I CALABRESI
ALL’ASSEMBLEA
COSTITUENTE
1946-1948
a cura di Vittorio Cappelli e Paolo Palma
I calabresi all’Assemblea Costituente
1946-1948
a cura di Vittorio Cappelli e Paolo Palma
Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo
e dell’Italia Contemporanea
Questo volume è stato realizzato con un finanziamento della Regione Calabria
PAC 2014-2020, Annualità 2018, Azione 3, Tip. 3.2
nell’ambito del progetto Politica e cultura in Calabria dal 1861 ad oggi
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Carlo Fanelli
Vincenzo Tieri
Corigliano Calabro, 1895 – Roma, 1970
Vincenzo Tieri nacque a Corigliano il 28 novembre 1895, da Francesco Tieri
e Marietta Marini, al civico 5 di via Toscano, nella zona centrale del borgo
jonico calabrese. Frequentò il Ginnasio-Convitto “Garopoli”, dove si diplomò
nel 1913. Nel 1911, ancora studente, fu chiamato a insegnare presso la Scuola
serale per emigranti (diretta dal professore Nicola Gallerano), dove proseguì
la sua esperienza pedagogica, interrotta dalla chiamata alle armi nel 1915.
Richiamato dalla leva, fu nominato membro del Patronato scolastico, insieme
a Raffaele Amato, e designato direttore amministrativo del “Ricreativo asilo”
per i figli dei militari inviati al fronte, dall’ispettore scolastico Adolfo Costa;
divenne, poi, segretario della sezione comunale dell’Unione nazionale degli
insegnanti italiani. Già nel maggio 1908 fu impegnato nell’attività culturale
della cittadina calabrese e organizzò il Primo congresso infantile coriglianese1.
Il 1° luglio 1916 sposò Filomena Francesca Garofalo (detta Matilde), originaria di Rovito, località della Presila cosentina, dalla quale ebbe tre figli:
Gherardo (1916), Aroldo (1917) e Marcello (1920). Tutti ebbero esperienze
contigue a quelle paterne: il primo svolse un’attività giornalistica, dirigendo
il «Buonsenso». Aroldo diventerà un noto attore cinematografico e teatrale2.
1. «Il Popolano», n.14 del 10 maggio 1908. Cfr. Enzo Cumino, Gli scrittori di Corigliano
Calabro (dal 1500 al 1997), Mangone Industrie Grafiche, Rossano 1997, p. 330.
2. Per l’attività cinematografica di Aroldo Tieri si rimanda a: Enciclopedia dello spettacolo, dir. Silvio D’Amico, Unedi Ed. Le Maschere, Roma 1975, vol. IX coll. 919-919; Aroldo
Tieri, una vita per il teatro, a cura di Antonio Panzarella, Elite, Lamezia Terme 1996 (I
ed. «Il Serratore», 1989), parzialmente rivisto in: Aroldo Tieri. Una vita per lo spettacolo,
Bevivino Editore, Milano-Roma 2005 (cui si rimanda per la teatrografia e filmografia di
Aroldo Tieri); Aroldo Tieri e il cinema, a cura di Alessandro Canadè, Pellegrini, Cosenza
2007. Legato a suo padre e alla sua figura, come si legge in questo toccante passaggio: «È
questa la nostra parte di storia, gli altri sono spiccioli di cronaca. Se in queste “conversazioni
postume” mi capita di parlargli del suo Teatro, vedo tutte le sue commedie come una sola
grande commedia nella quale ogni personaggio (e ogni interprete) è libero di incontrare
tutti gli altri, e tutte le combinazioni sono possibili: alogiche, ma legittime come nei sogni».
Luigi Vaccari, Un borghese gentiluomo, in Antonio Panzarella, Ernesto Paura (a cura di),
Teatro e vita di Vincenzo Tieri, Bevivino Editore, Milano 2004, p. 32.
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Infine, Marcello, anch’egli impegnato nell’attività letteraria, morì prematuramente in guerra nel 1942, nel corso della rovinosa campagna di Russia.
Tieri mosse i primi passi nel giornalismo già durante la permanenza
giovanile nel suo paese, scrivendo per «Il Popolano», diretto da Francesco
Dragosei, verso il quale lo stesso Tieri espresse stima e riconoscenza3; oltre a
fondare egli stesso «Giovinezza», giornale che ebbe discreta diffusione.
Insieme all’attività giornalistica, mosse i primi passi nel teatro amatoriale tra Corigliano, Rossano e Villapiana. Alla recitazione si aggiunse, nel 1916, la sua prima esperienza drammaturgica, incoraggiata dalla
commissione di lettura della Società romana degli autori drammatici, con
Il profumo del peccato, commedia in tre atti pubblicata su «Il Popolano»,
dedicata all’allora sindaco di Corigliano, Gaetano Attanasio. A questo
frangente appartengono anche gli atti unici Il trabocchetto, pubblicato sul
giornale di Dragosei, e Un marito, edito sul numero unico de «La Fornace», giornale promosso dallo stesso Tieri che comprendeva contributi di
altri esponenti della cultura calabrese coeva. Alla nascente produzione
drammaturgica affiancò quella letteraria, con la pubblicazione, sempre
nel 1916, de L’inevitabile, raccolta di otto novelle, uscita sul giornale di
Dragosei, nella quale il regime dialogico è più vicino al teatro, e la silloge
poetica intitolata La parabola dell’amore, ospitata anch’essa sulla stessa
testata nel 19184, con una prefazione di Stanislao De Chiara5, nella quale
3. È quanto si legge in un articolo a sua firma, pubblicato il 31 gennaio 1961 su «Cor
Bonum» (altra testata locale, diretta da Giovanni Battista Policastri), nel quale Tieri esprime tali sentimenti per Dragosei. Quest’ultimo era un attivo esponente della cultura locale
che, oltre all’attività giornalistica, si occupava della gestione del teatro “Gustavo Valente”,
dove il giovane Tieri ebbe la possibilità di entrare in contatto con l’attività teatrale delle
compagnie ospiti. Cfr. Ernesto Paura, Quel grande amore per il teatro (la figura e l’opera di
Vincenzo Tieri), Il Coscile, Castrovillari 1998, pp. 23-24. Il 20 agosto 1911 era stato anche
inaugurato il primo cinematografo locale. Cfr. Enzo Cumino, Storia di Corigliano Calabro,
MIT, Cosenza 1992, p. 171; Idem, Vincenzo Tieri, in «Il Serratore», n. 38, 1995, pp. 20-21.
4. Scrisse anche il romanzo giallo Non l’uccidete, pubblicato in due puntate su «Il Popolo di Roma» nel 1930 e su «Il Popolo di Trieste», a puntate, nel 1938; fu autore di un
altro romanzo dal titolo La crisi del giudice Tarsia, edito a puntate ne «Il Giornale della
Domenica», nel 1935. Cfr. Lucrezia F. Leo, Pier Emilio Acri, Stefano Scigliano, Archivio
Vincenzo Tieri. Inventario, Città di Corigliano, Assessorato Beni Culturali, 1998, p. 21;
nello stesso archivio – donato da Aroldo Tieri al Comune di Corigliano, il 25 giugno
1997 – sono conservate altre opere letterarie che Tieri scrisse in vari anni e che pubblicò
su quotidiani romani; allo stesso Archivio si rimanda per riferimenti più precisi alle edizioni e messinscene delle opere dell’autore e delle sue regie, nonché alla sua produzione
giornalistica. Cfr. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 27; Idem, Ed ora quelle
“carte” raccontano la loro storia, il «Il Serratore», n. 51, 1998, pp. 20-21.
5. Stanislao De Chiara (Cosenza, 1856-1923), presidente dell’Accademia cosentina,
studioso di Dante, si dedicò allo studio e alla diffusione della figura dantesca in Calabria.
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si risente l’influenza di Pascoli e D’Annunzio6. Nell’aprile 1917 Tieri fu
nominato Segretario della Sezione Comunale dell’Unione nazionale degli
insegnanti italiani, e nel giugno dello stesso anno, Segretario della Sezione
comunale della mutualità scolastica italiana7. Nello stesso anno decise di
trasferirsi a Roma, con l’intento di affermare e consolidare la sua attività
intellettuale8. Sintomatiche le parole che egli stesso scrisse il 6 ottobre
1918 su «Il Popolano»9.
A Roma mosse i primi passi nella politica: nel 1920 è segretario politico
del barone Guido Compagna, di Corigliano, eletto deputato al Parlamento.
Tuttavia, lo attendeva una carriera giornalistica che lo vide collaborare
con varie testate e numerosi incarichi10. Al 1922 risale il debutto romano
Fu autore di numerose pubblicazioni di argomento dantesco, distinte in saggi, letture, note,
recensioni, prefazioni, caratterizzati da rigore di metodo e da fine sensibilità interpretativa.
Rilevante è il volume Dante e la Calabria, che ebbe due edizioni (Cosenza 1894 e Città di
Castello 1910). Pur non offrendo una visione organica della storia della fortuna di Dante
in Calabria, il volume resta uno dei più notevoli esempi di studi regionali dedicati al poeta
alla fine dell’Ottocento. L’opera contiene, anche, traduzioni in dialetto calabrese di canti
e di episodi della Commedia, un’accurata bibliografia, nonché studi e note varie.
6. La raccolta di novelle e di versi, insieme alla prima commedia sono raccolte in Vincenzo Tieri, L’inevitabile (Novelle). Il trabocchetto (Commedia in un atto). La parabola
dell’amore (Versi), Tipi de «Il Popolano», Corigliano Calabro 1917 (riedizione: Editrice
“Aurora”, Corigliano Calabro Scalo 1998).
7. E. Cumino, Gli scrittori di Corigliano Calabro, cit., pp. 332-333.
8. Si era anche pensato a contrasti, mai acclarati, con un notabile del paese, come si
rileva da E. Cumino, Gli scrittori di Corigliano, cit., p. 337.
9. «Il Popolano», n. 31-32, 6 ottobre 1918 (anno xxxvi). Il brano integrale può essere
lette anche in E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., pp. 107-111.
10. Direttore de «Il Corriere del teatro», «Il Mattino» di Roma, «Il Buonsenso», «Il Reporter», il «Corriere Italiano». Cfr. E. Cumino, Gli scrittori di Corigliano Calabro, cit., p.
338. Fu redattore, critico teatrale, letterario e televisivo, redattore capo, inviato speciale, in
giornali come: «Gazzetta del popolo», «Giornale di Roma», «Popolo di Roma», «Il Tempo»,
«Idea Nazionale». Cfr. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 30. Per alcune testate
scrisse utilizzando pseudonimi: sul «Giornale di Roma» e «Il Popolo d’Italia», si firma
«Belacqua»; ne «Il Popolo di Roma», «Il Reporter», invece «Fra’ Dolcino». Per un elenco
dettagliato della sua produzione giornalistica si rimanda a L. F. Leo, P. E. Acri, S. Scigliano,
Archivio Vincenzo Tieri, cit., pp. 41-72. Di contro le messinscene dei suoi testi riscossero
l’attenzione di critici come Renato Simoni, Silvio D’Amico e Ferdinando Palmieri, Giorgio
Prosperi, Raoul Radice, oltre ai conterranei Alvaro e Répaci. Cfr. E. Paura, Quel grande
amore per il teatro, cit., p. 127; E. Cumino, Gli scrittori di Corigliano Calabro, cit., p. 338.
Particolare il confronto polemico avuto su «Il Tempo» con Adriano Tilgher – in quegli
anni tra i critici più accreditati, cui si riconobbe la “scoperta” del genio di Pirandello – per
le critiche a La logica di Shylock, dopo il fortunato debutto al teatro Sannazaro di Napoli,
con la messinscena di De Sanctis. Cfr. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 32.
Sulla relazione fra Tieri e la carta stampata si rimanda altresì ad Alfredo Barbina, Critici
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nella scrittura teatrale, con la commedia in tre atti La logica di Shylock,
che debutta al Quirino di Roma e viene poi portata in scena da Alfredo
De Sanctis al Teatro Sannazaro di Napoli nell’aprile dell’anno successivo, e
successivamente in tournèe in diversi teatri nazionali11. Pur non avendo un
seguito immediato, l’attività drammaturgica di Tieri riprese, assumendo
una periodicità più serrata, dopo un decennio (trascorso occupandosi di
critica teatrale) con Taide, la commedia più fortunata dell’autore, portata in
scena a Milano dalla compagnia Lupi-Borboni, il 29 marzo 193212. Oltre a
rappresentare il primo vero successo del drammaturgo, questa commedia
sancisce, con il carattere di Giovanna, la protagonista dell’opera, l’esordio
della galleria dei suoi personaggi femminili (Giulia in La battaglia del Trasimeno, Barbara in L’Ape regina, Marta in Il principe di Upsor), tratteggiati
secondo il «cliché della femmina malefica»: «osservati, per lo più, con
occhio indiscreto e, non di rado, crudele»13, tanto da procurare all’autore
l’appellativo di misogino14; insieme a questo, le sue commedie rivelano
l’inclinazione verso «intrighi romanzeschi, ricchi d’effetto per la platea, ma
spesso artificiosi»15, nei quali è sempre protagonista la media borghesia,
cinica, avida, edonistica e ritratta nella sua deriva morale.
teatrali calabresi fra Ottocento e Novecento, in Vincenza Costantino e Carlo Fanelli (a cura
di), Teatro in Calabria 1870-1970 Drammaturgia Repertori Compagnie, Monteleone, Vibo
Valentia 2003, pp. 299-300.
11. Cfr. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., pp. 31-32; Enciclopedia dello Spettacolo, cit., vol. IX, col. 919.
12. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., pp. 31-32. La commedia fu riproposta
nel 1971, nella riduzione di Maurizio Costanzo e la regia di Mario Ferrero e il titolo Un
amore impossibile, con interpreti il figlio Aroldo e Giuliana Lojodice. Ivi, p. 36.
13. Enciclopedia dello Spettacolo, cit., vol. IX, col. 919.
14. Come ebbe a sostenere in un’intervista per «Il Mattino Illustrato», del 19 luglio 1942,
cit., in E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 188: «Ero molto giovane, mi piaceva
andare controcorrente, pensavo già a un teatro irritante: a quel teatro irritante del quale
diedi alcuni saggi dieci anni dopo, quando nel ’32 ricominciai a scrivere, abbandonando
la professione di critico drammatico. In realtà alcune delle mie prime commedie furono
irritanti solo nei personaggi femminili, il che mi procurò qualifica di misogino, mentre
Dio solo sa quanto io apprezzassi e ami la donna; ma insomma non mi dispiaceva di
ferire e disorientare il pubblico in alcuni dei suoi giudizi più radicati e tradizionali nel
modo di considerare la donna e le sue virtù e i suoi difetti» (nostri i corsivi). Il termine
irritante appare qui, a nostro parere, in accezione pirandelliana. Lo stesso scrittore, nel
Primo intermezzo corale della sua commedia metateatrale Ciascuno a suo modo, scriveva:
«È ormai noto a tutti che ogni fin d’atto delle irritanti commedie di Pirandello debbano
avvenire discussioni e contrasti […] Potranno così fumare, se vogliono, anche gli irritati,
e ridurranno in fumo la loro irritazione» (nostri i corsivi). Cfr. Luigi Pirandello, Trilogia.
Sei personaggi in cerca d’autore, Ciascuno a suo modo, Questa sera si recita a soggetto, a c.
di Giovanna Tomasello, Feltrinelli, Milano 1993, p. 152.
15. Enciclopedia dello Spettacolo, cit., vol. IX, col. 919.
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Nel 1934 Tieri si discostò dalle sue prospezioni nella controversa psicologia femminile, per avvicinarsi, in modo originale, al genere giallo, con La
Paura, una commedia che riscosse grande successo, grazie all’interpretazione
di Romano Calò, attore di punta in questo genere teatrale e la costruzione
scenica, influenzata dal metateatro pirandelliano, che inglobava nell’azione
palcoscenico e platea. Giusto una parentesi questa, poiché l’anno successivo,
con Le Donne, Tieri ritornò a contemplare la complessità femminile, ma con
minore successo: «sia per l’inerzia dei personaggi femminili, sia per l’assoluta
impassibilità sentimentale degli altri, quasi si aggirassero indecisi entro un
museo anatomico»16. Tuttavia, non mancandogli il mestiere e la facilità di scrittura, nella stagione ’37-’38, portò a termine altre cinque nuove commedie17:
«Un campionario di toni e interessi che andavano dal “giallo-rosa” Si chiude l’albergo Belle Maison al patetico Processo a porte chiuse (un primo atto gradevolmente
ironico e gli altri due inutilmente lagrimevoli), dal crepuscolare Domani parte
mia moglie (lavoro peraltro di scarso impegno) al “quasi giallo” Questi poveri
amanti (il solito “triangolo”, a tratti riscattato dall’abile dialogare). Interno 14
(storia di un gruppo di persone che vive in un piccolo e modesto appartamento)
mise scopertamente a nudo la predilezione di Tieri per l’intreccio complicato, e,
in uno, la sua ambizione di portare sulla scena il mondo “com’è”»18.
Processo a porte chiuse fu parte del repertorio del Carro di Tespi19 del
1938 e portata in scena dalla compagnia Donadio-Bonini, anche a Cosenza
alla presenza dell’autore, il 27 e 28 agosto dello stesso anno. L’evento è ricordato, in modo dettagliato, in «Cronaca di Calabria», del 1 settembre ’38.
A questa produzione seguirono altre opere dagli esiti incostanti. Questi
figli (1939) confermò la sua immagine di autore “di mestiere”, tuttavia ingabbiato nella trama e nel linguaggio stucchevole. La sua scrittura appare
deferente verso i gusti dell’italiano medio che vi scorgeva idealizzata la vita
quotidiana del suo ceto e alla quale attendeva con disimpegno. Tale forma
drammatica, detta «dei telefoni bianchi», rappresenta una «occupazione
16. Ibidem.
17. «Ci sono commedie che vivono e maturando dentro di me alcuni anni prima di venire
alla luce. Per questo, poi, sono scrittore rapido. Non improvviso, non so improvvisare. Debbo
conoscere, prima di mettermi a scrivere, molto bene i miei personaggi, la loro origine, il loro
carattere, le loro avventure anche quelle che non avranno mai eco e parte nella mia commedia; e poi i casi a cui sono legati», così dice di sé nell’intervista al quotidiano «Il Mattino
Illustrato», cit., in E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 189.
18. Enciclopedia dello Spettacolo, cit., vol. IX, col. 920.
19. Cfr. Carlo Fanelli, La cultura teatrale a Cosenza fra Ottocento e Novecento, in V. Costantino e C. Fanelli (a cura di), Teatro in Calabria, cit., p. 117; Idem, Teatro e fascismo a
Cosenza, Abramo, Catanzaro 2006, pp. 60-62.
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del tempo e dello spazio del mondo attraverso un discorrere che può
essere anche fatuo ma che proprio per questo rappresenta la leggerezza
dell’essere e il suo breve viaggio tra gli uomini»20.
Altre prove videro Tieri muoversi su vari generi: dal «fregolismo»
di La parte del marito (1940), in cui si segnala la grande interpretazione
di Lorenzo Cimara; Figaro ii (1941), velato di «dismesso scetticismo»; il
malinconico Barone di Gragnano (1942), con la superlativa interpretazione
di Ruggero Ruggeri21; meglio sembrò Non tradire (1943) testo vicino alle
esperienze pirandelliane, per scendere nuovamente di tono, dopo sette
anni di assenza dalle scene, con Maus (1950)22.
20. Franca Angelini, Teatro e spettacolo nel primo Novecento, Laterza, Roma-Bari 2004,
p. 62.
21. Ruggero Ruggeri (Fano, 14 novembre 1871 – Milano, 20 luglio 1953) interpretò undici
commedie di Tieri. La sua formazione d’attore avvenne con Ermete Novelli e Claudio
Leigheb. Presto si impose come rappresentante della rottura con la recitazione istrionesca
dell’Ottocento, cui contrappose sobrietà e stilizzazione del gesto. Caratteristica la sua
voce profonda e dalle svariate coloriture. Celebre rimase la sua interpretazione di Aligi
ne La figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio, di cui fu il primo interprete e che riprese
trent’anni dopo al Teatro Argentina di Roma nella celebre messa in scena per la regia di
Luigi Pirandello assistito da Guido Salvini, con Marta Abba, scene e costumi di Giorgio
de Chirico. Eccelse nei tormentati personaggi di Pirandello (che lo definì «maestro d’ogni
composto ardire») che aveva pensato per lui la parte del padre nei Sei personaggi in cerca
d’autore, così come il protagonista di Enrico iv divenendo il principale interprete dei testi
del drammaturgo agrigentino. Capocomico e primo attore accanto alle maggiori attrici
del momento, come Marta Abba, Emma Gramatica, Lyda Borelli e Wanda Capodaglio,
fu molto apprezzato anche all’estero. Per lo stesso attore Tieri progettò la scrittura di una
commedia, come si legge in alcuni Appunti per una commedia, cit., in E. Paura, Quel grande
amore per il teatro, cit., pp.137-143, oltre a concepirne altre direttamente. L’esclusiva della
messinscena di queste commedie non fu soltanto della compagnia di Ruggeri, infatti,
anche altre compagini del tempo portarono in scena gli stessi lavori di Tieri. Il grande
attore chiuse la sua carriera al teatro Morelli di Cosenza recitando, in omaggio a Tieri,
Il barone di Gragnano. Cfr. E. Cumino, Gli scrittori di Corigliano, cit., p. 338-339. Oltre a
Ruggeri, tra le attrici e gli attori di rilievo che recitarono in opere di Tieri ricordiamo: Ave
Ninchi, Paola Borboni, Evi Maltagliati, Elsa Merlini, Renzo Ricci, Cesare Polacco, Giulio
Donadio, Gino Cervi e Paolo Stoppa. Cfr. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit.,
p. 35; E. Cumino, Gli scrittori di Corigliano, cit., p. 338. Tra le compagnie che portarono
in scena testi di Tieri, si ricordano, oltre a quella di Donadio (Carro di Tespi) e quella di
Alfredo De Sanctis, la Lupi-Borboni, la Melato-Picasso, quella di Renzo Ricci, di Marcello
Giorda, la Merlini-Cialente, la Compagnia dell’Eliseo, la Stival-Marchiò, Ferranti-Carini,
Cimari-Maltagliati.
22. Tra le sue opere teatrali restate inedite, figura Donne fatali a Lagonegro, una commedia
in due atti, «quasi un racconto giallo», probabilmente tra le ultime scritte (cit. in L. F. Leo,
P. E. Acri, S. Scigliano, Archivio Vincenzo Tieri, cit., p. 35), interessante per: «i riferimenti
alla tecnologia del dopoguerra (televisione, interurbane, coupé, ecc.)». Cfr. E. Cumino, Gli
scrittori di Corigliano, cit., p. 343.
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Fece anche qualche esperienza nel cinema. Scrisse la sceneggiatura di
Una lampada alla finestra, film diretto da Gino Talamo, prodotto da Eugenio Sansoni per Europa Film e tratto dal testo teatrale di Gino Capriolo. La
pellicola fu girata a Cinecittà nel 1939 e uscì nelle sale nel gennaio 1940.
Tratto dalla sua commedia La sbarra è il film L’ispettore Vargas, sempre
del 1940, primo lungometraggio di Giovanni Battista Franciolini.
Più tardi, nel 1953, Tieri propose una sua riflessione sulla complessa
relazione tra cinema e teatro, non celando la sua preferenza per l’arte
teatrale: «il cinematografo è quasi sempre teatro fotografato […] Tale
constatazione provocò il risentimento di alcuni cineasti e giornalisti cinematografici, i quali non mi risparmiarono né confutazioni, né attacchi.
Eppure il cinematografo incominciò a chiamarsi “teatro muto”, il film era
alle origini definito “azione drammatica cui manca la parola”, i luoghi di
codesta azione erano e sono ancora detti “teatri di posa” […] tutto questo
non toglie nulla all’assoluta identità dei due generi artistici dall’atto della
creazione fino all’atto della ripresa o della rappresentazione. Segue poi un
diverso modo di comunicare allo spettatore il lavoro compiuto, il teatro
essendo sempre vivo e il cinema sempre riprodotto fotograficamente e
fonicamente; ma questo è il lato secondario della questione, almeno dal
punto di vista artistico, creativo»23.
Nel 1946 iniziò la sua esperienza politica, come deputato del Fronte
dell’Uomo Qualunque all’Assemblea Costituente. Fu eletto nel Collegio
unico nazionale il 18 giugno 1946 (con convalida del 25 luglio) e partecipò
ai lavori dell’Assemblea sino alla fine, il 31 gennaio del ’48. Fu chiamato a
far parte della Commissione parlamentare per la vigilanza sulle radiodiffusioni. In aula intervenne una sola volta, il 26 marzo 1947, nella discussione generale sul Progetto di Costituzione con riferimento ai Rapporti
civili24. Il suo discorso, imbevuto di pensiero qualunquista, si concentrò
fondamentalmente sulla libertà del cittadino – materia degli articoli della
Costituzione citati – in vari ambiti sociali e culturali, messa a suo giudizio
23. Si tratta di alcuni passaggi di un articolo pubblicato ne «L’eco del cinema» del 28
febbraio 1953, cit., anche in E. Paura Quel grande amore per il teatro, cit., pp. 147-150.
Su soggetti di Tieri furono realizzati film anche per la televisione. Di Chirurgia estetica
(1940) esistono due versioni: la prima di Guglielmo Morandi, del 1958 (andata in onda
il 29 agosto), col figlio Aroldo, Ilaria Occhini e Antonio Battistella; la seconda di Claudio
Fino, del 1969, con Nando Gazzolo, Emma Danieli e Lida Ferro. Servi e padroni (1943),
film di Mario Lanfranchi, con Franco Scandurra, Franco Volpi e Laura Carli, del 1961. Per
il profilo biografico e la filmografia di Morandi si rimanda a: Enciclopedia dello Spettacolo,
cit., vol. VII, coll. 819-820.
24. Assemblea Costituente, LXXVI, Seduta del 26 marzo 1947, pp. 2490-2494. Per le
notizie sull’attività parlamentare e gli incarichi cfr. la scheda “Vincenzo Tieri” nel portale
storico della Camera dei Deputati, http://legislature.camera.it.
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carlo fanelli
in discussione da quello che egli definisce «non già il Governo del popolo,
la democrazia, sibbene il Governo contro il popolo, vale a dire un Governo
che nemmeno l’arbitraria terminologia del visconte di Cormenin, inventore dello strano vocabolo “governocrazia”, riuscirebbe in qualche modo a
battezzare». Il deputato qualunquista si chiede «di quali e di quante forze
politiche ha tenuto conto il progetto in esame» e risponde: «Di quelle al
potere evidentemente. Anzi di quella che, fra le forze al potere, domina
tutta la vita legislativa italiana nel momento attuale. È una Costituzione
di parte, dunque, non è una Costituzione nel senso classico della parola».
Il Fronte dell’Uomo Qualunque (Fuq) era nato come movimento (da
qui i sostantivi «qualunquismo» e «qualunquista»25), per poi divenire un
partito politico sorto nell’ambito dell’omonimo giornale26, fondato a Roma il 27 dicembre del 1944 dal giornalista e commediografo Guglielmo
Giannini27. Il movimento portò avanti istanze liberal-conservatrici, anticomuniste, populiste legate all’antipolitica. Si pose in polemica col fascismo
ma anche con i partiti antifascisti del Comitato di liberazione nazionale.
L’esigenza della nascita di un partito di massa si generò con l’insediamento del governo presieduto da Ferruccio Parri, accusato da Giannini
25. Il termine «qualunquismo», rimasto nel lessico politico con accezione negativa, definisce atteggiamenti di sfiducia nelle istituzioni, di diffidenza e ostilità nei confronti della
politica e del sistema partitico. In realtà il movimento era tutt’altro che disinteressato alla
vita politica, nonostante manifestasse sfiducia verso sistema partitocratico e scarso interesse nei confronti della politica, accusata di non prestare reale attenzione verso i problemi
della gente, dell’uomo qualunque appunto. Nella cultura francese è presente un termine
analogo: poujadisme.
26. Pur essendo un settimanale aveva il formato di un quotidiano, stampato su carta
giallo-grigia, ebbe da subito grandi tirature. La testata presentava, inserito nella “U” maiuscola, l’immagine di un torchio che schiaccia un piccolo uomo, a rappresentare la classe
politica che opprime “l’uomo qualunque” e in basso, infine, una vignetta raffigurante una
figura misera che scrive su un muro «abbasso tutti». Le vespe era una delle rubriche più
seguite, i cui contenuti vertevano su pettegolezzi riguardanti politici e intellettuali, costruita
su una satira pungente e irriverente. Il progetto di Giannini era di dare voce all’uomo della
strada, attraverso una linea editoriale contraria al fascismo, al comunismo, ma anche ai
cosiddetti «antifascisti di professione», accostati al regime per l’accento «epurazionista» dei
primi anni del dopoguerra. Per tale posizione, il giornale fu accusato di «cripto-fascismo»
e ne fu chiesta la chiusura. Tuttavia il giornale continuò le sue pubblicazioni fino alla morte
di Giannini, avvenuta nel 1960.
27. L’attività teatrale di Giannini ebbe inizio nei primi anni Venti. Tra i suoi testi sono da
ricordare: Parole d’onore (1923), Il castello di bronzo (1931), La casa stregata (1934), Mani
in alto e Supergiallo (1936) e Il sole a scacchi (1940). Fu direttore della rivista cinematografica «Kines» e nel 1943 girò quattro film in un anno, dei quali ebbero però ampio accesso
alle sale soltanto Grattacieli e Quattro ragazze sognano, entrambi con Paolo Stoppa come
protagonista.
vincenzo tieri
239
di inadeguatezza. L’8 agosto 1945 affermò di volere accogliere il «grido
di dolore» che si levava da più parti d’Italia, facendo suo il famoso passaggio del discorso di Vittorio Emanuele II, al Parlamento di Torino, il
10 gennaio 1859. Il risalto e relativo consenso suscitato da questa posizione, condusse alla formalizzazione del programma del futuro Fronte
qualunquista, pubblicato il 7 novembre ’45, e come ulteriore conseguenza
la nascita spontanea dei «nuclei qualunquisti», gruppi spontanei costituiti da «Amici dell’uomo qualunque», cui seguì la nascita di sedi del
movimento sparse per tutta la penisola. Contemporaneamente Giannini
cercò di convogliare quest’adesione popolare nel Partito liberale italiano,
provocando, tuttavia, l’opposizione di Benedetto Croce e il conseguente
fallimento del progetto. A seguito del rifiuto di Croce, Giannini decise di
fondare il suo partito, il cui primo congresso si tenne a Roma tra il 16 e
il 19 febbraio 1946, suscitando aspre critiche da parte del Partito comunista italiano, che definì l’operazione come un tentativo di riedificazione
del Partito nazionale fascista. Basando la sua concezione dello Stato in
funzione meramente amministrativa, tecnica, e non politica, il Fronte
dell’Uomo qualunque fissò i punti cardine della sua propaganda politica
sulla lotta al comunismo e al capitalismo, la limitazione della presenza
dello Stato nell’ambito sociale, la propugnazione del liberismo economico,
la limitazione del prelievo fiscale.
Nello statuto del partito erano previsti un comitato nazionale, un
comitato direttivo e una giunta esecutiva ma, di fatto, fu il solo Giannini
a dirigerne la politica. A seguito del congresso Giannini aveva costituito
una giunta esecutiva che comprendeva alcuni «pionieri» come Vincenzo
Tieri28. Quest’ultimo prese il posto di Armando Fresa29 nella carica di
segretario generale, il 27 giugno 194630, in seno ad una riorganizzazione
28. Sandro Setta, L’uomo qualunque 1944-1948, Laterza, Bari 2005 (i ed. 1975), p. 164.
Si veda anche Guglielmo Giannini, La grande avventura dell’Uomo qualunque raccontata
da G. Giannini, in Enciclopedia del Centenario. Contributo alla storia politica, economica,
letteraria e artistica dell’Italia meridionale nei primi cento anni di vita nazionale, a cura di
Giovanni Scognamiglio, II, Napoli, D’Agostino 1960; Carlo M. Lomartire, Il qualunquista.
Guglielmo Giannini e l’antipolitica, Mondadori, Milano 2008; M. Cocco, Qualunquismo,
una storia politica e culturale dell’uomo qualunque, Le Monnier, Firenze 2018. Per la consultazione del giornale: Biblioteca Nazionale Centrale di Roma: «L’uomo Qualunque» (raccolta digitale dal 1945 al 1952); Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea: «L’Uomo
Qualunque» (dal 1944 al 1949).
29. Anche Fresa era calabrese, era un industriale edile nativo di Palmi. Cfr. Antonio
Costabile, Democrazia Qualunquismo Clientelismo Cosenza 1943-1948, Effesette, Rende
1989, p. 202.
30. Nel corso di una sua visita a Cosenza, nell’aprile ’46, Tieri, intervistato dal «Corriere
del Sud», rispondendo alla domanda dell’intervistatore, su come fosse «da interpretarsi
240
carlo fanelli
del partito che sfociò in una polemica di Fresa contro Giannini e Tieri, che
decretò l’esclusione di Fresa dal partito, accusato da Giannini di: «infantile
e irragionevole gelosia» nei confronti dello stesso Tieri31.
Beghe personali a parte, la riorganizzazione del Fronte tese, oltre che
a contrastare il cosiddetto «professionismo politico», all’estromissione
di neofascisti e legittimisti. Scrivendo a Tieri, così Giannini argomentò
tali posizioni: «Per effetto di una sedicente interpretazione democratica
del nostro statuto qualsiasi malintenzionato senza seguito né credito può
farsi eleggere di sorpresa capo-centro di una città di importanza europea
come Milano»32.
Alle amministrative del 1946, il Fronte di Giannini ottenne grandi
consensi, soprattutto nel Centro-Sud, risultando il secondo partito dopo la
Democrazia cristiana. Alle elezioni nazionali per l’Assemblea Costituente,
il Fronte ottenne il 5,3% delle preferenze, fu il quinto partito nazionale
mandando trenta deputati all’Assemblea costituente. Il 15 dicembre dello
stesso anno adottò il nuovo nome di Fronte liberale democratico dell’Uomo qualunque. Il secondo congresso nazionale si tenne nel settembre del
’47. Giannini ne auspicava la convocazione già a marzo, Tieri obbiettò con
più di un argomento: «necessità del tesseramento e dei congressi provinciali, elezioni siciliane, impossibilità di svolgere un congresso nel periodo
estivo»33. Il congresso si tenne, quindi, a settembre: i primi tre giorni del
mese un precongresso, voluto da Giannini e Tieri, si rese necessario per
placare le polemiche interne evitando, altresì, di offrire all’esterno un’immagine di debolezza prima del congresso nazionale. Gli esiti dei lavori
furono, in un primo momento, tenuti segreti da Giannini il quale decise,
poi, di pubblicarli su «L’uomo qualunque» del 10 settembre, rendendo
pubblici i suoi attacchi a dissidenti interni come Patrissi, Fresa e Patricolo34.
l’agnosticismo del partito qualunquista sul problema istituzionale», ebbe a dire: «Per noi
qualunquisti non ha alcuna importanza che il capo dello Stato si chiami re, si chiami
presidente o, come dice scherzosamente Giannini, si chiami Gaetano. Per noi ha importanza la Costituzione del nuovo Stato che vogliamo creare […] Il nostro partito giudica
suo dovere lasciare ai suoi iscritti la più ampia libertà di votare per la monarchia o per la
repubblica […] L’importante per noi oggi è sapere come vogliamo essere governati e non
come si debba chiamare colui che ci governerà». Ivi, pp. 212-213. Il settimanale politico
«Rinascita Cosentina», il cui primo numero fu pubblicato il 10 dicembre 1946 ed ebbe
come redattore responsabile Silvio Rendani, fu l’«organo ufficiale per gli atti del centro
provinciale cosentino del Fronte dell’Uomo qualunque». Ivi, p. 217.
31. S. Setta, L’uomo qualunque, cit., p. 232.
32. Ivi, p. 167.
33. Ivi, p. 236.
34. È giunta l’ora di tagliar corto, resoconto stenografico del precongresso, 10 settembre
1947. S. Setta, L’uomo qualunque, cit., pp. 237-238.
vincenzo tieri
241
Alcide De Gasperi, che successe a Parri alla guida del governo, attaccò duramente, definendolo filofascista, il partito di Giannini. Tuttavia
quest’ultimo assunse un atteggiamento più conciliante verso De Gasperi.
Determinante fu l’appoggio dei qualunquisti alla formazione del primo
governo De Gasperi, nonostante la Dc non vedesse di buon occhio l’alleanza con Giannini, il quale veniva considerato il «servo sciocco»35, pronto
a concedere tutto senza ricevere nulla in cambio. Tuttavia, De Gasperi
manifestò un’apertura nei confronti dei qualunquisti, suscitando l’opposizione di socialdemocratici e repubblicani; tant’è che l’ingresso nel
governo di queste due compagini scongiurò l’avvicinamento definitivo
tra qualunquisti e democristiani36. Nel Fronte, l’accostamento con la Dc
decretò il crollo del consenso e l’abbandono di alcuni sostenitori. Giannini
tentò poi un’alleanza con la Democrazia cristiana e il Movimento sociale
italiano, nonché un avvicinamento a Togliatti, contatti che decretarono
l’ulteriore crollo di consensi verso il leader e il suo partito, il quale si vide
costretto a prendere le distanze dal Pci, per allearsi col Pli.
Così è descritta la congiuntura nel citato studio di Sandro Setta: «Giorno dopo giorno si susseguivano sulla stampa qualunquista gli attacchi alle
“invereconde voglie di sconfinato predominio del Partito democristiano”.
“Io non posso più continuare ad appoggiare un governo – scriveva Giannini sull’“Uomo qualunque” – espressione d’un partito ch’è venuto meno
all’impegno assunto con noi di non abusare del potere”, e Tieri gli faceva
eco sul “Buonsenso” ribadendo che il qualunquismo doveva “potere stare
anche esso al potere per influire direttamente sull’azione governativa italiana secondo il suo programma”37 […] Ma mentre Giannini si ostinava nel
voler abbattere il governo e Tieri avvertiva: “né vale la continua, indiretta,
ipocrita azione lusingatrice dei corridoi di Montecitorio ad addormentarci: siamo resistenti agli oppiacei e ai narcotici”38, il Fronte dell’Uomo
Qualunque era investito da una crisi terribile»39.
35. V. Tieri, Collaboratori, non servi sciocchi, «Il Buonsenso», 19 ottobre 1947. Della testata Tieri era redattore-capo, stesso incarico aveva assunto durante la guerra al «Popolo
di Roma», S. Setta, L’uomo qualunque…, p. 305.
36. De Gasperi ha convocato Tieri per mercanteggiare Governo e Campidoglio, «l’Unità»,
28 ottobre 1947. Cfr. S. Setta, L’uomo qualunque…, cit., p. 326.
37. Nello stesso articolo Tieri proponeva alcune considerazioni sul Vaticano: «dal cui
atteggiamento recentissimo dipende in gran parte la scomodità della nostra posizione».
Secondo il suo parere il Vaticano: «fa malissimo a puntare su una carta sola, molto debole
appunto per la sua forza fittizia, e prossima a spappolarsi con danno grave della Chiesa»,
V. Tieri, Collaboratori, non servi sciocchi…, cit.
38. V. Tieri, Tristo orgoglio, «Il Buonsenso», 25 ottobre 1947.
39. S. Setta, L’uomo qualunque…, cit., p. 260.
242
carlo fanelli
Alle complicazioni politiche, se ne aggiunsero altre di carattere finanziario: «Il fronte era soffocato dai debiti. Solo per il secondo congresso
nazionale, organizzato da Tieri in maniera grandiosa, c’erano da pagare 21
milioni»40. Il 10 gennaio 1948 Giannini condusse il partito nel cosiddetto
Blocco nazionale, una coalizione elettorale di centrodestra (in vista delle
elezioni politiche del 18 aprile dello stesso anno) formata dal Pli e dall’Unione per la ricostruzione nazionale di Nitti. Ciò scatenò all’interno del
Fronte un ulteriore dissenso, nonché le dimissioni del segretario generale
Vincenzo Tieri, mentre altri fuoriusciti confluirono nel Partito nazionale
monarchico e nel neonato Movimento sociale italiano.
Dimessosi dalle cariche ma non dal partito, Tieri fondò il Partito
qualunquista italiano, con un proprio giornale: «Il Mattino di Roma»41.
Con questa compagine si presentò alle elezioni amministrative romane
del 12 ottobre 1947, ma il risultato elettorale fu negativo: La Destra, la lista
raccolta da Tieri in modo improvvisato – accusato da Giannini di avere
ricevuto finanziamenti dagli industriali dello zucchero, nel corso di un
comizio all’Adriano di Roma, il 23 ottobre 194942 – ebbe scarso consenso
elettorale. Anche nelle elezioni del 18 aprile 1948 La Destra ottenne ben
pochi consensi e in Calabria «solo poche centinaia di voti»43.
Terminata la sua esperienza politica, Tieri riprese l’attività teatrale
e culturale. Al biennio 1955-’57 risale la conduzione del Piccolo teatro
di Palermo44, dove «istituì dibattiti culturali, una scuola di recitazione
dove insegnò storia del teatro e, inoltre, una giovane compagnia dialettale siciliana che mise, tra l’altro, in scena una commedia di Pirandello e
Martoglio: ’A vilanza (la bilancia)»45.
Delle sue regie teatrali si ricorda Il Ragionier Ventura di Giannini, il 9
febbraio 1947, al Mercadante di Napoli46. Il debutto, al Teatro Valle di Roma
nel 1952, di le Donne brutte, commedia in tre atti di Achille Saitta, portata
in scena dalla Borboni-Scelzo. Nello stesso anno: il 5 aprile La Corona di
carta di Ezio D’Errico, al Mercadante di Napoli; l’8 maggio, all’Olimpia di
40. Ivi, p. 264.
41. Ivi, p. 267.
42. Ivi, p. 330.
43. «Il partito dell’UQ a Cosenza non riuscì più a riorganizzarsi e a riprendere l’iniziativa
politica come prima, tanto che “Rinascita Cosentina” […] lo strumento d’azione essenziale del qualunquismo locale, nel corso del 1948 stampò solo tre numeri, in prossimità
delle elezioni, mentre durante il 1947 aveva invece mantenuto costante la sua periodicità
settimanale». A. Costabile, Democrazia Qualunquismo Clientelismo, cit., p. 266.
44. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 67. Per la teatrografia di Vincenzo
Tieri si rimanda a: Enciclopedia dello spettacolo, cit., vol. IX, coll. 920-921.
45. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., pp. 67-68.
46. Enciclopedia dello spettacolo, cit., vol. IX, col. 921.
vincenzo tieri
243
Milano, Si accorciano le distanze di Attilio Carpi; il 19 maggio, nello stesso
teatro milanese, Vigilia nuziale di Clotilde Masci47. A questa seguì la novità
assoluta Emma B., vedova Giocasta, monologo di Alberto Savinio del 1949,
messo in scena dalla Compagnia dei teatranti, diretta da Tieri. Nel 1954,
con la Compagnia italiana di prosa del Teatro Goldoni di Roma, diresse la
messinscena di Anni perduti, dramma in tre atti di Turi Vasile. Con la stessa
compagnia portò in scena la versione italiana di Belisario Randone de Le
roi est mort, commedia in tre atti di Louis Ducreux. Il 3 settembre 1956, al
Piccolo Teatro di Palermo, rappresentò Svolta pericolosa di John Boynton
Priestley; nello stesso teatro e in quell’anno, L’Ostaggio di G. Achille, L’Avvocato delle donne di Roux, Lo Zoo di vetro di Tennessee Williams; Boutique
Lucien, via Veneto 202 di V. Cicerone, al Teatro Pirandello di Roma, il 20
dicembre 1957. L’8 febbraio 1958, curò la regia di Landru, un suo giallo in tre
atti del ’50, per la messinscena romana della Compagnia Spettacoli Gialli48.
Negli anni Cinquanta ricoprì la carica di presidente della Siad (Società
italiana autori drammatici), fu presidente dell’Idi (Istituto del dramma
italiano) e commissario della Sezione Dor49 della Siae (Società Italiana
Autori e Editori). In tale ambito si ricorda il suo impegno per la tutela del
repertorio del teatro italiano, in anni in cui tale aspetto della programmazione dei teatri nazionali appariva nuovamente attuale. In due occasioni
leggiamo le sue posizioni in tale dibattito: al Convegno Libero del Teatro,
promosso dalle riviste «Sipario» e «Il Dramma», tenutosi a Bologna il 27
e 28 giugno 1953, in qualità di presidente della Siad, Tieri insiste sulla
definizione dei «caratteri nazionali» del teatro, citando Ferdinando Martini
che già alla fine dell’Ottocento lamentava l’inesistenza del teatro italiano
soffermandosi, poi, sull’espressione di una unità nazionale attraverso il
teatro. Anche Tieri insiste sulla funzione culturale e civile del teatro, riproponendo gli argomenti di un dibattito che, in Italia, si era avviato già
nel Settecento giungendo anche nel Parlamento dell’Italia unita, in seno
al quale si discusse del teatro nazionale e di come sostenerne l’esistenza e
lo sviluppo, anche in modo concorrenziale rispetto al resto dell’Europa,
pure nel tentativo di esportare attori e testi promossi ad ambasciatori di
una nuova immagine dell’Italia: «Se è vero che dove non esista una società
47. Ivi, vol. IX, col. 921.
48. Di cui si ebbe anche una «libera riduzione cinematografica e sceneggiatura di Leo
Bomba, Dino de Rugeriis, Roberto Montero (regia di Montero)», L. F. Leo, P. E. Acri, S.
Scigliano, Archivio Vincenzo Tieri, cit., p. 32. Enciclopedia dello spettacolo, cit., vol. IX, col.
921.
49. La Dor (opere drammatiche e radiotelevisive) è la sezione della Siae posta a tutela
delle opere teatrali (prosa, produzioni per bambini, spettacolo di burattini e marionette,
cabaret, circo-teatro) e teatro musicale (operette, musical, commedie musicali).
244
carlo fanelli
nazionale la nascita di un teatro valido è molto difficile, anche vero è che
il teatro, dal canto suo e per una delle sue particolari funzioni, favorisce e
accelera la formazione di una tale società contribuendo notevolmente a
una maggiore unità di linguaggio, di morale, di costume, di cultura. Ecco
perché il teatro nazionale dev’essere costantemente aiutato e incoraggiato
in ogni sua manifestazione, perfino come fatto sperimentale»50.
In merito a tale questione, Tieri ripropose le sue argomentazioni in
difesa del teatro italiano, utilizzando toni più diretti:
«Gli autori italiani costituiscono una classe o categoria che non ha alcuna fortuna
in Italia: la sfortuna degli autori italiani risale alla famosa sentenza di Ferdinando
Martini secondo la quale il teatro italiano non esiste. È una sentenza infelice, che il
teatro italiano, da Goldoni a Pirandello, ha sempre ampiamente smentita; ma è una
sentenza che fa comodo a talune persone: agli importatori di commedie straniere,
per esempio, a molti proprietari e gestori di teatri (importatori talvolta essi medesimi) ai capocomici comunque legati a importatori e proprietari a quegli attori che
si dicono traduttori o riduttori di opere cadute in pubblico dominio, a quei registi
che cercano i loro testi esclusivamente nei cimiteri o in plaghe lontane dal loro estro
rumoroso e dispotico: tutta gente che, senza scrivere una sola battuta di commedia,
non disdegna di incassare diritti d’autore […] Soltanto da noi il più mite e beninteso
nazionalismo, per potere esercitare liberamente, ha bisogno di essere codificato.
Ammettiamo, alla fine, che il teatro italiano non esista per davvero; e chiediamoci
una buona volta: non esiste per mancanza di autori degni del nome o anche per
mancanza d’altro? A questo punto gli autori italiani dovrebbero adottare la legge
del taglione. Incominciando a proclamare che se in Italia mancano autori degni
del nome, mancano capocomici, attori, registi, magari anche critici e addirittura
spettatori degni del nome. Il teatro italiano non ha uomini, non ha nessuno: è un
deserto. A popolare questo deserto vengano dunque stranieri da ogni parte del
mondo e invadano l’Italia a comprare teatri, a condurre compagnie, a inscenare e
recitare commedie, a scrivere critiche sui giornali, a sedere nelle platee»51.
Incisive le sue parole che oggi, a distanza di anni, ci restituiscono in modo
vivace e chiaro, il contesto e gli argomenti di un dibattito che interessò il mondo teatrale italiano anche oltre quel periodo. Nel 1959, Tieri riprese l’attività
giornalistica su «Telesera», come critico teatrale e televisivo e su «Il Tempo».
Qui restò in attività, sino alla sua morte, sopraggiunta il 4 gennaio 1970.
50. Brano tratto dalla relazione tenuta da Tieri al Convegno Libero del Teatro (Bologna,
27-28 giugno 1953), cit., in E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 154.
51. Lettera indirizzata ad Alessandro De Stefani, direttore de «Il Roma», come presidente
della Siad, in risposta a un suo articolo dal titolo L’agonia del teatro italiano, pubblicato il
3 febbraio 1952. Ivi, pp. 177-182.
Indice
Presentazione di Vittorio Cappelli e Paolo Palma
Ringraziamenti
5
15
Biografie
Luigi Ambrosi
Antonio Capua
19
Christian Palmieri
Francesco Caroleo
33
Vincenzo Antonio Tucci
Benedetto Carratelli
43
Vittorio Cappelli
Gennaro Cassiani
50
Michele William La Rocca
Giacinto Froggio Francica
61
Vittorio De Marco
Vito Giuseppe Galati
70
Oscar Greco
Fausto Gullo
84
Christian Palmieri
Roberto Lucifero
95
Giuseppe Masi
Pietro Mancini
107
Paolo Palma
Vincenzo Mazzei
123
Giuseppe Ferraro
Enrico Molè
139
Giorgio Rebuffa
Costantino Mortati
155
Enzo D’Agostino
Filippo Murdaca
165
Oscar Greco
Eugenio Musolino
171
Katia Massara
Antonio Priolo
174
Lorenzo Coscarella
Adolfo Quintieri
182
Maria Gabriella Rienzo
Quinto Quintieri
192
Alessandro Massimo Nucara
Gaetano Sardiello
203
Alfredo Focà
Nicola Siles
210
Pantaleone Sergi
Luigi Silipo
216
Carlo Fanelli
Vincenzo Tieri
231
Giuseppe Macrì
Domenico Tripepi
245
Vittorio Cappelli
Alessandro Turco
249
Alfredo Focà
Giuseppe Vilardi
259
Gli Autori
267
Atti parlamentari
Discorsi in Aula
Antonio Capua
Francesco Caroleo
Gennaro Cassiani
Giacinto Froggio Francica
Vito Giuseppe Galati
Fausto Gullo
Roberto Lucifero
Pietro Mancini
Vincenzo Mazzei
Enrico Molè
Costantino Mortati
Antonio Priolo
Adolfo Quintieri
Quinto Quintieri
Gaetano Sardiello
Luigi Silipo
Vincenzo Tieri
Domenico Tripepi
Alessandro Turco
275
275
285
288
297
301
304
324
340
351
359
381
399
409
414
424
428
432
437
443
La Calabria nelle interpellanze e interrogazioni a risposta orale
449
La Calabria nelle interrogazioni a risposta scritta
507
La legge istitutiva dell’Opera Sila
533
Stampato in Italia
nel mese di giugno 2020
da Rubbettino print per conto di Rubbettino Editore srl
88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)
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Un biennio cruciale della storia nazionale osservato attraverso l’attività parlamentare dei
calabresi alla Costituente: Capua, Caroleo, Carratelli, Cassiani, Froggio, Galati, Gullo, Lucifero, Mancini, Mazzei, Molè, Mortati, Murdaca,
Musolino, Priolo, A. Quintieri, Q. Quintieri,
Sardiello, Siles, Silipo, Tieri, Tripepi, Turco, Vilardi. Alle loro biografie seguono i discorsi in
Aula su temi generali decisivi e, per la prima
volta, tutti gli atti parlamentari di argomento calabrese. Ne scaturisce uno straordinario
spaccato della Calabria del tempo con le sue
mulattiere e i suoi tuguri, le condizioni di vita
primitive della povera gente, i signori del latifondo, l’occupazione delle terre, i tumulti del
pane. E malaria, tubercolosi, ferrovie insicure,
treni fatiscenti, reti idriche ed elettriche carenti. Un’umanità dolente, banco di prova della
nuova democrazia repubblicana.
Questo volume è stato
realizzato con un
finanziamento della Regione
Calabria PAC 2014-2020,
Annualità 2018, Azione 3,
Tip. 3.2 nell’ambito del
progetto Politica e cultura
in Calabria dal 1861 ad oggi
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