Nicola Riva
Multiculturalismo ed eguaglianza delle opportunità
Abstract: The paper explores the relation between multiculturalism and egalitarianism
of opportunities, focusing on claims by minorities resulting from migrations. After
considering some convergences between multiculturalism and egalitarianism of opportunities, the paper addresses their possible tensions. Firstly, egalitarianism of opportunities
could require public agencies to promote the overcoming of certain traditional beliefs,
what can contrast with the aim of preserving cultural traditions. Secondly, the politics
of identity could undermine the solidarity among people that is a precondition for those
policies needed to promote equality of opportunities. The author claims that in so far as
multiculturalism and egalitarianism of opportunities are incompatible, multiculturalism
should be rejected.
Keywords: multiculturalism – egalitarianism of opportunities – equality – cultural
diversity.
1.
Introduzione
In questo saggio intendo richiamare l’attenzione sui rapporti di convergenza e
di tensione che esistono tra multiculturalismo ed egalitarismo delle opportunità.
Con il termine «multiculturalismo» mi riferisco a quell’insieme di posizioni politiche eterogenee, accomunate dall’idea che tra i compiti dei soggetti pubblici vi sia
quello di favorire la fioritura delle diverse culture, e, in particolare, delle culture
minoritarie1, la cui sopravvivenza sarebbe in pericolo a causa dell’esistenza di
Nicola Riva è Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche
dell’Università degli Studi di Milano. E-mail: nicola.riva@unimi.it.
Desidero ringraziare Alessandra Facchi per aver letto e commentato una versione precedente
di questo saggio.
1
Parlerò di culture minoritarie e di cultura/e maggioritaria/e come se fosse possibile separare
chiaramente le diverse culture. Naturalmente si tratta di una semplificazione: le culture non
sono in realtà entità distinte che possono essere facilmente demarcate, ma sistemi astratti di
credenze su ciò che esiste e su ciò che è dotato di valore (da cui dipende il significato di certi
gesti e di certe pratiche), costruiti a partire dalle credenze reali delle persone. Parlando di
cultura/e maggioritaria/e all’interno di una società mi riferisco all’insieme delle credenze (non
necessariamente coerenti e ordinate) condivise dalla maggioranza delle persone che ne fanno
149
Ragion pratica 40/giugno 2013
pressioni all’assimilazione mediante omologazione, che spingono le persone ad
aderire alla cultura maggioritaria2. Con l’espressione «egalitarismo delle opportunità», invece, mi riferisco a quell’insieme di concezioni eterogenee (e parziali3)
della giustizia che sostengono che tra i compiti dei soggetti pubblici vi sia anche
quello di promuovere una qualche forma di eguaglianza delle opportunità tra
tutti gli appartenenti alla società politica per conto della quale essi operano4.
Alla base del multiculturalismo vi sono le rivendicazioni di gruppi
sociali minoritari, che non si riconoscono nella/e cultura/e maggioritaria/e5, che
rivendicano la libertà di vivere secondo i dettami di una diversa cultura senza
venir per ciò penalizzati, anche quando essi sono in conflitto con i valori della
maggioranza della popolazione – il che può tradursi in un invito a rivedere norme
espressione più o meno consapevole della/e cultura/e maggioritaria/e o nella
richiesta che gli appartenenti alla minoranza siano esentati dall’osservanza di
norme vincolanti per la generalità della popolazione –, e che possono arrivare a
rivendicare, inoltre, diritti collettivi ritenuti necessari al fine di garantire la conservazione nel tempo della propria cultura6. Muovendo dalla presa d’atto di tali
parte, mentre parlando di culture minoritarie all’interno di una società mi riferisco a insiemi di
credenze condivisi da una minoranza delle persone che ne fanno parte. Sui problemi posti dal
concetto di cultura nel contesto del dibattito sul multiculturalismo v. Benhabib 2002: cap. 2.
2
Per alcuni multiculturalisti le culture sono dotate di valore intrinseco e, pertanto, la loro
riproduzione nel tempo è considerata un bene in sé, a prescindere dall’impatto che ciò ha sul
benessere delle persone. Per altri, il valore delle culture non è intrinseco, ma dipende dal valore
che le persone attribuiscono loro e alla loro conservazione, e/o dall’idea che le diverse culture
costituiscano delle risorse (dei repertori di significato e di modelli di vita riuscita) da cui le
persone possono attingere per dare un senso alle loro esistenze ed elaborare i loro progetti di
vita; per costoro, la fioritura delle diverse culture non costituisce un bene in sé, ma in ragione
del suo impatto sul benessere delle persone.
3
Si tratta di concezioni «parziali», poiché è ragionevole ritenere che il principio che prescrive di
perseguire l’eguaglianza delle opportunità sia solo uno dei principi di una concezione completa
della giustizia. È pertanto possibile che oltre alle tensioni tra multiculturalismo ed egalitarismo
delle opportunità, si diano altre tensioni tra multiculturalismo e altri principi di giustizia.
4
Assumo che l’insieme degli «appartenenti» a una società politica sia dato dall’insieme di
tutte le persone che risiedono regolarmente sul territorio su cui essa esercita l’autorità politica
sovrana, siano essi autoctoni o immigrati.
5
Tra le credenze e le pratiche culturali che sono più spesso oggetto delle rivendicazioni di gruppi
sociali minoritari (e in particolare delle minoranze di immigrati) vi sono credenze e pratiche che
hanno un fondamento religioso o che sono percepite come aventi un tale fondamento (benché
spesso le loro origini precedano la diffusione della religione cui sono associate). Ciò dipende,
almeno in parte, dal fatto che le prescrizioni religiose sono avvertite da molti credenti come
particolarmente vincolanti. Ciò spiega anche perché spesso le rivendicazioni delle minoranze
culturali sono avanzate non tanto nel nome del multiculturalismo (che è più comunemente
invocato dagli intellettuali), quanto nel nome della libertà religiosa.
6
Gran parte della letteratura sul multiculturalismo si riferisce al contesto nord-americano.
Per un esame delle rivendicazioni delle minoranze culturali e dei diversi modi in cui esse sono
state affrontate nel contesto europeo, condotta alla luce della cultura giuridica europea e del
paradigma del pluralismo normativo v. Facchi 2001.
150
rivendicazioni, alcuni intellettuali7 ne hanno offerto delle riformulazioni dotate
di spessore teorico-politico nel quadro di una critica o di un ripensamento della
tradizione politica liberale8.
Venendo all’egalitarismo delle opportunità, l’idea che tutti gli appartenenti a una stessa società politica dovrebbero godere egualmente di alcune
opportunità a prescindere da differenze di sesso, di etnia, di opinioni politiche e
religiose, di estrazione famigliare, di provenienza e di origine sociale gode oggi
di ampio consenso almeno retorico all’interno delle società democratiche. L’ampiezza di un tale consenso dipende in parte dalla vaghezza dell’idea di eguaglianza
delle opportunità, che fa sì che essa si presti a essere variamente interpretata.
In questo saggio farò riferimento a una particolare concezione dell’eguaglianza
delle opportunità9. Tuttavia, sono convinto che molte delle considerazioni che
proporrò resterebbero valide anche assumendo altre concezioni dell’egalitarismo
delle opportunità, purché si tratti di concezioni che assumono che i soggetti le
cui opportunità dovrebbero essere rese eguali siano individui e non comunità
o gruppi sociali.
Nel prendere in considerazione i rapporti di convergenza e di tensione
esistenti tra multiculturalismo ed egalitarismo delle opportunità, mi soffermerò
su di un caso particolare tra quelli discussi nell’ampia letteratura sul multiculturalismo: quello dei gruppi sociali minoritari costituitisi all’interno di una
società politica a seguito di immigrazione i cui membri sono accomunati da una
cultura sensibilmente diversa da quella/e della maggioranza degli appartenenti
alla società di cui fanno parte (è il caso, ad es., delle minoranze islamiche che
risiedono in Italia e in altri Paesi europei). Non mi occuperò, pertanto, delle
rivendicazioni di quelle comunità autoctone, quali sono, ad es., le minoranze
linguistiche e culturali storicamente presenti sul nostro territorio nazionale, che,
per annessione, colonizzazione o federazione, sono state inglobate in posizione
minoritaria all’interno di una società politica i cui membri sono prevalentemente
di diversa cultura.
7
La letteratura sul multiculturalismo è ormai molto ampia. Testi classici sono Kymlicka 1989,
1995; Taylor et al. 1992. In Italia si vedano almeno Galeotti 1994, 1999.
8
La tradizione politica liberale è accusata di presupporre un’immagine atomistica della società,
che trascura l’importanza dell’appartenenza comunitaria quale contesto entro il quale le persone definiscono i loro piani di vita, e una concezione privatistica del benessere, che trascura
l’importanza che le persone possono attribuire alla sopravvivenza della propria cultura, e,
pertanto, di favorire stili di vita individualistici a dispetto della professata neutralità. Da questo
punto di vista il multiculturalismo può essere considerato uno sviluppo del comunitarismo: un
tentativo di applicare le idee base del comunitarismo nel contesto di società caratterizzate da
pluralità culturale. Sul comunitarismo e le sue critiche al liberalismo (o a un certo liberalismo)
v., sinteticamente, Gutmann 1985.
9
Si tratta della concezione dell’eguaglianza delle opportunità che ho presentato in Riva 2011
(v. in particolare, cap. 3).
151
Ritengo che le rivendicazioni delle comunità autoctone sollevino problemi più difficili rispetto a quelli posti dalle minoranze di immigrati, poiché,
spesso, tali comunità, che in passato costituivano società politiche sovrane o
appartenevano a una diversa società politica in cui la loro cultura era maggioritaria, sono state inglobate all’interno della società politica cui ora appartengono
senza esser in alcun modo consultate. L’attribuzione a quelle minoranze e/o alle
persone che ne fanno parte di particolari privilegi, nella forma di libertà, diritti e
poteri (esercitabili individualmente o collettivamente) diversi da quelli attribuiti
agli altri cittadini, finalizzati ad assicurare la sopravvivenza della loro cultura
nel tempo, a prescindere (entro certi limiti) dal loro impatto sull’eguaglianza
delle opportunità, potrebbe essere giustificata come necessaria a risarcirle per le
ingiustizie subite e/o a convincerle a non avanzare una richiesta di secessione
che potrebbe apparire legittima10.
Mi soffermerò a considerare, invece, quale rapporto esista tra la promozione dell’eguaglianza delle opportunità e le rivendicazioni avanzate, nel nome
del multiculturalismo, dalle minoranze di immigrati, poiché, assumendo che la
promozione dell’eguaglianza delle opportunità rientri tra gli obiettivi fondanti
delle società democratiche, ritengo che qualora le rivendicazioni avanzate dalle
minoranze di immigrati risultino in conflitto con quell’obiettivo, ciò sia un motivo
sufficiente per respingerle. Ritengo, infatti, che, qualora si dia un conflitto tra i
principi basilari di una società politica e le rivendicazioni delle minoranze al suo
interno (siano esse minoranze di immigrati o minoranze di autoctoni), queste
ultime dovrebbero essere respinte. Dopotutto, si può ritenere che, avendo chiesto
di essere ammessi a far parte di una società politica diversa da quella d’origine,
gli immigrati (al pari di chi vi appartiene per nascita) siano tenuti ad accettarne
i principi basilari.
Sarebbe un errore, tuttavia, ritenere che le richieste provenienti dalle
minoranze di immigrati possano essere respinte ogni volta che esse mettono in
discussione la validità delle regole vigenti nel Paese di immigrazione. È possibile,
infatti, che siano proprio quelle regole a non essere all’altezza dei suoi principi
basilari, o a non esserlo più, essendo mutate le circostanze rispetto al momento
della loro adozione. Le rivendicazioni delle minoranze di immigrati devono essere
valutate alla luce di quei principi; può essere che non si dia alcun conflitto tra le
une e gli altri e che, anzi, quei principi impongano di rivedere le regole vigenti. È anche possibile che si dia un conflitto tra i principi basilari di una società
politica: in quel caso si dovrà stabilire quale principio debba prevalere. Si tratta
di capire, quindi, quali delle istanze del multiculturalismo possano (o debbano)
essere accolte da una società politica impegnata a perseguire l’eguaglianza delle
opportunità e quali siano da respingere.
10
Sul tema v. Margiotta 2005.
152
2.
Convergenze
Secondo la particolare concezione dell’eguaglianza delle opportunità che sostengo
(e i cui rapporti con il multiculturalismo intendo indagare) i soggetti pubblici
dovrebbero operare al fine di assicurare: (a) che tutti gli appartenenti alla società
politica per conto della quale operano, abbiano, nell’arco della vita, eguali opportunità di accedere ai mezzi necessari a soddisfare i loro bisogni primari e a cure
sanitarie di base; (b) che le opportunità educative e formative siano distribuite in
modo da assicurare loro eguali opportunità di acquisire le qualifiche necessarie
per accedere ai diversi impieghi e ai diversi incarichi; (c) che all’inizio della vita
adulta, a parità di qualifiche, essi abbiano le stesse opportunità di realizzazione
professionale e le stesse opportunità economiche; e (d) che nell’arco della vita
lavorativa, a parità di qualifiche e di ricchezza, essi abbiano eguali opportunità
di realizzazione professionale ed eguali opportunità economiche11.
In base a una tale concezione dell’eguaglianza delle opportunità, una
volta ammessi a fare parte di una società politica, tutti gli immigrati dovrebbero godere delle stesse opportunità di cui godono gli autoctoni e alle medesime
condizioni. Ciò significa non solo che essi dovrebbero avere gli stessi diritti di
cui godono gli autoctoni (eguaglianza formale), ma anche che i soggetti pubblici
dovrebbero impegnarsi a rimuovere tutti quegli ostacoli dovuti alla diffusione di
pregiudizi e alla diffidenza nei confronti degli stranieri (e soprattutto di alcuni
gruppi di stranieri, percepiti come particolarmente diversi da «noi»), che fanno
sì che le loro opportunità non siano di fatto eguali a quelle degli autoctoni, se
necessario mediante l’attribuzione di speciali diritti ai soggetti vittime di pregiudizi e diffidenza. Sono, dunque, giustificabili, nel nome della promozione
dell’eguaglianza delle opportunità, politiche antidiscriminatorie miranti a contrastare l’effetto di pregiudizi e diffidenza.
Benché il fine primario delle politiche antidiscriminatorie sia quello
di garantire l’eguaglianza delle opportunità e non quello di assicurare le condizioni per la fioritura delle culture minoritarie, quelle politiche potrebbero avere
un impatto positivo sulla sopravvivenza di tali culture. In una società in cui i
pregiudizi e la diffidenza nei confronti degli stranieri sono diffusi, infatti, gli immigrati subiscono una forte pressione all’assimilazione mediante omologazione,
poiché le loro opportunità aumentano quanto più essi prendono le distanze dalla
cultura d’origine e adottano i costumi e gli stili di vita maggioritari. Politiche
finalizzate a contrastare i pregiudizi e la diffidenza nei confronti degli stranieri, al
fine di garantire agli immigrati le stesse opportunità di cui godono gli autoctoni,
potrebbero avere come effetto indiretto, quello di rendere meno «costosa» (in
termini di opportunità) per gli immigrati la scelta di conservare costumi e stili
di vita diversi da quelli maggioritari.
11
Cfr. Riva 2011: cap. 3.
153
Poiché spesso gli interventi più efficaci al fine di contrastare l’effetto
di pregiudizi e diffidenza sono interventi di tipo educativo, tra i compiti della
scuola dell’obbligo dovrebbe rientrare quello di educare al rispetto della diversità,
il che presuppone la conoscenza delle diverse culture. I programmi della scuola
dell’obbligo dovrebbero essere modificati a quel fine. L’educazione scolastica
dovrebbe includere, ad es., non un’educazione alla religione «maggioritaria»,
bensì un’educazione alla storia delle religioni (e delle critiche loro rivolte), impartita nel modo il più possibile neutrale, da personale appositamente preparato.
Analogamente, se si comprende facilmente perché l’educazione scolastica debba
includere l’insegnamento della lingua ufficiale (generalmente la lingua parlata
dalla maggioranza della popolazione a livello nazionale o regionale)12, non si
capisce perché l’insegnamento di altre discipline non possa essere più aperto alle
diverse culture e prospettive13.
Al fine di promuovere l’eguaglianza delle opportunità di tutti gli appartenenti alla società politica, dovrebbero, inoltre, essere riviste quelle regole
che disciplinano la condotta negli spazi pubblici e nei luoghi di lavoro e che
comportano degli oneri non giustificabili per i membri di gruppi sociali minoritari, imponendo loro di scegliere tra l’adesione alla propria cultura e l’accesso ad
alcune opportunità. Se in alcuni casi gli ostacoli sembrano difficili da rimuovere
– penso all’adozione della lingua della maggioranza della popolazione come lingua
ufficiale – e il massimo che i soggetti pubblici possono fare è assistere i soggetti
sfavoriti nel superamento di quegli ostacoli, in altri casi tali ostacoli possono
essere rimossi: penso alle regole che disciplinano l’abbigliamento negli spazi
pubblici o nei luoghi di lavoro14, a quelle che definiscono i menu nei ristoranti
scolastici e aziendali, a quelle che disciplinano i tempi di lavoro e a quelle che
individuano i giorni feriali e quelli festivi.
Benché l’obiettivo di tutti questi interventi sia quello di promuovere
l’eguaglianza delle opportunità tra autoctoni e immigrati, rimuovendo i pre12
Oltre all’insegnamento di un’altra lingua che possa servire da lingua franca internazionale
e sovranazionale a livello regionale o a livello mondiale. Sui problemi posti dalle politiche
linguistiche v., da ultimo, Van Parijs 2011.
13
Cfr. Nussbaum 1997.
14
Un caso paradigmatico a riguardo è quello del velo islamico su cui v. almeno Laborde 2008.
Spesso i sostenitori del divieto di indossare il velo islamico in pubblico sostengono che esso è il
simbolo di una cultura maschilista e che la scelta di indossarlo non può essere considerata una
scelta veramente libera. Senza volere negare il fatto che la cultura islamica (come la maggior
parte delle culture tradizionali) sia una cultura intrisa di maschilismo, né il fatto che molte
donne subiscono il velo come un’imposizione, non credo che la messa al bando del velo per
via legislativa sia una soluzione. Non si può trascurare il fatto che i simboli possono cambiare
significato al mutare del contesto; è semplicistico pensare che il velo debba valere necessariamente come simbolo di subordinazione femminile. Se, come credo, il fine da perseguire è
quello di una società in cui le donne possano liberamente decidere di indossare il velo, senza
subire alcuna pressione a riguardo, negare loro la libertà (formale) di farlo non sembra essere
il mezzo più adatto a conseguire un tale fine.
154
giudizi e la diffidenza nei confronti degli stranieri ed eliminando (o riducendo)
quegli ostacoli che impongono loro di scegliere tra l’adesione alla loro cultura e
l’accesso a determinate opportunità, essi potrebbero avere un impatto positivo
sulla sopravvivenza di culture minoritarie, rendendo meno onerosa la fedeltà
a quelle culture. In molti casi gli stessi interventi possono essere giustificati
anche in base a principi diversi da quello che prescrive di promuovere l’eguaglianza delle opportunità: ad es., in base al principio di neutralità che stabilisce
che i soggetti pubblici non debbano favorire intenzionalmente alcuna visione
del mondo o idea del bene15. In ogni caso, con riferimento a quegli interventi vi
è perfetta convergenza tra quanto prescrive l’egalitarismo delle opportunità e
quanto prescrive il multiculturalismo.
3.
Tensioni
Dopo avere considerato le convergenze esistenti tra multiculturalismo ed egalitarismo delle opportunità vorrei ora richiamare l’attenzione su due possibili
tensioni tra queste due posizioni (senza pretendere in alcun modo che esse siano
le sole)16. La prima possibile tensione emerge, allorché si consideri la richiesta,
che potrebbe essere avanzata nel nome del multiculturalismo, per cui i soggetti
pubblici dovrebbero astenersi dal promuovere attivamente credenze, valori e
ideali contrari a quelli distintivi delle diverse culture in cui le persone si riconoscono17. La seconda possibile tensione, invece, riguarda il rischio che una politica
che insista troppo sulla diversità tra le persone eroda le basi di quella solidarietà
tra gli appartenenti a una stessa società politica che è una condizione necessaria,
affinché i soggetti pubblici possano adottare quelle politiche redistributive necessarie alla promozione dell’eguaglianza delle opportunità.
La richiesta che i soggetti pubblici si astengano dal promuovere attivamente credenze, valori e ideali che si scontrano con le credenze, i valori e gli
ideali propri delle diverse culture in cui si riconoscono gli appartenenti alla società
politica si scontra con l’idea per cui, spesso, al fine di promuovere l’eguaglianza
delle opportunità è necessario promuovere simili credenze, valori e ideali. Ciò
dipende dal fatto che le culture diffuse all’interno di una società hanno un im-
15
Cfr. Rawls 1992.
Per un’ampia analisi critica delle tensioni che esistono tra multiculturalismo ed egalitarismo
democratico, v. Barry 2001. Gli argomenti di Barry sono discussi in Kelly 2002.
17
La promozione di credenze, valori e ideali può assumere la forma di interventi educativi
basati sulla comunicazione di credenze, valori e ideali, o quella dell’imposizione di regole o di
pratiche che esprimono tali credenze, valori e ideali. Così, ad es., la credenza nell’eguaglianza
tra i sessi può essere promossa mediante appositi interventi educativi ma anche (e probabilmente in maniera più efficace) rifiutando la segregazione sessuale e imponendo che le classi
scolastiche siano classi miste.
16
155
patto sulle opportunità delle persone che ne fanno parte e dal fatto che molte
culture, in particolare le culture tradizionali, sono piene di credenze e di pratiche
che ne sono espressione, che di fatto determinano l’oppressione degli appartenenti a certi gruppi sociali: ad es., pregiudizi e credenze maschilisti e omofobici
responsabili dell’oppressione delle donne e delle persone ritenute omosessuali
(che esse lo siano o meno), che spesso consiste anche in una limitazione delle
loro opportunità18.
Le opportunità delle persone dipendono sempre almeno in parte dalle
attitudini delle altre persone nei loro confronti, specialmente dalle attitudini delle
persone che occupano posizioni di potere dalle quali controllano la distribuzione
di certe opportunità. Così, ad es., le opportunità che A ha di ottenere un impiego
dipendono dal fatto che B – la persona o l’insieme di persone che ha il potere di
stabilire chi debba ottenere quell’impiego – sia disposta ad attribuirglielo, cosa
che a sua volta dipende dalla capacità di B di valutare le qualifiche di A in maniera
obiettiva (non influenzata dal pregiudizio) e/o, eventualmente, dalla disponibilità di B di lavorare a stretto contatto con A. Lo stesso dicasi per le opportunità
che le persone hanno di di accedere a un’abitazione o ad altri beni e servizi la
cui distribuzione dipende dalle decisioni di altre persone, che potrebbero essere
influenzate da pregiudizi e diffidenza nei confronti degli appartenenti a certi
gruppi sociali.
Proprio come la diffusione di pregiudizi e diffidenza nei confronti degli
stranieri incide negativamente sulle opportunità degli immigrati ed è pertanto
compito dei soggetti pubblici operare per rimuovere tali pregiudizi e tale diffidenza, la diffusione di pregiudizi e diffidenza nei confronti di altri gruppi sociali incide
negativamente sulle opportunità delle persone che vi appartengono ed è compito
dei soggetti pubblici operare per rimuovere tali pregiudizi e tale diffidenza. Così,
ad es., al fine di promuovere l’eguaglianza delle opportunità tra tutte le persone
a prescindere dal sesso e dall’orientamento sessuale, i soggetti pubblici dovranno
operare in modo da rimuovere i pregiudizi e la diffidenza diffusi nei confronti
delle donne e degli omosessuali, mediante interventi finalizzati a promuovere
attivamente il superamento delle credenze responsabili dell’oppressione delle
donne e delle persone ritenute omosessuali.
È un’illusione la credenza nella possibilità di una società con due ambiti
distinti: una sfera pubblica e civile in cui le persone non solo abbiano (formalmente) gli stessi diritti ma si trattino effettivamente da eguali e una sfera privata (la
famiglia, la comunità culturale) in cui le persone possono coltivare liberamente
18
Per un’analisi delle diverse forme dell’oppressione v. Young 1990: cap. 2. Il maschilismo delle
culture tradizionali è stato denunciato con vigore nel contesto del dibattito sul multiculturalismo da Susan Moller Okin; v. Okin et al. 1999. Cfr. Besussi 2004, e Galeotti 2004. Discorsi
analoghi possono essere fatti per l’omofobia delle culture tradizionali, tanto più che sessismo
ed omofobia sono intimamente legati essendo entrambi, almeno in parte, il prodotto di una
specifica configurazione dei rapporti tra i sessi.
156
le loro credenze, quali esse siano. Non è verosimile attendersi dalle persone, ad
es., che esse possano coltivare privatamente la credenza che l’omosessualità sia
un peccato che costerà agli omosessuali la dannazione eterna (o anche solo una
pratica che suscita disgusto19) e aspettarsi poi che quando esse agiscono nella
sfera pubblica e civile esse siano in grado di trattare le persone (che pensano)
omosessuali in maniera corretta, prescindendo dalla considerazione della loro
(supposta) omosessualità. Una volta che si permetta la sopravvivenza di certe
credenze nell’ambito privato, è difficile impedire che esse si traducano in svantaggi nella sfera pubblica e civile.
Vi è, dunque, una prima possibile tensione tra egalitarismo delle opportunità e multiculturalismo nella misura in cui l’egalitarismo delle opportunità
impone ai soggetti pubblici di prendere posizione contro credenze culturali oppressive, facendosi promotori di un cambiamento culturale, laddove il multiculturalismo è orientato, piuttosto, alla conservazione delle culture tradizionali, in
particolare di quelle minoritarie. Si noti che l’azione dei soggetti pubblici volta
a sradicare credenze oppressive non contrasta con il principio di neutralità che
impone ai soggetti pubblici di non promuovere attivamente particolari visioni
del mondo e idee del bene, perché l’obiettivo di quell’azione è la promozione
dell’eguaglianza delle opportunità e non di particolari visioni del mondo o idee
del bene. Quel principio ammette, infatti, che le politiche adottate al fine di promuovere la giustizia possano avere un impatto negativo sulla conservazione di
alcune visioni del mondo e idee del bene.
Una seconda possibile tensione tra multiculturalismo ed egalitarismo delle opportunità dipende dal fatto che una politica delle identità, che
tende a porre le differenze al centro del dibattito pubblico, rischia di condurre
all’erosione di quel sentimento di solidarietà tra gli appartenenti a una stessa
società politica, che è una condizione necessaria, affinché si possano adottare
le politiche redistributive indispensabili a promuovere l’eguaglianza delle loro
opportunità20. È un dato facilmente accertabile il fatto che nei decenni in cui la
politica delle identità si è imposta al centro del dibattito pubblico, e il conflitto
tra gruppi culturali ha preso il posto un tempo occupato dal conflitto di classe, le
diseguaglianze economiche sono andate aumentando e la capacità redistributiva
dei soggetti pubblici si è ridotta sensibilmente. L’emergere della politica delle
identità ha contribuito a mettere ai margini del dibattito pubblico le questioni
di giustizia distributiva21.
19
Sul rapporto tra disgusto e omofobia v. Nussbaum 2004, 2010.
V. Wolfe e Klausen 1997. La tensione tra multiculturalismo e redistribuzione è indagata in
Banting e Kymlicka 2006 (v. in particolare l’introduzione dei due curatori, pp. 1-45, e il saggio
di David Miller, pp. 323-338).
21
È significativo il fatto che, recentemente, la crisi economica ha riportato tali questioni al
centro del dibattito pubblico, a scapito della politica delle identità. Naturalmente, ciò non
significa che la politica dell’identità non ponga questioni rilevanti né che il suo emergere sia
20
157
L’idea è che vi sia qualcosa nella politica delle identità che va in direzione contraria alla promozione dell’eguaglianza delle opportunità. Affinché
le persone siano disposte ad accettare le politiche redistributive indispensabili
a promuovere l’eguaglianza delle opportunità, infatti, è necessario che esse si
riconoscano reciprocamente come eguali in tutti i caratteri moralmente rilevanti
ai fini della valutazione delle istituzioni pubbliche e dell’operato dei soggetti
pubblici e che esse si sentano legate da un vincolo di solidarietà. Ciò richiede
che ciò che accomuna le persone sia avvertito da loro come più forte di ciò che
le differenzia e che in caso di conflitto tra i vincoli dovuti all’appartenenza delle
persone a diverse formazioni sociali, il vincolo della comune appartenenza alla
società politica sia avvertito come più forte di altri vincoli. La politica delle identità,
nella misura in cui insiste sulle differenze tra le persone, talvolta esasperandole,
sembra andare in direzione contraria.
Non intendo sostenere che la coesione di una società politica sia incompatibile con la presenza al suo interno di una varietà di culture. Ritengo
che la presenza all’interno di una società di persone che hanno diverse visioni
del mondo e idee del bene e che, individualmente o insieme ad altre persone,
orientano la loro condotta in base a tali visioni del mondo e idee del bene sia
una circostanza apprezzabile, nella misura in cui l’omogeneità culturale può
essere prodotta solo mediante la repressione o l’esclusione delle differenze22.
E, tuttavia, ritengo altresì che compito primario dei soggetti pubblici sia, non
quello di favorire le identità particolari delle persone ma, quello di coltivare in
tutti gli appartenenti alla società politica una comune identità parziale, in grado
di alimentare un sentimento di reciproca vicinanza e solidarietà, anche attraverso
la promozione delle occasioni di incontro, confronto e scambio tra persone che
sostengono diverse visioni del mondo e idee del bene.
Tale compito non può essere conseguito, compatibilmente con il rispetto
per le persone, mediante la promozione di una comune identità complessiva di
visioni del mondo e idee del bene, ma solo mediante la valorizzare della comune
appartenenza a una società politica fondata su di un progetto politico comune,
la cui attuazione è compatibile con una pluralità di visioni del mondo e idee del
bene23. La promozione di una tale identità parziale comune è incompatibile con
politiche che promuovono la creazione all’interno di una società di comunità
l’unico fattore responsabile della posizione marginale che le questioni di giustizia distributiva
sono andate assumendo nel dibattito pubblico. Sicuramente la globalizzazione dell’economia,
che ha spostato il conflitto di classe a livello globale e privato gli Stati di un’effettiva capacità
di intervenire sui processi economici, così come la crisi del socialismo seguita alla caduta dei
regimi dell’Europa dell’est, hanno avuto un ruolo determinante. Si può pensare che la politica
delle identità abbia riempito un vuoto. Cfr. Habermas 1998.
22
Cfr. Rawls 1992.
23
Penso a qualcosa di simile al patriottismo costituzionale teorizzato da Jürgen Habermas;
v. Habermas 1991.
158
culturalmente omogenee capaci di vivere il più possibile isolate l’una rispetto
all’altra in modo da preservare la propria cultura dal rischio di contaminazione,
e, sul versante opposto con una politica che tende a esasperare il conflitto tra le
persone portando il dissenso sulle visioni del mondo e le idee del bene al centro
del dibattito pubblico.
Bibliografia
Banting, K., Kymlicka, W. (eds.) (2006). Multiculturalism and the Welfare State.
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Benhabib, S. (2002). The Claims of Culture. Equality and Diversity in the Global
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