Appunti leopardiani
(19) 1, 2020
http://www.appuntileopardiani.cce.ufsc.br
ISSN: 2179-6106
DIREZIONE
Andréia Guerini - Universidade Federal de Santa Catarina/CNPq/Brasile
CONDIRETTORI
Fabiana Cacciapuoti - Biblioteca Nazionale di Napoli/Italia
Gisele Batista da Silva - Universidade Federal de Rio de Janeiro/Brasile
Andrea Ragusa - Universidade Nova de Lisboa/Portogallo
COMITATO SCIENTIFICO
Guido Baldassarri - Università degli Studi di Padova
Novella Bellucci - Università di Roma La Sapienza
Roberto Bertoni - Trinity College Dublin
Alfredo Bosi - Universidade de São Paulo
Anna Dolfi - Università degli Studi di Firenze
José Expedito Passos Lima - Universidade Estadual do Ceará
Marco Lucchesi - Universidade Federal do Rio de Janeiro
Loreta Marcon
Rita Marnoto – Universidade de Coimbra
Laura Melosi - Università degli Studi di Macerata
Wander Melo Miranda - Universidade Federal de Minas Gerais
Franco Musarra - Katholieke Universiteit Leuven
Sebastian Neumeister - Freie Universität Berlin
Luciano Parisi - University of Exeter
Fabio Pierangeli - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Gaspare Polizzi – Università di Pisa
Mariagrazia Russo - Università degli Studi Internazionale di Roma
Lucia Strappini - Università per Stranieri di Siena
Emanuela Tandello - University of Oxford Maria
Maria Antonietta Terzoli - Universität Basel
Jean-Charles Vegliante - Université Sorbonne Nouvelle, Paris 3
Pamela Williams - University of Hull
CONSIGLIO EDITORIALE
Alessandra Aloisi - Università degli Studi di Pisa
Sandra Bagno - Università degli Studi di Padova
Stefano Biancu - Università Cattolica del Sacro Cuore/Milano
Fabio Camilletti - University of Warwick
Paola Cori - University of Birmingham
Anna Palma - Universidade Federal de Minas Gerais
Emanuela Cervato - Nottingham Trent University
Floriana Di Ruzza - Università degli Studi di Sassari
Luca La Pietra - Università per Stranieri di Siena
Tânia Mara Moysés - Universidade Federal de Santa Catarina
Karine Simoni - Universidade Federal de Santa Catarina
Lucia Wataghin - Universidade de São Paulo
DIRETTORI DI REDAZIONE
Ingrid Bignardi - Universidade Federal de Santa Catarina
Cristina Coriasso - Universidad Complutense Madrid
Roberto Lauro - Università degli Studi di Macerata
WEBDESIGNER
Avelar Fortunato
Indice/Índice
Presentazione/Apresentação
Presenza di Leopardi nella Stampa Brasiliana degli anni ’30
A Presença de Leopardi na imprensa brasileira dos anos ’30 – Andréia Guerini e Ingrid Bignardi
5
Saggi/Artigos
Giacomo Leoaprdi, Poeta do Amor e da Morte – Francesco Stobbia
13
Preludios Leopardianos – Giulio Canella
15
O Verdadeiro Leopardi – Giulio Canella
21
Leopardi no Primeiro Centenario de sua Morte – Antonio Isoldi
31
No Centenário da Morte de Leopardi – Francesco di Lorenzo/Tradução de José Miccolis
33
Amores de Leopardi – Celso Vieira
37
Giacomo Leopardi no 1º Centenário de sua Morte – Leonardo Mascello
39
Giacomo Leopardi – Júlio Dantas
45
Cantos de Leopardi – Júlio Dantas
47
Giacomo Leopardi: Poeta da Dôr – Gomes Vaz de Carvalho
49
Giacomo Leopardi – Austregesilo de Athayde
52
Um Traductor de Leopardi – Heitor Lima
53
Poesia/Poesia
A’ Memoria de Leopardi – Sylvio Julio
56
Traduzioni/Traduções
O Infinito – Aloysio de Castro
59
O Infinito – Aloysio de Castro
60
Gracejo – Aloysio de Castro
61
A Si Mesmo – Aloysio de Castro
62
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Presentazione/Apresentação p. 05-11 3
O Pardal Solitário – Aloysio de Castro
63
Parecer e Ser – Sem nome de Tradutor
66
Pensamentos de Leopardi – Sem nome de Tradutor
68
O Vendedor de Calendários – Sem nome de Tradutor
69
Perseverar – Sem nome de Tradutor
72
De Leopardi – Sem nome de Tradutor
73
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Presentazione/Apresentação p. 05-11 4
Presentazione
Presenza di Leopardi nella stampa brasiliana degli anni ‘30
Andréia Guerini
Universidade Federal de Santa Catarina/CNPq
Ingrid Bignardi
Universidade Federal de Santa Catarina/Capes
Questo numero presenta 12 articoli, 10 traduzioni ed un poema pubblicati sulla stampa
brasiliana nel periodo compreso tra il 1931 e il 1939, e da continuità all’edizione n.16/2018
degli Appunti Leopardiani – dal titolo “Leopardi e stampa brasiliana: 1875-1915” – con la
finalità di selezionare, raggruppare e divulgare i testi principali dedicati all’autore italiano che
circolavano su giornali e riviste tra i secoli XIX e XX. Oltre ai 12 articoli, nella sezione
“Traduzione”, presentiamo cinque poesie tradotte da Aloysio de Castro, cinque testi in prosa,
quattro Pensieri (senza indicazione di traduttrici e traduttori), e un dialogo delle Operette
morali, “Dialogo tra un venditore di almanacchi e di un passeggere”, tradotto da Celso Vieira.
Nella sezione “Poesia”, abbiamo selezionato “À memória de Leopardi”, componimento poetico
in omaggio all’autore italiano ad opera di Sylvio Julio pubblicato nel Diário de Notícias il 3
ottobre 1937. Il coacervo di testi qui selezionati discute aspetti relativi a vita e opere dello
scrittore recanatese, mettendo in risalto il pessimismo leopardiano, la visione dell’opera in
quanto riflesso di piaghe del corpo, ed anche le commemorazioni del primo centenario della
morte dell’autore. Apre questa edizione il testo “Giacomo Leopardi: Poeta do Amor e da Morte”
(“Giacomo Leopardi: Poeta d’Amore e Morte”) di Francesco Stobbia, testo pubblicato nel
Diário da Tarde sia il 7 settembre 1931 che il 18 marzo 1935 con piccole modifiche. Si tratta
del riassunto di una conferenza realizzata nel corso di letteratura italiana dell’Università del
Paraná in cui Stobbia descrive Leopardi come “poeta pallido, massimo rappresentante del
pessimismo il quale trova dentro di sé tutte le vanità” e ancora “l’ammirevole poeta di tutte le
tristezze, il patriota miscredente della canzone “All’Italia”, di “Epistolario” dei “Pensieri” e dei
“Canti”, tutte opere impresse dalla pittura viva di uno spirito malato e ribelle, espressione di
un’epoca, di un ambiente e di una psiche patologica”. In seguito, nei “Preludi leopardiani”,
pubblicati nel Jornal do Commercio il 25 maggio 1937, Giulio Canella sottolinea l’importanza
dell’autore recanatese per la valorizzazione del patrimonio linguistico e letterario italiano,
definendolo “l’eccellente classico (in senso ampio): il finissimo artista amante del “bello”; il
sublime e penetrante Poeta; l’insigne filologo: insomma, il Maestro eccelso della letteratura”.
In “O verdadeiro Leopardi” (“Il vero Leopardi”), pubblicato nel Jornal do Commercio l’11
giugno 1937, Canella prova a delineare gli aspetti principali della poetica leopardiana al fine di
presentare la vera natura dell’autore e non quella “manipolata” dalla critica letteraria. Il testo è
diviso in sei parti e, tra i vari argomenti, tratta del carattere pedagogico insito nella critica
letteraria delle opere dell’autore, della forma spirituale nella sua poesia e di come questa derivi
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Presentazione/Apresentação, p. 05-11
dalla volontà di omaggiare Dante Alighieri; lo scritto compara il pessimismo di Fosccolo,
Leopardi e Beethoven per poi evidenziare lo scetticismo, il nichilismo, il tedio, il carattere
politico, l’insufficienza di una filosofia esasperante del recanatese. In “Leopardi: no primeiro
centenário de sua morte” (“Leopardi: nel primo centenario della sua morte”), pubblicato in O
Estado de São Paulo il 19 giugno 1937, Antonio Isoldi narra dei momenti finali della vita di
Giacomo Leopardi, descrivendone i suoi ultimi canti e gli aspetti principali della sua poetica.
In questo testo, Isoldi descrive Leopardi come il poeta dei due tempi – il secolo XVIII e XIX –
per via dell’originalità del suo pensiero. “No centenário da morte de Leopardi” (“Nel centenário
dalla morte di Leopardi”), traduzione ad opera di José Miccolis pubblicata in O Jornal il 23
luglio 1937, Francesco di Lorenzo elabora una minibiografia leopardiana intrecciando aspetti
della vita dell’autore con quelli della sua opera. In “Amores de Leopardi” (“Amori di
Leopardi”), pubblicato nel giornale A Noite (La Notte) il 2 luglio 1937 e poi ripubblicato in
Jornal do Recife (Giornale di Recife) il 22 agosto 1937, Celso Vieira parla delle celebrazioni
degli italiani residenti a Rio de Janeiro in onore della nascita e del centenario dalla morte del
recanatese. Vieira definisce Leopardi come lo “sposo della morte” e, allo stesso tempo, “amante
glorioso di un’Italia oppressa dallo straniero e mutilata dalle ambizioni”, un amante che non ha
mai vissuto un amore corrisposto. Ne risalta il pessimismo e inserisce l’autore armonicamente
al fianco di Schopenhauer e Byron per poi affermali come i tre “maggiori pessimisti europei”.
Ne sottolinea aspetti della vita sentimentale, soffermandosi principalmente sugli amori non
corrisposti; secondo Vieira, proprio questi hanno avuto un grande impatto sull’opera del
recanatese. In “Giacomo Leopardi no 1º Centenário da sua morte” (“Giacomo Leopardi nel 1°
Centenario dalla sua morte”), pubblicato sulla Revista Beira-Mar di Rio de Janeiro il 15
novembre 1937, Leonardo Mascello discute di aspetti relativi al primo centenario, risalta la
biografia dell’autore con particolare attenzione alla vita familiare e al rapporto col padre,
Monaldo. Mascello parla dell’autodidattismo di Giacomo, esaltandolo come “esempio
sbalorditivo di precocità” e “giovane con ambizione, amore e patriottismo” per poi
commentarne gli elementi musicali presenti nella sua lirica. Mascello evidenzia la grandezza
poetica di Leopardi, vincolandola alle sofferenze del giovane poeta per poi chiederci di
soffermarci su un aspetto della sua poesia, “melodiosità delicata, musicalità ammirevole”. I due
testi di Júlio Dantas che seguono, “Giacomo Leopardi” e “Cantos de Leopardi” (“Canti di
Leopardi”), pubblicati rispettivamente a gennaio e luglio del 1938, trattano delle
commemorazioni del centenario della morte dello scrittore italiano presso l’Accademia delle
Scienze di Lisbona, dando rilievo ad aspetti della poesia e della prosa del recanatese. Dantas si
sofferma sul dolore sentito da Leopardi e su come questo si diffonda nella sua letteratura,
compiendo il carattere estetico che Papini attribuisce ai poeti, evitare il piacere e vivere la morte.
Nel testo “Cantos a Leopardi” (“Canti a Leopardi”), Dantas commenta con fare elogiativo la
traduzione e la selezione di diciotto poesie dell’autore ad opera di Aloysio de Castro, pubblicate
a Roma dall’Istituto Italo-brasiliano di Alta Cultura. Definisce la traduzione come magnifica
quanto il prototesto, ne afferma una “intima consustanziazione del poeta traduttore con il poeta
tradotto”, un metatesto “così perfetto che trae in inganno i nostri animi facendoci pensare che
le poesie di Leopardi contenute nel volume fossero state originariamente pensate, sentite e
scritte in portoghese”. Secondo Dantas, Aloysio de Castro non si è limitato a tradurre
magistralmente Leopardi, “ha saputo selezionare, con elevato spirito critico, le poesie più
rappresentative del suo genio”. In “Giacomo Leopardi. Poeta da dôr” (“Giacomo Leopardi.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Presentazione/Apresentação p. 05-11 6
Poeta del dolore”), testo pubblicato l’11 gennaio 1938 sul giornale A Noite, Gomes Vaz de
Carvalho descrive la vita del recanatese come “travagliata e malinconica”, una vita che si è
saputa manifestare “in versi immortali e sublimi”, una vita che è espressione di una delle
“personalità più celebri e, allo stesso tempo, più infelici dei tempi moderni”. In “Giacomo
Leopardi” (Diário da Noite, 15/02/1939), Austregesilo de Athayde ci lascia dei commenti
interessanti sulla mancanza di riconoscimento del Leopardi nella sua epoca e afferma la sua
opera come “traduzione dell’esperienza che Leopardi faceva della vita da lui vissuta”. Oltre a
ciò, per Athayde, il recanatese era uno scrittore poliedrico; infatti, “Vivevano in lui tutte le
anime del talento: il filologo, il filosofo, lo storico, il tragediografo/lo scrittore tragico, il poeta
lirico e persino l’umorista.” Nel Jornal do Commercio del 9 aprile 1939, il testo “Um traductor
de Leopardi” (“Un traduttore di Leopardi”) ad opera di Heitor Lima tesse le lodi delle traduzioni
dei poemi leopardiani realizzate da Aloysio de Castro in commemorazione del primo centenario
della morte dell’autore. Nella sezione “Poesia”, abbiamo selezionato la poesia de Sylvio Julio
intitolata “A memória de Leopardi” (“A memoria di Leopardi”) pubblicata nel giornale Diário
de Notícias il 3 ottobre 1937. Questa poesia omaggia il Leopardi poeta in virtù del quale Sylvio
Julio afferma: “La tua vita è il tuo verso e il tuo verso è la tua vita”. Nella sezione “Traduzione”,
la prima parte presenta traduzioni di poesia e la seconda traduzioni di testi in prosa. La prima
consta di cinque traduzioni, tutte realizzate da Aloysio de Castro e pubblicate nel Jornal do
Commercio in occasione del primo centenario della morte dell’autore di Recanati; tra queste,
troviamo due versioni de “L’infinito” (24/11/1937 e 1/1/1937), “Scherzo”, “A se stesso”
(1/1/1937) e, infine, “Passero Solitario” (13/06/1937). Anche la seconda parte, relativa alla
prosa, comprende cinque traduzioni: la prima è del “Pensiero IC”, vincitrice del titolo “Parecer
e ser” e pubblicata nella rivista O Tico-Tico: Jornal das crianças il 4 marzo 1931; la seconda è
la traduzione dei “Pensieri di Leopardi” pubblicata nella rivista Fon-Fon: Semanario Alegre,
Politico, Critico e Espusiante il 19 novembre 1932; la terza traduzione è quella del “Dialogo di
un venditore d’almanacchi e di un passeggere” ad opera di Celso Vieira pubblicata nel giornale
A Noite il 3 gennaio 1935; la quarta è del “Pensiero XLV” pubblicata il 16 maggio 1935 sulla
rivista O Malho; la quinta, infine, è la traduzione del “Pensiero XL, intitolata “De Leopardi” e
pubblicata sulla rivista Beira-mar il 31 ottobbre 1936. Ad eccezione della traduzione di Celso
Vieira, le traduzioni dei testi in prosa appaiono senza il nome della traduttrice o del traduttore.
Concludendo, è opportuno indicare che la grafia originale è stata mantenuta, scevra
dell’aggiornamento portoghese.
Buona Lettura!
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Presentazione/Apresentação p. 05-11 7
Apresentação
A Presença de Leopardi na imprensa brasileira dos anos de 1930
Andréia Guerini
Universidade Federal de Santa Catarina/CNPq
Ingrid Bignardi
Universidade Federal de Santa Catarina/Capes
Este número de Appunti Leopardiani apresenta 12 textos, 10 traduções e 1 poesia publicados
na imprensa brasileira no período de 1931 a 1939 e dá continuidade à edição n. 16/2018 de
Appunti Leopardiani, intitulada “Leopardi na imprensa brasileira: 1875-1915”, a fim de
selecionar, agrupar e divulgar os principais textos dedicados ao autor italiano que circularam
em jornais e revistas entre os séculos XIX e XX. Além dos 12 artigos, na seção “Poesia”,
selecionamos a poesia “A memoria de Leopardi”, publicada no Diário de Notícias em 03 de
outubro de 1937, de Sylvio Julio. Na seção “Tradução”, apresentamos cinco poemas traduzidos
por Aloysio de Castro e cinco textos em prosa, quatro Pensamentos, sem indicação de tradutor,
e um diálogo das Operette morali, “O vendedor de calendários”, traduzido por Celso Vieira. O
conjunto de textos aqui selecionados discute aspectos da vida e da obra do escritor italiano, com
destaque para o pessimismo leopardiano, a obra como reflexo das mazelas físicas e ainda as
comemorações do primeiro centenário de morte do autor. Abre esta edição o texto “Giacomo
Leopardi: Poeta do Amor e da Morte”, de Francesco Stobbia, publicado no Diario da Tarde em
07 de setembro de 1931 e republicado no mesmo jornal em 18 de março de 1935, com pequenas
alterações. Trata-se de um resumo de uma palestra, realizada no curso de literatura italiana, na
Universidade do Paraná. Nesse texto, Stobbia descreve Leopardi como um “poeta pálido,
representante máximo do pessimismo que dentro de si encontra todas as vaidades” e sintetiza
Leopardi como “o admiravel poeta de todas as tristezas, o patriota descrente da Canção
“A’Italia”, que deixou nos “Pensamentos” no “Epistolario” nos “Poemas” a pintura viva dum
espirito doente e rebelde, expressão da época, do ambiente e da individualidade
psicopatológica”. Na sequência, em “Preludios leoaprdianos”, publicado no Jornal do
Commercio, de 25 de maio de 1937, Giulio Canella destaca a importância de Leopardi para a
valorização da língua e da literatura italiana, descrevendo-o como “.... o excellente clássico (no
senso mais largo): o finissimo artista e amante do “bello”; o sublime e penetrante Poeta: o
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Presentazione/Apresentação, p. 05-11
philologo insigne: emfim, o excelso Mestre em literatura”. Em “O verdadeiro Leopardi”,
publicado no Jornal do Commercio em 11 de junho de 1937, Giulio Canella busca delinear os
principais aspectos da poética de Leopardi para apresentar “O verdadeiro Leopardi” e não
aquele “manipulado” pela crítica literária. O texto é dividido em 6 partes e trata, entre outros,
do caráter pedagógico da crítica literária nas obras de Leopardi, a forma espiritual na poesia de
Leopardi e como essa deriva da relação com Dante Alighieri; a comparação entre o pessimismo
de Foscolo, Leopardi e o de Beethoven; o ceticismo, o niilismo, o tédio e o caráter político; a
filosofia desesperante e a “insuficiência filosófica” de Leopardi. Em “Leopardi: no primeiro
centenário de sua morte”, texto publicado em O Estado de São Paulo, de 19 de junho de 1937,
Antonio Isoldi narra os momentos finais da vida de Giacomo Leopardi, seus últimos cantos e
os principais aspectos de sua obra poética. Nesse texto, Isoldi descreve Leopardi como o poeta
de dois tempos, o século XVIII e XIX, por causa da originalidade do seu pensamento. “No
centenário da morte de Leopardi”, texto traduzido por José Miccolis, publicado em O Jornal,
de 23 de julho de 1937, Francesco di Lorenzo elabora uma minibiografia leopardiana
entrelaçando aspectos da vida com os da obra. Em “Amores de Leopardi”, texto publicado
inicialmente no jornal A Noite, em 02 de julho de 1937 e republicado no Jornal do Recife
em 22 de agosto de 1937, Celso Vieira fala das celebrações pelos italianos, residentes no Rio
de Janeiro, do nascimento e também do centenário da morte de Leopardi. Vieira descreve
Leopardi como o “noivo da morte” e, ao mesmo tempo, “amante glorioso da Italia, oprimida
pelo estrangeiro, mutilada pelas ambições”, que não teve amores correspondidos. Vieira
também destaca o pessimismo leopardiano e o coloca ao lado de Schopenhauer e Byron, pois
para Vieira, eles são “maiores pessimistas da raça branca”. Destaca ainda aspectos da vida
amorosa de Leopardi, mais precisamente trata dos amores não correspondidos, que segundo
ele, acabaram refletindo na obra do autor italiano. Em “Giacomo Leopardi no 1º Centenário da
sua morte”, Leonardo Mascello, na Revista Beira-Mar, do Rio de Janeiro, publica, em 15 de
novembro de 1937, um texto que discute o primeiro centenário da morte do escritor italiano, no
qual aborda aspectos da biografia, com destaque para a vida familiar, especialmente a relação
com pai, Monaldo. Mascello fala do autodidatismo de Giacomo, descrevendo-o como o
“exemplo assombroso de precocidade” e define Leopardi como um jovem com “ambição, amor
e patriotismo”, para então comentar os elementos musicais presentes na lírica leopardiana.
Mascello destaca ainda a grandeza poética de Leopardi, vinculando-a com os sofrimentos do
jovem poeta e chama atenção para um aspecto da sua poesia que é o da “melodia suave, musica
admiravel”. Os dois textos seguintes, intitulados “Giacomo Leopardi” e “Cantos de Leopardi”,
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Presentazione/Apresentação p. 05-11 9
publicados respectivamente em 01 de janeiro de 1938 e 10 de julho de 1938, ambos de Júlio
Dantas, tratam das comemorações do centenário de morte do escritor italiano na Academia de
Ciências de Lisboa, destacando aspectos da poesia e da prosa. Dantas relaciona a dor sentida
por Leopardi a como se difunde através da sua literatura, cumprindo o caráter estético que
Papini atribuiu aos poetas, que é o de evitar o prazer e viver a morte. No texto “Cantos a
Leopardi”, Dantas comenta, em tom elogioso, a tradução e a seleção de dezoito poesias de
Leopardi feita por Aloysio de Castro, publicadas em Roma, pelo Instituto Ítalo-brasileiro de
Alta Cultura. Diz ser a tradução tão primorosa quanto o texto “original” em que houve uma
“intima consubstanciação do poeta traductor com o poeta traduzido, tão perfeita, que crea no
nosso espirito a illusão de que as poesias de Leopardi, contidas no volume, foram originalmente
pensadas, sentidas e escriptas em portuguez”. Para Dantas, Aloysio de Castro não se limitou a
traduzir magistralmente Leopardi; soube selecionar, com elevado sentido critico, as poesias
mais representativas do seu genio”. Em “Giacomo Leopardi. Poeta da dôr”, texto publicado em
11 de janeiro de 1938, no jornal A noite, Gomes Vaz de Carvalho descreve a vida de Leopardi
como “atribulada e melancolica”, que soube se “expressar em versos immortaes e sublimes”,
tendo sido uma das “personalidades mais celebres e ao mesmo tempo mais infelizes dos tempos
modernos”. Em “Giacomo Leopardi”, texto publicado no Diario da Noite, em 15 de fevereiro
de 1939, Austregesilo de Athayde comenta sobre o não reconhecimento de Leopardi em sua época
e afirma que a obra leopardiana se define como uma “tradução da experiência que Leopardi tinha
da vida por ele vivida”. Além disso, para Athayde, Leopardi era um escritor multifacetado, pois
“Havia nelle todas as ganas do talento. O philologo, o philosopho, o historiador, o tragico, o lyrico
e até o humorista.” Em “Um traductor de Leopardi”, Heitor Lima, no Jornal do Commercio, de
09 de abril de 1939, analisa em tom elogioso as traduções dos poemas leopardianos realizadas
por Aloysio de Castro em comemoração ao primeiro centenário de morte do autor. Na seção
“Poesia”, selecionamos a poesia de Sylvio Julio intitulada “A memoria de Leopardi, publicada
no jornal Diário de Notícias em 03 de outubro de 1937. Essa poesia homenageia o Leopardi
poeta, pois como Sylvio Julio diz: “Tua vida é teu verso” e “Teu verso é tua vida”. Na seção
“Tradução”, a primeira parte apresenta traduções de poesia e a segunda textos em prosa. Na
parte de tradução de poesia, temos 5 traduções, todas realizadas por Aloysio de Castro em
ocasião do primeiro centenário da morte do autor de Recanati. São elas: “O Infinito”, publicado
no O Jornal em 24 de novembro de 1931; uma outra versão da tradução de “O Infinito”,
publicada no Jornal do Commercio em 01 de janeiro de 1937. “Gracejo” e “A si mesmo”
também publicadas em Jornal do Commercio em 01 de janeiro de 1937 e o “Pardal Solitário”
publicada em 13 de junho de 1937 no Jornal do Commercio. Na parte de tradução da prosa,
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Presentazione/Apresentação p. 05-11 10
também temos 5 traduções. A primeira é a do “Pensamento IC” que ganha o título “Parecer e
Ser”, publicada na revista O Tico-Tico: Jornal das crianças, em 04 de março de 1931; a
segunda tradução é do “Pensamento XLV”, intitulada “Pensamentos de Leopardi”, publicada
na revista Fon-Fon: Semanario Alegre, Politico, Critico e Espusiante, em 19 de novembro de
1932; a terceira tradução é a do diálogo “O vendedor de calendários”, traduzido por Celso
Vieira, publicada no jornal A Noite de 03 de janeiro de 1935; a quarta tradução é a do
“Pensamento XLV”, publicada com o título de “Perseverar”, na revista O Malho de 16 de maio
de 1935. Por fim, temos a tradução do “Pensamento XL”, intitulada “De Leopardi”, publicada
na Revista Beira-mar em 31 de outubro de 1936. Com exceção da tradução de Celso Vieira, as
demais traduções de textos em prosa não aparecem com o nome do tradutor. Por fim, cabe
mencionar que mantivemos a grafia original, sem a atualização do português.
Boa leitura!
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Presentazione/Apresentação p. 05-11 11
SAGGI/ARTIGOS
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1
GIACOMO LEOAPRDI, POETA DO AMOR E DA MORTE1
Francesco Stobbia
Quando Alfred de Musset nas suas admiraveis “Confessions d’un enfant du siécle” diz
a um poeta:
- Tu marchais en chantant dans ta route isolée -: Marchavas cantando em teu caminho,
revela o destino dos poetas.
Os poetas puros, como o lendario “bobo puro” de Wagner, egoístas forçados da própria
arte, são aquelles que sofrem e espiam os pecados humanos.
A qual preço o poeta paga a gloria, quando revela e descobre em toda a nudez os
mortaes furtando-lhes segredos inconfessáveis!
As palavras de Alfred de Musset quadram bem a Giacomo Leopardi quando só como
o “Pastor” e o “Passaro solitário” – suas creações sublimes – espelha nos olhos azues a solidão
imensa do “divino silencio verde”.
Giacomo Leopardi como o “Passaro solitario” amava e buscava a natureza, única
mulher que compreendeu e retribuiu seu amor.
O grande poeta, pallido, doente, desforme, o “corcunda de Recanati”, escreveu os seus
poemas immortaes em frente ao magnifico scenario que se descortina da torre dum antigo
castello.
O “Passaro solitario” é como um outro, “eu” que responde ao poeta infeliz quando,
sequioso de amor, vae e aí busca das flores que sonhou, nos braços da mulher amada, nos salões
fulgurantes de festas rodeado de honras” – Assim não é.
Giacomo Leopardi sente em si toda a vaidade das vaidades – vanitas vanitatum – com
o espirito nunca contente dum revoltado.
E inveja pois o passaro solitario alegre, porque ignora o proprio destin.
***
Giacomo Leopardi, nascido em Recanati no anno 1798 num palacio da idade media
que parece um claustro, durante os 39 annos de sua vida encerrou em si toda a tragédia duma
existência sem amor. Em seu grande coração, o amor não compreendido se transforma na mais
triste misantropia que o incita, como Henri Heine e Arthur Schopenhauer, contra todos, contra
tudo, até contra si mesmo.
Elle amou as mulheres como a religião de quem sabe de não poder ser correspondido
e compreendido nunca. Mas as divinizou em seus cantos.
Sylvia, Nerina, Aspasia são vivas e reaes como as viu, sonhou e amou e represetan:
tres diferentes faces do proteiforme prysma feminino.
Sylvia, Teresa Fattorini, é uma pobre tecelã, filha dum cocheiro, que morreu tísica na
alvorada da vida.
Nerina, a fascinadora donzella das “Rimembranze” morreu tambem jovem e se
chamava Maria Belardinelli.
Aspasia não merecia os poemas do poeta porque ella foi “la donna cativa”, melindrosa,
volúvel e impudente.
Mas, pela lei dos contrates, Leopardi a enalteceu em versos sublimes antes de lhe
arremessar violenta apostrophe na ode intitulada “Aspasia”.
O amor em Giacomo Leopardi é a elevação ao mais puro supremo ideal. O poeta, no
prefacio á primeira edição dos seus dez poemas de amor, assim caracteriza a mulher ideal.
1
In Diário da Tarde. Curitiba, 07 de setembro de 1931 e republicado em 18 de março de 1935.
http://memoria.bn.br/DocReader/800074/36044.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Stobbia, p. 13-14
“A mulher é uma daquelas imagens de belleza e de virtude celestial e ineffavel que
surgem muitas vezes nas fantasias do sonho ou nos pesadelos, quando somos apenas crianças,
ou na quasi demência amorosa da mocidade. Afinal a mulher ideal é aquela que nunca achamos
na realidade”.
A paixão pelo amor alto, ideal inaccessivel é tanta que Leopardi apodera-se do
profundo triste lemma de Leonardo de Vinci: “O mundo tem duas coisas belas: amor e morte”.
“Eutanasia”, a bela morte tanto querida a quem sofre a ineffavel doença do amor não
compreendido e desprezado, é a segunda Deusa, a outra amante terrível mas terna e meiga de
Leopardi.
Elle enaltece e consorcia o Amor com a Morte, como Ricardo Wagner na scena
suprema de Tristano e Isolda.
Como Dante fez no admirável episodio de “Paulo e Franscisca”, assim Leopardi faz
vibrar de ineshaurivel paixão na dança infernal “que nunca para”, o Amor e a Morte unidos
num único, eterno, inviolável amplexo.
Nelle o amor connubia-se, anniquila-se na morte, entre véos voluptuosos e tinnidos
lugubres, entre coroas sepulcraes e lamentoso sussurrar de salgueiros.
A amarga filosofia de Leopardi clama perante o “triste destino das coisas creadas” e
exige uma resposta aos três enigmas imperscrutáveis: “Como, Porque, Quando?”
Mas o pessimismo philosophico que teve os seus tres máximos expoentes em Heine,
Schopenhauer e Leopardi, e caracterizou o primeiro romanticismo do seculo XVIII deve
transformar-se pouco ao pouco no dogma da força, da resistência e do combate á dôr humana.
Novus nascitur ordo!
A mocidade primavera de belleza e de esperança forte e alegre pelas conquistas
magnificas do progresso e da sciencia comprehendeu e aceita mais o brado:
“bela é la vita
e Santo l’avvenir!”
“A vida é bela
e sagrado o seu provir!”
Portanto Giacomo Leopardi o admiravel poeta de todas as tristezas, o patriota
descrente da Canção “A’Italia”, deixou nos “Pensamentos” no “Epistolario” nos “Poemas” a
pintura viva dum espirito doente e rebelde, expressão da época, do ambiente e da
individualidade psicopatológica.
***
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Stobbia, p. 13-14
14
PRELUDIOS LEOPARDIANOS...2
Giulio Canella
O presente artigo – preludio... ou quasi preambulo dum estudo critico cabalmente
meticuloso das obras de Leopardi: o grande Poeta e letrado fallecido no dia 14 de junho de 1837
– poderia ser intitulado, talvez mais exatamente: “Historia verdadeira – Como um philosopho
mallogrado chegou a interpretar justamente uma sentença do “Ecclesiaste”, e como julga a obra
de Leopardi”.
De qualquer maneira todos estes titulos constituem um conjunto integrante e
propedeutico.
Origene de Padua lia, agora, a Biblia, desejoso de approximar-se ainda daquelas fortes
inexhauriveis de sabedoria. A “Sacra Biblia” e a “Imitação de Christo” representam as jornadas
ou melhor os oasis em que o seu espirito repousa um pouco das continuas e fadigosas marchas
da existencia.
Lia, pois o livro do “Ecclesiastes” que apresenta Salomão como Mestre de sabedoria,
quando se deteve ante a famosa máxima: “Vanitas vanitatum, et omnia vanitas...” Ficou
longamente pensativo, repetindo machinalmente aquellas simples e ao mesmo tempo esotericas
palavras: vanitas, com aquellas duas proposições coordenadas e pesadas, lhe appareciam tão
mysteriosas, e o suggestionassem. Havia lido e ouvido esta frase muitas vezes e em muitas
circumstancias, antes elle mesmo a havia intercalada, a proposito ou não, nos seus discursos:
mas sem se sentir assim impressionado. Seja como fór, este não é aqui o logar para fazer uma
divagação psychologica (esta será feita na segunda parte) sobre as causas e disposições de alma
que determinaram tal impressão.
Entretanto, a estranha e profundissima sentença penetrara-lhe na cabeça e elle não
conseguia repellil-a, saltava de improviso, como para dizer-lhe: quero de ti uma solução
razoada. Mas como dar á razão a precisa e apodictica demonstração? – Analysar... sem
apriorismos metaphysicos. Assim resolveu fazer. Considerou, antes de tudo, a sentença no logar
ocupado no complexo livro. Pois bem, o que lhe apparecia como expressão do mais desolador
pessimismo, pouco a pouco assumiu uma luz diversa e tornou-se-lhe uma expressão
equillibrada. Comprehendeu, então, que a mysteriosa máxima, com mais exactidão, devia ser
formulada assim: TODAS AS ACÇÕES DO ESPIRITO QUE TÊM FINS PURAMENTE
HUMANOS E ACABAM NA TERRA SÃO VAIDADES, PORQUE O FIM DO HOMEM
NÃO E’ NESTE MUNDO.
Assim concebida, o som das suas palavras não mais era terrivel, pessimista, arido e
mysterioso. Mas não o satisfazia, porque parecia-lhe aprioristica, ou seja, resolvida sómente em
sentido religioso, commum, isto é, não examinada através á especulação philosophica, sem
analyse.
A fé christã sussurrava a Origene: quem acredita que Deus existe e professa a sua lei,
deve tambem admittir todas as consequencias derivadas da sua crença, das quaes a primeira é
que o fim do homem não é deste mundo.
A sua razão, porém, respondia: isso é verdade, mas as nossas crenas não devem ser
infundadas, casuaes; e justamente porque representam a lei de “Colui che tutto move”, não se
devem provar sómente com a fé, mas tambem com o raciocinio, antes devem ser consoantes á
natureza humana, de tal forma, que se manifeste no animo nosso uma natural tendencia para
agir conforme os principios aos quaes essa crença se subordina. Principios que, só forçando o
curso natural das acções humanas, e alterando o significado dos testemunhos dados pela
2
In
Jornal
do
Commercio.
Rio
http://memoria.bn.br/DocReader/364568_12/48461.
de
Janeiro,
25
de
maio
de
1937.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 15-20
consciencia, podem-se negar. Pois bem, se o preceito do fim ultimo do homem é lei divina, e,
por isso, lei natural, e se esta lei é inevitável, claro se vê como, estudando e investigando a
questão das nossas aspirações psychologicamente (ou seja, segundo o testemunho da
consciencia individual e collectiva), no espirito humano se deve achar uma natural tendencia
para estabelecer, como ultimo escopo das suas acções um premio ultramundano e superior a
todas as possiveis satisfações mundanas.
Existirá no homem esta natural tendencia? As deducções que se podem tirar da analyse
psycho-physiologica e da especulação philosophica permittem dar uma affirmação favoravel, e
accrescentar: se póde pareccer que não exista esta tendencia, isto é, devido ao facto que os
principios de tal crença foram e vêm alterados por maus ou pouco escrupulosos, ou deficientes
interpretes da natureza e da psyche humana.
Origene percebeu ter penetrado em um campo demais vasto e difficil, e, então, como
reacção á sua ousadia, e como fazem quase todos os pesquizadores quando se acham perante
difficuldades (dirigem-se, isto é, aos factos e procuram na evidencia deste a explicação)
procurou elle tambem nos factos particulares a explicação. Percorrendo com o pensamento as
multiplices opportunidades da sua vida passada, pediu á sua consciencia se tinha jamais
alcançado a satisfação completa dos seus desejos, das suas aspirações. Um facto singular
relampejou então na sua mente: lembrou que nas suas excursões outomnaes, de estudante e de
professor, tinha-lhe varias vezes acontecido pôr como méto o cume elevado duma montanha, e
logo chegado a um certo ponto da subida, julgava tel-o alcançado: o via dominar no azul;
imaginava o suave prazer de vaguear pelo espaço entre o céo e a terra; antegozava, emfim,
aquelle conjunto de sentimentos que nos exalta quando achamos quasi isolados no espaço...
levando vantagem ao mundo. E redobrava o aento. Estava para alcançar a cumeada... quando
percebia que não era a mesma. Um outro cume, mais alto e mais longe, estava atraz disso.
Parava um instante, enxugava o suor da fronte, e... avante, sempre por diante, não satisfeito,
mas confiante. Mas nem o cimo que se via diante não era o procurado! Este o olhava de longe
e o sol sorria na sua frente... Errava assim aqui e ali sem conseguir alcançar o fim.
A comparação fez exclamar a Origene: por tanto é verdade?! Vanitas, vanitatum et
omnia vanitas! A vida, que continuamente muda de aspecto, que, por um lado, distroe, e por
outro constroe: a vida, semelhante áquellas cadeiazinhas semoventes com que os prestigiadores
fazem pasmar a plebe, collocando de baixo o que perdem sobre, outro não é que vaidade. Mas
este conceito – unilateral emquanto pessimista – não podia perseverar. Origene agitou-se e,
passando novamente das considerações subjectivas e particulares ás objectivas, cedo
delinearam-se claramente duas ordens oppostas de idéas, que o conduziram á solução do
problema.
De facto, duas são as escolas philosophicas que se combatem: o materialismo e o
espiritualismo (tomados, entende-se, na mais larga accepção). Duas sómente porque, entre a
admissão de um espirito immortal (susceptivel de premio) que informa o corpo, e o não admittir:
não ha meio, não ha outro caminho ou admissão. Deixando as diversas distincções de escolas,
as idéas humanas sobre este ponto podem-se dividir em duas grandes classes: o materialismo,
segundo o qual a felicidade é uma palavra, ou sómente conseguivel na vida terrena; e o
espiritualismo, que considera e sustenta que a verdadeira vida é a do espirito, sendo o corpo um
instrumento que deve servir á maior perfeição do homem, ao maior merito do mesmo espirito.
Portanto, a sentença do “Ecclesiaste” é verdadeira: tudo o que concerne à terra é vaidade.
Ora bem, se por um lado, a vaidade do tudo, entendida materialmente, não póde fazer
feliz a humanidade, por outro existe uma TENDENCIA NATURAL para acreditar na vida do
além. Isso estabelecido, o caminho estava aberto no verdadeiro sentido que, sem duvida, o
“Ecclesiaste” quis dar á sua sentença. Era sufficiente formular uma pergunta para concluir: - a
crença na immortalidade (espiritualismo religioso) faz conseguir, faz alcançar ao homem a
felicidade? – Não; a felicidade, no verdadeiro sentido da palavra a respeito da existencia neste
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 15-20 16
mundo, não é alcançavel, senão por breve hora... E’ porém conseguivel, e o homem o póde
alcançar, um grau de perfeição a paz, a serenidade, a vista bilateral, a visão clara do tudo, a
tranquilidade, em summa a força moral contida no espiritualismo religioso dominam a
consciencia, isto é, o intellecto, a alma, o coração. (Dante, Manzoni e muitos grandes homens
indicaram a estrada para conseguir esta felicidade).
Na verdade, desde o começo, com o intuito e com a força da religião christã. Origene
já havia concebido e definido a esoterica sentença. Agora, porém, a repetia com a força de
Razão, da especulação philosophica: todas as acções do espirito que tem fins puramente
humanos e acabam neste mundo são vaidades, porque o fim do homem não é na terra.
Conhecer profundamente tal sentença quer, portanto, significar, por um lado,
reconhecer Deus e crer na immortalidade; por isso elevação, superioridade e victoria sobre as
soferencias e as perversidades, emfim via de perfeição humana; por outro, averiguação justa e
precisa da realidade da vida.
COMO ORIGENE CONSIDEROU A OBRA DE LEOPARDI
Tem-se dito, ao inicio, que Origene lia AGORA a Biblia. Este adverbio usado como
substantivo precisa de uma explicação. Agora, isto é, para dissipar os effeitos tristes da leitura,
neste instante terminada, das obras de Leopardi.
Devemos considerar que Origene de Padua (o philosopho mallogrado que jámais
conseguiu alcançar o successo, o philosopho que... faltou em seguida a uma longa e triste
odyssea) achava-se isolado completamente do mundo em uma cella de Reclusão de P... Summa
desventura (para o innocente) achar-se no logar mais abjecto: onde o homem é só um numero
e o casaco é mais pesado que a capa de chumbo dos famosos frades dantescos; onde
aborrecimento, tedio, saudade, melancholia, pessimismo desesperação se fundem e podem
tornar a existencia um continuo martyrio. Summa desventura: mas termino... logico da injustiça
padecida. Infelicissimo, portanto, quem, nestas condições, não sabe achar o modo de accelerar
o curso dos 14.400 minutos diários, assim como acontece a respeito dos... prazeres, e no somno.
O nosso philosopho sabia, porem (como soube talvez o seu omonymo grego, mas este
grande: o mestre, isto é, na antiga escola de Alexandria, que procurou estabelecer a
comprehensão philosphica do christianismo e morreu em seguida aos soffrimentos durante a
perseguição de Decio), sabia que o tempo e ainda a unica e verdadeira riqueza que fica ao
innocente, pois cada minuto que passa vae ao encontro do triumpho da verdade e da justiça; e
então, cumprindo um esforço supremo, preparou-se á árdua empresa de tirar ao tempo o seu
rythmo lentissimo e monótono. Como Prometheo encadeado, mas differentemente deste, que
foi parado depois de furtado a Jupter o fogo, Origene acertou com a empresa, porque possuia o
fogo que Prometheo não conheceu, o fogo christão, isto é, havia a preparação moral-regiosaintellectual, á qual póde atingir para si e para amar... ainda os seus semelhantes.
Entre os... passatempos, escolheo o estudo das obras de Leopardi, principalmente das
“obrinhas moraes”. Conhecia, porém, o veneno subtil contido na idéa leopardiana, por isso
propoz se exercitar o seu espirito mediante a leitura da “Imitação de Christo”. Sabia prudência!
Póde parecer estranho e paradoxal que um philosopho, justamente emquanto...
mallogrado, levante os olhos ao céo em vez de refugiar-se e satisfazer a sua “forma mentis”, na
especulação philosophica; mas este acto torna-se uma consequencia logica e natural, quando se
pensa que se a sciencia é uma grande força intellectual, porque fornece ao espirito humano um
fundamento formidavel, o Christianismo, além de ser uma força intellectual, é a mais grande e
poderosa força moral, é a vida, é o unico conforto nesta existencia. Se o homem tem o appetite
de Sciencia, da cultura, sente ainda mais o desejo de conhecer Deus – CAUSA primeira não
causada, MORTE IMMOTO – isto é, da necessidade religiosa. Esse conceito é demonstrado
pelo facto de que a maioria dos homens que parecem incrédulos ou privados dessa necessidade,
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 15-20 17
procuram formulas que, mais ou menos, têm um nexo com o sentimento religioso: basta citar
os positivistas partidários de Comte. Estas duas necessidades (ou aspirações ou desejos),
justamente porque taes, não são inconciliaveis, e se a sciencia, em seguida as suas proprias
conquistas e descobertas no campo physiologia, não se tivesse tornada orgulhosa e suberba e
(fazendo abstracção do mundo intellectual e psycho), materialista e agnóstica, já se teriam
reconciliadas e unidas numa sublime e fecunda harmonia.
E’ logico, portanto, que Origene se servisse de tal leitura como precioso antidoto e
como propedeutica. De facto, o havia muito confortado a seguinte passagem da “Imitação” (que
pode parecer descabida, ou productora de depressão, de enfraquecimento para quem não sabe
que coisa seja força moral): “Se tu levares de boa vontade a tua cruz, ella te levará e te conduzirá
ao desejado fim, onde estará o fim do soffrimento, que não póde ser na terra. Se a levares de
má vontade, ella se tornará um peso para ti e a tua situação se aggravará, pois de qualquer
maneira é mistér que tu a leves. Se te disfizeres duma cruz, sem duvida acharás uma outra e
talvez mais pesada. Quando chegares ao ponto em que a tribulação te seja suave e que o amor
de Deus seja o que faça sentir o sabor, então pensa quanto foi um bem para ti, pois achaste o
paraiso na terra.”
Assim acautelado preparou-se a estudar a obra litero-philosophica-artistica de
Leopardi.
Ah! A’ medida que prosegua, um senso indefinido de oppressão o perturbava, como
se tivesse o vasio na alma. Não era pessimismo; mas o effeito benefico da leitura da “Imitação
de Christo” se afastava. Acabado o estudo, feita a analyse, e depois de ter longamente meditado,
fez as seguintes observações e considerações sob fórma de notas:
Excluidos alguns trechos da prosa e algumas poesias, a obra de Leopardi não se póde
incluir no catalogo daquellas que, como sasorio guia, indicam o junto caminho á humanidade e
o mesmo aliviando-o: obras que não são instructivas e apreciadas sómente pelo estilo e pela
lingua, mas são tambem educadoras, estimuladoras de actos generosos, e apontam o caminho
do bem, do justo, do equillibrio da força moral.
As virtudes exigem sacrifício, generosidade, coragem, caridade, etc.: mas são tambem
compensadoras generosas, porque agradam e dão doçura, paz, serenidade, equillibrio; por
consequencia, quem as possue acha sempre um premio, uma certa felicidade, tambem quando
é mordido de tribulações e golpeado pelas infelicidades. Com certeza as virtudes não podem
supprimir totalmente as desventuras humanas, os soffrimentos; porém as diminue, as apasigua,
as faz evitar sobretudo superar.
Em Leopardi se acham duas vidas: uma publica e privada, sempre virtuosa e exemplar;
outra, intima mas manifesta nas suas obras continuadamente sulcada e atormentdada por
duvidas, da ironia, do scepticismo, do sophisma inserto no conceito, por certo rancor contra a
humanidade (não obstante a sua intenção de educal-a); do sarcasmo, do pessimismo mais negro
(é bastante dizer que superou Schopehauer, tido como o philosopho mais pessimista): emfim,
do pensamento da vaidade da vida, mas não baseado sobre o principio e o fim da existencia
humana.
Leopardi, fiz comprehender, é superior ás miserias humanas, tendo alcançado um
estado de insensibilidade: uma espécie de “nirvana” (“A vida solitária”; “O Infinito”; “Plotino
e Porfirio” etc); todavia a paz, a doçura, a serenidade e o equilibrio implícitos nesta
superioridade não apparecem, antes são desmentidos, por outras affirmações e considerações.
Mas como obter um tal premio sem um verdadeiro e profícuo surto de reconhecimento de Deus
e de amor para com o proximo? Quando, apesar de demonstrar a sua indignação avistando a
humanidade infeliz e embrutecida, mas apoiando-se ao pureril e equivoco facto que tudo é
caduco e que os homens são malvados e scelerados, insere (e com que arte!) o conceito da
vaidade e da illusão da vida, e após faz ponto firme, immovel, isto é, deixa ali suspenso (como
ameaça maldição) um tal conceito?
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 15-20 18
O homem póde ser mais virtuoso e mais moral nal propria consciencia, ou seja, na vida
interior, que não nas palavras e na expressão. Conceito justo, mas commum. Para o poeta, para
o philosopho, ou quem quer que seja escriptor ou artista, em summa, para os homens excelentes,
como o mesmo Leopardi, que tem a faculdade intellectual de assignar o passo à humanidade e
esta confortar no fadigoso caminho, a expressão artístico-philosophica, etc... deve
constantemente harmonizar com o que deve ser implícito, com o intimo desejo o de communicar
o espirito da vida, não só a vaidade da vida: de fazer conhecer a essencia da existencia, não
exhaurir repentinamente o sua fonte: de exercitar a vista intelligivel do homem antes que pôrlhe diante uma especie de lente de augmento que faz ver ao mesmo homem demasiadamente as
maldades e as injustiças humanas; finalmente, não encerrar a fonte da vida com apparentes ou
com algumas asperas verdadas, derramadas aqui e ali, de conceitos pessimistas.
Sabe-se que a litteratura e o conjunta da evolução do pensamento humano e das obras
culturaes escriptas de um povo; por isso, a Forma de uma obra literaria contem sempre algumas
idéas, tambem erradas. Separar a Idéa da Fórma, ou esta da primeira, equivale a renegar um tal
desenvolvimento intellectual, isto é, a Arte e a Historia literaria, e fazer ao literato sómente um
estilista hábil e árido que sabe amontoar palavras e frases.
E’, porem, necessaria uma separação, ou melhor distincção: a distincção, isto é, entre
a Idéa justa e boa, e as idéas insufficientes ou erradas. Portanto, nenhuma separação da Idéa e
da Fórma a respeito das obras de Leopardi: sómente é de deplorar que um Poeta que soube
cantar tão nobremente o amor e as bellezas da natureza – seja tambem, por, depois, imprecar
contra um e as outras – um philosopho que percebeu, antes sentiu em si mesmo o soffrimento
e os males que atormentam a humanidade, não haja irradiado a luz que esclarece o caminho da
vida humana: como a luz das Idéas de Dante, para citar um só exemplo.
Pode-se assim resumir:
a) Idéa e principio contestavel, e em muitos logares detestável;
b) Como philosopho, não obstante exprima algumas verdades, deixa um senso
quasi invencivel de oppressão;
c) Como philologo: insigne;
d) Como psychologo: scepticismo e pessimismo não lhe aperfeiçoaram a
observação psychologica. Esta, embora acuda e muitas vezes justas, a um certo
ponto torna-se insufficiente, ou paradoxal, ou para-se;
e) Como dialectico: produz um verdadeiro gozo intellectual, tambem quando se
serve desta arte para fazer raciocinios torcidos e errados...;
f) Como Poeta: é grande, majestoso, exquisito, raro. Nenhum, até agora, gravou a
dor e um soffimento moral com tanta naturalidade e singeleza, e com uma forma
tão penetrante e tocante. Muitos versos agarram o coração, todo o coração, e
fazem chorar. A analyse dos Cantos de Leopardi não se póde, nem se deve fazer,
não fosse, porque a razão fica sempre fóra. A sua obra poetica parece dizer:
“Olha, que se tu, depois de commovido, depois de enthusiasmado e exaltado,
depois de ter-me achado bonita e admiravel, e que has chorado sinceramente
sobre as minhas lagrimas, crès penetrar nas minhas visceras com a tua dialectica
e com a tua anayse, engana-te; quebras uma cadeia ideal que nos liga e enlaça, e
destroe o beneficio dos nobres sentimentos que eu te produzi. Deves estar
satisfeita de ter-me comprehendido, de ter-me amado, de ter-me achada bella e
admiravel, de ter chorado. Não te approximes, portanto, não me discute se
desejas manter intacta esta cadeia ideal de benefícios que eu te hei doado”: “A
analyse scientifica é escada para as virtudes e a severidade não é jámais
excessiva quando volve sobre coisas nas quaes os calculos do intellecto têm
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 15-20 19
direito em grande parte: mas existem sensações que se não podem submeter a
calculo humano existem obras que se dirigem ao coração, e das quaes o coração
é só juiz; o coração a quem cabe e pertence cada revelação do que concerne os
arcanos da alma, e o segredo da existencia.” Estes dois conceitos, o primeiro
dum subtil comentador de alguns Cantos de Leopardi, o segundo de José
Mazzini, são os mais justos e os únicos applicaveis para julgar a obra artísticopoetica de Leopardi;
g) Fórma: Italiana e grega no estilo; verdadeiro ouro do “300” e do “500” fundido
com o de Leopardi, finissimo, na língua (é bastante dizer que um Ensaio, escripto
na idade de 20 annos por Leopardi, enganou alguns letrados do tempo, que o
consideraram como concebido e escripto naquela remota época).
Os italianos sobretudo, não devem esquecer o fortissimo impulso que Leopardi deu a
lingua italiana e ao estilo, e o imenso beneficio trazido á literatura.
Honramos, portanto, o excellente clássico (no senso mais largo): o finissimo artista e
amante do “bello”; o sublime e penetrante Poeta: o philologo insigne: emfim, o excelso Mestre
em literatura. Amamos tambem este raro e singelo intellecto, este grande soffredor e, ao mesmo
tempo que RECUSAMOS TODOS OS SEUS ERROS PHILOSOPHICOS MORAES (este é
um dever, de que não se pode prescindir), esforçamo-nos para extrahir todo o bem e o bello
contido em varias de suas obras. Nisso se póde imitar a constante sinceridade, e seguir, um
conceito do mesmo Leopardi quando depois de haver ousado censurar Annibal Caro em
“Titanomachia”, dirigiu ao mesmo as seguintes expressões: “A consciencia não quer que eu
acabe sem accrescentar alguma coisa. Eu, na parte superior, tenho ousado censurar Caro; e desta
ousadia tenho tanto remorso, que preciso confessal-o a vós, solennemente. Devereis ter olhado
que eu muito admiro aquelle insigne literato; aqui porém, quero dizer-vos, que não só o admiro,
mas o amo, e de lel-o e de manuseal-o não me sacio jamais; e já se assim não fosse, só eu teria
damno. O que a mim pareceu verdade, e por amor da verdade, quis dizel-o...”
Admiramos e amamos tambem Leopardi, e de lel-os e de manuseal-os jamais estamos
saciados; e por amor da verdade havemos escripto.
Assim falou o mallogrado philosopho.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 15-20 20
O VERDADEIRO LEOPARDI3
Giulio Canella
O “Jornal do Commercio” do dia 20 do corrente publicou a seguinte noticia:
“Roma, 9 (H.) – O Senador Guglielmo Marconi, Presidente da Academia de Italia,
convidou o Professor Aloysio de Castro, membro da Academia Brasileira de Letras, a assistir à
cerimônia de encerramento das comemorações do centenário de Leopardi. O acto effectuar-seha a 29 do corrente, em Recanati, cidade natal do grande poeta italiano.” O’ afortunado
Professor Aloysio de Castro!
As commemorações são transitórias; todavia a lembrança do comemorado não se
desfaz num dia pre-estabelecido. Encerram-se as cerimonias (que devem deixar uma suave
recordação); mas ficam as obras, permanece o pensamento, surgem novos leitores: portanto
permanece o dever de honrar continuadamente o grande e sincero espirito de Leopardi, que
consiste na interpretação exacta do seu pensamento, no estudo profundo e na critica serena,
imparcial, elevada e cabal das suas obras.
Hasteando o nosso estândar a respeito dos estudos criticos e da presente critica,
queremos escrever no mesmo – perto ao nosso mote: “Pereat vitae, fiat veritas – perto ao nosso
mote: imparcial” – a seguinte nobre expressão (“Criticos...”, E. P., “O Globo”, 19-6): “...os que
estimam as letras e não preferem as attitudes commodas, devem permanecer onde se encontram,
acima dos rancores, fóra dos comícios das vaidades em paroxismos, á cavaleiro das injurias
estupidas. CUMPRE O TEU DEDVER, AINDA QUE ISTO TE CUSTE SACRIFICIOS E
REPUGNANCIAS.”
LEOPARDI FRENTE A’ PEDAGOGIA E A’ CRITICA
A presente – tem-se escripto no artigo commemorativo do dia 13 do corrente – é uma
simples synthese-recordação do grande fallecido no dia 14 de junho de 1937... Portanto, é
preciso avivar o leitor aos “estudos” que serão publicados em continuação. Mas antes de
apresentar estes “estudos” – que são um conjunto de critica psychologica, formal, exterior, de
interpretação, etc. – é mister observar e estabelecer o cunho leopardiano.
Trata-se, por um lado, de inserir no intellecto e no coração a potencia literaria e as
flores poeticas, por outro de imprimir na consciencia o equilíbrio, isto é, de fortalecer o espirito
critico contra o que é deleterio na idéa de Leopardi; trata-se de affazer e dirigir os jovens afim
de que estes estejam preparados, moral e intellectualmente, a gozar e a absorver, não só a belleza
e o perfume, mas tambem as lutas entre o intellecto e o coração, e a repelir as negações; emfim,
estabelecer si se deve ou não deixar aos jovens toda a produção de Leopardi.
Pode-se confiar nas mãos dos jovens (tambem do que não sabem interpretar e ...
ruminar) as obras de Leopardi? Os logarythmos não prestam para responder, tão delgada é a
questão. A obra de Leopardi presta-se optimamente como cultura intellectual, como gozo
artístico-literario; mas não outro tanto pela vida harmônica do espirito, pela visão exacta dos
dois oppostos (o bem e o mau) que dominam o mundo, porque a philosophia nella contida é
unilateral e, antes que estimuladora, deprimente. Esta distincção demonstra a prudência que se
deve usar, e que só se póde confiar as obras de Leopardi quando o leitor tem a preparação acima
mencionada. Mas esta distincção é um apreço sómente, por isso a questão carece ainda de
explicação.
3
In Jornal do Commercio. Rio de Janeiro, 11 de julho de 1937.
http://memoria.bn.br/DocReader/364568_12/49330
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 21-30
Nada é tão nocivo ás letras, á philosophia, á história, ás artes, ás sciencias, quanto a
critica parcial, as meias criticas e os meios juízos quanto (a proposito das obras dum autor
multiforme como Leopardi) a critica só formal, ou só psychologica, ou só explicativa da obra,
ou só fixa no estilo...
Até quando a critica não terá por base este conceito, não affrontará tambem o problema
pedagógico que a mesma obra de Leopardi impõe; até quando a critica limitar-se no estudo só
exterior; que colhe conceitos, frases, versos, expressões, emfim fórmas de dizer mais preciosas;
ou só de interpretação e de commentario, a qual critica póde explicar uma ou mais obras, mas
não póde julgar as mesmas nem o seu autor; ou só de observação do estilo e, disso, sem olhar a
idéa do autor, deduzir o homem; emfim só na critica psychologica: isto é, investigando Leopardi
nos seus defeitos, nas suas virtudes, nas suas qualidades: - até quando a critica a respeito das
obras de Leopardi não for um conjunto destas criticas, os jovens, e não somente estes, nunca
terão uma maneira para compreender e interpretar justamente Leopardi, este poeta que quis ser
absolutamente philosopho.
Portanto, a nossa critica deve estar diligente, afim de que cada uma destas criticas, que
tem a sua razão e a sua utilidade, não exceda os seus limetes, para cahir, depois, no exagero ou
no falso, afim de que a critica formal externa não influencie a critica psycholoica e a idéa
dominante, e estas não invalidem a preciosa obra de arte.
O intellecto de Leopardi foi extraordinário e extenso; a sua alma nobre e, como certas
rochas, polyédrica; o seu coração doce, mas repleto de amendoas amargas; a sua arte possante
e delgada; a sua philosophia, sustentada tambem por uma dialectiva magistral e elegante,
suasoria e ... corrosiva. Portanto, a intenção sómente de cumprir um estudo critico cabal das
suas obras póde fazer recuar quem quer que seja que, possuindo tambem um principio são,
firme, justo e inteiro, não seja, porém, impregnado, como uma esponja, da fórma e do conteúdo
das suas obras.
Quem escreve tem lido, observado analysado; tem gozado justamente estudando tantas
egregias dissertações conduzidas com o methodo e com a fórma de composição dos antigos,
junto o proprio precioso estilo; e se tem enternecido lendo os versos tão tocantes e sublimes,
comovido até as lagrimas; mas tem-se... quasi assustado quando tencionou fazer a presente
critica, isto é, apresentar o verdadeiro Leopardi. Todas aquellas dissertações, todas aquellas
posições e conclusões, que tinham a apparencia de verdade e cuja possante maneira artística
inhibia quase de apanhar os sofismas e os erros, induziram-no a tornar a ler, a estudar e analysar
novamente. Em seguida, como o paciente e honesto traductor, o qual, mais que verter as
palavras quer traduzir o espirito dum autor, tem procurado interpretar todas as expressões, todas
proposições, todas as conclusões, sem nunca descuidar do conjunto.
Os pormenores ahi e ali mencionados nos dois artigos de 23 de maio e de 13 de junho,
e os que vamos expondo, são como as testemunhas que o honesto juiz, apesar de convencido
através o estudo de uma causa, faz comparecer em pretorio para robustecer o seu pensamento e
para dar á sua sentença um valor maior. Como o juiz que considera as boas qualidades do
accusado mas não póde absolvel-o, assim tambem não devemos confundir alguns trechos de
poesia ou de prosa com a obra inteira, como não devemos confundir a obra artística com a idéa.
Mas... “a vaidade da vida e a maldade humana são ou não são das verdades contidas
na philosophia?: perguntam os que não sabem distinguir o grande genio poetico e o insigne
letrado, mesmo os elegantes arrebique dialecticos da Idéa principal insto é, dos sophismas
inseridos nos conceitos, e dos erros que serpejam nos “Pensamentos”, e em quasi toda pagina
de prosa e de poesia de Leopardi. Responder a esta parodia duma expressão de Leopardi seria
fatiga vã. De facto, como se póde convencer o “filosofante”, quando o seu erro é a base do seu
principio? Quando este principio faz confundir o que está sómente no seu cerebro com o que
está fóra (a verdade, o justo, o equilibrio, a vida)? E assim, olhando um malvado deduz que
todos são malvados?
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AS DUAS FORMAS ESPIRITUAES
Leopardi foi o grande admirador de Dante, e o evocava dizendo que a poesia é por si
mesma educadora, porque impede, ao menos por breve hora, de ter pensamentos cobardes. Este
elevado sentir, esta intensa fixação da mente na imagem dum objecto, faz presumir a emulação,
o esforço para chegar a igualar em obras dignas de louvor, o objeto que se offerece numa fórma
tão extraordinária e eximia. Mas a emulação, consequência da emiração, não insurgiu em
Leopardi.
O assumpto carece de explicação.
Quando Dante al pie’ d’un colle giunto perdeu a esperança da altura, e estava para
retroceder na selva oscura ... selvaggia e aspra e forte, isto é, para o erro: - “Miserere di me”,
gritou resolvido a uma sombra que se approximava; e quando esta revelou a sua personalidade,
logo sahiu do seu coração uma invocação:
“or se’ tu quel Virgilio, e quella fonte,
che spande di parlar si largo filme?
..................................................................
O degli altri poeti onore e lume,
vagliami ‘l lunge studio, e ‘l grande amore
che man fato cercar lo tuo volume”
‘Aqui a admiração.
Quando Virgilio exhortou o desesperado a tomar outro caminho se desejasse salvar-se
dizendo:
“A te convien tenere altro viaggio,
...............................................................
Ond’io, per lo tuo me penso e discerno,
che tu mi segui: ed io saró tua guida
e trarrotti di qui per luogo eterno,
ove udirai le disperate astrada,
vedrai gli antichi spiriti dolenti,
che la seconda morte cias, cun grida”.
Dante invocou novamente auxilio:
“....................... Poeta, io ti richieggio
per quello Iddio che tu non conosceti,
acciochio fugga questo mele, e peggio,
.....................................................................
Tu m’hai con Desiderio il cor disposto
si al venir, con le parole tue,
ch’io son tonrnato nel primo proposto.
Or va, che un sol volere é d’amendue:
Tu Duca, tu Signore, e tu Maestro.”
Aqui está a emulação, isto é, o desejo ardente de tomar por modelo Virgilio, o esforço
para igualar, com obras dignas, aquelle que lhe era apparecido numa fórma tão excellente.
Mas Dante tinha a vontade de fugir do erro (“questo male e peggio”); Dante havia o
coração disposto a “entrar per lo caminho alto e silvestro”; antes, depois de ter atravessado o
reino da gente morta ao mundo e a Deus (“Tosto ch’io uscü fuor della’acqua morta m’aveva
contristato gli occhi e il petto”), teve a força de cantar:
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 21-30 23
“........ daquelle segundo reino
onde o humano espirito se purga
e de sahir ao céo se torna digno”;
Depois:
“A gloria d’Aquelle que tudo move
pelo Universo penetra e resplende
em uma parte mais e menos algure”;
ao passo que Leopardi, entretanto que admirava Dante ficou porém extactico, com o
pensamento fixo, immovel, no conceito opposto ao de Dante.
Como se explica esta violação da regra entre admiração e emulação? Assim:
A obra de Dante é um conjunto, se póde dizer em cada Canto, de arte, de amor, de fé,
de moral, de philosophia, de psychologia, de teologia, de doutrina universal (assim, para citar
só qualquer exemplo, como conceberam a poesia Virgilio, Petrarca, Ariosto, Tasso, os quaes
deram ás fabulas, aos mythos, aos seus symbolos emfim, dos principios philosophicos que tem
um nexo com a vida); a obra de Dante, na Idéa Dominante, é luz, guia, elevação (até quando
elle mostra-se amante, como nas “Rimas”:
“Guido ‘l vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vascel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio
.................................................................
e quivi ragiornar sempre d’amore”)
emquanto a obra de Leopardi, apesar de conter o lyrismo dos antigos poetas gregos e dos latinos
e tambem um lyrismo proprio superior aos dos antigos, apesar de ter das vibrações tão
sentimentaes e tocantes e que se não acham em nenhum poeta, antes uma potencia melodiosa
muitas vezes superior áquella de Dante; não tem porém o nexo entre o preciso e o indeciso
(como teve, ás vezes, até o pessimista Verlaine: “Rien de plus cher que la chanson grise – on
l’Indecis au Précis se joint”), seja como fôr dominada do erro philosophico, que applica, como
fosse lei universal, um só opposto: o mau, a maldade, os proprios soffrimentos, por isso conclue
com uma negação. Emfim, da união e da organicidade da obra de Dante nasceu a obra prima,
ao passo que a de Leopardi, não obstante que cada canto seja um pequeno primor, é solta,
desordenada.
Contrariamente, pois á regra dos rapportos entre admiração e emulação, a admiração
de Leopardi por Dante ficou ali: fixa, extactica, sem consequencias, limitada, isto é, por quanto
forte na intenção, a Dante humanista e instaurador do “dolce stilnovo”. Nestas condições o
elevado sentir que devia produzir a emulação, em sentido cerrado e justo não é admiração, mas
sómente um produto da fascinação da grandeza intellectual e moral de Dante. E’ logico, e se
explica: em primeiro logar os principios de Leopardi não foram conformes aos de Dante;
segundo, a sua Idéa surgiu de uma fórma intellectual só cultural; terceiro, os seus rapportos
espirituais foram limitados na consideração de Epitteto, dos neo-platonicos, depois á tradução
do humanismo; em resumo, a sua admiração não deriva da Idéa e dos sentimentos que
conduziram novamente Dante perto de Beatriz: - quer dizer ao conhecimento da sciencia das
verdades reveladas, á felicidade espiritual. “ao amor que move o sol e outras estrellas”. De
facto, a fórma espiritual de Leopardi, justamente emquanto monócula, impediu-lhe de avistar e
de distinguir claramente a vaidade das coisas humanas do principio, do escopo e do fim do
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homem; impediu-lhe de considerar philosophicamente, e praticamente, que o mau não é
propriamente o que o homem padece, mas sobretudo o que elle, com as suas idéas unilateraes,
com os seus conceitos monóculos e particulares, por isso muitas vezes errados, produz á
generalidade humana; ao passo que em Dante as duas fórmas espirituaes: caracter moral (que
abraça arte, literatura, historia, sciencias positivas, philosophia), se fundiram numa fórma
artística-philosophica-moral indissoluvel.
Emfim, Dante é o sêr cabal que tem conseguido a unidade de todas as mais sublimes
manifestações do espirito. Pode-se dizer que elle tem extrahido da philosophia, da poesia, da
sciencia, da arte, da literatura e da historia (desde as mais antigas idades até á escolastica e á
alvorada radiosa da lingua italiana e do humanismo), o succo benéfico em cada um conteudo,
e este succo soube transformar (como a abelha a flor em mel) em um tudo harmonioso adherente
ás necessidades intellectuaes, artísticas e sociaes do individuo e da generalidade: tudo assim
harmonioso, que, não obstante que na “Divina Comedia” e em outras obras se achem dos
conceitos errados – devidos á insufficiencia scientifica do seu tempo, - póde ainda servir de
guia: moral, politica, philosophica, scientifica e artistica.
COMPARAÇÕES
Mas da ruina da concepção ideal juvenil, e do sobrevir da Idéa pessimista e da dor
(Idéa e dor que sempre acompanharam Leopardi depois dos 20 anos), não podia surgir a
emulação, nem a fórma espiritual acima considerada. E assim cahiu e ficou até o ultimo dia
pessimista a flor dos poetas e letrados.
______
Nem Ugo Foscolo, o autor do lúgubre romance “Jacopo Ortis”, que teve a maior
affinidade e os maiores pontos de contacto para com a philosophia de Leopardi, não foi assim
constantemente pessimista. Acha-se nos seus “Sepulcros” uma mudança muito sensivel. Esta
obra, apesar de não ser totalmente desprovida de pessimismo, contém o mesmo forte estimulo
das virtudes por seu autor produzido para com as suas acções. A philosophia aqui exprimida
mais não é a de “Jacopo Ortis”; aqui o pensamento á vaidade da vida que excitou o Ortis ao
suicidio, assumiu uma comprehensão e uma grandeza que destróe a mesma vaidade, como
aquella contida na religião christã; aqui o poeta e philosopho pessimista tem alcançado uma
altura de meditação toda permeada de moralidade e de intelligencia e de equilíbrio da existencia.
Em senso inverso de Leopardi, que perseverou na sua idéa, nos “Sepulchros” de Foscolo o
pensamento obcessor do eterno nada desappareceu: porque estes tumulos gemem, choram,
incitam; porque os trespassados vivem: como na “Divina Comedia”; emfim, porque os tumulos
mais não encerram o eterno nada, como na sua obra juvenil, mas contêm sentimentos altamente
moraes, políticos, civis.
Mas considerando tambem que o Foscolo não tivesse escripto estes “Sepulchros” que
o dividem de Leopardi, são suficientes as suas acções para separal-o. Desde 19 annos até quando
foi constrangido ao exilio na Inglaterra, se acha o cidadão que, com a eloquência e com a espada
luta pela liberdade e para o renovamento da sua Patria. Os sentimentos por elle inspirados vêm
relevado por um exemplo. No anno 1810 o jovem Silvio Pellico achava-se em França, sem
escopo, sem meta. Leo os “Sepulchros”, e, quasi accommettido deste fogo, cedo regressou á
Italia, para desenvolver a sua actividade politica e literária poética, aquella atividade que devia
conduzil-o ao martyrio.
__________
Tambem Beethoven foi agarrado por uma concepção pessimista, até a pensar no
suicidio. Mas o ideal artistico, e o conceito moral fundamental que está na terceira virtude
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theologal, o salvaram. “Foi a arte – escreveu -: arte sómente que me tem feito demorar...
Pareceia-me impossivel de deixar este mundo antes de ter cumprido tudo o de que eu julgavame capaz.”
No epistolario de Beethoven acha-se um coração que ama a humanidade, e que
conserva este amor mau grado as injustiças padecidas.
“Vós, homens – escrevia aos 28 annos – que me fazeis passar por um invejoso, por um
louco, por um misanthropo, quando sois injustos! Vós não conheceis a secreta razão do que em
tal maneira a vós se apresenta. O meu coração e o meu espirito estavam inclinados, desde minha
puericia, ao doce sentimento da bondade. Mas considerae sómente qual seja a minha horrível
condição desde 6 annos, aggravada por medicos sem juízo... E se eu queria talvez não ter conta
da minha condição, oh! quanto tenho soffrido pela renovação do meu mal. E, entretanto, não
podia dizer: fala mais forte, grita, pois eu estou surdo! Como podia manifestar abertamente a
insufficiencia dum senso, que em mim deveria ser mais perfeito de todos? Eu devo viver como
um proscripto, porque nas conversações estou vencido por uma violenta afflicção, isso pelo
receio de expor-me ao que póde revelar a minha enfermidade..., Mas qual humilhação, quando,
no começo da surdez, estava alguém perto de mim que escutava de longe uma flauta, e eu nada
ouvia, ou este sentia cantar qualquer pasto, e eu nada ouvia! Estas dolorosas experiencias,
lançaram-me bem cedo no desespero: e pouco faltou para que eu désse fim á minha vida, Paciencia! Assim usa-se exclamar; é a paciência que eu devo nomear para minha guia. Eu a
tenho. Duradoira, como tenho esperança, deve ser a minha resolução de resistir, até quando
quiserem as Parcas inexoraveis cortar o fio da minha existencia. Aos 28 annos estar já
constrangido de tornar-me um philosopho não é coisa facil, e por um artista...
Divindade. Tu que do alto explora o fundo do meu coração, o conhece, e Tu bem sabe
que o amor para com os homens e o desejo de fazer o bem delles demoram no meu coração.
O’ homens! se lerdes um dia estas minhas expressões, meditae que tendes sido injustos
commigo, e, entretanto, o desventurado se consola, e suaviza os seus padecimentos, achando
um desventurado como elle, que, mau grado todos os obstáculos da natureza, faz quanto lhe é
possivel para ser dignamente colocado no grau dos artistas e dos homens escolhidos.”
Estas expressões, que irradiam a luz e a bondade da alma de Beethoven, demonstram
tambem o amor evangélico para com a humanidade, junto á sua verdadeira “Ferrea vida”;
aquella vida que se não póde chamar “ferrea”, quando fica sómente no pensamento como em
Leopardi.
A “FERREA VIDA” E A PHILOSOPHIA DESESPERANTE
Leopardi sentiu profundamente a virtude, a belleza, o amor, a gloria, a dignidade do
homem; mas a sua dor monocorde tem um fundo de amor só para si mesmo, e de desespero, e
debalde procura-se nas suas obras uma expressão de amor pelos outros, acompanhada da acção,
como em Beethoven.
Sente-se este amor tambem na sua musica. Nas suas symphonias parece se ouvir como
que os lamentos desesperados, os gemidos, os urros, os gritos de dor ou de gaudio. E estas
vozes, juntas ao murmúrio dum ribeirinho, ao canto dum pastor, ao ruído da tempestade, emfim,
no canto de regozijo, de fraternidade e da religião na “nona symphonia”, são vozes humanas
que sahem da natureza e que falam a linguagem universal. Todas as mais delgadas sombreadas
da natureza; todas as idéas apenas perceptiveis; todas as “nuances” de sensações do coração
humano, tudo tem sentido e exprimido este mestre dos mestres da musica. Sente-se
verdadeiramente que elle ama e padece por todos os soffredores, que elle crê no futuro, que elle
canta e encerra em si todos os soffrimentos do passado, do presente, do futuro, como se quizesse
abraçar com a sua ternura todos os infelizes. Não assim em Leopardi.
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Quanto desejo de emular Beethoven, este gigante que tem tido uma tamanha força na
sua desventura, que teve a coragem sublime de compor a “nona symphonia” (celebração
tambem da fraternidade humana) nas horas mais tristes e indigentes da sua existencia! “Eu estou
quasi reduzido a mendigar!”, escrevia naquelle periodo.
Mas em Beethoven a concepção pessimista e só fortuita, temporânea: o dever de
expandir tudo o que Deus e a natureza lhe prodigalizaram, e por elle um mandato imperativo
que o chama continuamente; ao passo que em Leopardi esta concepção ficou immovel, fixa,
base de sua vida; ao passo que Leopardi não crê, não tem fé nem no futuro e nem no presente,
e o que elle adimitte é só em abstracto: ao passo que Leopardi foi martyr voluntario da sua idéa
dominante e nunca bem fazente: ao passo, emfim, que Leopardi desesperou de si mesmo desde
os 21 annos, e o “nada” foi para elle uma realidade antes de affeiçoar-se á philosophia. E do
nada, e do aborrecimento da vida, sejam tambem ornados de flores poéticos-literarios mais
sublimes e brilhantes, não póde derivar o do que carece a humanidade, isto é, a coragem, o
sacrifício, o enthusiasmo, nem o justo equilíbrio moral e intellectual.
Que diferença entre as expressões e a musica de Beethoven, e as manifestações de
Leopardi! “Estou atordoado – escreveu na idade de 21 annos – do nada que me circumda... Não
tenho mais folego para conceber nenhum desejo, nem tambem a morte; isso não porque eu
tenha receio da morte, mas não vejo mais diferença entre esta e a minha vida... E’ a primeira
vez que o aborrecimento me opprime, e me dilacera como uma dor gravissima, e velo-me tão
espantado da vaidade de todas as coisas e da condição dos homens, que estou fóra de mim
considerando que é um nada tambem o meu desespero.” “Logo que começava em mim algum
impulso e mote (na ocasião que se me dera de qualquer sentimento ou de impeto, de
enthusiasmo, de fantasia ou de compaixão) este mote ficava apagado... Analysando o que eu
experimentava em tal occorrencia, achei que o que apagava infalivelmente cada mote, era uma
inevitavel olhada que eu então, confusamente e sem me perceber, trazia em mim mesmo. E’
que, tambem confusamente, eu dizia: que faz que importa a mim a bella natureza, uma poesia,
os males alheios! que não sou nada, que não existo ao mundo.”
Os que sustentam, pois a “férrea vida” de Leopardi sustentam, sim, uma verdade, mas
não toda a verdade. Estes, ou não conhecem todos os “Pensamentos” e toda a obra de Leopardi;
ou não sabem distinguir a grandeza moral-intellectual-artistica da Idéa dominante, que é uma
negação, ou tem feito uma critica parcial, unilateral. Isso explica o meio juízo, e tambem a
temeridade de apresentar Leopardi quasi como homem politico e de acção. E assim a confusão
augmenta, e assim – em vez de aproveitar das commemorações para fazer comprehender
profundamente o grande genio poetico, o brilhante prosador, e, o que é indispensavel, o
philosopho pessimista, emfim, em vez de inserir no intellecto e na consciencia dos jovens as
distincções acima reveladas -, assim o verdadeiro Leopardi fica na... sombra.
Leopardi foi sempre alheio da politica e da acção, antes (como tem-se mencionado no
precedente artigo, e como será demonstrado numa critica histórica a respeito dos italianos,
muitos martyres, daquelle tempo, que se dedicavam ás sciencias politicas, sociaes, econômicas,
no fim de educar o povo) despresou os homens que trabalhavam para o renovamento e pela
independencia da Italia, e chamou até “secchissime” as sciencias acima.
O pensamento de Leopardi, acerca da condição da literatura e da philosophia do seu
tempo, e em parte justo: mas, infelizmente, as consequencias deste pensamento, que elle faz ver
confusamente, em vez de instaurar o “bella” e de produzir a felicidade dos individuos e da
nação, podem acarretar a escravidão.
Se as “secchissime scienzie”, ajuda repetil-o, não só a vida, todavia são dos factores
que a sustentam, porque devem conduzir á união sossegada civil dos individuos. A “felicidade
do individuo” não é conseguível, se antes não se buscar a união dos povos. O bello é necessário:
sem elle falta á vida intellectual o incitamento melhor, indispensável; mas o estudo do bello
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póde ser verdadeiramente deleitoso, educador, efficaz, quando destinado a viver para a
liberdade: esta é a sua nutrição, o seu apoio, a sua mãe.
Para estabelecer a férrea vida é preciso distinguir as qualidades e as virtudes
intellectuaes e moraes de Leopardi (nisso exemplar), do que elle escreveu, do seu conceito
pessimista, do seu aborrecimento, do seu modo pela acção.
Pode-se sómente chamar ferrea, a vida do homem que reune em si, não só as
qualidades e as virtudes acima, mas tambem a Idéa e as acções estimuladoras.
UM OUTRO PESSIMISTA, MAS LUTADOR
Em vez de considerações philophicas moraes, o assumpto carece de outros factos.
Como Ugo Foscolo, por meio dos Sepulchros, foi aquelle que accendeu o facho na
alma de Silvio Pellico, assim Beethoven, por meio duma simples symphonia, accendeu o de
Wagner. Desde o instante que a sustância da harmonia e da melodia de Beethoven passou no
espirito de Wagner, todo mundo interior revelou-se neste predestinado da harmonia, neste
reformador, e a propria poesia, que até então elle havia cultivado e amado, pareceu-lhe angusta
perante a infinidade e a potencia da musica.
Wagner pertence ao numero dos genios que foram assaz pessimistas, mas que lutaram
e tiveram depois a força de observar o outro opposto: bem; e assim, para dar uma imagem,
canalizar no seu curso normal aquellas mesmas paixões, aquelles mesmos conceitos errados ou
sophitas que, depois de ter sobrepujado os diques do rio da vida, podem servir para amestrar e
para guia na vida.
As lutas que Wagner sustentou para se fazer comprehender, e sempre contra a critica
áspera e muitas vezes injusta, representam uma odysséa triste, mas de superioridade: basta
lembrar em que condições escreveu “O Navio fantasma”, em Paris.
Wagner foi pessimista; mas o seu genio criador, ou melhor aquelle Eu quasi divino
que nenhuma philosophia póde (ou não deveria) supprimir, sahiu sempre vencedor “- de facto,
depois do “Lohengrin”, Wagner cahiu na philosophia pessimista de Schopenhauer: isso é
patente nos sujeitos e nos symbolo de “Tristan” e da “Tetralogia dos Nibelungi”; mas, depois,
chegado quasi á soleira da eternidade, contemplou o mundo numa fórma evangelica, como
Beethoven contemplou o christianismo numa forma mais concreta, e assim compoz o
“Parsifal”, sobre a mesma lenda (o Saint-Graal) que já lhe havia inspirado o “Lohengrin” - : ao
passo que em Leopardi, por um estranho phenomeno, este EU, exceptuados alguns instantes,
ficou continuadamente vencido por um outro EU demasiadamente razoável, dialectico, isto é,
da philosophia desesperante.
O PARALLELO FINAL QUE SUSTENTA APODICAMENTE O NOSSO ASSUMPTO
Não devemos acabar estas comparações sem lembrar um martyr, contemporaneo de
Leopardi: o poeta e philosopho Silvio Pellico.
Ha uma flagrante contradicção entre a apologia que Leopardi tem feito dos homens do
passado e o seu despreso para os do presente contradicção que demonstra a sua insufficiencia
philosophica...
A distancia das idades, e a chamada “idade dos heroes”, não devem fazer-nos ver uma
espécie diversa de homem. Os heroes, os grandes, os magnanimos de todos os séculos foram
todos filhos da mulher: como nos soffreram e choraram, como nos lutaram contra as proprias
tendencias, como nos alguma vez fatigaram para sahir vencedores das paixões, ou se
envergonharam do contrario. Não ha diferença; todavia a presumpta diversidade é propicia, é
favoravel ao homem do presente e do futuro, isso pela simples razão que o homem caminha na
estrada do progresso. Por diversas circumstancias o homem póde sustar, parar, póde tambem
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regressar (a historia é mestra a este proposito); mas é sempre o mesmo, o mesmo homem que
retoma, que recobra, que... conquista, que caminha para alcançar seu destino, a sua méta: a
perfeição.
Muitos são, no presente, os homens, que, sem ter nenhuma celebridade, honram com
o fructo da sua mente com as rectas acções, a fraternidade que tem para com todos os egregios.
“Os malvados e os insanos existem; mas é preciso relevar que o homem póde ser
admiravel por siso, que póde não perverter-se, que póde antes em todos os tempos, em cada
grau de cultura e em todas as fortunas, se nobilitar com altas virtudes, e que por estas
considerações tem direito á estima de qualquer inteligente criatura. Entregando ao homem a
devida estima; olhando o homem impellido para a perfeição, e pertencer ao mundo immortal
das idéas (mais que os poucos dias das plantas e das feras, que apparecem sob as leis do mundo
material); julgando o homem capaz, pelo menos, de sahir da multidão dos animaes inferiores e
dizer: - Eu sou diverso e maior que vós todos e de cada coisa terrena, que me circumda -, nós
sentiremos aumentar os nossos palpites de sympathia por elle; o nosso semelhante. As suas
mesmas miserias, os seus mesmos erros nos induzem a maior piedade, lembrando-nos o ENTE
grande que elle E’. Soffremos quando o rei das criaturas se avilta, anhelaremos agora de cobrir
religiosamente as suas faltas e os seus erros, offereçamo-lhes agora a mão, afim de que se
levante da abjecção e do lodo e volte á elevação de onde cahiu; exultemos cada vez que virmos
este homem, lembrador da sua dignidade, mostrar-se invicto em meio da dôr e da ignominia,
triumphar das mais árduas provas, emfim, approxima-se com toda a gloriosa potencia da sua
vontade ao seu typo divino”.
O homem que escreveu esta pagina sublime, bastante tinha soffrido, por muito ter
amado a Italia. Despojado da liberdade na flor dos seus annos, encadeado, por 10 annos, na
pelor reclusão da Austria, sem o conforto de ver os proprios conjunctos, nem de corresponder.
Todavia, este verdadeiro martyr – cujos padecimentos foram muito maiores que os de
Leopardi, - este poeta tragico, este philosopho christão soube erguer o seu espirito sobre as
particulares dôres physicas e moraes e sobre as ignominias... humanas; ainda mais, logo sahido
do degradante cárcere, onde tinha consumido todas as suas lagrimas, e perdida a saude, e os
annos mais bellos, soube ainda atingir em si mesmo a força para escrever outras paginas de
bondade, de caridade, de equillibrio moral e philosophico. “Escrevi, eu, estas memorias, por
vaidade de falar de mim? – prefacio de “As minhas prisões”. – Desejo que isso não seja, e por
quanto o individuo possa se constituir juiz de si mesmo, parece-me de ter em mira uma idéa
mais elevada: aquella de contribuir para o conforto de qualquer infeliz com a exposição de que
tenho padecido e das consolações que experimentei nas summas desventuras; aquella de
testemunhar que em meio aos meus demorados tormentos não achei a humanidade assim iniqua,
assim indigna de indulgencia, assim deficiente de egrégias almas; aquella de convidar os nobres
corações a amar muito, a não odiar algum mortal, a odiar só, irreconciliavelmente, as ficções, a
pusilanimidade, a deslealdade, cada degradação moral; aquella de dizer uma verdade
incontestavel, mas frequentemente esquecida: a religião e a philosophia; commandar uma e
outra, enérgico querer e juízo reflectido, e sem estas unidas condições nunca existirá justiça,
nem dignidade, nem principios firmes e seguros”.
Deve-se notar que Pellico era muito conhecido desde 1818, isto é, depois do grande
successo obtido da sua tragedia em versos, “Francesca da Rimini”, e que o livro “As minhas
prisões” foi publicado em 1831, no mesmo anno da sahida do martyr do carcere. Um poeta e
letrado como Leopardi tem de certo lido a primeira e o segundo. Seria presumivel, pois, que a
moral, o equilibrio, a força e a grandeza contidas na prefação acima relevada, tivessem a
capacidade de attenuar, pelo menos, as tintas mais fortes da philosophia de Leopardi. Nada. O
nome de Pellico não se acha mencionado em nenhum escripto de Leopardi. Não só; mas
entretanto o que Pellico estava sofrendo na reclusão e depois manifestava e endereçava aos seus
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semelhantes os conceitos edificantes acima, Leopardi escrevia: “O homem é quasi sempre tão
malvado quanto lhe precisa; Se se conduz directamente, pode-se julgar que a maldade não lhe
é necessária” (Pensamentos); “... a maldade, a fatuidade, os vicios de toda sorte, e as qualidades
e as acções ridiculas dos homens são muito mais habituaes do que nós cremos... e que
supponhamos que seja o excessivo”; “... eu estou certo que os leitores que têm praticado os
homens muito e em diversos modos, estarão concordes nisso: Digo que o mundo é uma liga de
marôtos contra os homens de bem, e de covardes contra os generosos”.
Esta é uma maneira toda pessoal de observar o mundo, não a maneira que usa um
verdadeiro philosopho.
A dôr não se pode destruir, a dôr persegue a humanidade: de accordo; no mundo exitem
muitos homens malvados e marôtos, tambem de accordo. Mas dahi inferir a vaidade da vida, e
deduzir que o mundo é uma liga de marôtos, que o homem se conduz directamente sómente
quando a maldade não lhe é necessaria; e que a maldade, a fatuidade, os vicios de cada sorte,
são ainda maiores do que suppunhamos que seja o excessivo, isso se chama hyperbole, isso não
é philosophia.
A sátyra, a ironia, o sarcasmo produzem um bem immenso, pois se prestam para metter
em ridiculo os homens maus e fátuos do tempo presente, e tambem para sacudir o lethargo
politico e para educar o povo; mas estes elementos devem ficar nos limites justos. Como nas
obras do Parini.
Do restante, todos os males que affligem a humanidade, as tribulações pessoaes, a
mesma oppressão estranjeira ou politica, não devem ser um estimulo maior para sentir-se ainda
mais irmão dos infelizes? Quando os tempos são tristes, quando não se gozam mais gáudios,
mais confortos, mais regozijo; quando a vida espiritual é quasi apagada; quando os costumes
são corrompidos: - não fica ainda (em quem sabe reunir as duas formas espirituaes, no começo
mencionadas), um fio de esperança, um fio que é como um raio de felicidade em meio ás nuvens
dolorosas? Isto é de lutar, de superar a propria amargura, de se sacrificar: para confortar, para
exitar e levantar, emfim para restituir melhores e livres os nossos semelhantes?
O homem verdadeiramente superior deve ser como o imaginado pelo infeliz poeta
inglez Shelley, no seu “Prometheo livre”: soffrer dos males que se crêem imensos; esquecer as
injustiças mais negras que a noite e a morte; amar e suportar; esperar até que a esperança, do
seu proprio naufrágio, crie a coisa contemplada... eis a tua gloria, o Titan”.
Mas, Leopardi não era feito pela acção: de facto, a sua vida não refulge por acções
insignes na sociedade.
Mas se o seu temperamento, tambem por circumstancias inversas, não lhe concedeu
de cumprir acções, pelo contrario, fez sómente soffrer, o seu caracter moral, embora gasto da
idéa dominante, e o seu genio concederam-lhe, poderem, de conquistar uma rara belleza moral
interior, a gloria, e a immortalidade.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Canella, p. 21-30 30
LEOPARDI NO PRIMEIRO CENTENARIO DE SUA MORTE4
Antonio Isoldi
Em 14 de Junho de 1837, quando Leopardi, peregrino enférmo, devia ser transportado
á Villa Ferrigni exhalava seu ultimo alento em Capodimonte, em frente ao Vesuvio. O ultimo
canto “Il tramonto della luna” havia assignalado o termo da vida do poeta: é o canto do cysne.
Duas horas antes de a grande alma voar para o mysterio, havia ditado a Ranieri seus ultimos
versos:
Giovinezza apari, non el colora
d’altra luce giammai, né d’altra aurora
vedova é insino al fine; ed alla notte
che l’altre etadi oscura
segno poder gli Dei la sepoltura.
Quis o Destino que Leopardi fosse sepultado em uma capella dos suburbios, não
distante do Colombario romano, onde doutas tradições e lendas dizem ser o sepulcro de
Virgilio.
Poucas camadas de terra e pedras separam os despojos do pensador, que oppoz a
negação mais resoluta a qualquer fé de ordem sobrenatural, do asylo consagrado ás preces. Na
egrejinha de S. Vitale não foi possivel seputar, como diz Carducci “Il Job insieme e il Lucrezio
del pensiero italiano”. O contagio da alma, mais terrivel que o cholera, impediu que se
enterrasse um incredulo, depor as cinzas na pequena arcada que serve de vestibulo á egrejinha.
E aqui jaz o poeta, não se sabe dizer se como alguem que não tenha conseguido entrar na egreja
ou como quem della sahiu..
Talvez tivessem tido suas cinzas digno asylo em “Santa Croce”. Mas não é menos
digno que repouse para sempre no vestibulo de uma egreja, junto á cidade de um ceu que,
melhor que qualquer outra cidade da Italia, reflectem a sua poesia; que descanse lá onde o
tormento e a dôr dos homens e das coisas; onde seus olhos viram suspensa em sempiterno,
inexoravel e firme, a morte symbolisada pela avermelhada chama do Vesuvio; de cujo seu
resplandecente, sorveu tanta luz, e ao quel morrendo pedia ainda mais luz.
Para De Sanctis, Leopardi, antes de ser um interprete do sentimento nacional, era uma
voz do seculo, uma daquellas voses eternas que assignalam a grandes intervallos a historia do
mundo.
Após o tormentoso periodo napoleônico, desenvolveram-se na Europa tres ordens de
idéas: a reaccionaria, a christan-racionalista e a idealista.
A primeira propugnava a volta ao absolutismo, por direito divino, e depois da triste
experiencia dos philosophemas setecentescos. A segunda, christan-racionalista, produziu na
Italia por assim dizer o Romantismo; repassada de idéas germanícas, mas de accôrdo com os
conceitos já defendidos pelo “Caffé”, arpegava uma renovação esperitual, sobre a base de uma
volta aos seguros axiomas ethicos da religião catholica, de accôrdo com os “direitos do
homem”, mas não inquinados pelos excessos revolucionarios. A terceira, ao passso que na
Allemanha gerava o movimento romanticos, produzia na Italia uma natural conclusão de idéas
individualistas, edonisticas e illusorias de Alfieri e de Foscolo, com a theoria da infellicidade
necessaria sustentada por Leopardi.
Era uma carta ao De Sinner, diz o poeta: “Minha dor não provém dos meus males mas
da minha inteligencia. Antes de accusar as minhas enfermidades, destrui as minhas observações
e os meus raciocínios.”. Tinha razão: a Solencia é dor, a Verdade é fruto muito amargo.
4
In O Estado de São Paulo. São Paulo, 1937. https://acervo.estadao.com.br/publicados/1937/06/19/g/1937061920766-nac-0003-999-3-not-xekkpqg.jpg
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Isoldi, p. 31-32
Mas tambem o mundo tinha sua razão, porque todos eram doentes, e Leopardi mais
que os outros. Todos os grandes poetas do tempo se retiram do mundo que os circumda: Heine
o escarnece amargamente concentrando-se em si; Byron o despreza e odeia envolando-se no
reino de uma liberdade selvagem; Béranger o punge com subtil ironia, abandonando o sonho
das glorias passadas; Leopardi, tirando uma face do sec. XVIII e XIX, alcança o conceito na
originalidade do seu pensamento.
Quiz comparar Leopardi a Byron e a Goethe, porém elles são diversos, como as suas
nações. Byron gosou todos os prazeres, teve felicidade mas perdeu-a; e por ella chora e freme
e tudo amaldiçôa, procurando encontral-a mesmo no mal. Goethe não gosou, mas sentou-se
saciado e emnojado; vê a vaidade e sorri, indifferente, ao bem e no mal. Assim como o seu
Brama que após gosar o amor da Bajadera, a fez morrer e a conduz comsigo no ceu, gosa
tambem das dores alheias. E’ o retrato do seu Fausto que ama a sciencia do amor e do poder,
nunca se fartando nem se aborrecendo com nada.
Leopardi, ao invés, jamais teve consolação nem amor; como Sylvia que abre os olhos
sorridentes ao desabrochar da vida, e é matada pela Verdade. Tudo quanto é concedido aos
outros é negado a elle. Portanto se nenhuma maravilha elle nega, amaldiçôa tudo.
A sua dôr é reflexo, porque é augmentada sempre pelo entendimento: nasce das
desventuras particulares e publicas do poeta; é desejo do passado glorioso, aspiração de um
futuro melhor.
Duas personalidades formam um conjunto indivisivel, o poeta e o philosopho. E’ pois
difficil separar os dois aspectos da actividade do seu espirito. Quasi no mesmo tempo
Schopenhauer cria a metaphysica, Leopardi cria a poesia da dôr e chega em tempo áquella
philosophica concepção do mundo, que somente mais tarde Schopenhauer erigiu na Allemanha.
E o proprio Schopenhauer o afforma, quando fala da infelicidade do mundo: “Ninguem tratou
desde assumpto com tanta profundidade e em modo tão exhaurivel aos nossos dias como
Leopardi.”
A multiplicidade dos systemas desacreditára a propria sciencia. Um novo scepticismo
surgia, ferindo não somente o sobrenatural mas tambem a propria razão. O systema não mais
era acceito e começava a rebellião. Faltando a fé na revolução faltava agora a fé na propria
philosophia. Reapparecia o mysterio: o philosopho sabia tanto quanto o pastor. Leopardi foi o
éco deste mysterio na solidão ao seu pensamento e da sua dôr. O mysterio destróe o seu mundo
intellectual, fazendo desapparecer o seu mundo moral. Esta pertinaz vida interna, apesar de
destruida a metaphysica, constitue a originalidade de Leopardi, imprimindo religiosidade ao
seu scepticismo.
Fechamos o livro das poesias de Leopardi, não entibiados mas meditativos; não
incredulos mas crentes, não desesperados do bem mas confiantes, não cansados de operar em
vão, mas desejosos de operar: uma poesia que não endormece, mas desperta.
Livre de todas as tradições religiosas, sem nenhuma esperança de felicidade terrena,
aguardava o momento no qual, sorrindo, devia passar ás sombras. O unico fim de seus dias foi
indar a rigida verdade. E extingui-se levando comsigo o desejo de resolver este problema, mas
deixando em herança aquelles cantos, a expressão mais profunda do seu espirito desolado. Vos
ultimos, como “Aspasia” e “Ginestra”, parece ouvir o grito que devia mais tarde proromper do
peito de Gustavo Flaubert: “Não existe nada”.
Leopardi perseguiu, além dos montes azues e mares immensos o seu sonho, sonho que
a vida se encarregou de trahir.
Diante do mysterio daquelle espirito eleito, que fez brillhar sobre a patria escrava o
mais puro raio de eterna belleza que um dia sorriu aos poetas da Hellada, curvemo-nos
respeitosos e reverentes.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - Isoldi, p. 32-33 32
NO CENTENÁRIO DA MORTE DE LEOPARDI5
Francesco di Lorenzo
Tradução de José Miccolis
No alto, entre o mar e a montanha, na zona mais fertil e mais amena das Marches,
estende-se Recanati, com seus palacios e suas igrejas de antiga belleza (1300 a 1700), ao longo
de uma estrada que vae de norte a sul.
No fundo, numa pequena praça exposta aos ventos marinhos e ao sol levante, surge o
palacio dos Leopardi, construído no seculo decimo oitavo. Ali nasceu, em 1798, Giacomo
Leopardi e ali foi criado, durante os annos tempestuosos para a Italia da dominação napoleonica,
quando, contra os patriotas que, animados pelas victorias alcançadas, sonhavam e preparavam
a unidade e a independencia da nação, surgiram os “sanfedisti” – a seita partidaria da divisa
“divide et impera” – fieis aos principes italianos e estrangeiros e ao Papa, que conservaram
dividida a terra da Italia.
UM REDUCTO DE “SANFEDISTI”
O progenitor do poeta era tambem “sanfedisti”. Hospedava e reuniva em seu palacio
muitos frades e padres, possuidores de cultura e erudição invulgares. Entre esses escolheu elle
o jesuita mexicano Torres e o padre Sanchini para a educação da creança.
O conde Monaldo – era esse o titulo e o nome do pae de Leopardi – que, em politica
era reaccionario, possuia engenho vivo e grande intelligencia, e era proprietário de uma vasta
biblioteca, onde Giacomo e os outros filhos tinham á sua disposição uma immensa collectanea
de classicos antigos e modernos. Era tambem escriptor, sendo dignas de menção ver as suas
polemicas, reunidas no volume “Dialoghetti”, sobre “matérias correntes”.
A INFLUENCIA DO POETA
Foi nesta bibliotheca que Giacomo Leopaldi passou a maior parte da sua infancia,
afastando-se della apenas o tempo sufficiente para brincar com seus irmãozinhos, ou para dar
um passeio até ao píncaro do monte Tabor, de onde descortinava um horizonte mais vasto e um
panorama encantador.
Mocinho, sentia-se impaciente no meio acanhado da cidade natal, ao passo que lá, do
alto da collina, podia alargar o espaço da natureza e da historia, procurando, com ansiedade, as
vias do céo, abertas pelos astrônomos, e remontar, na febril pesquisa do homem, ao tempo dos
romanos e dos gregos, e até dos primeiros habitantes da terra, lembrando nas lendas e nas
fabulas.
Possuia Leopardi um immenso, desmedido e insolente desejo de gloria; orgulhava-se
de ser italiano, e, nos jogos infantis e nos estudos, demonstrava uma virilidade guerreira de
propositos que nunca foi mortificada pelo pessimismo philosophico ou pela doença.
O FRENESI DE QUERER SABER
Era tão grande e violento o seu desejo de saber que se entregou, durante sete longos
annos, a um “estudo louco”, prejudicando enormemente a sua saude, que ficou abalada para o
5
In O Jornal. Rio de Janeiro, 23 de julho de 1937. http://memoria.bn.br/DocReader/110523_03/39273.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Di Lorenzo, p. 33-36
resto da sua vida. Aos vinte annos tinha as costas curvadas, o rosto descarnado e olhos
vermelhos, causando compaixão aos bons e escarneo e morfa aos perversos.
No emtanto, ninguem, como Giacomo Leopardi, sentiu a belleza da juventude e o
prazer de viver. Sonhava com as épocas heroicas, quando os guerreiros e os poetas amavam
naturalmente a patria, combatendo com forças viris e virtudes de espirito sem igual.
Sentia renascer o seu amor, com o mesmo impeto com que desabrocha um rebento, na
primavera, ao tornar a ver sua prima Gertrude Cassi, mulher formosa e de olhar ardente; ao
encontrar pela rua as jovens do povo: as moças Belardinelli e Brini, ou ao ouvir o canto da
tecelã Thereza Fattorini.
MAE EXCESSIVAMENTE AUSTERA
Não conheceu o sorriso de mãe: a sua, a condessa Adelaide Antici, era austera em
demasia, preocupando-se unicamente com inexorável avareza, em restaura o patrimonio dos
Leopardi, governando a familia como num convento ou num quartel, sem o menor carinho, sem
a menor ternura.
Recanati, depois de suas longas conversas com os poetas e com os philosophos das
épocas passadas, pareceu-lhes uma: “povoação selvagem”, onde não se podia viver; e a sua casa
(quando começou a sentir o amor pela patria, através da leitura dos feitos heroicos dos romanos,
cantados pelos poetas italianos desde Petrarcha até Foscolo, a exaltar uma Italia livre e unida e
novamente soberana), tornou-se-lhe dura, como uma prisão ou um desterro. Encontrava
conforto sómente nas cartas de Pedro Giordani, insigne literato clássico e patriota magnânimo.
A PRECOCIDADE EXCEPCIONAL
Até aos 17 annos, escreveu estudos de philologia, verdadeiramente prodigiosos, não
por serem obra de um adolescente, mas pela revelação do conhecimento profundo que seu autor
possuia dos latinos e dos gregos, maiores e menores; desde os séculos mais remotos até á época
da decadencia desses dois grandes povos da antiguidade.
Depois dos 17 annos, seus escriptos tornam-se philosophicos, e dia a dia, mais
profundos e arduos, pelo desejo que o impellia a conhecer a origem e o porque das coisas.
No emtanto, infatuado com as poesias de Parini, Alfieri, Monti e Foscolo e com a
poesia de 1600, de Chiabrara, Testi, Guidi e Petrarcha, escreveu as canções “All’Italia” e “Nel
monumento di Dante”, a constituir um grito de revolta e de incitação para os italianos que,
depois da quéda de Napoleão, voltaram a ser de novo escravos de príncipes manobrados pelo
estrangeiro.
Sentindo-se, pois, como um prisioneiro nessa “povoação” e nessa casa, entre homens
de espirito atrasado e desanimado pelas duvidas que lhe suscitavam as especulações
philosophicas, a tornar-lhe a existencia supremamente dramatica, tentou fugir da casa paterna.
Descobertos, porem, os seus preparativos, nesse sentido, não o deixaram partir.
UMA ALMA PERTURBADA
Sómente em 1822 obteve a permissão paterna e installou-se em Roma. Seu espirito,
porém, transtornado pela philosophia, não ficou satisfeito nessa cidade, preferindo, pouco
depois, voltar á sua aldeia.
Leopardi iniciara seus estudos de philosophia e continuava a tomar nota de seus
pensamentos, num livro que chamou “Zibaldoni”, procurando coordenar, então, as idéas, não
propriamente num systema, mas em diversos capitulos, versados sobre a natureza e o homem;
sobre os antigos e os modernos; sobre o amor e a felicidade, e, principalmente, sobre os
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Di Lorenzo, p. 33-36 34
problemas fixados pelos philosophos italianos, desde Bruno e Campanella até Vico, e pelos
philosophos estrangeiros, sobretudo os francezes, desde Montaigne, Cartesio, Pascal, até
Montesquieu e Rosseau e aos materialistas e ideólogos Holbach, Cabanis, Destutt e Trecy.
Não possuindo, porém, uma verdadeira vocação philosophica, não soube resolver as
antitheses entre a natureza e a razão, a natureza e a historia e a natureza e o espirito. De inicio,
julgou a natureza como uma mãe benigna e verdadeira deusa para, depois, consideral-a hostil
aos homens e um verdadeiro demonio.
PROCURANDO A CAUSA DA DECADENCIA
Comparando as épocas antigas, que constituíram a juventude do genero humano, com
os tempos modernos, acreditou haver descoberto a causa da decadencia, na pesquisa scientifica,
procurando demonstrar que “justiça, virtude, gloria e a propria patria, são illusões caras e
sobrehumanas”.
Pois bem, emquanto especulava dessa fórma, das canções patrióticas, em estrophes
oratórias, passou a escrever, em 1822, os hymnos aos “Patriarchas” e á “Primavera” e os cantos
de “Bruto Minori” e de “Sapho”. Entre 1919 a 1820, já havia escripto alguns idyllios, a saber
“O infinito”, “A noite de dia de festa”, “A lua”, “O sonho”, etc.
Na vida solitaria que levava, conseguira crear a lyrica que lhe pareceu faltasse á Italia,
depois do silencio de Petrarcha, chegando a imprimir á palavra a virtude magica da evocação,
nas pausas e na synthese do verso e da estrofe, á moda dos gregos.
A VERSALIDADE DE LEOPARDI
De volta a Recanati, a sua sofreguidão philosphica pareceu exaurir-se nos novos
pensamentos e projectos. Chegou até a imaginar que um governo despotico restaurasse o
sentimento de patria e as virtudes naturaes, reeducando as almas ao sacrifício e ao heroismo.
As novas paginas de “Zibaldoni” foram-se tornando mais raras e, enfim, em 1824, para
se livrar do seu fardel de philosophia, escreveu com singular prazer de creador, as “Operetas
moraes”, onde seus pensamentos, seus sentimentos e até sua propria vida, são transfigurados
em “sonhos poeticos”, visões e caprichos melancólicos, que lhe foram suggeridos, talvez, pelos
prosadores gregos Boccalini, Chiabara e Collenuccio.
Constituem esses “sonhos poeticos” materia inteiramente inedita e estranha para a
literatura italiana e estrangeira, porque seu autor tornou cada historia ou dialogo, ou fantasia,
ou idéa, com feliz ironia lyrica, um puro jogo de espirito. Sua prosa muito varia, de accordo
com os diversos themas fantasiosos, a hábil mistura de palavras antigas, absolutamente
peregrina, com os termos populares, a impressão de que Leopardi foi subjugado de começo até
ao fim, por uma musica arcana, dão a essa producção literaria um cunho absolutamente
inconfundivel.
MILÃO, BOLONHA, FLORENÇA E PISA
Durante algum tempo, Leopardi deixou de escrever. Partindo de Recanati, seguiu para
Milão, onde compilou “Crestomazie” e publicou as “Rime” de Petrarcha, com novos
commentarios, para o editor Stella. Seguiu depois, para Bolonha, Florença e Pisa, cada vez mais
doente e desesperado pela noção, que tinha inteira, de sua mocidade perdida.
Só mais tarde, em 1828, sentiu de novo em seu coração o desejo de externar seu
sentimento em cantos. Nasceram, assim os grandes idyllios “A Silvia”, “Ricordi”, “Il canto
noturno di uno pastore”, etc.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Di Lorenzo, p. 33-36 35
“A calma depois da tempestade” e “Sabbado na aldeia” são lyricas nas quaes elle
exprime seus sentimentos, sua nostalgia de exilado de um mundo que foi e é bello; seus encantos
pela belleza natural e pelo amor legreno, apesar dos desengano padecidos; sua tristeza pela
caducidade das coisas, pela separação dos que se amam; pelos écos de gloria no silencio dos
seculos e pelo prazer que causa o sereno após a tempestade, e finalmente, pela esperança no
futuro, que é propria de todo o homem, quaisquer que sejam suas idéas philosophicas.
Arte prodigiosa, a sua, a dar potencia qualidicadora á palavra, na synthese do espirito,
que se torna synthese métrica; a transfigurar, numa luz de mytho, as scenas da praça, das ruas
e das casas; a exhibir o espectaculo da vida humana, da sua pequena Recanati e de alhures.
A ULTIMA ILLUSÃO AMOROSA
Alguns annos depois, em Florença, teve a illusão de ser amado por uma mulher nobre
e formosa: Fanny Torgioni Fozzetti. O seu engano, porém não tardou a vir e pareceu-lhe uma
perfídia innominavel.
Essa nova dôr aumentou-lhe os soffrimentos physicos e tornou-lhe mais dura a pobreza
em que se encontrava, afastado da casa paterna. O canto não lhe amenizou a tortura que lhe ia
na alma. Pelo contrario, exacerbou-lhe o espirito, que lhe dictou “Aspasia”, um tremendo libello
contra as mulheres em geral e contra aquella que fôra a causa de sua desdita, em particular.
Viveu, desde então, com um amigo napolitano, occupando-se com os themas políticos
e philosophicos, não porém, para desenvolvel-os, com a arte de literato mais maduro, mas para
cantal-os com a sua nova inglenagem poética, em que se evidenciava, como no “Ecclesiaste”,
a sua convicção acerca da cruel indifferença da natureza com relação á raça humana. A ironia
e o sarcasmo contra os crentes encontram expressões primorosas chegando a incitar, como em
“Ginestra”, os homens para uma confederação no amor, e a vaticinar, numa oitava de
“Paralipomeni”, o renascimento da Italia, pela terceira vez soberana.
Depois, encontrou na morte a paz que de há muito invocava.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Di Lorenzo, p. 33-36 36
AMORES DE LEOPARDI6
Celso Vieira
Os italianos do Rio celebram a 29 de junho, dia do nascimento de Leopardi, o primeiro
centenario de sua morte, ocorrida em 14 de junho de 1837. Quase devemos falar do primeiro
centenario das suas nupcias, porque Leopardi foi bem o noivo da morte, em cujo seio de virgem,
como elle proprio idealisava, mergulhou serenamente o rosto adormecido. Mas foi no mesmo
tempo o amante glorioso da Italia, opprimida pelo estrangeiro, mutilada pelas ambições. Os
italianos do “Risorgimento”, decorando-lhe os versos heroicos, onde estrugiam clarins para o
assalto e para o triumpho, marcialmente gritavam: - “...con Leopardi alla guerra”. E o bravo
Alessandro Poerio, que lutou e caiu, ensanguentado, no campo de Mestre, batendo-se contra os
dominadores austriacos, exaltou-lhe a ira das canções, o fogo dos hymnos ressoantes de armas
vingadoras:
Ed oh che santa caritá ti prese
De la nativa terra!
E oh come irato il carme
Con ímpeto di guerra
Suonó vendeta ed arme!
A inspiração leopardiana, capaz de accender no peito dos soldados o estro guerreiro,
demonstra que o pessimismo não exclue o patriotismo. Teria o genio de Leopardi, porém, a
humana experiencia de outros amores vibráteis, afóra o da patria e o da morte? Antonio Ranieri,
o melhor dos seus amigos noticiando-lhe a vida e os costumes, disse textualmente que esse
homem levou intacta a flor da sua virgindade para a sepultura. Se o testemunho é fidedigno,
Leopardi resume assim o ideal positivista do noivo castissimo nos braços gelados e espectraes
da morte, que elle denominava “bellissima fanciulla, dolce a veder...” Aliás, aos 22 annos de
edade, já escrevia o poeta a um amigo bolonhez: “... antes de ter amado, perdia a faculdade
mesma de amar; nenhum anjo de belleza e graça conseguiria despertar-me; e a verdade é que
eu, jovem como sou, poderia exercer as funções de eunucho num serralho.” Entretanto, parece
que os eunuchos e os ascetas, de quando em quando, suspiravam na penumbra do barem ou na
verdura do oasis pelas tentações. Ainda em 1830, dez annos depois da sua confidencia, Leopardi
cantava, apaixonadamente, a irradiação da belleza tyrannica de “Aspasia”, ou melhor, de Fanny
Ronchivecchi, adorada pelo genio como Beatriz por Dante, num templo da mesma cidade –
Florença.
Schopenhauer, Byron e Leopardi foram os tres maiores pessimistas da raça branca.
Negaram a divindade e a felicidade ou apenas conceberam o tremendo imperio do mal, entre o
acaso e o erro, a dór e o tedio. Impelliram os homens nas suas estrophes ou nos seus aforismos
para o nada. Maldisseram as fórmas da existencia e as leis do Universo. No entanto, por uma
dessas incoherencias humanas, tão frequente e notorias, tão divulgadas e repetidas, ninguem
adorou mais do que elles o outro sexo, fonte de precreação, a mesma fonte envenenada nos
livros pelo seu pessimismo.
Byron e Schopenhauer viveram como dois gozadores, sorriram como dois ironistas;
contraditoriamente, do proprio santanismo desolador ou do proprio ascetismo infecundo.
Ambos tiveram bellas amantes e proliferaram. “Quanto mais vejo os homens (affirmava Byron),
menos gosto delles; feliz seria eu, se outro tanto pudesse dizer das mulheres.” Cultivando o
mesmo pedaço do Eden, onde a natureza frutifica, sem cessar, para optimistas e pessimistas,
Schopenhauer não se cansava de repetir a phrase byroniana. Giacomo Leopardi, porém,
conheceu apenas do amor o pressentimento, o devaneio, o sonho irrealisavel: mulheres amadas
6
In A Noite. Rio de Janeiro, 02 de julho de 1937. http://memoria.bn.br/DocReader/348970_03/45325.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Vieira, p. 37-38
por elle recunditamente, em silencio e tristeza, foram motivos sonoros de imprecações ou de
elegias. Nada mais. Uma dellas, Geltrude Cassi-Lazzari, perpassou em Recanati, de 11 a 14 de
dezembro de 1817, e sugeriu a Leopardi, só porque se hospedara tres dias em casa da família
deste, a melodiosa composição: “Dove son? dove fui? che m’addolora?” Duas outras, Teresa
Fattorini e Maria Belardinelli, meninas do povo, “due povere diavole”, segundo escreveu o
irmão do poeta, nunca suspeitariam desse amor, que as remirava, de longe, e que as transfigurou
em duas imagens celestiaes da poesia italiana, Silvia e Nerina. Até as paixões menos abstractas,
mas violentamente acerbas pela condessa Teresa Cariani-Malvezzi e pela senhora Fanny
Ronchivecchi, não deram a Leopardi um só instante de orgulho satisfeito e de posse tranquilla.
Doente, pobre, corcunda e, além do mais, erudito, e acima de tudo genial, foi elle para
as damas de Recanati, de Milão e de Florença um homunculo inexpressivo e desinteressante.
Por isso, queixou-se muitas vezes da perversidade feminina – “la scelleratezza delle donne”: “Se eu tivesse dinheiro e poder, o que é impossivel, por me faltarem muitos vícios, as mulheres
não deixariam de me preferir. Na minha situação, porém, desprezado e escarnecido por toda a
gente, não tenho merito algum para obter os seus favores.”
A unica vingança do poeta contra semelhante desdém, conforme se lê no final de
“Aspasia”, era quedar-se estendo sobre a relva dos prados, olhar os mares, a terra, o céo azul
da Italia, e sorrir. Extaticamente olhar, angelicamente sorrir com aquelle ineffavel sorriso, que
transluzia no seu rachitismo, na sua pallidez. Um sorriso da gloria, amante secular e fiel de
Leopardi, quando milhares de homens se afadigam por ella, em vão, suspirando como o artista
maravilhoso, em Recanati, a ouvir da janella o perpetuo e fugidio canto de Silvia.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Vieira, p. 38-39
38
GIACOMO LEOPARDI NO 1º CENTENÁRIO DE SUA MORTE7
Leonardo Mascello
Commemora-se neste anno, nas principaes cidades da Italia e do mundo civilizado, o
primeiro centenário da morte de Giacomo Leopardi nascido em Recanati (Italia), em 29 de
junho de 1798, e fallecido em Napoles, na casa de Antonio Ranieri, com apenas 39 annos de
idade, em 14 de junho de 1837.
Seus paes foram o conde Monaldo Leopardi e a marquesa Adelaide Antici; ambos
fidalgos, ricos; mas de índole e temperamento diferentes. O conde era um gentilhomem
correcto, clerical intraassigente; mediocremente culto, autor de tragédias, tratados de economia
de memorias historicas; e bibliófilo apaixonado. Catholico, muito devoto súbdito do Papa, sua
maior ambição era dar um filho á Egre[ja] e porisso deseja que o seu primogenito, Giacomo, se
encaminhasse pela carreira ecclesiastica e abraçasse o estado sacerdotal. Mas, apezar de não ter
conseguido realizar esta aspiração, nem por isso deixou de estimar e proteger, a seu modo, o
seu querido filho, cuja intelligencia e saber admirava, apesar de não lhe aprovar as idéas liberaes
e as poesias inspiradas no mais singelo e ardente patriotismo.
Administrador desastrado e perdulário, teve que em boa hora entregar a gerencia de
seus negócios e haveres á sua esposa; e esta, na difficil faina de salvar o patrimônio da familia,
foi obrigada a empreender um regimen de rigorosas economias, que a tornavam pouco
sympathica aos seus filhos e ao marido. Era uma senhora grave, muito piedosa; mas austera e
intransigente quanto á educação moral e religiosa de seus filhos, aos quaes raramente
proporcionava demonstrações de carinho e de amizade. Amava-os a seu modo; mas os filhos
não a amavam.
Quanto ao seu primogenito, queria-lhe como aos outros (Carlos, Luis, Paulina);
desejava muito vel-o, um dia, padre, mas não o compreendeu nunca.
A sua intelligencia pouco desenvolvida e destituída de qualquer cultura literária; seu
apego ferrenho ao regimen theocratico; o horror ás novidades politicas, tornavam-na
desconfiada e contraria aos prodigiosos progressos, ás brilhantes manifestações, á assombrosa
precocidade do engenho de Giacomo; pois achava ella que as letras, os estudos, o amor á
liberdade e a amizade dos patriotas, muito haviam de prejudicar o futuro de seu filho.
Entretanto o conde Monaldo, já livre dos cuidados da administração do patrimônio
familiar, podia dedicar-se á educação litteraria e física de seus filhos. Gostavam estes do pae;
com elle brincavam, nas horas vagas, no jardim do palácio paterno; ou executavam seus
exercícios de gymnastica. Giacomo era quem sempre representava o heroe, ou protagonista, nas
batalhas e luctas organizadas entre os filhos de Monaldo e os garotos da vizinhança. Até a edade
de onze annos gozou elle optima saude; e ia crescendo regularmente sem graves molestias e
defeitos phisicos, adeantando-se extraordinariamente em seus estudos, aprendendo sozinho
diversos idiomas, traduzindo os classicos gregos e latinos, compondo tragédias e poemas,
escrevendo ensaios e commentarios. Pouco lhe valeram os ensinamentos do padre Sanchini.
Leopardi foi um auto-didacta. Estudou e aprendeu por si; formou-se e completou a sua educação
litteraria e artística pelo estudo aturado dos grandes autores, cujas obras lia e meditava na
riquíssima bibliotheca paterna.
Foi um exemplo assombroso de precocidade. Com pouco mais de dez annos imitava
perfeitamente os autores gregos; aos doze annos já traduzira em versos os dois primeiros livros
das odes de Horacio; aprendeu sem mestre a lingua hebraica e a francesa; compoz e publicou
um trecho litterario em grego, dizendo que era um fragmento de Porphyrio encontrado na
7
In Revista Beira-mar. Rio de Janeiro, 15 de novembro de 1937. http://memoria.bn.br/DocReader/067822/5938.
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bibliotheca do pae. Aos vinte annos já era um mestre especialista na sciencia da antiguidade e
na philologia classica.
Esses estudos aturados foram aos poucos minando a sua saude e deformando o seu
organismo, que ficou completamente arruinado depois de sete annos de estudo assiduo,
exhausto, doloroso e desesperado. Aponderara-se delle uma extranha ansiedade, uma fome
implacavel de sciencia e de saber. Passava dias e noites a fio a escrever, meditar ou compor,
compulsando pesados volumes in-folio que elle manejava a custo, pois nem forças tinha para
tiral os das estantes e repol-os nas prateleiras. Mas á medida que a sua saude ia perecendo e o
seu organismo se deformando, iam-se corporificando e crystalizando em obras primas de poesia
os fulgores da sua intelligencia e as dolorosas visões da sua alma sonhadora.
O POETA
Duas são as características desse jovem tão rico de sensibilidade e de energia volitiva:
a ambição e o amor. “Quero antes ser grande e infeliz do que viver muito sem gloria”, confessou
elle numa carta a um amigo. Ao seu grande amor á gloria á grandeza, conseguiu satisfazel-o em
parte mediante annos e annos de estudos, applicação assidua e leituras; e pela interpretação dos
classicos e filosofos antigos e modernos, como já dissemos. Mas não foi bem succedido nos
amores; e não podia sel-o, faltando-lhe os principaes atributos phisicos que, geralmente,
seduzem e conquistam a alma feminina.
Estudando as empresas e os feitos dos antigos Romanos, dos maiores vultos da
renascença, e sobretudo os monumentos e as obras primas da literatura italiana, os poemas de
Dante, Ariosto, Tasso, Alfieri; assim como os immortaes monumentos de arte, onde refulge o
genio da raça latina, sentia-se tomado de uma grande exaltação patriotica. Entretanto as
condições politicas da Italia, no primeiro quartel do seculo XIX, eram de confusão e pavor. As
hordas napoleonicas acabavam de invadir a peninsula e, com o pretexto de libertar os povos,
iam saqueando as cidades, espoliando os museus e extorquindo grandes quantias de dinheiro
aos municípios e ás famílias ricas. A victoria dos exercitos francezes em Marengo (14 de junho
de 1800) entregára a Italia toda ao poder de Napoleão e de suas soldadescas. A cidade de
Recanati, onde residia a familia Leopardi, foi tambem, como tantas outras, invadida e onerada
com graves tributos e contribuições de guerra. O conde Monaldo teve que fugir e por-se a salvo,
com a mulher e os filhos, numa casa de campo. Em 1812 a derrota completa dos franceses na
Russia impressionou profundamente o espirito do adolescente Giacomo Leopardi, que contava
então quatorze annos de edade. E’ que nas estepes geladas daquelle immenso paiz caíram aos
milhares os soldados italianos, que faziam parte dos exercitos de Napoleão; caíram em terra
extranha, por uma causa extranha, longe da familia, e sem nenhum proveito para a sua patria.
Grande, portanto, foi a indignação dos patriotas italianos contra a megalomania de
Bonaparte, que ensanguentava a Europa e sacrificava tantas vidas humanas aos seus sonhos de
grandeza. Essa indignação repercutiu dolorosamente na vasta alma do jovem Leopardi,
exaltada, como já notamos, pelas leituras historicas das empresas militares e das façanhas epicas
dos antigos heroes nacionais. Foi assim que elle começou a sentir o dever de agir, de fazer
alguma cousa em beneficio da patria opprimida e depredada; e não podendo a ella sacrificar a
sua vida como soldado, tendo já perdido o vigor e a saude do corpo, quis dedicar-lhe o fulgor
de seu genio poético, cantando em versos inflammados as glorias da Italia antiga, as miserias
presentes e as esperanças numa revolução redemptora dos italianos.
As canções “All’Italia”, “Per il monumento di Dante”, são inspiradas no amor de
patria, numa ardente aspiração de ver os italianos acordar e, cônscios de sua antiga grandeza e
das glorias de seus antepassados, pegarem em armas em defesa e pela liberdade de sua nação.
Celebre é o trecho da primeira dessas poesias; em que o poeta descreve a batalha das
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Thermopilas e o heroísmo dos trezentos espartanos, chefiados por Leonidas que cairam todos
victimas da superioridade numérica das hordas de Xérxes.
Leopardi não amou somente a patria; amou tambem muitas criaturas femininas, das
quaes não foi correspondido; e por isso soffreu muito durante os breves annos da sua infeliz
existencia. A primeira mulher que lhe inspirou um vivo sentimento de sympathia amorosa, que
não chegou a ser paixão, foi Gertrudes Cassi, casada com um homem pacifico, e prima do poeta.
Esta senhora representava plasticamente uma dessas formosas criaturas femininas de feições
delicadas, de olhos sonhadores e nostalgicos, que tanto nos encantam nos quadros de Ticiano
ou de Rubens.
O adolescente Giacomo, que por esse tempo vestia a batina de clerigo, ficou como que
atordoado por esta meiga e benigna senhora, e durante os tres dias que ella passou em Recanati,
hospede de familia Leopardi, teve momento e horas de extase e tormento que elle descreve
numa elegia, intitulada “Il primo amore”. Mas a bella e giunonica Gertrudes nem se quer chegou
a suspeitar da paixão que ia inspirando ao pobre Giacomino.
Pobre Leopardi! Além de uma intelligencia vasta, possuia um coração sensível, um
temperamento erotico em alto gráo, um immenso desejo de amar e ser amado. E tudo isto num
misero corpo deforme, sem saude, sem viço, sem vigor, sem elegância!
E’ porisso que o erotismo congenito desse grande poeta representa um caso singular
de infelicidade incuravel. Outros homens de genio, poetas filósofos ou guerreiros, tiveram a
desdita de ser feios, de causar repugnancia ás mulheres, como Dante, Socrates, Tirteo, Verlaine,
etc.; mas a nenhum delles coube a desgraça de possuir um coração tão rico de sentimento, tão
inflamnado de amor, tão faminto e sedento de felicidade, e de ser ao mesmo tempo tão
cruelmente repellido e até escarnecido pelas pessoas amadas.
Não incriminamos com isto as tantas criaturas femininas, admiradoras de Giacomo
Leopardi, que acceitaram suas homenagens e repeliram o seu amor. Eram mulheres. E o poeta,
mesmo com a sua vasta e fulgurante intelligencia, a sua cultura assombrosa e a delicadeza do
seu espirito, não passava, para os effeitos do amor phisico, de um pobre corcunda, feio e doente,
com uma expressão de velho, ou melhor, de menino envelhecido. Pobre Leopardi! E’ nisso que
consiste o martyrio secreto da sua grande alma, a tragedia singular e intima da sua breve e
atribulada existencia.
Elle proprio conheceu a sua irreparavel desgraça, desde que vio, aos dezenove annos
de edade, completamente arruinada a sua saude, deformado o seu corpo; e sentiu-se como que
bannido, lançado fóra do mundo, condemnado pela natureza, tantalizado pelo destino.
Refugiou-se então na fulgida e benigna irrealidade do sonho e da imaginação. E creou
o seu mundo lyrico; a sua poesia divinamente casta e musical; immortalizando com a magia da
sua arte inimitavel as creaturas amadas.
Silvia, Nerina, Elvira, Aspasia, esplendem, nos cantos do cisne de Recanati, de uma
luz begnigna, alireoladas de innocencia e piedade.
E’ na sua poesia, no seu mundo interior, mais vivo e real do que a propria realidade,
que o poeta, afinal, póde dar largas á onda lyrica e ardente do seu sentimento, das suas magoas
e do seu desespero. Evoca com a arte potente da sua imaginação creadora e de seu estylo
perfeito, as mulheres amadas, atingidas, como elle, pela fúria de um destino impiedoso; que
feneceram miseramente, na flor da edade, ceifadas por uma morte prematura. E com ellas
relembra as esperanças, os sonhos ridentes de um passado já morto, da mocidade longínqua,
dos enganos da natureza, da ironia do destino. E suas magoas intimas, seus queixumes,
saudades, illusões e desilusões; tudo isto, vazado em versos crystallinos, fluidos, harmoniosos,
causa-nos frêmitos de emoção e de sympathia; consonancias psychicas, consensos fervidos e
vibrantes. E quando elle chora, confiando ás criaturas irracionaes, que lhe parecem mais amigas
e compassivas do que os homens, a sua desolação, o seu intimo desespero; quando se dirige á
lua, ás estrellas, ao firmamento, em gritos lancinantes, contanto-lhes o seu martyrio occulto, a
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imensa desgraça de se ver sosinho no mundo, sem amor, sem crença, sem saude, sem esperança
nenhuma, sentimo-nos tomados de uma irresistivel vontade de chorar e de imprecar...
“Sylvia, diz o poeta num idyllio delicioso e delicado, que é uma obra prima, lembrate ainda do tempo da tua vida mortal, quando a belleza fulgia em teus olhos ridentes e fugitivos,
e tu, alegre e pensativa, transpunhas o limiar da tua juventude? Sonorizava teu perpetuo canto
os quietos aposentos da tua casa e as ruas vizinhas, quando tu, occupada em teus trabalhos
femininos, sorrias satisfeita para as vagas esperanças de um venturoso porvir. Assim, pois,
emquanto maio enchia de perfumes a terra, tu passavas o dia todo a trabalhar cantando.”
E continua evocando saudosamente os tempos e annos longinquos da sua primeira
adolescencia, os sonhos, as esperanças, as aspirações daquella edade feliz, quando da varanda
do palacio paterno escutava attento o som de uma innocente donzella que nem sequer viu
desabrochar a flor da sua mocidade.
“Olhava o céo sereno, as ruas e as hortas fulgindo ao sol; alongava a vista para o mar
longinguo e para o monte”; e o coração se lhe enchia de esperanças e de um delicioso tumulto.
Ai! como tudo isto desappareceu de pressa! A’s primeiras rajadas do inverno Sylvia,
protrada por morbo incuravel, succumbe, a pobre, innocente criatura; e com ella cahem mortas
as esperanças do poeta.
“Tu dormes – grita o infeliz e apaixonado amante, numa outra lyrica estupenda (A
noite de um dia de festa) – em teus quietos aposentos; e já não sabes, já não pensas na horrivel
ferida que abriste em meu peito!”
A antiga e já gasta imagem da corça a fugir, levando cravada na ilharga a setta
mortifera com que a traspassou o caçador, retrata a sorte infeliz do jovem Leopardi destinado a
soffrer, a soffrer sem esperança, as torturas de seus amores repellidos ou desprezados.
“Oh! Nerina – soluça desesperadamente em “Le Ricordanze” – onde estás, que já não
oiço cantar a tua voz, como fazias outrora, quando toda a qualquer palavra ou accento da tua
boca me fazia einpallidecer? Ai! Passaste; rapidos passaram teus dias, meu doce amor; e como
um sonho foi-se a tua vida. Mas ainda vive em meu coração o antigo amor... “Quando volta
maio e com flores e cantos brindam os namorados as suas amadas, eu digo “Nerina, meu doce
amor, já não verás mais reflorir a primavera; já não poderás mais amar...”
Mas, embora seja o amor o motivo principal da lyrica leopardiana, comtudo outros
motivos deparmos, ali, intimamente ligados á infelicidade do poeta e á sua maneira de conceber
e sentir as paixões, a vida humana e a natureza.
O seu descontentamento e repugnancia á realidade actual levam-no a procurar e
saborear as vagas visões do passado, os sonhos ridentes da infancia longinqua. As recordações
tem para elle um encanto saudoso, irresistivel. E’ doce para o seu coração a lembrança dos
enganos; das esperanças, dos sonhos feitos outrora, apesar de já desapparecidos para sempre.
Acha bom recordar até os soffrimentos passados e contar os annos da sua infelicidade
(Alla luna).
Não ha peior desgosto para elle do que a realidade, o presente brutal, atono e inerte,
contra o qual se chocam e se desfazem as iriantes idealidades do sonho e da imaginação. E por
um fenômeno de objectivação elle vê em todos os seres, e principalmente nas creaturas
humanas, a sua propria infelicidade e miséria; e lastima, em si proprio, a desgraça de todos; e
chega até invejar a sorte dos animaes brutos, porque não tem consciencia dos perigos que os
ameaçam, não conhecem as torturas da duvida e o tedio da existencia (Il canto notturno di un
pastore). Mas o homem soffre, é um infeliz; é como um pobre velho esfarrapado sobre os
hombros, que anda ao vento, á chuva, ás tempestades, por valles e montes, sem descanço, sem
tregua, até que chega á beira do abysmo, onde, precipitando miseramente perece.
Aquillo a que os homens chamam prazer, é filho da angustia; é uma ephemera cessação
do soffrimento.
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Todos os homens, todas as criaturas são infelizes; a vida é lucta, desillusão, desespero.
Os elementos da natureza, o frio, o calor, os ventos, as tempestades, o raio, os terremotos, tudo
conspira contra a felicidade humana. E o mundo é lama. Eis por que o poeta ama a solidão. E’
na solidão que a sua alma se expande e seu canto ecôa sonorizando o ambiente. O poeta faz
como a cotovia; edifica seu ninho no chão, mas, para cantar, ergue-se verticalmente ás alturas
crystallinas dos espaços, de onde desfia no ar um melodioso colar de liquidas perdas sonoras;
faz como o rouxinol que só canta em logares solitários: “Canta alle solitudini soltanto”
(Pascoli).
A todas as aves o nosso poeta prefere o passaro solitario, que fugindo ás revoadas, aos
divertimentos e folias dos outros alados, canta sosinho, num recanto apartado; e assim vae
gastando a flor da sua edade (Il passero solitario).
Assim tambem o poeta só pode falar com o seu mundo interior, só pode evocar as
criatura immortaes da sua arte e da sua paixão, longe das multidões e do profunum vulgus a
quem Horacio odiava. E todas as almas de eleição, que sabem pensar e possuem uma
personalidade, tem horror á vida collectiva, ao tumulto das praças e ás effervescencias do frevo.
A’ medida que o poeta se afasta da multidão e do reboliço do mundo, vae
desenvolvendo a sua vida terior, que é mais rica e variada do que a realidade. Assim, pois, é o
sonho, ou antes, são os sonhos e as chimeras, que constituem a riqueza ideal do poeta, como
canta Rodolfo na Bohéme:
Per sogni e per chimere,
E per Castelli ni aria
L’anima ho milionária!
E’ pelo instincto incoercível da felicidade, que o homem, em geral, é infeliz neste
mundo; portanto, não encontrando elle a felicidade em parte nenhuma, vae plasmando, no
mundo da sua imaginação, as illusões seductoras, as apparencias e os acasos venturosos, que
não se realizarão nunca!
Entretanto nem ao menos a felicidade das illusões, nem ao menos o consolo de
acreditar na possibilidade de um porvir sereno, de um amanhã mais calma e tranquillo, coube
ao desventurado poeta de Recanati. Cantou elle, é verdade, admiravelmente, os enganos
pacificadores, as benignas illusões dos homens; elle porém jamais, ou apenas por breves
instantes e raros momentos, deixou-se iludir. E bem cedo teve que dolorosamente constatar que
não só estava morta, em seu coração, qualquer esperança, como tambem qualquer desejo de
felicidade (A se stesso).
“Agora, diz elle ao seu coração, descansarás para sempre, pois morreu o ultimo
engano; estancou em nós não só a esperança, mas até a saudade e o desejo das illusões
queridas”. Todavia existe para os desgraçados um certo consolo no auge de seu desespero: Una
salus victis nullam sperare salutem, diz Vergilio no canto II da sua Eneida immortal. Para os
vencidos há um consolo: deixar de esperar, desistir, entregar-se.
O nosso Leopardi encontrava algum allivio para seus males na meditação da miseria
humana, na contemplação do infinito, na fria constatação da nullidade de todas as cousas:
“l’infinita vanitá del tutto.”
“Sempre gostei, diz o poeta numa breve mas formidavel lyrica, desta colina solitaria e
desta sebe que me impede a vista do extremo horizonte. No entanto, aqui sentado, vou
imaginando, além, interminaveis espaços e silêncios sobrehumanos e uma immobilidade
absoluta; e meu coração quase desfallece de medo. E quando oiço o murmurio do vento
perpassando entre estas plantas, eu vou comparando a esta voz aquelle infinito silencio; e penso
na eternidade, nas éras mortas e na época actual com seus breves anseios. Assim nesta
immensidade mergulha a minha mente, e doce é para mim naufragar neste oceano.”
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CANTO E MUSICA
A poesia de Giacomo Leopardi não é somente canto, expansão lyrica; mas é tambem
melodia suave, musica admiravel. Elle é um artista, cujo sentidos são dotados de uma
sensibilidade quasi morbosa, devido, talvez, ás suas condições de saude precarias, pois é sabido
que genio, doença e loucura, são phenomenos inter-dependentes e relacionados um com o outro.
Em Leopardi a vida psycho-somatica quasi que concentrou-se nas faculdades de pensar,
imaginar e sentir. Alimentava-se pouco, dormia mal, era casto, sedentario, dispeptico. E assim
como os cegos possuem ouvido e tacto apuradissimos e percebem com facilidade as mais leves
e rapidas vibrações acústicas e impressões tácteis, assim o nosso Leopardi, doente, enfezado,
raquitico, era como um gong, vibrando em amplas e harmoniosas resonancias a qualquer
impressão que ferisse a sua sensibilidade. A sua vista era escassa, fraca; e é porisso que raras
são as descripções de phenomenos opticos e prospepticos nas suas poesias. A maior parte de
suas impressões e imagens não se referem ás côres, matizes e nuances dos phenomenos naturaes
que o interessam; mas aos sons, ás vozes e rumores das cousas, do vento, da chuva, da
tempestade; aos cantos de almas femininas, das aves; á harmonia ampla e polyphonica da
primavera que sonoriza os valles, os bosques e o ar. O que mais o emociona e interessa na
natureza, são as variadas melodias esparsas das criaturas e dos elementos. Nada lhe escapa a
este respeito.
As ondeantes vibrações sonoras que o vento traz de longe, dos sinos das egrejas, das
torres e dos campanários; o coaxar monótono das rãs longinquas pelos campos; o tamborilar da
chuva sobre as venezianas pelas madrugadas do outomno; o canto nocturno, nas ruas desertas
da cidade, que vae morrendo lentamente ao longe; o grito estridulo das andorinhas
madrugadoras, que saudam o novo dia; o surdo murmúrio do vento perpassando entre as
ramagens, farfalhando pelo arvoredo; o mugido dos bois syntonizado com o balar dos rebanhos;
o canto das donzelas occupadas nos trabalhos domésticos ou regressando dos campos ao
entardecer; tudo isto vibra melodiosamente na poesia do nosso Leopardi, cuja alma
eminentemente lyrica, só achava algum descanso, quando mergulhava na contemplação do
infinito, na irrealidade do sonho.
Nada, porém, emocionava tanto o nosso poeta como o canto solitario de uma joven
simples e confiante nas promessas fementidas da mocidade e da natureza. E’ que elle sentia o
encanto irresistivel da voz humana, a mysteriosa potencia da musica, que é a linguagem mais
vaga, e ao mesmo tempo a mais immeditta da paixão e do sentimento. No canto de uma virgem,
parece-nos ouvir a aspiração espontânea de uma alma ingenua, que se abandona ás seducções
da esperança e ás miragens vagas do porvir. Musica, doce musica! Faltou, como já acenamos
de passagem, o consolo e o conforto da fé ao infeliz cantor de Recanati. Não acreditava na
providencia divina, na vida futura e na immortalidade da alma; e, apezar disto, foi um homem
forte; teve a coragem de viver, de trabalhar, de soffrer com paciência; e sobretudo conservouse puro em seus costumes, correcto e pudico em seus escriptos, nobre e generoso em seus
sentimentos. Morreu em Napoles, com 39 annos de edade, em 14 de junho de 1837, assistido
até o seu ultimo respiro pelos amigos Antonio e Paulina Ranieri, irmãos, em cuja residência
gravemente enfermara. Suas ultimas palavra dirigidas ao amigo Antonio, foram: “Já não te vejo
mais”.
Quando chegou o padre com os ultimos sacramentos, Giacomo Leopardi acabava de
morrer.
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GIACOMO LEOPARDI8
Júlio Dantas
Acaba de comemorar-se, na Academia das Sciencias de Lisboa, o primeiro centenario
da morte de um poeta singular, de cuja obra o Romantismo italiano legitimamente se orgulha:
Leopardi. São numerosas as figuras literarias que illustram o movimento romântico da Italia
ainda invertebrada e inconstituida, mas já a caminho da magnifica unidade moral e politica que,
mais tarde, havia de tornal-a, de novo, grande no mundo. Manzoni o novellista insigne de I
promessi sposi; Silvio Pellico, que se celebrizou nas paginas commovedoras de Mi Prigioni;
Niccolini, o herdeiro de Alfieri e de Hugo Foscolo no vigor pathetico e na eloquencia varonil;
o illustre Giusti, um dos maiores poetas populares do seculo XIX, que encarnou a alma italiana
nos versos immortaes do Dies Irae; Francesco Guerrazzi, em cuja obra passa o sôpro épico das
grandes exaltações patrioticas; Vicente Gioberti, philosopho, politico, inspirador da obra de
Cavour, que em Il Primato expressou ardentemente o ideal unitario da Italia; mais tarde,
Carducci, o poeta das Odes barbaras, – formam uma pleiade digna das tradições intellectuaes
brilhantissimas da Italia medieval e da Italia Renascença. Nenhuma, porém, destas figuras se
encontra, passado um seculo, tão viva, tão palpitante no seu interesse não apenas literario, mas
humano, como o grande Leopardi, o pessimista do “conformismo ironico” e da “melancolia
universal”; o creador da inolvidável personagem de Philippo Ottonieri; o poeta que em Amore
e Morte proclamou “la gentilezza del morrir” e em La Ginestra a eternidade voluptuosa do
soffrimento; o artista excepcional, emfim, cujos Dialogos renovam, na justa expressão de
Aulard – o sorriso triste e enigmático da Gioconda, de Leonardo da Vinci e das bellas cabeças
leonardianas da Galeria dos Officios e do Museu de Veneza.
A que deve este poeta, da mórbida estirpe de Byron, o privilegio da Juventude? Quanto
todos os outros começam a esquecer – Manzoni e os seus epígonos – porque vive elle, porque
desperta elle ainda a curiosidade mental do momento que passa? Não póde affirmar-se que
Leopardi deva a immortalidade á circumstancia de ser um poeta nacional, animador e obreiro
do Rissorgimento, ou um antepassado imperial susceptivel de ser reivindicado como gloria do
Fascio. As composições de caracter nacional que deixou odes All’Italia e Sopra il monumento
de Dante – parecem-nos frias, artificiaes, classicamente marmóreas, sem o sentimento, a
eloquencia, a espontaneidade, a vibração arrebatadora de Guerrazi ou de Giusti. A poesia de
Leopardi – diz um critico – não é patriotica quando é sincera, e nunca foi sincera quando quiz
ser patriotica. Embora, num artigo recente, Papini pretenda convencer-nos de que Leopardi
sobrevive porque é um poeta catholico, - ninguém ignora, nem o proprio Papini, que o poema
Saggio sopra gli errori, única peça religiosa do mestre de Recanati, foi escripta na adolescencia,
aos 17 annos incompletos, e que o espirito animador de toda a sua restante obra é negativista,
insubmisso, ethica e estheticamente pagão. Leopardi nem mesmo póde considerar-se um poeta
do amor. Tem, não o contesto, composições lyricas de grande belleza – AMORE E Morte, A te
stesso, sobretudo Il sogno, por vezes comparado ao Trionfo della morte, de Petrarcha; mas a
sua poesia amora, meramente literaria, não constitue a expressão de jubilos ou de emoções
realmente sentidas pelo poeta, mas – ai delle! – a reminiscencia do amor dos outros, mormente
dos antigos mestres das letras greco-latinas, que Leopardi sabia de cór. Donde provém, então,
o interesse deste romântico superior, que não soube cantar, nem o amor, nem a patria, nem
Deus?
O que, indiscutivelmente, fez a gloria do autor da Historia do genero humano, de
Brutus minor e de Paralipomenos, foi a sinceridade da sua dôr moral e physica, estoicamente
supportada, e – mais ainda do que a sua dôr – o sorriso de amarga ironia e de infinita
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In Correio da Manhã. Rio de Janeiro, 01 de janeiro de 1938. http://memoria.bn.br/DocReader/089842_04/44237.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Dantas, p. 45-46
espiritualidade com que elle soube contal-a ao mundo. Leopardi – psychicamente um rachitico,
giboso, enfermo e disforme – assistiu sem viver ao espectaculo deslumbrante da vida, encerrouse na bibliotheca paterna, e, na intimidade dos poetas e dos philosophos da Hellade, do Lácio e
da Florença medieval – em cuja olyympica serenidade aprendeu, com os rythmos da belleza, as
lições da resignação – pôde affirmar, no fim da vida, que, de cada uma das mais intimas e mais
dolorosas fibras do seu coração, fizera uma obra de arte. Os grandes melancolicos do seculo
XIX, creadores de typos eternos – Lara, Renato, Werther, Chatterton, Anthony – conceberam
o soffrimento como uma attitude literaria e, de certo modo, como a expressão de uma
aristocracia intellectual. Leopardi, não. A sua dôr tem um substracto orgânico; criou raizes na
miseria de um organismo condemnado a soffrer; concentrou-se, sublimou-se na insociabilidade
e no isolamento; e, quando o poeta nol-a transmittiu, no veio de ouro de uma lingua immortal,
já não era apenas a dôr de um homem: era a dôr da humanidade inteira. Na mesma hora,
ignorando-se mutamente, dois grandes pessimistas, um na Allemanha, outro na Italia,
proclamaram “como única verdade o soffrimento universal”: Leopardi e Schopenhauer. Mas,
ao passo que o philosopho de O mundo como vontade e representação, titan revoltado, ergueu
os braços ameaçadores para Deus, o poeta italiano, que verdadeiramente soffria não apenas
philosophica mas humanamente, encarou com resignada ironia a obra da criação; encolheu,
sorrindo, perante a divina injustiça, os pobres hombros rachiticos; brincou com o destino, como
Frederico Ruysch com as suas mumias; e reconhecendo que, na verdade, “só a dôr existe”, não
se revoltou, transformou-a em jambos gregos e em hexametros latinos; não soffreu apenas por
si, mas por todos os homens, entretenimento ephemero dos deuses. Foi o que nelle ha de
dolorosamente humano que o tornou immortal.
Recordando Leopardi na data do primeiro centenario, da sua morte, folheei, mais uma
vez, a obra admiravel do prosador e do poeta. Foi com viva commoção que li, em Parini e la
gloria, estas palavras que constituem a synthese da sua biographia moral: “Os grandes
escriptores são incapazes, por natureza ou por habito, de um grande numero de prazeres
humanos; privam-se voluntariamente delles; o seu destino é viver uma vida semelhante á morte,
e perpetual-a, se se obstinam na vida, para além do tumulo.”
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Dantas, p. 45-46
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CANTOS DE LEOPARDI9
Júlio Dantas
O meu eminente amigo, professor Aloysio de Castro - um dos maiores poetas de que
se orgulham, no presente momento, as letras brasileiras e a língua portugueza - acaba de
publicar em Roma, pelo Instituto Italo-brasileiro de Alta Cultura, a traducção de dezoito das
mais bellas poesias de Leopardi.
Ha traducções que valem por originaes, e esta é uma dellas. Vale pela celebridade da
obra vertida, que por vezes se eleva ás culminancias do genio; vale pela excellencia da
linguagem e pelo acabado primor da fórma; vale, sobretudo, pela como que intima
consubstanciação do poeta traductor com o poeta traduzido, tão perfeita, que crea no nosso
espirito a illusão de que as poesias de Leopardi, contidas no volume, foram originalmente
pensadas, sentidas e escriptas em portuguez. Para essa illusão concorrem, não apenas a
naturalidade da expressão, o vigor espontaneo da eloquencia que palpita nesses dezoito trechos
lyricos, mas - esmero proprio do bom gosto literario de Aloysio de Castro - o especial sabor
romantico da linguagem, que, sendo pura, limpida e forte, tem, no geito syntatico e no
vocabulario escolhido, alguma coisa que nos recorda a poesia portugueza da primeira metade
do seculo XIX. Não poucas vezes, no descurso dessas setenta paginas admiraveis, tive a
impressão de estar lendo Leopardi traduzido por Garrett.
Aloysio encontra-se, com effeito, na posse de todos os elementos que lhe permittem
ser um traductor ideal do grande pessimista dos Dialogos e das Palavras memoraveis de Filippo
Ottonieri. A sua dupla, viagem a Recanati, onde se impregnou da alma leopardiana e onde foi
hospede dos descendentes illustres do conde Monaldo, no mesmo palacio onde o poeta nasceu
e viveu; o culto que voltou sempre ao genio doloroso e augusto de Leopardi; a sua participação
pessoal brilhantissima nas festas do centenario, ao lado de Farinelli, de Bomtempelli e de
Romagnolli, delegados da Real Academia de Italia; o seu conhecimento da lingua italiana;
finalmente, o facto de manejar o vernaculo com a dextraza, a opulencia e a dignidade de um
classico, - indicavam-no, como interprete singular, entre aquelles que, no nosso idioma
poderiam hoje transmittir-nos o pensamento e a emoção do poeta da Ginestra. Na verdade, as
versões portuguezas destas dezoite poesias - e pena é que sejam só dezoito - ficam, ao lado da
traducção franceza de Sainte-Beuve, como uma das mais fieis, das mais bellas e das mais
penetrantemente sentidas que se conhecem da obra de Leopardi.
Não podendo traduzil-as a todas, Aloysio de Castro escolheu as composições que lhe
pareceram mais expressivas do pensamento do poeta, algumas das quaes são, precisamente, as
mais vulgarisadas e as mais celebres. Cantor, não apenas do proprio soffrimento, como Byron
ou Chateaubriand, que crearam na literatura do Romantismo a “aristocracia da dor”, - mas do
soffrimento humano collectivo, universal e impessoal, Leopardi não é um poeta facil de
interpretar no seu conceito lyrico-philosophico do amor, sentimento que ora exalta e sublima,
ora nega, na sua dialectica pessimista, considerando-o uma simples ficção do orgulho e da
loucura humana, um agente e collaborador da morte, uma fórma de destruição engenhosamente
inventada pela natureza. Na selecção feita, Aloysio parece ter preferido aquellas das poesias em
9
In Correio da Manhã. Rio de Janeiro, 10 de julho de 1938. http://memoria.bn.br/DocReader/089842_04/47201.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Dantas, p. 47-48
que mais eloquentemente se expressa o paradoxo leopardiano do “amore-larva”, illusão e
realidade, creação e destruição, beatitude e anniquilamento, e em que a vida se concebe como
uma pintura austera de Dürer onde caminham a par, melancolicamente, a dôr, o amor e a morte.
Il sogno, réplica do Trionfo della morte, de Petrarcha; Ricordanze, poesia inspirada no verso de
Meandro “morre joven aquelle que é amado dos deuses”, e em que, a proposito de uma fórmula
feminina convencional, Nerina, Leopardi desenvolve a theoria do “errore beato”; Amore e
Morte, em que se canta “la gentilezza del morrir”, disse Musset - e em que o poeta affirma que,
quando se ama, “un desiderio de morir se sente”; Consalvo, o beijo in extremis, confundindo a
morte e o amor; Silvia, candida imagem amorosa vista através da névoa gelada do tumulo;
Aspasia, espectro de outra desapparecida, - são, com effeito, trechos fundamentaes para o
conhecimento da philosophia e da lyrica leopardiana. E não o são menos as composições em
que o grande poeta italiano considera a insignificancia do homem, “oscuro granel di sabbia”,
comparado á immensidade cosmica (Ginestra); sente a inutilidade do esforço humano perante
a fatalidade da morte inexoravel (Canto d'un pastor errante); ou fixa “momentos da cosciencia
universal”, de um forte poder emotivo e synthetico, como Infinito, A se stesso, e outros. Aloysio
de Castro não se limitou a traduzir magistralmente Leopardi; soube selecionar, com elevado
sentido critico, as poesias mais representativas do seu genio.
Quanto, propriamente, aos processos adoptados pelo traductor insigne, convém notar
a quasi literalidade da versão, realizada com o mais escrupuloso respeito pelos textos. Aloysio
usa, em cada poesia, o mesmo metro e a mesma ordenação estrophica do original; só recorre ás
equivalencias quando, de todo em todo, as considera indispensaveis; não collabora, interpreta;
quando muito, perante um passo obscuro, esclarece o pensamento do autor; e, se as fórmas
idiomaticas o exigem, substitue a phrase, melhorando-a e tendo sempre o cuidado de manter a
genuinidade do conceito e a musicalidade do verso. Os tercettos do Primeiro amor são de
esculptural belleza. O verso branco, nobre, severo, variado de rythimos, lembra-nos - já o disse
- a “maneira garrettiana”. Tudo, na technica do traductor, é medido, meticuloso, harmonico e
perfeito. Aloysio de Castro, acordando para a admiração de portuguezes e de brasileiros a obra
de um glorioso morto, bem merece que lhe appliquemos as palavras immortaes do proprio
Leopardi:
O' poeta famoso
Segui, risveglia i morti
Poi che dormono i vivi...
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Dantas, p. 47-48
48
GIACOMO LEOPARDI: POETA DA DÔR10
Gomes Vaz de Carvalho
Há cem annos morria, em Nápoles, Giacomo Leopardi aos trinta e nove annos de
edade, após uma vida atribulada e melancolica, que soube expressar em versos immortaes e
sublimes.
Commemorou-se na Italia e no mundo culto o centenario do desapparecimento
daquelle vate, uma das personalidades mais celebre e ao mesmo tempo mais infelizes dos
tempos modernos. E, de facto, Giacomo Leopardi, cujo nascimento de família nobre, ao abrigo
das maiores necessidades materiaes, que lhe poderia ter assegurado vida tranquilla e serena,
arrastou tristemente sua breve existencia, colhendo apenas a consolação e conforto nas
occupaações elevadas que a mente sabe proporcionar nos ânimos de eleição.
Nascera a 29 de junho de 1798, em Recanati, pequena cidade da Marca de Ancona, na
Italia, na antiga propriedade dos avoengos condes Leopardi; sua meninice nada teve de
extraordinario, a não ser pela intelligencia vivaz e o anseio de aprender tudo, de aprender muito,
para ser sempre o primeiro entre os collegas de estudos, e foi aquella a época mais feliz de sua
vida, passada entre saltos e folguedos, o carinho dos paes, as brincadeiras com os irmãos Carlos,
Luiz e Paulina, que elle dominava, quer physicamente, quer pelo espirito, dirigindo e
inventando brinquedos e batalhas simuladas, em que Giacomo havia de ter sempre a melhor
parte porque era eminentemente autoritario.
Quanto aos estudos, que em casa do Conde Monaldo Leopardi eram perfeitamente
regularizados para cada hora do dia, estavam entregues a um pedagogo particular, que se
occupava exclusivamente dos filhos do conde. Em determinados periodos do anno, os meninos
deviam dar prova de seu saber ante academias improvisadas, tão sómente compostas de parentes
e amigos de casa.
Giacomo, naturalmente, era o heroe dessas solenidades. Aos onze annos, incompletos,
tinha já traduzido, em versos, as odes de Horacio, além de haver composto muitas poesias em
italiano e em latim. Já era extraordinario para uma creança daquella edade. Mas, logo, no anno
seguinte, o rapazinho dedicava-se tambem ao estudo do grego, do hebraico, e, finalmente, do
inglez e do allemão. Tinha uma facilidade fulgurante de se familiarisar com todas as linguas
vivas ou mortas, e, um estranho systema para estudal-as, sem perder tempo. Quando escrevia
seus famosos “diálogos”, na immensa bibliotheca paterna, chegando ao fim de cada pagina,
descansava a penna e tomava uma grammatica inglesa que se achava ao seu alcance sobre a
mesa e decorava um verbo; depois lia o que havia escripto para ver se a tinta estava secca. Não
usava propositadamente arceiro, para ter tempo, emquanto a pagina seccava, de estudar o
inglez! – e o mesmo fez para as demais linguas que deliberava aprender.
Estudava, estudava sem cessar noite e dia, e ao treze annos já era autor de varias
dissertações philosophicas, scientificas e de uma tragedia! Mas foi justamente em consequencia
deste estudo louco e desesperado (como elle mesmo o denominou), que o rapaizinho começou
a soffrer da deformidade physica que tanto o attingiria tambem moralmente.
Até aos doze annos, Leopardi cresceu, era alto e esguio como os irmãos, sem nenhuma
anomalia que denotasse imperfeição physica, mas os efeitos da exaggerada applicação ao
estudo e absoluta falta de exercicio e de vida ao ar livre, devia ser causadora da rápida
decadencia organica e incipiente deformação da espinha dorsal, que tanto o atormentaram a
vida inteira. Chegando á edade moça, á edade do amor, nos seus mais justificados anseios da
vida, Giacomo Leopardi passava os dias amargurados devido ás suas miseraveis condições
physicas. Irritando-se contra os cuidados domesticos de que era alvo, sentia ardente necessidade
10
In A Noite. Rio de Janeiro. 11 de janeiro de 1938. http://memoria.bn.br/DocReader/120588/12471.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Carvalho, p. 49-51
de liberdade, fóra da selvagem aldeia natal, longe da austera vigelancia familiar e preparau um
plano de fuga.
Escreveu ao Conde Saverio Broglie, a Macerata, para obter um passaporte e preparou
duas cartas para o pae e o irmão Carlos, chegando mesmo a procurar as ferramentas necessárias
para arrombar o cofre que guardava o dinheiro. Mas, a tentativa foi descoberta naquela occasião
o poeta não pôde ainda deixar a casa paterna. Só muito mais tarde saiu de Recanati para ir morar
em Roma, em casa de parentes e depois em Milão, junto do livreiro Stella, que se encarregava
de suas edições. Em seguida foi até Bolonha, mas nesta cidade sofreu tanto com o frio e a
humidade que precisou regressar de máo humor ao lar paterno.
Já então suas doutrinas e seu talento gozavam de grande fama. Giacomo Leopardi era
considerado um dos homens mais singulares do seculo, tanto pela sua inspiração poetica como
pelo saber tão variado, vasto e profundo. Todos o tinham em grande conceito, porém com a
fama, crescia dia a dia a infelicidade do poeta.
Soffria dos olhos, sendo frequentemente obrigado a permanecer no escuro com grande
perda para a sua actividade literaria.
O excessivo calor, assim como o frio, trazia-lhe sempre serios incommodos e quando
estava em Bolonha para se defender contra a inclemencia da temperatura baixa, mandou
confeccionar uma especie de sacco forrado interiormente de plumas. Passava assim horas, no
estudo, em profunda meditação, mettido naquella estranha indumentaria, e quando saia de lá
todo coberto de pennas parecia a imagem do homem selvagem!...
Mas o seu peor soffrimento vinha dos nervos; este dominava o temperamento de
Leopardi, que muitas vezes, não podendo mais supportar nenhum esforço mental, se definira:
“Um tronco que sente e que soffre”. Todavia, apesar de longas pausas que lhe impunham os
soffrimentos physicos, Leopardi pôde, por felicidade da arte literaria e poetica, estudar e
compor até seus ultimos dias. Seu nervosismo era excessivo e mesmo quando não lhe era
possivel ler ou escrever, nunca tinha as mãos paradas: brincava continuamente com uma faca
de osso para cortar papeis, que trazia sempre no bolso do paletó, e quando não, virava e revirava
qualquer objeto ao seu alcance, até quebral-o. Gostava da boa mesa, lastimando não poder
comer de tudo, devido sempre ao máo apparelho digestivo e deixou escripto em carta particular,
que, estando na cidade de Piza, durante a Paschoa de 1828, sua maior decepção foi a de não
poder comer os tradicionaes ovos queimados, contentando-se apenas em tomar uma sopa... de
regimen!
Nos últimos dias de vida, procurou sempre adiar a partida para Torre-del-Greco, onde
havia bons ares, sómente porque sabia que lá não encontraria os sorvetes de Napoles de que
muito gostava. Após as refeições permanecia longo tempo sentado á mesa do jantar
conversando e philosophando e no phraseado familiar entremeava frequentemente palavras
ferinas, porém quando o interlocutor retrucava com dizeres que não estavam na altura do seu
espirito mordaz, limitava-se a tomar uma pitada de rapé, fazendo um ruido especial. E davamse por isso scenas curiosas. Certa vez, um senhor que não era da intimidade do poeta, perorava
sem nexo e Leopardi não deixava de protestar á sua moda contra a insensatez do interlocutor,
aspirando pitadas sobre pitadas. Quem, estando ao par dos hábitos do poeta, conhecia o
significado daquella furia em se encher as narinas de tabaco, mal continha o riso, emquanto o
orador continua a proferir argumentos chocarreiros, tentando convencer os seus ouvintes e
virando-se finalmente para Leopardi, interpellou-o:
- Diga-me, o senhor que é literato, o que lhe parece o que eu expliquei?
- Desde que deseja saber minha opinião, parece-me que o senhor diz “com franqueza”
coisa do outro mundo!
- Pois é; eu bem sabia que não se pode discutir com literatos!
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Carvalho, p. 49-51
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E as risadas estrugiram mais ruidosas ainda.
Era, todavia, muito raro ver-se Leopardi alegre, embora transitoriamente. Nunca
sorria, e vivia sempre calado, triste, melancolico. Vestia simplesmente, cores escuras; sómente
uma vez na vida, em Florença, demonstrou satisfação em se achar elegante com certo terno que
lhe assentava.
- E’ incrivel – escrevia á irmã Paulina
- minha roupa “grenat” posta na ultima moda, com os “révers” muito largos, parece
nova e fica-me muito bem.
Naquelles dias o poeta estava perdidamente apaixonado por uma linda florentina e
quem sabe se a satisfação pela roupa elegante não estava ligada á recôndita illusão de poder
tambem elle, infeliz corcunda, agradar a uma mulher bonita? Muito se fantasiou sobre os
amores de Giacomo Leopardi, mas não se sabe nada de muito exacto. Embora feio, enfermo e
aleijado, era muito sensivel á graça feminina e, certamente amou, sem ser amado. Guardou
sempre, todavia, o mais alto conceito da mulher, considerando-a como um ser á parte posto ao
lado do homem pela Providencia para lhe suavizar as dores da vida com a meiguice e a brandura
de sua affeição. A deformidade physica privou-o do amor das mulheres, como ardentemente o
desejou, e foi esta, sem duvida, uma das causas que mais o recalcaram no seu fundo pessimismo,
mas não podemos esquecer que a idealização que Leopardi fez das mulheres, em seus versos,
valenos algumas das lyricas mais bellas de que a poesia já se pôde honrar através do tempo.
Leopardi não tinha bens de fortuna e para poder sair do sitio que elle mesmo chamou
“a horrenda noite de Recanati”, e viver em Florença, acceitou por fim o subsidio que lhe
offerecera um escriptor, seu fervente admirador, chamado Pietro Colletta, para passar pelo
menos um anno na capital da Toscana. Lá, elle não teria obrigação nem compromisso e nem
sequer deveria ter a preocupação de restituir a quantia ao benemérito amigo. Só deveria viver
em completa solidariedade com os numerosos literatos que habitavam Florença! Um delles, o
joven Antonio Rainieri, ficou residindo na casa do poeta, a quem se dedicou com desvelo de
filho affectuoso até os ultimos instantes da vida de Leopardi. A partir de abril de 1837, a saude
deste ultimo peorou dia a dia mais. Deixou-se, finalmente, levar para Torre-del-Greco, que não
lhe deu o allivio esperado e a 14 de junho do mesmo anno morria o infeliz poeta sentado á mesa,
emquanto tentava engulir algumas colheradas de sopa, após ter chamado pelo fiel amigo
Rainieri para lhe dizer que já o não enxergava.
Giacomo Leopardi morrendo, bem podia dizer que deixava um “valle de lagrimas”,
porque o soffrimento fôra sempre a nota dominante de sua vida, de suas meditações e de seus
cantos em que invocava a morte como libertadora. Foi, realmente, um infeliz e um grande
soffredor que tambem nos faz soffrer com a leitura de sua obra.
- De que vale a vida senão para desprezal-a? – cantava melancolicamente, até chegar
ao mais tétrico pessimismo como na canção “A Sylvia” e nas “Ricordanze”.
Todavia, a ultima composição poetica de Leopardi, a sua obra prima, composta pouco
tempo antes de morrer, irradia nova luz sobre a dolorosa philosophia do grande homem infeliz.
E’ a “Ginestra”, a lyrica divina que se inspirou no nome da flor selvagem da “Gesteira”, que
cresce na encosta do Vesuvio, onde o poeta sente a pequenez e a nullidade do genero humano
em relação á desmedia grandeza da creação, invocando, como unico conforto, a fraternidade
universal. E foi nesta consoladora visão que se calou a lyrica de Leopardi, deixando assim de
palpitar o seu grande coração transbordante de amor fraterno.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Carvalho, p. 49-51
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GIACOMO LEOPARDI11
Austregesilo de Athayde
Durante quase cento e dois annos os restos de Giacomo Leopardi repousaram “nella
chiesa suburbana di S. Vitale”, uma pequena igreja de Napoles.
Morto o poeta “senza soffrire, quase addormentandosi”, seu amigo Ranieri conseguiu
salval-o do cemitério dos coléricos.
Por pouco não o lançaram na vala commun. Foi necessaria a astucia dos íntimos para
que lhe, dessem sepultura condigna, primeiro sob o altar e mais tarde no atrio em templo.
Agora a posteridade desperta para honral-o, transladando o que resta do seu corpo
fragil para a tumba no Parque Vergiliano.
***
Leopardi foi um dos grandes gênios poéticos do tempo. Daquelle tempo que viu Byron,
Goethe e Lamartine.
A sua obra é de profunda interpretação da vida.
Havia nelle todas as gantas de talento. O philologo, o philosopho, o historiador, o
tragico, o lyrico e até o humorista.
Dominado sobre esta infinita variedade de expressões de intelligencia e de sentimento,
a nota permanente da melancolia, o desespero de uma alma insatisfeita, o terror de uma
existencia sem perspectivas.
***
E’ incrível como, em menos de quarenta annos de vida, Leopardi pudesse ter deixado
obra tão numerosa e diversa.
Certo começou cedo. Entre os nove e os treze annos, já havia escripto varia tragedias,
ensaios críticos e feitos difficeis traducções do grego e do latim, que por si mesmo aprendera.
Não é meu proposito em tão poucas linhas estampar a figura extraordinaria de
Leopardi.
Como tantos outros da sua estirpe poetica, nasceu para o soffrimento, viveu de
amargura e depressa retirou-se dos tristes espectaculos do mundo.
Não foi o egoista diabolico, o incredulo esteril, tantas vezes pintado pelos que não o
comprehenderam. O seu logar é na familia de Dante, de Tasso e de Petrarca.
Uma das vozes que perpetuam o genio italiano.
11
In Diario da Noite. Rio de Janeiro, 15 de fevereiro de 1939. http://memoria.bn.br/DocReader/221961_01/40607.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Athayde, p. 52-52
UM TRADUCTOR DE LEOPARDI12
Heitor Lima
Muito se tem escripto sobre Leopardi. Ha um seculo não se cançam literatos e
pensadores de debater as suas idéas, analysar o seu temperamento e buscar a chave da sua
philosophia. As largas rêmiges do seu estro deram-lhe projecção universal: o seu genio
adeantou-se ao tempo; e não faltaram exegetas empenhados em demonstrar que o atormentado
de Recanati não era um negador systhematico, mas ao contrario, sob a apparencia do
pessimismo total, um pregoeiro do esplendor da raça, um vaticinador do renascimento italiano,
um syntonizador das glorias preteritas aos triumphos do povir, um percursor que bem merecera
da Patria, e a que a Patria renderia o tributo da sua gratidão depois de decorrida uma centuria.
Aloysio de Castro, que em 1935 visitou por devoção a terra natal do poeta, e em 1937
voltou a Recanati com a incumbencia de levar a contribuição da cultura brasileira, de que é um
dos mais altos representantes, ás homenagens prestadas no centenario do insigne inspirado,
traduziu alguns dos seus Cantos, e no prefacio do volume revela-se um critico escrupuloso,
claro e equilibrado. Não creio que em qualquer lingua, guardada as proporções, se tenha
produzido melhor commentario sobre esse enamorado da Morte, extranho e sombrio
personagem de um dos mais dramaticos conflictos entre o illimitado ambito das aspirações e o
restricto ambiente das realizações possiveis. Com effeito ninguem, como Leopardi, talvez
exageradamente, devido ao seu caso pessoal, denunciou, com palavras de mais amarga revolta,
o odio votado ao homem pela estupida Natureza. Censuraram-lhe tal attitude, esquecidos de
que é sempre á vista dos nossos casos pessoaes que examinamos tudo, mesmo as coisas mais
indifferentes ao nosso interesse. Se é certo que o progresso consiste numa successão de
compromissos entre o velho e o novo, menos certo não é que a civilização está condicionada
ao dominio da Natureza, com a qual se acha o homem sempre em lucta.
Foi porque falou com amor do bardo italiano que Aloysio de Castro conseguiu
interpretal-o. Todos os aspectos da tragedia leopardiana se gravam nessas paginas rapidas,
austeras e sentidas, que têm o condão de familiarizar-nos instataneamente com o eximio cantor.
Se Aloysio de Castro não fosse poeta de elevada estirpe jamais comporia trabalho de tal porte.
Mas tão pouco o escreveria, se não tivesse do verdadeiro critico a sensibilidade que faculta o
accesso ao arcano das almas. Não ficou á superficie da vida e da obra de Leopardi. Explicou,
em primorosa synthese, esta por aquella, e illuminou uma com a outra, identificando-as
magistralmente, na intitmidade em que estão indissoluvelmente associadas. Depois de ler o
ensaio de Aloysio de Castro, sentimo-nos aptos a comprehender Leopardi e a recebel-o no
coração.
Aloysio de Castro nunca será um poeta popular - digo-o em seu louvor. A arte,
producto das elites para as elites, é incompativel com a grosseria e a incultura. A falta de
polimento e o gosto pela ralé nunca se constituirão em qualidade creadora. A arte está no apice
da civilisação, e significa cinzelamento, educação finura. Aloysio de Castro não tem aquella
espontaneidade que, por inepcia, quotidianas e inexpressivas. Adivinhamos o trabalho nos seus
versos - o trabalho, não o esforço. O estylo é castigado, um pouco differente do da prosa, que é
tersa, e utiliza um vocabulario opulento, no qual a maneira classica poderia ás vezes confundirse com a maneira archaica. Talvez como em Alberto de Oliveira, se verifique certo abuso do
anacoluthos e hyberbatos.
Traduzindo versos do torturado de Recanati, Aloysio de Castro não se evanesceu. As
difficuldades inherentes a toda traducção não se revelam, mas o esmero pela fidelidade não vai
ao ponto de desnaturar o texto vernaculo. O pensamento do poeta italiano é respeitado, mas a
12
In
Jornal
do
Commercio.
Rio
http://memoria.bn.br/DocReader/364568_12/58366.
de
Janeiro,
09
de
abril
de
1939.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Lima, p. 53-54
liberdade do artista brasileiro não se deixa anullar. Não faz a obra de superposição, mas de
justaposição; quasi nunca entretanto, vai á paraphrase, e isto adverte elle com verdade.
Não tendo fronteiras a poesia de Leopardi, mesmo na particularidade de certos
motivos, o traductor não encontrou difficuldade em attingir-lhe o fundo, creando-a de novo em
nosso idioma. Nesse sentido poder-se-ia observar que Aloysio de Castro enriqueceu a literatura
nacional com “Espaços e silencios sobrehumanos”, é um dos mais perfeitos, musicaes e amplos
da nossa lingua. Nem do original o copiou literalmente, o traductor, nem, para compol-o,
abandonou o original. Fez uma transformação, apenas, e ficou á altura do modelo - modelo cuja
technica era perfeita.
Para que os obstaculos superados não deixem vestigios, para que a obra não traia as
vigilias votadas á sua elaboração, que incalculavel somma de sacrificios é necessaria! Que
incalculavel somma de esforços para que o esforço não appareça! Até que a intelligencia que
não é simples nos seus processos de assimilação e producção, entre afinal na posse desse
ambicionado artificio que é a naturalidade, quanta lucta consigo mesma, quanta energia para
cohibir-se, quanto exercicio de paciencia!
A linguagem de Aloysio de Castro é facil? Não, se difficil significa obscuro ou
retorcido. A linguagem de Aloysio de Castro é um instrumento que elle maneja com
desembaraço, medida e severidade. As pessoas incapazes de sentir o primor de uma pagina
literaria limpa (na expressão tão cara a Leopardi), accusal-o-ão de impassibilidade - talvez de
convencionalismo. Os que aprenderam a vislumbrar, sob a dignidade da phrase, a elegancia dos
sentimentos, e os que sabem surprehender, sob a moderação das tintas, a força da inspiração e
o largo poder suggestivo, relerão Aloysio de Castro, e, relendo-o, estimal-o-ão mais.
E' certo que a mediocridade, essa improvisadora sem pejo, o tem tratado com irritado
desdem. Mas pergunta-se: ha nada que mais irrite os ignorantes e incapazes do que o producto
consciencioso de um longo e atormentado labor? Creio que nunca se escreveu tão mal no Brasil
como de certo tempo a esta parte. A poesia desceu a chatices inacreditaveis: voltou-se para
themas os mais prosaicos, mais grotescos mais plebeus, mais rusticos, mais primitivos.
Infatilizou-se, imbecilisou-se, analphabetizou-se. Creio que sossobrou no oceano das cousas
irremediavelmente ordinarias, e desappareceu.
Poder-se-á revidar que a poesia está em tudo. Está em tudo, sob a condição de que,
antes e acima do mais, esteja no poeta. A inspiração deformou-se, e, não podendo falsificar a
vida, aviltou a arte. Ninguem estuda: esgotaram-se as reservas de tenacidade mental; cada um
espera do acaso, ou dos proprios dons nativos, ou da miraculosa revelação, soccorro á propria
incompetencia. Mas a ignorancia é safara, e para simular merito resta o recurso do ataque aos
que timbram em estudar, e pela inspiração enriquecem o patrimonio da inteligencia.
A historia da literatura, em todos os paizes, conhece gerações inteiras de nullos, sem
embargo da atordoada com que tentam demolir valores authenticos. Mas a voga dos detractores
é ephemera, e como não ha nada totalmente mao ou totalmente inutil, acabam por fazer notorios
certos vultos sobre os quaes ainda não se fixara a attenção dos competentes. Quantos talentos
só conseguem a nossa admiração depois de espesinhados por diffamadores estereis, incapazes
de egualal-os, o'l sequer de imital-os!
Leopardi encontrou em Aloysio de Castro um interprete apaixonado, enternecido e
sincero, que, não se propondo engrandecel-o, se mostrou, entretanto, á altura da magna tarefa.
E não duvido de que o impeccavel poeta italiano, se tambem escrevesse em nosso idioma,
assignaria os versos do traductor brasileiro.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Lima, p. 53-54
54
POESIA/POESIA
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1
A’ MEMORIA DE LEOPARDI13
Sylvio Julio
...E l’infinita vanitá del tutto
(Leopardi, Poesie)
...Voglio piuttosto essere infelice che piccolo.
(Leopardi, citado por Enrico Mestica, Manuale Storico della Letteratura Italiana, vol. II)
...Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte ingenero la sorte.
(Leopardi, Poesie)
13
In
Diario
de
Notícias.
Rio
de
http://memoria.bn.br/DocReader/093718_01/33210.
Janeiro,
03
de
outubro
de
1937.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Julio, p. 56-57
Tua vida é teu verso: soffreria
essa alma torturada muito mais
do que soffreu no mundo, se a poesia
não a enchesse de alivios celestiaes.
Choraste, mas cantando. Verso e vida
num mar de eterno pranto mergulhaste.
Tudo em teu verso a meditar convida.
Em tua vida, quando soluçaste!
Tua vida era humana, mas divino
teu verso sempre foi; divino, quando
é meia-noite, quando é sol a pino.
Por isso é que choraste, mas cantando.
Teu verso é tua vida: o soffrimento
bem sabes que provém da aspiração,
Homem não ha desta tortura isento.
Quem por sonhar padece, é teu irmão.
A vaidade infinita deste mundo
não mereceu teu genio, que se expande
como o rumor do oceano amargo e fundo.
Tu não foste feliz, mas foste grande.
Um santo numa chóça era tua alma
purissima em teu corpo desditoso:
vinho que as dôres do veneno acalma;
caricia que atormenta e não dá gozo.
Amor e morte, a um tempo só, provaste.
Tua vida foi morte pelo amor,
rosa murcha que cheira e é bella na haste,
cantiga que reflecte dôr, dôr, dôr.
Um dia a lua no céo buscas, e ella
na agua parada e putrida de um poço
banha-se triste, flacida, amarella.
Velho plangeste o que sonhaste moço.
Outróra, a inveja te cravara a espada.
Hoje, não ha quem contra ti a esgrima,
que a cada magua, a cada injuria, a cada
ferida deste o balsamo da rima.
Leopardi, agora que estarás bem perto
de Deus e longe do universo vão,
uma estrophe feliz dirás de certo
a Antéro, Schopenhauer, Salomão…
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Julio, p. 56-57 57
TRADUZIONI/TRADUÇÕES
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1
O INFINITO14
Giacomo Leopardi
Tradução de Aloysio de Castro
Sempre caro me foi o ermo do monte,
Este silvado que, de um lado e de outro,
Me rouba á vista o intermino horizonte.
Mas quando, em devaneio, aqui me sento,
Se me figuram, para além da sebe,
Espaços e silencios sobrehumanos,
A paz… E o coração se me estremece.
Ouvindo o vento que arfa entre os arbustos,
O silencio infinito a este sussuro
Vou comparando: e entrando em mim evoco
A eternidade, as estações passadas,
O presente ruidoso. Assim se afunda
Meu pensamento nesta immensidade,
E neste mar é doce sossobrar-me.
14
In
O
Jornal.
Rio
de
Janeiro,
http://memoria.bn.br/DocReader/110523_03/11091.
24
de
novembro
de
1931.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Castro p. 59-59
O INFINITO15
Giacomo Leopardi
Tradução de Aloysio de Castro
Sempre caro me foi o ermo do morro,
Este silvado que, de um lado e de outro,
Me rouba á vista o intermino horizonte.
Mas quando, em devaneio, aqui me sento.
Se me figuram, para além da sebe,
Espaços e silencios sobrehumanos,
A paz de profundissima quietude,
E com isto o coração se me apavora.
Ouvindo o vento que arfa entre os arbustos,
O silencio infinito a este sussuro
Vou comparando: e entrando em mim evoco
A eternidade, as estações passadas,
O presente ruidoso. Assim se afunda
Meu pensamento nesta immensidade,
E neste mar é doce sossobrar-me.
15
In
Jornal
do
Commercio.
Rio
de
http://memoria.bn.br/DocReader/364568_12/46205.
Janeiro,
01
de
janeiro
de
1937.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Castro p. 60-60
GRACEJO16
Giacomo Leopardi
Tradução de Aloysio de Castro
Quando entrei, sendo moço,
Das Musas no serviço e à disciplina,
Uma dellas, na sua a mão travando-me,
Durante um dia inteiro,
Me levou, companheiro,
Em visita á officina.
Mostrou-me em cada parte
Os instrumentos da arte,
E os empregos diversos
Em que cada um, a talho,
Se adapta no trabalho,
Ou na prosa ou nos versos.
Olhando, eu inquiria:
- Musa, onde a lima? - E deusa, ella dizia:
- A lima se gastou, já não a usamos.
E eu: - Mas de concertal-a
Não cuidas, si de cega tem defeito?
E a Musa: - Ah, tempo houvesse e esta feito!
16
In
Jornal
do
Commercio.
Rio
de
http://memoria.bn.br/DocReader/364568_12/46205.
Janeiro,
01
de
janeiro
de
1937.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Castro p. 61-61
A SI MESMO17
Giacomo Leopardi
Tradução de Aloysio de Castro
Agora e para sempre
Te quetarás, ó coração cançado.
A illusão derradeira, essa que eterna
Me parecia, se finou. Bem sinto
Que dos mais caros sonhos já não vive
Esperança ou desejo.
Repousa, emfim, que muito palpitaste.
Nada merece o teu pulsar e a terra
Não vale os teus suspiros.
Calma-te finalmente. Desespera-te
Pela ultima vez. Morrer é tudo
Que o destino nos deu. E ora a ti meso
Despreza, a natureza, a mão que occulta
Nos guia entre as miserias.
E de todas as cousas
A infinita vaidade.
17
In
Jornal
do
Commercio.
Rio
de
tp://memoria.bn.br/DocReader/364568_12/46205..
Janeiro,
01
de
janeiro
de
1937.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Castro p. 62-62
O PARDAL SOLITÁRIO18
Giacomo Leopardi
Tradução de Aloysio de Castro
18
In
Jornal
do
Commercio.
Rio
de
http://memoria.bn.br/DocReader/364568_12/48825.
Janeiro,
13
de
junho
de
1937.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Castro p. 63-65
De lá, do cimo desta antiga torre,
Solitario pardal, por estes campos,
Vae teu cantar vibrando pela tarde
E estes valles enchendo de harmonia.
Cerca-te a primavera,
Que tambem canta pelos verdes prados,
E ao vel-a o coração é só ternura.
O balir dos rebanhos ouves; mugem
Os bois, e a passarada inquieta
Em mil volteios pelo azul, em bandas,
Festeja a quadra dos melhores dias.
Tu, pensativo, á parte, tudo miras:
Nem socios, nem revoadas.
Que valem alegrias ou brinquedos?
Cantas e assim transcorres
Do anno e da vida em flór o belo tempo.
Ai de mim! Quanto, quanto
Comtigo me pareço! Riso e jogos
Da estação descuidada companheiros.
E tu, amor, irmão da mocidade.
Suspiro acerbo dos provectos annos.
Sem que eu saiba por que - não me sois nada.
Antes vos fujo sempre.
E só e como extranho
Vivo na minha terra.
Cursando a primavera dos meus dias.
Este, que occiduo vae passando á noite.
Costuma ser de festa em nossa aldeia.
Eis, já se escuta o bimbalhar dos sinos.
A cada instante estrondos e estampidos.
Que restrugem além, de casa em casa.
Galantes e enfeitados.
Aqui moços e moças
Vão as ruas enchendo de alegria.
Olham, são vistos e se entrejubilam.
Eu, solitario, fujo
Para a doce quietude deste campo.
E fiquem os recreios
Para outro tempo: emtanto, errando os olhos
No espaço illuminado.
Vejo o sol, lá no longe das montanhas.
Depois de claro dia
Il declinando, como si dissera
Que assim tambem a juventude passa.
Tu, ppassaro solivago, chegando
De tua vida á tarde, entre as estrellas.
Certo, da tua sorte
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Castro p. 63-65 64
Não terás queixa: só da natureza
Teus desejos dependem.
A mim, si não consigo
Sustar á odiada porta
Da velhice meus passos.
Quando meus olhos nada mais disserem.
E o mundo já para elles for vazio.
E o amanhan mais triste do que a vespera.
Que restará de tudo?
Que será deste tempo? De mim mesmo?
Terei de arrepender-me.
Tornado sem consolo ao meu passado.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Castro p. 63-65 65
PARECER E SER19
Giacomo Leopardi
Sem Tradutor
Ninguem é ridiculo, senão quando quer parecer o que não é. O homem do povo,
o ignorante, o rustico, o dóente, o velho não são jámais ridiculos quando se contenttam
de parecer tal qual são e se mantêm dentro dos limites de estabelecidos pelas suas
qualidades, em vez do velho querer parecer jovem, o doente são, o pobre rico, o ignorante
fingir-se de instruido e o rustico de homem da cidade. Os defeitos physicos por mais
graves que fossem, não provocariam senão um riso passageiro, se o homem não se
19
In O Tico-Tico: Jornal das Crianças.
http://memoria.bn.br/DocReader/153079/30582.
Rio
de
Janeiro,
04
de
março
de
1931.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 –p. 66
esforçasse por escondel-os e não quizesse parecer isentos delles, o que quer dizer
differente daquillo que realmente é.
Quem observar bem, verá que os nossos defeitos e pechas não são tão ridiculos,
mas ridiculos são as artimanhas que empregamos para occultal-os e fingir não os ter. E,
geralmente, querer ser o que não somos é algo agradavel ao mundo e só isso basta para
fazer rir insopitavelmente uma infinidade de pessoas que seriam amabilissimas, se nós
nos contentassemos de sermos nós mesmos. Não são sómente as pessoas, mas grupos e
até populações inteiras: eu conheço diversas cidades provincianas, cultas e florescentes
que seriam bastante agradaveis aos visitantes, se não fosse a horrivel imitação que tentam
fazer da capital, querendo parecer o que não são, cidade, capital e não provinciana.
____________________________________________________________________
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 - p.67 67
PENSAMENTOS DE LEOPARDI20
Giacomo Leopardi
Sem nome de Tradutor
A franqueza poderá ser util quando empregada como simples artificio ou quando
seja tão extravagante que ninguem acredite nella
***
Um grande remedio para a maledicencia é o tempo. Se o mundo calumnia nossos
principios e nossas acções, só uma attitude se recommenda: perseverar. O tempo passa, o
thema gasta-se os maldizentes o abandonam para procurar novo assumpto.
20
In Fon-Fon: Semanario Alegre, Politico, Critico e Espusiante. Rio de Janeiro, 19 de novembro de 1932.
http://memoria.bn.br/DocReader/259063/81560.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 –p. 68
O VENDEDOR DE CALENDÁRIOS21
Giacomo Leopardi
Tradução de Celso Vieira
Leopardi, genio italiano do seculo XIX, polyglotta e pessimista, não foi apenas
o tradutor e commentador da antiguidade greco-romana, o poeta das elegias sonoras ou
dos cantos lunares no seu ermo e na sua noite. Compoz vibrantes opusculos moraes,
graciosos dialogos, breves e subtis, como o dialogo do Anno Bom, entre o vendedor de
calendarios e o transeunte-philosopho.
Um dos mais agudos espiritos francezes, Remy de Gourmont, fez a sua
transposição para a intelligencia mais artistica e penetrante da Europa, notando que esse
fruto da Italia, semeado em qualquer tempo, daria o mesmo sabor de novidade aos
leitores. Não é demais transplantal-o, no começo do anno, para o homem ou para o humus
da America do Sul, já denominada, entre os philosophos, continente do terceiro dia da
creação - o dia dos morros, das aguas e das raizes.
21
In A Noite. Rio de Janeiro, 03 de janeiro de 1935. http://memoria.bn.br/DocReader/348970_03/21071.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Vieira, p. 69-71
Eis o dialogo, pequena joia de um grande ouvires, trazendo no engaste o veneno
do pessimismo e da ironia, filtrado magicamente por Leopardi:
Almanaks, almanaks, novos! Calendarios novos! Quer almanaks, senhor?
Almanaks para o novo anno?
Sim senhor.
Pensa que o novo anno será mesmo um Anno Bom?
Certamente, senhor.
Bom como anno findo?
Oh! muito melhor; muito melhor.
Como o penultimo?
Ainda melhor, ainda melhor.
Então, qual o anno parecido com esse? Ficaria contente, se o proximo anno
reproduzisse algum dos anteriores?
Não, senhor, isso não me seria agradavel.
Desde quando vende almanaks?
Ha vinte annos, senhor.
Desejaria a semelhança do anno vindouro com algum delles? Qual?
Eu? Não sei.
Não sabe? Não se lembra de algum anno, que lhe parecesse feliz
Verdade, verdade não me recordo, senhor.
Entretanto, a vida é uma bella coisa, não acha?
Oh! sim.
Gostaria, pois de reviver esses vinte annos ou mesmo todos os annos da
sua existencia?
Assim o creio, meu caro senhor, se Deus o permittisse.
Embora a vida lhe fosse, exactamente, uma repetição da que viveu, nem
mais, nem menos, com as mesmas alegrias, os mesmos tédios?
Oh! isso não, Ora essa...
Que especie de vida, nesse caso, pretenderia você?
Qualquer vida, que me fosse dada por Deus, sem outras condições.
Uma vida ao acaso, sem a minima previsão, como o novo anno?
Justamente.
E’ isso o que toda a gente ambicionaria, se houvesse de reviver. Apenas,
estamos vendo como todos os seres humanos, até hoje, foram maltratados pela Sorte. Na
opinião geral, traduzida com a maior clareza, os males sobrepujam os bens através do
tempo, que se foi. Para tornar ao mesmo caminho, ninguem desejaria nascer outra vez. A
vida feliz não é o presente nem o passado, mas o descohecido; não é a vida preterita, mas
a vida futura. No proximo anno, afinal, o destino vae favorecer-nos, a mim, a você, a todo
o mundo, e seremos todos felizes.
Esperemos.
Deixe-me ver o seu amanak mais bonito.
E’ este. Custa só tres centesimos.
Aqui tem o dinheiro.
Obrigado, senhor, até á vista. Almanaks, almanaks novos! Calendarios
novos!
***
Assim escreveu Leopardi, em 1819; no principio de 1935, porém, teria feição
opposta o dialogo travado á esquina da Sorte, na rua do Ouvidor:
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Vieira, p. 69-71
70
- Pensa que o novo anno será mesmo um Anno Bom?
- Não creio. Talvez um anno soffrivel.
- Como o anno findo?
- Oh! muito menos; muito menos.
- Como o penultimo?
- Oh! ainda menos; ainda menos.
- Então, qual o anno que o senhor gostaria de reviver nos doze mezes ineditos?
- Qualquer dos annos passados e vividos, antes da grande guerra, com todos os
seus dissabores, todas as suas catastrophes. Se hoje ressucitasse, o proprio Leopardi não
concluiria de outra forma o dialogo entre o pessimista da rua e o vendedor de almanaks.
Neste globo desordenado, tantas amcaças ennegrecem o futuro dos homens, que elles
seriam felizes, muito felizes, volvendo ao primeiro anno da era christã. Olhe bem o povir,
as machinas de guerra e as outras machinas, os desempregados e os insubmissos, luta e
flagellos sociaes, em perspectiva. Mas na arvore sombria da vida, mesmo tocada pelo
raio, desabotóa sempre uma flór parasitaria - a esperança.
- De sorte que o reino do Padre Nosso, a fraternidade universal prégada na
radio...
- Tudo isso é para o Anno Bom do terceiro millenio.
______________________________________________________________________
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 – Vieira, p. 69-71
71
PERSEVERAR22
Giacomo Leopardi
Sem nome de Tradutor
Um grande remedio para a maledicencia, como para as dores é o tempo.
Se o mundo condemna nossa idéas ou nossos actos, só podemos fazer uma coisa:
perseverar.
O tempo passa, o thema se gasta e os maldizentes o abandonam em busca de
novo. E, quanto mais firmes e mais impertubaveis nos mostremos em nossa perseverança
para desprezar a opinião alheia, mais depressa o que foi antes condemnado e julgado
absurdo será tido como regular e judicioso, porque o mundo pensa que o que persevera
tem razão e acaba por absolvermos e imitar-nos.
22
In O Malho. Rio de Janeiro, 16 de maio de 1935. http://memoria.bn.br/DocReader/116300/82629.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 –p. 72
DE LEOPARDI23
Giacomo Leopardi
Sem nome de Tradutor
Um grande remedio para a maledicencia, como para as dores é o tempo.
Se o mundo condemna nossa idéas ou nossos actos, só podemos fazer uma coisa:
perseverar.
O tempo passa, o thema se gasta e os maldizentes o abandonam em busca de novo.
E, quanto mais firmes e mais impertubaveis nos mostremos em nossa perseverança para
desprezar a opinião alheia, mais depressa o que foi antes condemnado e julgado absurdo
será tido como regular e judicioso, porque o mundo pensa que o que persevera tem razão
e acaba por absolvermos e imitar-nos.
23
In Beira-Mar. Rio de Janeiro, 31 de outubro de 1936. http://memoria.bn.br/Doceader/067822/5406.
Revista Appunti Leopardiani, 19/2020.1 –p. 73