LA VISIONE MOLTEPLICE
Opere dalla Collezione Costantini
Associazione Gottifredo
La Visione Molteplice
Esposizione delle opere di Arturo Ciacelli provenienti dalla Collezione Costantini
Curatore Giovanni Fontana
Allestimento della Mostra: Progetto Sara Sarandrea
Realizzazione TecnAvan Interiors
Responsabile del Progetto Gott Universe per la realtà virtuale, Valerio Murat
Progetto grafico dell’Analogo Antonio Poce
Foto Giovanni Poce
Organizzazione Coworking Gottifredo - Coordinamento organizzativo Rossella Sgambato
Con il sostegno della Fondazione Terzo Pilastro Internazionale
Iniziativa per cui è stato chiesto il finanziamento della Regione Lazio
Codice ISBN: 979128033710-8
Arturo Ciacelli: la visione molteplice
di Giovanni Fontana
Nella più volte citata lettera al gallerista Giuseppe Sprovieri del 4 settembre del 1913,
Umberto Boccioni sconfessa il fotodinamismo di Anton Giulio Bragaglia, ritenuta una
“presuntuosa inutilità” che, a suo dire, danneggerebbe le “aspirazioni di liberazione dalla
riproduzione schematica o successiva della statica e del moto”1. Nello stesso tempo scrive:
“Ciacelli mi ha lasciato un quadro assolutamente insignificante, inesponibile. Ho pochissima fiducia. Mi pare non veda che il lato più esteriore e sia fuori da qualsiasi verità e serietà”2. I due giovani artisti ciociari sono bollati impietosamente. Giudizio certamente
duro, quello di Boccioni, che sta a dimostrare, però, quanto la concezione del Futurismo
fosse rigidamente legata alla sua visione personale.
In realtà, infatti, quella sconfessione non poteva essere motivata da divergenze di carattere
teorico. Le posizioni bragagliane segnavano alcune differenze con il dinamismo boccioniano, ma non tali da giustificare una scomunica del genere, se non altro perché risultavano complementari, inscrivendosi in una comune concezione dell'immagine:
“movimentismo” bragagliano e “dinamismo” boccioniano erano contigui e non incompatibili. Bragaglia, del resto, aveva ben distinto tra “dinamismo effettivo” e “dinamismo virtuale”, il primo riferito agli “oggetti in evoluzione di moto reale”, il secondo agli “oggetti
in statica”3. E poi c’è soprattutto da considerare il fatto che Bragaglia coglieva in pieno il
quarto punto del Manifesto tecnico della pittura futurista: “il moto e la luce distruggono
la materialità dei corpi”4. anaDiversa la posizione di Ciacelli rispetto all’intransigenza di Boccioni. Nonostante avesse
respirato l’aria del rinnovamento futurista fin dalle prime battute ed avesse avuto, già da
qualche anno, contatti con coloro che saranno i firmatari del Manifesto tecnico della pittura futurista5, alla data della lettera di Boccioni la sua vena creativa era ancora molto legata a stilemi espressionisti e simbolisti, come dimostrano le opere di quel periodo.
Boccioni e Severini lo avevano coinvolto nel 1905 nel “Primo Salone dei Rifiutati”, da
loro organizzato nel foyer del Teatro Nazionale, non accettati alla LXXV Esposizione di
Roma e in pieno dissenso con la “Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti”. Ciacelli,
che vi partecipò con cinque opere, in quel periodo era impegnato per la realizzazione di
sceno19
scenografie al Teatro Argentina di Roma. Vi lavorò dal 1904 al 1907-08 collaborando,
prima con Alessandro Bazzani, legato alla visione tradizionale della scena dipinta, poi con
Duilio Cambellotti, convinto assertore della scenografia architettonica, intervenendo probabilmente anche alla complessa e spettacolare messa in scena de “La Nave” di Gabriele
D’Annunzio, rappresentata l’11 gennaio del 19086. Probabilmente la vicinanza di Cambellotti contribuì decisamente al suo orientamento stilistico in chiave simbolista, senza
considerare poi il fatto che l’ombra di D’Annunzio potrebbe aver contribuito ad influenzare
le sue idee non ancora assicurate ad una decisa visione personale.
Una svolta decisiva nella sua vita è segnata dall’incontro con la pittrice svedese Elsa Ström
[14 febbraio 1876 – 05 dicembre 1952], che sposò il 7 ottobre del 1909. L’evento lo condusse in Svezia nel ‘10, dove l’artista ebbe modo di confrontarsi con una cultura molto
distante da quella mediterranea. Ciò favorì una sua visione internazionalista dell’arte e lo
aiutò a superare le barriere linguistiche. In Svezia espose nelle gallerie Oden di Stoccolma
ed Engelbrekt di Malmö e iniziò a prendere contatti con i maggiori esponenti della cultura
artistica europea.
Nel 1911 Ciacelli soggiorna a Parigi, allora polmone pulsante della sperimentazione artistica; ha modo di conoscere Marc Chagall, i cubisti Fernand Léger e George Braque e frequenta lo studio di Sonia e Robert Delaunay. Stempera le sue visioni simboliste con le
atmosfere cubiste e con quelle simultaneiste. I contatti hanno una funzione tonificante sul
suo modo di operare, tanto che il suo impegno produttivo si amplia notevolmente: all’attività creativa coniuga quella della divulgazione teorica e dell’attenzione al mercato. Nel
1912 tiene la sua prima personale a Lund, nella galleria dell’Università. L’esposizione è
di ampio respiro. Ciacelli propone centodue opere, in buona parte realizzate a Parigi l’anno
prima, e nove oggetti in ceramica che aveva realizzato a Höganäs, città della Svezia meridionale rinomata per le sue fornaci già nell’Ottocento. Uno di questi oggetti, un coccio
glassato al sale datato 1910, è presente nella Collezione Costantini [fig.12]. Si tratta di
un piccolo vaso che reca, su ciascuno di due fronti opposti, un riquadro dal bordo irregolare, in cui si inscrive una coppia di figure femminili in bassorilievo che dichiarano ancora
un forte legame con la tradizione.
La mostra fu riproposta nella galleria Konstfliten di Göteborg, ma anche in Danimarca,
nella galleria Ferlov di Copenaghen, e in Norvegia, nella galleria Blomqvist di Oslo. Sempre
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più aperto alla sperimentazione, esordisce finalmente nel 1913 in chiave futurista a Stoccolma nel Salong Joël (28 marzo-15 aprile; la mostra è poi riproposta alla Galleria Gamla
Högskolam di Göteborg e alla Blomqvist di Oslo), dove compie un’operazione senza dubbio spregiudicata: traduce in svedese e pubblica in catalogo un ampio stralcio del Manifesto
tecnico della pittura futurista, dove aggiunge la sua firma in calce a quelle degli originari
sottoscrittori Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini. Pur non conoscendo finora documentazione di una specifica richiesta per tale iniziativa ai pittori del gruppo futurista, non
si può escludere che Marinetti ne fosse informato. Con questa manovra, Ciacelli intendeva
costruirsi un’immagine di sperimentatore impegnato su quello che in quel momento si
configurava come uno dei fronti più ampi e rivoluzionari dell’avanguardia: un movimento
che guadagnava terreno di giorno in giorno in tutti i settori della cultura e dell’arte e che
godeva del credito di Filippo Tommaso Marinetti, instancabile promotore di iniziative culturali e artistiche e sostenitore di talenti. In questa operazione di autopromozione Ciacelli
presentava ventuno tele e venti pezzi in bianco e nero che illustravano “Così parlò Zarathustra” di Friedrich Nietzsche.
Ma la cosa non fu presa con garbo dal nucleo dei pittori futuristi. Ne è testimonianza la
lettera di Boccioni citata in apertura di questo scritto. Fatto sta, comunque, che nella sua
mostra personale il taglio delle opere di Ciacelli non sia allineato con le tematiche dominanti dell’irrinunciabile partecipazione al dinamismo universale, né con quella sensazione
dinamica “che pone lo spettatore al centro del quadro”, anche attraverso l’uso del mezzo
tecnico del divisionismo come “COMPLEMENTARISMO CONGENITO […] essenziale e
fatale”, nell’intento fondamentale di distruggere la materialità dei corpi attraverso un diverso atteggiamento percettivo del moto e della luce7. L’approccio di Ciacelli invece è
quello di un simultaneismo che getta l’occhio al cubismo, lasciando per lo più irrisolto il
problema della dissoluzione della materialità dei corpi, attuata da Boccioni con frenesia
divisionista di vibrazioni e di luce. Non c’è quel dinamismo plastico che riorganizza le
forme alla ricerca dell’essenza strutturale del tema trattato, tantomeno le tracce movimentiste di Balla o le scie nello spazio di Bragaglia. Qui Ciacelli sovrappone gli elementi
in una visione simultanea da cui scaturisce una sorta di condensazione del tempo: le successive scansioni temporali sono fuse in un unicum secondo una visione spazio-temporale
che si lega chiaramente al cubismo. Oltretutto, nella mostra, le venti tavole ispirate all’opera nietzschiana risentono di una visione decisamente simbolista. Roberto Sanesi, che
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interviene settant’anni dopo su quei disegni nella mostra “Disegni da Classici” allestita
alla Galleria Annunciata di Milano, attribuisce alle ricorrenti “interferenze simboliche”
addirittura l’ingiusto esilio critico sofferto da Ciacelli8. Sulla serie di opere, cinque delle
quali appartengono alla Collezione Costantini e sono esposte in questa mostra, secondo
Sanesi “è possibile che abbia avuto l’influenza profonda (non ancora valutata con precisione) il contatto con la cultura mitteleuropea e nordica, insensibile per il momento alle
sollecitazioni delle nuove avanguardie di cui Ciacelli era comunque un esponente, e che
deve aver agito su di lui, nei diversi soggiorni in Svezia e in Norvegia, più del prevedibile”9.
In realtà, il fatto che Ciacelli si impegni nel pensiero futurista, guardando alle costruzioni
cubiste, subendo il fascino del clima simbolista, senza disdegnare i caratteri della tradizione non denota insicurezza teoretica, bensì da una parte la sua grande curiosità e la voglia di sperimentare in tutte le direzioni, dall’altra la sua vitalità e il suo spirito di libertà
che lo conducono a rifiutare tutto ciò che, in un modo o nell’altro, si lega a regole e convenzioni.
La configurazione delle opere del ciclo di Zarathustra è caratterizzata dalla presenza di
figure simboliche inserite in inquadramenti geometrici: in “Le tre trasformazioni (Von den
drei verwandlungen)” [1912 – fig.15], le lame di luce catalizzano la metamorfosi suggerita
dal testo di Nietzsche, tagliando obliquamente lo spazio e incastonando le figure del cammello che si fa spirito, del leone e del fanciullo10. In “Zarathustra” [1912 – fig.17], invece,
la composizione è organizzata simmetricamente: gli elementi simbolici, tra i quali si affaccia un occhio di sapore martiniano, sono inseriti in una geometria di spade, la più lunga
delle quali segna l’asse di simmetria e fissa l’elsa nel terzo superiore del foglio; analogamente in “Il canto” [1913 – fig.18] la luce scandisce lo spazio con una ripartizione simmetrica, ponendo il fuoco nel terzo superiore; composizione identicamente simmetrica è
“La guerra del popolo” [1912 – fig.16], anch’essa con un fuoco nel terzo superiore. Queste
tre composizioni rispondono ad una scelta strutturale certamente atipica in ambito futurista. Più libera è l’organizzazione di “L’albero e la montagna” [1913 – fig.19], dove le figure subiscono una trasformazione in chiave architettonica. Sarebbe interessante indagare
sulle ragioni della scelta di illustrare l’opera di Nietszche. Non conosco specifici documenti
a riguardo, ma c’è da considerare che il filosofo tedesco fu un solido punto di riferimento
per il pensiero futurista, e, in ogni modo, non è da trascurare la collaborazione tra Ciacelli
e Cambellotti al Teatro Argentina per la realizzazione della scenografia per “La Nave” di
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D’Annunzio, dove la vicenda ruota intorno al personaggio di Marco Gràtico, che incarna
icasticamente lo Übermensch nietzschiano.
Sta di fatto che la volontà di ricerca di un equilibrio personale e il suo spirito libero, per
molti versi troppo disinvolto, rendessero Ciacelli soggetto alle critiche degli stessi compagni
di cordata. Nell’ambito del movimento, ferma restando l’ultima parola del patron Marinetti, una lotta viscerale tra gli adepti era perennemente in atto. Ugo Giannattasio in una
lettera a Gino Severini del 15 novembre 1913 spedita da Parigi fa pettegolezzi sul vernissage del Salon d’Automne e scrive: “Sono stato qualche giorno fa da Ciacelli, ebbene non
avrei mai creduto che un individuo che faceva circolare un catalogo pieno di orrori facesse
oggi delle cose così interessanti – / Mi ha fatto molto piacere vedere i suoi ultimi disegni
che sono pieni di sincerità e di originalità, infine ho dovuto riconoscere che contrariamente
a ciò che credevo, è un giovane pieno di talento – ”11.
Nelle schiere dell’avanguardia il clima è sempre fortemente polemico e il dibattito serrato,
rivolto tanto all’esterno, quanto all’interno. E spesso è motivato solo dalla volontà di difendere la propria posizione di potere. In una lettera di Carlo Carrà del 13 marzo del 1914
a Severini, ripresa anche da Domenico Cammarota in questo catalogo, si legge: “In questi
giorni ho visto Picasso. Ho parlato lungamente con lui – delucidate molte cose e molti
equivoci. Egli è quasi dei nostri se non che egli odia i Ciacelli e i Giannattasio ed altri imbecilli che dicendosi futuristi ci fanno un’antireclame che porta frutti disastrosi per noi
tutti. / Ancora una volta devo dire che la tattica di Marinetti e di Boccioni non va bene affatto – non soltanto essa è negativa circa i valori ma è anche dannosa per noi circa le necessità della vita. Credilo, non è possibile creare delle vere tendenze con dei mediocri. I
mediocri sono sempre dannosi soprattutto alle correnti d’avanguardia. Dobbiamo tener
duro su questo punto se non vogliamo lasciarci trascinare in un merdaio sociale umanitario-sentimentale, che ci porterà fuori dell’arte e ci stroncherà l’esistenza. / Scrivilo anche
tu a Marinetti e Boccioni”12.
Carrà, rivolto a Severini in una successiva lettera del 3 giugno 1914, aggiunge il carico da
undici: “Tu ti lamenti di Giannattasio e di Ciacelli. Devi sapere che tanto io quanto Soffici
e Papini a Parigi li trattammo come si meritavano, tanto che il primo ha sentito il bisogno
di scrivere a Marinetti lamentandosi acerbamente di noi. / Io spiegai tutto a Marinetti; gli
dissi di tutto il male che questi due emeriti coglioni fanno al futurismo”. Ma, proseguendo
nella lettura della missiva, emergono dissensi e dissapori anche nei confronti di Boccioni,
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addirittura accusato di megalomania: “La quistione più grave è il libro di Boccioni che è
a mio parere falso nel suo fondamento e superficiale dal punto di vista pittorico. Che egli
creda di basare la pittura futurista sui suoi tre quadretti «stati d’animo» è più che puerile.
/ Gli dissi a Boccioni tutte queste cose, che cioè, il sub-strato religioso e filosofico del libro
a me ripugna profondamente”13.
E si potrebbe andare avanti a lungo su questi toni, arrivando però alla conclusione che
ogni polemica era principalmente dovuta a giochi di posizione piuttosto che alla qualità e
al senso del lavoro altrui. Ciò è apparso ben evidente a proposito del fotodinamismo bragagliano e per molti versi anche riguardo al lavoro di Ciacelli, che interpretando il futurismo a suo modo in quanto perennemente alla ricerca di una visione personale dell’arte,
rivelava nel tempo la sua visione fondamentalmente molteplice.
Enrico Crispolti, tra i maggiori esperti dell’opera di Ciacelli, sottolinea questa caratteristica: “Non v’è dubbio che Arturo Ciacelli sia stato un irregolare, un geniale irregolare,
come lo fu a suo modo il conterraneo ciociaro A. G. Bragaglia […] E non v’è dubbio che
l’irregolarità di Ciacelli abbia reso in certo modo precario, tuttora, il profilo storico della
sua personalità artistica, come del resto in certa misura i modi stessi del suo fare pittorico”14.
In effetti Ciacelli osserva a 360° ciò che avviene nel mondo dell’arte con attenzione e partecipazione. Nelle sue frequentazioni parigine dei primi anni Dieci è incantato dal Simultaneismo di Sonia e Robert Delaunay, con i quali instaura una grande amicizia e avanza
interessanti progetti, mostrandosi come d’abitudine dinamico e intraprendente, anche se
non sempre riesce a portare a compimento i programmi prospettati. Apollinaire, tuttavia,
prende in simpatia Ciacelli e ne dà testimonianza su “Paris-Journal” del 22 giugno del
191415.
Negli anni che seguirono l’artista intensificò la sua attività di conferenziere. Intervenne a
favore del Futurismo a Stoccolma, Göteborg, Oslo; nel 1915 aprì la “Nya konstgalleriet”,
prima galleria d’arte moderna a Stoccolma e, per promuoverne l’attività, pubblicò la rivista Nykonst, che, però, uscì in un solo numero. Lì organizzò mostre con artisti scandinavi
e con i nomi di punta dell’avanguardia internazionale. Tra questi: Robert Delaunay e Sonia
Delaunay, Kees Van Dongen, Fernand Léger, Ozenfant, Picasso, Kandinski, Diego Rivera,
Severini, e ancora Dufy, Rouault, Vlaminck, ecc. In galleria organizzò anche eventi musicali
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cali e proiezioni di film sperimentali a colori da lui girati. L’interesse per le nuove tecnologie fa di Ciacelli un assoluto pioniere nel settore cinematografico, inteso come linguaggio
visivo, dinamico e astratto, senza riferimento a contenuti narrativi. Oltretutto nei suoi
esperimenti fa uso del colore, all’epoca ottenibile solo con viraggi della pellicola o con interventi applicati direttamente su di essa. I primi ad adottare queste tecniche furono Arnaldo Ginna e Bruno Corra, che realizzarono i loro primi film disegnando sulla pellicola
intorno agli anni dieci. Pertanto, questo aspetto creativo di Ciacelli appare particolarmente
significativo, specialmente se si pensa che le intuizioni e i “ritmi colorati” di Léopold Survage sono del 1912-13, il manifesto “La cinematografia futurista” è del 1916, i primi
esperimenti cinematografici di Bragaglia risalgono allo stesso anno e il suo “Thais” è del
1917. In quel periodo Ciacelli si dedicò molto al cinema sperimentale ponendolo in relazione con altri linguaggi ritmici e tenendo in Scandinavia16 numerose serate, nelle quali
interveniva anche sua moglie che danzava su musiche improvvisate. Nel dicembre del ’15
propose a Robert Delaunay un progetto cinematografico con interventi dal vivo della danzatrice Adorée Villany,17 anticipando le moderne performance multimediali e, nel febbraio
del 1916, organizzò al Paladstheater di Christiania un concerto simultaneista con proiezioni di suoi film che presentò in diverse altre occasioni come “concerti di colore”. È un
vero peccato che questi materiali siano andati dispersi. Della loro esistenza esistono soltanto tracce nelle cronache del tempo.
Naturalmente, non trascurò di dar vita, come era nell’uso marinettiano, alle “serate futuriste”. Nel 1915 è l’animatore di un evento al Grand Hotel di Stoccolma, con musiche,
danze e pubblico mascherato, che si presenta come una prima occasione performativa corale, ma di stampo nordico, perfettamente composta e impeccabile, senza la bagarre tipica
del Teatro Costanzi. Praticamente, la sua infaticabilità lo mette in contatto con tutto il
mondo dell’arte scandinavo, dai giovani artisti a Edward Munch, e gli dà modo di intraprendere, accanto alla sua attività espositiva, quella di mercante d’arte, ma i suoi metodi,
talvolta, non sono consoni alla ineccepibilità nordica, tanto che intorno al ’20 deciderà di
ritornare sui suoi passi.
In questo periodo, denso comunque di fermenti di ogni tipo, s’inserisce il tentativo di un’altra importante operazione artistica e di mercato: quella di innestare un collegamento tra
l’ambiente culturale nordeuropeo e quello della “Corporation Nouvelle”, iniziativa condotta da Sonia e Robert Delaunay con i pittori portoghesi José de Almada-Negreiros, Edu-
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ardo Viana e Amadeo de Souza Cardoso, portatori di una personale visione del futurismo,
in collaborazione con Baranoff-Rossiné, Apollinaire e Blaise Cendrars. L’idea era quella
di diffondere ad ampio raggio, da nord a sud, da est a ovest, un messaggio collettivo per
l’affermazione dell’avanguardia, pur nel rispetto delle ricerche individuali18. Nonostante
i primi positivi passi, l’iniziativa fallì, ma è fuor di dubbio che da un punto di vista genericamente culturale l’impresa dette i suoi frutti.
Nel 1920 Ciacelli cede la Galleria, concludendo con la mostra “Exposition Arturo Ciacelli:
Dance Plastique Simultanée”. Continua ad operare tra Stoccolma, Parigi e Roma, dove
apre le “Grotte dell’Augusteo”, un cabaret letterario decorato da Julius Evola, Ugo Giannattasio e dallo stesso Ciacelli, che vede intervenire le migliori menti di quel periodo: da
Corrado Alvaro a Cardarelli, da Luciano Folgore a Bragaglia, da Alfredo Casella a Gian
Francesco Malipiero. Di quegli anni c’è in questa mostra un originale lavoro a sostegno
dell’impresa di Fiume, realizzato sul bollettino straordinario de “La Vedetta d’Italia” del
28 dicembre 1920 [fig.24]. Di poco successivo è “Olimpiade” [fig.25], la più grande opera
presente nella collezione, realizzata per le Olimpiadi del 1924, dove i cerchi non sono cinque, bensì otto, variamente intrecciati, con molta probabilità per ricordare le otto medaglie
d’oro vinte dall’Italia in quell’occasione.
Nel cuore degli anni Venti Ciacelli svolge attività di decoratore e di scenografo in diverse
occasioni. Nel ‘28 torna ad esporre a Stoccolma in una mostra con sua moglie nella
“Svensk-franska konstgalleriet”, allestisce una personale nella famosa galleria “Der
Sturm” di Berlino e continua a frequentare i più importanti esponenti del mondo dell’arte.
Da una foto scattata a Parigi proprio in quell’anno, ci si può fare un’idea della qualità dei
contatti dell’artista in Europa: attorno a una tavola imbandita è inquadrato un gruppo di
artisti e scrittori, tra i quali si riconoscono, accanto a Ciacelli, Robert e Sonia Delaunay,
Jean Arp, Gustav Kahn, Michel Seuphor, Florence Henri, Piet Mondrian, Wantongerloo,
Theodor Werner, Sophie Tauber.
Ma, nonostante le sue conoscenze internazionali, in Svezia la vita comincia a mostrare
segni di logoramento, tanto che Ciacelli decide di intraprendere nuovi percorsi, anche dal
punto di vista organizzativo, facendo affidamento sull’intraprendenza e sul suo ingegno
di matrice mediterranea. Nel ’30 lascia definitivamente la Svezia per stabilirsi a Parigi,
tiene due personali nella Ville Lumière e partecipa con i pittori futuristi alla Biennale di
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Venezia. Qualche anno più tardi Marinetti scriverà: “Fra le più gelate raffiche dell’ipercritica e del decadentismo egli conservò accuratamente il fuoco mediterraneo colle sue
sprizzanti lezioni di dinamismo di sintesi e di simultaneità”19. Proprio quel calore appare
nel delizioso “Bagnanti sulla sabbia” [acquerello e matita su carta, fig.28], del 1929, incluso in questa mostra.
Collocabili tra gli anni Venti e Trenta, ma senza alcuna documentazione specifica a riguardo, sono presenti nella Collezione Costantini tre straordinari lavori, direttamente provenienti dalla Famiglia Elsa Ström-Ciacelli [fig.10, fig.21, fig.22]. Si tratta di inquietanti
grovigli di elementi architettonici che ci riportano alle visioni angosciose e drammatiche
del ciclo di fotomontaggi “Metropolis” di Paul Citroën [1923] o di certi fotogrammi dell’omonimo film di Fritz Lang [1927] e che sembrano curiosamente preludere ai labirinti
volumetrici delle false assonometrie di Escher: un’ulteriore testimonianza della tortuosità
del linguaggio ciacelliano. Del resto, caratteristici di Ciacelli sono i passaggi da una modalità
ad un’altra e la pratica di forme stilistiche diverse, a prescindere dall’arco temporale in cui
si collocano. Pertanto nella sua produzione è facile osservare una parentesi simbolista in
periodo futurista o un ritorno al figurativo in pieno astrattismo, come accade con “Le maschere” del 1949 [fig.11]: un’occasione di riflessione figurativa nel ciclo astratto.
Il confronto tra la Collezione Costantini e l’intera opera di Ciacelli conferma comunque
una certezza: la versatilità dell’artista, la sua curiosità e, non ultime, le influenze dovute
alle sue assortite frequentazioni e ai suoi continui spostamenti in un continente dove l’omologazione come effetto del progresso è ancora ignoto, spingono l’artista a sentire e a praticare la molteplicità della visione, che, nonostante tutto, predilige la modalità astratta. Ciò
ne fa un antesignano dell’astrattismo e di astrazione parla Filippo Tommaso Marinetti
nella presentazione del catalogo della mostra personale al Circolo del Littorio di Torino
nel 1935. Marinetti, che apre dichiarando l’appartenenza dell’artista “alla prima audace
e intrepida ondata futurista del 1910-11”, sottolinea che “L’astrazione assoluta lo divorò:
con virilità italiana portò sulla tela spesso annebbiata di spiritualismi nichilisti, un balzante
ottimismo triangolato e una fierezza della forza fisica da cui logicamente dovevano scaturire
le fantasie calde sue attuali”20. Era il periodo dell’Aeropittura, di cui Ciacelli fu esponente
di spicco. Lo stesso Marinetti ammirò “fra le sue molte pitture ‘omaggio a Sabaudia’ perché
elettrizzato dalla sua terra nativa, poté riassumere velocemente e fissare plasticamente le
architetture moderne e la frescura abbracciate dai suoi prati neonati” e tiene il discorso
ina
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inaugurale alla mostra personale di aeropitture al salone Dinesen di Roma nel 1935.
Il passaggio tra il primo e il secondo futurismo è rappresentato nella Collezione Costantini
da alcune opere degli anni ’30-40, caratterizzate principalmente da un cromatismo
astratto che predilige le forme fluide. Tra queste è interessante notare come alcuni modelli
compositivi siano ricorrenti nel tempo, anche a distanza di parecchi anni. Ne sono un
esempio le composizioni orizzontali del 1938 [fig.31] e del 1952 [fig.33], che ritroviamo
addirittura fino agli anni ’60 [fig.42 e fig.43, prova d’artista senza titolo del 1965], dove
il tracciato si adatta alla superficie del supporto rettangolare senza alcun tentativo di forzarne i margini. Con questo spirito Ciacelli è un declinatore di modelli astratti che attraverso passaggi, anche legati ad una sorta di purismo rigorosamente bidimensionale [fig.
36], si trova finalmente a suo agio nell’ambito del MAC, il Movimento Arte Concreta che
si distingue dall’astrattismo per l’apertura totale alla forma geometrica, scevra da qualsiasi
riferimento di tipo naturalistico, simbolico o socio-politico. Ciò che il gruppo teorizzava
era la totale adozione di un puro linguaggio delle forme, considerate nella loro concretezza
strutturale e cromatica.
Nel ’37 Ciacelli, a Vienna per una mostra personale al Kunsthandiung, aveva scoperto
nella capitale austriaca un nuovo ambiente tanto confacente al suo stile di vita, da decidere
di restarci. Lì trovò un posto di insegnante nella scuola italiana, decorò l’Italienischen
Kulturinstitut (Istituto Italiano di Cultura) e tenne numerose mostre, finché nel 1952,
direi quasi per una sorta di impulso empatico, si fece parte attiva per organizzare la mostra
del “Movimento d’Arte Concreta” all’Istituto Italiano. Esposero Di Salvatore, Dorfles, Mazzon, Monnet, Munari e Nigro.
Si trattò di un passo che ebbe un elevato valore simbolico perché riattualizzò il messaggio
di Ciacelli e segnò il riconoscimento di valore di un artista che aveva fatto confluire per
gradi la sua esperienza futurista in un astrattismo precoce ben interfacciato, ora, con il
concretismo teorizzato da Gillo Dorfles e da Munari. Del resto questa considerazione è attestata anche dal fatto che lo stesso MAC organizza a Ciacelli una personale a Milano nella
Galleria Annunciata, nella saletta dell’Elicottero. Di tale evento dà una significativa testimonianza Enotrio Mastrolonardo: “La recente Mostra del pittore Arturo Ciacelli all'Elicottero, presentata dal Movimento Arte Concreta di Milano, ha richiamato l'attenzione
del pubblico più intelligente e della critica, su uno degli autentici antesignani dell'Astrat-
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tismo in Italia. Dopo aver preso parte attiva, sin dal 1910, con Boccioni, Balla, Carrà,
Russolo e Severini, alle primissime manifestazioni del Futurismo, Ciacelli si trasferì all'estero. […] Oggi, indubbiamente, si deve guardare ad Arturo Ciacelli come ad uno dei
maggiori pittori astrattisti europei”21.
A ben guardare, il percorso ciacelliano è per molti versi simile a quello di Enrico Prampolini. Basti a tal proposito mettere a confronto alcune opere di Ciacelli con il purismo delle
“Antinomie concrete” [1950] o delle “Tensioni astratte” [1950] di Prampolini. In un periodo in cui ancora non era avvenuto lo “sdoganamento” ufficiale del Futurismo e in cui
l’impegno neorealista appariva dominante, l’Astrattismo si poneva per alcuni autori come
il punto di arrivo di un processo senza scosse, quasi come naturale conseguenza evolutiva.
Il dato, che appare evidente nelle opere citate, è indirettamente segnalato da Mastrolonardo
su “Scena illustrata” con queste parole: “Né vanno dimenticati, fra gli iniziatori dell'Astrattismo in Italia, Giacomo Balla, che fu tra i fondatori del Futurismo; Arturo Ciacelli,
anch'egli tra i primi futuristi e che ormai da molti anni vive a Vienna; Ugo Giannattasio,
che aderì al Futurismo nel 1911; Osvaldo Licini, Lucio Fontana, Mario Radice, Bruno
Munari, M.G. Dal Monte, Luigi Veronesi, Mauro Reggiani”22.
Ma a sottolineare la molteplicità della visione di Arturo Ciacelli, ancora in parte da scoprire
e sicuramente tutta da valorizzare, credo che non ci siano parole migliori di quelle di Enrico Crispolti, un critico che conobbe molto bene la sua opera, sapendone evidenziare l’irregolarità del carattere, ma sottolineandone il relativo pregio: “In effetti l’irregolarità di
Ciacelli non è che un aspetto del suo trasgressivo vitalismo affermativo, che dunque non
accetta l’esito plastico, la costruzione formale come termine di approdo del processo formativo, ma come occasione di una circostanziata, e spesso di volta in volta diversamente
circostanziata, intenzione o addirittura urgenza comunicativa. E in questi termini Ciacelli
può apparire sperimentale, nella fattualità del suo provocare esiti comunicativi attraverso
la figura, travolta emotivamente ma simbolicamente designata, dapprima, o attraverso la
forma tendenzialmente trasgredita, poi, rispetto ad una possibile purezza ideale. In fondo
Ciacelli è un pragmatico dell’immagine come lo è della forma”23.
La peculiare variabilità (e per certi versi, la discontinuità) dell’opera di Ciacelli, ne rendono particolarmente complessa la lettura globale, tanto più che è ancora in parte incompleta la sua conoscenza. Non ci aiuta, inoltre, la ricorrente prassi dell’artista di non datare
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le opere. Quasi la metà dei lavori in mostra è privo di data. Ma certamente questa occorrenza, dovuta alla sinergia dell’avv. Remo Costantini, che da anni si occupa di Ciacelli
con l’idea di valorizzarne l’opera per troppo tempo trascurata nella sua stessa terra d’origine, e l’Associazione Gottifredo, che svolge la sua attività istituzionale all’insegna della
cultura nei suoi molteplici aspetti, potrà costituire finalmente un primo passo per favorire
sul territorio l’interesse per questo artista singolare, auspicando ulteriori occasioni di conoscenza e di studio.
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Archivi del Futurismo, raccolti e ordinati da M. Drudi Gambillo e T. Fiori, Roma-Milano, De Luca-Mondadori,
1986, p. 288.
Ibidem
A. G. Bragaglia, Fotodinamismo futurista, Roma, Nalato Editore, 1913; poi Torino, Einaudi, 1970, p. 13.
U. Boccioni, C, Carrà, L. Russolo, G. Balla, G. Severini, La pittura futurista – Manifesto tecnico, 11 aprile 1910,
in Archivi del Futurismo, cit. p. 67
La pittura futurista – Manifesto tecnico, 11 aprile 1910, cit.
Enciclopedia dello Spettacolo, vol. II, tav. CCX, Roma, Le Maschere, 1954.
La pittura futurista – Manifesto tecnico, 11 aprile 1910, in Archivi, cit. p. 66-67.
R. Sanesi, Arturo Ciacelli – Disegni da “Così parlò Zarathustra”, in Disegni da Classici, a cura di Bruno Grossetti,
Catalogo Galleria Annunciata, anno 43, n.8, Milano, 7 – 26 maggio 1983, sn.
Ibidem
“Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone
fanciullo. Molte cose pesanti vi sono per lo spirito, lo spirito forte e paziente nel quale abita la venerazione: la sua
forza anela verso le cose pesanti, più difficili a portare”. F. W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, trad. di Mazzino
Montinari, Adelphi, Milano 1973.
Archivi, cit., p. 304
Archivi, cit., p. 319.
Archivi, cit., p. 339.
E. Crispolti, Arturo Ciacelli, catalogo Galleria d’Arte Antologia, Monza, 1991, p. 5.
Cfr. D. Cammarota, Arturo Ciacelli, futurista dimenticato, in questo catalogo.
Di questa attività dà conto diffusamente Annika Öhrner nel saggio Delaunay e Estocolmo, incluso nel catalogo
della mostra “Sónia e Robert Delaunay em Portugal e os seus amigos Eduardo Vianna, Amadeo de Souza-Cardoso,
José Pacheco, Almada Negreiros”, Lisboa, Fundação Calouste Gulbenkian, aprile/maggio 1972. La Öhrner si sofferma anche sui rapporti tra Ciacelli e l’artista russo Wladimir Baranoff-Rossiné, presente a Stoccolma nella galleria
del pittore italiano nel 1915. Baranoff-Rossiné fu l’inventore di un pianoforte “optofonico” che attuava relazioni
sinestetiche tra suono e colore. p. 94.
Lettera di A. Ciacelli a R. Delaunay del 12 di dicembre del 1915, cit. in Öhrner, cit. p. 94.
A. Öhrner, Delaunay e Estocolmo, cit. p. 93.
F. T. Marinetti, Arturo Ciacelli, presentazione in catalogo, Circolo Littorio, Torino, stampa A. Kluc, 1935.
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21 E. Mastrolonardo, Gallerie milanesi. Galleria dell'Elicottero, in «Glauco», ottobre 1951.
22 E. Mastrolonardo, La pittura non figurativa in Italia, in «Scena illustrata», aprile 1958.
23 E. Crispolti, cit. p.6.
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