termini di verticale disaffezione delle maestranze verso il regime e il suo sindacato, delle tangibili sperequazioni di trattamento fra le categorie e soprattutto all’interno delle stesse, come ad esempio la rapsodica distribuzione del “premio del Ventennale”, che escludeva fra l’altro le famiglie dei richiamati22, o l’inattuazione, anch’essa a macchia di leopardo, dell’aumento delle pensioni deciso dal governo, che metteva il dito sul complesso ma strategico nesso fra legislazione sociale, strutture amministrative e sistema salariale: «Io so che l’ordine del DUCE [di aumentare le pensioni] sarà eseguito, però c’è sempre un istituto o un individuo che cerca di frustrare l’efficacia dei provvedimenti del Duce. C’è certa gente che non ha nessuna sensibilità, come i signori attuari delle Previdenza Sociale che non si preoccupano di quelle che sono le ripercussioni 21 Afus, Carte Landi, busta 33, fasc. Discorsi di Landi, dattiloscritto Cfli, Resoconto stenografico del rapporto tenuto dal Presidente Confederale ai Dirigenti dell’Unione di Milano, Milano, 20 Febbraio 1943 XXI, pp. 1-3, citaz. a p. 3. 22 Ivi, pp. 4-5. Sull’insufficienza del “premio del ventennale” e altre una tantum, come il “premio di operosità”, nel sostegno ai salari industriali si veda Duccio Bigazzi, La grande fabbrica: organizzazione industriale e modello americano alla Fiat, a cura di Giuseppe Berta e Giandomentico Piluso, Feltrinelli, Milano, 2000, p. 252. 69 Il lavoro corporativo del ritardo e quindi determinano un effetto contrario di quello che si ripromette un provvedimento favorevole»23. Da parte sua Landi, oltre a diffondersi lungamente per elogiare la «serenità» dei lavoratori e della popolazione milanesi, e a rinnovare pressantemente l’invito a frequentare i canali di comunicazione interni («Quindi voi dite tutto quello che c’è da dire, ditelo subito, anche in forma diretta ma subito. Fate tutte le segnalazioni che si debbono fare nei confronti di ogni problema»24), cercava di dare qualche risposta ai problemi sollevati («per il problema delle mense il camerata Malusardi ha perfettamente ragione»), allo scopo di arginare lo «stillicidio di malcontento e fra malcontenti che derivano da sperequazioni inutili e assurde fra categoria e categoria». Ma il problema più rilevante, quello dell’adeguamento dei salari, rimaneva inevaso: «il riesame doveva essere fatto entro il 15 febbraio. Ancora non è stato fatto ma entro febbraio deve essere risolto perché il 27 c’è il Comitato dei prezzi e io dirò quello che si deve dire in rapporto alla situazione esistente»25. Uno dei nodi di carattere strutturale, attinente cioè all’assetto che l’assistenza al fronte interno aveva via via assunto negli anni di guerra, che emergeva dalle parole di Landi era la mancata definizione precisa dell’attribuzione allo Stato o agli industriali del carico degli oneri relativi. Nel caso dell’“indennità di disagio” ad esempio, che avrebbe dovuto coprire le maggiori spese di trasporto e alimentazione per i lavoratori i cui stabilimenti fossero sfollati fuori città, «chi deve pagare questa indennità? Dato che gli industriali avevano la tendenza a scaricare l’onere sopra lo Stato e dato che lo Stato in definitiva noi perché tutto si riversa su di noi», veniva messa a disposizione il fondo della Cassa integrazione26, affinché almeno una parte dell’indennità venisse corrisposta. 23 Afus, Carte Landi, busta 33, fasc. Discorsi di Landi, dattiloscritto Cfli, Resoconto stenografico, cit., p. 7. 24 Ivi, p. 13. 25 «Al Comitato dei prezzi ho impostato anche il problema del premio del Ventennale», ivi, pp. 15-17. 26 Ivi, p. 18. 70 Capitolo 5 In tempo di guerra La posizione di Landi, tuttavia – coerentemente con la funzione nazionale e aconflittuale del sindacalismo – non era quella del sostegno ai salari: non sarebbe stato opportuno infatti «mettere ancora combustibile nella fucina delle tendenze di aumento salariale che certo turberebbero vieppiù la situazione dei prezzi»27. I problemi piuttosto, come quello dello sfollamento delle aziende, dovevano essere affrontati in modo organico: «Noi dobbiamo tendere a che, insieme alle aziende, sfollino anche i lavoratori. Quindi questa tecnica dello sfollamento bisogna eseguirla in modo da far intervenire tempestivamente prefetto e federale perché agevolino gli industriali e diano ai lavoratori la possibilità di seguirli»28. Nella medesima organica prospettiva andava ricompreso anche il problema del lavoro delle donne: «dobbiamo essere assolutamente propensi alla sempre maggiore immissione degli elementi femminili negli stabilimenti in sostituzione di personale maschile che deve essere avviato a lavori più pesanti», oltre che in previsione di un aumento dei richiamo alle armi per gli uomini29. Anche rispetto al problema dei richiamati - alle armi o al lavoro coatto in Germania – nell’ottica di Landi il nodo continuava ad essere la diversa esposizione delle categorie e dei settori economici: «Quando in proposito si sono rivolti alla nostra Confederazione io ho detto: rivolgetevi anche a tanta gente che non fa niente. Ci sono milioni di intermediari fra commercianti e artigiani che non si sa come vivono. Perché non si ha il coraggio di prendere questa gente e mandarla a fare il proprio dovere? Sembra che il settore industriale sia una specie di recinto dal quale si possono portar via gli uomini. Io ho suggerito: andate a vedere chi fa la fila davanti ai tabacchi. Abbiamo il coraggio di fare questo, in Germania lo hanno fatto»30 E ancora più chiaramente: «Abbiamo proposto di rastrellare tutti gli artigiani, tutti i piccoli commercianti, tutto il commercio che non serve che a complicare le cose e a fare aumentare i prezzi: cominciate a 27 28 29 30 Ivi, p. 20. Ivi, p. 20. Ivi, p. 22. Ivi, p. 23. 71 Il lavoro corporativo individuare tutti coloro che non si sa come vivano e lavorino»31. Questa insistenza per una coordinata «manovra della mano d’opera», evidentemente, non faceva che confermare per via indiretta l’entità e la profondità del problema. Gli scioperi del marzo 1943 Nel marzo sarebbero scoppiati gli scioperi che avrebbero rivelato il distacco delle masse dei lavoratori dalle organizzazioni del regime, e posto fine alla carriera di Landi come sindacalista di governo. Nella riunione a palazzo Venezia tenuta a seguito degli scioperi, «il DUCE ebbe ad esprimere il Suo giusto rammarico per le manifestazioni d’indisciplina e di incomprensione in talune maestranze industriali verificatesi a Torino e, successivamente, in altre Provincie limitrofe come Cuneo, Vercelli e Asti e che poi si erano propagate alla provincia di Milano»32. Incapace di reagire in quell’occasione, «anche per la stessa amarezza che da molti giorni pesava su di me»33, Landi qualche giorno dopo stilava un promemoria riservato, che indirizzava al sottosegretario alle Corporazioni Tullio Cianetti pregandolo di farsi latore presso il capo del governo delle informazioni che non era stato in grado di fornire tempestivamente, oppresso dal carico di non aver saputo impedire la deflagrante ondata di scioperi nei maggiori stabilimenti industriali dell’area torinese e milanese del marzo 1943. Il rilievo di quella prima ondata di rivendicazioni era, anche nell’immediatezza dell’evento, difficilmente sottostimabile: per quanto di natura prevalentemente economica - dalla richiesta di mense aziendali al reclamo dell’indennità di sfollamento e di carovita - il fatto stesso che la protesta avvenisse in tempo di guerra e interessasse prevalentemente operai impegnati nella produzione bellica costituiva un vulnus alla 31 Ivi, p. 24. 32 Afus, Carte Landi, Busta 42, fasc. Scioperi 1943. Relazione per l’Ecc. Cianetti, Riservata di Giuseppe Landi, Appunto per l’eccellenza Tullio Cianetti Sottosegretario di Stato alle Corporazioni, Roma, 8 Aprile 1943, foglio 1. 33 Ibidem. 72 Capitolo 5 In tempo di guerra disciplina e alla giurisdizione militare cui i lavoratori erano sottoposti, realizzando quindi la prima e dirompente rottura del fronte interno34. Il promemoria è di grande interesse perché, nel porre in evidenza le misure adottate dalla Confederazione per fronteggiare le astensioni dal lavoro, forniva di fatto una mappa accurata della geografia, della durata e della misura di adesione agli scioperi35: ne emergevano così la capillarità e la simultaneità, segno, se non della presenza di una sotterranea ed efficiente organizzazione antagonista negli stabilimenti, su cui i giudizi degli storici variano, certo dell’esasperazione dei lavoratori. Nel dare conto, inoltre, del monitoraggio posto in essere nel corso dell’anno precedente per rilevare le ragioni di malcontento delle maestranze dovute al protrarsi dello stato di guerra, Landi offriva uno spaccato delle condizioni di lavoro e di vita nei settori industriali di grande penetrazione sui motivi di logoramento del consenso al regime, come l’osservazione che «il movente sostanziale dei fatti che si sono verificati appare sostanzialmente politico: peraltro si è sempre manifestato agendo su motivi di effettivo disagio o di effettivo malcontento determinato da situazioni generali o particolari che hanno indubbiamente il loro rilievo»36. Fra queste, Landi indicava l’iniqua distribuzione delle privazioni 34 Cfr. Luca Baldissara, Operai e fabbriche nella Seconda Guerra Mondiale, in Storia del lavoro in Italia. Il Novecento, 1896-1945, Il lavoro nell’età industriale, a cura di Stefano. Musso, Castelvecchi, Roma, 2015, pp. 555-593. Lo stesso Landi, vent’anni dopo, in corrispondenza con Edoardo Malusardi raccoglieva un fascicolo di documentazione sugli scioperi del marzo che lo avevano visto involontario protagonista, con l’intento di confutare l’attribuzione a quella prima esplosione di conflittualità di fabbrica il momento di cesura nel consenso al regime (Afus, Carte Landi, Busta 42, fasc. Scioperi 1943. Rievocazioni nel ventennale. 1963, e Ivi, fasc. Corrispondenza con Malusardi, 1943-1963). Cesura che Renzo De Felice stesso avrebbe poi certificato: si veda Mussolini l’alleato. L’Italia in guerra (1940-1943). Crisi e agonia del regime, vol. I, Einaudi, Torino 1996, pp. 927 e sgg. Nella ricostruzione degli scioperi lo storico reatino fa riferimento proprio al materiale conservato da Landi). Non viene rilevato il ruolo di Landi negli scioperi del 1943 in A. Pepe, O. Bianchi, P. Neglie, La CGdL e lo Stato autoritario, Ediesse, Roma 1999, pp. 261-268. 35 Allegata al promemoria vi era una tabella sinottica degli scioperi, su carta intestata Confederazione Fascista dei Lavoratori dell’Industria: Appunto per il Ministero delle Corporazioni, Interventi dell’Organizzazione presso gli stabilimenti ove si sono verificate sospensioni di lavoro (Afus, Carte Landi, Busta 42, fascicolo Scioperi 1943. Relazione per l’Ecc. Cianetti, s.d.). 36 AFUS, Carte Landi, Busta 42, fascicolo Scioperi 1943. Relazione per l’Ecc. Cianetti, Appunto per l’eccellenza Tullio Cianetti, cit., foglio 4. 73 Il lavoro corporativo nella popolazione: «Si lamenta ormai apertamente come le sperequazioni di sacrifici lungi dall’essere eliminate si stanno accentuando con il prolungarsi della guerra»37; rilevava come «non si provvede, infatti, a ristabilire l’abito mentale, il costume, la tendenza alla dura vita di guerra, in quei ceti o in quelle classi sociali che sembrano ancora non volersene accorgere e che, peggio, ostentano spesso una tal quale indifferenza alle sofferenze altrui»38, a cui andava sommato «un certo senso di sfiducia che deriva dalla sensazione assai diffusa che la legge possa essere impunemente frustrata e delusa senza gravi danni o pericoli per gli evasori. O che comunque si seguano due pesi e due misure riuscendo lo Stato a colpire e punire talune manchevolezze o taluni reati di minore entità ai quali vanno incontro le categorie meno abbienti, mentre esiste una quasi immunità per manchevolezze anche più gravi quando queste riguardano categorie produttive più elevate, le cui capacità di difesa contro i rigori della legge appaiono talvolta illimitate»39. Ciò che maggiormente premeva a Landi fosse comunicato al capo del governo erano comunque le informazioni relative al comportamento tenuto dal suo sindacato; in particolare, l’estraneità della sua organizzazione non solo a qualsiasi forma di conflittualità operaia, ma a qualsiasi rivendicazione che sulla conflittualità facesse leva, e non poggiasse invece sul riconoscimento e l’accettazione della complessa architettura sindacal-corporativa, come canale unico di comunicazione fra le maestranze e gli imprenditori: «la Confederazione si dichiarò nettamente contraria a rendersi comunque interprete di qualsiasi richiesta od aspirazione operaia ed affermò formalmente come fosse d’avviso che non si sarebbe dovuto prendere alcun provvedimento a favore dei lavoratori prima che non si fosse constatata la più completa e totalitaria disciplina»40. Che il riferimento implicito andasse non tanto ai promotori degli scioperi – prevedibilmente liquidati come «elementi certamente prezzo- 37 38 39 40 Ivi, foglio 5, sottolineatura nell’originale. Ivi, foglio 8. Ivi, foglio 9. Ivi, foglio 1. 74 Capitolo 5 In tempo di guerra lati ed organizzati dalla propaganda nemica»41 - quanto agli imprenditori attenti alle rivendicazioni delle maestranze e inclini a scavalcare le rappresentanze sindacali per stringere accordi che garantissero la continuità della produzione, era presto esplicitato. Landi denunciava infatti «il contrasto che si manifesta fra la naturale tendenza dei singoli industriali a venire incontro ai propri dipendenti – in rapporto alle ampie disponibilità finanziarie delle aziende come all’umana preoccupazione che i dirigenti delle stesse hanno di apparire umani e paterni – [e] le direttive politiche e sindacali sempre orientate sinora alla rigida applicazione del blocco salariale, per cui può apparire ed appare che gli stessi “capitalisti” secondo la vecchia fraseologia, sono sotto certi aspetti assai più sensibili alle necessità operaie di quello che non sia il Regime con i suoi organi responsabili»42. Era questo l’autentico principio di destabilizzazione, che minava e vulnerava il ruolo che il sindacato fascista aveva costruito nel corso degli anni, come strumento primario di contrattazione, ma anche garanzia di consenso al regime delle masse lavoratrici: «Questa posizione particolarmente delicata svaluta il Sindacato fascista di fronte alle masse lavoratrici, le quali sono così qualche volta portate a rivolgersi direttamente ai singoli datori di lavoro, che appaiono poi talvolta agli occhi delle masse stesse promotori di iniziative sociali le quali invece – come per il caso delle mense – si devono esclusivamente alla sensibilità sociale del Regime e del DUCE»43. Il nesso stabilito fra i le voci di retribuzione sussidiaria – come le mense sopra menzionate – e la politica sociale del governo richiamava il carattere strategico rivestito dal sostegno del sindacato fascista all’edificazione della struttura assistenziale e previdenziale durante gli anni Trenta; un sostegno che nasceva dall’esigenza di una contropartita per la sottrazione di funzioni essenziali di rappresentanza del lavoro attribuite 41 Ivi, foglio 4. 42 Ivi, foglio 7. 43 Ivi, foglio 8. 75 Il lavoro corporativo agli organi corporativi, ma che nel corso degli anni Trenta riusciva in effetti a rilanciare il ruolo e l’incidenza dei sindacati nella dialettica fra le istituzioni del regime44. Lo sforzo di contrastare il logoramento di tale ruolo, reso politicamente ineludibile dagli scioperi del marzo, costituiva per Landi l’estremo tentativo di tenere la posizione, finendo però per suonare come il suo testamento politico, che vale la pena riportare per esteso: «Un’ultima osservazione mi permetto di prospettare in ordine alla necessità che il Sindacato, al fine di avere una sempre maggiore capacità di penetrazione nelle masse, venga messo in condizione di avere il maggiore prestigio possibile e venga considerato non solo un organo di elevazione politica e di disciplina del lavoro (anche quando tale disciplina assume gli aspetti meno graditi alle maestranze, quale quello ad esempio della manovra della mano d’opera e del servizio civile) ma è altresì un fattore importante, anzi il fattore essenziale della tutela, dell’assistenza e della elevazione anche materiale del lavoro. A questo riguardo ritengo che il Sindacato – perché possa assolvere in pieno alle sue funzioni in momenti così complessi e delicati – debba avere il prestigio e possa effettivamente influire sulle decisioni più importanti che interessino direttamente o indirettamente la vita dei lavoratori. Influire, sostanzialmente e non soltanto formalmente come spesso è avvenuto in passato. Occorre soprattutto che le richieste, le proposte, le impostazioni dei problemi che derivano dall’azione del Sindacato, specie di quello dei lavoratori, che ormai per le prove date credo non possa e non debba considerarsi organo di parte, ma strumento del Regime, siano prese e tenute nella dovuta opportuna considerazione. Molte frizioni, ragioni di malcontento, fondati motivi di preoccupazione nel settore del lavoro si sarebbero potuti evitare se si fosse 44 Si vedano sul punto le osservazioni di Gagliardi, Il corporativismo fascista, cit., pp. 130131; un cenno in Pepe, Bianchi, Neglie, La CGdL e lo Stato autoritario, cit., p. 352. Per i dibattiti sul salario corporativo si veda F. Perfetti, Il sindacalismo fascista, cit., pp. 60-98. 76 Capitolo 5 In tempo di guerra tenuto in considerazione quanto l’organizzazione sindacale, in numerose circostanze, oserei dire ogni giorno – afferma, suggerisce, richiede – spesso con vivacità che può dare anche l’impressione di un certo spirito polemico, sempre però con la coscienza di assolvere ad un preciso dovere verso il Regime e verso il DUCE» […] «Occorre convenire che se in questi anni molto si è fatto per attrezzare la struttura periferica dell’organizzazione sindacale (ed in questo è quanto mai opportuno un indirizzo unitario dell’assistenza che va dal collocamento alla mutualità sindacale) non si è, a mio avviso, opportunamente perfezionata la rappresentanza sindacale esistente nell’ambito dell’azienda, che ha una portata essenziale in ordine al contatto fisico con le maestranze, con i loro bisogni, le loro necessità quotidiane, ed i loro conseguenti stati d’animo, senza considerare la funzione della rappresentanza sindacale nell’azienda che assume un particolare rilievo anche ai fini dell’applicazione dei contratti di lavoro e delle leggi sociali» […] A questo aggiungesi che, nell’azienda, si stanno ormai sviluppando e perfezionando iniziative di ordine assistenziale e sociale molto importante (mense, spacci, uffici di assistenza curati dalle assistenti di fabbrica) senza che il Sindacato possa sempre intervenire o comunque apparire come strumento essenziale della politica sociale del Regime, cosicché spesso da parte degli operai si attribuiscono al paternalismo dei singoli industriali istituzioni sociali di fondamentale importanza che si debbono, invece, alla sensibilità del Regime ed alla premura del DUCE per i lavoratori»45. 45 Relazione per l’Ecc. Cianetti, cit. fogli 11-13. 77 Conclusioni Dopo il fascismo Di effettivo testamento sindacale si trattava, perché poco dopo Giuseppe Landi sarebbe stato rimosso dalla presidenza del sindacato industriale; che peraltro, tirando le somme nel passare le consegne a suo successore Luciano Gottardi, sarebbe risultato in passivo, sia a livello di centro centro confederale che delle federazioni1. Landi avrebbe tenuto fino all’aprile 1944 l’appartato incarico di presidente dell’Azienda ligniti italiane, senza più funzioni di rappresentanza sindacale2. I successivi due anni sarebbero trascorsi in relativa oscurità: dopo l’8 settembre Landi avrebbe scelto di non aderire alla RSI e di rimanere a Roma, in attesa dell’arrivo degli angloamericani. Dopo la Liberazione, 1 2 Lo sbilancio di cassa della Confederazione era calcolato dalla Ragioneria in complessive lire 2.131.779,38; Lo sbilancio delle Federazioni Nazionali Fasciste dei Lavoratori dell’Industria in lire 1.280.210,88 (Afus, Carte Landi, busta 43, Fascicolo Consegne Landi-Gottardi 29 aprile 1943, documento Cfli, Direzione dei servizi amministrativi, Servizio di ragioneria generale, Esercizio 1942-43, XX-XXI, Situazione finanziaria al 20 Aprile 1943 XXI, Firmato Landi, Gottardi e il Direttore amministrativo A. Leonelli). Questa fase è comunque documentata in Afus, Carte Landi, Busta 45, Azienda Ligniti Italiane. 78 Conclusioni Dopo il fascismo Landi avrebbe ripreso le fila dell’impegno in campo sindacale, partecipando al tentativo di costituirsi come corrente autonoma all’interno della Cgil unitaria avanzato da ex esponenti del sindacalismo fascista che gravitavano intorno alla rivista «Vita del lavoro», fra cui Alceste De Ambris e Luigi Fontanelli. Fallito il tentativo, prese parte all’organizzazione dell’area del sindacalismo nazionale nel Movimento Sindacale (MoSi, costituito ufficialmente nel novembre 1947, di cui fu tra i fondatori), orientato ancora a ricercare una sponda nella CGIL3, per poi prendere le redini, come primo segretario generale, della Cisnal, in rappresentanza della quale fu componente del Cnel fin dalla sua istituzione4. Ma questa è una storia che andrebbe ricostruita nella sua interezza. Le considerazioni svolte da Landi sulla capacità tecnica del sindacato consentono di avanzare alcune e provvisorie considerazioni conclusive. È stato di recente osservato come la proliferazione di discipline corporative, soprattutto in ambito accademico e nel dibattito delle riviste, abbia favorito la circolazione e la commistione di saperi a contenuto tecnico, aderenti ai problemi del tempo, che nella generazione dei giovani corporativisti ha consentito in alcuni casi di aprirsi alla penetrazione delle scienze sociali anglosassoni nel secondo dopoguerra5. La tesi è suggestiva ma discutibile, e mi pare, come ho osservato altrove, che possa attagliarsi ad esperienze d’élite come quella di Camillo Pellizzi, che in effetti è passato dalla “rivoluzione mancata” del corporativismo all’essere il fondatore della sociologia del secondo dopoguerra, o a quella di Federico Maria Pacces, del quale è stato rilevato di recente il contributo 3 4 5 Sul posizionamento di Giuseppe Landi nel campo del sindacalismo nazionale e sull’articolazione delle correnti interne al Msi nel 1947 si veda Parlato, La sinistra fascista, cit., pp. 336-339; sul MoSi si veda Pietro Neglie, Il “movimento sindacalista (Mo.Si.) tra neofascismo e scissione sindacale 1945-1949, in «Storia Contemporanea», n. 1/1991, a. 22, pp. 55 sgg.; Si veda inoltre Id., Fratelli in camicia nera. Comunisti e fascisti da corporativismo alla CGIL, Il Mulino, Bologna, 1996, pp. 163-213. Anche questa fase è documentata in Afus, Carte Landi, busta 46, Movimento Sindacale (Mo.Si.). Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, IV Legislatura, Discussioni, Seduta del 9 Giugno 1964, discorso dell’onorevole Roberti In morte di Giuseppe Landi, pp. 7591-7592. Propone questa tesi Andrea Mariuzzo, Italian universities, Fascism and the promotion of corporative studies, in «Journal of Modern Italian Studies», 19, 4, 2014, pp. 453-471; inoltre Maurizio Cau, An inconvenient legacy: corporatism and Catholic culture from Fascism to the Republic, in «Tempo», vol. 25, 2019, n. 1, 2019, pp.219-238. Cfr. in origine G. Parlato, La sinistra fascista, cit., pp. 87-88. 79 Il lavoro corporativo alla nascita della tecnica industriale6. Benché difficilmente generalizzabile, la suggestione è interessante e meriterebbe di essere estesa anche al campo sindacale, dove la storiografia negli ultimi anni non si è applicata con l’interesse riservato invece quello corporativo. Relativamente alle culture sindacali, infatti, il tema del passaggio fra fascismo e postfascismo meriterebbe di essere riesaminato con attenzione. L’insistenza con cui Landi proponeva il concetto della categoria come l’architrave su cui poggiare l’edificio assistenziale e previdenziale, e come l’unità di misura cui far corrispondere il rapporto fra l’imposizione fiscale e le prestazioni assistenziali e previdenziali, offre una chiave di lettura per la comprensione del carattere non universalistico dello Stato sociale costruito dai primi governi postbellici7, e per leggerne la radice storica. E ancora, la rivendicazione della centralità del sindacato attraverso la funzione della categoria, conferma la consistenza dello scambio politico posto in essere negli anni Trenta e sopra richiamato. Con il quale i dirigenti nazionali del sindacato intendevano la rivendicazione di un ruolo nella gestione delle tutele previdenziali in ambito corporativo come contropartita per il progressivo indebolimento dell’autonomia delle organizzazioni sindacali a seguito dello sbloccamento del 1928 e della costruzione delle istituzioni corporative, almeno fino al 1934. Il richiamo alla categoria, tanto insistito in Landi, è uno dei segnali più leggibili del fenomeno, illustrato da Sabino Cassese, della commistione tra monismo e pluralismo come caratteristica peculiare dell’esperienza storica del fascismo italiano, per cui, mentre lo Stato estendeva autoritariamente le proprie funzioni sulla società – compresa quella previdenziale qui esaminata – specularmente si pluralizzava, riassorbendo entro di sé le tensioni e le rappresentanze degli interessi particolari. Dal punto di vista delle culture politiche, come abbiamo osservato anche nelle ricorrenti argomentazioni di Landi, il punto di passaggio era il ruolo fondativo del 6 7 Cfr. Salvatore Esposito De Falco, Il contributo di Federico Maria Pacces alla genesi della tecnica Industriale e Commerciale, in «Economia, azienda e sviluppo», n. 2/2004, pp. 61-90. Cfr. Ilaria Pavan, “La toppa è peggiore del male”. Visioni e dibattiti sulla sicurezza sociale nell’Italia del secondo dopoguerra, in «Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», n. 46, 2017, pp. 721-757. 80 Conclusioni Dopo il fascismo “lavoro”, che subordinato alla dimensione nazionale nella Carta eponima, sarebbe mutato di segno per essere posto a fondamento della costituzione repubblicana. Tuttavia, se un elemento di continuità, pur nella metamorfosi delle ragioni politiche, può rinvenirsi nelle radici corporative della centralità del lavoro posta a fondamento della costituzione repubblicana, la vicenda biografica di Landi indica invece un motivo di irriducibile discontinuità, che da solo rende intraducibile l’esperienza storica del sindacalismo interbellico nella nuova cornice democratica. Mi riferisco al movente generativo della sua vocazione sindacale, ossia la vita militare: che forniva, “nel solco corridoniano”, la cornice politica e anche la finalità ultima del “sindacalismo nazionale”, che si sarebbe risolta nel sostegno allo sforzo bellico a fianco della Germania. 81 L’autrice Laura Cerasi è professore associato di Storia Contemporanea al Dipartimento di Studi Linguistici e culturali dell’Università Ca’ Foscari Venezia. Studia la storia delle culture politiche e delle istituzioni culturali del Novecento italiano ed europeo, con particolare attenzione alle culture di destra in periodo interbellico, alle riflessioni sulle trasformazioni dello Stato di fronte al problema della democrazia di massa, e al nodo del lavoro come fondamento costituzionale delle democrazie novecentesche. Su questi temi ha curato recentemente i volumi Le libertà del lavoro. Storia, diritti, società, Edizioni SISLav, Palermo 2016, e Genealogie e geografie dell’anti-democrazia nella crisi europea degli anni Trenta. Fascismi, corporativismi, laburismi, Edizioni Ca’ Foscari, Venezia 2019. Fa parte della direzione della rivista “Studi Storici”. 82