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Multiculturalismo ed eguaglianza delle opportunità

2013

Nicola Riva Multiculturalismo ed eguaglianza delle opportunità Abstract: The paper explores the relation between multiculturalism and egalitarianism of opportunities, focusing on claims by minorities resulting from migrations. After considering some convergences between multiculturalism and egalitarianism of opportunities, the paper addresses their possible tensions. Firstly, egalitarianism of opportunities could require public agencies to promote the overcoming of certain traditional beliefs, what can contrast with the aim of preserving cultural traditions. Secondly, the politics of identity could undermine the solidarity among people that is a precondition for those policies needed to promote equality of opportunities. The author claims that in so far as multiculturalism and egalitarianism of opportunities are incompatible, multiculturalism should be rejected. Keywords: multiculturalism – egalitarianism of opportunities – equality – cultural diversity. 1. Introduzione In questo saggio intendo richiamare l’attenzione sui rapporti di convergenza e di tensione che esistono tra multiculturalismo ed egalitarismo delle opportunità. Con il termine «multiculturalismo» mi riferisco a quell’insieme di posizioni politiche eterogenee, accomunate dall’idea che tra i compiti dei soggetti pubblici vi sia quello di favorire la fioritura delle diverse culture, e, in particolare, delle culture minoritarie1, la cui sopravvivenza sarebbe in pericolo a causa dell’esistenza di Nicola Riva è Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano. E-mail: nicola.riva@unimi.it. Desidero ringraziare Alessandra Facchi per aver letto e commentato una versione precedente di questo saggio. 1 Parlerò di culture minoritarie e di cultura/e maggioritaria/e come se fosse possibile separare chiaramente le diverse culture. Naturalmente si tratta di una semplificazione: le culture non sono in realtà entità distinte che possono essere facilmente demarcate, ma sistemi astratti di credenze su ciò che esiste e su ciò che è dotato di valore (da cui dipende il significato di certi gesti e di certe pratiche), costruiti a partire dalle credenze reali delle persone. Parlando di cultura/e maggioritaria/e all’interno di una società mi riferisco all’insieme delle credenze (non necessariamente coerenti e ordinate) condivise dalla maggioranza delle persone che ne fanno 149 Ragion pratica 40/giugno 2013 pressioni all’assimilazione mediante omologazione, che spingono le persone ad aderire alla cultura maggioritaria2. Con l’espressione «egalitarismo delle opportunità», invece, mi riferisco a quell’insieme di concezioni eterogenee (e parziali3) della giustizia che sostengono che tra i compiti dei soggetti pubblici vi sia anche quello di promuovere una qualche forma di eguaglianza delle opportunità tra tutti gli appartenenti alla società politica per conto della quale essi operano4. Alla base del multiculturalismo vi sono le rivendicazioni di gruppi sociali minoritari, che non si riconoscono nella/e cultura/e maggioritaria/e5, che rivendicano la libertà di vivere secondo i dettami di una diversa cultura senza venir per ciò penalizzati, anche quando essi sono in conflitto con i valori della maggioranza della popolazione – il che può tradursi in un invito a rivedere norme espressione più o meno consapevole della/e cultura/e maggioritaria/e o nella richiesta che gli appartenenti alla minoranza siano esentati dall’osservanza di norme vincolanti per la generalità della popolazione –, e che possono arrivare a rivendicare, inoltre, diritti collettivi ritenuti necessari al fine di garantire la conservazione nel tempo della propria cultura6. Muovendo dalla presa d’atto di tali parte, mentre parlando di culture minoritarie all’interno di una società mi riferisco a insiemi di credenze condivisi da una minoranza delle persone che ne fanno parte. Sui problemi posti dal concetto di cultura nel contesto del dibattito sul multiculturalismo v. Benhabib 2002: cap. 2. 2 Per alcuni multiculturalisti le culture sono dotate di valore intrinseco e, pertanto, la loro riproduzione nel tempo è considerata un bene in sé, a prescindere dall’impatto che ciò ha sul benessere delle persone. Per altri, il valore delle culture non è intrinseco, ma dipende dal valore che le persone attribuiscono loro e alla loro conservazione, e/o dall’idea che le diverse culture costituiscano delle risorse (dei repertori di significato e di modelli di vita riuscita) da cui le persone possono attingere per dare un senso alle loro esistenze ed elaborare i loro progetti di vita; per costoro, la fioritura delle diverse culture non costituisce un bene in sé, ma in ragione del suo impatto sul benessere delle persone. 3 Si tratta di concezioni «parziali», poiché è ragionevole ritenere che il principio che prescrive di perseguire l’eguaglianza delle opportunità sia solo uno dei principi di una concezione completa della giustizia. È pertanto possibile che oltre alle tensioni tra multiculturalismo ed egalitarismo delle opportunità, si diano altre tensioni tra multiculturalismo e altri principi di giustizia. 4 Assumo che l’insieme degli «appartenenti» a una società politica sia dato dall’insieme di tutte le persone che risiedono regolarmente sul territorio su cui essa esercita l’autorità politica sovrana, siano essi autoctoni o immigrati. 5 Tra le credenze e le pratiche culturali che sono più spesso oggetto delle rivendicazioni di gruppi sociali minoritari (e in particolare delle minoranze di immigrati) vi sono credenze e pratiche che hanno un fondamento religioso o che sono percepite come aventi un tale fondamento (benché spesso le loro origini precedano la diffusione della religione cui sono associate). Ciò dipende, almeno in parte, dal fatto che le prescrizioni religiose sono avvertite da molti credenti come particolarmente vincolanti. Ciò spiega anche perché spesso le rivendicazioni delle minoranze culturali sono avanzate non tanto nel nome del multiculturalismo (che è più comunemente invocato dagli intellettuali), quanto nel nome della libertà religiosa. 6 Gran parte della letteratura sul multiculturalismo si riferisce al contesto nord-americano. Per un esame delle rivendicazioni delle minoranze culturali e dei diversi modi in cui esse sono state affrontate nel contesto europeo, condotta alla luce della cultura giuridica europea e del paradigma del pluralismo normativo v. Facchi 2001. 150 rivendicazioni, alcuni intellettuali7 ne hanno offerto delle riformulazioni dotate di spessore teorico-politico nel quadro di una critica o di un ripensamento della tradizione politica liberale8. Venendo all’egalitarismo delle opportunità, l’idea che tutti gli appartenenti a una stessa società politica dovrebbero godere egualmente di alcune opportunità a prescindere da differenze di sesso, di etnia, di opinioni politiche e religiose, di estrazione famigliare, di provenienza e di origine sociale gode oggi di ampio consenso almeno retorico all’interno delle società democratiche. L’ampiezza di un tale consenso dipende in parte dalla vaghezza dell’idea di eguaglianza delle opportunità, che fa sì che essa si presti a essere variamente interpretata. In questo saggio farò riferimento a una particolare concezione dell’eguaglianza delle opportunità9. Tuttavia, sono convinto che molte delle considerazioni che proporrò resterebbero valide anche assumendo altre concezioni dell’egalitarismo delle opportunità, purché si tratti di concezioni che assumono che i soggetti le cui opportunità dovrebbero essere rese eguali siano individui e non comunità o gruppi sociali. Nel prendere in considerazione i rapporti di convergenza e di tensione esistenti tra multiculturalismo ed egalitarismo delle opportunità, mi soffermerò su di un caso particolare tra quelli discussi nell’ampia letteratura sul multiculturalismo: quello dei gruppi sociali minoritari costituitisi all’interno di una società politica a seguito di immigrazione i cui membri sono accomunati da una cultura sensibilmente diversa da quella/e della maggioranza degli appartenenti alla società di cui fanno parte (è il caso, ad es., delle minoranze islamiche che risiedono in Italia e in altri Paesi europei). Non mi occuperò, pertanto, delle rivendicazioni di quelle comunità autoctone, quali sono, ad es., le minoranze linguistiche e culturali storicamente presenti sul nostro territorio nazionale, che, per annessione, colonizzazione o federazione, sono state inglobate in posizione minoritaria all’interno di una società politica i cui membri sono prevalentemente di diversa cultura. 7 La letteratura sul multiculturalismo è ormai molto ampia. Testi classici sono Kymlicka 1989, 1995; Taylor et al. 1992. In Italia si vedano almeno Galeotti 1994, 1999. 8 La tradizione politica liberale è accusata di presupporre un’immagine atomistica della società, che trascura l’importanza dell’appartenenza comunitaria quale contesto entro il quale le persone definiscono i loro piani di vita, e una concezione privatistica del benessere, che trascura l’importanza che le persone possono attribuire alla sopravvivenza della propria cultura, e, pertanto, di favorire stili di vita individualistici a dispetto della professata neutralità. Da questo punto di vista il multiculturalismo può essere considerato uno sviluppo del comunitarismo: un tentativo di applicare le idee base del comunitarismo nel contesto di società caratterizzate da pluralità culturale. Sul comunitarismo e le sue critiche al liberalismo (o a un certo liberalismo) v., sinteticamente, Gutmann 1985. 9 Si tratta della concezione dell’eguaglianza delle opportunità che ho presentato in Riva 2011 (v. in particolare, cap. 3). 151 Ritengo che le rivendicazioni delle comunità autoctone sollevino problemi più difficili rispetto a quelli posti dalle minoranze di immigrati, poiché, spesso, tali comunità, che in passato costituivano società politiche sovrane o appartenevano a una diversa società politica in cui la loro cultura era maggioritaria, sono state inglobate all’interno della società politica cui ora appartengono senza esser in alcun modo consultate. L’attribuzione a quelle minoranze e/o alle persone che ne fanno parte di particolari privilegi, nella forma di libertà, diritti e poteri (esercitabili individualmente o collettivamente) diversi da quelli attribuiti agli altri cittadini, finalizzati ad assicurare la sopravvivenza della loro cultura nel tempo, a prescindere (entro certi limiti) dal loro impatto sull’eguaglianza delle opportunità, potrebbe essere giustificata come necessaria a risarcirle per le ingiustizie subite e/o a convincerle a non avanzare una richiesta di secessione che potrebbe apparire legittima10. Mi soffermerò a considerare, invece, quale rapporto esista tra la promozione dell’eguaglianza delle opportunità e le rivendicazioni avanzate, nel nome del multiculturalismo, dalle minoranze di immigrati, poiché, assumendo che la promozione dell’eguaglianza delle opportunità rientri tra gli obiettivi fondanti delle società democratiche, ritengo che qualora le rivendicazioni avanzate dalle minoranze di immigrati risultino in conflitto con quell’obiettivo, ciò sia un motivo sufficiente per respingerle. Ritengo, infatti, che, qualora si dia un conflitto tra i principi basilari di una società politica e le rivendicazioni delle minoranze al suo interno (siano esse minoranze di immigrati o minoranze di autoctoni), queste ultime dovrebbero essere respinte. Dopotutto, si può ritenere che, avendo chiesto di essere ammessi a far parte di una società politica diversa da quella d’origine, gli immigrati (al pari di chi vi appartiene per nascita) siano tenuti ad accettarne i principi basilari. Sarebbe un errore, tuttavia, ritenere che le richieste provenienti dalle minoranze di immigrati possano essere respinte ogni volta che esse mettono in discussione la validità delle regole vigenti nel Paese di immigrazione. È possibile, infatti, che siano proprio quelle regole a non essere all’altezza dei suoi principi basilari, o a non esserlo più, essendo mutate le circostanze rispetto al momento della loro adozione. Le rivendicazioni delle minoranze di immigrati devono essere valutate alla luce di quei principi; può essere che non si dia alcun conflitto tra le une e gli altri e che, anzi, quei principi impongano di rivedere le regole vigenti. È anche possibile che si dia un conflitto tra i principi basilari di una società politica: in quel caso si dovrà stabilire quale principio debba prevalere. Si tratta di capire, quindi, quali delle istanze del multiculturalismo possano (o debbano) essere accolte da una società politica impegnata a perseguire l’eguaglianza delle opportunità e quali siano da respingere. 10 Sul tema v. Margiotta 2005. 152 2. Convergenze Secondo la particolare concezione dell’eguaglianza delle opportunità che sostengo (e i cui rapporti con il multiculturalismo intendo indagare) i soggetti pubblici dovrebbero operare al fine di assicurare: (a) che tutti gli appartenenti alla società politica per conto della quale operano, abbiano, nell’arco della vita, eguali opportunità di accedere ai mezzi necessari a soddisfare i loro bisogni primari e a cure sanitarie di base; (b) che le opportunità educative e formative siano distribuite in modo da assicurare loro eguali opportunità di acquisire le qualifiche necessarie per accedere ai diversi impieghi e ai diversi incarichi; (c) che all’inizio della vita adulta, a parità di qualifiche, essi abbiano le stesse opportunità di realizzazione professionale e le stesse opportunità economiche; e (d) che nell’arco della vita lavorativa, a parità di qualifiche e di ricchezza, essi abbiano eguali opportunità di realizzazione professionale ed eguali opportunità economiche11. In base a una tale concezione dell’eguaglianza delle opportunità, una volta ammessi a fare parte di una società politica, tutti gli immigrati dovrebbero godere delle stesse opportunità di cui godono gli autoctoni e alle medesime condizioni. Ciò significa non solo che essi dovrebbero avere gli stessi diritti di cui godono gli autoctoni (eguaglianza formale), ma anche che i soggetti pubblici dovrebbero impegnarsi a rimuovere tutti quegli ostacoli dovuti alla diffusione di pregiudizi e alla diffidenza nei confronti degli stranieri (e soprattutto di alcuni gruppi di stranieri, percepiti come particolarmente diversi da «noi»), che fanno sì che le loro opportunità non siano di fatto eguali a quelle degli autoctoni, se necessario mediante l’attribuzione di speciali diritti ai soggetti vittime di pregiudizi e diffidenza. Sono, dunque, giustificabili, nel nome della promozione dell’eguaglianza delle opportunità, politiche antidiscriminatorie miranti a contrastare l’effetto di pregiudizi e diffidenza. Benché il fine primario delle politiche antidiscriminatorie sia quello di garantire l’eguaglianza delle opportunità e non quello di assicurare le condizioni per la fioritura delle culture minoritarie, quelle politiche potrebbero avere un impatto positivo sulla sopravvivenza di tali culture. In una società in cui i pregiudizi e la diffidenza nei confronti degli stranieri sono diffusi, infatti, gli immigrati subiscono una forte pressione all’assimilazione mediante omologazione, poiché le loro opportunità aumentano quanto più essi prendono le distanze dalla cultura d’origine e adottano i costumi e gli stili di vita maggioritari. Politiche finalizzate a contrastare i pregiudizi e la diffidenza nei confronti degli stranieri, al fine di garantire agli immigrati le stesse opportunità di cui godono gli autoctoni, potrebbero avere come effetto indiretto, quello di rendere meno «costosa» (in termini di opportunità) per gli immigrati la scelta di conservare costumi e stili di vita diversi da quelli maggioritari. 11 Cfr. Riva 2011: cap. 3. 153 Poiché spesso gli interventi più efficaci al fine di contrastare l’effetto di pregiudizi e diffidenza sono interventi di tipo educativo, tra i compiti della scuola dell’obbligo dovrebbe rientrare quello di educare al rispetto della diversità, il che presuppone la conoscenza delle diverse culture. I programmi della scuola dell’obbligo dovrebbero essere modificati a quel fine. L’educazione scolastica dovrebbe includere, ad es., non un’educazione alla religione «maggioritaria», bensì un’educazione alla storia delle religioni (e delle critiche loro rivolte), impartita nel modo il più possibile neutrale, da personale appositamente preparato. Analogamente, se si comprende facilmente perché l’educazione scolastica debba includere l’insegnamento della lingua ufficiale (generalmente la lingua parlata dalla maggioranza della popolazione a livello nazionale o regionale)12, non si capisce perché l’insegnamento di altre discipline non possa essere più aperto alle diverse culture e prospettive13. Al fine di promuovere l’eguaglianza delle opportunità di tutti gli appartenenti alla società politica, dovrebbero, inoltre, essere riviste quelle regole che disciplinano la condotta negli spazi pubblici e nei luoghi di lavoro e che comportano degli oneri non giustificabili per i membri di gruppi sociali minoritari, imponendo loro di scegliere tra l’adesione alla propria cultura e l’accesso ad alcune opportunità. Se in alcuni casi gli ostacoli sembrano difficili da rimuovere – penso all’adozione della lingua della maggioranza della popolazione come lingua ufficiale – e il massimo che i soggetti pubblici possono fare è assistere i soggetti sfavoriti nel superamento di quegli ostacoli, in altri casi tali ostacoli possono essere rimossi: penso alle regole che disciplinano l’abbigliamento negli spazi pubblici o nei luoghi di lavoro14, a quelle che definiscono i menu nei ristoranti scolastici e aziendali, a quelle che disciplinano i tempi di lavoro e a quelle che individuano i giorni feriali e quelli festivi. Benché l’obiettivo di tutti questi interventi sia quello di promuovere l’eguaglianza delle opportunità tra autoctoni e immigrati, rimuovendo i pre12 Oltre all’insegnamento di un’altra lingua che possa servire da lingua franca internazionale e sovranazionale a livello regionale o a livello mondiale. Sui problemi posti dalle politiche linguistiche v., da ultimo, Van Parijs 2011. 13 Cfr. Nussbaum 1997. 14 Un caso paradigmatico a riguardo è quello del velo islamico su cui v. almeno Laborde 2008. Spesso i sostenitori del divieto di indossare il velo islamico in pubblico sostengono che esso è il simbolo di una cultura maschilista e che la scelta di indossarlo non può essere considerata una scelta veramente libera. Senza volere negare il fatto che la cultura islamica (come la maggior parte delle culture tradizionali) sia una cultura intrisa di maschilismo, né il fatto che molte donne subiscono il velo come un’imposizione, non credo che la messa al bando del velo per via legislativa sia una soluzione. Non si può trascurare il fatto che i simboli possono cambiare significato al mutare del contesto; è semplicistico pensare che il velo debba valere necessariamente come simbolo di subordinazione femminile. Se, come credo, il fine da perseguire è quello di una società in cui le donne possano liberamente decidere di indossare il velo, senza subire alcuna pressione a riguardo, negare loro la libertà (formale) di farlo non sembra essere il mezzo più adatto a conseguire un tale fine. 154 giudizi e la diffidenza nei confronti degli stranieri ed eliminando (o riducendo) quegli ostacoli che impongono loro di scegliere tra l’adesione alla loro cultura e l’accesso a determinate opportunità, essi potrebbero avere un impatto positivo sulla sopravvivenza di culture minoritarie, rendendo meno onerosa la fedeltà a quelle culture. In molti casi gli stessi interventi possono essere giustificati anche in base a principi diversi da quello che prescrive di promuovere l’eguaglianza delle opportunità: ad es., in base al principio di neutralità che stabilisce che i soggetti pubblici non debbano favorire intenzionalmente alcuna visione del mondo o idea del bene15. In ogni caso, con riferimento a quegli interventi vi è perfetta convergenza tra quanto prescrive l’egalitarismo delle opportunità e quanto prescrive il multiculturalismo. 3. Tensioni Dopo avere considerato le convergenze esistenti tra multiculturalismo ed egalitarismo delle opportunità vorrei ora richiamare l’attenzione su due possibili tensioni tra queste due posizioni (senza pretendere in alcun modo che esse siano le sole)16. La prima possibile tensione emerge, allorché si consideri la richiesta, che potrebbe essere avanzata nel nome del multiculturalismo, per cui i soggetti pubblici dovrebbero astenersi dal promuovere attivamente credenze, valori e ideali contrari a quelli distintivi delle diverse culture in cui le persone si riconoscono17. La seconda possibile tensione, invece, riguarda il rischio che una politica che insista troppo sulla diversità tra le persone eroda le basi di quella solidarietà tra gli appartenenti a una stessa società politica che è una condizione necessaria, affinché i soggetti pubblici possano adottare quelle politiche redistributive necessarie alla promozione dell’eguaglianza delle opportunità. La richiesta che i soggetti pubblici si astengano dal promuovere attivamente credenze, valori e ideali che si scontrano con le credenze, i valori e gli ideali propri delle diverse culture in cui si riconoscono gli appartenenti alla società politica si scontra con l’idea per cui, spesso, al fine di promuovere l’eguaglianza delle opportunità è necessario promuovere simili credenze, valori e ideali. Ciò dipende dal fatto che le culture diffuse all’interno di una società hanno un im- 15 Cfr. Rawls 1992. Per un’ampia analisi critica delle tensioni che esistono tra multiculturalismo ed egalitarismo democratico, v. Barry 2001. Gli argomenti di Barry sono discussi in Kelly 2002. 17 La promozione di credenze, valori e ideali può assumere la forma di interventi educativi basati sulla comunicazione di credenze, valori e ideali, o quella dell’imposizione di regole o di pratiche che esprimono tali credenze, valori e ideali. Così, ad es., la credenza nell’eguaglianza tra i sessi può essere promossa mediante appositi interventi educativi ma anche (e probabilmente in maniera più efficace) rifiutando la segregazione sessuale e imponendo che le classi scolastiche siano classi miste. 16 155 patto sulle opportunità delle persone che ne fanno parte e dal fatto che molte culture, in particolare le culture tradizionali, sono piene di credenze e di pratiche che ne sono espressione, che di fatto determinano l’oppressione degli appartenenti a certi gruppi sociali: ad es., pregiudizi e credenze maschilisti e omofobici responsabili dell’oppressione delle donne e delle persone ritenute omosessuali (che esse lo siano o meno), che spesso consiste anche in una limitazione delle loro opportunità18. Le opportunità delle persone dipendono sempre almeno in parte dalle attitudini delle altre persone nei loro confronti, specialmente dalle attitudini delle persone che occupano posizioni di potere dalle quali controllano la distribuzione di certe opportunità. Così, ad es., le opportunità che A ha di ottenere un impiego dipendono dal fatto che B – la persona o l’insieme di persone che ha il potere di stabilire chi debba ottenere quell’impiego – sia disposta ad attribuirglielo, cosa che a sua volta dipende dalla capacità di B di valutare le qualifiche di A in maniera obiettiva (non influenzata dal pregiudizio) e/o, eventualmente, dalla disponibilità di B di lavorare a stretto contatto con A. Lo stesso dicasi per le opportunità che le persone hanno di di accedere a un’abitazione o ad altri beni e servizi la cui distribuzione dipende dalle decisioni di altre persone, che potrebbero essere influenzate da pregiudizi e diffidenza nei confronti degli appartenenti a certi gruppi sociali. Proprio come la diffusione di pregiudizi e diffidenza nei confronti degli stranieri incide negativamente sulle opportunità degli immigrati ed è pertanto compito dei soggetti pubblici operare per rimuovere tali pregiudizi e tale diffidenza, la diffusione di pregiudizi e diffidenza nei confronti di altri gruppi sociali incide negativamente sulle opportunità delle persone che vi appartengono ed è compito dei soggetti pubblici operare per rimuovere tali pregiudizi e tale diffidenza. Così, ad es., al fine di promuovere l’eguaglianza delle opportunità tra tutte le persone a prescindere dal sesso e dall’orientamento sessuale, i soggetti pubblici dovranno operare in modo da rimuovere i pregiudizi e la diffidenza diffusi nei confronti delle donne e degli omosessuali, mediante interventi finalizzati a promuovere attivamente il superamento delle credenze responsabili dell’oppressione delle donne e delle persone ritenute omosessuali. È un’illusione la credenza nella possibilità di una società con due ambiti distinti: una sfera pubblica e civile in cui le persone non solo abbiano (formalmente) gli stessi diritti ma si trattino effettivamente da eguali e una sfera privata (la famiglia, la comunità culturale) in cui le persone possono coltivare liberamente 18 Per un’analisi delle diverse forme dell’oppressione v. Young 1990: cap. 2. Il maschilismo delle culture tradizionali è stato denunciato con vigore nel contesto del dibattito sul multiculturalismo da Susan Moller Okin; v. Okin et al. 1999. Cfr. Besussi 2004, e Galeotti 2004. Discorsi analoghi possono essere fatti per l’omofobia delle culture tradizionali, tanto più che sessismo ed omofobia sono intimamente legati essendo entrambi, almeno in parte, il prodotto di una specifica configurazione dei rapporti tra i sessi. 156 le loro credenze, quali esse siano. Non è verosimile attendersi dalle persone, ad es., che esse possano coltivare privatamente la credenza che l’omosessualità sia un peccato che costerà agli omosessuali la dannazione eterna (o anche solo una pratica che suscita disgusto19) e aspettarsi poi che quando esse agiscono nella sfera pubblica e civile esse siano in grado di trattare le persone (che pensano) omosessuali in maniera corretta, prescindendo dalla considerazione della loro (supposta) omosessualità. Una volta che si permetta la sopravvivenza di certe credenze nell’ambito privato, è difficile impedire che esse si traducano in svantaggi nella sfera pubblica e civile. Vi è, dunque, una prima possibile tensione tra egalitarismo delle opportunità e multiculturalismo nella misura in cui l’egalitarismo delle opportunità impone ai soggetti pubblici di prendere posizione contro credenze culturali oppressive, facendosi promotori di un cambiamento culturale, laddove il multiculturalismo è orientato, piuttosto, alla conservazione delle culture tradizionali, in particolare di quelle minoritarie. Si noti che l’azione dei soggetti pubblici volta a sradicare credenze oppressive non contrasta con il principio di neutralità che impone ai soggetti pubblici di non promuovere attivamente particolari visioni del mondo e idee del bene, perché l’obiettivo di quell’azione è la promozione dell’eguaglianza delle opportunità e non di particolari visioni del mondo o idee del bene. Quel principio ammette, infatti, che le politiche adottate al fine di promuovere la giustizia possano avere un impatto negativo sulla conservazione di alcune visioni del mondo e idee del bene. Una seconda possibile tensione tra multiculturalismo ed egalitarismo delle opportunità dipende dal fatto che una politica delle identità, che tende a porre le differenze al centro del dibattito pubblico, rischia di condurre all’erosione di quel sentimento di solidarietà tra gli appartenenti a una stessa società politica, che è una condizione necessaria, affinché si possano adottare le politiche redistributive indispensabili a promuovere l’eguaglianza delle loro opportunità20. È un dato facilmente accertabile il fatto che nei decenni in cui la politica delle identità si è imposta al centro del dibattito pubblico, e il conflitto tra gruppi culturali ha preso il posto un tempo occupato dal conflitto di classe, le diseguaglianze economiche sono andate aumentando e la capacità redistributiva dei soggetti pubblici si è ridotta sensibilmente. L’emergere della politica delle identità ha contribuito a mettere ai margini del dibattito pubblico le questioni di giustizia distributiva21. 19 Sul rapporto tra disgusto e omofobia v. Nussbaum 2004, 2010. V. Wolfe e Klausen 1997. La tensione tra multiculturalismo e redistribuzione è indagata in Banting e Kymlicka 2006 (v. in particolare l’introduzione dei due curatori, pp. 1-45, e il saggio di David Miller, pp. 323-338). 21 È significativo il fatto che, recentemente, la crisi economica ha riportato tali questioni al centro del dibattito pubblico, a scapito della politica delle identità. Naturalmente, ciò non significa che la politica dell’identità non ponga questioni rilevanti né che il suo emergere sia 20 157 L’idea è che vi sia qualcosa nella politica delle identità che va in direzione contraria alla promozione dell’eguaglianza delle opportunità. Affinché le persone siano disposte ad accettare le politiche redistributive indispensabili a promuovere l’eguaglianza delle opportunità, infatti, è necessario che esse si riconoscano reciprocamente come eguali in tutti i caratteri moralmente rilevanti ai fini della valutazione delle istituzioni pubbliche e dell’operato dei soggetti pubblici e che esse si sentano legate da un vincolo di solidarietà. Ciò richiede che ciò che accomuna le persone sia avvertito da loro come più forte di ciò che le differenzia e che in caso di conflitto tra i vincoli dovuti all’appartenenza delle persone a diverse formazioni sociali, il vincolo della comune appartenenza alla società politica sia avvertito come più forte di altri vincoli. La politica delle identità, nella misura in cui insiste sulle differenze tra le persone, talvolta esasperandole, sembra andare in direzione contraria. Non intendo sostenere che la coesione di una società politica sia incompatibile con la presenza al suo interno di una varietà di culture. Ritengo che la presenza all’interno di una società di persone che hanno diverse visioni del mondo e idee del bene e che, individualmente o insieme ad altre persone, orientano la loro condotta in base a tali visioni del mondo e idee del bene sia una circostanza apprezzabile, nella misura in cui l’omogeneità culturale può essere prodotta solo mediante la repressione o l’esclusione delle differenze22. E, tuttavia, ritengo altresì che compito primario dei soggetti pubblici sia, non quello di favorire le identità particolari delle persone ma, quello di coltivare in tutti gli appartenenti alla società politica una comune identità parziale, in grado di alimentare un sentimento di reciproca vicinanza e solidarietà, anche attraverso la promozione delle occasioni di incontro, confronto e scambio tra persone che sostengono diverse visioni del mondo e idee del bene. Tale compito non può essere conseguito, compatibilmente con il rispetto per le persone, mediante la promozione di una comune identità complessiva di visioni del mondo e idee del bene, ma solo mediante la valorizzare della comune appartenenza a una società politica fondata su di un progetto politico comune, la cui attuazione è compatibile con una pluralità di visioni del mondo e idee del bene23. La promozione di una tale identità parziale comune è incompatibile con politiche che promuovono la creazione all’interno di una società di comunità l’unico fattore responsabile della posizione marginale che le questioni di giustizia distributiva sono andate assumendo nel dibattito pubblico. Sicuramente la globalizzazione dell’economia, che ha spostato il conflitto di classe a livello globale e privato gli Stati di un’effettiva capacità di intervenire sui processi economici, così come la crisi del socialismo seguita alla caduta dei regimi dell’Europa dell’est, hanno avuto un ruolo determinante. Si può pensare che la politica delle identità abbia riempito un vuoto. Cfr. Habermas 1998. 22 Cfr. Rawls 1992. 23 Penso a qualcosa di simile al patriottismo costituzionale teorizzato da Jürgen Habermas; v. Habermas 1991. 158 culturalmente omogenee capaci di vivere il più possibile isolate l’una rispetto all’altra in modo da preservare la propria cultura dal rischio di contaminazione, e, sul versante opposto con una politica che tende a esasperare il conflitto tra le persone portando il dissenso sulle visioni del mondo e le idee del bene al centro del dibattito pubblico. Bibliografia Banting, K., Kymlicka, W. (eds.) (2006). Multiculturalism and the Welfare State. Recognition and Redistribution in Contemporary Democracies, Oxford, Oxford University Press. Barry, B. (2001). Culture and Equality. An Egalitarian Critique of Multiculturalism, Cambridge, Polity Press. Benhabib, S. (2002). The Claims of Culture. Equality and Diversity in the Global Era, Princeton, Princeton University Press. Besussi, A. (2004). La libertà di andarsene. Autonomia delle donne e patriarcato, in «Ragion pratica», 23, 2, 433-451. Facchi, A. (2001). I diritti nell’Europa multiculturale, Roma-Bari, Laterza. 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