Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                

Vincenzo Tieri

2020, I calabresi all'assemblea costituente 1946-1948

I CALABRESI ALL’ASSEMBLEA COSTITUENTE 1946-1948 a cura di Vittorio Cappelli e Paolo Palma I calabresi all’Assemblea Costituente 1946-1948 a cura di Vittorio Cappelli e Paolo Palma Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea Questo volume è stato realizzato con un finanziamento della Regione Calabria PAC 2014-2020, Annualità 2018, Azione 3, Tip. 3.2 nell’ambito del progetto Politica e cultura in Calabria dal 1861 ad oggi © 2020 - Rubbettino Editore 88049 Soveria Mannelli - Viale Rosario Rubbettino, 10 - tel (0968) 6664201 www.rubbettino.it Carlo Fanelli Vincenzo Tieri Corigliano Calabro, 1895 – Roma, 1970 Vincenzo Tieri nacque a Corigliano il 28 novembre 1895, da Francesco Tieri e Marietta Marini, al civico 5 di via Toscano, nella zona centrale del borgo jonico calabrese. Frequentò il Ginnasio-Convitto “Garopoli”, dove si diplomò nel 1913. Nel 1911, ancora studente, fu chiamato a insegnare presso la Scuola serale per emigranti (diretta dal professore Nicola Gallerano), dove proseguì la sua esperienza pedagogica, interrotta dalla chiamata alle armi nel 1915. Richiamato dalla leva, fu nominato membro del Patronato scolastico, insieme a Raffaele Amato, e designato direttore amministrativo del “Ricreativo asilo” per i figli dei militari inviati al fronte, dall’ispettore scolastico Adolfo Costa; divenne, poi, segretario della sezione comunale dell’Unione nazionale degli insegnanti italiani. Già nel maggio 1908 fu impegnato nell’attività culturale della cittadina calabrese e organizzò il Primo congresso infantile coriglianese1. Il 1° luglio 1916 sposò Filomena Francesca Garofalo (detta Matilde), originaria di Rovito, località della Presila cosentina, dalla quale ebbe tre figli: Gherardo (1916), Aroldo (1917) e Marcello (1920). Tutti ebbero esperienze contigue a quelle paterne: il primo svolse un’attività giornalistica, dirigendo il «Buonsenso». Aroldo diventerà un noto attore cinematografico e teatrale2. 1. «Il Popolano», n.14 del 10 maggio 1908. Cfr. Enzo Cumino, Gli scrittori di Corigliano Calabro (dal 1500 al 1997), Mangone Industrie Grafiche, Rossano 1997, p. 330. 2. Per l’attività cinematografica di Aroldo Tieri si rimanda a: Enciclopedia dello spettacolo, dir. Silvio D’Amico, Unedi Ed. Le Maschere, Roma 1975, vol. IX coll. 919-919; Aroldo Tieri, una vita per il teatro, a cura di Antonio Panzarella, Elite, Lamezia Terme 1996 (I ed. «Il Serratore», 1989), parzialmente rivisto in: Aroldo Tieri. Una vita per lo spettacolo, Bevivino Editore, Milano-Roma 2005 (cui si rimanda per la teatrografia e filmografia di Aroldo Tieri); Aroldo Tieri e il cinema, a cura di Alessandro Canadè, Pellegrini, Cosenza 2007. Legato a suo padre e alla sua figura, come si legge in questo toccante passaggio: «È questa la nostra parte di storia, gli altri sono spiccioli di cronaca. Se in queste “conversazioni postume” mi capita di parlargli del suo Teatro, vedo tutte le sue commedie come una sola grande commedia nella quale ogni personaggio (e ogni interprete) è libero di incontrare tutti gli altri, e tutte le combinazioni sono possibili: alogiche, ma legittime come nei sogni». Luigi Vaccari, Un borghese gentiluomo, in Antonio Panzarella, Ernesto Paura (a cura di), Teatro e vita di Vincenzo Tieri, Bevivino Editore, Milano 2004, p. 32. 232 carlo fanelli Infine, Marcello, anch’egli impegnato nell’attività letteraria, morì prematuramente in guerra nel 1942, nel corso della rovinosa campagna di Russia. Tieri mosse i primi passi nel giornalismo già durante la permanenza giovanile nel suo paese, scrivendo per «Il Popolano», diretto da Francesco Dragosei, verso il quale lo stesso Tieri espresse stima e riconoscenza3; oltre a fondare egli stesso «Giovinezza», giornale che ebbe discreta diffusione. Insieme all’attività giornalistica, mosse i primi passi nel teatro amatoriale tra Corigliano, Rossano e Villapiana. Alla recitazione si aggiunse, nel 1916, la sua prima esperienza drammaturgica, incoraggiata dalla commissione di lettura della Società romana degli autori drammatici, con Il profumo del peccato, commedia in tre atti pubblicata su «Il Popolano», dedicata all’allora sindaco di Corigliano, Gaetano Attanasio. A questo frangente appartengono anche gli atti unici Il trabocchetto, pubblicato sul giornale di Dragosei, e Un marito, edito sul numero unico de «La Fornace», giornale promosso dallo stesso Tieri che comprendeva contributi di altri esponenti della cultura calabrese coeva. Alla nascente produzione drammaturgica affiancò quella letteraria, con la pubblicazione, sempre nel 1916, de L’inevitabile, raccolta di otto novelle, uscita sul giornale di Dragosei, nella quale il regime dialogico è più vicino al teatro, e la silloge poetica intitolata La parabola dell’amore, ospitata anch’essa sulla stessa testata nel 19184, con una prefazione di Stanislao De Chiara5, nella quale 3. È quanto si legge in un articolo a sua firma, pubblicato il 31 gennaio 1961 su «Cor Bonum» (altra testata locale, diretta da Giovanni Battista Policastri), nel quale Tieri esprime tali sentimenti per Dragosei. Quest’ultimo era un attivo esponente della cultura locale che, oltre all’attività giornalistica, si occupava della gestione del teatro “Gustavo Valente”, dove il giovane Tieri ebbe la possibilità di entrare in contatto con l’attività teatrale delle compagnie ospiti. Cfr. Ernesto Paura, Quel grande amore per il teatro (la figura e l’opera di Vincenzo Tieri), Il Coscile, Castrovillari 1998, pp. 23-24. Il 20 agosto 1911 era stato anche inaugurato il primo cinematografo locale. Cfr. Enzo Cumino, Storia di Corigliano Calabro, MIT, Cosenza 1992, p. 171; Idem, Vincenzo Tieri, in «Il Serratore», n. 38, 1995, pp. 20-21. 4. Scrisse anche il romanzo giallo Non l’uccidete, pubblicato in due puntate su «Il Popolo di Roma» nel 1930 e su «Il Popolo di Trieste», a puntate, nel 1938; fu autore di un altro romanzo dal titolo La crisi del giudice Tarsia, edito a puntate ne «Il Giornale della Domenica», nel 1935. Cfr. Lucrezia F. Leo, Pier Emilio Acri, Stefano Scigliano, Archivio Vincenzo Tieri. Inventario, Città di Corigliano, Assessorato Beni Culturali, 1998, p. 21; nello stesso archivio – donato da Aroldo Tieri al Comune di Corigliano, il 25 giugno 1997 – sono conservate altre opere letterarie che Tieri scrisse in vari anni e che pubblicò su quotidiani romani; allo stesso Archivio si rimanda per riferimenti più precisi alle edizioni e messinscene delle opere dell’autore e delle sue regie, nonché alla sua produzione giornalistica. Cfr. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 27; Idem, Ed ora quelle “carte” raccontano la loro storia, il «Il Serratore», n. 51, 1998, pp. 20-21. 5. Stanislao De Chiara (Cosenza, 1856-1923), presidente dell’Accademia cosentina, studioso di Dante, si dedicò allo studio e alla diffusione della figura dantesca in Calabria. vincenzo tieri 233 si risente l’influenza di Pascoli e D’Annunzio6. Nell’aprile 1917 Tieri fu nominato Segretario della Sezione Comunale dell’Unione nazionale degli insegnanti italiani, e nel giugno dello stesso anno, Segretario della Sezione comunale della mutualità scolastica italiana7. Nello stesso anno decise di trasferirsi a Roma, con l’intento di affermare e consolidare la sua attività intellettuale8. Sintomatiche le parole che egli stesso scrisse il 6 ottobre 1918 su «Il Popolano»9. A Roma mosse i primi passi nella politica: nel 1920 è segretario politico del barone Guido Compagna, di Corigliano, eletto deputato al Parlamento. Tuttavia, lo attendeva una carriera giornalistica che lo vide collaborare con varie testate e numerosi incarichi10. Al 1922 risale il debutto romano Fu autore di numerose pubblicazioni di argomento dantesco, distinte in saggi, letture, note, recensioni, prefazioni, caratterizzati da rigore di metodo e da fine sensibilità interpretativa. Rilevante è il volume Dante e la Calabria, che ebbe due edizioni (Cosenza 1894 e Città di Castello 1910). Pur non offrendo una visione organica della storia della fortuna di Dante in Calabria, il volume resta uno dei più notevoli esempi di studi regionali dedicati al poeta alla fine dell’Ottocento. L’opera contiene, anche, traduzioni in dialetto calabrese di canti e di episodi della Commedia, un’accurata bibliografia, nonché studi e note varie. 6. La raccolta di novelle e di versi, insieme alla prima commedia sono raccolte in Vincenzo Tieri, L’inevitabile (Novelle). Il trabocchetto (Commedia in un atto). La parabola dell’amore (Versi), Tipi de «Il Popolano», Corigliano Calabro 1917 (riedizione: Editrice “Aurora”, Corigliano Calabro Scalo 1998). 7. E. Cumino, Gli scrittori di Corigliano Calabro, cit., pp. 332-333. 8. Si era anche pensato a contrasti, mai acclarati, con un notabile del paese, come si rileva da E. Cumino, Gli scrittori di Corigliano, cit., p. 337. 9. «Il Popolano», n. 31-32, 6 ottobre 1918 (anno xxxvi). Il brano integrale può essere lette anche in E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., pp. 107-111. 10. Direttore de «Il Corriere del teatro», «Il Mattino» di Roma, «Il Buonsenso», «Il Reporter», il «Corriere Italiano». Cfr. E. Cumino, Gli scrittori di Corigliano Calabro, cit., p. 338. Fu redattore, critico teatrale, letterario e televisivo, redattore capo, inviato speciale, in giornali come: «Gazzetta del popolo», «Giornale di Roma», «Popolo di Roma», «Il Tempo», «Idea Nazionale». Cfr. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 30. Per alcune testate scrisse utilizzando pseudonimi: sul «Giornale di Roma» e «Il Popolo d’Italia», si firma «Belacqua»; ne «Il Popolo di Roma», «Il Reporter», invece «Fra’ Dolcino». Per un elenco dettagliato della sua produzione giornalistica si rimanda a L. F. Leo, P. E. Acri, S. Scigliano, Archivio Vincenzo Tieri, cit., pp. 41-72. Di contro le messinscene dei suoi testi riscossero l’attenzione di critici come Renato Simoni, Silvio D’Amico e Ferdinando Palmieri, Giorgio Prosperi, Raoul Radice, oltre ai conterranei Alvaro e Répaci. Cfr. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 127; E. Cumino, Gli scrittori di Corigliano Calabro, cit., p. 338. Particolare il confronto polemico avuto su «Il Tempo» con Adriano Tilgher – in quegli anni tra i critici più accreditati, cui si riconobbe la “scoperta” del genio di Pirandello – per le critiche a La logica di Shylock, dopo il fortunato debutto al teatro Sannazaro di Napoli, con la messinscena di De Sanctis. Cfr. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 32. Sulla relazione fra Tieri e la carta stampata si rimanda altresì ad Alfredo Barbina, Critici 234 carlo fanelli nella scrittura teatrale, con la commedia in tre atti La logica di Shylock, che debutta al Quirino di Roma e viene poi portata in scena da Alfredo De Sanctis al Teatro Sannazaro di Napoli nell’aprile dell’anno successivo, e successivamente in tournèe in diversi teatri nazionali11. Pur non avendo un seguito immediato, l’attività drammaturgica di Tieri riprese, assumendo una periodicità più serrata, dopo un decennio (trascorso occupandosi di critica teatrale) con Taide, la commedia più fortunata dell’autore, portata in scena a Milano dalla compagnia Lupi-Borboni, il 29 marzo 193212. Oltre a rappresentare il primo vero successo del drammaturgo, questa commedia sancisce, con il carattere di Giovanna, la protagonista dell’opera, l’esordio della galleria dei suoi personaggi femminili (Giulia in La battaglia del Trasimeno, Barbara in L’Ape regina, Marta in Il principe di Upsor), tratteggiati secondo il «cliché della femmina malefica»: «osservati, per lo più, con occhio indiscreto e, non di rado, crudele»13, tanto da procurare all’autore l’appellativo di misogino14; insieme a questo, le sue commedie rivelano l’inclinazione verso «intrighi romanzeschi, ricchi d’effetto per la platea, ma spesso artificiosi»15, nei quali è sempre protagonista la media borghesia, cinica, avida, edonistica e ritratta nella sua deriva morale. teatrali calabresi fra Ottocento e Novecento, in Vincenza Costantino e Carlo Fanelli (a cura di), Teatro in Calabria 1870-1970 Drammaturgia Repertori Compagnie, Monteleone, Vibo Valentia 2003, pp. 299-300. 11. Cfr. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., pp. 31-32; Enciclopedia dello Spettacolo, cit., vol. IX, col. 919. 12. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., pp. 31-32. La commedia fu riproposta nel 1971, nella riduzione di Maurizio Costanzo e la regia di Mario Ferrero e il titolo Un amore impossibile, con interpreti il figlio Aroldo e Giuliana Lojodice. Ivi, p. 36. 13. Enciclopedia dello Spettacolo, cit., vol. IX, col. 919. 14. Come ebbe a sostenere in un’intervista per «Il Mattino Illustrato», del 19 luglio 1942, cit., in E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 188: «Ero molto giovane, mi piaceva andare controcorrente, pensavo già a un teatro irritante: a quel teatro irritante del quale diedi alcuni saggi dieci anni dopo, quando nel ’32 ricominciai a scrivere, abbandonando la professione di critico drammatico. In realtà alcune delle mie prime commedie furono irritanti solo nei personaggi femminili, il che mi procurò qualifica di misogino, mentre Dio solo sa quanto io apprezzassi e ami la donna; ma insomma non mi dispiaceva di ferire e disorientare il pubblico in alcuni dei suoi giudizi più radicati e tradizionali nel modo di considerare la donna e le sue virtù e i suoi difetti» (nostri i corsivi). Il termine irritante appare qui, a nostro parere, in accezione pirandelliana. Lo stesso scrittore, nel Primo intermezzo corale della sua commedia metateatrale Ciascuno a suo modo, scriveva: «È ormai noto a tutti che ogni fin d’atto delle irritanti commedie di Pirandello debbano avvenire discussioni e contrasti […] Potranno così fumare, se vogliono, anche gli irritati, e ridurranno in fumo la loro irritazione» (nostri i corsivi). Cfr. Luigi Pirandello, Trilogia. Sei personaggi in cerca d’autore, Ciascuno a suo modo, Questa sera si recita a soggetto, a c. di Giovanna Tomasello, Feltrinelli, Milano 1993, p. 152. 15. Enciclopedia dello Spettacolo, cit., vol. IX, col. 919. vincenzo tieri 235 Nel 1934 Tieri si discostò dalle sue prospezioni nella controversa psicologia femminile, per avvicinarsi, in modo originale, al genere giallo, con La Paura, una commedia che riscosse grande successo, grazie all’interpretazione di Romano Calò, attore di punta in questo genere teatrale e la costruzione scenica, influenzata dal metateatro pirandelliano, che inglobava nell’azione palcoscenico e platea. Giusto una parentesi questa, poiché l’anno successivo, con Le Donne, Tieri ritornò a contemplare la complessità femminile, ma con minore successo: «sia per l’inerzia dei personaggi femminili, sia per l’assoluta impassibilità sentimentale degli altri, quasi si aggirassero indecisi entro un museo anatomico»16. Tuttavia, non mancandogli il mestiere e la facilità di scrittura, nella stagione ’37-’38, portò a termine altre cinque nuove commedie17: «Un campionario di toni e interessi che andavano dal “giallo-rosa” Si chiude l’albergo Belle Maison al patetico Processo a porte chiuse (un primo atto gradevolmente ironico e gli altri due inutilmente lagrimevoli), dal crepuscolare Domani parte mia moglie (lavoro peraltro di scarso impegno) al “quasi giallo” Questi poveri amanti (il solito “triangolo”, a tratti riscattato dall’abile dialogare). Interno 14 (storia di un gruppo di persone che vive in un piccolo e modesto appartamento) mise scopertamente a nudo la predilezione di Tieri per l’intreccio complicato, e, in uno, la sua ambizione di portare sulla scena il mondo “com’è”»18. Processo a porte chiuse fu parte del repertorio del Carro di Tespi19 del 1938 e portata in scena dalla compagnia Donadio-Bonini, anche a Cosenza alla presenza dell’autore, il 27 e 28 agosto dello stesso anno. L’evento è ricordato, in modo dettagliato, in «Cronaca di Calabria», del 1 settembre ’38. A questa produzione seguirono altre opere dagli esiti incostanti. Questi figli (1939) confermò la sua immagine di autore “di mestiere”, tuttavia ingabbiato nella trama e nel linguaggio stucchevole. La sua scrittura appare deferente verso i gusti dell’italiano medio che vi scorgeva idealizzata la vita quotidiana del suo ceto e alla quale attendeva con disimpegno. Tale forma drammatica, detta «dei telefoni bianchi», rappresenta una «occupazione 16. Ibidem. 17. «Ci sono commedie che vivono e maturando dentro di me alcuni anni prima di venire alla luce. Per questo, poi, sono scrittore rapido. Non improvviso, non so improvvisare. Debbo conoscere, prima di mettermi a scrivere, molto bene i miei personaggi, la loro origine, il loro carattere, le loro avventure anche quelle che non avranno mai eco e parte nella mia commedia; e poi i casi a cui sono legati», così dice di sé nell’intervista al quotidiano «Il Mattino Illustrato», cit., in E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 189. 18. Enciclopedia dello Spettacolo, cit., vol. IX, col. 920. 19. Cfr. Carlo Fanelli, La cultura teatrale a Cosenza fra Ottocento e Novecento, in V. Costantino e C. Fanelli (a cura di), Teatro in Calabria, cit., p. 117; Idem, Teatro e fascismo a Cosenza, Abramo, Catanzaro 2006, pp. 60-62. 236 carlo fanelli del tempo e dello spazio del mondo attraverso un discorrere che può essere anche fatuo ma che proprio per questo rappresenta la leggerezza dell’essere e il suo breve viaggio tra gli uomini»20. Altre prove videro Tieri muoversi su vari generi: dal «fregolismo» di La parte del marito (1940), in cui si segnala la grande interpretazione di Lorenzo Cimara; Figaro ii (1941), velato di «dismesso scetticismo»; il malinconico Barone di Gragnano (1942), con la superlativa interpretazione di Ruggero Ruggeri21; meglio sembrò Non tradire (1943) testo vicino alle esperienze pirandelliane, per scendere nuovamente di tono, dopo sette anni di assenza dalle scene, con Maus (1950)22. 20. Franca Angelini, Teatro e spettacolo nel primo Novecento, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 62. 21. Ruggero Ruggeri (Fano, 14 novembre 1871 – Milano, 20 luglio 1953) interpretò undici commedie di Tieri. La sua formazione d’attore avvenne con Ermete Novelli e Claudio Leigheb. Presto si impose come rappresentante della rottura con la recitazione istrionesca dell’Ottocento, cui contrappose sobrietà e stilizzazione del gesto. Caratteristica la sua voce profonda e dalle svariate coloriture. Celebre rimase la sua interpretazione di Aligi ne La figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio, di cui fu il primo interprete e che riprese trent’anni dopo al Teatro Argentina di Roma nella celebre messa in scena per la regia di Luigi Pirandello assistito da Guido Salvini, con Marta Abba, scene e costumi di Giorgio de Chirico. Eccelse nei tormentati personaggi di Pirandello (che lo definì «maestro d’ogni composto ardire») che aveva pensato per lui la parte del padre nei Sei personaggi in cerca d’autore, così come il protagonista di Enrico iv divenendo il principale interprete dei testi del drammaturgo agrigentino. Capocomico e primo attore accanto alle maggiori attrici del momento, come Marta Abba, Emma Gramatica, Lyda Borelli e Wanda Capodaglio, fu molto apprezzato anche all’estero. Per lo stesso attore Tieri progettò la scrittura di una commedia, come si legge in alcuni Appunti per una commedia, cit., in E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., pp.137-143, oltre a concepirne altre direttamente. L’esclusiva della messinscena di queste commedie non fu soltanto della compagnia di Ruggeri, infatti, anche altre compagini del tempo portarono in scena gli stessi lavori di Tieri. Il grande attore chiuse la sua carriera al teatro Morelli di Cosenza recitando, in omaggio a Tieri, Il barone di Gragnano. Cfr. E. Cumino, Gli scrittori di Corigliano, cit., p. 338-339. Oltre a Ruggeri, tra le attrici e gli attori di rilievo che recitarono in opere di Tieri ricordiamo: Ave Ninchi, Paola Borboni, Evi Maltagliati, Elsa Merlini, Renzo Ricci, Cesare Polacco, Giulio Donadio, Gino Cervi e Paolo Stoppa. Cfr. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 35; E. Cumino, Gli scrittori di Corigliano, cit., p. 338. Tra le compagnie che portarono in scena testi di Tieri, si ricordano, oltre a quella di Donadio (Carro di Tespi) e quella di Alfredo De Sanctis, la Lupi-Borboni, la Melato-Picasso, quella di Renzo Ricci, di Marcello Giorda, la Merlini-Cialente, la Compagnia dell’Eliseo, la Stival-Marchiò, Ferranti-Carini, Cimari-Maltagliati. 22. Tra le sue opere teatrali restate inedite, figura Donne fatali a Lagonegro, una commedia in due atti, «quasi un racconto giallo», probabilmente tra le ultime scritte (cit. in L. F. Leo, P. E. Acri, S. Scigliano, Archivio Vincenzo Tieri, cit., p. 35), interessante per: «i riferimenti alla tecnologia del dopoguerra (televisione, interurbane, coupé, ecc.)». Cfr. E. Cumino, Gli scrittori di Corigliano, cit., p. 343. vincenzo tieri 237 Fece anche qualche esperienza nel cinema. Scrisse la sceneggiatura di Una lampada alla finestra, film diretto da Gino Talamo, prodotto da Eugenio Sansoni per Europa Film e tratto dal testo teatrale di Gino Capriolo. La pellicola fu girata a Cinecittà nel 1939 e uscì nelle sale nel gennaio 1940. Tratto dalla sua commedia La sbarra è il film L’ispettore Vargas, sempre del 1940, primo lungometraggio di Giovanni Battista Franciolini. Più tardi, nel 1953, Tieri propose una sua riflessione sulla complessa relazione tra cinema e teatro, non celando la sua preferenza per l’arte teatrale: «il cinematografo è quasi sempre teatro fotografato […] Tale constatazione provocò il risentimento di alcuni cineasti e giornalisti cinematografici, i quali non mi risparmiarono né confutazioni, né attacchi. Eppure il cinematografo incominciò a chiamarsi “teatro muto”, il film era alle origini definito “azione drammatica cui manca la parola”, i luoghi di codesta azione erano e sono ancora detti “teatri di posa” […] tutto questo non toglie nulla all’assoluta identità dei due generi artistici dall’atto della creazione fino all’atto della ripresa o della rappresentazione. Segue poi un diverso modo di comunicare allo spettatore il lavoro compiuto, il teatro essendo sempre vivo e il cinema sempre riprodotto fotograficamente e fonicamente; ma questo è il lato secondario della questione, almeno dal punto di vista artistico, creativo»23. Nel 1946 iniziò la sua esperienza politica, come deputato del Fronte dell’Uomo Qualunque all’Assemblea Costituente. Fu eletto nel Collegio unico nazionale il 18 giugno 1946 (con convalida del 25 luglio) e partecipò ai lavori dell’Assemblea sino alla fine, il 31 gennaio del ’48. Fu chiamato a far parte della Commissione parlamentare per la vigilanza sulle radiodiffusioni. In aula intervenne una sola volta, il 26 marzo 1947, nella discussione generale sul Progetto di Costituzione con riferimento ai Rapporti civili24. Il suo discorso, imbevuto di pensiero qualunquista, si concentrò fondamentalmente sulla libertà del cittadino – materia degli articoli della Costituzione citati – in vari ambiti sociali e culturali, messa a suo giudizio 23. Si tratta di alcuni passaggi di un articolo pubblicato ne «L’eco del cinema» del 28 febbraio 1953, cit., anche in E. Paura Quel grande amore per il teatro, cit., pp. 147-150. Su soggetti di Tieri furono realizzati film anche per la televisione. Di Chirurgia estetica (1940) esistono due versioni: la prima di Guglielmo Morandi, del 1958 (andata in onda il 29 agosto), col figlio Aroldo, Ilaria Occhini e Antonio Battistella; la seconda di Claudio Fino, del 1969, con Nando Gazzolo, Emma Danieli e Lida Ferro. Servi e padroni (1943), film di Mario Lanfranchi, con Franco Scandurra, Franco Volpi e Laura Carli, del 1961. Per il profilo biografico e la filmografia di Morandi si rimanda a: Enciclopedia dello Spettacolo, cit., vol. VII, coll. 819-820. 24. Assemblea Costituente, LXXVI, Seduta del 26 marzo 1947, pp. 2490-2494. Per le notizie sull’attività parlamentare e gli incarichi cfr. la scheda “Vincenzo Tieri” nel portale storico della Camera dei Deputati, http://legislature.camera.it. 238 carlo fanelli in discussione da quello che egli definisce «non già il Governo del popolo, la democrazia, sibbene il Governo contro il popolo, vale a dire un Governo che nemmeno l’arbitraria terminologia del visconte di Cormenin, inventore dello strano vocabolo “governocrazia”, riuscirebbe in qualche modo a battezzare». Il deputato qualunquista si chiede «di quali e di quante forze politiche ha tenuto conto il progetto in esame» e risponde: «Di quelle al potere evidentemente. Anzi di quella che, fra le forze al potere, domina tutta la vita legislativa italiana nel momento attuale. È una Costituzione di parte, dunque, non è una Costituzione nel senso classico della parola». Il Fronte dell’Uomo Qualunque (Fuq) era nato come movimento (da qui i sostantivi «qualunquismo» e «qualunquista»25), per poi divenire un partito politico sorto nell’ambito dell’omonimo giornale26, fondato a Roma il 27 dicembre del 1944 dal giornalista e commediografo Guglielmo Giannini27. Il movimento portò avanti istanze liberal-conservatrici, anticomuniste, populiste legate all’antipolitica. Si pose in polemica col fascismo ma anche con i partiti antifascisti del Comitato di liberazione nazionale. L’esigenza della nascita di un partito di massa si generò con l’insediamento del governo presieduto da Ferruccio Parri, accusato da Giannini 25. Il termine «qualunquismo», rimasto nel lessico politico con accezione negativa, definisce atteggiamenti di sfiducia nelle istituzioni, di diffidenza e ostilità nei confronti della politica e del sistema partitico. In realtà il movimento era tutt’altro che disinteressato alla vita politica, nonostante manifestasse sfiducia verso sistema partitocratico e scarso interesse nei confronti della politica, accusata di non prestare reale attenzione verso i problemi della gente, dell’uomo qualunque appunto. Nella cultura francese è presente un termine analogo: poujadisme. 26. Pur essendo un settimanale aveva il formato di un quotidiano, stampato su carta giallo-grigia, ebbe da subito grandi tirature. La testata presentava, inserito nella “U” maiuscola, l’immagine di un torchio che schiaccia un piccolo uomo, a rappresentare la classe politica che opprime “l’uomo qualunque” e in basso, infine, una vignetta raffigurante una figura misera che scrive su un muro «abbasso tutti». Le vespe era una delle rubriche più seguite, i cui contenuti vertevano su pettegolezzi riguardanti politici e intellettuali, costruita su una satira pungente e irriverente. Il progetto di Giannini era di dare voce all’uomo della strada, attraverso una linea editoriale contraria al fascismo, al comunismo, ma anche ai cosiddetti «antifascisti di professione», accostati al regime per l’accento «epurazionista» dei primi anni del dopoguerra. Per tale posizione, il giornale fu accusato di «cripto-fascismo» e ne fu chiesta la chiusura. Tuttavia il giornale continuò le sue pubblicazioni fino alla morte di Giannini, avvenuta nel 1960. 27. L’attività teatrale di Giannini ebbe inizio nei primi anni Venti. Tra i suoi testi sono da ricordare: Parole d’onore (1923), Il castello di bronzo (1931), La casa stregata (1934), Mani in alto e Supergiallo (1936) e Il sole a scacchi (1940). Fu direttore della rivista cinematografica «Kines» e nel 1943 girò quattro film in un anno, dei quali ebbero però ampio accesso alle sale soltanto Grattacieli e Quattro ragazze sognano, entrambi con Paolo Stoppa come protagonista. vincenzo tieri 239 di inadeguatezza. L’8 agosto 1945 affermò di volere accogliere il «grido di dolore» che si levava da più parti d’Italia, facendo suo il famoso passaggio del discorso di Vittorio Emanuele II, al Parlamento di Torino, il 10 gennaio 1859. Il risalto e relativo consenso suscitato da questa posizione, condusse alla formalizzazione del programma del futuro Fronte qualunquista, pubblicato il 7 novembre ’45, e come ulteriore conseguenza la nascita spontanea dei «nuclei qualunquisti», gruppi spontanei costituiti da «Amici dell’uomo qualunque», cui seguì la nascita di sedi del movimento sparse per tutta la penisola. Contemporaneamente Giannini cercò di convogliare quest’adesione popolare nel Partito liberale italiano, provocando, tuttavia, l’opposizione di Benedetto Croce e il conseguente fallimento del progetto. A seguito del rifiuto di Croce, Giannini decise di fondare il suo partito, il cui primo congresso si tenne a Roma tra il 16 e il 19 febbraio 1946, suscitando aspre critiche da parte del Partito comunista italiano, che definì l’operazione come un tentativo di riedificazione del Partito nazionale fascista. Basando la sua concezione dello Stato in funzione meramente amministrativa, tecnica, e non politica, il Fronte dell’Uomo qualunque fissò i punti cardine della sua propaganda politica sulla lotta al comunismo e al capitalismo, la limitazione della presenza dello Stato nell’ambito sociale, la propugnazione del liberismo economico, la limitazione del prelievo fiscale. Nello statuto del partito erano previsti un comitato nazionale, un comitato direttivo e una giunta esecutiva ma, di fatto, fu il solo Giannini a dirigerne la politica. A seguito del congresso Giannini aveva costituito una giunta esecutiva che comprendeva alcuni «pionieri» come Vincenzo Tieri28. Quest’ultimo prese il posto di Armando Fresa29 nella carica di segretario generale, il 27 giugno 194630, in seno ad una riorganizzazione 28. Sandro Setta, L’uomo qualunque 1944-1948, Laterza, Bari 2005 (i ed. 1975), p. 164. Si veda anche Guglielmo Giannini, La grande avventura dell’Uomo qualunque raccontata da G. Giannini, in Enciclopedia del Centenario. Contributo alla storia politica, economica, letteraria e artistica dell’Italia meridionale nei primi cento anni di vita nazionale, a cura di Giovanni Scognamiglio, II, Napoli, D’Agostino 1960; Carlo M. Lomartire, Il qualunquista. Guglielmo Giannini e l’antipolitica, Mondadori, Milano 2008; M. Cocco, Qualunquismo, una storia politica e culturale dell’uomo qualunque, Le Monnier, Firenze 2018. Per la consultazione del giornale: Biblioteca Nazionale Centrale di Roma: «L’uomo Qualunque» (raccolta digitale dal 1945 al 1952); Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea: «L’Uomo Qualunque» (dal 1944 al 1949). 29. Anche Fresa era calabrese, era un industriale edile nativo di Palmi. Cfr. Antonio Costabile, Democrazia Qualunquismo Clientelismo Cosenza 1943-1948, Effesette, Rende 1989, p. 202. 30. Nel corso di una sua visita a Cosenza, nell’aprile ’46, Tieri, intervistato dal «Corriere del Sud», rispondendo alla domanda dell’intervistatore, su come fosse «da interpretarsi 240 carlo fanelli del partito che sfociò in una polemica di Fresa contro Giannini e Tieri, che decretò l’esclusione di Fresa dal partito, accusato da Giannini di: «infantile e irragionevole gelosia» nei confronti dello stesso Tieri31. Beghe personali a parte, la riorganizzazione del Fronte tese, oltre che a contrastare il cosiddetto «professionismo politico», all’estromissione di neofascisti e legittimisti. Scrivendo a Tieri, così Giannini argomentò tali posizioni: «Per effetto di una sedicente interpretazione democratica del nostro statuto qualsiasi malintenzionato senza seguito né credito può farsi eleggere di sorpresa capo-centro di una città di importanza europea come Milano»32. Alle amministrative del 1946, il Fronte di Giannini ottenne grandi consensi, soprattutto nel Centro-Sud, risultando il secondo partito dopo la Democrazia cristiana. Alle elezioni nazionali per l’Assemblea Costituente, il Fronte ottenne il 5,3% delle preferenze, fu il quinto partito nazionale mandando trenta deputati all’Assemblea costituente. Il 15 dicembre dello stesso anno adottò il nuovo nome di Fronte liberale democratico dell’Uomo qualunque. Il secondo congresso nazionale si tenne nel settembre del ’47. Giannini ne auspicava la convocazione già a marzo, Tieri obbiettò con più di un argomento: «necessità del tesseramento e dei congressi provinciali, elezioni siciliane, impossibilità di svolgere un congresso nel periodo estivo»33. Il congresso si tenne, quindi, a settembre: i primi tre giorni del mese un precongresso, voluto da Giannini e Tieri, si rese necessario per placare le polemiche interne evitando, altresì, di offrire all’esterno un’immagine di debolezza prima del congresso nazionale. Gli esiti dei lavori furono, in un primo momento, tenuti segreti da Giannini il quale decise, poi, di pubblicarli su «L’uomo qualunque» del 10 settembre, rendendo pubblici i suoi attacchi a dissidenti interni come Patrissi, Fresa e Patricolo34. l’agnosticismo del partito qualunquista sul problema istituzionale», ebbe a dire: «Per noi qualunquisti non ha alcuna importanza che il capo dello Stato si chiami re, si chiami presidente o, come dice scherzosamente Giannini, si chiami Gaetano. Per noi ha importanza la Costituzione del nuovo Stato che vogliamo creare […] Il nostro partito giudica suo dovere lasciare ai suoi iscritti la più ampia libertà di votare per la monarchia o per la repubblica […] L’importante per noi oggi è sapere come vogliamo essere governati e non come si debba chiamare colui che ci governerà». Ivi, pp. 212-213. Il settimanale politico «Rinascita Cosentina», il cui primo numero fu pubblicato il 10 dicembre 1946 ed ebbe come redattore responsabile Silvio Rendani, fu l’«organo ufficiale per gli atti del centro provinciale cosentino del Fronte dell’Uomo qualunque». Ivi, p. 217. 31. S. Setta, L’uomo qualunque, cit., p. 232. 32. Ivi, p. 167. 33. Ivi, p. 236. 34. È giunta l’ora di tagliar corto, resoconto stenografico del precongresso, 10 settembre 1947. S. Setta, L’uomo qualunque, cit., pp. 237-238. vincenzo tieri 241 Alcide De Gasperi, che successe a Parri alla guida del governo, attaccò duramente, definendolo filofascista, il partito di Giannini. Tuttavia quest’ultimo assunse un atteggiamento più conciliante verso De Gasperi. Determinante fu l’appoggio dei qualunquisti alla formazione del primo governo De Gasperi, nonostante la Dc non vedesse di buon occhio l’alleanza con Giannini, il quale veniva considerato il «servo sciocco»35, pronto a concedere tutto senza ricevere nulla in cambio. Tuttavia, De Gasperi manifestò un’apertura nei confronti dei qualunquisti, suscitando l’opposizione di socialdemocratici e repubblicani; tant’è che l’ingresso nel governo di queste due compagini scongiurò l’avvicinamento definitivo tra qualunquisti e democristiani36. Nel Fronte, l’accostamento con la Dc decretò il crollo del consenso e l’abbandono di alcuni sostenitori. Giannini tentò poi un’alleanza con la Democrazia cristiana e il Movimento sociale italiano, nonché un avvicinamento a Togliatti, contatti che decretarono l’ulteriore crollo di consensi verso il leader e il suo partito, il quale si vide costretto a prendere le distanze dal Pci, per allearsi col Pli. Così è descritta la congiuntura nel citato studio di Sandro Setta: «Giorno dopo giorno si susseguivano sulla stampa qualunquista gli attacchi alle “invereconde voglie di sconfinato predominio del Partito democristiano”. “Io non posso più continuare ad appoggiare un governo – scriveva Giannini sull’“Uomo qualunque” – espressione d’un partito ch’è venuto meno all’impegno assunto con noi di non abusare del potere”, e Tieri gli faceva eco sul “Buonsenso” ribadendo che il qualunquismo doveva “potere stare anche esso al potere per influire direttamente sull’azione governativa italiana secondo il suo programma”37 […] Ma mentre Giannini si ostinava nel voler abbattere il governo e Tieri avvertiva: “né vale la continua, indiretta, ipocrita azione lusingatrice dei corridoi di Montecitorio ad addormentarci: siamo resistenti agli oppiacei e ai narcotici”38, il Fronte dell’Uomo Qualunque era investito da una crisi terribile»39. 35. V. Tieri, Collaboratori, non servi sciocchi, «Il Buonsenso», 19 ottobre 1947. Della testata Tieri era redattore-capo, stesso incarico aveva assunto durante la guerra al «Popolo di Roma», S. Setta, L’uomo qualunque…, p. 305. 36. De Gasperi ha convocato Tieri per mercanteggiare Governo e Campidoglio, «l’Unità», 28 ottobre 1947. Cfr. S. Setta, L’uomo qualunque…, cit., p. 326. 37. Nello stesso articolo Tieri proponeva alcune considerazioni sul Vaticano: «dal cui atteggiamento recentissimo dipende in gran parte la scomodità della nostra posizione». Secondo il suo parere il Vaticano: «fa malissimo a puntare su una carta sola, molto debole appunto per la sua forza fittizia, e prossima a spappolarsi con danno grave della Chiesa», V. Tieri, Collaboratori, non servi sciocchi…, cit. 38. V. Tieri, Tristo orgoglio, «Il Buonsenso», 25 ottobre 1947. 39. S. Setta, L’uomo qualunque…, cit., p. 260. 242 carlo fanelli Alle complicazioni politiche, se ne aggiunsero altre di carattere finanziario: «Il fronte era soffocato dai debiti. Solo per il secondo congresso nazionale, organizzato da Tieri in maniera grandiosa, c’erano da pagare 21 milioni»40. Il 10 gennaio 1948 Giannini condusse il partito nel cosiddetto Blocco nazionale, una coalizione elettorale di centrodestra (in vista delle elezioni politiche del 18 aprile dello stesso anno) formata dal Pli e dall’Unione per la ricostruzione nazionale di Nitti. Ciò scatenò all’interno del Fronte un ulteriore dissenso, nonché le dimissioni del segretario generale Vincenzo Tieri, mentre altri fuoriusciti confluirono nel Partito nazionale monarchico e nel neonato Movimento sociale italiano. Dimessosi dalle cariche ma non dal partito, Tieri fondò il Partito qualunquista italiano, con un proprio giornale: «Il Mattino di Roma»41. Con questa compagine si presentò alle elezioni amministrative romane del 12 ottobre 1947, ma il risultato elettorale fu negativo: La Destra, la lista raccolta da Tieri in modo improvvisato – accusato da Giannini di avere ricevuto finanziamenti dagli industriali dello zucchero, nel corso di un comizio all’Adriano di Roma, il 23 ottobre 194942 – ebbe scarso consenso elettorale. Anche nelle elezioni del 18 aprile 1948 La Destra ottenne ben pochi consensi e in Calabria «solo poche centinaia di voti»43. Terminata la sua esperienza politica, Tieri riprese l’attività teatrale e culturale. Al biennio 1955-’57 risale la conduzione del Piccolo teatro di Palermo44, dove «istituì dibattiti culturali, una scuola di recitazione dove insegnò storia del teatro e, inoltre, una giovane compagnia dialettale siciliana che mise, tra l’altro, in scena una commedia di Pirandello e Martoglio: ’A vilanza (la bilancia)»45. Delle sue regie teatrali si ricorda Il Ragionier Ventura di Giannini, il 9 febbraio 1947, al Mercadante di Napoli46. Il debutto, al Teatro Valle di Roma nel 1952, di le Donne brutte, commedia in tre atti di Achille Saitta, portata in scena dalla Borboni-Scelzo. Nello stesso anno: il 5 aprile La Corona di carta di Ezio D’Errico, al Mercadante di Napoli; l’8 maggio, all’Olimpia di 40. Ivi, p. 264. 41. Ivi, p. 267. 42. Ivi, p. 330. 43. «Il partito dell’UQ a Cosenza non riuscì più a riorganizzarsi e a riprendere l’iniziativa politica come prima, tanto che “Rinascita Cosentina” […] lo strumento d’azione essenziale del qualunquismo locale, nel corso del 1948 stampò solo tre numeri, in prossimità delle elezioni, mentre durante il 1947 aveva invece mantenuto costante la sua periodicità settimanale». A. Costabile, Democrazia Qualunquismo Clientelismo, cit., p. 266. 44. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 67. Per la teatrografia di Vincenzo Tieri si rimanda a: Enciclopedia dello spettacolo, cit., vol. IX, coll. 920-921. 45. E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., pp. 67-68. 46. Enciclopedia dello spettacolo, cit., vol. IX, col. 921. vincenzo tieri 243 Milano, Si accorciano le distanze di Attilio Carpi; il 19 maggio, nello stesso teatro milanese, Vigilia nuziale di Clotilde Masci47. A questa seguì la novità assoluta Emma B., vedova Giocasta, monologo di Alberto Savinio del 1949, messo in scena dalla Compagnia dei teatranti, diretta da Tieri. Nel 1954, con la Compagnia italiana di prosa del Teatro Goldoni di Roma, diresse la messinscena di Anni perduti, dramma in tre atti di Turi Vasile. Con la stessa compagnia portò in scena la versione italiana di Belisario Randone de Le roi est mort, commedia in tre atti di Louis Ducreux. Il 3 settembre 1956, al Piccolo Teatro di Palermo, rappresentò Svolta pericolosa di John Boynton Priestley; nello stesso teatro e in quell’anno, L’Ostaggio di G. Achille, L’Avvocato delle donne di Roux, Lo Zoo di vetro di Tennessee Williams; Boutique Lucien, via Veneto 202 di V. Cicerone, al Teatro Pirandello di Roma, il 20 dicembre 1957. L’8 febbraio 1958, curò la regia di Landru, un suo giallo in tre atti del ’50, per la messinscena romana della Compagnia Spettacoli Gialli48. Negli anni Cinquanta ricoprì la carica di presidente della Siad (Società italiana autori drammatici), fu presidente dell’Idi (Istituto del dramma italiano) e commissario della Sezione Dor49 della Siae (Società Italiana Autori e Editori). In tale ambito si ricorda il suo impegno per la tutela del repertorio del teatro italiano, in anni in cui tale aspetto della programmazione dei teatri nazionali appariva nuovamente attuale. In due occasioni leggiamo le sue posizioni in tale dibattito: al Convegno Libero del Teatro, promosso dalle riviste «Sipario» e «Il Dramma», tenutosi a Bologna il 27 e 28 giugno 1953, in qualità di presidente della Siad, Tieri insiste sulla definizione dei «caratteri nazionali» del teatro, citando Ferdinando Martini che già alla fine dell’Ottocento lamentava l’inesistenza del teatro italiano soffermandosi, poi, sull’espressione di una unità nazionale attraverso il teatro. Anche Tieri insiste sulla funzione culturale e civile del teatro, riproponendo gli argomenti di un dibattito che, in Italia, si era avviato già nel Settecento giungendo anche nel Parlamento dell’Italia unita, in seno al quale si discusse del teatro nazionale e di come sostenerne l’esistenza e lo sviluppo, anche in modo concorrenziale rispetto al resto dell’Europa, pure nel tentativo di esportare attori e testi promossi ad ambasciatori di una nuova immagine dell’Italia: «Se è vero che dove non esista una società 47. Ivi, vol. IX, col. 921. 48. Di cui si ebbe anche una «libera riduzione cinematografica e sceneggiatura di Leo Bomba, Dino de Rugeriis, Roberto Montero (regia di Montero)», L. F. Leo, P. E. Acri, S. Scigliano, Archivio Vincenzo Tieri, cit., p. 32. Enciclopedia dello spettacolo, cit., vol. IX, col. 921. 49. La Dor (opere drammatiche e radiotelevisive) è la sezione della Siae posta a tutela delle opere teatrali (prosa, produzioni per bambini, spettacolo di burattini e marionette, cabaret, circo-teatro) e teatro musicale (operette, musical, commedie musicali). 244 carlo fanelli nazionale la nascita di un teatro valido è molto difficile, anche vero è che il teatro, dal canto suo e per una delle sue particolari funzioni, favorisce e accelera la formazione di una tale società contribuendo notevolmente a una maggiore unità di linguaggio, di morale, di costume, di cultura. Ecco perché il teatro nazionale dev’essere costantemente aiutato e incoraggiato in ogni sua manifestazione, perfino come fatto sperimentale»50. In merito a tale questione, Tieri ripropose le sue argomentazioni in difesa del teatro italiano, utilizzando toni più diretti: «Gli autori italiani costituiscono una classe o categoria che non ha alcuna fortuna in Italia: la sfortuna degli autori italiani risale alla famosa sentenza di Ferdinando Martini secondo la quale il teatro italiano non esiste. È una sentenza infelice, che il teatro italiano, da Goldoni a Pirandello, ha sempre ampiamente smentita; ma è una sentenza che fa comodo a talune persone: agli importatori di commedie straniere, per esempio, a molti proprietari e gestori di teatri (importatori talvolta essi medesimi) ai capocomici comunque legati a importatori e proprietari a quegli attori che si dicono traduttori o riduttori di opere cadute in pubblico dominio, a quei registi che cercano i loro testi esclusivamente nei cimiteri o in plaghe lontane dal loro estro rumoroso e dispotico: tutta gente che, senza scrivere una sola battuta di commedia, non disdegna di incassare diritti d’autore […] Soltanto da noi il più mite e beninteso nazionalismo, per potere esercitare liberamente, ha bisogno di essere codificato. Ammettiamo, alla fine, che il teatro italiano non esista per davvero; e chiediamoci una buona volta: non esiste per mancanza di autori degni del nome o anche per mancanza d’altro? A questo punto gli autori italiani dovrebbero adottare la legge del taglione. Incominciando a proclamare che se in Italia mancano autori degni del nome, mancano capocomici, attori, registi, magari anche critici e addirittura spettatori degni del nome. Il teatro italiano non ha uomini, non ha nessuno: è un deserto. A popolare questo deserto vengano dunque stranieri da ogni parte del mondo e invadano l’Italia a comprare teatri, a condurre compagnie, a inscenare e recitare commedie, a scrivere critiche sui giornali, a sedere nelle platee»51. Incisive le sue parole che oggi, a distanza di anni, ci restituiscono in modo vivace e chiaro, il contesto e gli argomenti di un dibattito che interessò il mondo teatrale italiano anche oltre quel periodo. Nel 1959, Tieri riprese l’attività giornalistica su «Telesera», come critico teatrale e televisivo e su «Il Tempo». Qui restò in attività, sino alla sua morte, sopraggiunta il 4 gennaio 1970. 50. Brano tratto dalla relazione tenuta da Tieri al Convegno Libero del Teatro (Bologna, 27-28 giugno 1953), cit., in E. Paura, Quel grande amore per il teatro, cit., p. 154. 51. Lettera indirizzata ad Alessandro De Stefani, direttore de «Il Roma», come presidente della Siad, in risposta a un suo articolo dal titolo L’agonia del teatro italiano, pubblicato il 3 febbraio 1952. Ivi, pp. 177-182. Indice Presentazione di Vittorio Cappelli e Paolo Palma Ringraziamenti 5 15 Biografie Luigi Ambrosi Antonio Capua 19 Christian Palmieri Francesco Caroleo 33 Vincenzo Antonio Tucci Benedetto Carratelli 43 Vittorio Cappelli Gennaro Cassiani 50 Michele William La Rocca Giacinto Froggio Francica 61 Vittorio De Marco Vito Giuseppe Galati 70 Oscar Greco Fausto Gullo 84 Christian Palmieri Roberto Lucifero 95 Giuseppe Masi Pietro Mancini 107 Paolo Palma Vincenzo Mazzei 123 Giuseppe Ferraro Enrico Molè 139 Giorgio Rebuffa Costantino Mortati 155 Enzo D’Agostino Filippo Murdaca 165 Oscar Greco Eugenio Musolino 171 Katia Massara Antonio Priolo 174 Lorenzo Coscarella Adolfo Quintieri 182 Maria Gabriella Rienzo Quinto Quintieri 192 Alessandro Massimo Nucara Gaetano Sardiello 203 Alfredo Focà Nicola Siles 210 Pantaleone Sergi Luigi Silipo 216 Carlo Fanelli Vincenzo Tieri 231 Giuseppe Macrì Domenico Tripepi 245 Vittorio Cappelli Alessandro Turco 249 Alfredo Focà Giuseppe Vilardi 259 Gli Autori 267 Atti parlamentari Discorsi in Aula Antonio Capua Francesco Caroleo Gennaro Cassiani Giacinto Froggio Francica Vito Giuseppe Galati Fausto Gullo Roberto Lucifero Pietro Mancini Vincenzo Mazzei Enrico Molè Costantino Mortati Antonio Priolo Adolfo Quintieri Quinto Quintieri Gaetano Sardiello Luigi Silipo Vincenzo Tieri Domenico Tripepi Alessandro Turco 275 275 285 288 297 301 304 324 340 351 359 381 399 409 414 424 428 432 437 443 La Calabria nelle interpellanze e interrogazioni a risposta orale 449 La Calabria nelle interrogazioni a risposta scritta 507 La legge istitutiva dell’Opera Sila 533 Stampato in Italia nel mese di giugno 2020 da Rubbettino print per conto di Rubbettino Editore srl 88049 Soveria Mannelli (Catanzaro) www.rubbettinoprint.it Un biennio cruciale della storia nazionale osservato attraverso l’attività parlamentare dei calabresi alla Costituente: Capua, Caroleo, Carratelli, Cassiani, Froggio, Galati, Gullo, Lucifero, Mancini, Mazzei, Molè, Mortati, Murdaca, Musolino, Priolo, A. Quintieri, Q. Quintieri, Sardiello, Siles, Silipo, Tieri, Tripepi, Turco, Vilardi. Alle loro biografie seguono i discorsi in Aula su temi generali decisivi e, per la prima volta, tutti gli atti parlamentari di argomento calabrese. Ne scaturisce uno straordinario spaccato della Calabria del tempo con le sue mulattiere e i suoi tuguri, le condizioni di vita primitive della povera gente, i signori del latifondo, l’occupazione delle terre, i tumulti del pane. E malaria, tubercolosi, ferrovie insicure, treni fatiscenti, reti idriche ed elettriche carenti. Un’umanità dolente, banco di prova della nuova democrazia repubblicana. Questo volume è stato realizzato con un finanziamento della Regione Calabria PAC 2014-2020, Annualità 2018, Azione 3, Tip. 3.2 nell’ambito del progetto Politica e cultura in Calabria dal 1861 ad oggi edizione fuori commercio vendita vietata