Rivista N°: 4/2019
DATA PUBBLICAZIONE: 26/11/2019
AUTORE: GIOVANNI DI COSIMO*
GIUDICI E POLITICA ALLE PRESE CON I CONFLITTI MULTICULTURALI
Nel mondo di oggi e di domani, gli incontri fra individui e comunità
appartenenti a culture differenti sono destinati a diventare sempre più
frequenti; i loro partecipanti sono i soli a poter impedire che si
trasformino in altrettanti conflitti.
(T. Todorov, La paura dei barbari. Oltre lo scontro delle civiltà)
Sommario: 1. Conflitti. 2. Modelli di soluzioni dei conflitti. 3. Modello garantista: giudici. 4. Modello
garantista: politica. 5. Modello etnocentrico: giudici. 6. Modello etnocentrico: politica. 7. Diritti e valori.
1. Conflitti
Nella società multiculturale si registrano divergenze, talvolta ampie, fra le culture degli
immigrati e la cultura occidentale, radicata nel nostro Paese nelle sue molteplici e plurali
espressioni1. Spesso i punti di frizione fra la cultura maggioritaria e le culture minoritarie corri-
*
Professore ordinario di Diritto Costituzionale nell’Università di Macerata.
Su questi temi esiste oramai una bibliografia vastissima. Mi limito perciò a qualche indicazione. Sulle
sfide poste alle democrazie liberali cfr. S. BENHABID, The Claims of Culture: Equality and Diversity in the Global Era,
Princeton, 2002, trad.it. La rivendicazione dell’identità culturale. Eguaglianza e diversità nell’era globale, Bologna,
2005. Sul concetto di società multiculturale cfr., fra i tanti, F. BELVISI, Una riflessione normativa per la società multiculturale. L’esempio del matrimonio islamico, «Diritto, immigrazione e cittadinanza», 4. 2003, p. 34 s.; M.L. LANZILLO, Il multiculturalismo, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. 3 ss. Sulla distinzione fra società multiculturale e società
multietnica cfr. F. BELVISI, Diritti e giustizia in una società multiculturale. Le sfide al diritto nell’Italia di oggi, in questa
«Rivista», parte I, 2002, p. 435 ss. Sulla differenza fra società multiculturale e multiculturalismo cfr. P. CONSORTI,
Nuovi razzismi e diritto interculturale. Dei principi generali e dei regolamenti condominiali nella società multiculturale, «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», ottobre 2009, p. 5 ss.; C.B. CEFFA, Sensibilità costituzionale e
salvaguardia dei valori giuridici interni nella giurisprudenza italiana in tema di diversità religiosa nel contesto della
società multiculturale, «Rivista AIC», 4, 2017, p. 1 s. Sul superamento del concetto di società multiculturale in favore
di quello di società transculturale cfr. M.I. BIANCO, Pluralismo religioso e garanzie del diritto penale. Il difficile bilanciamento tra libertà individuali ed esigenze di tutela della collettività, «Stato, Chiese e pluralismo confessionale»,
3, 2019, p. 17; sul concetto di “transculturalità” cfr. W. W ELSCH, Transculturality - the Puzzling Form of Cultures
Today, in Spaces of Culture: City, Nation, World, London, Sage Publications, 1999, ed. by Mike Featherstone and
1
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spondono ad aspetti sensibili della vita delle persone, a cominciare dai rapporti familiari. Frizioni che si trasformano in conflitti multiculturali quando le contrapposte culture danno indicazioni di comportamento inconciliabili2. Dall’altra parte, l’irrompere sulla scena delle culture ‘altre’ non è soltanto causa di conflitti, ma anche, naturalmente, di opportunità.
Fermo restando che le culture non sono realtà compatte e impermeabili3, e con la consapevolezza che il discorso sulle cause dei conflitti sarebbe ben più ampio, si può accennare
al ruolo che gioca la dicotomia (elaborata all’interno della cultura occidentale ma, mutatis mutandis, utilizzabile anche in questa più larga prospettiva) fra liberalismo e comunitarismo4:
mentre la cultura occidentale, nelle sue espressioni prevalenti, mette al centro la persona e i
diritti individuali in coerenza con la concezione liberal-democratica, le culture altre – sempre
considerate nel loro complesso e quindi eccettuate singole manifestazioni - tendono a privilegiare i valori comunitari.
Per quanto attiene invece agli strumenti di lettura dei conflitti, alla riflessione multiculturale si affiancano il concetto di minoranze culturali5 e il fattore religioso6, che concorrono a
spiegare alcuni comportamenti estranei alla cultura occidentale. La proposta di valorizzare il
concetto di identità, che sarebbe utile ad affrontare le questioni poste dal multiculturalismo7, è
Scott Lash: «The concept of transculturality sketches a different picture of the relation between cultures. Not one
of isolation and of conflict, but one of entanglement, intermixing and commonness. It promotes not separation, but
exchange and interaction» (p. 205); S. BRANCATO, Transculturalità e transculturalismo: i nuovi orizzonti dell’identità
culturale, «Le Simplegadi», 2, 2004, p. 40 ss. Sul rapporto fra multiculturalismo e globalizzazione cfr. E. PARIOTTI,
Multiculturalismo, globalizzazione e universalità dei diritti umani, «Ragion pratica», 16, 2001, p. 63 ss. Sul diritto
delle minoranze a mantenere la propria cultura senza essere assimilate nella cultura ospitante cfr. G. CAVAGGION,
La cultural defense e il diritto alla cultura nello Stato costituzionale, «Osservatorio costituzionale», maggio 2015,
che mette in evidenza come la cultural defense sia un istituto che ha progressivamente assunto rilievo anche fuori
dall’ambito del diritto penale. Sui possibili approcci al tema del multiculturalismo nella prospettiva costituzionale
(multiculturalismo irenico, colonialismo culturale, costituzionalismo meticcio) cfr. G. AZZARITI, Multiculturalismo e
Costituzione, «Politica del diritto», 1-2, 2016, p. 5 s. Sul rapporto fra pluralismo e multiculturalismo cfr. G. ZAGREBELSKY, La virtù del dubbio, Roma-Bari, Laterza, 2007, p. 107 ss.; T. GROPPI, Multiculturalismo 4.0, «Osservatorio
costituzionale», 1, 2018, p. 263 s. Sulla nozione di “costituzionalismo meticcio” cfr. S. BONFIGLIO, Costituzionalismo
meticcio. Oltre il colonialismo dei diritti umani, Torino, Giappichelli, 2016, p. 150 ss.
2 Senza dimenticare «che il riacutizzarsi dello scontro fra concezioni rivali della persona, della società e
del bene è un fenomeno che riguarda anche noi» (A. FERRARA, Il multiculturalismo come nuova frontiera del liberalismo, «Democrazia e diritto», 2-3, 1996, p. 41).
3 N. COLAIANNI, Diritti, identità, culture (tra alti e bassi giurisprudenziali), «Questione giustizia», 24 settembre 2018, p. 4.
4 I cui confini, peraltro, non sono affatto netti e mutano a seconda delle prospettive assunte dai singoli
autori (per un quadro della riflessione sul tema, che come noto vede il protagonismo soprattutto degli autori anglosassoni, cfr. V. PAZÉ, Comunitarismo, in Enciclopedia scienze sociali, vol. IX, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2001, p. 41 ss.).
5 Sul rapporto fra società multiculturale e minoranze cfr. GIORGIO PINO, Libertà religiosa e società multiculturale, in Diritto, tradizioni, traduzioni. La tutela dei diritti nelle società multiculturali, a cura di T. Mazzarese, Torino,
Giappichelli, 2013, p. 158 ss.; sul rapporto fra maggioranza e minoranze culturali cfr. E. OLIVITO, Primi spunti di
riflessione su multiculturalismo e identità culturali nella prospettiva della vulnerabilità, «Politica del diritto», 1, 2007,
p. 71 ss.
6 V., per es., M.C. FOLLIERO, Libertà religiosa e società multiculturali: la risposta italiana, «Stato, Chiese e
pluralismo confessionale», giugno 2008. Particolarmente prezioso può risultare il contributo del principio di laicità
(N. FIORITA, Libertà religiosa e società multiculturali: il caso del velo islamico, «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», giugno 2008, p. 17). Sulla problematicità della distinzione fra cultura e religione cfr. I. RUGGIU, Il giudice
antropologo. Costituzione e tecniche di composizione dei conflitti multiculturali, Milano, FrancoAngeli, 2012, pp. 60
ss.
7 G. CERRINA FERONI, Diritto costituzionale e società multiculturale, «Rivista AIC», 1, 2017, p. 29 ss.
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invece meno convincente perché porta inevitabilmente a restringere gli spazi di incontro fra le
culture8; oltre a prestarsi all’obiezione che l’identità non è unica e che le persone appartengono
a più identità9.
Fondamentalmente il ricorso allo strumentario giuridico per risolvere i conflitti persegue
due finalità: reagire alle gravi conseguenze di alcuni comportamenti culturalmente ispirati; contrastare il loro significato simbolico. In entrambe le ipotesi, l’approccio giuridico al conflitto culturale comporta complesse e talvolta inedite questioni10. Particolare rilievo assumono i conflitti
multiculturali che sorgono in alcuni settori della vita sociale come, per riprendere l’esempio
accennato, i rapporti familiari11. Possono essere letti in questa chiave alcuni temi come l’eguaglianza fra i coniugi12, il ripudio13, la poligamia14, la kafalah15; ma anche le mutilazioni genitali
8 Con il conseguente rischio che sorgano contrapposizioni artificiose e si esasperino i conflitti (A. FACCHI,
I diritti nell’Europa multiculturale, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 149).
9 A. SEN, Identity and Violence. The Illusion of Destiny, New York-London, Penguin, 2006, trad. it., Identità
e violenza, Roma-Bari, Laterza, 2006.
10 La dottrina penalistica ha largamente esplorato il tema partendo dai concetti di “cultural defense” e “reato
culturalmente motivato” (per una vasta mappatura dei conflitti cfr. F. BASILE, Immigrazione e reati culturalmente
motivati. Il diritto penale nelle società multiculturali, Milano, Giuffrè, 2010, p. 157 ss.).
11 R. BENIGNI, Identità culturale e regolazione dei rapporti di famiglia tra applicazioni giurisprudenziali e
dettami normativi, «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», novembre 2008; P. PALERMO, Parità coniugale e
famiglia multiculturale in Italia, «Diritto di famiglia», 4, 2012, p. 1866 ss.; F. CANNATA, Nuovi conflitti sociali e normativi generati dal pluralismo culturale: alcune ipotesi risolutive, «forum di Quaderni costituzionali», 6 dicembre
2012, p. 30 ss.
12 Cass. pen., VI sez., 3398/1999 relativa al caso di un cittadino albanese condannato per maltrattamenti
ai familiari, che a suo discarico invoca «un concetto della convivenza familiare e delle potestà spettanti al capofamiglia diverso da quello corrente in Italia», tesi che la Corte giudica «in assoluto contrasto con le norme che stanno
a base dell’ordinamento giuridico italiano». Sulla stessa linea cfr. Cass. pen., VI sez., 55/2003; Cass. pen., sez. VI,
46300/2008; Cass. pen., III sez., 14960/2015, dove la Corte osserva che «in una società multietnica non è concepibile la scomposizione dell’ordinamento in altrettanti statuti individuali quante sono le etnie che la compongono,
non essendo compatibile con l’unicità del tessuto sociale - e quindi con l’unicità dell'ordinamento giuridico – l’ipotesi
della convivenza in un unico contesto civile di culture tra loro configgenti». La soluzione, coerente con il principio
costituzionale di eguaglianza, «è quella opposta, che armonizza i comportamenti individuali rispondenti alla varietà
delle culture in base al principio unificatore della centralità della persona umana, quale denominatore minimo comune per l’instaurazione di una società civile».
13 Corte di giustizia, C-372/16 secondo cui il divorzio islamico, consistente in una dichiarazione unilaterale
di ripudio di uno dei coniugi davanti a un tribunale religioso, non rientra nella sfera di applicazione del regolamento
Roma III.
14 Cass., civ., I sez., 1739/1999 secondo cui, nell’interesse della moglie poligama, si possono riconoscere
effetti di carattere successorio al matrimonio musulmano (sul tema cfr. V. Petralia, La dimensione culturale e religiosa dei modelli familiari. Il caso dei matrimoni poligamici, «Il diritto di famiglia e delle persone», 2, 2016, pp. 607
ss.).
15 La kafalah è un istituto che «ha lo scopo di fornire protezione e assistenza ai minori abbandonati, o che
non sono in grado di ricevere dalle loro famiglie d’origine l’assistenza e la cura necessario alla loro crescita, assicurando una tutela sostitutiva che è però inidonea a creare un rapporto di filiazione e che per molti aspetti può
avvicinarsi all’affidamento. L’istituto offre una protezione di carattere sociale che intende supplire al venir meno del
ruolo svolto in precedenza dalla famiglia patriarcale» (Cass. civ., sez. I, 1843/2015). Per un caso in cui la Corte
riconosce, in base all’esigenza del best interest of the child, una parziale rilevanza all’istituto cfr. Cass., sez. unite
civ., 21108/2013. Sul tema cfr. G. CAROBENE, Identità religiose e modelli di protezione dei minori. La kafala islamica.
Napoli, Editoriale Scientifica, 2017; ID., Pratiche legali, diversità culturali e religiose nel rapporto dialettico tra «kafala» e adozione, «Quaderni di diritto e politica ecclesiastica», 1, 2019, p. 135 ss.
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femminili16 e la circoncisione17 che nell’ambito della famiglia sono decise dai genitori. Buona
parte di tali questioni riguardano fedeli islamici ed evidenziano soprattutto problemi sotto il
profilo della protezione dei diritti fondamentali delle donne18.
2. Modelli di soluzioni dei conflitti
Questi rapidi cenni introduttivi servono a dare un’idea, inevitabilmente approssimativa,
della complessità e vastità del tema dei conflitti multiculturali. Lo specifico profilo che intendo
affrontare riguarda l’approccio dei poteri pubblici ai tali conflitti. Più di preciso, mi soffermerò
sui modi con cui vengono affrontati dai vari attori in campo, che a seconda delle ipotesi possono essere giudici (nazionali e sovranazionali) oppure politici (legislatori centrali e poteri locali).
Il discorso si regge sulla supposizione che esistano alcune costanti nel modo con cui
giudici e legislatori decidono sui conflitti, a seconda dei casi per applicare norme al caso concreto, oppure per dettare regole. Più precisamente, che vi siano modelli di soluzione che gli
uni e gli altri applicano quando sono alle prese con i conflitti multiculturali19. I vari attori utilizzano gli stessi modelli di soluzione dei conflitti multiculturali malgrado le evidenti differenze fra
di essi20. Ferme restando le peculiarità dei singoli casi che giustificano le relative decisioni, e
scontata la circostanza che tanto i giudici quanto i politici guardano alle questioni dall’angolo
visuale della cultura autoctona della quale sono in fin dei conti un’espressione, mi pare si possano individuare due modelli principiali: modello garantista e modello etnocentrico.
3. Modello garantista: giudici
Un padre di origini albanesi costringe il figlio minore a compiere e subire atti sessuali,
senza che la madre intervenga per impedirlo. Il caso finisce alla Cassazione che osserva che
16 Corte app. Venezia, sez. II, 1485/2013 relativa a due casi di genitori di cittadinanza nigeriana che incaricano di praticare alle proprie figlie interventi di mutilazione genitale una donna priva di titoli per l’esercizio della
professione medica.
17 V. il caso di una madre nigeriana che ha sottoposto il proprio figlio a un intervento di circoncisione
realizzato da un soggetto non abilitato all’esercizio della professione medica. Secondo la Corte di cassazione, «il
significato della circoncisione non terapeutica è spesso riconducibile a motivazioni che esulano da esigenze religiose e identitarie e affondano le loro radici soltanto in tradizioni culturali ed etniche, assolutamente estranee alla
cultura occidentale e non sempre compatibili, sul piano operativo, con la nostra legislazione» (Cass. pen., VI sez.,
43646/2011).
18 E. FALLETTI, L'impatto culturale dell'immigrazione islamica sull'ordinamento giudiziario italiano: alcune
riflessioni, «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», 31, 2016, p. 35. Per una mappatura delle questioni poste
dalla presenza degli islamici in Italia cfr. G. DI COSIMO, Costituzione e Islam in Italia, «Giornale di Storia costituzionale», 10, 2005, p. 59 ss. (anche in «forum di Quaderni costituzionali»); J. LONG, Islam e diritto italiano della famiglia
e minorile: spazi e limiti di dialogo, «Quaderni di diritto e politica ecclesiastica», 1, 2019, p. 111 ss.
19 Sulle trasformazioni del ruolo del giudice e del legislatore nella società multiculturale cfr. E. OLIVITO,
Giudici e legislatori di fronte alla multiculturalità, in La tutela dei diritti fondamentali tra diritto politico e diritto giurisprudenziale: “casi difficili” alla prova, a cura di M. Cavino e C. Tripodina, Milano, Giuffrè, 2012, p. 149 ss. Sugli
argomenti elaborati dai giudici a fronte dei conflitti multiculturali cfr. I. RUGGIU, Il giudice antropologo e il test culturale, «Questione giustizia», 1, 2017, p. 223 ss.
20 Dal punto di vista specificamente penalistico, le risposte legislative e giurisprudenziali ai fatti commessi
da soggetti “culturalmente diversi”, vengono classificate secondo tre modelli: il diritto penale della tolleranza, il diritto
penale della indifferenza, il diritto penale della intolleranza (A. BERNARDI, L’ondivaga rilevanza penale del ”fattore
culturale”, «Politica del diritto», 1, 2007, p. 3 ss.).
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il tribunale ha assolto in base a «'un’interpretazione culturalmente orientata' dei fatti, riconoscendo rilievo alla cultura di appartenenza degli imputati, nella quale le condotte sarebbero
prive di disvalore e dunque consentite o tollerate». Secondo la Corte, invece, «nessun sistema
penale potrà mai abdicare, in ragione del rispetto di tradizioni culturali, religiose o sociali del
cittadino o dello straniero, alla punizione di fatti che colpiscano o mettano in pericolo beni di
maggiore rilevanza (quali i diritti inviolabili dell’uomo garantiti e i beni ad essi collegati tutelati
dalle fattispecie penali), che costituiscono uno sbarramento invalicabile contro l’introduzione,
di diritto e di fatto, nella società civile, di consuetudini, prassi, costumi che tali diritti inviolabili,
della persona, cittadino o straniero, pongano in pericolo o danneggino»21.
Emerge qui l’argomento dello ‘sbarramento invalicabile’ che sta alla basa del modello
garantista di soluzione dei conflitti multiculturali. L’argomento afferma l’esistenza di un limite
insuperabile corrispondente alla difesa dei diritti fondamentali della persona e alla tutela del
principio di eguaglianza; un nucleo duro da preservare rispetto a comportamenti dettati da
fattori culturali22. Il comportamento multiculturale va sanzionato qualora: a) sia necessario per
difendere i diritti fondamentali (intervento sul piano normativo); b) si accerti la loro mancata
protezione nel caso specifico (intervento sul piano giurisdizionale).
La concezione garantista si fonda sul presupposto che i diritti fondamentali, che sono
un portato della cultura occidentale, non siano il mero frutto di una visione etnocentrica dell’occidente23, ma abbiano un valore universale24. Nonostante che proprio la concezione del multiculturalismo che assegna pari valore a tutte le culture metta in discussione l’universalità dei
21
Cass. pen., sez. II, sent. 29613/2018.
I princìpi di tutela dei diritti inviolabili dell’uomo (art. 2 Cost.) e di eguaglianza (art. 3 Cost.) costituiscono
«uno sbarramento invalicabile contro l’introduzione, di diritto e di fatto, nella società civile di consuetudini, prassi,
costumi che si propongono come “antistorici” a fronte dei risultati ottenuti, nel corso dei secoli, per realizzare l'affermazione dei diritti inviolabili della persona, cittadino o straniero» (Cass. pen., sez. VI, sent. 46300/2008).
23 Va considerato che nella storia «i diritti universali sono stati usati come strumento di dominio e sono
stati percepiti come tali» (A. ALGOSTINO, L’ambigua universalità dei diritti. Diritti occidentali o diritti della persona
umana, Napoli, Jovene, 2005, p. 371), e che la «strumentalizzazione dei diritti umani per coprire mire politiche e/o
economiche rischia di revocare in dubbio la possibilità di immaginare e costruire dei diritti universali più della diversità delle pretese avanzate in nome del pluralismo culturale» (ivi, p. 374 s.). Molti musulmani, per esempio, percepiscono la politica di universalizzazione dei diritti umani solo come una delle concezioni del bene fra le altre, non la
riconoscono come neutrale (S. FERLITO, Le religioni, il giurista e l’antropologo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005,
p. 78; sul punto cfr. anche M. GRAZIADEI, L’uguaglianza, la diversità e il diritto: vive la différence, «Questione giustizia», 1, 2017, p. 158).
24 «Le dottrine dei diritti hanno suscitato una potente opposizione perché sfidano potenti religioni, strutture
familiari, stati autoritari e tribù. Sarebbe un compito senza speranza cercare di persuadere quanti detengono il
potere della validità universale delle dottrine dei diritti, poiché è chiaro che se tali dottrine prevalessero, essi dovrebbero necessariamente sottoporre a vincoli e obblighi il loro esercizio dell’autorità. Perciò l’universalità non può
implicare l’assenso universale giacché, in un mondo di potere ineguale, coloro che hanno potere e coloro che ne
sono privi potrebbero concordare soltanto su enunciazioni del tutto spuntate e anodine. I diritti sono universali
perché definiscono gli interessi universali di chi è deprivato di potere e cioè garantiscono che il potere può essere
esercitato su di essi solo in modi che rispettino la loro autonomia come agenti. In questo senso, il credo dei diritti
umani è rivoluzionario, in quanto formula una richiesta radicale per tutti i gruppi umani, ossia che essi servano gli
interessi degli individui che li compongono» (M. IGNATIEFF, Human rights as Politics and Idolatry, Princeton University Press, 2001, trad. it. Una ragionevole apologia dei diritti umani, Milano, Feltrinelli, 2003, p. 70 s.). Sul tema è
d’obbligo il rinvio a N. BOBBIO, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990 e a S. BENHABID, The Claims of Culture cit., p.
47 ss. Sulle diverse concezioni dell’universalismo dei diritti fondamentali cfr. P. PAROLARI, Culture, diritto, diritti.
Diversità culturali e diritti fondamentali negli stati costituzionali di diritto, Torino, Giappichelli, 2016, p. 72 ss. Sulla
22
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diritti, questa va riaffermata per la semplice (e decisiva) ragione che è funzionale alla tutela
della persona umana rispetto a ogni potere e in ogni luogo25. Conferma ne sia che l’ordinamento internazionale riconosce la titolarità dei diritti all’essere umano in quanto tale, a prescindere dalla comunità politica di appartenenza26. Esiste ormai un nucleo di princìpi universalmente condiviso da tutti gli Stati27.
Solo apparentemente simile è l’argomento del “limite invalicabile” che la Cassazione
spende in due sentenze relative al kirpan, ovverosia un coltello a serramanico che è uno dei
cinque simboli che il fedele della religione sikh deve portare sempre con sé28. In questo caso
i giudici innalzano una barriera a difesa della pacifica convivenza e della sicurezza pubblica.
E dunque, l’idea della barriera può essere variamente declinata ritenendo che l’espressione
della cultura altra debba essere bloccato quando: a) leda un diritto fondamentale (argomento
dello sbarramento invalicabile) b) la lesione sia solo potenziale e riguardi beni, come la pacifica
convivenza e la sicurezza pubblica, che, secondo la prospettazione preferibile29, non sono
diritti fondamentali (argomento del limite invalicabile).
Un altro esempio di impostazione garantista si trova nella recente giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell’uomo. Nel caso Lachiri, riguardante una donna alla quale viene
negato l’accesso all’aula d’udienza perché indossa l’hjiab, la Corte stabilisce che l’atto di indossarlo è espressione di convinzioni religiose e quindi il divieto d’accesso costituisce una
lesione della libertà di manifestare la propria religione30. È il caso di notare che, a seconda
della prospettiva che si assuma, si vedono qui all’opera tanto il modello etnocentrico di cui
parlo fra poco e al quale è riconducibile la decisione di negare l’accesso, quanto quello garan-
«portata universale» dei princìpi costituzionali fra i quali rientrano i diritti umani cfr. G. ZAGREBELSKY, Corti costituzionali e diritti universali, «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 2, 2006, p. 310. Per una lettura critica del carattere
universalistico dei diritti cfr. F. BELVISI, Domande intorno alla crisi dell’età dei diritti: un po’ di realismo sui diritti
umani, «Etica & Politica», 1, 2013, p. 10 ss. Si potrebbe far leva sulla distinzione fra diritti umani, che segnano un
livello di tutela comune alla varie culture giuridiche e dunque patrimonio universale, e i diritti fondamentali, che nelle
democrazie liberali alzano quel livello di tutela con riferimento alle tradizioni storiche e culturali del singolo Paese,
se non fosse che la distinzione è piuttosto sfuggente, tenuto conto in particolare dell’azione delle Corti sovranazionali (M. OLIVETTI, Diritti fondamentali, Torino, Giappichelli, 2018, p. 8 s.). Per una teoria che mira alla coesistenza
delle tesi universaliste e relativiste dei diritti cfr. N.L. XAVIER BAEZ, La morfologia dei diritti umani e i problemi del
multiculturalismo, «Rivista AIC», 4, 2013.
25 M. CARTABIA, L’universalità dei diritti umani nell’età dei «nuovi diritti», «Quaderni costituzionali», 3, 2009,
p. 552 ss.
26 E. PARIOTTI, I diritti umani: concetto, teoria, evoluzione, Milano, Cedam, 2013, p. 208 s., che sottolinea
come i diritti umani non siano universali dal punto di vista dell’effettività della tutela.
27 A. CASSESE, I diritti umani oggi, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. 71.
28 Cass. pen., sez. I, 24739 e 25163 del 2016.
29 M. RUOTOLO, Diritto alla sicurezza e sicurezza dei diritti, «Democrazia & Sicurezza», 2, 2013; ROBERTO
BIN, Il diritto alla sicurezza giuridica come diritto fondamentale, «federalismi.it», 17, 2018.
30 Caso Lachiri c Belgique, 18 settembre 2018, secondo cui «l’atteinte portée au droit de la requérante à
la liberté de manifester sa religion n’était pas justifiée dans une société démocratique». La Corte sottolinea che
questo caso si differenzia dai precedenti perché, da un lato, l’indumento non copre completamente il viso («le
foulard islamique étant un couvre-chef et non, comme dans S.A.S., un habit qui dissimule entièrement le visage à
l’exception éventuellement des yeux»), e dall’altro, la sig.ra Lachiri è una semplice cittadina che non svolge una
funzione pubblica. Un caso simile si è verificato nelle aule del Tar Emilia-Romagna nel gennaio 2018 quando il
Presidente della sezione ha allontanato una praticante avvocato che indossava il velo islamico [v. L. VIOLA, L’hijab
davanti ai giudici amministrativi (e non), «federalismi.it», 8, 2018].
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tista, al quale va ascritta la decisione del giudice che rileva la violazione del diritto fondamentale. La decisione giudiziaria reagisce secondo il parametro garantista al diniego dell’accesso,
ispirato al parametro etnocentrico, diniego che a sua volta reagisce al comportamento.
Sempre la Corte, nel caso Hamidovic accerta la violazione della libertà religiosa a
causa del diniego opposto ad un testimone, in un processo penale, di prestare giuramento
indossando il simbolo della propria confessione religiosa (il taqiyah)31. In entrambi i casi, ferme
restando le specificità di ciascuno di essi, la Corte di Strasburgo rileva che la reazione al comportamento culturalmente ispirato, da parte di autorità giurisdizionali nell’ambito di processi,
ha portato alla violazione della libertà dell’autore del comportamento.
Merita segnalare anche il caso, diverso dai precedenti, nel quale in prima battuta non
viene riconosciuto lo status di rifugiato a una vedova scappata dal suo villaggio in Nigeria per
sfuggire alla tradizione imposta alle donne in caso di morte del marito, per cui avrebbe dovuto
sposare il fratello del defunto. A seguito del rifiuto, la donna era stata «allontanata dalla sua
abitazione, privata della potestà genitoriale sui figli, spogliata dalle sue proprietà e perseguitata
dal cognato, il quale reclamava il suo diritto ad averla in sposa»32. Nondimeno, la Corte d’appello ritiene che non vi sia stata persecuzione. Invece, la Cassazione riconosce che la donna
è «stata vittima di una persecuzione personale e diretta per l’appartenenza a un gruppo sociale» e ne accoglie il ricorso mirante al riconoscimento dello status di rifugiato. In questo caso,
mentre il giudice di merito sottovaluta la lesione dei diritti fondamentali, la Cassazione rileva
che la regola tradizionale vìola i diritti della donna, e dunque risolve in senso garantista il conflitto culturale originato da quella regola riconoscendole lo status di rifugiato.
4. Modello garantista: politica
La legge sulle mutilazioni genitali femminili del 2006 può essere considerata un esempio di applicazione legislativa del modello garantista33. Infatti, la legge «detta le misure necessarie per prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile quali
violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne e delle
bambine» (art. 1 legge 7/2006)34. Quindi ha l’obiettivo di difendere i diritti fondamentali delle
donne, e in particolare il diritto alla salute, il diritto all’autodeterminazione sessuale, la dignità
della donna, il principio di eguaglianza tra i generi35.
A dire il vero, l’intervento legislativo è stato criticato perché non è finalizzato a colmare
una lacuna legislativa, dal momento che esiste il reato di lesioni gravi o gravissime al quale
31
Hamidovic c. Bosnia Herzegovina, 5 dicembre 2017.
Cass. civ., I sez., sent. 28152/2017.
33 Sulle differenti concezioni del corpo femminile nella cultura occidentale e in quelle di paesi extraoccidentali cfr. C. BARBIERI, A. LUZZAGO, Il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili fra cultura, sessualità e distruttività, «Rassegna italiana di criminologia», 1, 2011, p. 24 ss.
34 Sulla legge cfr., da ultimo, A. PROVERA, Tra frontiere e confini. Il diritto penale dell’età multiculturale,
Napoli, Joevene, 2018, p. 193 ss.
35 G. CAVAGGION, Diritti culturali e modello costituzionale di integrazione, Torino, Giappichelli, 2018, p. 382.
32
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sono riconducibili tali comportamenti36. Inoltre, in casi come questo, si corre il rischio che il
ricorso alla legge repressiva venga percepito dalle minoranze culturali come un’ingiusta vessazione, un modo per stigmatizzarne i membri a motivo della loro identità culturale37. Più in
generale, sono stati messi in dubbio i presupposti della sanzione arrivando a ritenere l’intervento sanzionatorio espressione dell’imperialismo culturale dell’occidente38. Queste critiche –
sulla cui persuasività non è il caso qui di soffermarsi – fanno pensare che la disciplina legislativa di temi tanto delicati presenti maggiori controindicazioni rispetto alla soluzione case by
case dei conflitti39.
5. Modello etnocentrico: giudici
Secondo la Corte di giustizia «il divieto di indossare un velo islamico, derivante da una
norma interna di un’impresa privata che vieta di indossare in modo visibile qualsiasi segno
politico, filosofico o religioso sul luogo di lavoro, non costituisce una discriminazione diretta
fondata sulla religione o sulle convinzioni personali ai sensi» della direttiva che stabilisce un
quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro
(dir. 2000/78)40.
La decisione costituisce un esempio di una differente strategia di soluzione dei conflitti
multiculturali che non mira a difendere diritti fondamentali. Il secondo modello, che potremmo
definire etnocentrico, avversa il comportamento multiculturale malgrado non incida sui diritti
fondamentali41. Lo contrasta più per il suo valore simbolico, che per la sua potenzialità lesiva42.
Un’impostazione che si spiega con la diffidenza verso la cultura ospite e che porta a limitarne
le espressioni benché non siano realmente pericolose43. La medesima impostazione affiora
36
C. DE MAGLIE, I reati culturalmente motivati. Ideologie e modelli penali, Pisa, ETS, 2010, p. 41. In linea
generale, il ricorso allo strumento penale dovrebbe essere limitato alla violazione dei diritti fondamentali e al contrasto con i supremi interessi dello Stato liberale (A. BERNARDI, Il diritto penale tra globalizzazione e multiculturalismo, «Rivista italiana di diritto pubblico comunitario», 2-3, 2012, p. 532).
37 G. BRUNELLI, Prevenzione e divieto delle mutilazioni genitali femminili: genealogia (e limiti) di una legge,
«Quaderni costituzionali», 3, 2007, p. 571 ss. Anche per questo motivo durante il dibattito parlamentare sono state
inserite, in aggiunta alle misure penali, misure di carattere sociale.
38 A.A. OBA, Female Circumcision as Female Genital Mutilation: Human Rights or Cultural Imperialism?,
«Global Jurist», 8.3, 2008, p. 26 ss.: «The charge of cultural imperialism against the West in the matter of female
circumcision is evident in many respects».
39 Evidentemente la questione richiederebbe ben altro approfondimento, incompatibile con l’economia di
questo lavoro. Sul fondamentale ruolo giocato dalla giurisdizione nel favorire la partecipazione delle minoranze
culturali cfr. A. GUAZZAROTTI, Giudici e minoranze religiose, Milano, 2001, p. 85 ss.
40 CG causa C 157/15.Vedi anche CG causa C 188/15.
41 «In my view, this decision, apart from serious legal errors and impoverished reasoning, does not reflect
what Europe stands for» (J.H.H. W EILER, Je suis Achbita, «European Journal of International Law», 4, 2017, p.
1008).
42 «Dietro a ogni hijab c’è una donna con il suo vissuto di genere, di religione, di cultura, insomma d’identità, che il giudice di un’Unione dei diritti non dovrebbe consentire alle imprese di mortificare» (N. COLAIANNI, Il velo
delle donne musulmane tra libertà di religione e libertà d’impresa. Prime osservazioni alla sentenza della Corte di
giustizia sul divieto di indossare il velo sul luogo di lavoro, «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», 11, 2017,
p. 6).
43 Per una critica alle visioni paternalistiche ed etnocentriche che considerano la donna per definizione
vittima della propria cultura cfr. L. MANCINI, «Burqa», «niqab» e diritti della donna, «Quaderni di diritto e politica
ecclesiastica», 1, 2012, p. 30 ss. Cfr. anche A. FACCHI, La libera scelta delle donne e il ruolo del diritto, in Strumenti,
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anche nel caso di una donna licenziata per aver indossato il foulard islamico, licenziamento
che la Corte di cassazione francese ha considerato legittimo nonostante che la donna non
lavorasse a contatto con il pubblico, dato che la restrizione «était nécessaire à la mise en
oeuvre du principe de laïcité de nature à assurer aux yeux des usagers la neutralité du service
public»44. Come si vede, il modello etnocentrico comporta una penalizzazione per l’autore del
comportamento che innesca il conflitto le cui forme variano a seconda dei casi (in questo si
presenta sotto forma del licenziamento della persona che ha tenuto il comportamento oggetto
di conflitto).
Al modello etnocentrico può essere ricondotto anche l’orientamento della corti sovranazionali – dal quale si distacca la recente sentenza Lachiri prima citata – ad ammettere che
gli stati possano limitare il porto del velo, oltre che in nome di interesse privati come nel caso
della decisione della Corte di giustizia, anche in nome di interessi pubblici. A questo riguardo,
la Corte europea dei diritti dell’uomo ammette che rientra nel margine di apprezzamento degli
stati ritenere che il velo costituisca una barriera verso gli altri, che limita il loro diritto a vivere
in uno spazio di socializzazione45. Dove la metafora della barriera non serve a difendere diritti
fondamentali, come nel modello garantista, ma a stigmatizzare il comportamento multiculturale
accusato (non di ledere diritti ma) di danneggiare le relazioni sociali46.
6. Modello etnocentrico: politica
L’impostazione etnocentrica si ritrova pure nelle decisioni di organi politici. Si pensi alle
ordinanze di alcuni sindaci francesi contro l’uso del cosiddetto burkini47 adottate in base alle
norme sulla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nel territorio comunale. Tuttavia le
scelte relative all’abbigliamento, lungi da ledere diritti fondamentali, non danneggiano terzi e
nemmeno, come ha osservato il Conseil d’Etat proprio in relazione alle ordinanze dei sindaci,
mettono in pericolo l’ordine pubblico e la sicurezza48. Piuttosto, il Conseil d’Etat rileva che simili
percorsi e strategie dell’integrazione nelle società multiculturali, a cura di G. Cerrina Feroni e V. Federico, Napoli,
ESI, 2018, p. 45 ss.
44 Cour de cassation (Chambre sociale), arrêt n. 537 du 19 mars 2013 (12 – 11.690). Sull’evoluzione del
modello c.d. “assimilazionista” in Francia cfr. E. GROSSO, Dall’assimilazione desiderata all’identità rivendicata.
Ascesa e crisi del modello francese di integrazione di fronte all’inedita sfida del multiculturalismo, in Strumenti,
percorsi e strategie dell’integrazione nelle società multiculturali cit., p. 297 ss.
45 «The Court is therefore able to accept that the barrier raised against others by a veil concealing the face
is perceived by the respondent State as breaching the right of others to live in a space of socialisation which makes
living together easier» (caso S.A.S. v. France, 1 luglio 2014). L’orientamento viene confermato nel caso Belcacemi
e Oussar v. Belgio (11 luglio 2017), nel quale la Corte si esprime sulla compatibilità con la Convenzione di una
legge che vieta di coprirsi il volto in pubblico e conclude che «il apparaît que la question de l’acception ou non du
port du voile intégral dans l’espace public belge constitue un choix de société», e che il divieto «peut passer pour
proportionnée au but poursuivi, à savoir la préservation des conditions du “vivre ensemble” en tant qu’élément de
la “protection des droits et libertés d’autrui».
46 Inoltre, come è stato osservato, «ad un comportamento sospettato da tanti di esibire un “fondamentalismo” religioso si risponde affidando in gestione allo Stato un potere di socializzazione forzata, esso stesso fondamentalista, poiché consistente in un potere discrezionale e non puntualmente circoscritto» (V. ANGIOLINI, Diritto
costituzionale e società multiculturali, «Rivista AIC», 4, 2015, p. 10).
47 Come noto, si tratta di un costume da bagno femminile che aderisce al corpo coprendolo interamente a
eccezione del volto, delle mani e dei piedi.
48 Ord. 26 agosto 2016.
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provvedimenti restrittivi violano i diritti delle donne interessate49. Ciò dimostra come la penalizzazione conseguente al modello etnocentrico di soluzione del conflitto multiculturale qualche
volta assume addirittura la forma di una violazione dei diritti fondamentali della persona. Si
può inoltre osservare come anche in questo caso siano all’opera entrambe le impostazioni,
quella etnocentrica nella decisione dei sindaci, e quella garantista nella decisione del giudice.
In modo tutto sommato simile, alcuni sindaci italiani hanno adottato ordinanze anti50
velo . Il Consiglio di stato ha però stabilito che le ordinanze, secondo cui il velo impedisce
senza giustificato motivo il riconoscimento della persona, si fondavano su un’errata interpretazione della legge51.
A ben vedere un altro, ben diverso, esempio di soluzione etnocentrica dei conflitti, sempre sul versante della politica, si trova nel decreto sicurezza dell’ottobre 2018 adottato dal
Governo Conte, che introduce la revoca, a seguito di una condanna definitiva per alcuni gravi
delitti, della cittadinanza acquisita dalla persona straniera. Vi sono fondati motivi per ritenere
che la misura sia incostituzionale quantomeno per violazione del principio di eguaglianza, visto
che, commettendo quei medesimi reati, il cittadino per nascita non perderebbe la cittadinanza52. Ma qui interessa rilevare un altro aspetto, ossia la matrice ideologica di una misura
che alla sanzione penale somma la sanzione della revoca della cittadinanza. La misura si
fonda sul concetto che gli autori di alcuni gravi delitti sono indegni di restare italiani, con l’implicita ma inevitabile conseguenza che queste persone valgono meno di chi è nato nel nostro
Paese53.
7. Diritti e valori
49 Ord. 26 settembre 2016 secondo cui «L’arrêté litigieux a ainsi porté une atteinte grave et manifestement
illégale aux libertés fondamentales que sont la liberté d’aller et venir, la liberté de conscience et la liberté personnelle». Sul tema cfr. L. ANELLO, Quale tutela delle libertà fondamentali per i simboli religiosi? Considerazioni sulla
decisione del Consiglio di Stato francese sul caso burkini, «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», 22, 2017;
D. FERRARI, I sindaci francesi contro il “burkini”: la laicità a ferragosto? A prima lettura di alcuni recenti orientamenti,
giurisprudenziali, «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», 31, 2016, p. 20 s.; C. NARDOCCI, Perché il divieto di
indossare il burkini costituisce un attentato grave ai diritti fondamentali dell’individuo. la Francia fa un passo indietro:
verso una “nuova” concezione del vivere insieme?, «Osservatorio costituzionale», 1, 2017; F. CALZAVARA, Francia:
Vocaboli, simboli, polisemie. L’affaire burkini, «forum di Quaderni costituzionali», 5 ottobre 2016.
50 Sul tema cfr. G. CAVAGGION, Gli enti locali e le limitazioni del diritto alla libertà religiosa: il divieto di
indossare il velo integrale, «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», 28, 2016.
51 CdS, sez. VI, sent. 3076/2008 nella quale si osserva che il velo «costituisce attuazione di una tradizione
di determinate popolazioni e culture». La decisione è stata criticata sul presupposto che non tiene conto del contrasto con il principio di parità (M. D’AMICO, Laicità costituzionale e fondamentalismi tra Italia ed Europa: considerazioni a partire da alcune decisioni giurisprudenziali, «Rivista AIC», 2, 2015, p. 25).
52 S. CURRERI, Prime considerazioni sui profili d’incostituzionalità del decreto legge n. 113/2018 (c.d. “decreto sicurezza”), «federalismi.it», 22, 2018, p. 13; A. ALGOSTINO, Il decreto “sicurezza e immigrazione” (decreto
legge n. 113 del 2018): estinzione del diritto di asilo, repressione del dissenso e diseguaglianza, «Costituzionalismo.it», 2, 2018, p. 191; C. BERTOLINO, Paradossi della cittadinanza nella legge di conversione del decreto legge
c.d. “Sicurezza”, «federalismi.it», 3, 2019, p. 6; A. MITROTTI, Il rovesciamento di prospettiva sulla misura di revoca
della cittadinanza nel ‘dibattuto’ Decreto sicurezza ‘Salvini’, «Osservatorio costituzionale», 1-2, 2019, p. 71.
53 La revoca della cittadinanza è «strutturata come una “sanzione”; come una “punizione” afflittiva della
dignità morale della persona» (E. CAVASINO, Ridisegnare il confine fra “noi” e “loro”: interrogativi sulla revoca della
cittadinanza, «Diritto, Immigrazione e Cittadinanza», 1, 2019, p. 28).
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Guardando alla prassi si distinguono dunque due modelli di soluzione dei conflitti multiculturali, applicati tanto nell’attività giurisdizionale quanto in quella politica, malgrado le rispettive peculiarità e competenze.
Il primo modello appresta una reazione per i casi in cui il comportamento multiculturale
sia lesivo dei diritti fondamentali della persona. Una reazione che risulta necessaria al mantenimento dei tratti essenziali dell’ordinamento giuridico liberal-democratico54. Il presupposto è
il carattere universale dei diritti che, in quanto tali, valgono per ogni cultura. Per le sue caratteristiche il modello garantista appare coerente con il quadro costituzionale, a partire dai due
capisaldi del riconoscimento e tutela dei diritti inviolabili dell’uomo (art. 2) e del principio di
eguaglianza (art. 3).
Invece il secondo modello mette in campo una reazione che prescinde dalla lesione
dei diritti ed è piuttosto funzionale a contenere, ostacolare, penalizzare le manifestazioni delle
culture altre in nome dei valori occidentali. Questa modalità di soluzione in alcuni casi comporta una penalizzazione che, per esempio, può assumere la forma del licenziamento motivato
dalla scelta di indossare certi indumenti; in altri casi può dar luogo, come hanno rilevato più
volte le corti, ad una violazione dei diritti fondamentali della persona che tiene il comportamento al centro del conflitto.
Il modello etnocentrico muove dal presupposto della superiorità della cultura occidentale. Di conseguenza postula un «obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli
del mondo occidentale»55. Parole, queste della Cassazione, che sembrano andare oltre la
giusta esigenza, posta a fondamento del modello garantista, che un nucleo di diritti e princìpi
54
Non necessariamente la reazione deve essere repressiva, dato che può assumere forma di sostegno e
di mediazione (P. BILANCIA, Società multiculturale: i diritti delle donne nella vita familiare, «dirittifondamentali.it», 1,
2012, p. 20).
55 Cass. pen., sez. I, 24084/2017 relativa al porto del kirpan. Sulla vaghezza e ambiguità della formula
“valori occidentali” cfr. A. MORELLI, «Valori occidentali» e principi costituzionali. Il tema identitario nella giurisprudenza in materia di simboli religiosi, «Democrazie e Sicurezza», 2, 2017, p. 15 ss.; A. NEGRI, Sikh condannato per
porto del kirpan: una discutibile sentenza della Cassazione su immigrazione e “valori del mondo occidentale”, «Diritto Penale Contemporaneo», 7-8, 2017, p. 246 ss.; A.M. NICO, Ordine pubblico e libertà di religione in una società
multiculturale (Osservazioni a margine di una recente sentenza della Cassazione sul kirpan), «Osservatorio costituzionale», 2, 2017, p. 4; R. PERRONE, Porto ingiustificato di arma da parte dei migranti e «conformazione ai valori
del mondo occidentale», «Cassazione penale», 2, 2018, p. 616 ss. Per la tesi che gli immigrati sono obbligati a
rispettare la cultura e il modo di vita del Paese ospitante cfr. A. CATELANI, Multiculturalismo e libertà religiosa, «Rassegna parlamentare», 2, 2008, p. 324 ss.
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fondamentali sia condiviso da tutti i soggetti dell’ordinamento, autoctoni e stranieri56. Nondimeno, sono parole che esprimono bene l’attuale contesto storico contraddistinto dalla paura
del diverso57. E proprio la paura, in fin dei conti, è la radice profonda del modello etnocentrico58.
56 Su questa esigenza cfr. F. SCUTO, Diritti culturali e multiculturalismo nello Stato costituzionale, in Diritti
culturali e nuovi modelli di sviluppo, a cura di P. Bilancia, Napoli, ESI, 2016, p. 59.
57 A. BERNARDI, Populismo giudiziario? L’evoluzione della giurisprudenza penale sul kirpan, «Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale», 2, 2017. Del resto, questo stato emotivo è divenuto addirittura il referente
principale del discorso pubblico (M. DURANTE, Perché l’attuale discorso politico-pubblico fa leva sulla paura?, «Filosofia politica», 1, 2010, p. 49 ss.). Per altro verso, l’affermazione della Corte assume il significato di una stigmatizzazione delle culture altre (F. BASILE, Dialogo tra un penalista e i cultori della disciplina giuridica del fenomeno
religioso: reati contro il sentimento religioso e reati c.d. culturalmente motivati, in Costituzione, religione e cambiamenti nel diritto e nella società, a cura di P. Consorti, Pisa, Pisa University Press, 2019, p. 434 s.). Ma ciò non
significa che la sentenza segni «un cambiamento di rotta “integrazionista” della suprema Corte» (R. BIN, Il problema
non è il Kirpan ma la stampa, «laCostituzìone.info», 16 maggio 2017).
58 «Dunque, se l’Altro è percepito da me come ostile, la mia reazione non può che essere di diffidenza, di
altrettanta ostilità (reale), per opporsi alla sua (presunta), e, infine, di paura» (F. RIMOLI, Introduzione. Elogio dell’indifferenza, in Paura dell’Altro. Identità occidentale e cittadinanza, a cura di F. Bilancia, F.M. Di Sciullo, F. Rimoli,
Roma, Carocci, 2008, p. 4); v. anche L. SIRACUSA, Il diritto penale dell’immigrato: brevi spunti per una riflessione
sul diritto penale della paura, «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 4, 2013, p. 765 ss.; P. CONSORTI,
Molti oggi hanno paura, «Endoxa» 2, 2017, p. 25 ss.
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