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Appunti leopardiani (19) 1, 2020 http://www.appuntileopardiani.cce.ufsc.br ISSN: 2179-6106 DIREZIONE Andréia Guerini - Universidade Federal de Santa Catarina/CNPq/Brasile CONDIRETTORI Fabiana Cacciapuoti - Biblioteca Nazionale di Napoli/Italia Gisele Batista da Silva - Universidade Federal de Rio de Janeiro/Brasile Andrea Ragusa - Universidade Nova de Lisboa/Portogallo COMITATO SCIENTIFICO Guido Baldassarri - Università degli Studi di Padova Novella Bellucci - Università di Roma La Sapienza Roberto Bertoni - Trinity College Dublin Alfredo Bosi - Universidade de São Paulo Anna Dolfi - Università degli Studi di Firenze José Expedito Passos Lima - Universidade Estadual do Ceará Marco Lucchesi - Universidade Federal do Rio de Janeiro Loreta Marcon Rita Marnoto – Universidade de Coimbra Laura Melosi - Università degli Studi di Macerata Wander Melo Miranda - Universidade Federal de Minas Gerais Franco Musarra - Katholieke Universiteit Leuven Sebastian Neumeister - Freie Universität Berlin Luciano Parisi - University of Exeter Fabio Pierangeli - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Gaspare Polizzi – Università di Pisa Mariagrazia Russo - Università degli Studi Internazionale di Roma Lucia Strappini - Università per Stranieri di Siena Emanuela Tandello - University of Oxford Maria Maria Antonietta Terzoli - Universität Basel Jean-Charles Vegliante - Université Sorbonne Nouvelle, Paris 3 Pamela Williams - University of Hull CONSIGLIO EDITORIALE Alessandra Aloisi - Università degli Studi di Pisa Sandra Bagno - Università degli Studi di Padova Stefano Biancu - Università Cattolica del Sacro Cuore/Milano Fabio Camilletti - University of Warwick Paola Cori - University of Birmingham Anna Palma - Universidade Federal de Minas Gerais Emanuela Cervato - Nottingham Trent University Floriana Di Ruzza - Università degli Studi di Sassari Luca La Pietra - Università per Stranieri di Siena Tânia Mara Moysés - Universidade Federal de Santa Catarina Karine Simoni - Universidade Federal de Santa Catarina Lucia Wataghin - Universidade de São Paulo DIRETTORI DI REDAZIONE Ingrid Bignardi - Universidade Federal de Santa Catarina Cristina Coriasso - Universidad Complutense Madrid Roberto Lauro - Università degli Studi di Macerata WEBDESIGNER Avelar Fortunato Indice/Índice Presentazione/Apresentação Presenza di Leopardi nella Stampa Brasiliana degli anni ’30 A Presença de Leopardi na imprensa brasileira dos anos ’30 – Andréia Guerini e Ingrid Bignardi 5 Saggi/Artigos Giacomo Leoaprdi, Poeta do Amor e da Morte – Francesco Stobbia 13 Preludios Leopardianos – Giulio Canella 15 O Verdadeiro Leopardi – Giulio Canella 21 Leopardi no Primeiro Centenario de sua Morte – Antonio Isoldi 31 No Centenário da Morte de Leopardi – Francesco di Lorenzo/Tradução de José Miccolis 33 Amores de Leopardi – Celso Vieira 37 Giacomo Leopardi no 1º Centenário de sua Morte – Leonardo Mascello 39 Giacomo Leopardi – Júlio Dantas 45 Cantos de Leopardi – Júlio Dantas 47 Giacomo Leopardi: Poeta da Dôr – Gomes Vaz de Carvalho 49 Giacomo Leopardi – Austregesilo de Athayde 52 Um Traductor de Leopardi – Heitor Lima 53 Poesia/Poesia A’ Memoria de Leopardi – Sylvio Julio 56 Traduzioni/Traduções O Infinito – Aloysio de Castro 59 O Infinito – Aloysio de Castro 60 Gracejo – Aloysio de Castro 61 A Si Mesmo – Aloysio de Castro 62 Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Presentazione/Apresentação p. 05-11 3 O Pardal Solitário – Aloysio de Castro 63 Parecer e Ser – Sem nome de Tradutor 66 Pensamentos de Leopardi – Sem nome de Tradutor 68 O Vendedor de Calendários – Sem nome de Tradutor 69 Perseverar – Sem nome de Tradutor 72 De Leopardi – Sem nome de Tradutor 73 Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Presentazione/Apresentação p. 05-11 4 Presentazione Presenza di Leopardi nella stampa brasiliana degli anni ‘30 Andréia Guerini Universidade Federal de Santa Catarina/CNPq Ingrid Bignardi Universidade Federal de Santa Catarina/Capes Questo numero presenta 12 articoli, 10 traduzioni ed un poema pubblicati sulla stampa brasiliana nel periodo compreso tra il 1931 e il 1939, e da continuità all’edizione n.16/2018 degli Appunti Leopardiani – dal titolo “Leopardi e stampa brasiliana: 1875-1915” – con la finalità di selezionare, raggruppare e divulgare i testi principali dedicati all’autore italiano che circolavano su giornali e riviste tra i secoli XIX e XX. Oltre ai 12 articoli, nella sezione “Traduzione”, presentiamo cinque poesie tradotte da Aloysio de Castro, cinque testi in prosa, quattro Pensieri (senza indicazione di traduttrici e traduttori), e un dialogo delle Operette morali, “Dialogo tra un venditore di almanacchi e di un passeggere”, tradotto da Celso Vieira. Nella sezione “Poesia”, abbiamo selezionato “À memória de Leopardi”, componimento poetico in omaggio all’autore italiano ad opera di Sylvio Julio pubblicato nel Diário de Notícias il 3 ottobre 1937. Il coacervo di testi qui selezionati discute aspetti relativi a vita e opere dello scrittore recanatese, mettendo in risalto il pessimismo leopardiano, la visione dell’opera in quanto riflesso di piaghe del corpo, ed anche le commemorazioni del primo centenario della morte dell’autore. Apre questa edizione il testo “Giacomo Leopardi: Poeta do Amor e da Morte” (“Giacomo Leopardi: Poeta d’Amore e Morte”) di Francesco Stobbia, testo pubblicato nel Diário da Tarde sia il 7 settembre 1931 che il 18 marzo 1935 con piccole modifiche. Si tratta del riassunto di una conferenza realizzata nel corso di letteratura italiana dell’Università del Paraná in cui Stobbia descrive Leopardi come “poeta pallido, massimo rappresentante del pessimismo il quale trova dentro di sé tutte le vanità” e ancora “l’ammirevole poeta di tutte le tristezze, il patriota miscredente della canzone “All’Italia”, di “Epistolario” dei “Pensieri” e dei “Canti”, tutte opere impresse dalla pittura viva di uno spirito malato e ribelle, espressione di un’epoca, di un ambiente e di una psiche patologica”. In seguito, nei “Preludi leopardiani”, pubblicati nel Jornal do Commercio il 25 maggio 1937, Giulio Canella sottolinea l’importanza dell’autore recanatese per la valorizzazione del patrimonio linguistico e letterario italiano, definendolo “l’eccellente classico (in senso ampio): il finissimo artista amante del “bello”; il sublime e penetrante Poeta; l’insigne filologo: insomma, il Maestro eccelso della letteratura”. In “O verdadeiro Leopardi” (“Il vero Leopardi”), pubblicato nel Jornal do Commercio l’11 giugno 1937, Canella prova a delineare gli aspetti principali della poetica leopardiana al fine di presentare la vera natura dell’autore e non quella “manipolata” dalla critica letteraria. Il testo è diviso in sei parti e, tra i vari argomenti, tratta del carattere pedagogico insito nella critica letteraria delle opere dell’autore, della forma spirituale nella sua poesia e di come questa derivi Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Presentazione/Apresentação, p. 05-11 dalla volontà di omaggiare Dante Alighieri; lo scritto compara il pessimismo di Fosccolo, Leopardi e Beethoven per poi evidenziare lo scetticismo, il nichilismo, il tedio, il carattere politico, l’insufficienza di una filosofia esasperante del recanatese. In “Leopardi: no primeiro centenário de sua morte” (“Leopardi: nel primo centenario della sua morte”), pubblicato in O Estado de São Paulo il 19 giugno 1937, Antonio Isoldi narra dei momenti finali della vita di Giacomo Leopardi, descrivendone i suoi ultimi canti e gli aspetti principali della sua poetica. In questo testo, Isoldi descrive Leopardi come il poeta dei due tempi – il secolo XVIII e XIX – per via dell’originalità del suo pensiero. “No centenário da morte de Leopardi” (“Nel centenário dalla morte di Leopardi”), traduzione ad opera di José Miccolis pubblicata in O Jornal il 23 luglio 1937, Francesco di Lorenzo elabora una minibiografia leopardiana intrecciando aspetti della vita dell’autore con quelli della sua opera. In “Amores de Leopardi” (“Amori di Leopardi”), pubblicato nel giornale A Noite (La Notte) il 2 luglio 1937 e poi ripubblicato in Jornal do Recife (Giornale di Recife) il 22 agosto 1937, Celso Vieira parla delle celebrazioni degli italiani residenti a Rio de Janeiro in onore della nascita e del centenario dalla morte del recanatese. Vieira definisce Leopardi come lo “sposo della morte” e, allo stesso tempo, “amante glorioso di un’Italia oppressa dallo straniero e mutilata dalle ambizioni”, un amante che non ha mai vissuto un amore corrisposto. Ne risalta il pessimismo e inserisce l’autore armonicamente al fianco di Schopenhauer e Byron per poi affermali come i tre “maggiori pessimisti europei”. Ne sottolinea aspetti della vita sentimentale, soffermandosi principalmente sugli amori non corrisposti; secondo Vieira, proprio questi hanno avuto un grande impatto sull’opera del recanatese. In “Giacomo Leopardi no 1º Centenário da sua morte” (“Giacomo Leopardi nel 1° Centenario dalla sua morte”), pubblicato sulla Revista Beira-Mar di Rio de Janeiro il 15 novembre 1937, Leonardo Mascello discute di aspetti relativi al primo centenario, risalta la biografia dell’autore con particolare attenzione alla vita familiare e al rapporto col padre, Monaldo. Mascello parla dell’autodidattismo di Giacomo, esaltandolo come “esempio sbalorditivo di precocità” e “giovane con ambizione, amore e patriottismo” per poi commentarne gli elementi musicali presenti nella sua lirica. Mascello evidenzia la grandezza poetica di Leopardi, vincolandola alle sofferenze del giovane poeta per poi chiederci di soffermarci su un aspetto della sua poesia, “melodiosità delicata, musicalità ammirevole”. I due testi di Júlio Dantas che seguono, “Giacomo Leopardi” e “Cantos de Leopardi” (“Canti di Leopardi”), pubblicati rispettivamente a gennaio e luglio del 1938, trattano delle commemorazioni del centenario della morte dello scrittore italiano presso l’Accademia delle Scienze di Lisbona, dando rilievo ad aspetti della poesia e della prosa del recanatese. Dantas si sofferma sul dolore sentito da Leopardi e su come questo si diffonda nella sua letteratura, compiendo il carattere estetico che Papini attribuisce ai poeti, evitare il piacere e vivere la morte. Nel testo “Cantos a Leopardi” (“Canti a Leopardi”), Dantas commenta con fare elogiativo la traduzione e la selezione di diciotto poesie dell’autore ad opera di Aloysio de Castro, pubblicate a Roma dall’Istituto Italo-brasiliano di Alta Cultura. Definisce la traduzione come magnifica quanto il prototesto, ne afferma una “intima consustanziazione del poeta traduttore con il poeta tradotto”, un metatesto “così perfetto che trae in inganno i nostri animi facendoci pensare che le poesie di Leopardi contenute nel volume fossero state originariamente pensate, sentite e scritte in portoghese”. Secondo Dantas, Aloysio de Castro non si è limitato a tradurre magistralmente Leopardi, “ha saputo selezionare, con elevato spirito critico, le poesie più rappresentative del suo genio”. In “Giacomo Leopardi. Poeta da dôr” (“Giacomo Leopardi. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Presentazione/Apresentação p. 05-11 6 Poeta del dolore”), testo pubblicato l’11 gennaio 1938 sul giornale A Noite, Gomes Vaz de Carvalho descrive la vita del recanatese come “travagliata e malinconica”, una vita che si è saputa manifestare “in versi immortali e sublimi”, una vita che è espressione di una delle “personalità più celebri e, allo stesso tempo, più infelici dei tempi moderni”. In “Giacomo Leopardi” (Diário da Noite, 15/02/1939), Austregesilo de Athayde ci lascia dei commenti interessanti sulla mancanza di riconoscimento del Leopardi nella sua epoca e afferma la sua opera come “traduzione dell’esperienza che Leopardi faceva della vita da lui vissuta”. Oltre a ciò, per Athayde, il recanatese era uno scrittore poliedrico; infatti, “Vivevano in lui tutte le anime del talento: il filologo, il filosofo, lo storico, il tragediografo/lo scrittore tragico, il poeta lirico e persino l’umorista.” Nel Jornal do Commercio del 9 aprile 1939, il testo “Um traductor de Leopardi” (“Un traduttore di Leopardi”) ad opera di Heitor Lima tesse le lodi delle traduzioni dei poemi leopardiani realizzate da Aloysio de Castro in commemorazione del primo centenario della morte dell’autore. Nella sezione “Poesia”, abbiamo selezionato la poesia de Sylvio Julio intitolata “A memória de Leopardi” (“A memoria di Leopardi”) pubblicata nel giornale Diário de Notícias il 3 ottobre 1937. Questa poesia omaggia il Leopardi poeta in virtù del quale Sylvio Julio afferma: “La tua vita è il tuo verso e il tuo verso è la tua vita”. Nella sezione “Traduzione”, la prima parte presenta traduzioni di poesia e la seconda traduzioni di testi in prosa. La prima consta di cinque traduzioni, tutte realizzate da Aloysio de Castro e pubblicate nel Jornal do Commercio in occasione del primo centenario della morte dell’autore di Recanati; tra queste, troviamo due versioni de “L’infinito” (24/11/1937 e 1/1/1937), “Scherzo”, “A se stesso” (1/1/1937) e, infine, “Passero Solitario” (13/06/1937). Anche la seconda parte, relativa alla prosa, comprende cinque traduzioni: la prima è del “Pensiero IC”, vincitrice del titolo “Parecer e ser” e pubblicata nella rivista O Tico-Tico: Jornal das crianças il 4 marzo 1931; la seconda è la traduzione dei “Pensieri di Leopardi” pubblicata nella rivista Fon-Fon: Semanario Alegre, Politico, Critico e Espusiante il 19 novembre 1932; la terza traduzione è quella del “Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere” ad opera di Celso Vieira pubblicata nel giornale A Noite il 3 gennaio 1935; la quarta è del “Pensiero XLV” pubblicata il 16 maggio 1935 sulla rivista O Malho; la quinta, infine, è la traduzione del “Pensiero XL, intitolata “De Leopardi” e pubblicata sulla rivista Beira-mar il 31 ottobbre 1936. Ad eccezione della traduzione di Celso Vieira, le traduzioni dei testi in prosa appaiono senza il nome della traduttrice o del traduttore. Concludendo, è opportuno indicare che la grafia originale è stata mantenuta, scevra dell’aggiornamento portoghese. Buona Lettura! Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Presentazione/Apresentação p. 05-11 7 Apresentação A Presença de Leopardi na imprensa brasileira dos anos de 1930 Andréia Guerini Universidade Federal de Santa Catarina/CNPq Ingrid Bignardi Universidade Federal de Santa Catarina/Capes Este número de Appunti Leopardiani apresenta 12 textos, 10 traduções e 1 poesia publicados na imprensa brasileira no período de 1931 a 1939 e dá continuidade à edição n. 16/2018 de Appunti Leopardiani, intitulada “Leopardi na imprensa brasileira: 1875-1915”, a fim de selecionar, agrupar e divulgar os principais textos dedicados ao autor italiano que circularam em jornais e revistas entre os séculos XIX e XX. Além dos 12 artigos, na seção “Poesia”, selecionamos a poesia “A memoria de Leopardi”, publicada no Diário de Notícias em 03 de outubro de 1937, de Sylvio Julio. Na seção “Tradução”, apresentamos cinco poemas traduzidos por Aloysio de Castro e cinco textos em prosa, quatro Pensamentos, sem indicação de tradutor, e um diálogo das Operette morali, “O vendedor de calendários”, traduzido por Celso Vieira. O conjunto de textos aqui selecionados discute aspectos da vida e da obra do escritor italiano, com destaque para o pessimismo leopardiano, a obra como reflexo das mazelas físicas e ainda as comemorações do primeiro centenário de morte do autor. Abre esta edição o texto “Giacomo Leopardi: Poeta do Amor e da Morte”, de Francesco Stobbia, publicado no Diario da Tarde em 07 de setembro de 1931 e republicado no mesmo jornal em 18 de março de 1935, com pequenas alterações. Trata-se de um resumo de uma palestra, realizada no curso de literatura italiana, na Universidade do Paraná. Nesse texto, Stobbia descreve Leopardi como um “poeta pálido, representante máximo do pessimismo que dentro de si encontra todas as vaidades” e sintetiza Leopardi como “o admiravel poeta de todas as tristezas, o patriota descrente da Canção “A’Italia”, que deixou nos “Pensamentos” no “Epistolario” nos “Poemas” a pintura viva dum espirito doente e rebelde, expressão da época, do ambiente e da individualidade psicopatológica”. Na sequência, em “Preludios leoaprdianos”, publicado no Jornal do Commercio, de 25 de maio de 1937, Giulio Canella destaca a importância de Leopardi para a valorização da língua e da literatura italiana, descrevendo-o como “.... o excellente clássico (no senso mais largo): o finissimo artista e amante do “bello”; o sublime e penetrante Poeta: o Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Presentazione/Apresentação, p. 05-11 philologo insigne: emfim, o excelso Mestre em literatura”. Em “O verdadeiro Leopardi”, publicado no Jornal do Commercio em 11 de junho de 1937, Giulio Canella busca delinear os principais aspectos da poética de Leopardi para apresentar “O verdadeiro Leopardi” e não aquele “manipulado” pela crítica literária. O texto é dividido em 6 partes e trata, entre outros, do caráter pedagógico da crítica literária nas obras de Leopardi, a forma espiritual na poesia de Leopardi e como essa deriva da relação com Dante Alighieri; a comparação entre o pessimismo de Foscolo, Leopardi e o de Beethoven; o ceticismo, o niilismo, o tédio e o caráter político; a filosofia desesperante e a “insuficiência filosófica” de Leopardi. Em “Leopardi: no primeiro centenário de sua morte”, texto publicado em O Estado de São Paulo, de 19 de junho de 1937, Antonio Isoldi narra os momentos finais da vida de Giacomo Leopardi, seus últimos cantos e os principais aspectos de sua obra poética. Nesse texto, Isoldi descreve Leopardi como o poeta de dois tempos, o século XVIII e XIX, por causa da originalidade do seu pensamento. “No centenário da morte de Leopardi”, texto traduzido por José Miccolis, publicado em O Jornal, de 23 de julho de 1937, Francesco di Lorenzo elabora uma minibiografia leopardiana entrelaçando aspectos da vida com os da obra. Em “Amores de Leopardi”, texto publicado inicialmente no jornal A Noite, em 02 de julho de 1937 e republicado no Jornal do Recife em 22 de agosto de 1937, Celso Vieira fala das celebrações pelos italianos, residentes no Rio de Janeiro, do nascimento e também do centenário da morte de Leopardi. Vieira descreve Leopardi como o “noivo da morte” e, ao mesmo tempo, “amante glorioso da Italia, oprimida pelo estrangeiro, mutilada pelas ambições”, que não teve amores correspondidos. Vieira também destaca o pessimismo leopardiano e o coloca ao lado de Schopenhauer e Byron, pois para Vieira, eles são “maiores pessimistas da raça branca”. Destaca ainda aspectos da vida amorosa de Leopardi, mais precisamente trata dos amores não correspondidos, que segundo ele, acabaram refletindo na obra do autor italiano. Em “Giacomo Leopardi no 1º Centenário da sua morte”, Leonardo Mascello, na Revista Beira-Mar, do Rio de Janeiro, publica, em 15 de novembro de 1937, um texto que discute o primeiro centenário da morte do escritor italiano, no qual aborda aspectos da biografia, com destaque para a vida familiar, especialmente a relação com pai, Monaldo. Mascello fala do autodidatismo de Giacomo, descrevendo-o como o “exemplo assombroso de precocidade” e define Leopardi como um jovem com “ambição, amor e patriotismo”, para então comentar os elementos musicais presentes na lírica leopardiana. Mascello destaca ainda a grandeza poética de Leopardi, vinculando-a com os sofrimentos do jovem poeta e chama atenção para um aspecto da sua poesia que é o da “melodia suave, musica admiravel”. Os dois textos seguintes, intitulados “Giacomo Leopardi” e “Cantos de Leopardi”, Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Presentazione/Apresentação p. 05-11 9 publicados respectivamente em 01 de janeiro de 1938 e 10 de julho de 1938, ambos de Júlio Dantas, tratam das comemorações do centenário de morte do escritor italiano na Academia de Ciências de Lisboa, destacando aspectos da poesia e da prosa. Dantas relaciona a dor sentida por Leopardi a como se difunde através da sua literatura, cumprindo o caráter estético que Papini atribuiu aos poetas, que é o de evitar o prazer e viver a morte. No texto “Cantos a Leopardi”, Dantas comenta, em tom elogioso, a tradução e a seleção de dezoito poesias de Leopardi feita por Aloysio de Castro, publicadas em Roma, pelo Instituto Ítalo-brasileiro de Alta Cultura. Diz ser a tradução tão primorosa quanto o texto “original” em que houve uma “intima consubstanciação do poeta traductor com o poeta traduzido, tão perfeita, que crea no nosso espirito a illusão de que as poesias de Leopardi, contidas no volume, foram originalmente pensadas, sentidas e escriptas em portuguez”. Para Dantas, Aloysio de Castro não se limitou a traduzir magistralmente Leopardi; soube selecionar, com elevado sentido critico, as poesias mais representativas do seu genio”. Em “Giacomo Leopardi. Poeta da dôr”, texto publicado em 11 de janeiro de 1938, no jornal A noite, Gomes Vaz de Carvalho descreve a vida de Leopardi como “atribulada e melancolica”, que soube se “expressar em versos immortaes e sublimes”, tendo sido uma das “personalidades mais celebres e ao mesmo tempo mais infelizes dos tempos modernos”. Em “Giacomo Leopardi”, texto publicado no Diario da Noite, em 15 de fevereiro de 1939, Austregesilo de Athayde comenta sobre o não reconhecimento de Leopardi em sua época e afirma que a obra leopardiana se define como uma “tradução da experiência que Leopardi tinha da vida por ele vivida”. Além disso, para Athayde, Leopardi era um escritor multifacetado, pois “Havia nelle todas as ganas do talento. O philologo, o philosopho, o historiador, o tragico, o lyrico e até o humorista.” Em “Um traductor de Leopardi”, Heitor Lima, no Jornal do Commercio, de 09 de abril de 1939, analisa em tom elogioso as traduções dos poemas leopardianos realizadas por Aloysio de Castro em comemoração ao primeiro centenário de morte do autor. Na seção “Poesia”, selecionamos a poesia de Sylvio Julio intitulada “A memoria de Leopardi, publicada no jornal Diário de Notícias em 03 de outubro de 1937. Essa poesia homenageia o Leopardi poeta, pois como Sylvio Julio diz: “Tua vida é teu verso” e “Teu verso é tua vida”. Na seção “Tradução”, a primeira parte apresenta traduções de poesia e a segunda textos em prosa. Na parte de tradução de poesia, temos 5 traduções, todas realizadas por Aloysio de Castro em ocasião do primeiro centenário da morte do autor de Recanati. São elas: “O Infinito”, publicado no O Jornal em 24 de novembro de 1931; uma outra versão da tradução de “O Infinito”, publicada no Jornal do Commercio em 01 de janeiro de 1937. “Gracejo” e “A si mesmo” também publicadas em Jornal do Commercio em 01 de janeiro de 1937 e o “Pardal Solitário” publicada em 13 de junho de 1937 no Jornal do Commercio. Na parte de tradução da prosa, Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Presentazione/Apresentação p. 05-11 10 também temos 5 traduções. A primeira é a do “Pensamento IC” que ganha o título “Parecer e Ser”, publicada na revista O Tico-Tico: Jornal das crianças, em 04 de março de 1931; a segunda tradução é do “Pensamento XLV”, intitulada “Pensamentos de Leopardi”, publicada na revista Fon-Fon: Semanario Alegre, Politico, Critico e Espusiante, em 19 de novembro de 1932; a terceira tradução é a do diálogo “O vendedor de calendários”, traduzido por Celso Vieira, publicada no jornal A Noite de 03 de janeiro de 1935; a quarta tradução é a do “Pensamento XLV”, publicada com o título de “Perseverar”, na revista O Malho de 16 de maio de 1935. Por fim, temos a tradução do “Pensamento XL”, intitulada “De Leopardi”, publicada na Revista Beira-mar em 31 de outubro de 1936. Com exceção da tradução de Celso Vieira, as demais traduções de textos em prosa não aparecem com o nome do tradutor. Por fim, cabe mencionar que mantivemos a grafia original, sem a atualização do português. Boa leitura! Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Presentazione/Apresentação p. 05-11 11 SAGGI/ARTIGOS Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 GIACOMO LEOAPRDI, POETA DO AMOR E DA MORTE1 Francesco Stobbia Quando Alfred de Musset nas suas admiraveis “Confessions d’un enfant du siécle” diz a um poeta: - Tu marchais en chantant dans ta route isolée -: Marchavas cantando em teu caminho, revela o destino dos poetas. Os poetas puros, como o lendario “bobo puro” de Wagner, egoístas forçados da própria arte, são aquelles que sofrem e espiam os pecados humanos. A qual preço o poeta paga a gloria, quando revela e descobre em toda a nudez os mortaes furtando-lhes segredos inconfessáveis! As palavras de Alfred de Musset quadram bem a Giacomo Leopardi quando só como o “Pastor” e o “Passaro solitário” – suas creações sublimes – espelha nos olhos azues a solidão imensa do “divino silencio verde”. Giacomo Leopardi como o “Passaro solitario” amava e buscava a natureza, única mulher que compreendeu e retribuiu seu amor. O grande poeta, pallido, doente, desforme, o “corcunda de Recanati”, escreveu os seus poemas immortaes em frente ao magnifico scenario que se descortina da torre dum antigo castello. O “Passaro solitario” é como um outro, “eu” que responde ao poeta infeliz quando, sequioso de amor, vae e aí busca das flores que sonhou, nos braços da mulher amada, nos salões fulgurantes de festas rodeado de honras” – Assim não é. Giacomo Leopardi sente em si toda a vaidade das vaidades – vanitas vanitatum – com o espirito nunca contente dum revoltado. E inveja pois o passaro solitario alegre, porque ignora o proprio destin. *** Giacomo Leopardi, nascido em Recanati no anno 1798 num palacio da idade media que parece um claustro, durante os 39 annos de sua vida encerrou em si toda a tragédia duma existência sem amor. Em seu grande coração, o amor não compreendido se transforma na mais triste misantropia que o incita, como Henri Heine e Arthur Schopenhauer, contra todos, contra tudo, até contra si mesmo. Elle amou as mulheres como a religião de quem sabe de não poder ser correspondido e compreendido nunca. Mas as divinizou em seus cantos. Sylvia, Nerina, Aspasia são vivas e reaes como as viu, sonhou e amou e represetan: tres diferentes faces do proteiforme prysma feminino. Sylvia, Teresa Fattorini, é uma pobre tecelã, filha dum cocheiro, que morreu tísica na alvorada da vida. Nerina, a fascinadora donzella das “Rimembranze” morreu tambem jovem e se chamava Maria Belardinelli. Aspasia não merecia os poemas do poeta porque ella foi “la donna cativa”, melindrosa, volúvel e impudente. Mas, pela lei dos contrates, Leopardi a enalteceu em versos sublimes antes de lhe arremessar violenta apostrophe na ode intitulada “Aspasia”. O amor em Giacomo Leopardi é a elevação ao mais puro supremo ideal. O poeta, no prefacio á primeira edição dos seus dez poemas de amor, assim caracteriza a mulher ideal. 1 In Diário da Tarde. Curitiba, 07 de setembro de 1931 e republicado em 18 de março de 1935. http://memoria.bn.br/DocReader/800074/36044. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Stobbia, p. 13-14 “A mulher é uma daquelas imagens de belleza e de virtude celestial e ineffavel que surgem muitas vezes nas fantasias do sonho ou nos pesadelos, quando somos apenas crianças, ou na quasi demência amorosa da mocidade. Afinal a mulher ideal é aquela que nunca achamos na realidade”. A paixão pelo amor alto, ideal inaccessivel é tanta que Leopardi apodera-se do profundo triste lemma de Leonardo de Vinci: “O mundo tem duas coisas belas: amor e morte”. “Eutanasia”, a bela morte tanto querida a quem sofre a ineffavel doença do amor não compreendido e desprezado, é a segunda Deusa, a outra amante terrível mas terna e meiga de Leopardi. Elle enaltece e consorcia o Amor com a Morte, como Ricardo Wagner na scena suprema de Tristano e Isolda. Como Dante fez no admirável episodio de “Paulo e Franscisca”, assim Leopardi faz vibrar de ineshaurivel paixão na dança infernal “que nunca para”, o Amor e a Morte unidos num único, eterno, inviolável amplexo. Nelle o amor connubia-se, anniquila-se na morte, entre véos voluptuosos e tinnidos lugubres, entre coroas sepulcraes e lamentoso sussurrar de salgueiros. A amarga filosofia de Leopardi clama perante o “triste destino das coisas creadas” e exige uma resposta aos três enigmas imperscrutáveis: “Como, Porque, Quando?” Mas o pessimismo philosophico que teve os seus tres máximos expoentes em Heine, Schopenhauer e Leopardi, e caracterizou o primeiro romanticismo do seculo XVIII deve transformar-se pouco ao pouco no dogma da força, da resistência e do combate á dôr humana. Novus nascitur ordo! A mocidade primavera de belleza e de esperança forte e alegre pelas conquistas magnificas do progresso e da sciencia comprehendeu e aceita mais o brado: “bela é la vita e Santo l’avvenir!” “A vida é bela e sagrado o seu provir!” Portanto Giacomo Leopardi o admiravel poeta de todas as tristezas, o patriota descrente da Canção “A’Italia”, deixou nos “Pensamentos” no “Epistolario” nos “Poemas” a pintura viva dum espirito doente e rebelde, expressão da época, do ambiente e da individualidade psicopatológica. *** Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Stobbia, p. 13-14 14 PRELUDIOS LEOPARDIANOS...2 Giulio Canella O presente artigo – preludio... ou quasi preambulo dum estudo critico cabalmente meticuloso das obras de Leopardi: o grande Poeta e letrado fallecido no dia 14 de junho de 1837 – poderia ser intitulado, talvez mais exatamente: “Historia verdadeira – Como um philosopho mallogrado chegou a interpretar justamente uma sentença do “Ecclesiaste”, e como julga a obra de Leopardi”. De qualquer maneira todos estes titulos constituem um conjunto integrante e propedeutico. Origene de Padua lia, agora, a Biblia, desejoso de approximar-se ainda daquelas fortes inexhauriveis de sabedoria. A “Sacra Biblia” e a “Imitação de Christo” representam as jornadas ou melhor os oasis em que o seu espirito repousa um pouco das continuas e fadigosas marchas da existencia. Lia, pois o livro do “Ecclesiastes” que apresenta Salomão como Mestre de sabedoria, quando se deteve ante a famosa máxima: “Vanitas vanitatum, et omnia vanitas...” Ficou longamente pensativo, repetindo machinalmente aquellas simples e ao mesmo tempo esotericas palavras: vanitas, com aquellas duas proposições coordenadas e pesadas, lhe appareciam tão mysteriosas, e o suggestionassem. Havia lido e ouvido esta frase muitas vezes e em muitas circumstancias, antes elle mesmo a havia intercalada, a proposito ou não, nos seus discursos: mas sem se sentir assim impressionado. Seja como fór, este não é aqui o logar para fazer uma divagação psychologica (esta será feita na segunda parte) sobre as causas e disposições de alma que determinaram tal impressão. Entretanto, a estranha e profundissima sentença penetrara-lhe na cabeça e elle não conseguia repellil-a, saltava de improviso, como para dizer-lhe: quero de ti uma solução razoada. Mas como dar á razão a precisa e apodictica demonstração? – Analysar... sem apriorismos metaphysicos. Assim resolveu fazer. Considerou, antes de tudo, a sentença no logar ocupado no complexo livro. Pois bem, o que lhe apparecia como expressão do mais desolador pessimismo, pouco a pouco assumiu uma luz diversa e tornou-se-lhe uma expressão equillibrada. Comprehendeu, então, que a mysteriosa máxima, com mais exactidão, devia ser formulada assim: TODAS AS ACÇÕES DO ESPIRITO QUE TÊM FINS PURAMENTE HUMANOS E ACABAM NA TERRA SÃO VAIDADES, PORQUE O FIM DO HOMEM NÃO E’ NESTE MUNDO. Assim concebida, o som das suas palavras não mais era terrivel, pessimista, arido e mysterioso. Mas não o satisfazia, porque parecia-lhe aprioristica, ou seja, resolvida sómente em sentido religioso, commum, isto é, não examinada através á especulação philosophica, sem analyse. A fé christã sussurrava a Origene: quem acredita que Deus existe e professa a sua lei, deve tambem admittir todas as consequencias derivadas da sua crença, das quaes a primeira é que o fim do homem não é deste mundo. A sua razão, porém, respondia: isso é verdade, mas as nossas crenas não devem ser infundadas, casuaes; e justamente porque representam a lei de “Colui che tutto move”, não se devem provar sómente com a fé, mas tambem com o raciocinio, antes devem ser consoantes á natureza humana, de tal forma, que se manifeste no animo nosso uma natural tendencia para agir conforme os principios aos quaes essa crença se subordina. Principios que, só forçando o curso natural das acções humanas, e alterando o significado dos testemunhos dados pela 2 In Jornal do Commercio. Rio http://memoria.bn.br/DocReader/364568_12/48461. de Janeiro, 25 de maio de 1937. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 15-20 consciencia, podem-se negar. Pois bem, se o preceito do fim ultimo do homem é lei divina, e, por isso, lei natural, e se esta lei é inevitável, claro se vê como, estudando e investigando a questão das nossas aspirações psychologicamente (ou seja, segundo o testemunho da consciencia individual e collectiva), no espirito humano se deve achar uma natural tendencia para estabelecer, como ultimo escopo das suas acções um premio ultramundano e superior a todas as possiveis satisfações mundanas. Existirá no homem esta natural tendencia? As deducções que se podem tirar da analyse psycho-physiologica e da especulação philosophica permittem dar uma affirmação favoravel, e accrescentar: se póde pareccer que não exista esta tendencia, isto é, devido ao facto que os principios de tal crença foram e vêm alterados por maus ou pouco escrupulosos, ou deficientes interpretes da natureza e da psyche humana. Origene percebeu ter penetrado em um campo demais vasto e difficil, e, então, como reacção á sua ousadia, e como fazem quase todos os pesquizadores quando se acham perante difficuldades (dirigem-se, isto é, aos factos e procuram na evidencia deste a explicação) procurou elle tambem nos factos particulares a explicação. Percorrendo com o pensamento as multiplices opportunidades da sua vida passada, pediu á sua consciencia se tinha jamais alcançado a satisfação completa dos seus desejos, das suas aspirações. Um facto singular relampejou então na sua mente: lembrou que nas suas excursões outomnaes, de estudante e de professor, tinha-lhe varias vezes acontecido pôr como méto o cume elevado duma montanha, e logo chegado a um certo ponto da subida, julgava tel-o alcançado: o via dominar no azul; imaginava o suave prazer de vaguear pelo espaço entre o céo e a terra; antegozava, emfim, aquelle conjunto de sentimentos que nos exalta quando achamos quasi isolados no espaço... levando vantagem ao mundo. E redobrava o aento. Estava para alcançar a cumeada... quando percebia que não era a mesma. Um outro cume, mais alto e mais longe, estava atraz disso. Parava um instante, enxugava o suor da fronte, e... avante, sempre por diante, não satisfeito, mas confiante. Mas nem o cimo que se via diante não era o procurado! Este o olhava de longe e o sol sorria na sua frente... Errava assim aqui e ali sem conseguir alcançar o fim. A comparação fez exclamar a Origene: por tanto é verdade?! Vanitas, vanitatum et omnia vanitas! A vida, que continuamente muda de aspecto, que, por um lado, distroe, e por outro constroe: a vida, semelhante áquellas cadeiazinhas semoventes com que os prestigiadores fazem pasmar a plebe, collocando de baixo o que perdem sobre, outro não é que vaidade. Mas este conceito – unilateral emquanto pessimista – não podia perseverar. Origene agitou-se e, passando novamente das considerações subjectivas e particulares ás objectivas, cedo delinearam-se claramente duas ordens oppostas de idéas, que o conduziram á solução do problema. De facto, duas são as escolas philosophicas que se combatem: o materialismo e o espiritualismo (tomados, entende-se, na mais larga accepção). Duas sómente porque, entre a admissão de um espirito immortal (susceptivel de premio) que informa o corpo, e o não admittir: não ha meio, não ha outro caminho ou admissão. Deixando as diversas distincções de escolas, as idéas humanas sobre este ponto podem-se dividir em duas grandes classes: o materialismo, segundo o qual a felicidade é uma palavra, ou sómente conseguivel na vida terrena; e o espiritualismo, que considera e sustenta que a verdadeira vida é a do espirito, sendo o corpo um instrumento que deve servir á maior perfeição do homem, ao maior merito do mesmo espirito. Portanto, a sentença do “Ecclesiaste” é verdadeira: tudo o que concerne à terra é vaidade. Ora bem, se por um lado, a vaidade do tudo, entendida materialmente, não póde fazer feliz a humanidade, por outro existe uma TENDENCIA NATURAL para acreditar na vida do além. Isso estabelecido, o caminho estava aberto no verdadeiro sentido que, sem duvida, o “Ecclesiaste” quis dar á sua sentença. Era sufficiente formular uma pergunta para concluir: - a crença na immortalidade (espiritualismo religioso) faz conseguir, faz alcançar ao homem a felicidade? – Não; a felicidade, no verdadeiro sentido da palavra a respeito da existencia neste Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 15-20 16 mundo, não é alcançavel, senão por breve hora... E’ porém conseguivel, e o homem o póde alcançar, um grau de perfeição a paz, a serenidade, a vista bilateral, a visão clara do tudo, a tranquilidade, em summa a força moral contida no espiritualismo religioso dominam a consciencia, isto é, o intellecto, a alma, o coração. (Dante, Manzoni e muitos grandes homens indicaram a estrada para conseguir esta felicidade). Na verdade, desde o começo, com o intuito e com a força da religião christã. Origene já havia concebido e definido a esoterica sentença. Agora, porém, a repetia com a força de Razão, da especulação philosophica: todas as acções do espirito que tem fins puramente humanos e acabam neste mundo são vaidades, porque o fim do homem não é na terra. Conhecer profundamente tal sentença quer, portanto, significar, por um lado, reconhecer Deus e crer na immortalidade; por isso elevação, superioridade e victoria sobre as soferencias e as perversidades, emfim via de perfeição humana; por outro, averiguação justa e precisa da realidade da vida. COMO ORIGENE CONSIDEROU A OBRA DE LEOPARDI Tem-se dito, ao inicio, que Origene lia AGORA a Biblia. Este adverbio usado como substantivo precisa de uma explicação. Agora, isto é, para dissipar os effeitos tristes da leitura, neste instante terminada, das obras de Leopardi. Devemos considerar que Origene de Padua (o philosopho mallogrado que jámais conseguiu alcançar o successo, o philosopho que... faltou em seguida a uma longa e triste odyssea) achava-se isolado completamente do mundo em uma cella de Reclusão de P... Summa desventura (para o innocente) achar-se no logar mais abjecto: onde o homem é só um numero e o casaco é mais pesado que a capa de chumbo dos famosos frades dantescos; onde aborrecimento, tedio, saudade, melancholia, pessimismo desesperação se fundem e podem tornar a existencia um continuo martyrio. Summa desventura: mas termino... logico da injustiça padecida. Infelicissimo, portanto, quem, nestas condições, não sabe achar o modo de accelerar o curso dos 14.400 minutos diários, assim como acontece a respeito dos... prazeres, e no somno. O nosso philosopho sabia, porem (como soube talvez o seu omonymo grego, mas este grande: o mestre, isto é, na antiga escola de Alexandria, que procurou estabelecer a comprehensão philosphica do christianismo e morreu em seguida aos soffrimentos durante a perseguição de Decio), sabia que o tempo e ainda a unica e verdadeira riqueza que fica ao innocente, pois cada minuto que passa vae ao encontro do triumpho da verdade e da justiça; e então, cumprindo um esforço supremo, preparou-se á árdua empresa de tirar ao tempo o seu rythmo lentissimo e monótono. Como Prometheo encadeado, mas differentemente deste, que foi parado depois de furtado a Jupter o fogo, Origene acertou com a empresa, porque possuia o fogo que Prometheo não conheceu, o fogo christão, isto é, havia a preparação moral-regiosaintellectual, á qual póde atingir para si e para amar... ainda os seus semelhantes. Entre os... passatempos, escolheo o estudo das obras de Leopardi, principalmente das “obrinhas moraes”. Conhecia, porém, o veneno subtil contido na idéa leopardiana, por isso propoz se exercitar o seu espirito mediante a leitura da “Imitação de Christo”. Sabia prudência! Póde parecer estranho e paradoxal que um philosopho, justamente emquanto... mallogrado, levante os olhos ao céo em vez de refugiar-se e satisfazer a sua “forma mentis”, na especulação philosophica; mas este acto torna-se uma consequencia logica e natural, quando se pensa que se a sciencia é uma grande força intellectual, porque fornece ao espirito humano um fundamento formidavel, o Christianismo, além de ser uma força intellectual, é a mais grande e poderosa força moral, é a vida, é o unico conforto nesta existencia. Se o homem tem o appetite de Sciencia, da cultura, sente ainda mais o desejo de conhecer Deus – CAUSA primeira não causada, MORTE IMMOTO – isto é, da necessidade religiosa. Esse conceito é demonstrado pelo facto de que a maioria dos homens que parecem incrédulos ou privados dessa necessidade, Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 15-20 17 procuram formulas que, mais ou menos, têm um nexo com o sentimento religioso: basta citar os positivistas partidários de Comte. Estas duas necessidades (ou aspirações ou desejos), justamente porque taes, não são inconciliaveis, e se a sciencia, em seguida as suas proprias conquistas e descobertas no campo physiologia, não se tivesse tornada orgulhosa e suberba e (fazendo abstracção do mundo intellectual e psycho), materialista e agnóstica, já se teriam reconciliadas e unidas numa sublime e fecunda harmonia. E’ logico, portanto, que Origene se servisse de tal leitura como precioso antidoto e como propedeutica. De facto, o havia muito confortado a seguinte passagem da “Imitação” (que pode parecer descabida, ou productora de depressão, de enfraquecimento para quem não sabe que coisa seja força moral): “Se tu levares de boa vontade a tua cruz, ella te levará e te conduzirá ao desejado fim, onde estará o fim do soffrimento, que não póde ser na terra. Se a levares de má vontade, ella se tornará um peso para ti e a tua situação se aggravará, pois de qualquer maneira é mistér que tu a leves. Se te disfizeres duma cruz, sem duvida acharás uma outra e talvez mais pesada. Quando chegares ao ponto em que a tribulação te seja suave e que o amor de Deus seja o que faça sentir o sabor, então pensa quanto foi um bem para ti, pois achaste o paraiso na terra.” Assim acautelado preparou-se a estudar a obra litero-philosophica-artistica de Leopardi. Ah! A’ medida que prosegua, um senso indefinido de oppressão o perturbava, como se tivesse o vasio na alma. Não era pessimismo; mas o effeito benefico da leitura da “Imitação de Christo” se afastava. Acabado o estudo, feita a analyse, e depois de ter longamente meditado, fez as seguintes observações e considerações sob fórma de notas: Excluidos alguns trechos da prosa e algumas poesias, a obra de Leopardi não se póde incluir no catalogo daquellas que, como sasorio guia, indicam o junto caminho á humanidade e o mesmo aliviando-o: obras que não são instructivas e apreciadas sómente pelo estilo e pela lingua, mas são tambem educadoras, estimuladoras de actos generosos, e apontam o caminho do bem, do justo, do equillibrio da força moral. As virtudes exigem sacrifício, generosidade, coragem, caridade, etc.: mas são tambem compensadoras generosas, porque agradam e dão doçura, paz, serenidade, equillibrio; por consequencia, quem as possue acha sempre um premio, uma certa felicidade, tambem quando é mordido de tribulações e golpeado pelas infelicidades. Com certeza as virtudes não podem supprimir totalmente as desventuras humanas, os soffrimentos; porém as diminue, as apasigua, as faz evitar sobretudo superar. Em Leopardi se acham duas vidas: uma publica e privada, sempre virtuosa e exemplar; outra, intima mas manifesta nas suas obras continuadamente sulcada e atormentdada por duvidas, da ironia, do scepticismo, do sophisma inserto no conceito, por certo rancor contra a humanidade (não obstante a sua intenção de educal-a); do sarcasmo, do pessimismo mais negro (é bastante dizer que superou Schopehauer, tido como o philosopho mais pessimista): emfim, do pensamento da vaidade da vida, mas não baseado sobre o principio e o fim da existencia humana. Leopardi, fiz comprehender, é superior ás miserias humanas, tendo alcançado um estado de insensibilidade: uma espécie de “nirvana” (“A vida solitária”; “O Infinito”; “Plotino e Porfirio” etc); todavia a paz, a doçura, a serenidade e o equilibrio implícitos nesta superioridade não apparecem, antes são desmentidos, por outras affirmações e considerações. Mas como obter um tal premio sem um verdadeiro e profícuo surto de reconhecimento de Deus e de amor para com o proximo? Quando, apesar de demonstrar a sua indignação avistando a humanidade infeliz e embrutecida, mas apoiando-se ao pureril e equivoco facto que tudo é caduco e que os homens são malvados e scelerados, insere (e com que arte!) o conceito da vaidade e da illusão da vida, e após faz ponto firme, immovel, isto é, deixa ali suspenso (como ameaça maldição) um tal conceito? Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 15-20 18 O homem póde ser mais virtuoso e mais moral nal propria consciencia, ou seja, na vida interior, que não nas palavras e na expressão. Conceito justo, mas commum. Para o poeta, para o philosopho, ou quem quer que seja escriptor ou artista, em summa, para os homens excelentes, como o mesmo Leopardi, que tem a faculdade intellectual de assignar o passo à humanidade e esta confortar no fadigoso caminho, a expressão artístico-philosophica, etc... deve constantemente harmonizar com o que deve ser implícito, com o intimo desejo o de communicar o espirito da vida, não só a vaidade da vida: de fazer conhecer a essencia da existencia, não exhaurir repentinamente o sua fonte: de exercitar a vista intelligivel do homem antes que pôrlhe diante uma especie de lente de augmento que faz ver ao mesmo homem demasiadamente as maldades e as injustiças humanas; finalmente, não encerrar a fonte da vida com apparentes ou com algumas asperas verdadas, derramadas aqui e ali, de conceitos pessimistas. Sabe-se que a litteratura e o conjunta da evolução do pensamento humano e das obras culturaes escriptas de um povo; por isso, a Forma de uma obra literaria contem sempre algumas idéas, tambem erradas. Separar a Idéa da Fórma, ou esta da primeira, equivale a renegar um tal desenvolvimento intellectual, isto é, a Arte e a Historia literaria, e fazer ao literato sómente um estilista hábil e árido que sabe amontoar palavras e frases. E’, porem, necessaria uma separação, ou melhor distincção: a distincção, isto é, entre a Idéa justa e boa, e as idéas insufficientes ou erradas. Portanto, nenhuma separação da Idéa e da Fórma a respeito das obras de Leopardi: sómente é de deplorar que um Poeta que soube cantar tão nobremente o amor e as bellezas da natureza – seja tambem, por, depois, imprecar contra um e as outras – um philosopho que percebeu, antes sentiu em si mesmo o soffrimento e os males que atormentam a humanidade, não haja irradiado a luz que esclarece o caminho da vida humana: como a luz das Idéas de Dante, para citar um só exemplo. Pode-se assim resumir: a) Idéa e principio contestavel, e em muitos logares detestável; b) Como philosopho, não obstante exprima algumas verdades, deixa um senso quasi invencivel de oppressão; c) Como philologo: insigne; d) Como psychologo: scepticismo e pessimismo não lhe aperfeiçoaram a observação psychologica. Esta, embora acuda e muitas vezes justas, a um certo ponto torna-se insufficiente, ou paradoxal, ou para-se; e) Como dialectico: produz um verdadeiro gozo intellectual, tambem quando se serve desta arte para fazer raciocinios torcidos e errados...; f) Como Poeta: é grande, majestoso, exquisito, raro. Nenhum, até agora, gravou a dor e um soffimento moral com tanta naturalidade e singeleza, e com uma forma tão penetrante e tocante. Muitos versos agarram o coração, todo o coração, e fazem chorar. A analyse dos Cantos de Leopardi não se póde, nem se deve fazer, não fosse, porque a razão fica sempre fóra. A sua obra poetica parece dizer: “Olha, que se tu, depois de commovido, depois de enthusiasmado e exaltado, depois de ter-me achado bonita e admiravel, e que has chorado sinceramente sobre as minhas lagrimas, crès penetrar nas minhas visceras com a tua dialectica e com a tua anayse, engana-te; quebras uma cadeia ideal que nos liga e enlaça, e destroe o beneficio dos nobres sentimentos que eu te produzi. Deves estar satisfeita de ter-me comprehendido, de ter-me amado, de ter-me achada bella e admiravel, de ter chorado. Não te approximes, portanto, não me discute se desejas manter intacta esta cadeia ideal de benefícios que eu te hei doado”: “A analyse scientifica é escada para as virtudes e a severidade não é jámais excessiva quando volve sobre coisas nas quaes os calculos do intellecto têm Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 15-20 19 direito em grande parte: mas existem sensações que se não podem submeter a calculo humano existem obras que se dirigem ao coração, e das quaes o coração é só juiz; o coração a quem cabe e pertence cada revelação do que concerne os arcanos da alma, e o segredo da existencia.” Estes dois conceitos, o primeiro dum subtil comentador de alguns Cantos de Leopardi, o segundo de José Mazzini, são os mais justos e os únicos applicaveis para julgar a obra artísticopoetica de Leopardi; g) Fórma: Italiana e grega no estilo; verdadeiro ouro do “300” e do “500” fundido com o de Leopardi, finissimo, na língua (é bastante dizer que um Ensaio, escripto na idade de 20 annos por Leopardi, enganou alguns letrados do tempo, que o consideraram como concebido e escripto naquela remota época). Os italianos sobretudo, não devem esquecer o fortissimo impulso que Leopardi deu a lingua italiana e ao estilo, e o imenso beneficio trazido á literatura. Honramos, portanto, o excellente clássico (no senso mais largo): o finissimo artista e amante do “bello”; o sublime e penetrante Poeta: o philologo insigne: emfim, o excelso Mestre em literatura. Amamos tambem este raro e singelo intellecto, este grande soffredor e, ao mesmo tempo que RECUSAMOS TODOS OS SEUS ERROS PHILOSOPHICOS MORAES (este é um dever, de que não se pode prescindir), esforçamo-nos para extrahir todo o bem e o bello contido em varias de suas obras. Nisso se póde imitar a constante sinceridade, e seguir, um conceito do mesmo Leopardi quando depois de haver ousado censurar Annibal Caro em “Titanomachia”, dirigiu ao mesmo as seguintes expressões: “A consciencia não quer que eu acabe sem accrescentar alguma coisa. Eu, na parte superior, tenho ousado censurar Caro; e desta ousadia tenho tanto remorso, que preciso confessal-o a vós, solennemente. Devereis ter olhado que eu muito admiro aquelle insigne literato; aqui porém, quero dizer-vos, que não só o admiro, mas o amo, e de lel-o e de manuseal-o não me sacio jamais; e já se assim não fosse, só eu teria damno. O que a mim pareceu verdade, e por amor da verdade, quis dizel-o...” Admiramos e amamos tambem Leopardi, e de lel-os e de manuseal-os jamais estamos saciados; e por amor da verdade havemos escripto. Assim falou o mallogrado philosopho. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 15-20 20 O VERDADEIRO LEOPARDI3 Giulio Canella O “Jornal do Commercio” do dia 20 do corrente publicou a seguinte noticia: “Roma, 9 (H.) – O Senador Guglielmo Marconi, Presidente da Academia de Italia, convidou o Professor Aloysio de Castro, membro da Academia Brasileira de Letras, a assistir à cerimônia de encerramento das comemorações do centenário de Leopardi. O acto effectuar-seha a 29 do corrente, em Recanati, cidade natal do grande poeta italiano.” O’ afortunado Professor Aloysio de Castro! As commemorações são transitórias; todavia a lembrança do comemorado não se desfaz num dia pre-estabelecido. Encerram-se as cerimonias (que devem deixar uma suave recordação); mas ficam as obras, permanece o pensamento, surgem novos leitores: portanto permanece o dever de honrar continuadamente o grande e sincero espirito de Leopardi, que consiste na interpretação exacta do seu pensamento, no estudo profundo e na critica serena, imparcial, elevada e cabal das suas obras. Hasteando o nosso estândar a respeito dos estudos criticos e da presente critica, queremos escrever no mesmo – perto ao nosso mote: “Pereat vitae, fiat veritas – perto ao nosso mote: imparcial” – a seguinte nobre expressão (“Criticos...”, E. P., “O Globo”, 19-6): “...os que estimam as letras e não preferem as attitudes commodas, devem permanecer onde se encontram, acima dos rancores, fóra dos comícios das vaidades em paroxismos, á cavaleiro das injurias estupidas. CUMPRE O TEU DEDVER, AINDA QUE ISTO TE CUSTE SACRIFICIOS E REPUGNANCIAS.” LEOPARDI FRENTE A’ PEDAGOGIA E A’ CRITICA A presente – tem-se escripto no artigo commemorativo do dia 13 do corrente – é uma simples synthese-recordação do grande fallecido no dia 14 de junho de 1937... Portanto, é preciso avivar o leitor aos “estudos” que serão publicados em continuação. Mas antes de apresentar estes “estudos” – que são um conjunto de critica psychologica, formal, exterior, de interpretação, etc. – é mister observar e estabelecer o cunho leopardiano. Trata-se, por um lado, de inserir no intellecto e no coração a potencia literaria e as flores poeticas, por outro de imprimir na consciencia o equilíbrio, isto é, de fortalecer o espirito critico contra o que é deleterio na idéa de Leopardi; trata-se de affazer e dirigir os jovens afim de que estes estejam preparados, moral e intellectualmente, a gozar e a absorver, não só a belleza e o perfume, mas tambem as lutas entre o intellecto e o coração, e a repelir as negações; emfim, estabelecer si se deve ou não deixar aos jovens toda a produção de Leopardi. Pode-se confiar nas mãos dos jovens (tambem do que não sabem interpretar e ... ruminar) as obras de Leopardi? Os logarythmos não prestam para responder, tão delgada é a questão. A obra de Leopardi presta-se optimamente como cultura intellectual, como gozo artístico-literario; mas não outro tanto pela vida harmônica do espirito, pela visão exacta dos dois oppostos (o bem e o mau) que dominam o mundo, porque a philosophia nella contida é unilateral e, antes que estimuladora, deprimente. Esta distincção demonstra a prudência que se deve usar, e que só se póde confiar as obras de Leopardi quando o leitor tem a preparação acima mencionada. Mas esta distincção é um apreço sómente, por isso a questão carece ainda de explicação. 3 In Jornal do Commercio. Rio de Janeiro, 11 de julho de 1937. http://memoria.bn.br/DocReader/364568_12/49330 Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 21-30 Nada é tão nocivo ás letras, á philosophia, á história, ás artes, ás sciencias, quanto a critica parcial, as meias criticas e os meios juízos quanto (a proposito das obras dum autor multiforme como Leopardi) a critica só formal, ou só psychologica, ou só explicativa da obra, ou só fixa no estilo... Até quando a critica não terá por base este conceito, não affrontará tambem o problema pedagógico que a mesma obra de Leopardi impõe; até quando a critica limitar-se no estudo só exterior; que colhe conceitos, frases, versos, expressões, emfim fórmas de dizer mais preciosas; ou só de interpretação e de commentario, a qual critica póde explicar uma ou mais obras, mas não póde julgar as mesmas nem o seu autor; ou só de observação do estilo e, disso, sem olhar a idéa do autor, deduzir o homem; emfim só na critica psychologica: isto é, investigando Leopardi nos seus defeitos, nas suas virtudes, nas suas qualidades: - até quando a critica a respeito das obras de Leopardi não for um conjunto destas criticas, os jovens, e não somente estes, nunca terão uma maneira para compreender e interpretar justamente Leopardi, este poeta que quis ser absolutamente philosopho. Portanto, a nossa critica deve estar diligente, afim de que cada uma destas criticas, que tem a sua razão e a sua utilidade, não exceda os seus limetes, para cahir, depois, no exagero ou no falso, afim de que a critica formal externa não influencie a critica psycholoica e a idéa dominante, e estas não invalidem a preciosa obra de arte. O intellecto de Leopardi foi extraordinário e extenso; a sua alma nobre e, como certas rochas, polyédrica; o seu coração doce, mas repleto de amendoas amargas; a sua arte possante e delgada; a sua philosophia, sustentada tambem por uma dialectiva magistral e elegante, suasoria e ... corrosiva. Portanto, a intenção sómente de cumprir um estudo critico cabal das suas obras póde fazer recuar quem quer que seja que, possuindo tambem um principio são, firme, justo e inteiro, não seja, porém, impregnado, como uma esponja, da fórma e do conteúdo das suas obras. Quem escreve tem lido, observado analysado; tem gozado justamente estudando tantas egregias dissertações conduzidas com o methodo e com a fórma de composição dos antigos, junto o proprio precioso estilo; e se tem enternecido lendo os versos tão tocantes e sublimes, comovido até as lagrimas; mas tem-se... quasi assustado quando tencionou fazer a presente critica, isto é, apresentar o verdadeiro Leopardi. Todas aquellas dissertações, todas aquellas posições e conclusões, que tinham a apparencia de verdade e cuja possante maneira artística inhibia quase de apanhar os sofismas e os erros, induziram-no a tornar a ler, a estudar e analysar novamente. Em seguida, como o paciente e honesto traductor, o qual, mais que verter as palavras quer traduzir o espirito dum autor, tem procurado interpretar todas as expressões, todas proposições, todas as conclusões, sem nunca descuidar do conjunto. Os pormenores ahi e ali mencionados nos dois artigos de 23 de maio e de 13 de junho, e os que vamos expondo, são como as testemunhas que o honesto juiz, apesar de convencido através o estudo de uma causa, faz comparecer em pretorio para robustecer o seu pensamento e para dar á sua sentença um valor maior. Como o juiz que considera as boas qualidades do accusado mas não póde absolvel-o, assim tambem não devemos confundir alguns trechos de poesia ou de prosa com a obra inteira, como não devemos confundir a obra artística com a idéa. Mas... “a vaidade da vida e a maldade humana são ou não são das verdades contidas na philosophia?: perguntam os que não sabem distinguir o grande genio poetico e o insigne letrado, mesmo os elegantes arrebique dialecticos da Idéa principal insto é, dos sophismas inseridos nos conceitos, e dos erros que serpejam nos “Pensamentos”, e em quasi toda pagina de prosa e de poesia de Leopardi. Responder a esta parodia duma expressão de Leopardi seria fatiga vã. De facto, como se póde convencer o “filosofante”, quando o seu erro é a base do seu principio? Quando este principio faz confundir o que está sómente no seu cerebro com o que está fóra (a verdade, o justo, o equilibrio, a vida)? E assim, olhando um malvado deduz que todos são malvados? Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 21-30 22 AS DUAS FORMAS ESPIRITUAES Leopardi foi o grande admirador de Dante, e o evocava dizendo que a poesia é por si mesma educadora, porque impede, ao menos por breve hora, de ter pensamentos cobardes. Este elevado sentir, esta intensa fixação da mente na imagem dum objecto, faz presumir a emulação, o esforço para chegar a igualar em obras dignas de louvor, o objeto que se offerece numa fórma tão extraordinária e eximia. Mas a emulação, consequência da emiração, não insurgiu em Leopardi. O assumpto carece de explicação. Quando Dante al pie’ d’un colle giunto perdeu a esperança da altura, e estava para retroceder na selva oscura ... selvaggia e aspra e forte, isto é, para o erro: - “Miserere di me”, gritou resolvido a uma sombra que se approximava; e quando esta revelou a sua personalidade, logo sahiu do seu coração uma invocação: “or se’ tu quel Virgilio, e quella fonte, che spande di parlar si largo filme? .................................................................. O degli altri poeti onore e lume, vagliami ‘l lunge studio, e ‘l grande amore che man fato cercar lo tuo volume” ‘Aqui a admiração. Quando Virgilio exhortou o desesperado a tomar outro caminho se desejasse salvar-se dizendo: “A te convien tenere altro viaggio, ............................................................... Ond’io, per lo tuo me penso e discerno, che tu mi segui: ed io saró tua guida e trarrotti di qui per luogo eterno, ove udirai le disperate astrada, vedrai gli antichi spiriti dolenti, che la seconda morte cias, cun grida”. Dante invocou novamente auxilio: “....................... Poeta, io ti richieggio per quello Iddio che tu non conosceti, acciochio fugga questo mele, e peggio, ..................................................................... Tu m’hai con Desiderio il cor disposto si al venir, con le parole tue, ch’io son tonrnato nel primo proposto. Or va, che un sol volere é d’amendue: Tu Duca, tu Signore, e tu Maestro.” Aqui está a emulação, isto é, o desejo ardente de tomar por modelo Virgilio, o esforço para igualar, com obras dignas, aquelle que lhe era apparecido numa fórma tão excellente. Mas Dante tinha a vontade de fugir do erro (“questo male e peggio”); Dante havia o coração disposto a “entrar per lo caminho alto e silvestro”; antes, depois de ter atravessado o reino da gente morta ao mundo e a Deus (“Tosto ch’io uscü fuor della’acqua morta m’aveva contristato gli occhi e il petto”), teve a força de cantar: Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 21-30 23 “........ daquelle segundo reino onde o humano espirito se purga e de sahir ao céo se torna digno”; Depois: “A gloria d’Aquelle que tudo move pelo Universo penetra e resplende em uma parte mais e menos algure”; ao passo que Leopardi, entretanto que admirava Dante ficou porém extactico, com o pensamento fixo, immovel, no conceito opposto ao de Dante. Como se explica esta violação da regra entre admiração e emulação? Assim: A obra de Dante é um conjunto, se póde dizer em cada Canto, de arte, de amor, de fé, de moral, de philosophia, de psychologia, de teologia, de doutrina universal (assim, para citar só qualquer exemplo, como conceberam a poesia Virgilio, Petrarca, Ariosto, Tasso, os quaes deram ás fabulas, aos mythos, aos seus symbolos emfim, dos principios philosophicos que tem um nexo com a vida); a obra de Dante, na Idéa Dominante, é luz, guia, elevação (até quando elle mostra-se amante, como nas “Rimas”: “Guido ‘l vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento, e messi in un vascel, ch’ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio ................................................................. e quivi ragiornar sempre d’amore”) emquanto a obra de Leopardi, apesar de conter o lyrismo dos antigos poetas gregos e dos latinos e tambem um lyrismo proprio superior aos dos antigos, apesar de ter das vibrações tão sentimentaes e tocantes e que se não acham em nenhum poeta, antes uma potencia melodiosa muitas vezes superior áquella de Dante; não tem porém o nexo entre o preciso e o indeciso (como teve, ás vezes, até o pessimista Verlaine: “Rien de plus cher que la chanson grise – on l’Indecis au Précis se joint”), seja como fôr dominada do erro philosophico, que applica, como fosse lei universal, um só opposto: o mau, a maldade, os proprios soffrimentos, por isso conclue com uma negação. Emfim, da união e da organicidade da obra de Dante nasceu a obra prima, ao passo que a de Leopardi, não obstante que cada canto seja um pequeno primor, é solta, desordenada. Contrariamente, pois á regra dos rapportos entre admiração e emulação, a admiração de Leopardi por Dante ficou ali: fixa, extactica, sem consequencias, limitada, isto é, por quanto forte na intenção, a Dante humanista e instaurador do “dolce stilnovo”. Nestas condições o elevado sentir que devia produzir a emulação, em sentido cerrado e justo não é admiração, mas sómente um produto da fascinação da grandeza intellectual e moral de Dante. E’ logico, e se explica: em primeiro logar os principios de Leopardi não foram conformes aos de Dante; segundo, a sua Idéa surgiu de uma fórma intellectual só cultural; terceiro, os seus rapportos espirituais foram limitados na consideração de Epitteto, dos neo-platonicos, depois á tradução do humanismo; em resumo, a sua admiração não deriva da Idéa e dos sentimentos que conduziram novamente Dante perto de Beatriz: - quer dizer ao conhecimento da sciencia das verdades reveladas, á felicidade espiritual. “ao amor que move o sol e outras estrellas”. De facto, a fórma espiritual de Leopardi, justamente emquanto monócula, impediu-lhe de avistar e de distinguir claramente a vaidade das coisas humanas do principio, do escopo e do fim do Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 21-30 24 homem; impediu-lhe de considerar philosophicamente, e praticamente, que o mau não é propriamente o que o homem padece, mas sobretudo o que elle, com as suas idéas unilateraes, com os seus conceitos monóculos e particulares, por isso muitas vezes errados, produz á generalidade humana; ao passo que em Dante as duas fórmas espirituaes: caracter moral (que abraça arte, literatura, historia, sciencias positivas, philosophia), se fundiram numa fórma artística-philosophica-moral indissoluvel. Emfim, Dante é o sêr cabal que tem conseguido a unidade de todas as mais sublimes manifestações do espirito. Pode-se dizer que elle tem extrahido da philosophia, da poesia, da sciencia, da arte, da literatura e da historia (desde as mais antigas idades até á escolastica e á alvorada radiosa da lingua italiana e do humanismo), o succo benéfico em cada um conteudo, e este succo soube transformar (como a abelha a flor em mel) em um tudo harmonioso adherente ás necessidades intellectuaes, artísticas e sociaes do individuo e da generalidade: tudo assim harmonioso, que, não obstante que na “Divina Comedia” e em outras obras se achem dos conceitos errados – devidos á insufficiencia scientifica do seu tempo, - póde ainda servir de guia: moral, politica, philosophica, scientifica e artistica. COMPARAÇÕES Mas da ruina da concepção ideal juvenil, e do sobrevir da Idéa pessimista e da dor (Idéa e dor que sempre acompanharam Leopardi depois dos 20 anos), não podia surgir a emulação, nem a fórma espiritual acima considerada. E assim cahiu e ficou até o ultimo dia pessimista a flor dos poetas e letrados. ______ Nem Ugo Foscolo, o autor do lúgubre romance “Jacopo Ortis”, que teve a maior affinidade e os maiores pontos de contacto para com a philosophia de Leopardi, não foi assim constantemente pessimista. Acha-se nos seus “Sepulcros” uma mudança muito sensivel. Esta obra, apesar de não ser totalmente desprovida de pessimismo, contém o mesmo forte estimulo das virtudes por seu autor produzido para com as suas acções. A philosophia aqui exprimida mais não é a de “Jacopo Ortis”; aqui o pensamento á vaidade da vida que excitou o Ortis ao suicidio, assumiu uma comprehensão e uma grandeza que destróe a mesma vaidade, como aquella contida na religião christã; aqui o poeta e philosopho pessimista tem alcançado uma altura de meditação toda permeada de moralidade e de intelligencia e de equilíbrio da existencia. Em senso inverso de Leopardi, que perseverou na sua idéa, nos “Sepulchros” de Foscolo o pensamento obcessor do eterno nada desappareceu: porque estes tumulos gemem, choram, incitam; porque os trespassados vivem: como na “Divina Comedia”; emfim, porque os tumulos mais não encerram o eterno nada, como na sua obra juvenil, mas contêm sentimentos altamente moraes, políticos, civis. Mas considerando tambem que o Foscolo não tivesse escripto estes “Sepulchros” que o dividem de Leopardi, são suficientes as suas acções para separal-o. Desde 19 annos até quando foi constrangido ao exilio na Inglaterra, se acha o cidadão que, com a eloquência e com a espada luta pela liberdade e para o renovamento da sua Patria. Os sentimentos por elle inspirados vêm relevado por um exemplo. No anno 1810 o jovem Silvio Pellico achava-se em França, sem escopo, sem meta. Leo os “Sepulchros”, e, quasi accommettido deste fogo, cedo regressou á Italia, para desenvolver a sua actividade politica e literária poética, aquella atividade que devia conduzil-o ao martyrio. __________ Tambem Beethoven foi agarrado por uma concepção pessimista, até a pensar no suicidio. Mas o ideal artistico, e o conceito moral fundamental que está na terceira virtude Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 21-30 25 theologal, o salvaram. “Foi a arte – escreveu -: arte sómente que me tem feito demorar... Pareceia-me impossivel de deixar este mundo antes de ter cumprido tudo o de que eu julgavame capaz.” No epistolario de Beethoven acha-se um coração que ama a humanidade, e que conserva este amor mau grado as injustiças padecidas. “Vós, homens – escrevia aos 28 annos – que me fazeis passar por um invejoso, por um louco, por um misanthropo, quando sois injustos! Vós não conheceis a secreta razão do que em tal maneira a vós se apresenta. O meu coração e o meu espirito estavam inclinados, desde minha puericia, ao doce sentimento da bondade. Mas considerae sómente qual seja a minha horrível condição desde 6 annos, aggravada por medicos sem juízo... E se eu queria talvez não ter conta da minha condição, oh! quanto tenho soffrido pela renovação do meu mal. E, entretanto, não podia dizer: fala mais forte, grita, pois eu estou surdo! Como podia manifestar abertamente a insufficiencia dum senso, que em mim deveria ser mais perfeito de todos? Eu devo viver como um proscripto, porque nas conversações estou vencido por uma violenta afflicção, isso pelo receio de expor-me ao que póde revelar a minha enfermidade..., Mas qual humilhação, quando, no começo da surdez, estava alguém perto de mim que escutava de longe uma flauta, e eu nada ouvia, ou este sentia cantar qualquer pasto, e eu nada ouvia! Estas dolorosas experiencias, lançaram-me bem cedo no desespero: e pouco faltou para que eu désse fim á minha vida, Paciencia! Assim usa-se exclamar; é a paciência que eu devo nomear para minha guia. Eu a tenho. Duradoira, como tenho esperança, deve ser a minha resolução de resistir, até quando quiserem as Parcas inexoraveis cortar o fio da minha existencia. Aos 28 annos estar já constrangido de tornar-me um philosopho não é coisa facil, e por um artista... Divindade. Tu que do alto explora o fundo do meu coração, o conhece, e Tu bem sabe que o amor para com os homens e o desejo de fazer o bem delles demoram no meu coração. O’ homens! se lerdes um dia estas minhas expressões, meditae que tendes sido injustos commigo, e, entretanto, o desventurado se consola, e suaviza os seus padecimentos, achando um desventurado como elle, que, mau grado todos os obstáculos da natureza, faz quanto lhe é possivel para ser dignamente colocado no grau dos artistas e dos homens escolhidos.” Estas expressões, que irradiam a luz e a bondade da alma de Beethoven, demonstram tambem o amor evangélico para com a humanidade, junto á sua verdadeira “Ferrea vida”; aquella vida que se não póde chamar “ferrea”, quando fica sómente no pensamento como em Leopardi. A “FERREA VIDA” E A PHILOSOPHIA DESESPERANTE Leopardi sentiu profundamente a virtude, a belleza, o amor, a gloria, a dignidade do homem; mas a sua dor monocorde tem um fundo de amor só para si mesmo, e de desespero, e debalde procura-se nas suas obras uma expressão de amor pelos outros, acompanhada da acção, como em Beethoven. Sente-se este amor tambem na sua musica. Nas suas symphonias parece se ouvir como que os lamentos desesperados, os gemidos, os urros, os gritos de dor ou de gaudio. E estas vozes, juntas ao murmúrio dum ribeirinho, ao canto dum pastor, ao ruído da tempestade, emfim, no canto de regozijo, de fraternidade e da religião na “nona symphonia”, são vozes humanas que sahem da natureza e que falam a linguagem universal. Todas as mais delgadas sombreadas da natureza; todas as idéas apenas perceptiveis; todas as “nuances” de sensações do coração humano, tudo tem sentido e exprimido este mestre dos mestres da musica. Sente-se verdadeiramente que elle ama e padece por todos os soffredores, que elle crê no futuro, que elle canta e encerra em si todos os soffrimentos do passado, do presente, do futuro, como se quizesse abraçar com a sua ternura todos os infelizes. Não assim em Leopardi. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 21-30 26 Quanto desejo de emular Beethoven, este gigante que tem tido uma tamanha força na sua desventura, que teve a coragem sublime de compor a “nona symphonia” (celebração tambem da fraternidade humana) nas horas mais tristes e indigentes da sua existencia! “Eu estou quasi reduzido a mendigar!”, escrevia naquelle periodo. Mas em Beethoven a concepção pessimista e só fortuita, temporânea: o dever de expandir tudo o que Deus e a natureza lhe prodigalizaram, e por elle um mandato imperativo que o chama continuamente; ao passo que em Leopardi esta concepção ficou immovel, fixa, base de sua vida; ao passo que Leopardi não crê, não tem fé nem no futuro e nem no presente, e o que elle adimitte é só em abstracto: ao passo que Leopardi foi martyr voluntario da sua idéa dominante e nunca bem fazente: ao passo, emfim, que Leopardi desesperou de si mesmo desde os 21 annos, e o “nada” foi para elle uma realidade antes de affeiçoar-se á philosophia. E do nada, e do aborrecimento da vida, sejam tambem ornados de flores poéticos-literarios mais sublimes e brilhantes, não póde derivar o do que carece a humanidade, isto é, a coragem, o sacrifício, o enthusiasmo, nem o justo equilíbrio moral e intellectual. Que diferença entre as expressões e a musica de Beethoven, e as manifestações de Leopardi! “Estou atordoado – escreveu na idade de 21 annos – do nada que me circumda... Não tenho mais folego para conceber nenhum desejo, nem tambem a morte; isso não porque eu tenha receio da morte, mas não vejo mais diferença entre esta e a minha vida... E’ a primeira vez que o aborrecimento me opprime, e me dilacera como uma dor gravissima, e velo-me tão espantado da vaidade de todas as coisas e da condição dos homens, que estou fóra de mim considerando que é um nada tambem o meu desespero.” “Logo que começava em mim algum impulso e mote (na ocasião que se me dera de qualquer sentimento ou de impeto, de enthusiasmo, de fantasia ou de compaixão) este mote ficava apagado... Analysando o que eu experimentava em tal occorrencia, achei que o que apagava infalivelmente cada mote, era uma inevitavel olhada que eu então, confusamente e sem me perceber, trazia em mim mesmo. E’ que, tambem confusamente, eu dizia: que faz que importa a mim a bella natureza, uma poesia, os males alheios! que não sou nada, que não existo ao mundo.” Os que sustentam, pois a “férrea vida” de Leopardi sustentam, sim, uma verdade, mas não toda a verdade. Estes, ou não conhecem todos os “Pensamentos” e toda a obra de Leopardi; ou não sabem distinguir a grandeza moral-intellectual-artistica da Idéa dominante, que é uma negação, ou tem feito uma critica parcial, unilateral. Isso explica o meio juízo, e tambem a temeridade de apresentar Leopardi quasi como homem politico e de acção. E assim a confusão augmenta, e assim – em vez de aproveitar das commemorações para fazer comprehender profundamente o grande genio poetico, o brilhante prosador, e, o que é indispensavel, o philosopho pessimista, emfim, em vez de inserir no intellecto e na consciencia dos jovens as distincções acima reveladas -, assim o verdadeiro Leopardi fica na... sombra. Leopardi foi sempre alheio da politica e da acção, antes (como tem-se mencionado no precedente artigo, e como será demonstrado numa critica histórica a respeito dos italianos, muitos martyres, daquelle tempo, que se dedicavam ás sciencias politicas, sociaes, econômicas, no fim de educar o povo) despresou os homens que trabalhavam para o renovamento e pela independencia da Italia, e chamou até “secchissime” as sciencias acima. O pensamento de Leopardi, acerca da condição da literatura e da philosophia do seu tempo, e em parte justo: mas, infelizmente, as consequencias deste pensamento, que elle faz ver confusamente, em vez de instaurar o “bella” e de produzir a felicidade dos individuos e da nação, podem acarretar a escravidão. Se as “secchissime scienzie”, ajuda repetil-o, não só a vida, todavia são dos factores que a sustentam, porque devem conduzir á união sossegada civil dos individuos. A “felicidade do individuo” não é conseguível, se antes não se buscar a união dos povos. O bello é necessário: sem elle falta á vida intellectual o incitamento melhor, indispensável; mas o estudo do bello Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 21-30 27 póde ser verdadeiramente deleitoso, educador, efficaz, quando destinado a viver para a liberdade: esta é a sua nutrição, o seu apoio, a sua mãe. Para estabelecer a férrea vida é preciso distinguir as qualidades e as virtudes intellectuaes e moraes de Leopardi (nisso exemplar), do que elle escreveu, do seu conceito pessimista, do seu aborrecimento, do seu modo pela acção. Pode-se sómente chamar ferrea, a vida do homem que reune em si, não só as qualidades e as virtudes acima, mas tambem a Idéa e as acções estimuladoras. UM OUTRO PESSIMISTA, MAS LUTADOR Em vez de considerações philophicas moraes, o assumpto carece de outros factos. Como Ugo Foscolo, por meio dos Sepulchros, foi aquelle que accendeu o facho na alma de Silvio Pellico, assim Beethoven, por meio duma simples symphonia, accendeu o de Wagner. Desde o instante que a sustância da harmonia e da melodia de Beethoven passou no espirito de Wagner, todo mundo interior revelou-se neste predestinado da harmonia, neste reformador, e a propria poesia, que até então elle havia cultivado e amado, pareceu-lhe angusta perante a infinidade e a potencia da musica. Wagner pertence ao numero dos genios que foram assaz pessimistas, mas que lutaram e tiveram depois a força de observar o outro opposto: bem; e assim, para dar uma imagem, canalizar no seu curso normal aquellas mesmas paixões, aquelles mesmos conceitos errados ou sophitas que, depois de ter sobrepujado os diques do rio da vida, podem servir para amestrar e para guia na vida. As lutas que Wagner sustentou para se fazer comprehender, e sempre contra a critica áspera e muitas vezes injusta, representam uma odysséa triste, mas de superioridade: basta lembrar em que condições escreveu “O Navio fantasma”, em Paris. Wagner foi pessimista; mas o seu genio criador, ou melhor aquelle Eu quasi divino que nenhuma philosophia póde (ou não deveria) supprimir, sahiu sempre vencedor “- de facto, depois do “Lohengrin”, Wagner cahiu na philosophia pessimista de Schopenhauer: isso é patente nos sujeitos e nos symbolo de “Tristan” e da “Tetralogia dos Nibelungi”; mas, depois, chegado quasi á soleira da eternidade, contemplou o mundo numa fórma evangelica, como Beethoven contemplou o christianismo numa forma mais concreta, e assim compoz o “Parsifal”, sobre a mesma lenda (o Saint-Graal) que já lhe havia inspirado o “Lohengrin” - : ao passo que em Leopardi, por um estranho phenomeno, este EU, exceptuados alguns instantes, ficou continuadamente vencido por um outro EU demasiadamente razoável, dialectico, isto é, da philosophia desesperante. O PARALLELO FINAL QUE SUSTENTA APODICAMENTE O NOSSO ASSUMPTO Não devemos acabar estas comparações sem lembrar um martyr, contemporaneo de Leopardi: o poeta e philosopho Silvio Pellico. Ha uma flagrante contradicção entre a apologia que Leopardi tem feito dos homens do passado e o seu despreso para os do presente contradicção que demonstra a sua insufficiencia philosophica... A distancia das idades, e a chamada “idade dos heroes”, não devem fazer-nos ver uma espécie diversa de homem. Os heroes, os grandes, os magnanimos de todos os séculos foram todos filhos da mulher: como nos soffreram e choraram, como nos lutaram contra as proprias tendencias, como nos alguma vez fatigaram para sahir vencedores das paixões, ou se envergonharam do contrario. Não ha diferença; todavia a presumpta diversidade é propicia, é favoravel ao homem do presente e do futuro, isso pela simples razão que o homem caminha na estrada do progresso. Por diversas circumstancias o homem póde sustar, parar, póde tambem Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 21-30 28 regressar (a historia é mestra a este proposito); mas é sempre o mesmo, o mesmo homem que retoma, que recobra, que... conquista, que caminha para alcançar seu destino, a sua méta: a perfeição. Muitos são, no presente, os homens, que, sem ter nenhuma celebridade, honram com o fructo da sua mente com as rectas acções, a fraternidade que tem para com todos os egregios. “Os malvados e os insanos existem; mas é preciso relevar que o homem póde ser admiravel por siso, que póde não perverter-se, que póde antes em todos os tempos, em cada grau de cultura e em todas as fortunas, se nobilitar com altas virtudes, e que por estas considerações tem direito á estima de qualquer inteligente criatura. Entregando ao homem a devida estima; olhando o homem impellido para a perfeição, e pertencer ao mundo immortal das idéas (mais que os poucos dias das plantas e das feras, que apparecem sob as leis do mundo material); julgando o homem capaz, pelo menos, de sahir da multidão dos animaes inferiores e dizer: - Eu sou diverso e maior que vós todos e de cada coisa terrena, que me circumda -, nós sentiremos aumentar os nossos palpites de sympathia por elle; o nosso semelhante. As suas mesmas miserias, os seus mesmos erros nos induzem a maior piedade, lembrando-nos o ENTE grande que elle E’. Soffremos quando o rei das criaturas se avilta, anhelaremos agora de cobrir religiosamente as suas faltas e os seus erros, offereçamo-lhes agora a mão, afim de que se levante da abjecção e do lodo e volte á elevação de onde cahiu; exultemos cada vez que virmos este homem, lembrador da sua dignidade, mostrar-se invicto em meio da dôr e da ignominia, triumphar das mais árduas provas, emfim, approxima-se com toda a gloriosa potencia da sua vontade ao seu typo divino”. O homem que escreveu esta pagina sublime, bastante tinha soffrido, por muito ter amado a Italia. Despojado da liberdade na flor dos seus annos, encadeado, por 10 annos, na pelor reclusão da Austria, sem o conforto de ver os proprios conjunctos, nem de corresponder. Todavia, este verdadeiro martyr – cujos padecimentos foram muito maiores que os de Leopardi, - este poeta tragico, este philosopho christão soube erguer o seu espirito sobre as particulares dôres physicas e moraes e sobre as ignominias... humanas; ainda mais, logo sahido do degradante cárcere, onde tinha consumido todas as suas lagrimas, e perdida a saude, e os annos mais bellos, soube ainda atingir em si mesmo a força para escrever outras paginas de bondade, de caridade, de equillibrio moral e philosophico. “Escrevi, eu, estas memorias, por vaidade de falar de mim? – prefacio de “As minhas prisões”. – Desejo que isso não seja, e por quanto o individuo possa se constituir juiz de si mesmo, parece-me de ter em mira uma idéa mais elevada: aquella de contribuir para o conforto de qualquer infeliz com a exposição de que tenho padecido e das consolações que experimentei nas summas desventuras; aquella de testemunhar que em meio aos meus demorados tormentos não achei a humanidade assim iniqua, assim indigna de indulgencia, assim deficiente de egrégias almas; aquella de convidar os nobres corações a amar muito, a não odiar algum mortal, a odiar só, irreconciliavelmente, as ficções, a pusilanimidade, a deslealdade, cada degradação moral; aquella de dizer uma verdade incontestavel, mas frequentemente esquecida: a religião e a philosophia; commandar uma e outra, enérgico querer e juízo reflectido, e sem estas unidas condições nunca existirá justiça, nem dignidade, nem principios firmes e seguros”. Deve-se notar que Pellico era muito conhecido desde 1818, isto é, depois do grande successo obtido da sua tragedia em versos, “Francesca da Rimini”, e que o livro “As minhas prisões” foi publicado em 1831, no mesmo anno da sahida do martyr do carcere. Um poeta e letrado como Leopardi tem de certo lido a primeira e o segundo. Seria presumivel, pois, que a moral, o equilibrio, a força e a grandeza contidas na prefação acima relevada, tivessem a capacidade de attenuar, pelo menos, as tintas mais fortes da philosophia de Leopardi. Nada. O nome de Pellico não se acha mencionado em nenhum escripto de Leopardi. Não só; mas entretanto o que Pellico estava sofrendo na reclusão e depois manifestava e endereçava aos seus Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 21-30 29 semelhantes os conceitos edificantes acima, Leopardi escrevia: “O homem é quasi sempre tão malvado quanto lhe precisa; Se se conduz directamente, pode-se julgar que a maldade não lhe é necessária” (Pensamentos); “... a maldade, a fatuidade, os vicios de toda sorte, e as qualidades e as acções ridiculas dos homens são muito mais habituaes do que nós cremos... e que supponhamos que seja o excessivo”; “... eu estou certo que os leitores que têm praticado os homens muito e em diversos modos, estarão concordes nisso: Digo que o mundo é uma liga de marôtos contra os homens de bem, e de covardes contra os generosos”. Esta é uma maneira toda pessoal de observar o mundo, não a maneira que usa um verdadeiro philosopho. A dôr não se pode destruir, a dôr persegue a humanidade: de accordo; no mundo exitem muitos homens malvados e marôtos, tambem de accordo. Mas dahi inferir a vaidade da vida, e deduzir que o mundo é uma liga de marôtos, que o homem se conduz directamente sómente quando a maldade não lhe é necessaria; e que a maldade, a fatuidade, os vicios de cada sorte, são ainda maiores do que suppunhamos que seja o excessivo, isso se chama hyperbole, isso não é philosophia. A sátyra, a ironia, o sarcasmo produzem um bem immenso, pois se prestam para metter em ridiculo os homens maus e fátuos do tempo presente, e tambem para sacudir o lethargo politico e para educar o povo; mas estes elementos devem ficar nos limites justos. Como nas obras do Parini. Do restante, todos os males que affligem a humanidade, as tribulações pessoaes, a mesma oppressão estranjeira ou politica, não devem ser um estimulo maior para sentir-se ainda mais irmão dos infelizes? Quando os tempos são tristes, quando não se gozam mais gáudios, mais confortos, mais regozijo; quando a vida espiritual é quasi apagada; quando os costumes são corrompidos: - não fica ainda (em quem sabe reunir as duas formas espirituaes, no começo mencionadas), um fio de esperança, um fio que é como um raio de felicidade em meio ás nuvens dolorosas? Isto é de lutar, de superar a propria amargura, de se sacrificar: para confortar, para exitar e levantar, emfim para restituir melhores e livres os nossos semelhantes? O homem verdadeiramente superior deve ser como o imaginado pelo infeliz poeta inglez Shelley, no seu “Prometheo livre”: soffrer dos males que se crêem imensos; esquecer as injustiças mais negras que a noite e a morte; amar e suportar; esperar até que a esperança, do seu proprio naufrágio, crie a coisa contemplada... eis a tua gloria, o Titan”. Mas, Leopardi não era feito pela acção: de facto, a sua vida não refulge por acções insignes na sociedade. Mas se o seu temperamento, tambem por circumstancias inversas, não lhe concedeu de cumprir acções, pelo contrario, fez sómente soffrer, o seu caracter moral, embora gasto da idéa dominante, e o seu genio concederam-lhe, poderem, de conquistar uma rara belleza moral interior, a gloria, e a immortalidade. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 21-30 30 LEOPARDI NO PRIMEIRO CENTENARIO DE SUA MORTE4 Antonio Isoldi Em 14 de Junho de 1837, quando Leopardi, peregrino enférmo, devia ser transportado á Villa Ferrigni exhalava seu ultimo alento em Capodimonte, em frente ao Vesuvio. O ultimo canto “Il tramonto della luna” havia assignalado o termo da vida do poeta: é o canto do cysne. Duas horas antes de a grande alma voar para o mysterio, havia ditado a Ranieri seus ultimos versos: Giovinezza apari, non el colora d’altra luce giammai, né d’altra aurora vedova é insino al fine; ed alla notte che l’altre etadi oscura segno poder gli Dei la sepoltura. Quis o Destino que Leopardi fosse sepultado em uma capella dos suburbios, não distante do Colombario romano, onde doutas tradições e lendas dizem ser o sepulcro de Virgilio. Poucas camadas de terra e pedras separam os despojos do pensador, que oppoz a negação mais resoluta a qualquer fé de ordem sobrenatural, do asylo consagrado ás preces. Na egrejinha de S. Vitale não foi possivel seputar, como diz Carducci “Il Job insieme e il Lucrezio del pensiero italiano”. O contagio da alma, mais terrivel que o cholera, impediu que se enterrasse um incredulo, depor as cinzas na pequena arcada que serve de vestibulo á egrejinha. E aqui jaz o poeta, não se sabe dizer se como alguem que não tenha conseguido entrar na egreja ou como quem della sahiu.. Talvez tivessem tido suas cinzas digno asylo em “Santa Croce”. Mas não é menos digno que repouse para sempre no vestibulo de uma egreja, junto á cidade de um ceu que, melhor que qualquer outra cidade da Italia, reflectem a sua poesia; que descanse lá onde o tormento e a dôr dos homens e das coisas; onde seus olhos viram suspensa em sempiterno, inexoravel e firme, a morte symbolisada pela avermelhada chama do Vesuvio; de cujo seu resplandecente, sorveu tanta luz, e ao quel morrendo pedia ainda mais luz. Para De Sanctis, Leopardi, antes de ser um interprete do sentimento nacional, era uma voz do seculo, uma daquellas voses eternas que assignalam a grandes intervallos a historia do mundo. Após o tormentoso periodo napoleônico, desenvolveram-se na Europa tres ordens de idéas: a reaccionaria, a christan-racionalista e a idealista. A primeira propugnava a volta ao absolutismo, por direito divino, e depois da triste experiencia dos philosophemas setecentescos. A segunda, christan-racionalista, produziu na Italia por assim dizer o Romantismo; repassada de idéas germanícas, mas de accôrdo com os conceitos já defendidos pelo “Caffé”, arpegava uma renovação esperitual, sobre a base de uma volta aos seguros axiomas ethicos da religião catholica, de accôrdo com os “direitos do homem”, mas não inquinados pelos excessos revolucionarios. A terceira, ao passso que na Allemanha gerava o movimento romanticos, produzia na Italia uma natural conclusão de idéas individualistas, edonisticas e illusorias de Alfieri e de Foscolo, com a theoria da infellicidade necessaria sustentada por Leopardi. Era uma carta ao De Sinner, diz o poeta: “Minha dor não provém dos meus males mas da minha inteligencia. Antes de accusar as minhas enfermidades, destrui as minhas observações e os meus raciocínios.”. Tinha razão: a Solencia é dor, a Verdade é fruto muito amargo. 4 In O Estado de São Paulo. São Paulo, 1937. https://acervo.estadao.com.br/publicados/1937/06/19/g/1937061920766-nac-0003-999-3-not-xekkpqg.jpg Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Isoldi, p. 31-32 Mas tambem o mundo tinha sua razão, porque todos eram doentes, e Leopardi mais que os outros. Todos os grandes poetas do tempo se retiram do mundo que os circumda: Heine o escarnece amargamente concentrando-se em si; Byron o despreza e odeia envolando-se no reino de uma liberdade selvagem; Béranger o punge com subtil ironia, abandonando o sonho das glorias passadas; Leopardi, tirando uma face do sec. XVIII e XIX, alcança o conceito na originalidade do seu pensamento. Quiz comparar Leopardi a Byron e a Goethe, porém elles são diversos, como as suas nações. Byron gosou todos os prazeres, teve felicidade mas perdeu-a; e por ella chora e freme e tudo amaldiçôa, procurando encontral-a mesmo no mal. Goethe não gosou, mas sentou-se saciado e emnojado; vê a vaidade e sorri, indifferente, ao bem e no mal. Assim como o seu Brama que após gosar o amor da Bajadera, a fez morrer e a conduz comsigo no ceu, gosa tambem das dores alheias. E’ o retrato do seu Fausto que ama a sciencia do amor e do poder, nunca se fartando nem se aborrecendo com nada. Leopardi, ao invés, jamais teve consolação nem amor; como Sylvia que abre os olhos sorridentes ao desabrochar da vida, e é matada pela Verdade. Tudo quanto é concedido aos outros é negado a elle. Portanto se nenhuma maravilha elle nega, amaldiçôa tudo. A sua dôr é reflexo, porque é augmentada sempre pelo entendimento: nasce das desventuras particulares e publicas do poeta; é desejo do passado glorioso, aspiração de um futuro melhor. Duas personalidades formam um conjunto indivisivel, o poeta e o philosopho. E’ pois difficil separar os dois aspectos da actividade do seu espirito. Quasi no mesmo tempo Schopenhauer cria a metaphysica, Leopardi cria a poesia da dôr e chega em tempo áquella philosophica concepção do mundo, que somente mais tarde Schopenhauer erigiu na Allemanha. E o proprio Schopenhauer o afforma, quando fala da infelicidade do mundo: “Ninguem tratou desde assumpto com tanta profundidade e em modo tão exhaurivel aos nossos dias como Leopardi.” A multiplicidade dos systemas desacreditára a propria sciencia. Um novo scepticismo surgia, ferindo não somente o sobrenatural mas tambem a propria razão. O systema não mais era acceito e começava a rebellião. Faltando a fé na revolução faltava agora a fé na propria philosophia. Reapparecia o mysterio: o philosopho sabia tanto quanto o pastor. Leopardi foi o éco deste mysterio na solidão ao seu pensamento e da sua dôr. O mysterio destróe o seu mundo intellectual, fazendo desapparecer o seu mundo moral. Esta pertinaz vida interna, apesar de destruida a metaphysica, constitue a originalidade de Leopardi, imprimindo religiosidade ao seu scepticismo. Fechamos o livro das poesias de Leopardi, não entibiados mas meditativos; não incredulos mas crentes, não desesperados do bem mas confiantes, não cansados de operar em vão, mas desejosos de operar: uma poesia que não endormece, mas desperta. Livre de todas as tradições religiosas, sem nenhuma esperança de felicidade terrena, aguardava o momento no qual, sorrindo, devia passar ás sombras. O unico fim de seus dias foi indar a rigida verdade. E extingui-se levando comsigo o desejo de resolver este problema, mas deixando em herança aquelles cantos, a expressão mais profunda do seu espirito desolado. Vos ultimos, como “Aspasia” e “Ginestra”, parece ouvir o grito que devia mais tarde proromper do peito de Gustavo Flaubert: “Não existe nada”. Leopardi perseguiu, além dos montes azues e mares immensos o seu sonho, sonho que a vida se encarregou de trahir. Diante do mysterio daquelle espirito eleito, que fez brillhar sobre a patria escrava o mais puro raio de eterna belleza que um dia sorriu aos poetas da Hellada, curvemo-nos respeitosos e reverentes. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Isoldi, p. 32-33 32 NO CENTENÁRIO DA MORTE DE LEOPARDI5 Francesco di Lorenzo Tradução de José Miccolis No alto, entre o mar e a montanha, na zona mais fertil e mais amena das Marches, estende-se Recanati, com seus palacios e suas igrejas de antiga belleza (1300 a 1700), ao longo de uma estrada que vae de norte a sul. No fundo, numa pequena praça exposta aos ventos marinhos e ao sol levante, surge o palacio dos Leopardi, construído no seculo decimo oitavo. Ali nasceu, em 1798, Giacomo Leopardi e ali foi criado, durante os annos tempestuosos para a Italia da dominação napoleonica, quando, contra os patriotas que, animados pelas victorias alcançadas, sonhavam e preparavam a unidade e a independencia da nação, surgiram os “sanfedisti” – a seita partidaria da divisa “divide et impera” – fieis aos principes italianos e estrangeiros e ao Papa, que conservaram dividida a terra da Italia. UM REDUCTO DE “SANFEDISTI” O progenitor do poeta era tambem “sanfedisti”. Hospedava e reuniva em seu palacio muitos frades e padres, possuidores de cultura e erudição invulgares. Entre esses escolheu elle o jesuita mexicano Torres e o padre Sanchini para a educação da creança. O conde Monaldo – era esse o titulo e o nome do pae de Leopardi – que, em politica era reaccionario, possuia engenho vivo e grande intelligencia, e era proprietário de uma vasta biblioteca, onde Giacomo e os outros filhos tinham á sua disposição uma immensa collectanea de classicos antigos e modernos. Era tambem escriptor, sendo dignas de menção ver as suas polemicas, reunidas no volume “Dialoghetti”, sobre “matérias correntes”. A INFLUENCIA DO POETA Foi nesta bibliotheca que Giacomo Leopaldi passou a maior parte da sua infancia, afastando-se della apenas o tempo sufficiente para brincar com seus irmãozinhos, ou para dar um passeio até ao píncaro do monte Tabor, de onde descortinava um horizonte mais vasto e um panorama encantador. Mocinho, sentia-se impaciente no meio acanhado da cidade natal, ao passo que lá, do alto da collina, podia alargar o espaço da natureza e da historia, procurando, com ansiedade, as vias do céo, abertas pelos astrônomos, e remontar, na febril pesquisa do homem, ao tempo dos romanos e dos gregos, e até dos primeiros habitantes da terra, lembrando nas lendas e nas fabulas. Possuia Leopardi um immenso, desmedido e insolente desejo de gloria; orgulhava-se de ser italiano, e, nos jogos infantis e nos estudos, demonstrava uma virilidade guerreira de propositos que nunca foi mortificada pelo pessimismo philosophico ou pela doença. O FRENESI DE QUERER SABER Era tão grande e violento o seu desejo de saber que se entregou, durante sete longos annos, a um “estudo louco”, prejudicando enormemente a sua saude, que ficou abalada para o 5 In O Jornal. Rio de Janeiro, 23 de julho de 1937. http://memoria.bn.br/DocReader/110523_03/39273. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Di Lorenzo, p. 33-36 resto da sua vida. Aos vinte annos tinha as costas curvadas, o rosto descarnado e olhos vermelhos, causando compaixão aos bons e escarneo e morfa aos perversos. No emtanto, ninguem, como Giacomo Leopardi, sentiu a belleza da juventude e o prazer de viver. Sonhava com as épocas heroicas, quando os guerreiros e os poetas amavam naturalmente a patria, combatendo com forças viris e virtudes de espirito sem igual. Sentia renascer o seu amor, com o mesmo impeto com que desabrocha um rebento, na primavera, ao tornar a ver sua prima Gertrude Cassi, mulher formosa e de olhar ardente; ao encontrar pela rua as jovens do povo: as moças Belardinelli e Brini, ou ao ouvir o canto da tecelã Thereza Fattorini. MAE EXCESSIVAMENTE AUSTERA Não conheceu o sorriso de mãe: a sua, a condessa Adelaide Antici, era austera em demasia, preocupando-se unicamente com inexorável avareza, em restaura o patrimonio dos Leopardi, governando a familia como num convento ou num quartel, sem o menor carinho, sem a menor ternura. Recanati, depois de suas longas conversas com os poetas e com os philosophos das épocas passadas, pareceu-lhes uma: “povoação selvagem”, onde não se podia viver; e a sua casa (quando começou a sentir o amor pela patria, através da leitura dos feitos heroicos dos romanos, cantados pelos poetas italianos desde Petrarcha até Foscolo, a exaltar uma Italia livre e unida e novamente soberana), tornou-se-lhe dura, como uma prisão ou um desterro. Encontrava conforto sómente nas cartas de Pedro Giordani, insigne literato clássico e patriota magnânimo. A PRECOCIDADE EXCEPCIONAL Até aos 17 annos, escreveu estudos de philologia, verdadeiramente prodigiosos, não por serem obra de um adolescente, mas pela revelação do conhecimento profundo que seu autor possuia dos latinos e dos gregos, maiores e menores; desde os séculos mais remotos até á época da decadencia desses dois grandes povos da antiguidade. Depois dos 17 annos, seus escriptos tornam-se philosophicos, e dia a dia, mais profundos e arduos, pelo desejo que o impellia a conhecer a origem e o porque das coisas. No emtanto, infatuado com as poesias de Parini, Alfieri, Monti e Foscolo e com a poesia de 1600, de Chiabrara, Testi, Guidi e Petrarcha, escreveu as canções “All’Italia” e “Nel monumento di Dante”, a constituir um grito de revolta e de incitação para os italianos que, depois da quéda de Napoleão, voltaram a ser de novo escravos de príncipes manobrados pelo estrangeiro. Sentindo-se, pois, como um prisioneiro nessa “povoação” e nessa casa, entre homens de espirito atrasado e desanimado pelas duvidas que lhe suscitavam as especulações philosophicas, a tornar-lhe a existencia supremamente dramatica, tentou fugir da casa paterna. Descobertos, porem, os seus preparativos, nesse sentido, não o deixaram partir. UMA ALMA PERTURBADA Sómente em 1822 obteve a permissão paterna e installou-se em Roma. Seu espirito, porém, transtornado pela philosophia, não ficou satisfeito nessa cidade, preferindo, pouco depois, voltar á sua aldeia. Leopardi iniciara seus estudos de philosophia e continuava a tomar nota de seus pensamentos, num livro que chamou “Zibaldoni”, procurando coordenar, então, as idéas, não propriamente num systema, mas em diversos capitulos, versados sobre a natureza e o homem; sobre os antigos e os modernos; sobre o amor e a felicidade, e, principalmente, sobre os Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Di Lorenzo, p. 33-36 34 problemas fixados pelos philosophos italianos, desde Bruno e Campanella até Vico, e pelos philosophos estrangeiros, sobretudo os francezes, desde Montaigne, Cartesio, Pascal, até Montesquieu e Rosseau e aos materialistas e ideólogos Holbach, Cabanis, Destutt e Trecy. Não possuindo, porém, uma verdadeira vocação philosophica, não soube resolver as antitheses entre a natureza e a razão, a natureza e a historia e a natureza e o espirito. De inicio, julgou a natureza como uma mãe benigna e verdadeira deusa para, depois, consideral-a hostil aos homens e um verdadeiro demonio. PROCURANDO A CAUSA DA DECADENCIA Comparando as épocas antigas, que constituíram a juventude do genero humano, com os tempos modernos, acreditou haver descoberto a causa da decadencia, na pesquisa scientifica, procurando demonstrar que “justiça, virtude, gloria e a propria patria, são illusões caras e sobrehumanas”. Pois bem, emquanto especulava dessa fórma, das canções patrióticas, em estrophes oratórias, passou a escrever, em 1822, os hymnos aos “Patriarchas” e á “Primavera” e os cantos de “Bruto Minori” e de “Sapho”. Entre 1919 a 1820, já havia escripto alguns idyllios, a saber “O infinito”, “A noite de dia de festa”, “A lua”, “O sonho”, etc. Na vida solitaria que levava, conseguira crear a lyrica que lhe pareceu faltasse á Italia, depois do silencio de Petrarcha, chegando a imprimir á palavra a virtude magica da evocação, nas pausas e na synthese do verso e da estrofe, á moda dos gregos. A VERSALIDADE DE LEOPARDI De volta a Recanati, a sua sofreguidão philosphica pareceu exaurir-se nos novos pensamentos e projectos. Chegou até a imaginar que um governo despotico restaurasse o sentimento de patria e as virtudes naturaes, reeducando as almas ao sacrifício e ao heroismo. As novas paginas de “Zibaldoni” foram-se tornando mais raras e, enfim, em 1824, para se livrar do seu fardel de philosophia, escreveu com singular prazer de creador, as “Operetas moraes”, onde seus pensamentos, seus sentimentos e até sua propria vida, são transfigurados em “sonhos poeticos”, visões e caprichos melancólicos, que lhe foram suggeridos, talvez, pelos prosadores gregos Boccalini, Chiabara e Collenuccio. Constituem esses “sonhos poeticos” materia inteiramente inedita e estranha para a literatura italiana e estrangeira, porque seu autor tornou cada historia ou dialogo, ou fantasia, ou idéa, com feliz ironia lyrica, um puro jogo de espirito. Sua prosa muito varia, de accordo com os diversos themas fantasiosos, a hábil mistura de palavras antigas, absolutamente peregrina, com os termos populares, a impressão de que Leopardi foi subjugado de começo até ao fim, por uma musica arcana, dão a essa producção literaria um cunho absolutamente inconfundivel. MILÃO, BOLONHA, FLORENÇA E PISA Durante algum tempo, Leopardi deixou de escrever. Partindo de Recanati, seguiu para Milão, onde compilou “Crestomazie” e publicou as “Rime” de Petrarcha, com novos commentarios, para o editor Stella. Seguiu depois, para Bolonha, Florença e Pisa, cada vez mais doente e desesperado pela noção, que tinha inteira, de sua mocidade perdida. Só mais tarde, em 1828, sentiu de novo em seu coração o desejo de externar seu sentimento em cantos. Nasceram, assim os grandes idyllios “A Silvia”, “Ricordi”, “Il canto noturno di uno pastore”, etc. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Di Lorenzo, p. 33-36 35 “A calma depois da tempestade” e “Sabbado na aldeia” são lyricas nas quaes elle exprime seus sentimentos, sua nostalgia de exilado de um mundo que foi e é bello; seus encantos pela belleza natural e pelo amor legreno, apesar dos desengano padecidos; sua tristeza pela caducidade das coisas, pela separação dos que se amam; pelos écos de gloria no silencio dos seculos e pelo prazer que causa o sereno após a tempestade, e finalmente, pela esperança no futuro, que é propria de todo o homem, quaisquer que sejam suas idéas philosophicas. Arte prodigiosa, a sua, a dar potencia qualidicadora á palavra, na synthese do espirito, que se torna synthese métrica; a transfigurar, numa luz de mytho, as scenas da praça, das ruas e das casas; a exhibir o espectaculo da vida humana, da sua pequena Recanati e de alhures. A ULTIMA ILLUSÃO AMOROSA Alguns annos depois, em Florença, teve a illusão de ser amado por uma mulher nobre e formosa: Fanny Torgioni Fozzetti. O seu engano, porém não tardou a vir e pareceu-lhe uma perfídia innominavel. Essa nova dôr aumentou-lhe os soffrimentos physicos e tornou-lhe mais dura a pobreza em que se encontrava, afastado da casa paterna. O canto não lhe amenizou a tortura que lhe ia na alma. Pelo contrario, exacerbou-lhe o espirito, que lhe dictou “Aspasia”, um tremendo libello contra as mulheres em geral e contra aquella que fôra a causa de sua desdita, em particular. Viveu, desde então, com um amigo napolitano, occupando-se com os themas políticos e philosophicos, não porém, para desenvolvel-os, com a arte de literato mais maduro, mas para cantal-os com a sua nova inglenagem poética, em que se evidenciava, como no “Ecclesiaste”, a sua convicção acerca da cruel indifferença da natureza com relação á raça humana. A ironia e o sarcasmo contra os crentes encontram expressões primorosas chegando a incitar, como em “Ginestra”, os homens para uma confederação no amor, e a vaticinar, numa oitava de “Paralipomeni”, o renascimento da Italia, pela terceira vez soberana. Depois, encontrou na morte a paz que de há muito invocava. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Di Lorenzo, p. 33-36 36 AMORES DE LEOPARDI6 Celso Vieira Os italianos do Rio celebram a 29 de junho, dia do nascimento de Leopardi, o primeiro centenario de sua morte, ocorrida em 14 de junho de 1837. Quase devemos falar do primeiro centenario das suas nupcias, porque Leopardi foi bem o noivo da morte, em cujo seio de virgem, como elle proprio idealisava, mergulhou serenamente o rosto adormecido. Mas foi no mesmo tempo o amante glorioso da Italia, opprimida pelo estrangeiro, mutilada pelas ambições. Os italianos do “Risorgimento”, decorando-lhe os versos heroicos, onde estrugiam clarins para o assalto e para o triumpho, marcialmente gritavam: - “...con Leopardi alla guerra”. E o bravo Alessandro Poerio, que lutou e caiu, ensanguentado, no campo de Mestre, batendo-se contra os dominadores austriacos, exaltou-lhe a ira das canções, o fogo dos hymnos ressoantes de armas vingadoras: Ed oh che santa caritá ti prese De la nativa terra! E oh come irato il carme Con ímpeto di guerra Suonó vendeta ed arme! A inspiração leopardiana, capaz de accender no peito dos soldados o estro guerreiro, demonstra que o pessimismo não exclue o patriotismo. Teria o genio de Leopardi, porém, a humana experiencia de outros amores vibráteis, afóra o da patria e o da morte? Antonio Ranieri, o melhor dos seus amigos noticiando-lhe a vida e os costumes, disse textualmente que esse homem levou intacta a flor da sua virgindade para a sepultura. Se o testemunho é fidedigno, Leopardi resume assim o ideal positivista do noivo castissimo nos braços gelados e espectraes da morte, que elle denominava “bellissima fanciulla, dolce a veder...” Aliás, aos 22 annos de edade, já escrevia o poeta a um amigo bolonhez: “... antes de ter amado, perdia a faculdade mesma de amar; nenhum anjo de belleza e graça conseguiria despertar-me; e a verdade é que eu, jovem como sou, poderia exercer as funções de eunucho num serralho.” Entretanto, parece que os eunuchos e os ascetas, de quando em quando, suspiravam na penumbra do barem ou na verdura do oasis pelas tentações. Ainda em 1830, dez annos depois da sua confidencia, Leopardi cantava, apaixonadamente, a irradiação da belleza tyrannica de “Aspasia”, ou melhor, de Fanny Ronchivecchi, adorada pelo genio como Beatriz por Dante, num templo da mesma cidade – Florença. Schopenhauer, Byron e Leopardi foram os tres maiores pessimistas da raça branca. Negaram a divindade e a felicidade ou apenas conceberam o tremendo imperio do mal, entre o acaso e o erro, a dór e o tedio. Impelliram os homens nas suas estrophes ou nos seus aforismos para o nada. Maldisseram as fórmas da existencia e as leis do Universo. No entanto, por uma dessas incoherencias humanas, tão frequente e notorias, tão divulgadas e repetidas, ninguem adorou mais do que elles o outro sexo, fonte de precreação, a mesma fonte envenenada nos livros pelo seu pessimismo. Byron e Schopenhauer viveram como dois gozadores, sorriram como dois ironistas; contraditoriamente, do proprio santanismo desolador ou do proprio ascetismo infecundo. Ambos tiveram bellas amantes e proliferaram. “Quanto mais vejo os homens (affirmava Byron), menos gosto delles; feliz seria eu, se outro tanto pudesse dizer das mulheres.” Cultivando o mesmo pedaço do Eden, onde a natureza frutifica, sem cessar, para optimistas e pessimistas, Schopenhauer não se cansava de repetir a phrase byroniana. Giacomo Leopardi, porém, conheceu apenas do amor o pressentimento, o devaneio, o sonho irrealisavel: mulheres amadas 6 In A Noite. Rio de Janeiro, 02 de julho de 1937. http://memoria.bn.br/DocReader/348970_03/45325. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Vieira, p. 37-38 por elle recunditamente, em silencio e tristeza, foram motivos sonoros de imprecações ou de elegias. Nada mais. Uma dellas, Geltrude Cassi-Lazzari, perpassou em Recanati, de 11 a 14 de dezembro de 1817, e sugeriu a Leopardi, só porque se hospedara tres dias em casa da família deste, a melodiosa composição: “Dove son? dove fui? che m’addolora?” Duas outras, Teresa Fattorini e Maria Belardinelli, meninas do povo, “due povere diavole”, segundo escreveu o irmão do poeta, nunca suspeitariam desse amor, que as remirava, de longe, e que as transfigurou em duas imagens celestiaes da poesia italiana, Silvia e Nerina. Até as paixões menos abstractas, mas violentamente acerbas pela condessa Teresa Cariani-Malvezzi e pela senhora Fanny Ronchivecchi, não deram a Leopardi um só instante de orgulho satisfeito e de posse tranquilla. Doente, pobre, corcunda e, além do mais, erudito, e acima de tudo genial, foi elle para as damas de Recanati, de Milão e de Florença um homunculo inexpressivo e desinteressante. Por isso, queixou-se muitas vezes da perversidade feminina – “la scelleratezza delle donne”: “Se eu tivesse dinheiro e poder, o que é impossivel, por me faltarem muitos vícios, as mulheres não deixariam de me preferir. Na minha situação, porém, desprezado e escarnecido por toda a gente, não tenho merito algum para obter os seus favores.” A unica vingança do poeta contra semelhante desdém, conforme se lê no final de “Aspasia”, era quedar-se estendo sobre a relva dos prados, olhar os mares, a terra, o céo azul da Italia, e sorrir. Extaticamente olhar, angelicamente sorrir com aquelle ineffavel sorriso, que transluzia no seu rachitismo, na sua pallidez. Um sorriso da gloria, amante secular e fiel de Leopardi, quando milhares de homens se afadigam por ella, em vão, suspirando como o artista maravilhoso, em Recanati, a ouvir da janella o perpetuo e fugidio canto de Silvia. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Vieira, p. 38-39 38 GIACOMO LEOPARDI NO 1º CENTENÁRIO DE SUA MORTE7 Leonardo Mascello Commemora-se neste anno, nas principaes cidades da Italia e do mundo civilizado, o primeiro centenário da morte de Giacomo Leopardi nascido em Recanati (Italia), em 29 de junho de 1798, e fallecido em Napoles, na casa de Antonio Ranieri, com apenas 39 annos de idade, em 14 de junho de 1837. Seus paes foram o conde Monaldo Leopardi e a marquesa Adelaide Antici; ambos fidalgos, ricos; mas de índole e temperamento diferentes. O conde era um gentilhomem correcto, clerical intraassigente; mediocremente culto, autor de tragédias, tratados de economia de memorias historicas; e bibliófilo apaixonado. Catholico, muito devoto súbdito do Papa, sua maior ambição era dar um filho á Egre[ja] e porisso deseja que o seu primogenito, Giacomo, se encaminhasse pela carreira ecclesiastica e abraçasse o estado sacerdotal. Mas, apezar de não ter conseguido realizar esta aspiração, nem por isso deixou de estimar e proteger, a seu modo, o seu querido filho, cuja intelligencia e saber admirava, apesar de não lhe aprovar as idéas liberaes e as poesias inspiradas no mais singelo e ardente patriotismo. Administrador desastrado e perdulário, teve que em boa hora entregar a gerencia de seus negócios e haveres á sua esposa; e esta, na difficil faina de salvar o patrimônio da familia, foi obrigada a empreender um regimen de rigorosas economias, que a tornavam pouco sympathica aos seus filhos e ao marido. Era uma senhora grave, muito piedosa; mas austera e intransigente quanto á educação moral e religiosa de seus filhos, aos quaes raramente proporcionava demonstrações de carinho e de amizade. Amava-os a seu modo; mas os filhos não a amavam. Quanto ao seu primogenito, queria-lhe como aos outros (Carlos, Luis, Paulina); desejava muito vel-o, um dia, padre, mas não o compreendeu nunca. A sua intelligencia pouco desenvolvida e destituída de qualquer cultura literária; seu apego ferrenho ao regimen theocratico; o horror ás novidades politicas, tornavam-na desconfiada e contraria aos prodigiosos progressos, ás brilhantes manifestações, á assombrosa precocidade do engenho de Giacomo; pois achava ella que as letras, os estudos, o amor á liberdade e a amizade dos patriotas, muito haviam de prejudicar o futuro de seu filho. Entretanto o conde Monaldo, já livre dos cuidados da administração do patrimônio familiar, podia dedicar-se á educação litteraria e física de seus filhos. Gostavam estes do pae; com elle brincavam, nas horas vagas, no jardim do palácio paterno; ou executavam seus exercícios de gymnastica. Giacomo era quem sempre representava o heroe, ou protagonista, nas batalhas e luctas organizadas entre os filhos de Monaldo e os garotos da vizinhança. Até a edade de onze annos gozou elle optima saude; e ia crescendo regularmente sem graves molestias e defeitos phisicos, adeantando-se extraordinariamente em seus estudos, aprendendo sozinho diversos idiomas, traduzindo os classicos gregos e latinos, compondo tragédias e poemas, escrevendo ensaios e commentarios. Pouco lhe valeram os ensinamentos do padre Sanchini. Leopardi foi um auto-didacta. Estudou e aprendeu por si; formou-se e completou a sua educação litteraria e artística pelo estudo aturado dos grandes autores, cujas obras lia e meditava na riquíssima bibliotheca paterna. Foi um exemplo assombroso de precocidade. Com pouco mais de dez annos imitava perfeitamente os autores gregos; aos doze annos já traduzira em versos os dois primeiros livros das odes de Horacio; aprendeu sem mestre a lingua hebraica e a francesa; compoz e publicou um trecho litterario em grego, dizendo que era um fragmento de Porphyrio encontrado na 7 In Revista Beira-mar. Rio de Janeiro, 15 de novembro de 1937. http://memoria.bn.br/DocReader/067822/5938. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Mascello, p. 39-44 bibliotheca do pae. Aos vinte annos já era um mestre especialista na sciencia da antiguidade e na philologia classica. Esses estudos aturados foram aos poucos minando a sua saude e deformando o seu organismo, que ficou completamente arruinado depois de sete annos de estudo assiduo, exhausto, doloroso e desesperado. Aponderara-se delle uma extranha ansiedade, uma fome implacavel de sciencia e de saber. Passava dias e noites a fio a escrever, meditar ou compor, compulsando pesados volumes in-folio que elle manejava a custo, pois nem forças tinha para tiral os das estantes e repol-os nas prateleiras. Mas á medida que a sua saude ia perecendo e o seu organismo se deformando, iam-se corporificando e crystalizando em obras primas de poesia os fulgores da sua intelligencia e as dolorosas visões da sua alma sonhadora. O POETA Duas são as características desse jovem tão rico de sensibilidade e de energia volitiva: a ambição e o amor. “Quero antes ser grande e infeliz do que viver muito sem gloria”, confessou elle numa carta a um amigo. Ao seu grande amor á gloria á grandeza, conseguiu satisfazel-o em parte mediante annos e annos de estudos, applicação assidua e leituras; e pela interpretação dos classicos e filosofos antigos e modernos, como já dissemos. Mas não foi bem succedido nos amores; e não podia sel-o, faltando-lhe os principaes atributos phisicos que, geralmente, seduzem e conquistam a alma feminina. Estudando as empresas e os feitos dos antigos Romanos, dos maiores vultos da renascença, e sobretudo os monumentos e as obras primas da literatura italiana, os poemas de Dante, Ariosto, Tasso, Alfieri; assim como os immortaes monumentos de arte, onde refulge o genio da raça latina, sentia-se tomado de uma grande exaltação patriotica. Entretanto as condições politicas da Italia, no primeiro quartel do seculo XIX, eram de confusão e pavor. As hordas napoleonicas acabavam de invadir a peninsula e, com o pretexto de libertar os povos, iam saqueando as cidades, espoliando os museus e extorquindo grandes quantias de dinheiro aos municípios e ás famílias ricas. A victoria dos exercitos francezes em Marengo (14 de junho de 1800) entregára a Italia toda ao poder de Napoleão e de suas soldadescas. A cidade de Recanati, onde residia a familia Leopardi, foi tambem, como tantas outras, invadida e onerada com graves tributos e contribuições de guerra. O conde Monaldo teve que fugir e por-se a salvo, com a mulher e os filhos, numa casa de campo. Em 1812 a derrota completa dos franceses na Russia impressionou profundamente o espirito do adolescente Giacomo Leopardi, que contava então quatorze annos de edade. E’ que nas estepes geladas daquelle immenso paiz caíram aos milhares os soldados italianos, que faziam parte dos exercitos de Napoleão; caíram em terra extranha, por uma causa extranha, longe da familia, e sem nenhum proveito para a sua patria. Grande, portanto, foi a indignação dos patriotas italianos contra a megalomania de Bonaparte, que ensanguentava a Europa e sacrificava tantas vidas humanas aos seus sonhos de grandeza. Essa indignação repercutiu dolorosamente na vasta alma do jovem Leopardi, exaltada, como já notamos, pelas leituras historicas das empresas militares e das façanhas epicas dos antigos heroes nacionais. Foi assim que elle começou a sentir o dever de agir, de fazer alguma cousa em beneficio da patria opprimida e depredada; e não podendo a ella sacrificar a sua vida como soldado, tendo já perdido o vigor e a saude do corpo, quis dedicar-lhe o fulgor de seu genio poético, cantando em versos inflammados as glorias da Italia antiga, as miserias presentes e as esperanças numa revolução redemptora dos italianos. As canções “All’Italia”, “Per il monumento di Dante”, são inspiradas no amor de patria, numa ardente aspiração de ver os italianos acordar e, cônscios de sua antiga grandeza e das glorias de seus antepassados, pegarem em armas em defesa e pela liberdade de sua nação. Celebre é o trecho da primeira dessas poesias; em que o poeta descreve a batalha das Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Mascello, p. 39-44 40 Thermopilas e o heroísmo dos trezentos espartanos, chefiados por Leonidas que cairam todos victimas da superioridade numérica das hordas de Xérxes. Leopardi não amou somente a patria; amou tambem muitas criaturas femininas, das quaes não foi correspondido; e por isso soffreu muito durante os breves annos da sua infeliz existencia. A primeira mulher que lhe inspirou um vivo sentimento de sympathia amorosa, que não chegou a ser paixão, foi Gertrudes Cassi, casada com um homem pacifico, e prima do poeta. Esta senhora representava plasticamente uma dessas formosas criaturas femininas de feições delicadas, de olhos sonhadores e nostalgicos, que tanto nos encantam nos quadros de Ticiano ou de Rubens. O adolescente Giacomo, que por esse tempo vestia a batina de clerigo, ficou como que atordoado por esta meiga e benigna senhora, e durante os tres dias que ella passou em Recanati, hospede de familia Leopardi, teve momento e horas de extase e tormento que elle descreve numa elegia, intitulada “Il primo amore”. Mas a bella e giunonica Gertrudes nem se quer chegou a suspeitar da paixão que ia inspirando ao pobre Giacomino. Pobre Leopardi! Além de uma intelligencia vasta, possuia um coração sensível, um temperamento erotico em alto gráo, um immenso desejo de amar e ser amado. E tudo isto num misero corpo deforme, sem saude, sem viço, sem vigor, sem elegância! E’ porisso que o erotismo congenito desse grande poeta representa um caso singular de infelicidade incuravel. Outros homens de genio, poetas filósofos ou guerreiros, tiveram a desdita de ser feios, de causar repugnancia ás mulheres, como Dante, Socrates, Tirteo, Verlaine, etc.; mas a nenhum delles coube a desgraça de possuir um coração tão rico de sentimento, tão inflamnado de amor, tão faminto e sedento de felicidade, e de ser ao mesmo tempo tão cruelmente repellido e até escarnecido pelas pessoas amadas. Não incriminamos com isto as tantas criaturas femininas, admiradoras de Giacomo Leopardi, que acceitaram suas homenagens e repeliram o seu amor. Eram mulheres. E o poeta, mesmo com a sua vasta e fulgurante intelligencia, a sua cultura assombrosa e a delicadeza do seu espirito, não passava, para os effeitos do amor phisico, de um pobre corcunda, feio e doente, com uma expressão de velho, ou melhor, de menino envelhecido. Pobre Leopardi! E’ nisso que consiste o martyrio secreto da sua grande alma, a tragedia singular e intima da sua breve e atribulada existencia. Elle proprio conheceu a sua irreparavel desgraça, desde que vio, aos dezenove annos de edade, completamente arruinada a sua saude, deformado o seu corpo; e sentiu-se como que bannido, lançado fóra do mundo, condemnado pela natureza, tantalizado pelo destino. Refugiou-se então na fulgida e benigna irrealidade do sonho e da imaginação. E creou o seu mundo lyrico; a sua poesia divinamente casta e musical; immortalizando com a magia da sua arte inimitavel as creaturas amadas. Silvia, Nerina, Elvira, Aspasia, esplendem, nos cantos do cisne de Recanati, de uma luz begnigna, alireoladas de innocencia e piedade. E’ na sua poesia, no seu mundo interior, mais vivo e real do que a propria realidade, que o poeta, afinal, póde dar largas á onda lyrica e ardente do seu sentimento, das suas magoas e do seu desespero. Evoca com a arte potente da sua imaginação creadora e de seu estylo perfeito, as mulheres amadas, atingidas, como elle, pela fúria de um destino impiedoso; que feneceram miseramente, na flor da edade, ceifadas por uma morte prematura. E com ellas relembra as esperanças, os sonhos ridentes de um passado já morto, da mocidade longínqua, dos enganos da natureza, da ironia do destino. E suas magoas intimas, seus queixumes, saudades, illusões e desilusões; tudo isto, vazado em versos crystallinos, fluidos, harmoniosos, causa-nos frêmitos de emoção e de sympathia; consonancias psychicas, consensos fervidos e vibrantes. E quando elle chora, confiando ás criaturas irracionaes, que lhe parecem mais amigas e compassivas do que os homens, a sua desolação, o seu intimo desespero; quando se dirige á lua, ás estrellas, ao firmamento, em gritos lancinantes, contanto-lhes o seu martyrio occulto, a Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Mascello, p. 39-44 41 imensa desgraça de se ver sosinho no mundo, sem amor, sem crença, sem saude, sem esperança nenhuma, sentimo-nos tomados de uma irresistivel vontade de chorar e de imprecar... “Sylvia, diz o poeta num idyllio delicioso e delicado, que é uma obra prima, lembrate ainda do tempo da tua vida mortal, quando a belleza fulgia em teus olhos ridentes e fugitivos, e tu, alegre e pensativa, transpunhas o limiar da tua juventude? Sonorizava teu perpetuo canto os quietos aposentos da tua casa e as ruas vizinhas, quando tu, occupada em teus trabalhos femininos, sorrias satisfeita para as vagas esperanças de um venturoso porvir. Assim, pois, emquanto maio enchia de perfumes a terra, tu passavas o dia todo a trabalhar cantando.” E continua evocando saudosamente os tempos e annos longinquos da sua primeira adolescencia, os sonhos, as esperanças, as aspirações daquella edade feliz, quando da varanda do palacio paterno escutava attento o som de uma innocente donzella que nem sequer viu desabrochar a flor da sua mocidade. “Olhava o céo sereno, as ruas e as hortas fulgindo ao sol; alongava a vista para o mar longinguo e para o monte”; e o coração se lhe enchia de esperanças e de um delicioso tumulto. Ai! como tudo isto desappareceu de pressa! A’s primeiras rajadas do inverno Sylvia, protrada por morbo incuravel, succumbe, a pobre, innocente criatura; e com ella cahem mortas as esperanças do poeta. “Tu dormes – grita o infeliz e apaixonado amante, numa outra lyrica estupenda (A noite de um dia de festa) – em teus quietos aposentos; e já não sabes, já não pensas na horrivel ferida que abriste em meu peito!” A antiga e já gasta imagem da corça a fugir, levando cravada na ilharga a setta mortifera com que a traspassou o caçador, retrata a sorte infeliz do jovem Leopardi destinado a soffrer, a soffrer sem esperança, as torturas de seus amores repellidos ou desprezados. “Oh! Nerina – soluça desesperadamente em “Le Ricordanze” – onde estás, que já não oiço cantar a tua voz, como fazias outrora, quando toda a qualquer palavra ou accento da tua boca me fazia einpallidecer? Ai! Passaste; rapidos passaram teus dias, meu doce amor; e como um sonho foi-se a tua vida. Mas ainda vive em meu coração o antigo amor... “Quando volta maio e com flores e cantos brindam os namorados as suas amadas, eu digo “Nerina, meu doce amor, já não verás mais reflorir a primavera; já não poderás mais amar...” Mas, embora seja o amor o motivo principal da lyrica leopardiana, comtudo outros motivos deparmos, ali, intimamente ligados á infelicidade do poeta e á sua maneira de conceber e sentir as paixões, a vida humana e a natureza. O seu descontentamento e repugnancia á realidade actual levam-no a procurar e saborear as vagas visões do passado, os sonhos ridentes da infancia longinqua. As recordações tem para elle um encanto saudoso, irresistivel. E’ doce para o seu coração a lembrança dos enganos; das esperanças, dos sonhos feitos outrora, apesar de já desapparecidos para sempre. Acha bom recordar até os soffrimentos passados e contar os annos da sua infelicidade (Alla luna). Não ha peior desgosto para elle do que a realidade, o presente brutal, atono e inerte, contra o qual se chocam e se desfazem as iriantes idealidades do sonho e da imaginação. E por um fenômeno de objectivação elle vê em todos os seres, e principalmente nas creaturas humanas, a sua propria infelicidade e miséria; e lastima, em si proprio, a desgraça de todos; e chega até invejar a sorte dos animaes brutos, porque não tem consciencia dos perigos que os ameaçam, não conhecem as torturas da duvida e o tedio da existencia (Il canto notturno di un pastore). Mas o homem soffre, é um infeliz; é como um pobre velho esfarrapado sobre os hombros, que anda ao vento, á chuva, ás tempestades, por valles e montes, sem descanço, sem tregua, até que chega á beira do abysmo, onde, precipitando miseramente perece. Aquillo a que os homens chamam prazer, é filho da angustia; é uma ephemera cessação do soffrimento. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Mascello, p. 39-44 42 Todos os homens, todas as criaturas são infelizes; a vida é lucta, desillusão, desespero. Os elementos da natureza, o frio, o calor, os ventos, as tempestades, o raio, os terremotos, tudo conspira contra a felicidade humana. E o mundo é lama. Eis por que o poeta ama a solidão. E’ na solidão que a sua alma se expande e seu canto ecôa sonorizando o ambiente. O poeta faz como a cotovia; edifica seu ninho no chão, mas, para cantar, ergue-se verticalmente ás alturas crystallinas dos espaços, de onde desfia no ar um melodioso colar de liquidas perdas sonoras; faz como o rouxinol que só canta em logares solitários: “Canta alle solitudini soltanto” (Pascoli). A todas as aves o nosso poeta prefere o passaro solitario, que fugindo ás revoadas, aos divertimentos e folias dos outros alados, canta sosinho, num recanto apartado; e assim vae gastando a flor da sua edade (Il passero solitario). Assim tambem o poeta só pode falar com o seu mundo interior, só pode evocar as criatura immortaes da sua arte e da sua paixão, longe das multidões e do profunum vulgus a quem Horacio odiava. E todas as almas de eleição, que sabem pensar e possuem uma personalidade, tem horror á vida collectiva, ao tumulto das praças e ás effervescencias do frevo. A’ medida que o poeta se afasta da multidão e do reboliço do mundo, vae desenvolvendo a sua vida terior, que é mais rica e variada do que a realidade. Assim, pois, é o sonho, ou antes, são os sonhos e as chimeras, que constituem a riqueza ideal do poeta, como canta Rodolfo na Bohéme: Per sogni e per chimere, E per Castelli ni aria L’anima ho milionária! E’ pelo instincto incoercível da felicidade, que o homem, em geral, é infeliz neste mundo; portanto, não encontrando elle a felicidade em parte nenhuma, vae plasmando, no mundo da sua imaginação, as illusões seductoras, as apparencias e os acasos venturosos, que não se realizarão nunca! Entretanto nem ao menos a felicidade das illusões, nem ao menos o consolo de acreditar na possibilidade de um porvir sereno, de um amanhã mais calma e tranquillo, coube ao desventurado poeta de Recanati. Cantou elle, é verdade, admiravelmente, os enganos pacificadores, as benignas illusões dos homens; elle porém jamais, ou apenas por breves instantes e raros momentos, deixou-se iludir. E bem cedo teve que dolorosamente constatar que não só estava morta, em seu coração, qualquer esperança, como tambem qualquer desejo de felicidade (A se stesso). “Agora, diz elle ao seu coração, descansarás para sempre, pois morreu o ultimo engano; estancou em nós não só a esperança, mas até a saudade e o desejo das illusões queridas”. Todavia existe para os desgraçados um certo consolo no auge de seu desespero: Una salus victis nullam sperare salutem, diz Vergilio no canto II da sua Eneida immortal. Para os vencidos há um consolo: deixar de esperar, desistir, entregar-se. O nosso Leopardi encontrava algum allivio para seus males na meditação da miseria humana, na contemplação do infinito, na fria constatação da nullidade de todas as cousas: “l’infinita vanitá del tutto.” “Sempre gostei, diz o poeta numa breve mas formidavel lyrica, desta colina solitaria e desta sebe que me impede a vista do extremo horizonte. No entanto, aqui sentado, vou imaginando, além, interminaveis espaços e silêncios sobrehumanos e uma immobilidade absoluta; e meu coração quase desfallece de medo. E quando oiço o murmurio do vento perpassando entre estas plantas, eu vou comparando a esta voz aquelle infinito silencio; e penso na eternidade, nas éras mortas e na época actual com seus breves anseios. Assim nesta immensidade mergulha a minha mente, e doce é para mim naufragar neste oceano.” Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Mascello, p. 39-44 43 CANTO E MUSICA A poesia de Giacomo Leopardi não é somente canto, expansão lyrica; mas é tambem melodia suave, musica admiravel. Elle é um artista, cujo sentidos são dotados de uma sensibilidade quasi morbosa, devido, talvez, ás suas condições de saude precarias, pois é sabido que genio, doença e loucura, são phenomenos inter-dependentes e relacionados um com o outro. Em Leopardi a vida psycho-somatica quasi que concentrou-se nas faculdades de pensar, imaginar e sentir. Alimentava-se pouco, dormia mal, era casto, sedentario, dispeptico. E assim como os cegos possuem ouvido e tacto apuradissimos e percebem com facilidade as mais leves e rapidas vibrações acústicas e impressões tácteis, assim o nosso Leopardi, doente, enfezado, raquitico, era como um gong, vibrando em amplas e harmoniosas resonancias a qualquer impressão que ferisse a sua sensibilidade. A sua vista era escassa, fraca; e é porisso que raras são as descripções de phenomenos opticos e prospepticos nas suas poesias. A maior parte de suas impressões e imagens não se referem ás côres, matizes e nuances dos phenomenos naturaes que o interessam; mas aos sons, ás vozes e rumores das cousas, do vento, da chuva, da tempestade; aos cantos de almas femininas, das aves; á harmonia ampla e polyphonica da primavera que sonoriza os valles, os bosques e o ar. O que mais o emociona e interessa na natureza, são as variadas melodias esparsas das criaturas e dos elementos. Nada lhe escapa a este respeito. As ondeantes vibrações sonoras que o vento traz de longe, dos sinos das egrejas, das torres e dos campanários; o coaxar monótono das rãs longinquas pelos campos; o tamborilar da chuva sobre as venezianas pelas madrugadas do outomno; o canto nocturno, nas ruas desertas da cidade, que vae morrendo lentamente ao longe; o grito estridulo das andorinhas madrugadoras, que saudam o novo dia; o surdo murmúrio do vento perpassando entre as ramagens, farfalhando pelo arvoredo; o mugido dos bois syntonizado com o balar dos rebanhos; o canto das donzelas occupadas nos trabalhos domésticos ou regressando dos campos ao entardecer; tudo isto vibra melodiosamente na poesia do nosso Leopardi, cuja alma eminentemente lyrica, só achava algum descanso, quando mergulhava na contemplação do infinito, na irrealidade do sonho. Nada, porém, emocionava tanto o nosso poeta como o canto solitario de uma joven simples e confiante nas promessas fementidas da mocidade e da natureza. E’ que elle sentia o encanto irresistivel da voz humana, a mysteriosa potencia da musica, que é a linguagem mais vaga, e ao mesmo tempo a mais immeditta da paixão e do sentimento. No canto de uma virgem, parece-nos ouvir a aspiração espontânea de uma alma ingenua, que se abandona ás seducções da esperança e ás miragens vagas do porvir. Musica, doce musica! Faltou, como já acenamos de passagem, o consolo e o conforto da fé ao infeliz cantor de Recanati. Não acreditava na providencia divina, na vida futura e na immortalidade da alma; e, apezar disto, foi um homem forte; teve a coragem de viver, de trabalhar, de soffrer com paciência; e sobretudo conservouse puro em seus costumes, correcto e pudico em seus escriptos, nobre e generoso em seus sentimentos. Morreu em Napoles, com 39 annos de edade, em 14 de junho de 1837, assistido até o seu ultimo respiro pelos amigos Antonio e Paulina Ranieri, irmãos, em cuja residência gravemente enfermara. Suas ultimas palavra dirigidas ao amigo Antonio, foram: “Já não te vejo mais”. Quando chegou o padre com os ultimos sacramentos, Giacomo Leopardi acabava de morrer. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Mascello, p. 39-44 44 GIACOMO LEOPARDI8 Júlio Dantas Acaba de comemorar-se, na Academia das Sciencias de Lisboa, o primeiro centenario da morte de um poeta singular, de cuja obra o Romantismo italiano legitimamente se orgulha: Leopardi. São numerosas as figuras literarias que illustram o movimento romântico da Italia ainda invertebrada e inconstituida, mas já a caminho da magnifica unidade moral e politica que, mais tarde, havia de tornal-a, de novo, grande no mundo. Manzoni o novellista insigne de I promessi sposi; Silvio Pellico, que se celebrizou nas paginas commovedoras de Mi Prigioni; Niccolini, o herdeiro de Alfieri e de Hugo Foscolo no vigor pathetico e na eloquencia varonil; o illustre Giusti, um dos maiores poetas populares do seculo XIX, que encarnou a alma italiana nos versos immortaes do Dies Irae; Francesco Guerrazzi, em cuja obra passa o sôpro épico das grandes exaltações patrioticas; Vicente Gioberti, philosopho, politico, inspirador da obra de Cavour, que em Il Primato expressou ardentemente o ideal unitario da Italia; mais tarde, Carducci, o poeta das Odes barbaras, – formam uma pleiade digna das tradições intellectuaes brilhantissimas da Italia medieval e da Italia Renascença. Nenhuma, porém, destas figuras se encontra, passado um seculo, tão viva, tão palpitante no seu interesse não apenas literario, mas humano, como o grande Leopardi, o pessimista do “conformismo ironico” e da “melancolia universal”; o creador da inolvidável personagem de Philippo Ottonieri; o poeta que em Amore e Morte proclamou “la gentilezza del morrir” e em La Ginestra a eternidade voluptuosa do soffrimento; o artista excepcional, emfim, cujos Dialogos renovam, na justa expressão de Aulard – o sorriso triste e enigmático da Gioconda, de Leonardo da Vinci e das bellas cabeças leonardianas da Galeria dos Officios e do Museu de Veneza. A que deve este poeta, da mórbida estirpe de Byron, o privilegio da Juventude? Quanto todos os outros começam a esquecer – Manzoni e os seus epígonos – porque vive elle, porque desperta elle ainda a curiosidade mental do momento que passa? Não póde affirmar-se que Leopardi deva a immortalidade á circumstancia de ser um poeta nacional, animador e obreiro do Rissorgimento, ou um antepassado imperial susceptivel de ser reivindicado como gloria do Fascio. As composições de caracter nacional que deixou odes All’Italia e Sopra il monumento de Dante – parecem-nos frias, artificiaes, classicamente marmóreas, sem o sentimento, a eloquencia, a espontaneidade, a vibração arrebatadora de Guerrazi ou de Giusti. A poesia de Leopardi – diz um critico – não é patriotica quando é sincera, e nunca foi sincera quando quiz ser patriotica. Embora, num artigo recente, Papini pretenda convencer-nos de que Leopardi sobrevive porque é um poeta catholico, - ninguém ignora, nem o proprio Papini, que o poema Saggio sopra gli errori, única peça religiosa do mestre de Recanati, foi escripta na adolescencia, aos 17 annos incompletos, e que o espirito animador de toda a sua restante obra é negativista, insubmisso, ethica e estheticamente pagão. Leopardi nem mesmo póde considerar-se um poeta do amor. Tem, não o contesto, composições lyricas de grande belleza – AMORE E Morte, A te stesso, sobretudo Il sogno, por vezes comparado ao Trionfo della morte, de Petrarcha; mas a sua poesia amora, meramente literaria, não constitue a expressão de jubilos ou de emoções realmente sentidas pelo poeta, mas – ai delle! – a reminiscencia do amor dos outros, mormente dos antigos mestres das letras greco-latinas, que Leopardi sabia de cór. Donde provém, então, o interesse deste romântico superior, que não soube cantar, nem o amor, nem a patria, nem Deus? O que, indiscutivelmente, fez a gloria do autor da Historia do genero humano, de Brutus minor e de Paralipomenos, foi a sinceridade da sua dôr moral e physica, estoicamente supportada, e – mais ainda do que a sua dôr – o sorriso de amarga ironia e de infinita 8 In Correio da Manhã. Rio de Janeiro, 01 de janeiro de 1938. http://memoria.bn.br/DocReader/089842_04/44237. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Dantas, p. 45-46 espiritualidade com que elle soube contal-a ao mundo. Leopardi – psychicamente um rachitico, giboso, enfermo e disforme – assistiu sem viver ao espectaculo deslumbrante da vida, encerrouse na bibliotheca paterna, e, na intimidade dos poetas e dos philosophos da Hellade, do Lácio e da Florença medieval – em cuja olyympica serenidade aprendeu, com os rythmos da belleza, as lições da resignação – pôde affirmar, no fim da vida, que, de cada uma das mais intimas e mais dolorosas fibras do seu coração, fizera uma obra de arte. Os grandes melancolicos do seculo XIX, creadores de typos eternos – Lara, Renato, Werther, Chatterton, Anthony – conceberam o soffrimento como uma attitude literaria e, de certo modo, como a expressão de uma aristocracia intellectual. Leopardi, não. A sua dôr tem um substracto orgânico; criou raizes na miseria de um organismo condemnado a soffrer; concentrou-se, sublimou-se na insociabilidade e no isolamento; e, quando o poeta nol-a transmittiu, no veio de ouro de uma lingua immortal, já não era apenas a dôr de um homem: era a dôr da humanidade inteira. Na mesma hora, ignorando-se mutamente, dois grandes pessimistas, um na Allemanha, outro na Italia, proclamaram “como única verdade o soffrimento universal”: Leopardi e Schopenhauer. Mas, ao passo que o philosopho de O mundo como vontade e representação, titan revoltado, ergueu os braços ameaçadores para Deus, o poeta italiano, que verdadeiramente soffria não apenas philosophica mas humanamente, encarou com resignada ironia a obra da criação; encolheu, sorrindo, perante a divina injustiça, os pobres hombros rachiticos; brincou com o destino, como Frederico Ruysch com as suas mumias; e reconhecendo que, na verdade, “só a dôr existe”, não se revoltou, transformou-a em jambos gregos e em hexametros latinos; não soffreu apenas por si, mas por todos os homens, entretenimento ephemero dos deuses. Foi o que nelle ha de dolorosamente humano que o tornou immortal. Recordando Leopardi na data do primeiro centenario, da sua morte, folheei, mais uma vez, a obra admiravel do prosador e do poeta. Foi com viva commoção que li, em Parini e la gloria, estas palavras que constituem a synthese da sua biographia moral: “Os grandes escriptores são incapazes, por natureza ou por habito, de um grande numero de prazeres humanos; privam-se voluntariamente delles; o seu destino é viver uma vida semelhante á morte, e perpetual-a, se se obstinam na vida, para além do tumulo.” Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Dantas, p. 45-46 46 CANTOS DE LEOPARDI9 Júlio Dantas O meu eminente amigo, professor Aloysio de Castro - um dos maiores poetas de que se orgulham, no presente momento, as letras brasileiras e a língua portugueza - acaba de publicar em Roma, pelo Instituto Italo-brasileiro de Alta Cultura, a traducção de dezoito das mais bellas poesias de Leopardi. Ha traducções que valem por originaes, e esta é uma dellas. Vale pela celebridade da obra vertida, que por vezes se eleva ás culminancias do genio; vale pela excellencia da linguagem e pelo acabado primor da fórma; vale, sobretudo, pela como que intima consubstanciação do poeta traductor com o poeta traduzido, tão perfeita, que crea no nosso espirito a illusão de que as poesias de Leopardi, contidas no volume, foram originalmente pensadas, sentidas e escriptas em portuguez. Para essa illusão concorrem, não apenas a naturalidade da expressão, o vigor espontaneo da eloquencia que palpita nesses dezoito trechos lyricos, mas - esmero proprio do bom gosto literario de Aloysio de Castro - o especial sabor romantico da linguagem, que, sendo pura, limpida e forte, tem, no geito syntatico e no vocabulario escolhido, alguma coisa que nos recorda a poesia portugueza da primeira metade do seculo XIX. Não poucas vezes, no descurso dessas setenta paginas admiraveis, tive a impressão de estar lendo Leopardi traduzido por Garrett. Aloysio encontra-se, com effeito, na posse de todos os elementos que lhe permittem ser um traductor ideal do grande pessimista dos Dialogos e das Palavras memoraveis de Filippo Ottonieri. A sua dupla, viagem a Recanati, onde se impregnou da alma leopardiana e onde foi hospede dos descendentes illustres do conde Monaldo, no mesmo palacio onde o poeta nasceu e viveu; o culto que voltou sempre ao genio doloroso e augusto de Leopardi; a sua participação pessoal brilhantissima nas festas do centenario, ao lado de Farinelli, de Bomtempelli e de Romagnolli, delegados da Real Academia de Italia; o seu conhecimento da lingua italiana; finalmente, o facto de manejar o vernaculo com a dextraza, a opulencia e a dignidade de um classico, - indicavam-no, como interprete singular, entre aquelles que, no nosso idioma poderiam hoje transmittir-nos o pensamento e a emoção do poeta da Ginestra. Na verdade, as versões portuguezas destas dezoite poesias - e pena é que sejam só dezoito - ficam, ao lado da traducção franceza de Sainte-Beuve, como uma das mais fieis, das mais bellas e das mais penetrantemente sentidas que se conhecem da obra de Leopardi. Não podendo traduzil-as a todas, Aloysio de Castro escolheu as composições que lhe pareceram mais expressivas do pensamento do poeta, algumas das quaes são, precisamente, as mais vulgarisadas e as mais celebres. Cantor, não apenas do proprio soffrimento, como Byron ou Chateaubriand, que crearam na literatura do Romantismo a “aristocracia da dor”, - mas do soffrimento humano collectivo, universal e impessoal, Leopardi não é um poeta facil de interpretar no seu conceito lyrico-philosophico do amor, sentimento que ora exalta e sublima, ora nega, na sua dialectica pessimista, considerando-o uma simples ficção do orgulho e da loucura humana, um agente e collaborador da morte, uma fórma de destruição engenhosamente inventada pela natureza. Na selecção feita, Aloysio parece ter preferido aquellas das poesias em 9 In Correio da Manhã. Rio de Janeiro, 10 de julho de 1938. http://memoria.bn.br/DocReader/089842_04/47201. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Dantas, p. 47-48 que mais eloquentemente se expressa o paradoxo leopardiano do “amore-larva”, illusão e realidade, creação e destruição, beatitude e anniquilamento, e em que a vida se concebe como uma pintura austera de Dürer onde caminham a par, melancolicamente, a dôr, o amor e a morte. Il sogno, réplica do Trionfo della morte, de Petrarcha; Ricordanze, poesia inspirada no verso de Meandro “morre joven aquelle que é amado dos deuses”, e em que, a proposito de uma fórmula feminina convencional, Nerina, Leopardi desenvolve a theoria do “errore beato”; Amore e Morte, em que se canta “la gentilezza del morrir”, disse Musset - e em que o poeta affirma que, quando se ama, “un desiderio de morir se sente”; Consalvo, o beijo in extremis, confundindo a morte e o amor; Silvia, candida imagem amorosa vista através da névoa gelada do tumulo; Aspasia, espectro de outra desapparecida, - são, com effeito, trechos fundamentaes para o conhecimento da philosophia e da lyrica leopardiana. E não o são menos as composições em que o grande poeta italiano considera a insignificancia do homem, “oscuro granel di sabbia”, comparado á immensidade cosmica (Ginestra); sente a inutilidade do esforço humano perante a fatalidade da morte inexoravel (Canto d'un pastor errante); ou fixa “momentos da cosciencia universal”, de um forte poder emotivo e synthetico, como Infinito, A se stesso, e outros. Aloysio de Castro não se limitou a traduzir magistralmente Leopardi; soube selecionar, com elevado sentido critico, as poesias mais representativas do seu genio. Quanto, propriamente, aos processos adoptados pelo traductor insigne, convém notar a quasi literalidade da versão, realizada com o mais escrupuloso respeito pelos textos. Aloysio usa, em cada poesia, o mesmo metro e a mesma ordenação estrophica do original; só recorre ás equivalencias quando, de todo em todo, as considera indispensaveis; não collabora, interpreta; quando muito, perante um passo obscuro, esclarece o pensamento do autor; e, se as fórmas idiomaticas o exigem, substitue a phrase, melhorando-a e tendo sempre o cuidado de manter a genuinidade do conceito e a musicalidade do verso. Os tercettos do Primeiro amor são de esculptural belleza. O verso branco, nobre, severo, variado de rythimos, lembra-nos - já o disse - a “maneira garrettiana”. Tudo, na technica do traductor, é medido, meticuloso, harmonico e perfeito. Aloysio de Castro, acordando para a admiração de portuguezes e de brasileiros a obra de um glorioso morto, bem merece que lhe appliquemos as palavras immortaes do proprio Leopardi: O' poeta famoso Segui, risveglia i morti Poi che dormono i vivi... Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Dantas, p. 47-48 48 GIACOMO LEOPARDI: POETA DA DÔR10 Gomes Vaz de Carvalho Há cem annos morria, em Nápoles, Giacomo Leopardi aos trinta e nove annos de edade, após uma vida atribulada e melancolica, que soube expressar em versos immortaes e sublimes. Commemorou-se na Italia e no mundo culto o centenario do desapparecimento daquelle vate, uma das personalidades mais celebre e ao mesmo tempo mais infelizes dos tempos modernos. E, de facto, Giacomo Leopardi, cujo nascimento de família nobre, ao abrigo das maiores necessidades materiaes, que lhe poderia ter assegurado vida tranquilla e serena, arrastou tristemente sua breve existencia, colhendo apenas a consolação e conforto nas occupaações elevadas que a mente sabe proporcionar nos ânimos de eleição. Nascera a 29 de junho de 1798, em Recanati, pequena cidade da Marca de Ancona, na Italia, na antiga propriedade dos avoengos condes Leopardi; sua meninice nada teve de extraordinario, a não ser pela intelligencia vivaz e o anseio de aprender tudo, de aprender muito, para ser sempre o primeiro entre os collegas de estudos, e foi aquella a época mais feliz de sua vida, passada entre saltos e folguedos, o carinho dos paes, as brincadeiras com os irmãos Carlos, Luiz e Paulina, que elle dominava, quer physicamente, quer pelo espirito, dirigindo e inventando brinquedos e batalhas simuladas, em que Giacomo havia de ter sempre a melhor parte porque era eminentemente autoritario. Quanto aos estudos, que em casa do Conde Monaldo Leopardi eram perfeitamente regularizados para cada hora do dia, estavam entregues a um pedagogo particular, que se occupava exclusivamente dos filhos do conde. Em determinados periodos do anno, os meninos deviam dar prova de seu saber ante academias improvisadas, tão sómente compostas de parentes e amigos de casa. Giacomo, naturalmente, era o heroe dessas solenidades. Aos onze annos, incompletos, tinha já traduzido, em versos, as odes de Horacio, além de haver composto muitas poesias em italiano e em latim. Já era extraordinario para uma creança daquella edade. Mas, logo, no anno seguinte, o rapazinho dedicava-se tambem ao estudo do grego, do hebraico, e, finalmente, do inglez e do allemão. Tinha uma facilidade fulgurante de se familiarisar com todas as linguas vivas ou mortas, e, um estranho systema para estudal-as, sem perder tempo. Quando escrevia seus famosos “diálogos”, na immensa bibliotheca paterna, chegando ao fim de cada pagina, descansava a penna e tomava uma grammatica inglesa que se achava ao seu alcance sobre a mesa e decorava um verbo; depois lia o que havia escripto para ver se a tinta estava secca. Não usava propositadamente arceiro, para ter tempo, emquanto a pagina seccava, de estudar o inglez! – e o mesmo fez para as demais linguas que deliberava aprender. Estudava, estudava sem cessar noite e dia, e ao treze annos já era autor de varias dissertações philosophicas, scientificas e de uma tragedia! Mas foi justamente em consequencia deste estudo louco e desesperado (como elle mesmo o denominou), que o rapaizinho começou a soffrer da deformidade physica que tanto o attingiria tambem moralmente. Até aos doze annos, Leopardi cresceu, era alto e esguio como os irmãos, sem nenhuma anomalia que denotasse imperfeição physica, mas os efeitos da exaggerada applicação ao estudo e absoluta falta de exercicio e de vida ao ar livre, devia ser causadora da rápida decadencia organica e incipiente deformação da espinha dorsal, que tanto o atormentaram a vida inteira. Chegando á edade moça, á edade do amor, nos seus mais justificados anseios da vida, Giacomo Leopardi passava os dias amargurados devido ás suas miseraveis condições physicas. Irritando-se contra os cuidados domesticos de que era alvo, sentia ardente necessidade 10 In A Noite. Rio de Janeiro. 11 de janeiro de 1938. http://memoria.bn.br/DocReader/120588/12471. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Carvalho, p. 49-51 de liberdade, fóra da selvagem aldeia natal, longe da austera vigelancia familiar e preparau um plano de fuga. Escreveu ao Conde Saverio Broglie, a Macerata, para obter um passaporte e preparou duas cartas para o pae e o irmão Carlos, chegando mesmo a procurar as ferramentas necessárias para arrombar o cofre que guardava o dinheiro. Mas, a tentativa foi descoberta naquela occasião o poeta não pôde ainda deixar a casa paterna. Só muito mais tarde saiu de Recanati para ir morar em Roma, em casa de parentes e depois em Milão, junto do livreiro Stella, que se encarregava de suas edições. Em seguida foi até Bolonha, mas nesta cidade sofreu tanto com o frio e a humidade que precisou regressar de máo humor ao lar paterno. Já então suas doutrinas e seu talento gozavam de grande fama. Giacomo Leopardi era considerado um dos homens mais singulares do seculo, tanto pela sua inspiração poetica como pelo saber tão variado, vasto e profundo. Todos o tinham em grande conceito, porém com a fama, crescia dia a dia a infelicidade do poeta. Soffria dos olhos, sendo frequentemente obrigado a permanecer no escuro com grande perda para a sua actividade literaria. O excessivo calor, assim como o frio, trazia-lhe sempre serios incommodos e quando estava em Bolonha para se defender contra a inclemencia da temperatura baixa, mandou confeccionar uma especie de sacco forrado interiormente de plumas. Passava assim horas, no estudo, em profunda meditação, mettido naquella estranha indumentaria, e quando saia de lá todo coberto de pennas parecia a imagem do homem selvagem!... Mas o seu peor soffrimento vinha dos nervos; este dominava o temperamento de Leopardi, que muitas vezes, não podendo mais supportar nenhum esforço mental, se definira: “Um tronco que sente e que soffre”. Todavia, apesar de longas pausas que lhe impunham os soffrimentos physicos, Leopardi pôde, por felicidade da arte literaria e poetica, estudar e compor até seus ultimos dias. Seu nervosismo era excessivo e mesmo quando não lhe era possivel ler ou escrever, nunca tinha as mãos paradas: brincava continuamente com uma faca de osso para cortar papeis, que trazia sempre no bolso do paletó, e quando não, virava e revirava qualquer objeto ao seu alcance, até quebral-o. Gostava da boa mesa, lastimando não poder comer de tudo, devido sempre ao máo apparelho digestivo e deixou escripto em carta particular, que, estando na cidade de Piza, durante a Paschoa de 1828, sua maior decepção foi a de não poder comer os tradicionaes ovos queimados, contentando-se apenas em tomar uma sopa... de regimen! Nos últimos dias de vida, procurou sempre adiar a partida para Torre-del-Greco, onde havia bons ares, sómente porque sabia que lá não encontraria os sorvetes de Napoles de que muito gostava. Após as refeições permanecia longo tempo sentado á mesa do jantar conversando e philosophando e no phraseado familiar entremeava frequentemente palavras ferinas, porém quando o interlocutor retrucava com dizeres que não estavam na altura do seu espirito mordaz, limitava-se a tomar uma pitada de rapé, fazendo um ruido especial. E davamse por isso scenas curiosas. Certa vez, um senhor que não era da intimidade do poeta, perorava sem nexo e Leopardi não deixava de protestar á sua moda contra a insensatez do interlocutor, aspirando pitadas sobre pitadas. Quem, estando ao par dos hábitos do poeta, conhecia o significado daquella furia em se encher as narinas de tabaco, mal continha o riso, emquanto o orador continua a proferir argumentos chocarreiros, tentando convencer os seus ouvintes e virando-se finalmente para Leopardi, interpellou-o: - Diga-me, o senhor que é literato, o que lhe parece o que eu expliquei? - Desde que deseja saber minha opinião, parece-me que o senhor diz “com franqueza” coisa do outro mundo! - Pois é; eu bem sabia que não se pode discutir com literatos! Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Carvalho, p. 49-51 50 E as risadas estrugiram mais ruidosas ainda. Era, todavia, muito raro ver-se Leopardi alegre, embora transitoriamente. Nunca sorria, e vivia sempre calado, triste, melancolico. Vestia simplesmente, cores escuras; sómente uma vez na vida, em Florença, demonstrou satisfação em se achar elegante com certo terno que lhe assentava. - E’ incrivel – escrevia á irmã Paulina - minha roupa “grenat” posta na ultima moda, com os “révers” muito largos, parece nova e fica-me muito bem. Naquelles dias o poeta estava perdidamente apaixonado por uma linda florentina e quem sabe se a satisfação pela roupa elegante não estava ligada á recôndita illusão de poder tambem elle, infeliz corcunda, agradar a uma mulher bonita? Muito se fantasiou sobre os amores de Giacomo Leopardi, mas não se sabe nada de muito exacto. Embora feio, enfermo e aleijado, era muito sensivel á graça feminina e, certamente amou, sem ser amado. Guardou sempre, todavia, o mais alto conceito da mulher, considerando-a como um ser á parte posto ao lado do homem pela Providencia para lhe suavizar as dores da vida com a meiguice e a brandura de sua affeição. A deformidade physica privou-o do amor das mulheres, como ardentemente o desejou, e foi esta, sem duvida, uma das causas que mais o recalcaram no seu fundo pessimismo, mas não podemos esquecer que a idealização que Leopardi fez das mulheres, em seus versos, valenos algumas das lyricas mais bellas de que a poesia já se pôde honrar através do tempo. Leopardi não tinha bens de fortuna e para poder sair do sitio que elle mesmo chamou “a horrenda noite de Recanati”, e viver em Florença, acceitou por fim o subsidio que lhe offerecera um escriptor, seu fervente admirador, chamado Pietro Colletta, para passar pelo menos um anno na capital da Toscana. Lá, elle não teria obrigação nem compromisso e nem sequer deveria ter a preocupação de restituir a quantia ao benemérito amigo. Só deveria viver em completa solidariedade com os numerosos literatos que habitavam Florença! Um delles, o joven Antonio Rainieri, ficou residindo na casa do poeta, a quem se dedicou com desvelo de filho affectuoso até os ultimos instantes da vida de Leopardi. A partir de abril de 1837, a saude deste ultimo peorou dia a dia mais. Deixou-se, finalmente, levar para Torre-del-Greco, que não lhe deu o allivio esperado e a 14 de junho do mesmo anno morria o infeliz poeta sentado á mesa, emquanto tentava engulir algumas colheradas de sopa, após ter chamado pelo fiel amigo Rainieri para lhe dizer que já o não enxergava. Giacomo Leopardi morrendo, bem podia dizer que deixava um “valle de lagrimas”, porque o soffrimento fôra sempre a nota dominante de sua vida, de suas meditações e de seus cantos em que invocava a morte como libertadora. Foi, realmente, um infeliz e um grande soffredor que tambem nos faz soffrer com a leitura de sua obra. - De que vale a vida senão para desprezal-a? – cantava melancolicamente, até chegar ao mais tétrico pessimismo como na canção “A Sylvia” e nas “Ricordanze”. Todavia, a ultima composição poetica de Leopardi, a sua obra prima, composta pouco tempo antes de morrer, irradia nova luz sobre a dolorosa philosophia do grande homem infeliz. E’ a “Ginestra”, a lyrica divina que se inspirou no nome da flor selvagem da “Gesteira”, que cresce na encosta do Vesuvio, onde o poeta sente a pequenez e a nullidade do genero humano em relação á desmedia grandeza da creação, invocando, como unico conforto, a fraternidade universal. E foi nesta consoladora visão que se calou a lyrica de Leopardi, deixando assim de palpitar o seu grande coração transbordante de amor fraterno. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Carvalho, p. 49-51 51 GIACOMO LEOPARDI11 Austregesilo de Athayde Durante quase cento e dois annos os restos de Giacomo Leopardi repousaram “nella chiesa suburbana di S. Vitale”, uma pequena igreja de Napoles. Morto o poeta “senza soffrire, quase addormentandosi”, seu amigo Ranieri conseguiu salval-o do cemitério dos coléricos. Por pouco não o lançaram na vala commun. Foi necessaria a astucia dos íntimos para que lhe, dessem sepultura condigna, primeiro sob o altar e mais tarde no atrio em templo. Agora a posteridade desperta para honral-o, transladando o que resta do seu corpo fragil para a tumba no Parque Vergiliano. *** Leopardi foi um dos grandes gênios poéticos do tempo. Daquelle tempo que viu Byron, Goethe e Lamartine. A sua obra é de profunda interpretação da vida. Havia nelle todas as gantas de talento. O philologo, o philosopho, o historiador, o tragico, o lyrico e até o humorista. Dominado sobre esta infinita variedade de expressões de intelligencia e de sentimento, a nota permanente da melancolia, o desespero de uma alma insatisfeita, o terror de uma existencia sem perspectivas. *** E’ incrível como, em menos de quarenta annos de vida, Leopardi pudesse ter deixado obra tão numerosa e diversa. Certo começou cedo. Entre os nove e os treze annos, já havia escripto varia tragedias, ensaios críticos e feitos difficeis traducções do grego e do latim, que por si mesmo aprendera. Não é meu proposito em tão poucas linhas estampar a figura extraordinaria de Leopardi. Como tantos outros da sua estirpe poetica, nasceu para o soffrimento, viveu de amargura e depressa retirou-se dos tristes espectaculos do mundo. Não foi o egoista diabolico, o incredulo esteril, tantas vezes pintado pelos que não o comprehenderam. O seu logar é na familia de Dante, de Tasso e de Petrarca. Uma das vozes que perpetuam o genio italiano. 11 In Diario da Noite. Rio de Janeiro, 15 de fevereiro de 1939. http://memoria.bn.br/DocReader/221961_01/40607. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Athayde, p. 52-52 UM TRADUCTOR DE LEOPARDI12 Heitor Lima Muito se tem escripto sobre Leopardi. Ha um seculo não se cançam literatos e pensadores de debater as suas idéas, analysar o seu temperamento e buscar a chave da sua philosophia. As largas rêmiges do seu estro deram-lhe projecção universal: o seu genio adeantou-se ao tempo; e não faltaram exegetas empenhados em demonstrar que o atormentado de Recanati não era um negador systhematico, mas ao contrario, sob a apparencia do pessimismo total, um pregoeiro do esplendor da raça, um vaticinador do renascimento italiano, um syntonizador das glorias preteritas aos triumphos do povir, um percursor que bem merecera da Patria, e a que a Patria renderia o tributo da sua gratidão depois de decorrida uma centuria. Aloysio de Castro, que em 1935 visitou por devoção a terra natal do poeta, e em 1937 voltou a Recanati com a incumbencia de levar a contribuição da cultura brasileira, de que é um dos mais altos representantes, ás homenagens prestadas no centenario do insigne inspirado, traduziu alguns dos seus Cantos, e no prefacio do volume revela-se um critico escrupuloso, claro e equilibrado. Não creio que em qualquer lingua, guardada as proporções, se tenha produzido melhor commentario sobre esse enamorado da Morte, extranho e sombrio personagem de um dos mais dramaticos conflictos entre o illimitado ambito das aspirações e o restricto ambiente das realizações possiveis. Com effeito ninguem, como Leopardi, talvez exageradamente, devido ao seu caso pessoal, denunciou, com palavras de mais amarga revolta, o odio votado ao homem pela estupida Natureza. Censuraram-lhe tal attitude, esquecidos de que é sempre á vista dos nossos casos pessoaes que examinamos tudo, mesmo as coisas mais indifferentes ao nosso interesse. Se é certo que o progresso consiste numa successão de compromissos entre o velho e o novo, menos certo não é que a civilização está condicionada ao dominio da Natureza, com a qual se acha o homem sempre em lucta. Foi porque falou com amor do bardo italiano que Aloysio de Castro conseguiu interpretal-o. Todos os aspectos da tragedia leopardiana se gravam nessas paginas rapidas, austeras e sentidas, que têm o condão de familiarizar-nos instataneamente com o eximio cantor. Se Aloysio de Castro não fosse poeta de elevada estirpe jamais comporia trabalho de tal porte. Mas tão pouco o escreveria, se não tivesse do verdadeiro critico a sensibilidade que faculta o accesso ao arcano das almas. Não ficou á superficie da vida e da obra de Leopardi. Explicou, em primorosa synthese, esta por aquella, e illuminou uma com a outra, identificando-as magistralmente, na intitmidade em que estão indissoluvelmente associadas. Depois de ler o ensaio de Aloysio de Castro, sentimo-nos aptos a comprehender Leopardi e a recebel-o no coração. Aloysio de Castro nunca será um poeta popular - digo-o em seu louvor. A arte, producto das elites para as elites, é incompativel com a grosseria e a incultura. A falta de polimento e o gosto pela ralé nunca se constituirão em qualidade creadora. A arte está no apice da civilisação, e significa cinzelamento, educação finura. Aloysio de Castro não tem aquella espontaneidade que, por inepcia, quotidianas e inexpressivas. Adivinhamos o trabalho nos seus versos - o trabalho, não o esforço. O estylo é castigado, um pouco differente do da prosa, que é tersa, e utiliza um vocabulario opulento, no qual a maneira classica poderia ás vezes confundirse com a maneira archaica. Talvez como em Alberto de Oliveira, se verifique certo abuso do anacoluthos e hyberbatos. Traduzindo versos do torturado de Recanati, Aloysio de Castro não se evanesceu. As difficuldades inherentes a toda traducção não se revelam, mas o esmero pela fidelidade não vai ao ponto de desnaturar o texto vernaculo. O pensamento do poeta italiano é respeitado, mas a 12 In Jornal do Commercio. Rio http://memoria.bn.br/DocReader/364568_12/58366. de Janeiro, 09 de abril de 1939. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Lima, p. 53-54 liberdade do artista brasileiro não se deixa anullar. Não faz a obra de superposição, mas de justaposição; quasi nunca entretanto, vai á paraphrase, e isto adverte elle com verdade. Não tendo fronteiras a poesia de Leopardi, mesmo na particularidade de certos motivos, o traductor não encontrou difficuldade em attingir-lhe o fundo, creando-a de novo em nosso idioma. Nesse sentido poder-se-ia observar que Aloysio de Castro enriqueceu a literatura nacional com “Espaços e silencios sobrehumanos”, é um dos mais perfeitos, musicaes e amplos da nossa lingua. Nem do original o copiou literalmente, o traductor, nem, para compol-o, abandonou o original. Fez uma transformação, apenas, e ficou á altura do modelo - modelo cuja technica era perfeita. Para que os obstaculos superados não deixem vestigios, para que a obra não traia as vigilias votadas á sua elaboração, que incalculavel somma de sacrificios é necessaria! Que incalculavel somma de esforços para que o esforço não appareça! Até que a intelligencia que não é simples nos seus processos de assimilação e producção, entre afinal na posse desse ambicionado artificio que é a naturalidade, quanta lucta consigo mesma, quanta energia para cohibir-se, quanto exercicio de paciencia! A linguagem de Aloysio de Castro é facil? Não, se difficil significa obscuro ou retorcido. A linguagem de Aloysio de Castro é um instrumento que elle maneja com desembaraço, medida e severidade. As pessoas incapazes de sentir o primor de uma pagina literaria limpa (na expressão tão cara a Leopardi), accusal-o-ão de impassibilidade - talvez de convencionalismo. Os que aprenderam a vislumbrar, sob a dignidade da phrase, a elegancia dos sentimentos, e os que sabem surprehender, sob a moderação das tintas, a força da inspiração e o largo poder suggestivo, relerão Aloysio de Castro, e, relendo-o, estimal-o-ão mais. E' certo que a mediocridade, essa improvisadora sem pejo, o tem tratado com irritado desdem. Mas pergunta-se: ha nada que mais irrite os ignorantes e incapazes do que o producto consciencioso de um longo e atormentado labor? Creio que nunca se escreveu tão mal no Brasil como de certo tempo a esta parte. A poesia desceu a chatices inacreditaveis: voltou-se para themas os mais prosaicos, mais grotescos mais plebeus, mais rusticos, mais primitivos. Infatilizou-se, imbecilisou-se, analphabetizou-se. Creio que sossobrou no oceano das cousas irremediavelmente ordinarias, e desappareceu. Poder-se-á revidar que a poesia está em tudo. Está em tudo, sob a condição de que, antes e acima do mais, esteja no poeta. A inspiração deformou-se, e, não podendo falsificar a vida, aviltou a arte. Ninguem estuda: esgotaram-se as reservas de tenacidade mental; cada um espera do acaso, ou dos proprios dons nativos, ou da miraculosa revelação, soccorro á propria incompetencia. Mas a ignorancia é safara, e para simular merito resta o recurso do ataque aos que timbram em estudar, e pela inspiração enriquecem o patrimonio da inteligencia. A historia da literatura, em todos os paizes, conhece gerações inteiras de nullos, sem embargo da atordoada com que tentam demolir valores authenticos. Mas a voga dos detractores é ephemera, e como não ha nada totalmente mao ou totalmente inutil, acabam por fazer notorios certos vultos sobre os quaes ainda não se fixara a attenção dos competentes. Quantos talentos só conseguem a nossa admiração depois de espesinhados por diffamadores estereis, incapazes de egualal-os, o'l sequer de imital-os! Leopardi encontrou em Aloysio de Castro um interprete apaixonado, enternecido e sincero, que, não se propondo engrandecel-o, se mostrou, entretanto, á altura da magna tarefa. E não duvido de que o impeccavel poeta italiano, se tambem escrevesse em nosso idioma, assignaria os versos do traductor brasileiro. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Lima, p. 53-54 54 POESIA/POESIA Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 A’ MEMORIA DE LEOPARDI13 Sylvio Julio ...E l’infinita vanitá del tutto (Leopardi, Poesie) ...Voglio piuttosto essere infelice che piccolo. (Leopardi, citado por Enrico Mestica, Manuale Storico della Letteratura Italiana, vol. II) ...Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte ingenero la sorte. (Leopardi, Poesie) 13 In Diario de Notícias. Rio de http://memoria.bn.br/DocReader/093718_01/33210. Janeiro, 03 de outubro de 1937. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Julio, p. 56-57 Tua vida é teu verso: soffreria essa alma torturada muito mais do que soffreu no mundo, se a poesia não a enchesse de alivios celestiaes. Choraste, mas cantando. Verso e vida num mar de eterno pranto mergulhaste. Tudo em teu verso a meditar convida. Em tua vida, quando soluçaste! Tua vida era humana, mas divino teu verso sempre foi; divino, quando é meia-noite, quando é sol a pino. Por isso é que choraste, mas cantando. Teu verso é tua vida: o soffrimento bem sabes que provém da aspiração, Homem não ha desta tortura isento. Quem por sonhar padece, é teu irmão. A vaidade infinita deste mundo não mereceu teu genio, que se expande como o rumor do oceano amargo e fundo. Tu não foste feliz, mas foste grande. Um santo numa chóça era tua alma purissima em teu corpo desditoso: vinho que as dôres do veneno acalma; caricia que atormenta e não dá gozo. Amor e morte, a um tempo só, provaste. Tua vida foi morte pelo amor, rosa murcha que cheira e é bella na haste, cantiga que reflecte dôr, dôr, dôr. Um dia a lua no céo buscas, e ella na agua parada e putrida de um poço banha-se triste, flacida, amarella. Velho plangeste o que sonhaste moço. Outróra, a inveja te cravara a espada. Hoje, não ha quem contra ti a esgrima, que a cada magua, a cada injuria, a cada ferida deste o balsamo da rima. Leopardi, agora que estarás bem perto de Deus e longe do universo vão, uma estrophe feliz dirás de certo a Antéro, Schopenhauer, Salomão… Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Julio, p. 56-57 57 TRADUZIONI/TRADUÇÕES Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 O INFINITO14 Giacomo Leopardi Tradução de Aloysio de Castro Sempre caro me foi o ermo do monte, Este silvado que, de um lado e de outro, Me rouba á vista o intermino horizonte. Mas quando, em devaneio, aqui me sento, Se me figuram, para além da sebe, Espaços e silencios sobrehumanos, A paz… E o coração se me estremece. Ouvindo o vento que arfa entre os arbustos, O silencio infinito a este sussuro Vou comparando: e entrando em mim evoco A eternidade, as estações passadas, O presente ruidoso. Assim se afunda Meu pensamento nesta immensidade, E neste mar é doce sossobrar-me. 14 In O Jornal. Rio de Janeiro, http://memoria.bn.br/DocReader/110523_03/11091. 24 de novembro de 1931. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Castro p. 59-59 O INFINITO15 Giacomo Leopardi Tradução de Aloysio de Castro Sempre caro me foi o ermo do morro, Este silvado que, de um lado e de outro, Me rouba á vista o intermino horizonte. Mas quando, em devaneio, aqui me sento. Se me figuram, para além da sebe, Espaços e silencios sobrehumanos, A paz de profundissima quietude, E com isto o coração se me apavora. Ouvindo o vento que arfa entre os arbustos, O silencio infinito a este sussuro Vou comparando: e entrando em mim evoco A eternidade, as estações passadas, O presente ruidoso. Assim se afunda Meu pensamento nesta immensidade, E neste mar é doce sossobrar-me. 15 In Jornal do Commercio. Rio de http://memoria.bn.br/DocReader/364568_12/46205. Janeiro, 01 de janeiro de 1937. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Castro p. 60-60 GRACEJO16 Giacomo Leopardi Tradução de Aloysio de Castro Quando entrei, sendo moço, Das Musas no serviço e à disciplina, Uma dellas, na sua a mão travando-me, Durante um dia inteiro, Me levou, companheiro, Em visita á officina. Mostrou-me em cada parte Os instrumentos da arte, E os empregos diversos Em que cada um, a talho, Se adapta no trabalho, Ou na prosa ou nos versos. Olhando, eu inquiria: - Musa, onde a lima? - E deusa, ella dizia: - A lima se gastou, já não a usamos. E eu: - Mas de concertal-a Não cuidas, si de cega tem defeito? E a Musa: - Ah, tempo houvesse e esta feito! 16 In Jornal do Commercio. Rio de http://memoria.bn.br/DocReader/364568_12/46205. Janeiro, 01 de janeiro de 1937. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Castro p. 61-61 A SI MESMO17 Giacomo Leopardi Tradução de Aloysio de Castro Agora e para sempre Te quetarás, ó coração cançado. A illusão derradeira, essa que eterna Me parecia, se finou. Bem sinto Que dos mais caros sonhos já não vive Esperança ou desejo. Repousa, emfim, que muito palpitaste. Nada merece o teu pulsar e a terra Não vale os teus suspiros. Calma-te finalmente. Desespera-te Pela ultima vez. Morrer é tudo Que o destino nos deu. E ora a ti meso Despreza, a natureza, a mão que occulta Nos guia entre as miserias. E de todas as cousas A infinita vaidade. 17 In Jornal do Commercio. Rio de tp://memoria.bn.br/DocReader/364568_12/46205.. Janeiro, 01 de janeiro de 1937. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Castro p. 62-62 O PARDAL SOLITÁRIO18 Giacomo Leopardi Tradução de Aloysio de Castro 18 In Jornal do Commercio. Rio de http://memoria.bn.br/DocReader/364568_12/48825. Janeiro, 13 de junho de 1937. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Castro p. 63-65 De lá, do cimo desta antiga torre, Solitario pardal, por estes campos, Vae teu cantar vibrando pela tarde E estes valles enchendo de harmonia. Cerca-te a primavera, Que tambem canta pelos verdes prados, E ao vel-a o coração é só ternura. O balir dos rebanhos ouves; mugem Os bois, e a passarada inquieta Em mil volteios pelo azul, em bandas, Festeja a quadra dos melhores dias. Tu, pensativo, á parte, tudo miras: Nem socios, nem revoadas. Que valem alegrias ou brinquedos? Cantas e assim transcorres Do anno e da vida em flór o belo tempo. Ai de mim! Quanto, quanto Comtigo me pareço! Riso e jogos Da estação descuidada companheiros. E tu, amor, irmão da mocidade. Suspiro acerbo dos provectos annos. Sem que eu saiba por que - não me sois nada. Antes vos fujo sempre. E só e como extranho Vivo na minha terra. Cursando a primavera dos meus dias. Este, que occiduo vae passando á noite. Costuma ser de festa em nossa aldeia. Eis, já se escuta o bimbalhar dos sinos. A cada instante estrondos e estampidos. Que restrugem além, de casa em casa. Galantes e enfeitados. Aqui moços e moças Vão as ruas enchendo de alegria. Olham, são vistos e se entrejubilam. Eu, solitario, fujo Para a doce quietude deste campo. E fiquem os recreios Para outro tempo: emtanto, errando os olhos No espaço illuminado. Vejo o sol, lá no longe das montanhas. Depois de claro dia Il declinando, como si dissera Que assim tambem a juventude passa. Tu, ppassaro solivago, chegando De tua vida á tarde, entre as estrellas. Certo, da tua sorte Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Castro p. 63-65 64 Não terás queixa: só da natureza Teus desejos dependem. A mim, si não consigo Sustar á odiada porta Da velhice meus passos. Quando meus olhos nada mais disserem. E o mundo já para elles for vazio. E o amanhan mais triste do que a vespera. Que restará de tudo? Que será deste tempo? De mim mesmo? Terei de arrepender-me. Tornado sem consolo ao meu passado. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Castro p. 63-65 65 PARECER E SER19 Giacomo Leopardi Sem Tradutor Ninguem é ridiculo, senão quando quer parecer o que não é. O homem do povo, o ignorante, o rustico, o dóente, o velho não são jámais ridiculos quando se contenttam de parecer tal qual são e se mantêm dentro dos limites de estabelecidos pelas suas qualidades, em vez do velho querer parecer jovem, o doente são, o pobre rico, o ignorante fingir-se de instruido e o rustico de homem da cidade. Os defeitos physicos por mais graves que fossem, não provocariam senão um riso passageiro, se o homem não se 19 In O Tico-Tico: Jornal das Crianças. http://memoria.bn.br/DocReader/153079/30582. Rio de Janeiro, 04 de março de 1931. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 –p. 66 esforçasse por escondel-os e não quizesse parecer isentos delles, o que quer dizer differente daquillo que realmente é. Quem observar bem, verá que os nossos defeitos e pechas não são tão ridiculos, mas ridiculos são as artimanhas que empregamos para occultal-os e fingir não os ter. E, geralmente, querer ser o que não somos é algo agradavel ao mundo e só isso basta para fazer rir insopitavelmente uma infinidade de pessoas que seriam amabilissimas, se nós nos contentassemos de sermos nós mesmos. Não são sómente as pessoas, mas grupos e até populações inteiras: eu conheço diversas cidades provincianas, cultas e florescentes que seriam bastante agradaveis aos visitantes, se não fosse a horrivel imitação que tentam fazer da capital, querendo parecer o que não são, cidade, capital e não provinciana. ____________________________________________________________________ Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - p.67 67 PENSAMENTOS DE LEOPARDI20 Giacomo Leopardi Sem nome de Tradutor A franqueza poderá ser util quando empregada como simples artificio ou quando seja tão extravagante que ninguem acredite nella *** Um grande remedio para a maledicencia é o tempo. Se o mundo calumnia nossos principios e nossas acções, só uma attitude se recommenda: perseverar. O tempo passa, o thema gasta-se os maldizentes o abandonam para procurar novo assumpto. 20 In Fon-Fon: Semanario Alegre, Politico, Critico e Espusiante. Rio de Janeiro, 19 de novembro de 1932. http://memoria.bn.br/DocReader/259063/81560. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 –p. 68 O VENDEDOR DE CALENDÁRIOS21 Giacomo Leopardi Tradução de Celso Vieira Leopardi, genio italiano do seculo XIX, polyglotta e pessimista, não foi apenas o tradutor e commentador da antiguidade greco-romana, o poeta das elegias sonoras ou dos cantos lunares no seu ermo e na sua noite. Compoz vibrantes opusculos moraes, graciosos dialogos, breves e subtis, como o dialogo do Anno Bom, entre o vendedor de calendarios e o transeunte-philosopho. Um dos mais agudos espiritos francezes, Remy de Gourmont, fez a sua transposição para a intelligencia mais artistica e penetrante da Europa, notando que esse fruto da Italia, semeado em qualquer tempo, daria o mesmo sabor de novidade aos leitores. Não é demais transplantal-o, no começo do anno, para o homem ou para o humus da America do Sul, já denominada, entre os philosophos, continente do terceiro dia da creação - o dia dos morros, das aguas e das raizes. 21 In A Noite. Rio de Janeiro, 03 de janeiro de 1935. http://memoria.bn.br/DocReader/348970_03/21071. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Vieira, p. 69-71 Eis o dialogo, pequena joia de um grande ouvires, trazendo no engaste o veneno do pessimismo e da ironia, filtrado magicamente por Leopardi: Almanaks, almanaks, novos! Calendarios novos! Quer almanaks, senhor? Almanaks para o novo anno? Sim senhor. Pensa que o novo anno será mesmo um Anno Bom? Certamente, senhor. Bom como anno findo? Oh! muito melhor; muito melhor. Como o penultimo? Ainda melhor, ainda melhor. Então, qual o anno parecido com esse? Ficaria contente, se o proximo anno reproduzisse algum dos anteriores? Não, senhor, isso não me seria agradavel. Desde quando vende almanaks? Ha vinte annos, senhor. Desejaria a semelhança do anno vindouro com algum delles? Qual? Eu? Não sei. Não sabe? Não se lembra de algum anno, que lhe parecesse feliz Verdade, verdade não me recordo, senhor. Entretanto, a vida é uma bella coisa, não acha? Oh! sim. Gostaria, pois de reviver esses vinte annos ou mesmo todos os annos da sua existencia? Assim o creio, meu caro senhor, se Deus o permittisse. Embora a vida lhe fosse, exactamente, uma repetição da que viveu, nem mais, nem menos, com as mesmas alegrias, os mesmos tédios? Oh! isso não, Ora essa... Que especie de vida, nesse caso, pretenderia você? Qualquer vida, que me fosse dada por Deus, sem outras condições. Uma vida ao acaso, sem a minima previsão, como o novo anno? Justamente. E’ isso o que toda a gente ambicionaria, se houvesse de reviver. Apenas, estamos vendo como todos os seres humanos, até hoje, foram maltratados pela Sorte. Na opinião geral, traduzida com a maior clareza, os males sobrepujam os bens através do tempo, que se foi. Para tornar ao mesmo caminho, ninguem desejaria nascer outra vez. A vida feliz não é o presente nem o passado, mas o descohecido; não é a vida preterita, mas a vida futura. No proximo anno, afinal, o destino vae favorecer-nos, a mim, a você, a todo o mundo, e seremos todos felizes. Esperemos. Deixe-me ver o seu amanak mais bonito. E’ este. Custa só tres centesimos. Aqui tem o dinheiro. Obrigado, senhor, até á vista. Almanaks, almanaks novos! Calendarios novos! *** Assim escreveu Leopardi, em 1819; no principio de 1935, porém, teria feição opposta o dialogo travado á esquina da Sorte, na rua do Ouvidor: Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Vieira, p. 69-71 70 - Pensa que o novo anno será mesmo um Anno Bom? - Não creio. Talvez um anno soffrivel. - Como o anno findo? - Oh! muito menos; muito menos. - Como o penultimo? - Oh! ainda menos; ainda menos. - Então, qual o anno que o senhor gostaria de reviver nos doze mezes ineditos? - Qualquer dos annos passados e vividos, antes da grande guerra, com todos os seus dissabores, todas as suas catastrophes. Se hoje ressucitasse, o proprio Leopardi não concluiria de outra forma o dialogo entre o pessimista da rua e o vendedor de almanaks. Neste globo desordenado, tantas amcaças ennegrecem o futuro dos homens, que elles seriam felizes, muito felizes, volvendo ao primeiro anno da era christã. Olhe bem o povir, as machinas de guerra e as outras machinas, os desempregados e os insubmissos, luta e flagellos sociaes, em perspectiva. Mas na arvore sombria da vida, mesmo tocada pelo raio, desabotóa sempre uma flór parasitaria - a esperança. - De sorte que o reino do Padre Nosso, a fraternidade universal prégada na radio... - Tudo isso é para o Anno Bom do terceiro millenio. ______________________________________________________________________ Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Vieira, p. 69-71 71 PERSEVERAR22 Giacomo Leopardi Sem nome de Tradutor Um grande remedio para a maledicencia, como para as dores é o tempo. Se o mundo condemna nossa idéas ou nossos actos, só podemos fazer uma coisa: perseverar. O tempo passa, o thema se gasta e os maldizentes o abandonam em busca de novo. E, quanto mais firmes e mais impertubaveis nos mostremos em nossa perseverança para desprezar a opinião alheia, mais depressa o que foi antes condemnado e julgado absurdo será tido como regular e judicioso, porque o mundo pensa que o que persevera tem razão e acaba por absolvermos e imitar-nos. 22 In O Malho. Rio de Janeiro, 16 de maio de 1935. http://memoria.bn.br/DocReader/116300/82629. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 –p. 72 DE LEOPARDI23 Giacomo Leopardi Sem nome de Tradutor Um grande remedio para a maledicencia, como para as dores é o tempo. Se o mundo condemna nossa idéas ou nossos actos, só podemos fazer uma coisa: perseverar. O tempo passa, o thema se gasta e os maldizentes o abandonam em busca de novo. E, quanto mais firmes e mais impertubaveis nos mostremos em nossa perseverança para desprezar a opinião alheia, mais depressa o que foi antes condemnado e julgado absurdo será tido como regular e judicioso, porque o mundo pensa que o que persevera tem razão e acaba por absolvermos e imitar-nos. 23 In Beira-Mar. Rio de Janeiro, 31 de outubro de 1936. http://memoria.bn.br/Doceader/067822/5406. Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 –p. 73