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Multiculturalismo e Costituzione

2017, Edizioni Università di Trieste, Trieste

En Serena Baldin y Moreno Zago (eds.) Europe of migrations: policies, legal issues and experiences Il mondo occidentale sta assistendo a una straordinaria trasformazione sociale che trova la sua causa ultima in motivi di ordine demografico ed economico. La stagnazione, se non la diminuzione, del numero di abitanti in Europa e nell’area occidentale conosciuta come Primo Mondo contrasta, in generale, con lo spettacolare aumento del numero di individui nelle zone geografiche meno occidentalizzate distinte dal Primo Mondo. Questo squilibrio demografico si pone in una relazione inversamente proporzionale all’aumento del benessere in occidente o Primo Mondo e nel mondo non occidentale o Terzo Mondo. Il risultato è una emigrazione dalle aree del Terzo Mondo verso il Primo. Il fenomeno migratorio da un determinato spazio geo-culturale verso altri non è nuovo. Tuttavia, è nuovo il fatto che questa emigrazione avvenga in modo così consistente e in un lasso di tempo tanto breve.

Europe of Migrations: Policies, Legal Issues and Experiences BIBLIOTECA DELLA SOCIETÀ APERTA STUDI E RICERCHE 3 Edited by Serena Baldin and Moreno Zago BIBLIOTECA DELLA SOCIETÀ APERTA STUDI E RICERCHE 3 BIBLIOTECA DELLA SOCIETÀ APERTA Studi e ricerche DIREZIONE EDITORIALE / EDITORS Diego Abenante, Serena Baldin, Giuseppe Ieraci, Luigi Pellizzoni COMITATO SCIENTIFICO / SCIENTIFIC BOARD Matthijs Bogaards (Jacobs University Bremen), Bernardo Cardinale (Università di Teramo), Danica Fink-Hafner (Univerity of Ljubljana), Damian Lajh (University of Ljubljana), Luca Lanzalaco (Università di Macerata), Liborio Mattina (già Università di Trieste), Leonardo Morlino (Luiss Guido Carli Roma), Lucio Pegoraro (Università di Bologna), Guido Samarani (Università Ca’ Foscari Venezia), Michelguglielmo Torri (Università di Torino), Luca Verzichelli (Università di Siena) logo design: Pierax Il presente volume è stato pubblicato con il contributo del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università degli Studi di Trieste. Opera sottoposta a peer review secondo il protocollo UPI – University Press Italiane impaginazione Gabriella Clabot © copyright Edizioni Università di Trieste, Trieste 2017. Proprietà letteraria riservata. I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale e parziale di questa pubblicazione, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm, le fotocopie e altro) sono riservati per tutti i paesi. ISBN 978-88-8303-851-8 (online) EUT Edizioni Università di Trieste via Weiss 21, 34128 Trieste http://eut.units.it https://www.facebook.com/EUTEdizioniUniversitaTrieste Europe of Migrations: Policies, Legal Issues and Experiences Edited by Serena Baldin and Moreno Zago EUT EDIZIONI UNIVERSITÀ DI TRIESTE Table of Contents Serena Baldin, Moreno Zago 7 Introduction The European Union Migration Policy Alessia Vatta 13 The EU Migration Policy between Europeanization and Re-Nationalization Francesco Cherubini 33 The “EU-Turkey Statement” of 18 March 2016: A (Umpteenth?) Celebration of Migration Outsourcing Ezio Benedetti 49 The Balkan Route of Illegal Migration and the Role of EU in Facing this Emergency: A Stimulus of a Brake for Enlargement? Serena Baldin, Moreno Zago 63 The Common European Asylum System and the Social Emergency of Unaccompanied Foreign Minors Delia Ferri 89 The Role of the European Union in Protecting the Rights of Asylum Seekers with Disabilities Issues on Legal Integration of Immigrants Carlos Ruiz Miguel 109 Multiculturalismo e Costituzione 5 Maria Chiara Locchi 129 Immigration Policies and the “Unbearable Lightness” of Integration: The Case of Pre-Entry Integration Requirements in Europe Juan José Ruiz Ruiz 147 The Asylum Legal Framework and the Social Integration of Refugees in Spain Charles O’Sullivan 177 Conceptualising the Irish Immigration System for Third-Country Migrants Maria Dolores Ferrara 197 Migrants and Welfare between Social Rights and Status Issues in Italy Davide Monego 217 Il diritto alla salute dello straniero nell’ordinamento italiano Experiences of Migration Ornella Urpis 239 Ethnicity: Some Conceptual Definitions Giovanni Delli Zotti, Donatella Greco 255 L’esperienza italiana e triestina nell’accoglimento dei titolari e richiedenti protezione internazionale Anna Maria Boileau, Daniele Del Bianco, Olivia Ferrari, Ramona Velea, Chiara Bianchizza 293 The Hope Boats of the Balkans. Field Research on Asylum Seekers in Gorizia Marco Omizzolo 307 Tratta internazionale nell’area del Mediterraneo e sfruttamento lavorativo: il caso della comunità indiana in provincia di Latina Diego Abenante 329 The Pakistani Community in Italy: Religion, Kinship and Authority Pietro Neglie 343 Gli Armeni in Italia: emigranti per bisogno, profughi per necessità. La diaspora dopo i grandi massacri e il genocidio Cesare La Mantia 359 La fuga dall’Ungheria nel 1956: le cause e i primi interventi internazionali a sostegno dei profughi 6 Multiculturalismo e Costituzione carlos ruiz miguel* 1. Premessa introduttiva Il mondo occidentale sta assistendo a una straordinaria trasformazione sociale che trova la sua causa ultima in motivi di ordine demografico ed economico. La stagnazione, se non la diminuzione, del numero di abitanti in Europa e nell’area occidentale conosciuta come Primo Mondo contrasta, in generale, con lo spettacolare aumento del numero di individui nelle zone geografiche meno occidentalizzate distinte dal Primo Mondo. Questo squilibrio demografico si pone in una relazione inversamente proporzionale all’aumento del benessere in occidente o Primo Mondo e nel mondo non occidentale o Terzo Mondo. Il risultato è una emigrazione dalle aree del Terzo Mondo verso il Primo. Il fenomeno migratorio da un determinato spazio geo-culturale verso altri non è nuovo. Tuttavia, è nuovo il fatto che questa emigrazione avvenga in modo così consistente e in un lasso di tempo tanto breve. L’elevato numero delle nuove popolazioni e la rapidità di ingresso hanno un impatto nel Primo Mondo con vaste conseguenze sociali, economiche, politiche e culturali. Il diritto in genere, e la costituzione in particolare, * Professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Santiago de Compostela (Spagna). Articolo tradotto da Serena Baldin dalla versione spagnola “Multiculturalismo y Constitución”, Cuadernos Const. de la Cátedra Fadrique Furió Ceriol, 36/37, 2001. 109 si trovano dinnanzi a una sfida inattesa e imprevista. Le istituzioni del diritto privato relative al diritto di famiglia e delle successioni e le istituzioni del diritto pubblico quali i diritti fondamentali, così come cristallizzate nel moderno Stato occidentale, sono messe in discussione. Il proposito di questo studio è di offrire una risposta alla delicata questione se l’emergente ideologia “multiculturalista” sia compatibile con l’idea di costituzione. A tale fine, in primo luogo si chiarirà cosa si intende in questa sede per cultura e multiculturalismo. Nel prosieguo, si esamineranno le relazioni fra la cultura e il diritto. In terzo luogo, si rifletterà sulla relazione tra cultura e costituzione. Qui si analizzerà, da un lato, come determinate culture abbiano richiesto o reso possibile l’idea di costituzione e, dall’altro lato, come la costituzione abbia promosso o salvaguardato una cultura. In quarto luogo, si tenterà di verificare se l’esistenza di “multiculture” possa esigere o rendere possibile l’idea di costituzione e se la costituzione possa promuovere o salvaguardare qualsiasi cultura. In finale, si tenterà di argomentare perché l’idea di costituzione potrà forse sopravvivere separata da questa determinata idea di cultura che si rintraccia in origine, ma non potrà coesistere con l’ideologia del multiculturalismo o con qualsiasi altra cultura essenzialmente incompatibile con l’idea costituzionale. 2. Cultura e multiculturalismo Non vi è accordo su cosa debba intendersi per cultura. Si contano centinaia di definizioni (Prieto de Pedro 1983, 25; Tajadura Tejada 1997, 107 ss.), che si sono provate a raccogliere attorno a quattro tipi di idee: quella dell’educazione classica greca; della combinazione dei risultati uniti agli sforzi dello spirito; dell’ideale o della finalità spirituale; della soluzione che offrono i comportamenti degli uomini o dei gruppi umani nella vita, nella natura o nella società (Uscatescu 1973, 30 s.). Tuttavia queste definizioni, come vedremo, ammettono sovrapposizioni che le rendono poco utili nella pratica: si pensi, ad esempio, al caso di un individuo che rafforzi la propria cultura (nel primo significato) avvalendosi di una serie di ideali o di finalità spirituali (terzo significato). Pertanto, in questa sede optiamo per una nozione di cultura diversa e ritenuta correttamente operativa. L’idea di cultura che ci accingiamo a impiegare è quella esposta dal grande Hermann Heller. Secondo questo studioso, la cultura appare come «l’inserimento dei fini umani nella natura» (Heller 1942, 50). L’autore concepisce due significati di cultura: «cultura soggettiva» e «cultura oggettiva». La cultura soggettiva è «quella parte del mondo fisico concepita come formazione umana diretta verso un fine». L’uomo, arando la terra, costruendo case, creando opere d’arte o formando se stesso o gli altri in modo cosciente o inconsapevole, è portatore di cultura: possiede e crea cultura. La cultura oggettiva, d’altro canto, è quella in cui appaiono riunite, come patrimonio culturale o come spirito oggettivo, tutte le formazioni dell’uomo prodotte dalla connessione con le sue esperienze, essendo c. ruiz miguel 110 irrilevante che si siano proiettate al di fuori della psiche, inserendosi nella natura o meno. Dunque, come afferma Heller, in ultima istanza esiste solo cultura soggettiva, poiché tutti i beni culturali (la cultura oggettiva) sono soltanto una “possibilità” di cultura. Così, per esempio, i prodotti tecnici dei greci e dei romani non costituirono un bene di cultura per i barbari. Da cui si può affermare che «la cultura sta con l’uomo e solo con lui» e che «lo spirito oggettivo diviene realtà solo come spirito soggettivo e difetta, in assoluto, di esistenza se non è vissuto e compreso, nella realtà psichica, dagli uomini» (Heller 1942, 54). Sembra esserci maggiore accordo riguardo alla nozione di multiculturalismo. Seguendo Sartori, si può intendere in due modi: da una parte, come un fatto, un’espressione che registra l’esistenza di una molteplicità di culture; dall’altra parte, come un valore, che implica una politica di riconoscimento delle diverse culture. Questo riconoscimento esige che tutte le culture non solo meritino rispetto (come nel pluralismo), bensì un eguale rispetto, per la semplice ragione che secondo il multiculturalismo tutte le culture hanno eguale valore (Sartori 2001, 61 e 79). Questo assioma è stato duramente criticato da Sartori con un ragionamento difficilmente confutabile: ossia che «attribuire a tutte le culture “eguale valore” equivale ad adottare un relativismo assoluto che distrugge la nozione stessa di valore», poiché «se tutto vale, nulla vale: il valore perde ogni valore» (Sartori 2001, 79 s.). 3. Cultura e Diritto Una volta esposti i concetti di cultura e di multiculturalismo, il passo successivo è quello di chiarire la relazione che la cultura intrattiene con il diritto. A tale scopo, occorre precisare cosa intendiamo qui per diritto. Partendo dall’idea di un autorevole teorico della politica, secondo il quale il diritto è una «dialettica della politica e dell’etica» (Freund 1965, 5), facciamo un passo avanti proponendo di definire il diritto come una decisione politica con aspirazioni etiche articolata in una forma normativa (Ruiz Miguel 2002). Il diritto, pertanto, non è qualsiasi dialettica fra politica ed etica, bensì solo la dialettica formulata in modo normativo. Allora, se l’elemento formale del diritto (l’articolazione di questo in via normativa) può considerarsi neutro dal punto di vista culturale, lo stesso non accade con gli altri suoi elementi sostanziali: la politica e l’etica. Per verificare la connessione che la cultura ha con il diritto, proveremo a dimostrare la connessione della cultura con questi due elementi del giuridico, la politica e l’etica. Il già citato Freund ha segnalato, accogliendo la tradizione hobbesiana, che uno dei presupposti della politica è la relazione fra il comando e l’obbedienza (Freund 1965, 101 ss.). Il comando è durevole se mette radici profonde nella società alla quale si dirige. Il comando, con le sue decisioni, leggi e altre istituzioni, modella l’ordine sociale; allo stesso tempo, il comando può vivificare o deteriorare la propria autorità a seconda di come pretenda obbedienza e della forma dei multiculturalismo e costituzione 111 suoi ordini. In questo modo, il comando necessita, da una parte, del consenso tacito della società e, dall’altra, dell’appoggio diretto o della partecipazione più o meno attiva di certi strati sociali convinti della bontà della sua causa e dell’orientamento della sua politica. La “sede sociale” del comando, in tanto in quanto trovi il sostegno di una o più classi sociali, si chiama potere. Nella teoria politica si rinviene la figura del “sostenitore” o del “partigiano”, colui che rivendica (giustificatamente o meno) il dominio privilegiato su una certa classe o strato sociale. Il potere è rintracciabile in tutti i luoghi in cui esiste il dominio dell’uomo sull’uomo: non solo mediante la costrizione fisica, bensì anche mediante il dominio ideologico o spirituale dei mezzi di informazione o della cultura (Freund 1965, 246 s., 249). Secondo quanto finora espresso, si va profilando una relazione tra politica e cultura. Così, da un lato, sappiamo che la cultura soggettiva è «quella parte del mondo fisico concepita come formazione umana diretta verso un fine». Dall’altro lato, si è detto che la politica ha fra i suoi presupposti la relazione fra il comando e l’obbedienza, che tale comando acquisisce un’efficacia duratura soltanto qualora si radichi in strati sociali convinti della bontà della sua causa, e che il conseguente dominio si ottiene non solo con la costrizione fisica ma anche con il dominio culturale. La conclusione è che alcuni dei fini verso cui si indirizzano certe azioni umane nel mondo fisico possono coincidere con i fini del dominio stabiliti in un comando che pretende obbedienza. Come afferma Heller, «un potere politico è tanto più fermo quanto più riesce a fare in modo che sia riconosciuta la pretesa di obbligatorietà per le sue idee e sistemi normativi e per le regole di costume, morale e diritto da esso accettate e che sono, allo stesso tempo, il suo fondamento». In effetti, «il suo prestigio politico cresce se si ottiene che il tipo di cultura rappresentato politicamente da esso sia adottato come modello per la formazione della vita» e così «le stesse forme del linguaggio, della letteratura, della musica e delle arti plastiche possono, in determinate circostanze, operare efficacemente a vantaggio del potere politico». La conclusione a cui perviene Heller, allora, è che «nessuno Stato può rinunciare all’utilizzo dei poteri spirituali per i suoi fini» (Heller 1942, 225). Dunque, la politica non è la stessa cosa della cultura, ma una politica durevole pretende sempre di basarsi su una cultura. Il dato fondamentale da cui muove l’etica non è altro che la libertà, come evidenziato da Savater in un’opera oramai classica. Ciò che accade nella nostra vita è, almeno in parte, il risultato di ciò che vogliono tutti. E, in effetti, se la nostra vita non fosse altro che qualcosa di completamente determinato e fatale, irrimediabile, tutte le disquisizioni etiche non avrebbero il benché minimo significato. Non ci sono animali buoni o cattivi in natura (Savater 2000, 23). L’essere umano, certamente, non può fare qualunque cosa desideri, ma non è meno sicuro che non sia obbligato a voler fare una cosa soltanto. Savater precisa inoltre la portata della libertà in due sensi. In primo luogo, sebbene non siamo liberi di scegliere ciò che ci accade, siamo liberi di reagire in un modo o in un’altro a quello che ci accade. In secondo luogo, l’essere liberi per provare qualcosa non ha nulla a che vedere con c. ruiz miguel 112 l’ottenerlo immancabilmente, dunque la libertà non è uguale all’onnipotenza: «ci sono cose che dipendono dalla mia volontà (e questo è essere liberi), ma non tutto dipende dalla mia volontà (allora sarei onnipotente)». Si deve riconoscere che esistono molte forze che limitano la nostra libertà, ma anche che la nostra libertà è una forza nel mondo: la nostra forza (Savater 2000, 28 s.). Se il dato fondamentale dell’etica è la libertà, il suo fine è la felicità. Già Aristotele sostiene, in una sua classica opera, che qualsiasi arte, dottrina, azione o elezione mira a qualche bene, questo definendosi come ciò cui ogni cosa tende (Aristotele 1984, 47, nr. 1094a). Per lo stagirita, l’ultimo e sommo bene di tutte le nostre azioni è la felicità, il vivere bene e l’operare bene (Aristotele 1984, 50, nr. 1095a). La felicità è qualcosa che «scegliamo sempre per se stessa e non mai a motivo di altro», la felicità è usare l’anima secondo la ragione, è una «attività dell’anima secondo perfetta virtù» (Aristotele 1984, 57, nr. 1097b, 58, nr. 1098a, 68, nr. 1102a). La virtù nell’ambito dei comportamenti non è altro che ciò che è in noi naturalmente, perché per Aristotele quello che siamo è naturalmente predisposto a riceverla; riceviamo potenze, ma dobbiamo svilupparle in atti. Così, compiendo cose giuste diventiamo giusti, dato che le abitudini sorgono dagli atti (Aristotele 1984, 75 s., 1103a-1103b). La cultura, nel significato offerto da Heller e qui accolto, non si può confondere con l’etica. Ricordiamo che, per questo autore, la cultura soggettiva è «quella parte del mondo fisico concepita come formazione umana diretta verso un fine». Tuttavia, se è certo che la cultura non è equiparabile all’etica, non per questo ne è aliena. Invero, le finalità a cui l’essere umano può indirizzare alcune parti del mondo fisico possono essere fini etici. La cultura può essere creata, dunque, per perseguire il fine etico per eccellenza che è la felicità. 4. Cultura e Costituzione Si sono proposti molteplici concetti di costituzione (Schmitt 1982, 29 ss.) ma, al giorno d’oggi e nella nostra civiltà, nessuno mette più in dubbio che la costituzione sia una norma giuridica, la norma giuridica suprema nelle relazioni politiche. Come abbiamo detto, il diritto è, a nostro avviso, una dialettica tra la politica, l’etica e la logica: è una decisione politica dal contenuto intenzionalmente etico formulata in modo normativo. In quanto politico, tutto il diritto ha sempre presente la cultura per cercare di consolidare la sua presenza. In quanto etico, il diritto può perseguire gli stessi fini a cui si rivolge la creazione della cultura. La costituzione, proprio essendo diritto, è cultura, dato che «la cultura di oggi è una cultura giuridica» e, di conseguenza, «è la stessa cultura quella che, in quanto cultura giuridica, restituisce, se necessario, giuridicità alla costituzione» (Cruz Villalón 1998, 21). Si è inoltre segnalato che la costituzione non è una norma giuridica ordinaria, bensì peculiare. Questa peculiarità di norma giuridica costituzionale è che giu- multiculturalismo e costituzione 113 stamente è la norma più politica e più etica dell’ordinamento e, per questo, anche la più culturale. Queste idee, benché si avvicinino a quelle formulate da Häberle, non coincidono con esse. Secondo il giurista tedesco, la costituzione non è solo un testo giuridico o un insieme di regole normative, bensì è anche espressione di un determinato livello di sviluppo culturale, è espressione dell’auto-rappresentazione culturale di un popolo, specchio del suo patrimonio culturale e fondamento delle sue aspettative (Häberle 1982, 19). In questo senso, tutta la costituzione è cultura. Questo ci conduce a un paradosso. Da un lato, una costituzione è un oggetto o una creazione di una data cultura e, giustamente, si può dire che l’idea di costituzione sia una creazione della cultura occidentale o che una determinata costituzione (ad esempio la costituzione degli Stati Uniti d’America) sia espressione di una determinata cultura (nel caso menzionato, quella anglosassone). L’espressione cultura costituzionale o costituzionalista ci avvicina alla comprensione della relazione fra questi concetti. Ora, dall’altro lato, la cultura è oggetto o creazione di una data costituzione e non è azzardato affermare che il rispetto per certi beni culturali (in senso ampio, ad esempio, il patrimonio archeologico) possa essere creazione di una data costituzione o che una costituzione crei in un paese una cultura (cultura democratica, partecipativa, ecc.) che prima poteva non esistere. In quest’ultimo significato si può parlare di costituzione culturale. Nel presente lavoro utilizziamo ambedue i concetti, di cultura costituzionale e di costituzione culturale e, in questo senso, tenteremo di dimostrare i legami che esistono tra essi e che spiegano il diverso modo in cui si sono prodotte le relazioni fra cultura e costituzione nei due ultimi secoli. 4.A. La cultura costituzionale 4.A.1. Il presupposto etico-religioso della cultura costituzionale Se, come sopra chiarito, l’idea di costituzione è quella di una legge (ossia una decisione politica di ispirazione etica formulata in modo logico-normativo) di natura superiore, quest’idea è possibile solo in una cultura che ammetta il carattere supremo di una legge statale, quanto meno nelle questioni politiche. La cultura europea ha storicamente presentato le condizioni affinché si potesse sviluppare siffatta concezione, per tre motivi. In primo luogo, sin dall’antichità greca si rintraccia una tradizione politica di governo limitato, con l’intento di sostituire il governo degli uomini con il governo delle leggi, che si è mantenuta, almeno in linea teorica, fino al sorgere del costituzionalismo. Questa tradizione ha reso certamente molto più accettabile l’idea di costituzione intesa come un nuovo strumento per garantire il governo delle leggi e per evitare l’arbitrarietà degli uomini. In secondo luogo, in Europa esiste una tradizione etica, anch’essa derivante dal pensiero greco, che è plurale, come varie furono le proposte relative al modo migliore per perseguire la felicità. Tale pluralismo etico ha conferito al c. ruiz miguel 114 diritto e, di conseguenza, all’idea di costituzione la flessibilità sufficiente per svilupparsi. Infine, dall’accettazione del cristianesimo si è posta la premessa affinché la religione così unanimemente condivisa non bloccasse il pensiero politico. La premessa, fondamentale, è la separazione tra la sfera religiosa e quella politica, che si ritrova in due importanti passaggi del Nuovo Testamento («Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» e «Ogni persona stia sottomessa alle autorità superiori; perché non vi è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono sono stabilite da Dio») e che si sviluppa durante il Medioevo. 4.A.2. La cultura costituzionale liberale Il costituzionalismo, ossia l’idea secondo cui le relazioni politiche di una società devono essere rette da una costituzione, sorge alla fine del XVIII secolo ed è la cristallizzazione nella sfera politica di una serie di idee imperanti nella cultura dell’epoca che plasmeranno un ambito specifico, che possiamo chiamare cultura costituzionale. La prima concezione a presiedere tale fase è quella della razionalità. Il paradigma filosofico dell’epoca moderna si basa su un postulato di fondo: la divisione della realtà in res cogitans e res extensa ad opera di Cartesio (Cartesio 1983, 72). Siffatta separazione ed emancipazione della res cogitans è un corollario del principio teologico del libero arbitrio. La scissione si radicalizzerà fino a considerare la res extensa come qualcosa di totalmente subordinato alla res cogitans. Da tale prospettiva sorgerà il costruttivismo razionalista che considera la res extensa come inerte e illimitatamente malleabile dalla res cogitans, ossia dalla ragione. Questo schema di pensiero domina l’epoca moderna e si manifesta in molteplici forme, riempiendo di contenuto i concetti di res cogitans e res extensa. Anche altri postulati caratterizzano la Modernità, che si articolano insieme alla divisione cartesiana configurando tale paradigma: l’ottimismo antropologico e il suo corollario, l’idea di progresso, il meccanicismo, la tecnica, ecc. Per ciò che concerne lo Stato, la prospettiva cartesiana si applica per la prima volta alla teoria politica grazie all’opera di Hobbes (Freund 1990, 17 s.). La considerazione del legislatore o del governante come strumento razionalizzatore (res cogitans) della società (res extensa), oltre a essere motivo della comparsa delle ideologie e delle utopie, determina, dal punto di vista giuridico, una specifica forma di intendere il diritto, che assegna autonomia allo Stato per la configurazione attiva, dall’alto, della realtà sociale (Porras Nadales 1989, 70). La costituzione qui si considera come un «codice scritto – razionale, ordinato e sistematico –, che regola in modo organico e funzionale lo statuto dei poteri dello Stato, promanante dal potere costituente, che può essere modificato solo in via espressa mediante un procedimento di riforma previsto nello stesso testo costituzionale» e che contiene i «principi politici fondamentali di una comunità» (Blanco Valdés 2000, 106). Pertanto, la costituzione è, essenzialmente, un intento razionale di organizzare la comunità politica (Blanco Valdés 2000, 98, 104), ossia l’applicazione in ambito politico di un’idea (il razionalismo) dapprima formulata nel campo multiculturalismo e costituzione 115 filosofico e che va a definire una nuova tappa della storia della cultura, alla quale si attribuisce il nome di Modernità. La seconda idea a presiedere la cultura in questo periodo è l’omogeneità. La società in cui si produce tale cultura, la società europea, in siffatto contesto storico può considerarsi omogenea. Si tratta principalmente di una omogeneità spirituale e anche, per certi aspetti, socio-economica, che subirà una mutazione sostanziale con l’avvento del costituzionalismo. L’omogeneità spirituale si fonda sulla comune accettazione dell’idea di ordine. Così, per quanto taluni prendano a unità di riferimento della cultura l’umanità e altri un determinato popolo (Tajadura Tejada 1997, 107 ss.), non v’è nessun dubbio che esista un’accettazione volontaria e spontanea di alcuni principi accolti in via generale nell’unità di riferimento considerata: c’è una cultura umana, o una cultura spagnola, o una cultura tedesca. La proclamazione e l’esercizio della libertà di pensiero non costituisce un impedimento all’esistenza di tale omogeneità (Lucas Verdú 1984, 356), poiché l’omogeneità rappresenta proprio l’humus, il sostrato preliminare su cui si sviluppa la libertà. E, infatti, le dichiarazioni della libertà di pensiero sono la conseguenza di una preventiva affermazione della libertà religiosa che, peraltro, è il risultato di una diversità di interpretazioni sull’unica religione generalmente accettata in Europa, il cristianesimo. La libertà religiosa si proclama nell’ambito di un pluralismo limitato di religioni. In questo pluralismo religioso si trovano anche, da un lato, il giudaismo, la cui presenza in Europa precede la nascita del cristianesimo e con il quale ha vincoli di parentela e, dall’altro lato, il deismo (nelle sue diverse manifestazioni). Nondimeno, il pluralismo non si estende a tutte le religioni. Quando si proclama la libertà religiosa in Europa o in America non si pensa all’induismo o all’islam (ed è proprio nello stesso momento in cui tale diritto si afferma che si combatte questa religione volta a conquistare con le armi il vecchio continente). Il dato è chiaramente evidente nel processo di stesura della costituzione statunitense. Lì Jay può affermare che l’America indipendente è un paese unito grazie agli stessi avi, alla stessa lingua, alla stessa religione e agli stessi principi di governo (Hamilton, Madison, Jay 1961, n. 2, 38). Si potrebbe sostenere che Madison parli di pluralità di opinioni religiose o di sette religiose (Hamilton, Madison, Jay 1961, n. 10, 79, n. 51, 324). Tuttavia, una interpretazione congiunta delle idee di Jay e di Madison rivela che tale pluralità di sette o di opinioni religiose hanno “qualcosa in comune” e non si fondano su qualcosa di radicalmente opposto. Esiste, di conseguenza, il riconoscimento di un ordine divino che precede la formazione di un quadro comune, l’elemento dell’omogeneità, sopra cui si edifica la cultura europea in questo momento storico. Ora, non è meno certo che, con l’avvento del costituzionalismo, tale ordine venga a essere interpretato in modi molto distinti dal cristianesimo da un lato, e dal deismo dall’altro. Questa credenza fondamentale in un ordine divino è la base su cui si sorreggono le costituzioni, da quelle democratiche liberali dell’epoca (come la statunitense, resa «il c. ruiz miguel 116 17 settembre dell’Anno di Nostro Signore 1787» o la spagnola del 1812 adottata «in nome di Dio onnipotente») fino ai postulati antidemocratici tradizionalisti. Oltre all’omogeneità spirituale di fondo esiste una finzione di omogeneità socio-economica. Infatti, sebbene sia nell’ancien régime sia nel nuovo regime che avanza si noti una diversità di status sociali e di situazioni economiche, questa resta occultata dal fatto che solo le classi socio-economiche elevate (nell’antico regime, i nobili e il clero; nel nuovo, anche la borghesia) possono stabilire ciò che debba intendersi per cultura di una società. Gli apporti delle altre classi sociali rimangono ai margini e, pertanto, difettano di visibilità, di ripercussioni e di rilevanza; di conseguenza, l’immagine offerta è di una notoria omogeneità, sebbene si tratti solo di una finzione. Ma già sappiamo che anche le finzioni operano sulla realtà. 4.A.3. La cultura costituzionale socialista Dopo i momenti fondativi dello Stato costituzionale, andiamo a osservare che, durante il secondo terzo del XIX secolo, si generano mutamenti nei fattori essenziali della cultura costituzionale liberale: meno radicali nell’elemento della razionalità, maggiori in quello della omogeneità. La teoria marxista, in contrapposizione alle idee liberali, conserva l’idea della razionalità ma la mescola con elementi che la deterioreranno. L’elemento della continuità è espresso nell’undicesima delle Tesi su Feuerbach (1845) di Marx, secondo cui fino ad allora i filosofi si erano limitati a interpretare il mondo in modi diversi, mentre è giunto il momento di trasformarlo (Marx, Engels 1985, 372). Questa tesi, in fondo, non è che la logica conseguenza dell’idea del razionalismo cartesiano: se il mondo ha una logica, la sua conoscenza può utilizzarsi per operare nel mondo. In questo senso, il marxismo non costituisce, propriamente parlando, un momento di rottura con la cultura che alimenta il costituzionalismo. La pretesa trasformatrice trova accoglienza nel testo costituzionale mediante l’inclusione delle norme sui fini dello Stato o norme programmatiche. Siamo di fronte a ciò che Gomes Canotilho chiama «costituzione dirigente» (Gomes Canotilho 1982). Il marxismo introduce varie idee che minano la visione classica dell’idea razionalista. Così, in primo luogo, e contro la tradizione precedente, la teoria della conoscenza di Marx (esposta in L’ideologia tedesca, 1846) sostiene che non esiste un ragionamento “puro” e che tutti i giudizi razionali, tutta la conoscenza, sono contaminati, deliberatamente o inconsapevolmente, dalla presenza e al servizio di interessi determinati: è il passaggio dalla razionalità all’ideologia. In secondo luogo, e in relazione con il primo punto, vi è l’idea espressa da Marx nella Critica dell’economia politica (1859) secondo cui la cultura, le idee, non costituiscono altro che una sovrastruttura che è determinata costantemente dalle condizioni economiche del momento, ossia l’infrastruttura (Marx, Engels 1985, 335 s.). Il determinismo economico e gnoseologico di queste proposizioni conduce a un intenso dibattito sulla razionalità come principio guida della cultura. Peraltro, multiculturalismo e costituzione 117 e qui si rinviene l’elemento che ancora vincola Marx alla tradizione, queste idee contro la posizione della razionalità nel mondo sono esposte razionalmente. Il mutamento sostanziale si produce nei riguardi dell’idea di omogeneità, ponendo in dubbio il fatto che la società europea sia omogenea tanto dal punto di vista spirituale che da quello socio-economico. La messa in discussione dell’omogeneità spirituale della nuova società si articola lungo due direttrici. Da una parte, i difensori del pensiero tradizionale e del mondo pre-costituzionale reputano che il costituzionalismo costituisca un movimento incompatibile con i principi tradizionali. Questo contrasto si ravvisa in molti modi e luoghi; valga come esempio la lotta di cui fu testimone la terra spagnola fra i tradizionalisti (i carlisti) e i liberali e che condusse a una guerra sanguinosa. Dall’altra parte, i difensori delle nuove idee socialiste, come Engels, considerano lo Stato (vale a dire il costituzionalismo) non una creazione del pensiero umano (da una prospettiva universale) o del pensiero nazionale di un dato paese, bensì più semplicemente una creazione del pensiero della classe sociale dominante, la borghesia, in antitesi agli interessi delle altre classi sociali (Marx, Engels 1985, 570 ss.). La messa in discussione dell’omogeneità socio-economica discende dal rilievo che il socialismo dà all’esistenza delle diverse classi sociali e, più in concreto e come espresso nel Manifesto del partito comunista (1848), all’importanza che la lotta di classe, la contrapposizione fra queste, ha per il cammino della Storia (Marx, Engels 1985, 26). Da tale prospettiva, la costituzione è intesa, come fece Lassalle, quale espressione del rapporto tra le forze di potere (Lassalle 1984). Di conseguenza, la messa in discussione dell’omogeneità, in fondo, verte sull’affermazione dello stesso principio precedente, ossia la possibilità di definire un ordine socio-politico nuovo, distinto, ma uno. 4.A.4. La cultura costituzionale nichilista Agli albori del XX secolo si nota in tutti gli ambiti della cultura, in senso lato, lo sgretolamento delle idee di razionalismo e ordine. In tal modo, il processo iniziato nella fase dello Stato sociale si accentua. Sebbene lo sviluppo economico dei popoli occidentali (il Primo Mondo) mitighi le divisioni socio-economiche, il fallimento dell’omogeneità spirituale si fa più marcato, amplificando gli effetti della perdita di centralità dell’elemento razionale. Invero, le creazioni culturali che appaiono nel XX secolo sembrano cospirare per allontanarsi dalle idee guida del paradigma culturale precedente. L’idea di razionalità viene attaccata da molti fronti. Da un lato, la teoria della psicoanalisi di Freud sottolinea l’importanza dell’inconscio; dall’altro, lo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione audiovisivi, con l’enorme capacità di influenzare la psiche del soggetto che riceve l’immagine e per la facilità con cui l’immagine può raggiungere la sensibilità neurovegetativa, annullano i filtri del razionale (Gómez de Liaño 1989, 193 ss.). Anche le idee di principio e di ordine vengono gravemente colpite dagli attacchi provenienti da diverse angolature. In primo luogo dalla filosofia della co- c. ruiz miguel 118 noscenza, dove gli apporti convergenti di Nietzsche e del pragmatismo hanno effetti devastanti sull’idea di “principio”. Secondo l’autore tedesco, i punti di vista o le prospettive umane sulla realtà sono, in modo irriducibile, tante quanti gli individui che le contemplano o quante le situazioni dalle quali sorge la riflessione (Galán y Gutiérrez 1947, 345). Il pragmatismo, da parte sua, considera l’uomo non come un soggetto razionale o consapevole, bensì come un essere volitivo e attivo il cui compito fondamentale consiste nell’azione (Galán y Gutiérrez 1947, 183). In secondo luogo dall’arte, tanto il cubismo nella pittura (Picasso) quanto la dodecafonia nella musica (Schönberg) prescindono completamente dall’idea di un principio guida di un ordine. La sostituzione dell’idea di principio con quella di relazione e dell’idea di ordine con quella del caos, in definitiva l’espansione del nichilismo, conduce a una perdita di referenti. Questo fenomeno sarà molto più accentuato in Europa che negli Stati Uniti. Dal punto di vista della libertà religiosa, ciò porta a un’espansione inusitata e illimitata. Dato che non si accetta l’esistenza di un’omogeneità spirituale né positiva (affermazione del cristianesimo come base) né negativa (affermazione dell’ateismo), il risultato è una posizione che oscilla tra l’indifferenza religiosa e la cooperazione con le religioni. Ben inteso, in entrambi i casi non si fanno distinzioni di sostanza tra le fedi, qualunque sia il loro contenuto. Si potrebbe dire che, da tale prospettiva, tutte le religioni sono uguali per lo Stato, sia che si tratti di ignorarle che di disciplinarle, indipendentemente dai loro contenuti. Lo sviluppo della cultura europea, in questo contesto, conduce a una disintegrazione interna delle società a causa della mancanza di un elemento di coesione spirituale. In tale circostanza, la costituzione è intesa in due modi. In primo luogo, come una semplice regola del gioco (concetto procedimentale della costituzione); e, in secondo luogo, come la fonte dei valori e non già come il prodotto di un’idea etico-religiosa (concetto sostanziale della costituzione). Entrambi i concetti di costituzione vengono duramente criticati da Schmitt. Nel primo significato, la costituzione procedimentale configura regole del gioco nelle quali il premio per il vincitore è la conquista dello Stato. Un impianto basato solo su queste caratteristiche postula un serio rischio per la stabilità dello Stato e la sopravvivenza stessa della costituzione (per una critica del concetto procedimentale è imprescindibile la lettura del saggio di Schmitt Legalità e legittimità, 1932, ora riprodotto in Aguilar 2001). Sartori afferma che, certamente, «il consenso più importante di tutti è il consenso sulle regole di risoluzione dei conflitti» ma, avverte, il pluralismo liberal-costituzionale esige qualcosa di più: un consenso «sul terreno dei fundamentals, sui principi fondamentali» (Sartori 2001, 36). Nel secondo significato, il ricorso ai valori è una scappatoia di fronte al legalismo positivista formalista o al normativismo puro. Ora, la costituzione sostanziale dei valori pone il problema di quali valori si stabiliscano e di chi li interpreti o eventualmente anche li crei. Qui si presentano problematicità enormi attorno al ruolo dei tribunali nella misura in cui, nel normativizzare costituzio- multiculturalismo e costituzione 119 nalmente alcuni determinati valori, i giudici pretendano di erigersi ad autorità etiche nell’interpretare le clausole di valori e nell’imporre certe esegesi su altre che, forse, hanno il sostegno della maggioranza popolare (sembra che il primo critico dei valori nella costituzione fu Schmitt, che applicò al diritto la critica che Heidegger rivolse ai valori sul piano filosofico; Schmitt 1961, 65 ss.). Per questi motivi, il metodo per valori dell’interpretazione costituzionale genera forti resistenze, principalmente con riguardo alla certezza giuridica. Forsthoff si confronta col metodo da egli denominato scientifico-spirituale (che deriva in ultima istanza da Smend) per ricondurre l’ordine giuridico a un ordine di valori, privo di contorni nitidi, che sta dietro a questo e che, a suo avviso, non consente una determinazione sufficientemente chiara, per cui non è adeguato per interpretare le norme giuridiche (Forsthoff 1959, 35 ss., 40. Non è casuale che Forsthoff sia stato un allievo di Schmitt). A suo parere, nel passare a una interpretazione guidata a contenuti materiali, il diritto costituzionale perde in razionalità ed evidenza (Forsthoff 1959, 51, 60), il che porta a una situazione di parziale dissoluzione (Forsthoff 1959, 59). 4.B. Il costituzionalismo culturale 4.B.1. Il costituzionalismo culturale liberale Abbiamo analizzato quale sia la cultura costituzionale in questo momento storico. Ora ci chiediamo cosa sia la costituzione culturale. Un’analisi superficiale potrebbe condurci a una conclusione sorprendente, ossia che non esiste nessuna costituzione culturale per la semplice ragione che la cultura è del tutto assente dalle costituzioni di epoca liberale (Prieto de Pedro 1983, 16, 21). Si potrebbe anche dire che in questo periodo esiste uno Stato di cultura, inteso quale libertà statale per la cultura (Huber 1958, 126). Partendo dall’assunto che la costituzione è un codice scritto – razionale, ordinato e sistematico – contenente i principi politici fondamentali di una comunità, il fatto che in esso non si riconoscano espressamente riferimenti alla cultura (il cui legame con la politica è già stato evidenziato) può portare a due interpretazioni opposte. In primo luogo, che proprio il carattere spiritualmente omogeneo delle società che si danno queste costituzioni e il conseguente carattere indiscusso dei loro principi a supporto della cultura, rende inutile proclamare con la solennità e le garanzie tipiche di una costituzione ciò che viene comunemente considerato ovvio. In tal modo, l’assenza espressa della cultura in costituzione si traduce in realtà in una presenza presupposta e inconfutabile della cultura medesima. Tuttavia, in secondo luogo, bisognerebbe capire che, proprio in quanto l’omogeneità della società che si dota di una costituzione è solo fittizia, la società positivizza una determinata cultura, ma lo fa in modo implicito. Così, sarebbe proprio nell’intero disegno politico dello Stato a trovarsi plasmata una certa cultura, escludendo le altre; e questo sarebbe il motivo per cui la costituzione venne contrastata tanto pugnacemente dalle correnti tradizionaliste prima e da quelle socialiste poi. c. ruiz miguel 120 Tanto l’una quanto l’altra interpretazione consentono di capire perché l’assenza “costituzionale” della cultura non sia un’assenza giuridica, come prova il fatto che nell’ambito meno “politico” della legalità ordinaria si trovino diverse norme relazionate con essa (Prieto de Pedro 1983, 17 s.; Alegre Ávila 1994, 41 ss.). 4.B.2. Il costituzionalismo culturale socialista La nuova realtà culturale prodotta dalla formulazione del socialismo non può non avere un riflesso nella costituzione e nella legge. Non cessa di essere significativo che le prime menzioni expressis verbis della cultura nelle costituzioni si trovino nei testi reputati essenziali per la configurazione dello Stato sociale: la costituzione messicana di Querétaro del 1917, la costituzione tedesca di Weimar del 1919 e la costituzione spagnola del 1931 (a cui vanno aggiunte la costituzione peruviana del 1920 e quella polacca del 1921). All’art. 3 della costituzione messicana del 1917 si fa riferimento alla cultura in un contesto importante: l’educazione. In conformità a questo precetto, l’educazione è democratica e nazionale. Tanto il richiamo democratico che quello nazionale si definiscono non solo con riguardo alla politica, bensì anche in relazione alle sfere economica, sociale e culturale. L’educazione e la cultura si convertono così in un fine dello Stato, che prova in questo modo a guadagnare un consenso messo in crisi dal deterioramento dell’omogeneità interna. L’art. 18 della costituzione tedesca del 1919, da parte sua, allude al fattore culturale come criterio per determinare le unità politiche della Federazione. La costituzione spagnola del 1931, infine, accoglie ampiamente il fenomeno culturale sintetizzando e approfondendo le due precedenti esperienze: da un lato, considera la cultura un fine dello Stato da realizzarsi mediante un sistema educativo unificato, che consente di ricostruire l’omogeneità socioculturale oramai in crisi (art. 48); dall’altro lato, considera la cultura come un fattore importante per definire la struttura territoriale dello Stato (art. 11). Oltre a ciò, la cultura si traduce in un elemento di integrazione territoriale interna e di identificazione rispetto all’esterno (art. 50). Lo Stato liberale, minacciato nei suoi fondamenti dalle nuove idee del socialismo e dalle profonde fratture sociali, tenta di integrare in sé i settori che progressivamente si stanno allontanando. Si radica così il telos dello Stato sociale. L’integrazione si effettua fondamentalmente attraverso il «servizio dello Stato alla cultura» (Huber 1958, 129). Il presupposto di questa costruzione è che esiste una cultura, autonoma rispetto allo Stato, non creata da esso, che si considera dotata di virtualità sufficiente per fornire omogeneità sociale allo Stato. 4.B.3. Il costituzionalismo culturale nichilista Le conseguenze della trasformazione della cultura europea per opera del nichilismo si notano nello Stato e nella costituzione – dopo tutto, parti della realtà culturale. L’irruzione dell’inconscio in un ambito fino ad allora dominato dall’idea di razionalità ha il suo primo impatto nell’art. 118 della costituzione tedesca di Weimar, che esclude la cinematografia dal regime generale della libertà di multiculturalismo e costituzione 121 espressione. Questa scelta non è casuale dato che «il problema politico dell’influenza sulla massa da parte della cinematografia è tanto significativo che nessuno Stato può lasciare senza controllo questo potente strumento psico-tecnico; deve sottrarlo alla politica, neutralizzarlo, il che in realtà significa – posto che la politica è inevitabile – porlo al servizio dell’ordine esistente, anche quando non lo si voglia utilizzare apertamente come mezzo per l’integrazione di una omogeneità psicologico-sociale» (Schmitt 1982, 173). Il secondo e più brutale impatto (lasciando ai margini il caso della Russia sovietica, non completamente sussumibile nelle categorie europee) di questa disintegrazione delle idee classiche si produce con l’avvento dello Stato totalitario nazional-socialista. Tale Stato, che si presenta come un modello di anti-costituzionalismo, si fonda sul disprezzo per la razionalità (a differenza della Russia sovietica che cade nell’estremo opposto) e sul “trionfo della volontà” (per usare il titolo di un famoso film di Leni Riefenstahl). Qui ha un ruolo importantissimo l’uso della propaganda audiovisiva. Dopo alla sconfitta del nazismo, lo Stato europeo ritorna al costituzionalismo; ma la cultura è sostanzialmente cambiata e ciò si deve tradurre in un nuovo modo di concepire la costituzione. Così, in primo luogo, si mantiene l’idea della razionalità, senza ignorare l’importanza dell’inconscio; uno dei nuovi temi della costituzione è infatti quello del regime dei mezzi di comunicazione (in particolare gli audiovisivi), che sono uno dei veicoli fondamentali della creazione, trasmissione e recezione della cultura suscettibile di giungere all’inconscio senza passare per il filtro della razionalità. La costituzione conferisce poteri allo Stato per controllare la cinematografia e, soprattutto, la televisione. Già in un testo “quasi costituzionale” come la Convenzione europea dei diritti umani del 1950, dove si afferma il diritto alla libertà di espressione, di opinione e la libertà di ricevere o comunicare informazioni o idee, si prescrive che non è impedito «agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive» (art. 10.1). Disposizioni simili o analoghe si trovano nella costituzione irlandese del 1937 (art. 40.6.1.i), nella legge fondamentale tedesca di Bonn del 1949 (artt. 5 e 18), nella costituzione greca del 1975 (art. 15), portoghese del 1976 (art. 38), spagnola del 1978 (art. 20.3) e olandese del 1983 (art. 7). Come suesposto, la sostituzione dell’idea di principio con quella di relazione e dell’idea di ordine con quella del caos, in definitiva l’espansione del nichilismo, conduce a una perdita di referenti. Lo sviluppo della cultura europea, in questo contesto, genera una disintegrazione interna delle società, prive di un elemento di coesione spirituale. Qui la costituzione è intesa come una mera regola del gioco dove il premio per il vincente è la conquista dello Stato, ossia un apparato repressivo ed esattore. Il consolidarsi di queste caratteristiche mette in serio pericolo la stabilità statale e la sopravvivenza stessa della costituzione. Un triste esempio è offerto dal destino subito dalla Germania di Weimar. Davanti a una situazione del genere, lo Stato cerca di sopperire al deficit di omogeneità prodotto dalla cultura nichilista. In assenza di una cultura autonoma c. ruiz miguel 122 e antecedente alla costituzione che rappresenti la base dell’omogeneità, allo Stato diviene necessaria una cultura creata a posteriori rispetto alla costituzione con il fine di raggiungere l’essenziale omogeneità. Ci troviamo di fronte allo Stato di cultura, inteso come Stato che realizza una «attiva configurazione della cultura» (Huber 1958, 130). L’attiva configurazione della cultura si determina, fondamentalmente, nell’ambito educativo. Pertanto, si trovano testi che conferiscono allo Stato la competenza a realizzare una data educazione o che almeno garantiscono in quest’ambito l’esistenza di certi principi o idee da rispettare in via tassativa: così la costituzione finlandese del 1919 (art. 80), irlandese del 1937 (art. 42.3.2), francese del 1946 (preambolo), italiana del 1948 (art. 33), tedesca del 1949 (art. 5.3), greca del 1975 (art. 16.1 e 2), portoghese del 1976 (art. 23.2), spagnola del 1978 (art. 27.2), olandese del 1983 (art. 23.2), belga del 1994 (art. 24.3). Da quanto detto sopra, si comprende che alla base dello Stato democratico moderno, dell’attuale Stato di cultura, non vi è solo un apparato coercitivo bensì anche uno persuasivo. Di tal modo, si è potuto sostenere che: «La cultura non è più solo un mero ornamento, la conferma e la legittimazione di un ordine sociale che fu anche sostenuto con procedimenti più violenti e coercitivi; attualmente è il mezzo comune necessario, il fluido vitale […], l’atmosfera comune minima e unica in cui i membri della società possono respirare, sopravvivere e produrre. Trattandosi di una società determinata, dev’essere un’atmosfera in cui tutti possano farlo, di modo che debba essere una stessa cultura» (Gellner 1988, 56). 5. Multiculturalismo e Costituzione 5.1. Multicultura costituzionale? L’accettazione del multiculturalismo implica la possibilità di dare eguale valore a tutte le culture. Il problema è che, malgrado la retorica e l’accusa già trita di etnocentrismo, la libertà politica e l’idea costituzionale sono nate nel contesto di una cultura (la cultura europea, occidentale o cristiana) e sono state accolte solo da alcune culture (per esempio, la giapponese), non da tutte. Non è un mistero che la cultura più resistente alle idee di libertà politica e di costituzione sia l’islamica. E qui si pone la questione. Il dare eguale valore alla cultura europea e a quella islamica costituisce, o può costituire, il presupposto per creare una cultura costituzionale? O, in altri termini, si può conferire alla cultura islamica il valore di cultura “costituzionalmente adeguata”? Sartori si è pronunciato contro questa possibilità. Nella cultura islamica, «anche quando non c’è fanatismo, resta che la visione del mondo islamica è teocratica e non accoglie la separazione tra Stato e Chiesa, tra politica e religione». Eppure, prosegue lo studioso, tale è «la separazione sulla quale si fonda oggi – in modo davvero costitutivo – la città occidentale». E sottolinea che «la legge coranica non conosce i diritti dell’uomo (della persona) come diritti individuali multiculturalismo e costituzione 123 universali e inviolabili» che sono, ricorda Sartori, un altro cardine «della civiltà liberale». In chiusura, egli aggiunge che «l’occidente non vede l’islamico come un infedele, ma per l’islamico l’occidente lo è» (Sartori 2001, 53). Il fatto certo, innegabile, è che la cultura islamica – come si è configurata sinora – riconosce come legge suprema in tutti gli ambiti della vita la sharia (ossia la “legge islamica”, composta dal testo del Corano e anche da quanto detto e fatto da Maometto1) e non consente che alcuna legge possa essere superiore ad essa. E questo fatto certo, innegabile, pone la questione se una cultura che non ammette alcuna legge superiore alla sharia in alcun ambito della vita possa accettare che la costituzione sia la legge suprema e, pertanto, legge superiore alla sharia, anche se solo per alcuni aspetti della vita. Perché è qui che si radica propriamente la questione: mentre il cristianesimo e altre religioni ammettono che in alcuni ambiti, come la politica, la legge laica, la costituzione possa essere suprema, l’islam non accetta che alcuna legge laica possa essere superiore alla legge islamica in alcun settore. Che nel futuro tutto rimanga eguale non si può sostenere con certezza. È sempre possibile (sebbene ora sia altamente improbabile) che si generi una nuova lettura della religione islamica tale da rompere con quanto accaduto per quattordici secoli. Del resto, qualcuno potrebbe addurre l’esempio della Turchia, anche se ritengo che forse sia un richiamo poco opportuno. Non è casuale che la Turchia, l’unico paese che si sia avvicinato alla cultura occidentale senza finora raggiungerla, abbia fatto ciò al prezzo di reprimere duramente le manifestazioni pubbliche della cultura islamica (divieto per le donne di portare il velo nei luoghi e uffici pubblici, divieto per i funzionari statali di portare la barba2, autorizzazioni per la vendita di alcolici, ecc.). E tutto questo senza dimenticare che, prima di tale laicizzazione, accaddero due fatti significativi: il primo genocidio del XX secolo (contro gli armeni, tra l’altro cristiani) e l’espulsione massiccia di greci (cristiani, non a caso). Dunque, la laicizzazione si compie all’interno di un’autentica pulizia etnica della popolazione non islamica del paese. 5.2. Costituzionalismo multiculturale? Come sopra chiarito, la costituzione finora è stata la salvaguardia giuridica di una cultura sia previamente esistente o sia posta al suo servizio dalla costituzione stessa. In entrambe le ipotesi, le disposizioni costituzionali a difesa della cultura non hanno fatto altro che rinforzare i presupposti culturali senza i quali non esisterebbe l’idea di costituzione. Tuttavia, il multiculturalismo critica tre principi Qui si rinviene la radice di alcune pratiche islamiche contrarie ai diritti umani. A volte si argomenta, a ragione, che queste non si trovino nel Corano; però, basta che siano state dette o fatte da Maometto perché abbiano lo stesso valore giuridico che se stessero nel Corano e, per questo, fanno parte della sharia. Solo per ignoranza di cose così elementari sulla religione islamica o per malafede si capisce perché alcuni insistano nel difendere la compatibilità della religione islamica, così come la conosciamo oggi, con i diritti costituzionali. 1 Solo dal 2013 è ammesso per le donne di portare il velo negli spazi e uffici pubblici e per i funzionari statali di portare la barba (N.d.T.). 2 c. ruiz miguel 124 basici del costituzionalismo: la neutralità dello Stato; la separazione dell’incarico dalla persona che lo detiene; la generalità (omni-inclusività) della legge (Sartori 2001, 92 ss.). L’ultimo è forse l’aspetto fondamentale. La politica del riconoscimento delle culture che il multiculturalismo esige implica leggi settoriali e, pertanto, diseguali. Così, in nome del multiculturalismo si può impedire che nelle scuole pubbliche tutte le alunne si vestano in modo uguale, che nelle mense pubbliche (scolastiche, militari) tutti i commensali abbiano lo stesso menù, o che le leggi sanitarie sulla macellazione degli animali non siano identiche per tutti. Si afferma il rispetto delle culture per introdurre differenze ma, in questo modo, si spezza il presupposto su cui si fonda l’idea di costituzione, l’eguaglianza giuridica dei cittadini. La questione dunque è: la costituzione può proteggere le culture che non solo rinforzano l’idea di costituzione ma anche quelle che la respingono? Per fare un caso estremo, immaginiamo che lo Stato firmi un’intesa con una certa religione affinché nei luoghi pubblici e con docenti pagati con fondi pubblici si istruiscano gli alunni di quella fede. Che accadrebbe qualora quegli insegnanti difendessero, nelle scuole pubbliche e pagati con fondi pubblici, una cultura che nega che la costituzione possa essere la norma suprema? 6. Conclusioni L’idea di costituzione non è sorta dal nulla. È un’idea che è stata resa possibile in una certa cultura. Ed è un’idea che si è potuta adattare a una determinata cultura, distinta da quella che la originò. Addirittura, scomparsa quella cultura che fu la “condizione di possibilità” dell’idea di costituzione, questa ha potuto sopravvivere creando una propria cultura. Ciò che pare molto più discutibile è che l’idea di costituzione possa sopravvivere ammettendo, coesistendo e proteggendo culture che non la accettano e che finora hanno dimostrato di non poterla accettare. Se nel futuro lo potranno fare è una cosa che non siamo in grado di prevedere. Quello che sappiamo è che nelle attuali configurazioni (per diverse che siano) di queste culture, l’idea di costituzione non può esistere. Le conseguenze che possono farsi derivare da tali idee sono molteplici, e questa non è la sede per svilupparle. Basti qui segnalare che, se le conclusioni a cui si è giunti sono vere, è necessario riformulare urgentemente alcuni concetti essenziali del nostro diritto costituzionale (come il diritto fondamentale alla libertà religiosa, il diritto alla nazionalità) i quali, creati in un contesto anteriore al multiculturalismo, possono essere letali nella nuova situazione post-multiculturalista. Letali per l’idea di costituzione e letali anche per noi. multiculturalismo e costituzione 125 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Alegre Ávila, J.M. (1994), Evolución y régimen jurídico del patrimonio histórico, t. I, Ministerio de Cultura, Madrid. Aristóteles (1984), Ética a Nicómaco (trad. sp. di Pedro Simón Abril), vol. I, Orbis, Barcelona. Blanco Valdés, R.L. (2000), “El estado social y el derecho político de los norteamericanos”, Fundamentos, 2. Cruz Villalón, P. 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(1932), “Legalidad y Legitimidad”, in Orestes multiculturalismo e costituzione 127 Biblioteca della Società Aperta (BSA) è un progetto editoriale lanciato dal Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali (DiSPeS) che mira a promuovere il dialogo tra le discipline delle Scienze Sociali e Umane. Il progetto offre opportunità di pubblicazione di monografie e saggi agli studiosi di sociologia, scienza politica, storia, giurisprudenza, socio-linguistica e filosofia. La BSA comprende due serie di libri, quella blu denominata Studi e Ricerche, riservata ai saggi, agli studi teorici e alle ricerche originali, e quella arancione denominata Didattica, dedicata alla manualistica e ai testi divulgativi. Entrambe le serie volgono la loro attenzione all’intero ventaglio di temi attualmente discussi in campo sociale e umanistico: dai processi d’integrazione sopranazionale, alla democratizzazione, alla trasformazione delle società contemporanee sotto la pressione dell’immigrazione, della globalizzazione economica, delle sfide ambientali e del mutamento tecnologico, alla tutela dei diritti fondamentali, alla crisi della “democrazia elettorale” in Europa e allo sviluppo dei modelli deliberativi di democrazia, allo “scontro di civiltà” potenziale e al conflitto socio-religioso, alla rinascita dei nazionalismi e dei regionalismi in Europa e nel mondo, all’integrazione dei processi politici in reti e delle comunità in nuove strutture e sistemi di governance. Biblioteca della Società Aperta (BSA) is a publishing project launched by the Department of Political Social Sciences (DiSPeS), aimed at promoting dialogue between the Social Sciences and the Humanities. It offers scholars opportunities to publish monographs and essays in the fields of sociology, political science, history, law, socio-linguistics and philosophy. The BSA includes two book series: a blue one, Studi e Ricerche (Studies and Research), for essays, theoretical investigations and original research, and an orange one, Didattica (Textbooks), mainly for textbooks and educational materials. Both series embrace the full range of issues currently debated in the Social Sciences and Humanities: processes of supranational integration and democratization; the transformation of contemporary societies under the pressure of immigration, economic globalization, environmental challenges and technological change; the protection of fundamental rights; the crisis of “electoral democracy” in Europe and the development of a deliberative model of democracy; the potential “clash of civilizations” and socio-religious conflict; the resurgence of nationalisms and micro-regionalism in Europe and in the world; the integration of policy processes into networks and of communities into new institutional arrangements and governance systems. Le versioni elettroniche a testo completo sono disponibili nell’Archivio istituzionale di Ateneo dell’Università di Trieste “OpenstarTS” www.openstarts.units.it/dspace/handle/10077/12314 1 La cittadinanza molteplice. Ipotesi e comparazioni Daniele Andreozzi, Sara Tonolo (eds) 2 Attraverso i conflitti. Neutralità e commercio fra età moderna ed età contemporanea Daniele Andreozzi (ed) 3 Europe of Migrations: Policies, Legal Issues and Experiences Serena Baldin, Moreno Zago (eds) (online)