ARGAN E L’INSEGNAMENTO UNIVERSITARIO
GLI ANNI PALERMITANI 1955-1959
Atti del Convegno nazionale di studi
Palermo, Palazzo Chiaromonte (Steri) - Venerdì 28 gennaio 2011
a cura di
Maria Concetta Di Natale e Mariny Guttilla
“plumelia”
edizioni
ARGAN E L’INSEGNAMENTO UNIVERSITARIO
GLI ANNI PALERMITANI 1955-1959
ATTI DEL CONVEGNO NAZIONALE DI STUDI
Supplemento al n. 7 di OADI - Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia
a cura di
Maria Concetta Di Natale e Mariny Guttilla
Coordinamento tecnico-scientifico
Sergio Intorre
© 2013 Plumelia Edizioni
Stampa e allestimento
Officine tipografiche
Aiello & Provenzano - Bagheria (Palermo)
Argan e l’insegnamento universitario: gli anni palermitani 1955-1959 :
atti del Convegno nazionale di studi, Palermo, Steri, 28 gennaio 2011 / a cura
di Maria Concetta Di Natale e Mariny Guttilla. - Bagheria : Plumelia, 2013.
ISBN 978-88-89876-53-4
1. Argan, Giulio Carlo – Attività [:] Insegnamento universitario – Palermo –
1955-1959 – Atti di convegno.
I. Di Natale, Maria Concetta.
II. Guttilla, Mariny.
709.2 CDD-22
SBN Pal0257524
CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”
ARGAN E GIACOMO SERPOTTA
Pierfrancesco Palazzotto
Il mio breve contributo quest’oggi intende mettere in evidenza il rapporto tra il
critico e docente Giulio Carlo Argan, a Palermo dal 1956 al 1959, e uno dei principali artisti che la Sicilia abbia mai espresso: Giacomo Serpotta, nato a Palermo nel
1656 e morto nel 17321.
Come hanno ricordato Mariny Guttilla e Simonetta La Barbera, lo studioso durante i suoi pochi anni di docenza palermitana ebbe come obiettivo, oltre che l’aprire
gli studenti di Palermo al panorama artistico nazionale ed internazionale, come accennato da Vincenzo Abbate, anche quello di contribuire all’approfondimento di fenomeni e di artisti di fama locale che, però, non avevano ancora avuto una sufficiente
diffusione letteraria, o per mancanza di comunicazione o per insussistenza di qualità artistiche adeguate per confrontarsi nel panorama nazionale o internazionale o
che, più probabilmente, meritavano un’interpretazione di maggior respiro.
Ma facciamo un passo indietro in modo da verificare quale fosse lo stato della critica su Serpotta prima dell’intervento arganiano.
1
Su Serpotta cfr. D. Garstang, Giacomo Serpotta e i serpottiani stuccatori a Palermo 1656-1790, Palermo 2006,
con bibliografia precedente; M.G. Paolini, Giacomo Serpotta, Palermo 1983; T. Fittipaldi, Contributo allo studio di Giacomo Serpotta. Opere inedite e rapporti culturali, in “Napoli Nobilissima. Rivista di Arti Figurative, Archeologia e Urbanistica”, vol. 16, 1977, pp. 81-116, 125-143; G. Carandente, Giacomo Serpotta, Torino 1966;
e più di recente: P. Palazzotto, Gli oratori e le chiese di Giacomo Serpotta, in Palermo. Specchio di Civiltà, Collana
“I luoghi dell’Arte” diretta da G. Puglisi, Roma 2008, pp. 113-120; Itinerari dei Beni Culturali. Giacomo Serpotta e la sua scuola, a cura di G. Favara e E. Mauro, Palermo 2009; P. Palazzotto, Les confréries commanditaires
et le stucs de Giacomo Serpotta dans les églises et oratoires de Palerme, in Les confréries de Corse. Una société idéale
en Méditerranée, catalogo della mostra (Musée Regional d’Anthropologie, Citadelle de Corte, 11 luglio - 30 dicembre 2010), Citadelle de Corte 2010, pp. 411-427; P. Palazzotto, Giacomo Serpotta e la compagnia dell’orazione della morte in Sant’Orsola, in P. Palazzotto, M. Sebastianelli, Giacomo Serpotta nella chiesa di Sant’Orsola
di Palermo. Studi e Restauro, Palermo 2011, pp. 15-47.
128
SOMMARIO
INTRODUZIONI
Roberto Lagalla
Mario Giacomarra
Maria Concetta Di Natale e Mariny Guttilla
RICORDANDO ARGAN
Maurizio Calvesi - In ricordo del Maestro
Maria Grazia Paolini - Percorso siciliano
Augusta Monferini - Argan e la mia giovinezza
ARGAN A PALERMO
Mariny Guttilla - Il magistero palermitano (1955-1959)
Claudio Gamba - «Palermo come Parigi»: la sfida del progetto didattico
in una terra di frontiera
ARGAN E LA STORIA DELL’ARTE
Antonino Buttitta - Una lezione da non dimenticare
Maria Concetta Di Natale - Le arti decorative in Sicilia negli anni di Argan
Simonetta La Barbera - Breve profilo degli studi di Storia dell’arte in Sicilia
negli anni Cinquanta
Maria Giulia Aurigemma - “Geografia” dell’arte e “periodi” dell’arte
secondo Argan
Alessandro Zuccari - La rivista “Storia dell’arte” fondata da Giulio Carlo Argan
Pierfrancesco Palazzotto - Argan e Giacomo Serpotta
Vincenzo Abbate - Argan e Palazzo Abatellis
Davide Lacagnina - Argan/Consagra: un “colloquio” interrotto
Pierfrancesco Palazzotto - Argan e giacomo Serpotta
Ho avuto modo di sviscerare l’argomento in occasione del convegno dedicato a
Maria Accascina, curato da Maria Concetta Di Natale e svoltosi nel 2006, nei cui
atti presi in rassegna la letteratura artistica sullo scultore palermitano a partire dalla
fine del XVIII secolo fino al fondamentale contributo dello studioso locale Filippo
Meli nel 19342. Questi espresse una ricerca di stampo documentario ma venata di
una matrice retorica piuttosto interferente rispetto ad un’auspicabile imparziale esposizione dei fatti3.
Ciò che mi colpì, e con cui conclusi, era il silenzio che sembrava calato sull’opera
dello scultore palermitano dopo il testo di Meli (tranne qualche piccolo contributo
locale), come se si ritenesse ormai che non vi fosse più nulla da aggiungere in seguito
alla monumentale esposizione documentaria del canonico palermitano. Altra ipotesi
era che vi fosse come un veto ad occuparsene, cosa che, avendo inquadrato un po’
la psicologia del personaggio Meli, potrebbe non stupire. D’altronde si giustificava
in questo modo la davvero inspiegabile assenza di un significativo apporto della poliedrica Maria Accascina4.
Oltre il perimetro locale, infatti, solamente nel 1957, oltre 20 anni dopo il testo
di Meli, sarebbe stato Argan con un breve quanto esemplare saggio a riportare luce
e a togliere metaforicamente la polvere da quegli stucchi, scegliendo come sede una
rivista nazionale: “Il Veltro. Rassegna di vita italiana”.
Il periodico, con uscita mensile, fu fondato proprio quell’anno a Roma come
insieme di pagine culturali della Società Dante Alighieri sotto la presidenza di
Aldo Ferrabino e con Vincenzo Cappelletti come direttore responsabile. Il motto
presente nei primi numeri («Far conoscere l’Italia e farla amare») dà il senso della
rivista, che si poneva sin dall’inizio come agorà intellettuale in cui riversare brani
di cultura nazionale al fine di far emergere una specifica italianità nei vari campi
culturali di cui si dava conto. Ciò era perseguito tramite la collaborazione sempre
più intensa di studiosi esperti nei singoli settori trattati, su cui però dominava la
letteratura. Inoltre suo obiettivo era mostrare il sistema di relazioni tra la cultura
italiana e quella di altri paesi, per mettere in maggior evidenza il ruolo della prima
rispetto alle altre.
2
F. Meli, Giacomo Serpotta. Volume secondo. La vita e le opere, Palermo 1934.
P. Palazzotto, Giacomo Serpotta nella letteratura artistica, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza a confronto con il dibattito nazionale, Atti del convegno internazionale di studi in onore di Maria Accascina (Palermo - Erice, 14-17 giugno 2006), a cura di M.C. Di Natale, Caltanissetta 2007, pp. 204-218.
4
L’Accascina si occupò di Serpotta solamente in un breve articolo sul “Giornale di Sicilia” nel 1938, sorprendentemente ridimensionandone la portata artistica rispetto al contesto locale, forse in ragione di contrasti personali con l’Abate Meli; cfr. P. Palazzotto, Giacomo Serpotta nella letteratura…, 2007, p. 204.
3
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Argan e l’insegnamento universitario - Gli anni palermitani 1955-1959
Da una scorta che si è potuto operare nella collezione frammentaria conservata
a Palermo all’interno della Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia (mentre non
risultano copie nelle altre biblioteche palermitane), si evince la struttura della rivista organizzata in tre principali sezioni: «Letteratura classica e nuova» (che vide la collaborazione di nomi della caratura di Aldo Palazzeschi, Mario Praz, Giuseppe
Ungaretti, per citarne solo alcuni); quindi «Arte Musica e teatro» e infine «Storia e
vita d’Italia».
La sezione artistica non appare costantemente presente e talora è riassunta da un
paragrafo dal titolo «Cronache d’arte» di cui spesso si occupa Giuseppe Sciortino con
recensioni di pubblicazioni o mostre in corso. L’interesse che affiora dalla rassegna,
che abbiamo preso in esame fino al 1961, è spesso rivolto all’arte contemporanea,
ribadendo, però, che l’indagine non è al momento completa.
Cito, ad esempio, gli articoli di Alberto Martini su La pittura americana alla
Biennale di Venezia (n. 3-4, 1957) e su la mostra di Modigliani (n. 12, 1958), e di
Umberto Apollonio, su la Funzione della Biennale di Venezia (nn. 6-7, 1958), o la
recensione su Braque a Palazzo Barberini (n. 1, 1959). Oltre a questi, però, affiorano
anche altri ambiti più antichi, come quello medievale con Carlo Bertelli (Italia e
Bisanzio, n. 12, 1958), e di diverso genere, quale, ad esempio, l’Arte popolare italiana,
descritta da Paolo Toschi, dove viene citata anche la Sicilia. L’isola si impone prepotentemente anche nell’articolo di Luciano Laurenzi, ordinario di archeologia a Bologna che inizia la collaborazione con “Il Veltro” nel 1961 e che scrive un articolo
dal titolo Sicilia Archeologica, di ben 12 pagine (la media usuale era di 4), in cui si
descrive lo stato delle innovative ricerche archeologiche nell’isola per merito, a suo
dire, della disponibilità della Cassa del Mezzogiorno e dell’impegno dei tre «attivi ed
esperti soprintendenti del dopoguerra»5.
In precedenza (n. 12, 1958) un altro squarcio sull’isola era stato aperto probabilmente da Giuseppe Sciortino, anche se l’articolo non è firmato in calce, con la recensione su la mostra Arte sacra Bizantina, che raccoglieva le icone di Piana degli
Albanesi a cura dell’associazione cattolica italiana.
Il saggio di Argan dal titolo Il teatro plastico di Giacomo Serpotta fu pubblicato nel
settimo numero della rivista e aprì, quindi, la stura a quelli che abbiamo citato e a
un probabile rinnovato interesse per l’arte siciliana come parte qualificante dell’arte
della nazione6.
5
“Il Veltro. Rassegna di vita italiana”, nn. 11-12, novembre-dicembre 1961.
G.C. Argan, Il teatro plastico di Giacomo Serpotta, in “Il Veltro. Rassegna di vita italiana”, a. 1, n. 7, ottobre
1957, pp. 29-33.
6
130
Pierfrancesco Palazzotto - Argan e giacomo Serpotta
Fin dall’incipit lo studioso rilevava come il fatto che Serpotta non avesse mai lavorato fuori dai confini isolani ne avesse ridotto la portata ad «una gloria, se non soltanto una curiosità siciliana», mentre auspicava che l’occasione del tricentenario
dalla nascita, pur superato e senza particolari clamori o celebrazioni, fosse l’occasione, e cito, per «restituire al Serpotta il posto di primissimo rango, che gli compete,
tra gli scultori europei del Settecento»7.
Questa è dunque la finalità dell’articolo, una ricollocazione dell’artista che
negli ultimi anni era stato riconfinato in ambito regionale, nonostante al principio del secolo le premesse per una sua sprovincializzazione ci fossero tutte, come
si evince dai saggi su riviste nazionali di sicura rinomanza ed eco: “Emporium”
con Raffaele Scala Enrico nel 19008, “L’Arte” con Enrico Mauceri l’anno seguente9, la “Nuova Antologia” con Vincenzo Pitini sempre nel 190910. Inoltre, nel
1911 se ne era occupato persino Corrado Ricci con una premessa al lavoro di
Ernesto Basile11.
Argan proseguiva stigmatizzando che gli unici tentativi fatti fino ad allora per
conferire all’artista una «portata più che locale» fossero stati indirizzati verso erronee
e comunque non utili conclusioni: l’una sostenendo che la sua formazione si fosse
svolta a Roma nella cerchia del Bernini, l’altra, all’opposto che la sua educazione
fosse tutta siciliana e semmai rivolta alla cultura ellenistica.
Con questo assunto Argan dimostrava di essersi ben documentato, perché nel
primo caso, senza citarli, contrastava sostanzialmente Enrico Mauceri, che per giustificare la distanza tra Serpotta e il contesto in cui era vissuto, riteneva imprescindibile il dibattuto viaggio a Roma; allo stesso tempo Argan rigettava le ipotesi di
Corrado Ricci, che pure aveva per primo valutato nella lontananza geografica del Serpotta la causa della sua non sufficiente fama, ma anche che si potesse ipotizzare un
7
G.C. Argan, Il teatro plastico…, 1957, p. 29.
R. Scala Enrico, Arte retrospettiva: gli stucchi di Giacomo Serpotta e i dipinti dell’oratorio del S. Rosario, in “Emporium. Rivista mensile illustrata d’Arte, Letteratura, Scienze e Varietà”, vol. XII, fasc. 67, luglio 1900, pp. 39-47.
9
E. Mauceri, Giacomo Serpotta, in “L’Arte. Periodico di Storia dell’Arte Medievale e Moderna e d’Arte Decorativa”, a. IV, Roma 1901, pp. 86-88, ed ancora il breve box: Idem, Stucchi serpotteschi inediti (A proposito di un
articolo su Giacomo Serpotta), in “Rassegna d’Arte”, a. IX, 1909, p. 75. Sull’argomento cfr. anche F. Abbate,
Mauceri interprete di Serpotta, in Enrico Mauceri (1869-1966) Storico dell’Arte tra connoisseurship e conservazione, Atti del Convegno internazionale di studi (Palermo 2007), a cura di S. La Barbera, Palermo 2009, pp.
157-159.
10
V. Pitini, L’arte di Giacomo Serpotta, in “Nuova Antologia. Rivista di Lettere, Scienze ed Arti”, a. 44, fasc. 889,
gennaio 1909, pp. 37-62.
11
C. Ricci, Prefazione, in Le sculture e gli stucchi di Giacomo Serpotta, a cura di R. Lentini, con testo di E. Basile, Torino 1911. Ripubblicato in C. Ricci, Figure e Fantasmi, Milano 1931, pp. 201-209.
8
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Argan e l’insegnamento universitario - Gli anni palermitani 1955-1959
apprendistato dell’artista non solo genericamente a Roma ma precisamente nella
bottega del Raggi12.
Nel secondo caso la nota era rivolta invece a Meli che inizialmente aveva accolto
l’ipotesi di Ricci, nel 1925, mentre nel volume conclusivo del 1934, e più importante, se ne era del tutto opposto polemicamente con l’intento di ancorare Serpotta
alla Sicilia. Questi nella sua ricostruzione diveniva un genio isolato e debitore non
tanto verso i modelli romani ma proprio verso quelli di cui la Sicilia era ricco bacino,
cioè l’arte greca. Con ciò conferiva all’artista un carattere nazionalistico e lo sganciava
dal cosiddetto cattivo barocco, ovvero ritenuto tale all’epoca, cioè il cosiddetto “berninismo”13.
Argan risolveva la questione ribadendo che chiaramente Serpotta si doveva essere
formato nell’ambito della tradizionale tecnica locale della decorazione in stucco,
unitamente, però, ad un formidabile ed imponderabile catalogo di immagini cui
l’artista attingeva, tra le quali vi erano certo anche le sculture ellenistiche, ma non
solo, come se il suo sguardo vi si soffermasse in maniera apparentemente casuale14.
Opportunamente, quindi, Donald Garstang lo avrebbe definito una «gazza ladra»15.
Questo perché, per Argan (e qui risiede lo scatto critico dello studioso) Serpotta non
badava tanto alle singole figure da lui plasticamente riprodotte, esse erano solo, e
cito: «marionette e fantocci (…), la sua arte, più che un’invenzione di forme statuarie, è un’agile e brillante regia»16.
E qui si chiudeva l’approccio storico all’opera dello scultore. Dopo la prima pagina Argan prende il volo e non si preoccupa di attribuzioni, ricostruzioni, documenti; di tutto ciò che aveva assillato chi lo aveva preceduto. Per lui in quella sede
non è evidentemente di alcun interesse. Offre invece una lettura del tutto nuova,
davvero alta e suggestiva, che pone in rapporto gli apparati serpottiani con il teatro,
e tende a dimostrare la grandezza del nostro stuccatore in quanto regista ma anche
compositore di opere corali.
Per prima cosa precisa la distanza tra la scultura barocca, che ha il culto dell’eroe,
e il rilievo di Serpotta che traduce in tridimensione esclusivamente personaggi che
12
P. Palazzotto, Giacomo Serpotta…, 2007, pp. 213, 215.
P. Palazzotto, Giacomo Serpotta…, 2007, pp. 215-216.
14
Sulle fonti iconografiche cfr. G. Cosmo, Giacomo Serpotta, Prassitele e la formazione romana, in “Commentari d’Arte. Rivista di Critica e Storia dell’Arte”, a. II, n. 4, gennaio-aprile 1997, pp. 48-55; D. Garstang, Giacomo Serpotta…, 2006, passim; P. Palazzotto, Fonti, modelli e codici compositivi nell’opera di Giacomo Serpotta, in
Itinerari dei Beni Culturali…, 2009, pp. 41-44, con bibliografia precedente e Idem, Giacomo Serpotta…, 2011,
pp. 30-32.
15
D. Garstang, Giacomo Serpotta…, 2006, p. 54.
16
G.C. Argan, Il teatro plastico…, 1957, p. 29.
13
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Pierfrancesco Palazzotto - Argan e giacomo Serpotta
però non godono di vita autonoma, ma solamente in funzione della recita in corso.
Essi, dunque, non sono portatori in solitudine di un concetto che si traduce in un
gesto e movimento del corpo. Ciononostante qualche scultura isolata, come i giovinetti sotto la Battaglia di Lepanto al Rosario in Santa Cita, sembra contraddire
l’assolutezza di questa asserzione. Inoltre, più avanti, rileverà un’altra distanza rispetto alla pratica barocca, ovvero l’usare la luce per dar senso aggiuntivo alla forma,
cioè la creazione di espedienti tecnico-luministici per effetti speciali e scenografici,
come diremmo oggi. In Serpotta la luce è invece del tutto convenzionale, entra dalle
numerose aperture ed è la plastica che dà piuttosto forma alla luce, intercettandola
e dandole consistenza fisica, con una variabilità che nasce dal naturale scorrere delle
ore e declinare della luce stessa17.
Argan ritiene che: «forse la trovata più geniale del Serpotta è proprio di aver saputo fissare le condizioni temporali della visione»18. Con questo intende dire che
tutto sembra arrestarsi solo per un breve momento in cui ogni immagine si sovrappone ad un’altra, entra in qualche modo in scena e si blocca in equilibrio instabile
senza dare il tempo di essere memorizzata appieno da chi assiste alla rappresentazione, in quanto un’altra vi subentra e vi si sovrappone, ciclicamente. Potremmo
forse visualizzare questa figurazione con le rappresentazioni animate di silhouette
messe in movimento sul palcoscenico per creare effetti ottici illusori, di sicura sensazione e incanto per l’epoca.
In effetti non possiamo che confermare che il serrato ritmo delle articolazioni plastiche contribuisce a questo flusso, sicuramente più intenso dalle prime opere (come
nell’oratorio del Rosario in S. Cita) e minore mano a mano che la produzione serpottiana si fa meno frenetica (come in ultimo nell’oratorio del Rosario in S. Domenico).
Ma un’altra osservazione lungimirante di Argan è il ribaltamento della veduta
prospettica negli oratori. Questi, infatti, chiarisce bene il funzionamento prospettico
dei rilievi gaginiani della Tribuna della Cattedrale di Palermo, già da tempo acclarati modelli dei teatrini serpottiani19, ovvero evoluzione tridimensionale dello stiacciato, ma adattata in funzione delle necessità di percezione, non quindi come
giustapposizione di statuine a mo’ di presepe, ma come bilanciato accordarsi di figure con le necessarie deformazioni.
17
G.C. Argan, Il teatro plastico…, 1957, p. 33.
G.C. Argan, Il teatro plastico…, 1957, p. 30.
19
Che Serpotta guardasse ad Antonello Gagini è già accennato in Sopra Anna Fortino. Lettera di Annetta Turriti Colonna a Niccolò suo fratello, in “Effemeridi Scientifiche e Letterarie per la Sicilia”, tomo XXIII, a. VI, Palermo 1838, p. 37.
18
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Argan e l’insegnamento universitario - Gli anni palermitani 1955-1959
Con Serpotta, scrive Argan, «l’espediente tecnico… [si] trasforma in un processo
di figurazione»20. Se da un lato i teatrini si aprono come una vista a cannocchiale di
un qualcosa di atemporale, facilmente riconoscibile perché acquisito, in pratica storia, quindi distante nello spazio e asettico, gli altri rilievi che vi si distendono intorno
sono come fuorusciti dal medesimo spazio, anzi è la parete stessa con le membrature
architettonico-decorative a fungere da fondale scenico su cui si stagliano e in cui si
fondono i putti e le allegorie. In pratica l’intera parete diviene un grande teatrino di
cui, considerando la scatola dimensionale, anche le pareti adiacenti e il soffitto e il
pavimento dell’oratorio sono parte integrante. Quindi ne discende inevitabilmente
che noi stessi ne rimaniamo compresi. Scrive ancora Argan: «ciò che scompare, dunque, è il piano immaginario, il diaframma diafano ma sensibile, che nelle figurazioni gaginesche separava, appunto lo spazio della comune esperienza da quello della
scena»21. Ciò aiutava a comprendere in Gagini lo scarto dimensionale fra i teatrini
e le statue che li sormontavano, i cui rapporti erano solo di natura narrativa. Con
Serpotta invece vi è una totale continuità spaziale e di rappresentazione.
Da qui però nasce una considerazione consequenziale o causale, che però meriterà ulteriori approfondimenti. Mi riferisco al punto di vista unico rimarcato da
Argan come elemento imprescindibile delle sculture in quanto replica delle stesse
condizioni di veduta della pittura, che sarebbe poi, posso immaginare, quello che
avrebbe lo spettatore posto davanti ad un teatrino a grandezza naturale22. L’ipotesi
giustificherebbe una relativa incompletezza di talune figure, secondo le considerazioni di Argan, come emerse di botto da uno spazio ridotto, “esploso”, per usare un
termine moderno. In realtà, ad una osservazione attenta e ripetuta, gli spazi serpottiani sembrano piuttosto studiati per essere osservati certamente da punti di vista privilegiati, ma questi appaiono molteplici anche per una singola parete. Lo spunto di
Argan può però far rivalutare queste come eccezioni significanti di matrice concettuale, e quindi da studiare con ancora maggiore attenzione.
Il tutto si riassume infine in quello che annuncia il titolo del saggio, un teatro plastico, in cui vi è il cantato dei solisti, i teatrini come recitato, e gli elementi di raccordo, quali i putti insieme alle altre decorazioni, come una coreografia danzata23.
D’altro canto, a dimostrazione di un reale e consapevole intendimento in questo
senso sono le più recenti scoperte, ovvero l’aver rilevato che sia in San Lorenzo che
20
G.C. Argan, Il teatro plastico…, 1957, p. 31.
G.C. Argan, Il teatro plastico…, 1957, pp. 31-32.
22
G.C. Argan, Il teatro plastico…, 1957, p. 30.
23
G.C. Argan, Il teatro plastico…, 1957, p. 32.
21
134
Pierfrancesco Palazzotto - Argan e giacomo Serpotta
nel Rosario in San Domenico siano stati modellati dei mascheroni accoppiati, l’uno
sorridente l’altro corrucciato, evidente rimando alla commedia e al dramma, dunque al teatro nel suo complesso. Per altro nel Rosario in San Domenico il palcoscenico con la Vergine del Rosario di Van Dyck, quale protagonista della scena, è
palesemente denunciato dai putti alla base dell’arco di trionfo che aprono il sipario
e dalle figurine che seguono lo spettacolo sporgendosi dalla balaustrata del cupolino presbiteriale (come da un palco di proscenio), tra le quali si autoritrae con il figlio24. I sipari sono pure presenti a San Lorenzo in ogni teatrino e lì vengono
palesemente scostati “alla romana” ancora da putti che osservano le scene contestualmente al visitatore, come in una ripetizione ad infinitum25.
Tanti altri sono gli spunti di questo fittissimo testo che per brevità non trattiamo
in questo momento. Inoltre, se non possono tutti essere condivisi a fondo, certo
mostrano una densità di visione davvero straordinaria, e tanti canali di ricerca da
esplorare. Uno di questi è l’adombrare che nelle opere non vi sia intento moralistico
o contenuto ideologico e che quindi il risultato sia oggetto solo di virtuosismo tecnico di profonda ispirazione. In realtà, come si è oggi verificato, gli apparati di Serpotta sono intessuti di complessi allusioni e significati teologici, frutto della certa
collaborazione di teologi tra la committenza. Ciononostante, la sua grandezza risiede proprio nella leggerezza con cui le forme celano quei significati senza esserne
mortificate26.
L’attenzione di Argan non si sarebbe esaurita con l’articolo di cui abbiamo detto,
ma nell’anno accademico 1957/58 egli fu relatore di una tesi di laurea dal titolo
Giacomo Serpotta, affidata a Egle Mignosi, figlia del restauratore-scultore Filippo
24
P. Palazzotto, Palermo. Guida agli oratori. Confraternite, compagnie e congregazioni dal XVI al XIX secolo,
premessa di D. Garstang, Palermo 2004, p. 57.
25
Le maschere nell’oratorio di San Lorenzo si trovano sia nell’intradosso dell’arco di trionfo che intarsiate sul
piano dei sedili dei confrati, nell’oratorio di San Domenico sono all’interno dei capitelli di parasta dell’arco di
trionfo; cfr. P. Palazzotto, Palermo. Guida…, 2004; Idem, Giacomo Serpotta…, 2007, p. 211. Sulla “teatralità”
dell’oratorio del Rosario in San Domenico cfr. Idem, I “ricchi arredi” e le preziose dipinture dell’oratorio del Rosario in San Domenico della Compagnia dei Sacchi, in P. Palazzotto, C. Scordato, L’Oratorio del Rosario in San
Domenico, pp. 49-51.
26
Sulle interpretazioni di alcuni apparati iconografici del Serpotta o del figlio Procopio, cfr. P. Palazzotto, Giacomo Serpotta…, 2011, pp. 34-45; Itinerari dei Beni Culturali. Giacomo Serpotta…, 2009, passim; P. Palazzotto,
Fonti, modelli…, 2009, pp. 46-48 (con bibl. precedente); D. Garstang, Giacomo Serpotta…, 2006, passim; P. Palazzotto, Una proposta interpretativa per l’iconografia dell’oratorio della compagnia dell’Immacolatella di Palermo,
in La Sicilia e l’Immacolata. Non solo 150 anni, atti del convegno di studi a cura di D. Ciccarelli e M.D. Valenza,
Palermo 2006, pp. 337-357; P. Palazzotto, Palermo. Guida…, 2004, pp. 192-194; 220-221; P. Palazzotto, C.
Scordato, L’Oratorio…, 2002; G. Pecoraro, P. Palazzotto, C. Scordato, Oratorio del Rosario in S. Zita, Palermo
1999; T. Fittipaldi, Contributo allo studio…, 1977, passim; G. Carandente, Giacomo…, 1966, passim; G. Meli,
Giacomo…, 1934, pp. 67-75.
135
Argan e l’insegnamento universitario - Gli anni palermitani 1955-1959
che dopo la guerra recuperò e integrò molti degli stucchi serpottiani, soprattutto
nell’oratorio di San Lorenzo27.
Dalla lettura della tesi che ho fatto in questa occasione emerge in maniera evidente tra le righe dell’allieva la linea di ricerca del maestro e, non entrando in questa sede nel merito dei contenuti, cui ha fatto cenno Mariny Guttilla, posso solo
dire che l’ottima scrittura del testo supporta una qualità di argomentazioni davvero
straordinaria e in gran parte tuttora valida.
Venti anni dopo, a Roma, il maestro sarebbe ritornato sui suoi passi con una tesi
assegnata nell’A.A. 1977/1978 dal titolo proprio Il teatro plastico di Giacomo Serpotta.
D’altronde il consolidarsi dell’attenzione dello studioso sullo scultore palermitano
sarebbe sfociato, in occasione della riedizione nel 1988 del terzo volume della Storia dell’Arte Italiana, nell’inserimento di una lunga citazione (unico artista siciliano
oltre Antonello), in cui Serpotta è definito «l’episodio più brillante della scultura
settecentesca» e, ancora, «il più felice improvvisatore della scultura del Settecento»28.
La medesima espressione era maturata già nel 1957, spiegando che si trattava di una
finta improvvisazione quale «necessità stilistica», favorita dall’uso del morbido stucco,
dunque in realtà un ben ponderato «virtuosismo sotto un’apparente spontaneità». Allora concludeva l’articolo con queste parole: Serpotta «è forse il primo a mostrare di
quanto le possibilità della fantasia oltrepassino quelle dell’immaginazione»29. Possiamo dunque concludere che le sue affermazioni dopo cinquant’anni riescono ancora fonte di insegnamento e di riflessione.
27
P. Palazzotto, Palermo. Guida…, 2004, p. 191.
G.C. Argan, Storia dell’Arte italiana, vol. 3, Firenze 1988, pp. 393-395. Pare inoltre che sul finire della vita
stesse lavorando ad una monografia sull’artista, cfr. C. Gamba, infra.
29
G.C. Argan, Il teatro plastico…, 1957, p. 33.
28
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