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Il mondo sfolgorante di Lauretta Vinciarelli

2019

The graphic work by Lauretta Vinciarelli (1943-2011) invites the observer to enter a universe of suspended visions, of archetypal places dominated by reflections and atmospheric fluidity. An architect and university professor in the United States, Lauretta Vinciarelli painted and made drawings moved by the wish to figuratively tap into the sunny Roman atmosphere where she came from, but also into the sweltering dryness of the Texas deserts, where she lived with partner and fellow-artist Donald Judd.

Firenze Architettura (1, 2019), pp. 16-27 ISSN 1826-0772 (print) | ISSN 2035-4444 (online) © The Author(s) 2019. This is an open access article distribuited under the terms of the Creative Commons License CC BY-SA 4.0 Firenze University Press DOI 10.13128/FiA-10643 - www.fupress.com/fa/ L’opera grafica di Lauretta Vinciarelli (1943-2011) invita l’osservatore ad entrare in un universo di visioni sospese, di luoghi archetipici in cui dominano il riflesso e la liquidità atmosferica. Architetto e docente universitario in USA, Lauretta Vinciarelli dipingeva e disegnava mossa dal desiderio di riattingere, per via figurativa, all’assolata atmosfera romana, dalla quale proveniva, ma anche alla torrida secchezza del deserto del Texas, dove visse a stretto contatto con Donald Judd. The graphic work by Lauretta Vinciarelli (1943-2011) invites the observer to enter a universe of suspended visions, of archetypal places dominated by reflections and atmospheric fluidity. An architect and university professor in the United States, Lauretta Vinciarelli painted and made drawings moved by the wish to figuratively tap into the sunny Roman atmosphere where she came from, but also into the sweltering dryness of the Texas deserts, where she lived with partner and fellow-artist Donald Judd. Il mondo sfolgorante di Lauretta Vinciarelli Lauretta Vinciarelli’s dazzling world Agostino De Rosa In un suo recente libro1, la scrittrice statunitense Siri Hustvedt (1955) ha ricostruito su diversi piani narrativi la vita di Harriet Burden, artista immaginaria il cui talento non venne riconosciuto in vita dal mondo della critica a lei contemporaneo, delineando un labirinto letterario in cui si incrociano frammenti dei suoi diari (rigorosamente redatti secondo un assurdo ordine alfabetico) e le testimonianze delle persone che la amarono o che ne derisero il lavoro. L’autrice mostra di conoscere in profondità le odierne teorie filosofiche sull’arte e sulla percezione2, tessendo una fitta trama piena di rimandi, interni e esterni al testo, a cui il lettore si abbandona man mano che procede nel racconto. Ma la brillante cultura e intelligenza della Hustvedt non costituiscono la parte più interessante del libro: è invece la pietà e l’amore per la complessa e misteriosa vita della protagonista che emerge, uno straziante e dolente ritratto di una vita complicata da una fisicità ingombrante e da un talento mostruoso che il mondo non è in grado di capire, a meno che non si mascheri (come succede nel romanzo) in tre alter-ego/prestanome maschili (Anton Tish, Phineas Eldridge e Rune) a cui vengono attribuite le sue opere, ottenendo così un incredibile successo mass-mediatico. Naturalmente non è possibile operare nessuna proiezione psico-biografica tra la vita della protagonista del romanzo della Hustevedt e quella di Lauretta Vinciarelli (1943–2011), artista e architetto italiana che ha svolto gran parte della sua attività di disegnatrice/pittrice e progettista negli Stati Uniti, e tuttavia si delinea sullo sfondo un elemento comune, che solo in tempi recenti ha iniziato a sciogliere i suoi nodi critici: il riconoscimento del valore creativo della produzione svolta da una donna in un universo fondamentalmente maschile e 16 In a recent book1, the American writer Siri Hustvedt (1955) reconstructed on various narrative levels the life of Harriet Burden, an imaginary artist whose talent was not recognised in life by the critics, sketching a literary labyrinth in which fragments of her diaries (rigorously written following an absurd alphabetical order) are mixed with the recollections of people who loved her or who scorned her work. The author has a good in-depth knowledge of contemporary philosophical theories on art and perception2, and weaves a dense plot full of references, both interior and exterior to the text, in which the reader is progressively involved as the tale proceeds. Yet the brilliant culture and intelligence of Siri Hustvedt are not the most interesting part of the book, but rather the compassion and love for the complex and mysterious life of the main character, a heartrending and painful portrait of a life complicated by an awkward body and by a huge talent that the world is not capable of understanding, unless it is masked (as in the novel) in the form of three male alter-ego/frontmen (Anton Tish, Phineas Eldridge and Rune) to whom her work is attributed, thus obtaining an incredible mass-media success. It is obviously not possible to carry out a psycho-biographic projection between the life of Hustvedt’s heroine and of Lauretta Vinciarelli (1943–2011), the Italian artist and architect who carried out a great part of her work as a designer, as well as a draughtswoman and painter in the United States, and yet there is a common element to both lurking in the background which only recently has began to be revealed: the recognition of the creative value of a woman’s production in an essentially male and chauvinist world, that of contemporary art and architecture. Lauretta Vinciarelli Atrium II, 1di 4, 1991, acquarello su carta MAXXI Museo delle arti del XXI secolo, Roma. Collezione MAXXI. Fondo Lauretta Vinciarelli (67996) 17 Lauretta Vinciarelli Orange incandescence 1-2-3, 1997, acquarelli su carta MAXXI Museo delle arti del XXI secolo, Roma. Collezione MAXXI. Fondo Lauretta Vinciarelli (68004, 68005, 68006) pp. 20-21 Lauretta Vinciarelli The Ray 2-3, 1990, acquarelli su carta MAXXI Museo delle arti del XXI secolo, Roma. Collezione MAXXI. Fondo Lauretta Vinciarelli (67999-68000) p. 24 Lauretta Vinciarelli Suspended in red (study 1), 2004, acquarello su carta MAXXI Museo delle arti del XXI secolo, Roma. Collezione MAXXI. Fondo Lauretta Vinciarelli (67989) p. 25 Lauretta Vinciarelli Pond water in red, 2007, acquarello su carta MAXXI Museo delle arti del XXI secolo, Roma. Collezione MAXXI. Fondo Lauretta Vinciarelli (67988) maschilista, quello dell’arte e dell’architettura contemporanee. Altro elemento di distanza fra le due ‘storie’ è la straordinaria bellezza della Vianciarelli che nulla ha a che vedere con la complessa corporeità della protagonista della fiction: una bellezza elegante, pacata e caratterizzata da un’apparente algida distanza dall’ambiente culturale e artistico che pure la vide protagonista. In un potente ritratto scattato durante la sua lunga permanenza in USA, di cui poi diremo, la vediamo nel suo studio newyorkese, con gli occhi limpidi rivolti verso l’obiettivo, a braccia conserte, in un’apparente contraddizione prossemica rispetto al senso di sicurezza che emana la posa. Lauretta Vinciarelli nasce ad Arbe (oggi in Croazia, ma all’epoca nell’Istria italiana), ma cresce a Gradoli (in provincia di Viterbo) per poi trasferirsi nella Roma del primo dopoguerra, dove consegue la laurea in architettura (1971), presso l’Università La Sapienza di Roma. È in questo contesto scientifico che la Vinciarelli inizia a maturare il suo personale sguardo progettuale, profondamente influenzato da alcuni maestri sia accademici, segnatamente Ludovico Quaroni3 (1911-1987), che non, come Mario Ridolfi (1904-1984) e, più in generale, dal movimento neorealista, attento alle implicazioni etiche e sociali del fare architettura. Ma è soprattutto la nascente analisi tipologica4 che attira la sua attenzione in ambito accademico e che poi, dopo il suo trasferimento negli Usa a partire dal 1969, trasfonderà nei corsi da lei tenuti presso la Columbia University (1978-2000), il Pratt Institute, e the City College of New York. L’occasione di parlare oggi di Lauretta Vinciarelli – dopo un lungo e colpevole silenzio da parte 18 An important difference between the two ‘stories’, however, is Vinciarelli’s extraordinary beauty, which is a far cry from the complex body of the protagonist of the novel: an elegant, serene beauty, characterised by an apparently cold distance from the cultural and artistic ambience of which she was a key character. In a powerful portrait taken during her long stay in the United States, we see her in her New York studio, looking into the lens with clear eyes, arms folded in an apparently proxemic contradiction with the sense of security that emanates from her stance. Lauretta Vinciarelli was born in Arbe (today in Croatia, but at the time a part of Italian Istria), grew up in Gradoli (province of Viterbo) and moved to Rome after the war, where she graduated in architecture (1971), at La Sapienza in Rome. It is in this scientific context that Vinciarelli began to develop her own personal design approach, deeply influenced by some masters, both academic, such as Ludovico Quaroni3 (1911-1987), and not, like Mario Ridolfi (1904-1984) and, more generally, by the neorealist movement, which played close attention to architecture’s ethical and social implications. Yet it is the budding typological analysis4 that draws her attention in academics and which later, after her move to the United States in 1969, will instill the courses she held at Columbia University (1978-2000), the Pratt Institute, and the City College of New York. The opportunity to remember Lauretta Vinciarelli – after a long and guilty silence from historians of the visual arts and of architecture tout court – derives from the coincidence of two ‘parallel’ exhibitions devoted to her, unbeknownst from degli storici della rappresentazione e dell’architettura tout court – nasce dalla coincidenza di due mostre ‘parallele’ a lei dedicate, ignare l’una dell’altra, eppure complementari. Per essere rigorosi, bisognerebbe precisare che le due esibizioni sono dedicate ai due aspetti precipui della sua produzione, quella più strettamente architettonica e quella dedicata alla sua attività pittorica, spesso intrecciati fra di loro. La prima, intitolata semplicemente Lauretta Vinciarelli è ospitata, fino al 29 giugno prossimo, presso la Judd Foundation5 (101 Spring Street, New York) e raccoglie i grafici progettuali redatti dall’architetto sia per alcuni giardini e strutture porticate nel Texas occidentale, che per un complesso che avrebbe dovuto essere realizzato in Puglia, quest’ultimo in collaborazione con Leonardo Foderà (1914), su incarico della Amministrazione Regionale6. Si tratta di disegni eseguiti ad inchiostro e matite colorate su carta da lucido o su poliestere che provengono dalla collezione della Judd Foundation. Infatti l’artista americano Donald Judd (1924-1994) acquistò un certo numero di disegni della Vinciarelli, sua compagna di vita e collaboratrice dal finire degli anni ’70, tra cui quelli esposti. Le restanti opere in mostra a New York sono il frutto di una generosa donazione alla stessa fondazione effettuata nel 2012 dal marito della Vinciarelli, lo storico Peter G. Rowe, Raymond Garbe Professor of Architecture and Urban Design e Harvard University Distinguished Service Professor. I grafici presentati utilizzano i classici metodi di rappresentazione del progetto architettonico, e dunque prevalgono proiezioni parallele – immagini mongiane (piante, elevati e sezioni) e assonometri- each other, yet complementary. In all truth, it must be said that the two exhibitions are dedicated to her two main activities, one that is more strictly related to architecture, and the other to her work as a painter, both of which are often intertwined. The former, simply entitled Lauretta Vinciarelli, was held until June 29 at the Judd Foundation5 (101 Spring Street, New York) and gathers the design drawings produced for some gardens and porticoed structures in western Texas, as well as for a complex that was to be built in Puglia in collaboration with Leonardo Foderà (1914) and commissioned by the Regional Administration6. These are drawings in ink and coloured pencils on tracing paper or polyester which are part of the Judd Foundation collection. In fact the American artist Donald Judd (1924-1994) acquired a number of drawings by Vinciarelli, who was both his partner and collaborator toward the late Seventies, including those presented in the exhibition. The remaining works exhibited in New York are the result of a generous donation made to the foundation in 2012 by Vinciarelli’s husband, the historian Peter G. Rowe, Raymond Garbe Professor of Architecture and Urban Design and Harvard University Distinguished Service Professor. The drawings in question used the traditional methods of representation of the architectural project, and therefore parallel projections prevail – Mongian (plans, elevations and sections) and axonometric images – with an unusual predilection for the use of the cavaliera, a clear indication that Vinciarelli participated assiduously in the courses on Descriptive Geometry while a student in Italy7, and perhaps an 19 che –, con una atipica predilezione per l’utilizzo di quella cavaliera, chiaro indizio che la Vinciarelli fu assidua frequentatrice, da studentessa, dei corsi di Geometria Descrittiva durante i suoi anni universitari in Italia7, e forse prova indiretta del suo incontro con Massimo Scolari e le sue immagini oblique8. In particolare, Drawings for the Puglia Project (1975-1977), Drawings of the hangar and open and enclosed court house (risalenti al 1980) e Project for a Productive Garden in an Urban Center in South West Texas9 (1979) mostrano l’interesse che la Vinciarelli condivise con Judd sugli studi tipologici: elementi modulari e minimi (vasche d’acqua, pergolati, corti, pattern vegetali etc.) che diventano fonemi archetipici da assemblare in complesse articolazioni spaziali, caratterizzate dalla forte simmetria e da ripetitiva regolarità, quasi alludendo a schemi compositivi vernacolari, attualizzati dall’icasticità della loro essenza figurale10. L’elemento del contesto circostante ricorre in tutti i disegni e dovette sicuramente esercitare una profonda influenza su Donald Judd allorché progettò e realizzò la sua casa e il suo studio a Marfa (La Manasana de Chinati/The Block, Texas, USA) negli anni Settanta e Ottanta del Novecento11. Le scelte rappresentative e quelle cromatiche mostrano un architetto perfettamente in linea con il linguaggio figurativo post-modern dei vari Aldo Rossi (1931-1977), John Hejduk12 (1929 –2000) e Rai- 20 indirect proof of her having met Massimo Scolari and his immagini oblique8. In particular, Drawings for the Puglia Project (19751977), Drawings of the hangar and open and enclosed court house (which date back to 1980) and Project for a Productive Garden in an Urban Center in South West Texas9 (1979) show Vinciarelli’s interest in typological studies, which she shared with Judd: modular and minimal elements (water basins, pergolas, courtyards, plant patterns, etc.) which began archetypal phonemes to be assembled in complex spatial articulations characterised by a powerful symmetry and a repetitive regularity, almost alluding to vernacular compositional schemes, updated by the incisiveness of their figurative essence10. The element of the surrounding context recurs in all the drawings and surely had a deep influence on Donald Judd when he designed and built his house and studio in Marfa (La Manasana de Chinati/The Block, Texas, USA) during the Seventies and Eighties11. The representative and chromatic choices show an architect who is perfectly in line with the post-modern figurative language of Aldo Rossi (1931-1977), John Hejduk12 (1929 –2000) and Raimund Abraham13 (19332010) –, all of which were militant architects who underlined, through their critical work, the importance of design as epiphanic locus of architecture, and yet the exhibition introduces an element mund Abraham13 (1933-2010) –, tutti architetti militanti che sottolinearono, nel loro lavoro critico, l’importanza del disegno come locus epifanico dell’architettura, e tuttavia la mostra introduce un elemento di scarto, non radicale, ma presago dei futuri sviluppi che il linguaggio figurativo della Vinciarelli avrebbe assunto di lì a qualche anno: mi riferisco alle vedute architettoniche realizzate ad acquarello, tecnica alla quale l’architetto inizia a dedicarsi, con impegno e rigore, a partire dal 1986, raggiungendo risultati vieppiù originali ed espressivi. Appunto a quell’anno risalgono le tre immagini esposte a New York: si tratta di delicati poemi tonali ritraenti, in un esterno assolato (scenario desunto dalla campagna italiana o dai deserti del Texas?), ora una struttura di pilastri e travi a giorno (un topos per le sue future opere pittoriche), ora uno scavo dal vago sapore archeologico, ora un giardino rigidamente ordinato di alberi e siepi platoniche. Più che la ricerca nel campo della figurazione architettonica, qui la Vinciarelli sembra voler iniziare ad esplorare una sua personale idea di spazio che si materializza grazie al ruolo rivelatore della luce, dello scattering atmosferico e delle ombre proprie, portate e autoportate da ciascun elemento dipinto, sia pure esso risulti minimale. Si diceva del paesaggio, alluso attraverso ampie distese d’erba che toccano delicatamente l’orizzonte geografico e sul quale si insediano, in lontananza, le of distancing, albeit not radical, which is premonitory of the future developments of Vinciarelli’s figurative language: I am referring to the architectural vistas made with watercolours, a technique that she began to practice with diligence in 1986, and through which she obtained original and expressive results. The three images presented in New York are precisely from that year: three delicate tonal poems which depict, in a sunny exterior (a landscape from the Italian countryside or from the Texas desert?), a structure with pillars and exposed beams (a topos for her future paintings), a vaguely archaeological excavation, and a strictly ordered garden with Platonic trees and hedges. Rather than to carry out research in the field of architectural figuration, Vinciarelli seems to want to explore her own personal idea of space that materialises thanks to the revealing role of light, of atmospheric scattering and of the shadows generated by each of the painted elements, however minimal. The landscape is alluded to through wide expanses of grass which delicately touch the geographical horizon, and on which the stroboscopic outlines of the azure or cinnabar hills, echos of Leonardo’s atmospherical perspective. Additionally, a sort of σφραγίς of her entire production emerges, the use of frontal perspectives, characterised by a strong axiality and symmetry: it is therefore a hyperuranian space, dominated by blinding lights 21 sagome stroboscopiche di monti azzurrini o cinabri, echi della prospettiva atmosferica di leonardesca memoria. Emerge inoltre, come sorta di σφραγίς di tutta la sua produzione, il ricorso a prospettive frontali, caratterizzate da una forte assialità e simmetria: si tratta dunque di uno spazio iperuranico, dominato da luci accecanti e ombre nette, quindi privo di quegli elementi ottico-retinici che renderebbero le viste esperienze iper-realistiche per lo sguardo dell’osservatore. L’assenza di presenze umane o animali rafforza la sensazione di essere difronte ad immagini di un paesaggio mentale, di un universo che inizia a delinearsi nell’immaginazione dell’artista alla fine degli anni ’80, quale luogo del desiderio. La parola ‘desiderio’, come è noto, deriva dal latino, risultando composta del suffisso negativo ‘de-’ e dal lemma ‘sidus’ (stella)14. Dunque, ‘desiderio’ come ‘avvertire la mancanza delle stelle’, cioè di un bene, di un presagio o di un auspicio positivo. Anche Lauretta Vinciarelli, credo, dipingeva e disegnava mossa da un desiderio, qui inteso come ‘spinta per ciò che non si ha più o che si è perduto’: lei, in una certa misura, aveva perso il contatto quotidiano con l’assolata atmosfera della campagna romana, dalla quale proveniva, ma anche la torrida secchezza del deserto del Texas, di Marfa in particolare, dove visse a stretto contatto con Donald Judd e che poi abbandonò, chiusosi quel sodalizio artistico ed umano (1976-1986). Non dimentichiamo che il deserto fu la dimensione privilegiata di molti artisti statunitensi del cosiddetto movimento minimalista, a cui lo stesso Judd apparteneva, secondo gli schemi tassonomici elaborati dai critici degli anni Settanta e Ottanta, costituendo sicuramente un elemento cardine dell’immaginario spaziale e geografico americano, grazie all’idea di frontiera a cui poteva facilmente essere associato15; ma soprattutto perché rappresentò, per gli artisti statunitensi di quegli anni, il luogo del possibile e dell’inusitato. Si pensi solo al fatto che a quel periodo risalgono alcuni dei progetti desertici più significativi nell’ambito dei cosiddetti earthworks, come The City16 di Michael Heizer (1944) e il Roden Crater Project17 di James Turrell (1943). Lauretta Vinciarelli ebbe sicuramente informazioni di prima mano su queste (e altre) opere titaniche, grazie al milieu culturale che frequentò, ma attraverso le sue opere pittoriche è come se quel paesaggio geologico, così centrale nelle opere dei suoi colleghi, divenisse lo sfondo o meglio, l’ambienza per le sue sperimentazioni spaziali e skiagrafico-luministiche, visioni sospese di luoghi archetipici in cui dominano, come eterni bordoni figurativi, il riflesso e la liquidità atmosferica. Proprio a questa parte della sua produzione, più rilevante in termini quantitativi e, credo, anche qualitativi rispetto alla precedente, è dedicata la seconda mostra che vede coinvolta Lauretta Vinciarelli. Si tratta infatti di una sezione monografica che il MAXXI-Museo nazionale delle arti del XXI secolo le ha dedicato in seno a Collezione MAXXI - Lo Spazio dell’Immagine, con la curatela di Margherita Guccione e di Bartolomeo Pietromarchi. Al piano terra del museo sono infatti esposti diciassette acquerelli, più alcuni fogli sparsi (per lo più prove colore) e due taccuini aperti, tutte opere facenti parti del fondo Vinciarelli, di proprietà del museo capitolino, costituitosi nel 2015, ancora una volta grazie ad una generosa donazione, da parte di Peter Rowe. Il fondo, nella sua globalità, consta di quaranta acquerelli, trenta fogli di studi di colore, sei fogli di studi a matita e quattro sketchbook, realizzati tra il 1986 e il 2007, dunque nel periodo di maggiore creatività artistica della Vinciarelli. Le opere del fondo documentano in modo completo l’arco espressivo dell’artista: all’inizio il focus rappresentativo è rivolto a spazi architettonici in cui strutture razionaliste, dalle proporzioni classiche, vengono visitate dalla luce solare, dunque diurna, che penetra lateralmente (si veda la serie intitolata The Ray, 1, 2, 3, 1990), attraverso sopraluce lineari, collocati in prossimità del coronamento di muri che 22 and clear shadows, therefore lacking in those optical-retinical elements that would turn the vistas into hyper-realistic experiences for the gaze of the observer. The absence of human or animal presences strengthens the feeling of being before images of a mental landscape, of a universe that begins to take shape in the imagination of the artist towards the late Eighties, as a place of desire. The word ‘desire’, as is well-known, derives from the Latin negative suffix ‘de-’, and the word ‘sidus’ (star)14. Thus ‘desire’ is the ‘awareness of the lack of stars’, that is of a good, of a positive auspice or omen. I believe that Lauretta Vinciarelli painted and drew moved by a desire, understood as ‘motivated by that which one no longer has or has lost’: in a certain sense she had lost the everyday contact with the sunny atmosphere of the Roman countryside from which she came, but also with the sweltering dryness of the Texas desert, of Marfa in particular, where she lived in close contact with Donald Judd, whom she later abandoned, once their human and artistic partnership came to an end (1976-1986). Let us not forget that the desert was the privileged space of many American artists of the so-called minimalist movement, to which Judd belonged, according to the classifications made by critics in the Seventies and Eighties, becoming a cornerstone of the American spatial and geographical imaginary, thanks to the idea of frontier to which it could easily be associated15; but especially since it represented for American artists of that era the place of the possible and the unusual. Some of the most significant desert projects in the context of the so-called earthworks, such as The City16 by Michael Heizer (1944) and the Roden Crater Project17 by James Turrell (1943) are from that period. Lauretta Vinciarelli surely knew about these (and other) titanic works as a consequence of the cultural milieu she associated with, and through her paintings it is as though that geological landscape, so central in the work of her colleagues, became the backdrop, or rather the ambience for her spatial and skiagraphic-luministic experimentation, suspended visions, of archetypal places dominated by reflections and atmospheric fluidity. The second exhibition concerns this part of her production, more relevant in terms of quantity and also, I believe, of quality. It consists of a monographic section that MAXXI-Museo nazionale delle arti del XXI secolo devoted to her: Collezione MAXXI - Lo Spazio dell’Immagine, curated by Margherita Guccione and Bartolomeo Pietromarchi. On the ground floor of the museum seventeen watercolours are presented, as well as a few loose sheets (mostly colour tests) and two open notebooks, all belonging to the fondo Vinciarelli, property of the museum, which was established in 2015 thanks to a generous donation by Peter Rowe. The collection as a whole consists of forty watercolours, thirty study sheets in colour, six pencil studies and four sketchbooks, all from the period between 1986 and 2007, in other words the years of Vinciarelli’s greater artistic activity. The works included in the collection document in a comprehensive manner the expressive range of the artist: initially the representative focus is aimed at architectural spaces in which rationalist structures, visited by sunlight which enters laterally (see the series entitled The Ray, 1, 2, 3, 1990), through linear fanlights placed next to the apex of the walls that enclose the spaces, or a rhythmic series of vertical windows seen from a tight perspective; or else from above, through mystical skylights (for example, Atrium, 1 of 4, 1991). The figurative echos from rationalist architecture and antiquity (the Pantheon and her beloved Chiesa di Santa Sabina, in particular) are explicit, although transfigured. In these cases slight chromatic variations in the treatment of the structures allow the vistas of a same interior (often organised in a numbered series) to be explored at different times of the day, as the different quality of the light suggests. It is delimitano gli ambienti, o una serie di ritmiche finestre verticali, viste di stretto scorcio; oppure dall’alto, attraverso mistici lucernai sommitali (ad esempio, Atrium, 1 di 4, 1991). Gli echi figurativi dell’architettura razionalista e del mondo antico (il Pantheon e l’amata Chiesa di Santa Sabina, in particolare) appaiono abbastanza espliciti, anche se trasfigurati. In questi casi, leggère variazioni cromatiche nel trattamento delle strutture, permettono alle vedute di uno stesso interno (organizzate spesso in una serie numerata cardinalmente) di essere esplorata in diverse ore della giornata, come la differente qualità della luce potrebbe lasciare intendere. Si tratta dunque di sequenze in cui l’uso delle proiezioni centrali rimanda ad un’idea di frontalità pierfrancescana, allusa anche dalle scelte delle tonalità impiegate. Bernard Berenson18 si esprimeva, nel caso del pittore di Borgo San Sepolcro, definendo i suoi dipinti come caratterizzati da una sospensione delle passioni umane, come loci, ad un tempo filosofici e figurativi, in cui l’umano trascolorava nel divino, in cui gli oggetti si sublimavano nelle loro forme formanti. Anche nel caso degli acquerelli della Vinciarelli si assiste ad uno spostamento dal dato retinico a quello percepito quasi da un occhio interiore, all’inizio in forma intuitiva e forse involontaria, ma successivamente sostenuto dall’avvicinamento dell’autrice (nell’ultima parte della sua vita) alle filosofie estremo-orientali, soprattutto all’idea non dualistica del rapporto tra vuoto e pieno connesso ad esse19. Difficile dire a cosa queste architetture dipinte possano essere avvicinate, ma se proprio dovessi trovare un termine di paragone, escludendo l’ovvio rimando agli spazi ritmici di Adolphe Appia20, per me sarebbe letterario, anzi filmico: intendo qui riferirmi allo spazio retorico desumibile dalla lettura de La invención de Morel21 (1940) dello scrittore argentino Adolfo Bioy Casares (1914-1999), e ancor più dalla sua trasposizione cinematografica (1974) a firma di Emidio Greco. Per una buona mezz’ora, la pellicola svolge il suo plot nel silenzio più assoluto e, solo dopo una ricerca spasmodica, un naufrago/fuggiasco, interpretato dall’attore Giulio Brogi, approdato su un’isola creduta deserta (si tratta di Malta, in parte anche ricostruita negli studi di Cinecittà), scopre di non essere solo e che gli abitanti che la popolano sono in realtà presenze ectoplasmatiche, imprigionate in un ‘eterno ora’ che costringe le loro proiezioni a rivivere, ad infinutum, i sette giorni trascorsi appunto sull’isola, a partire dalla fine degli anni Venti in poi. La macchina di Morel, evocata nel titolo, assolve a questa oscura funzione proiettiva: generare un tempo sospeso, consentire un infinito ripetersi delle azioni e degli eventi, trasformare la storia in pulviscolo. Nelle immagini della Vinciarelli sembra che le architetture siano state ritratte dall’autrice un attimo prima che la macchina di Morel potesse mettere in moto il suo processo rammemorativo. Più che di un mondo dove l’essere umano non è mai stato, i suoi acquerelli sembrano alludere ad un luogo in cui l’essere umano non è più. Le configurazioni spaziali delle sue opere iniziano a subire un inedito viraggio intorno al 1993, allorché l’artista comincia ad abbandonare la stringente simmetria orizzontale, in cui gli elementi architettonici si raddoppiano attraverso le relative immagini riflesse in piscine e in vasche che occupano la metà inferiore del formato pittorico: adesso le aree che descrivono gli effetti catottrici dell’acqua sono preponderanti, lasciando solo intuire cosa effettivamente le sovrasti. Si tratta di un gioco di specchi che introduce un elemento vieppiù perturbante in queste immagini fatte sempre meno di luce, e sempre di più di ombre. Inoltre, il tema del riflesso asimmetrico sembra insinuare il dubbio che nel formato pittorico siano attivi due regimi scopici, consustanziali nello spazio figurativo, eppure ontologicamente distinti: l’uno, umano che scorge a stento la realtà fenomenica, e l’altro, trascendente, che solleva il velo di Maja, rivelando l’illusorietà della percezione sensoria. L’atmosfera notturna ora inizia a prendere il sopravven- thus sequences in which the use of central projections is linked to Piero della Francesca’s idea of frontality, also alluded by the choice of tonality. Bernard Berenson18, referring to the painter from Borgo San Sepolcro, defined his paintings as being characterised by a suspension of human passions, as loci, both philosophical and figurative, in which the human blended with the divine, in which objects became sublimated in their forms. Also in the case of Vinciarelli’s watercolours there is a shifting of the retinical data to that which is perceived almost by an inner eye, first intuitively and perhaps involuntarily as well, yet subsequently sustained by the artist’s interest (towards the end of her life) in fareastern philosophies, especially the non-dualistic idea of the relationship between void and full, connected to them19. It is difficult to say what these painted architectures can be compared with, but if a comparison is to be made, excluding the obvious reference to Adolphe Appia’s rhythmic spaces20, for me it would be literary and filmic: I am referring to the rhetorical space inferred from reading La invención de Morel21 (1940) the novel by the Argentine writer Adolfo Bioy Casares (1914-1999), and especially from its film version (1974) directed by Emidio Greco. For as long as a half hour the film unfolds in absolute silence, and only after a spasmodic search a castaway/fugitive, played by the actor Giulio Brogi, having arrived in an island which he believes to be uninhabited (it happens to be Malta, including parts reconstructed in the film studios at Cinecittà), discovers that he is not alone and that the people who inhabit it are really ectoplasmic presences imprisoned in an eternal ‘now’ which forces their projections to relive, ad infinutum, the seven days passed on the island. Morel’s machine, evoked in the title, has this obscure projective function: to generate a suspended time, to permit the infinite repetition of actions and events, to transform history into a fine dust. In Vinciarelli’s images it seems that the architectures were painted an instant before Morel’s machine could start its remembrance process. Rather than a world where humans have never set foot, her watercolours seem to allude to a place where humans are no longer. The spatial configurations of her works begin to take a turn around 1993, when the artist started to abandon stringent horizontal symmetry in which architectural elements double through images reflected in pools and basins placed in the lower section of the paintings: now the areas that describe the catoptric effects of water prevail, only intuitively letting the viewer see what is above them. It is a play of mirrors that introduces a perturbing element to these images made increasingly less of light and more of shadows. Additionally, the theme of the asymmetric reflection seems to insinuate the doubt that two scopic regimes are active in the pictorial format, consubstantial to figurative space, yet ontologically different: one, human, which hardly perceives phenomenic reality and the other, transcendent, which lifts the veil of Maya, revealing the illusory nature of sensory perception. The nocturnal atmosphere begins to prevail22, and the chromatic spectrum used by Vinciarelli progressively turns toward colder and more chthonic tones, in which the image of light becomes residual and therefore more powerful. The series Orange incandescence (1997), exhibited at the Maxxi, is perhaps one of her more successful works, thanks to the capacity to dissolve the material nature of architecture, so evident in previous works, and to make space to a total perceptive field (ganzfeld) made exclusively of colour gradually fading-out to dark indigo. Or the sequence called Suspended in Red (study 1, 2004), in which a luminous column seems to traverse an infinite and evanescent skyscraper, made of orange and ochre vapours: the memory of the observer in this case, despite the abstraction that relates these images to Mark Rothko’s abstract expressionism (often quoted by Vinciarelli as her source 23 to22, e lo spettro cromatico impiegato dalla Vinciarelli sterza progressivamente verso tonalità più algide e ctonie, in cui l’immagine della luce diventa sempre più residuale e perciò più potente. La serie Orange incandescence (1997), esposta al Maxxi, è forse una delle sue più riuscite nella capacità di dissolvere la matericità dell’architettura, così evidente nelle opere precedenti, e lasciare spazio a un campo percettivo totale (ganzfeld) fatto solo di colore in graduale dissolvenza verso l’indaco scuro. O ancora la sequenza intitolata Suspended in Red (study 1, 2004), in cui una colonna luminosa sembra attraversare un infinito grattacielo evanescente, fatto di vapori arancioni e ocra: la memoria dell’osservatore in questo caso, nonostante l’astrazione che avvicina queste immagini all’espressionismo astratto di Mark Rothko (più volte citato dalla stessa Vinciarelli come sua fonte di ispirazione)23, o a certe opere 24 of inspiration)23, or to certain works by Donald Judd or James Turrell, cannot but go back to September 11, 2001 and the destructive incandescence that took place on that day. Vinciarelli’s work seems thus to be linked to that of some of her American colleagues that carried out their expressive research, toward the late Nineties, on perception as an art medium: however, the strength of her mature work lies in the fact that she never needed esoteric budgets or technicians specialised in lighting of building for carrying out 3D installations. All she needed was a sheet of Fabriano Artistico bianco 100% cotone paper (80 cm x 60 cm) and a box of Winsor & Newton colours for producing a small epiphanic miracle in the sensory experience of the viewer of her works. The spasmodic attention to the delicate tonal shifts and the manic efforts to obtain original chromatic spectra in her water- dello stesso Donald Judd o di James Turrell, non può che andare all’11 settembre 2001 e all’incandescenza distruttiva legata a quella data. Il lavoro della Vinciarelli sembra così ancor più avvicinarsi a quello di alcuni colleghe e colleghi statunitensi che svolgono le loro ricerche espressive, sul finire degli anni ’90, sulla percezione come medium artistico: tuttavia la potenza della sua opera matura fu che lei non ebbe mai bisogno di budget esoterici, o di maestranze specializzate in illuminotecnica o in edilizia per realizzare installazioni tridimensionali. A lei bastava un foglio di carta Fabriano Artistico bianco 100% cotone (80 cm x 60 cm) e una scatola di colori Winsor & Newton per realizzare un piccolo miracolo epifanico nell’esperienza sensoria del fruitore delle sue opere. L’attenzione spasmodica al delicato shifting tonale e la cura maniacale per l’ottenimento di originali spettri cromatici nei suoi acquerelli si evin- colours can be deduced from the analysis of some of her sketchbooks, which are also kept at the Maxxi24 and are full of precise indications as to how certain specific effects for a uniform coating of colour can be obtained which are quite difficult with the technique of the watercolour. Yet precisely as she was reaching this threshold in the technique of the watercolour, that echoed her inner research, Lauretta Vinciarelli died: whereas toward the late Nineties it is possible to frame her creative efforts in interior architectural spaces visited by light investigated in all its quantum properties – as corpuscle and as wave25 –; in the final phase of her production we assist to a progressive abstraction of all the expressive elements of her language, which by now tended to continuously flow from one to the other, as prescribed by Zen philosophy. I like to imagine that if her research had continued 25 ce dall’analisi di alcuni dei suoi taccuini, anch’essi conservati al Maxxi24, zeppi di indicazioni precise su come potessero essere ottenuti specifici effetti di stesura uniforme di colore, assai complessi da raggiungere con la tecnica dell’acquerello. Ma proprio verso questa zona liminale della tecnica dell’acquerello, che fu eco della propaggine estrema della sua ricerca interiore, si spinse Lauretta Vinciarelli: se all’inizio degli anni ’90 è possibile inquadrare la sua attenzione creativa verso gli spazi interni di architetture visitate da una luce indagata in tutte le sue proprietà quantistiche – di corpuscolo e di onda25 –; nella fase finale della sua produzione assistiamo a un’astrazione progressiva di tutti gli elementi espressivi del suo linguaggio, che ormai tendevano a tracimare l’uno nell’altro, in un flusso continuo, come quello postulato dallo Zen. Mi piace immaginare che se la sua ricerca si fosse compiuta oltre i limiti imposti dalla sua scomparsa terrena, Lauretta Vinciarelli forse sarebbe approdata ad un’immagine dominata da nero assoluto, oppure dal bianco, come succede in una serie di fotografie di Hiroshi Sugimoto26, in cui il fotografo nipponico ha lasciato l’otturatore della sua macchina fotografica aperto, difronte a uno schermo cinematografico di alcuni cinema statunitensi, per l’intera durata di una pellicola, scoprendo che l’immagine finale registrata sulla pellicola era quella di un riquadro opalescente. Tutte le immagini del mondo che diventano una sola immagine: l’immagine. A chi oggi vuole conoscere meglio il lavoro di Lauretta Vinciarelli sono d’aiuto due belle monografie a lei dedicate27, ed una bibliografia in continuo aggiornamento28. E seppure le sue opere siano state esposte in molte occasioni, in importanti musei e gallerie29, negli Stati Uniti e in Italia, si attende una antologica che possa unificare i vari fondi esistenti nei vari continenti, per poter offrire una visione completa del suo lavoro: un architetto e un’artista che seppe spingere il suo sguardo oltre la forma e l’immagine, per attingere ad un universo puro, fatto di luci e ombre, pericolosamente in bilico sulla soglia dell’estinzione. Ma forse, proprio per questo, così attraente per noi, che viviamo oggi il tempo dell’esilio. Si ringraziano: Margherita Guccione, Direttrice del MAXXI Architettura (Roma), e Carla Zhara Buda, Responsabile del Centro Archivi MAXXI Architettura (Roma), per avere concesso l’utilizzo delle immagini presenti in questo articolo; Peter G. Rowe, Raymond Garbe Professor of Architecture and Urban Design e Harvard University Distinguished Service Professor, per aver risposto gentilmente ad alcuni interrogativi sulla vita di Lauretta Vinciarelli; David Totah, per aver fornito una copia di Lauretta Vinciarelli. Light Unveiled, catalogo della mostra tenutasi nel 2016 presso l’omonima galleria di New York. 1 Cfr. S. Hustvedt, Il mondo sfolgorante, Einaudi, Torino 2015. In merito, si veda: S. Hustvedt, Le illusioni della certezza, Einaudi, Torino 2018; Id., Vivere, pensare, guardare, Einaudi, Torino 2014. Il primo dei testi citati costituisce una parziale traduzione del più corposo; Id., The delusion of Certaiinty, Simon & Schuster, New York 2017. 3 Ludovico Quaroni insegnò nei corsi di Composizione Architettonica della Facoltà di Architettura di Roma, fra il 1963 e il 1973. In merito si veda: A. Riondino, Ludovico Quaroni e la didattica dell’architettura nella Facoltà di Roma tra gli anni ’60 e ’70 Il progetto della Città e l’ampliamento dei confini disciplinari, Gangemi, Roma 2012. 4 Cfr. G.C. Argan, Sul concetto di tipologia architettonica, in G.C. Argan, Progetto e destino, Il Saggiatore, Milano 1965; A. Rossi, Tipologia manualistica e architettura, in AA.VV., Rapporti tra la morfologia urbana e la tipologia edilizia, C.L.U.V.A., Venezia 1966; P. Grandinetti, La questione tipologica nella composizione architettonica, in U. Trame (a cura di), Tipi architettonici e fatti urbani, C.L.U.V.A., Venezia 1982. Più in generale, si rimanda a: C. Martì Arìs, Le variazioni dell’identità - Il tipo in architettura, CittàStudi edizioni, Milano 1996. 5 La mostra è stata resa possibile grazie al sostegno di Ronnie Heyman e Loren Pack & Robert Beyer. 6 Cfr. L. Vinciarelli, Giardini E Spazio: A Series of Typologies to Define Spaces, in «Domus», n° 584, Luglio 1978, p. 44. 7 Sulle vicende della scuola romana di disegno e geometria descrittiva, tra gli anni Sessanta e Settanta del ’900, si rimanda a R. Migliari, Un disegno su un foglio lungo venticinque anni, in «Disegnare idee immagini» Rivista semestrale del Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura Sapienza Università di Roma, n° 52, Gangemi Editore spa, Roma 2016, pp. 3-4; Id., La scuola romana della Geometria Descrittiva nella facoltà di Architettura (1920-2000), in L. De Carlo, R. Migliari, L. Carlevaris (a cura di), Attualità della geometria descrittiva, Gangemi Editore spa, Roma 1989, pp. 89-98. 8 Massimo Scolari ha insegnato e tenuto conferenze negli USA ininterrottamente dal 1975 al 2012, e un incontro tra lui, Lauretta Vinciarelli e Donald Judd, nella casa-loft di quest’ultimo a Soho è stato evocato in una conversazione privata avuta tra lo stesso Scolari e chi scrive. 2 26 beyond the limits imposed by her earthly demise, Lauretta Vinciarelli may have reached an image dominated by total blackness, or whiteness, as in a series of photographs by Hiroshi Sugimoto26, in which the Japanese photographer left the shutter of his camera open in front of the screen of some American cinemas for the entire duration of a movie, discovering that the final image recorded on film was that of an opalescent frame. All the images of the world become a single image: the image. Those who are interested in knowing more about Lauretta Vinciarelli’s work can consult two remarkable books devoted to her27, as well as a continuously updated bibliography28. And although her works have often been exhibited in important museums and galleries29, both in the United States and in Italy, an anthology is needed to bring together the various collections that exist in different continents in order to offer a comprehensive vision of her work: an architect and an artist that knew how to extend her gaze beyond form and image in order to reach a pure universe, made of lights and shadow, dangerously balanced on the threshold of extinction. Yet perhaps this is why it is so attractive to us, who live today the time of exile. Translation by Luis Gatt The author wishes to thank: Margherita Guccione, Director of MAXXI Architettura (Rome), and Carla Zhara Buda, who is in charge of the Centro Archivi MAXXI Architettura (Rome), for having consented to the use of the images included in this article; Peter G. Rowe, Raymond Garbe Professor of Architecture and Urban Design and Harvard University Distinguished Service Professor, for having kindly answered some questions concerning the life of Lauretta Vinciarelli; David Totah, for having provided a copy of Lauretta Vinciarelli. Light Unveiled, catalogue of the exhibition held in 2016 at his gallery in New York. 1 Cfr. S. Hustvedt, Il mondo sfolgorante, Einaudi, Torino 2015. In this respect see: S. Hustvedt, Le illusioni della certezza, Einaudi, Torino 2018; Id., Vivere, pensare, guardare, Einaudi, Torino 2014. The first of the texts mentioned is a partial translation of the larger; Id., The delusion of Certainty, Simon & Schuster, New York 2017. 3 Ludovico Quaroni taught the courses of Architectural Composition at the Faculty of Architecture in Rome between 1963 and 1973. See: A. Riondino, Ludovico Quaroni e la didattica dell’architettura nella Facoltà di Roma tra gli anni ’60 e ’70 Il progetto della Città e l’ampliamento dei confini disciplinari, Gangemi, Roma 2012. 4 Cfr. G.C. Argan, Sul concetto di tipologia architettonica, in G.C. Argan, Progetto e destino, Il Saggiatore, Milano 1965; A. Rossi, Tipologia manualistica e architettura, in Varioius Authors., Rapporti tra la morfologia urbana e la tipologia edilizia, C.L.U.V.A., Venezia 1966; P. Grandinetti, La questione tipologica nella composizione architettonica, in U. Trame (ed.), Tipi architettonici e fatti urbani, C.L.U.V.A., Venezia 1982. More generally see: C. Martì Arìs, Le variazioni dell’identità - Il tipo in architettura, CittàStudi edizioni, Milano 1996. 5 The exhibition was made possible thanks to the support of Ronnie Heyman, Loren Pack and Robert Beyer. 6 Cfr. L. Vinciarelli, Giardini E Spazio: A Series of Typologies to Define Spaces, in «Domus», n° 584, July 1978, p. 44. 7 On the Roman school of design and descriptive geometry between the Sixties and Seventies see R. Migliari, Un disegno su un foglio lungo venticinque anni, in «Disegnare idee immagini» Rivista semestrale del Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura Sapienza Università di Roma, n° 52, Gangemi Editore spa, Roma 2016, pp. 3-4; Id., La scuola romana della Geometria Descrittiva nella facoltà di Architettura (1920-2000), in L. De Carlo, R. Migliari, L. Carlevaris (eds.), Attualità della geometria descrittiva, Gangemi Editore spa, Roma 1989, pp. 89-98. 8 Massimo Scolari taught and held conferences in the United States uninterruptedly between 1975 and 2012, and a meeting between him, Lauretta Vinciarelli and Donald Judd, at the loft of the latter in Soho was mentioned in a private conversation between Scolari and the author. 9 The drawing in this group refer to the project drafted by Vinciarelli for Walker house, which Donald Judd acquired in the Seventies in Marfa. 10 Some of the many theoretical abstract drawings with an architectural theme made by Vinciarelli in the early Seventies (see the series entitled The Non-Homogenous Grid, 1973–1974) were acquired by the Department of Architecture and Design of the MoMA in 1974. The museum owns some watercolours of the series Orange Sound, project (1999), but also Steps (1989) and Water enclosure (1987 ca.). Some drawings, also with an architectural theme, characterised by a strong formal abstraction element, are kept at the Fondo Francesco Moschino A.A.M.Architettura Arte Moderna, Roma. 11 Judd and Vinciarelli collaborated in two architectural projects, one in Providence (1984) and another in Cleveland (1986), with the help of two of Vinciarelli’s exstudents, Claude Armstrong and Donna Cohen, both at the time assistants of Judd in Marfa. Concerning their professional relationship see: R. Siefert, Lauretta Vinciarelli. Into the Light: her collaborations with Donald Judd, in «Woman’s Art Journal», Spring/Summer 2017, pp. 20-27. The text is an extract of the PhD thesis Lauretta Vinciarelli: Artist, Teacher, Theorist, that R. Siefert presented at the Graduate Center of the City University of New York in 2018. Siefert is also the author of Lauretta Vinciarelli, Illuminated, in «AAFiles», n° 75, 2018, pp. 72-85. 12 J. Hejduck became professor of architecture at the Cooper Union for the Advancement of Science and Art, School of Architecture from 1964 to 2000, eventually becoming head of the Faculty of Architecture from 1975 to 2000. Regarding his 2 9 In realtà, i disegni di questo gruppo si riferiscono al progetto redatto dalla Vinciarelli per la Walker house che lo stesso Donald Judd acquistò negli anni ’70, sempre a Marfa. 10 Dei molti disegni teorici, in ambito architettonico, elaborati dalla Vinciarelli nei primi anni ’70, dal carattere astratto (cfr. la serie intitolata The Non-Homogenous Grid, 1973–1974), alcuni di essi sono stati acquisiti dal Department of Architecture and Design del MoMA nel 1974. Lo stesso museo possiede alcuni acquerelli della serie Orange Sound, project (1999), ma anche Steps (1989) e Water enclosure (1987 ca.). Alcuni disegni, sempre di carattere architettonico, caratterizzati da un forte elemento di astrazione formale, si trovano presso il Fondo Francesco Moschino A.A.M.- Architettura Arte Moderna, Roma. 11 Judd e Vinciarelli collaborarono anche alla elaborazione di due progetti architettonici collocati rispettivamente a Providence (1984) e a Cleveland (1986), con l’aiuto di due ex-studenti universitari della Vinciarelli, Claude Armstrong e Donna Cohen, entrambi all’epoca assistenti di Judd a Marfa. Sui rapporti professionali tra i due, si veda: R. Siefert, Lauretta Vinciarelli. Into the Light: her collaborations with Donald Judd, in «Woman’s Art Journal», Spring/Summer 2017, pp. 20-27. Il testo costituisce un estratto della tesi di dottorato (Lauretta Vinciarelli: Artist, Teacher, Theorist) che R. Siefert ha discusso presso the Graduate Center of the City University of New York nel 2018. Della stessa Siefert è anche Lauretta Vinciarelli, Illuminated, in «AAFiles», n° 75, 2018, pp. 72-85. 12 J. Hejduck ricoprì il ruolo di professore di Architettura presso la Cooper Union for the Advancement of Science and Art, School of Architecture dal 1964 al 2000, divenendo poi preside della Facoltà di Architettura dal 1975 al 2000. Si veda, in merito alla sua esperienza didattica: J. Hejduk, Education of an architect: The Irwin S. Chanin School of architecture of the Cooper Union, Rizzoli International, New York 1988. 13 Anche Raimund Abraham insegnò negli USA dopo il suo arrivo nel continente nord-americano, alla fine degli anni ’60, segnatamente presso la Rhode Island School of Design (Providence, Rhode Island), e poi, per circa 31 anni, fu professore di Architettura presso la Cooper Union School of Art and Architecture, New York, N.Y., nonché adjunct faculty member al Pratt Institute (Brooklyn, New York). In merito al ruolo del disegno nella produzione si veda R. Abraham, The Meaning of Place in Art and Architecture, in «Design Quaterly», n° 122, 1983. 14 Si noti che alcuni acquerelli di Lauretta Vinciarelli, posseduti dal fondo del MAXXI (cfr. Star 3, Star 2, entrambi del 1994), hanno come soggetto un atrio dal pavimento liquido, sulla cui parete di fondo si staglia una stella scultorea rossa, illuminata da luce zenitale. 15 Si veda in merito il numero monografico di «Lotus» n° 114, 2002, intitolato Deserti/ Deserts. Ma anche: W. Malpas, Land Art: A Complete Guide to Landscape, Environmental, Earthworks, Nature, Sculpture and Installation Art, Cresent Moon Publishing, Maidston (Kent) 2007. 16 Si tratta di un progetto ideato nel 1972 dall’artista americano, e situato nella contea di Lincoln, nel deserto del Nevada (USA), e che si estende per una larghezza di 1/4 di miglio e una lunghezza di 1-1/2 miglia. Il progetto si ispira alle città fortezza meso-americane, e si stima che verrà completato solo nel 2020. Cfr. D. Goodman, A Monument to Outlast Humanity, in «The New Yorker», 29 Agosto 2016; M. Kimmelman, Art’s Last, Lonely Cowboy, in «The New York Times Magazine», 6 Febbraio 2005, pp. 33-41, 59, 72, 78. 17 Il progetto, collocato in un remoto angolo del Painted Desert (Arizona, USA), è stato ideato da James Turrell a partire dall’inizio degli anni ’70, e consiste in una serie di ambienti ipogei, scavati e modellati in un cratere vulcanico spento, orientati, attraverso tunnel di collegamento o aperture disegnate ad hoc, per catturare specifici eventi celesti. Non è stata ancora prevista una data di completamento dell’opera. Cfr. A. De Rosa (a cura di), James Turrell. Geometrie di luce Roden Crater Project, Electa, Milano 2007. 18 Cfr. B. Berenson, Piero della Francesca o dell’arte non eloquente, SE/Abscondita, Milano 2014. 19 Cfr. F. Cheng, Vuoto e pieno. Il linguaggio pittorico cinese, Morcelliana, Brescia 2016. 20 Cfr. P. Salvadeo, Adolphe Appia. 1906 Spazi ritmici, Alinea, Firenze 2007. 21 Cfr. A. Bioy Casares, L’Invenzione di Morel, SUR, Roma 2017. 22 Già nella serie Night (1996), Lauretta Vinciarelli aveva esplorato il potere mesmerico della luce notturna, anche se in quelle immagini l’architettura manteneva ancora la sua presenza configurativa riconoscibile. 23 Cfr. Lauretta Vinciarelli, conferenza tenuta presso The Spitzer School of Architecture, 2009. Cit. in R. Siefert, Lauretta Vinciarelli. Into the Light: her collaborations with Donald Judd, cit., p. 26. 24 Colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente sia Margherita Guccione, Direttrice del MAXXI Architettura, che Carla Zhara Buda, Responsabile del Centro Archivi MAXXI Architettura, per avermi consentito la visione diretta di tutti i materiali costituenti il fondo Vinciarelli presso l’Archivio del MAXXI. Una parte di essi possono essere consultati anche online, accedendo al sito: http//inventari.fondazionemaxxi. it/AriannaWeb/main.htm #archivio. 25 Se ne ha idea osservando de visu gli acquerelli, e constatando come gli effetti di scattering atmosferico siano ottenuti dalla Vinciarelli utilizzando strati uniformi di colore diluito, ma anche con l’aiuto di matite colorate. Queste ultime aggiungono una granulosità materica che la luce, irrompendo negli spazi ipogei – così frequentemente evocati dall’artista –, spesso mostra. Sull’uso narrativo e simbolico della luce e dell’ombra nella rappresentazione pittorica, si veda: A. De Rosa, Geometrie dell’ombra. Storia e simbolismo della teoria delle ombre, CittàStudi, Milano 1997. 26 Cfr. T. Matsumoto, et al., Hirsoshi Sugimoto. Theatres, Damiani, Bologna 2016. 27 G. Ranalli, P. Rowe, C. Farey, I. Panicelli, Clear Light. The architecture of Lauretta Vinciarelli, Oscar Riera Ojeda Publishers, New York 2015; B. Hodge (a cura di), Not Architetcture but the Evidence that its Exists. Lauretta Vonciarelli: Watercolors, Princeton Architectrual Press, New York 1998. 28 Oltre ai testi già citati in nota, si ricordano qui: D. Totah et al., Lauretta Vinciarelli. Light Unveiled, Totah Gallery, New York 2016; I. Panicelli, Lauretta Vinciarelli, in M. Guccione (a cura di), MAXXI Architettura. Catalogo delle collezioni, Quodlibet, Macerata 2015, pp. 186-189.; L.R. Rinder, C. Illes, et al., Whitney Biennal, Harry N. Abrams, New York 2002, pp. 220-221, 274; L. Vinciarelli, Red Rooms, Water Enclosures and Other Unfolding Spaces, in «Oz», vol. 17, 1995, pp. 26-31; M. Filler, Building with Paper and Water, in «Design Quarterly», autunno 1992, pp. 15-21; L. Woods, Lauretta Vinciarelli: The Architetcture of Light, in «A&U», giugno 1992, pp. 9-11. 29 A partire dalla mostra personale tenuta dalla Vinciarelli presso the Institute of Architecture and Urban Studies di New York, allora sotto la direzione di Peter Eisenman (1978), fino alla recente personale dedicatale nel 2012 dal City College di New York. teaching experience see: J. Hejduk, Education of an architect: The Irwin S. Chanin School of architecture of the Cooper Union, Rizzoli International, New York 1988. 13 Also Raimund Abraham taught in the United States after his arrival in the late Sixties, specifically at the Rhode Island School of Design (Providence, Rhode Island), and then for approximately 31 years he was professor of architecture at the Cooper Union School of Art and Architecture, New York, N.Y., as well as faculty member at the Pratt Institute (Brooklyn, New York). Regarding the role of desing in the production see R. Abraham, The Meaning of Place in Art and Architecture, in «Design Quaterly», n° 122, 1983. 14 Note that some watercolours by Lauretta Vinciarelli in the possession of the MAXXI (cfr. Star 3, Star 2, both from 1994), have as subject an atrium with liquid pavement with a sculpted red star on the background, illuminated by a zenithal lighth. 15 See the monographic number of «Lotus» n° 114, 2002, entitled Deserti/Deserts. But also: W. Malpas, Land Art: A Complete Guide to Landscape, Environmental, Earthworks, Nature, Sculpture and Installation Art, Cresent Moon Publishing, Maidston (Kent) 2007. 16 This is a project devised in 1972 by the American artist and located in Lincoln County in the Nevada desert, which is 1/4 of a mile wide and 1-1/2 miles long. The project draws inspiration from Meso-American fortress cities, and is expected to be completed no earlier than the year 2020. Cfr. D. Goodman, A Monument to Outlast Humanity, in «The New Yorker», 29 Agosto 2016; M. Kimmelman, Art’s Last, Lonely Cowboy, in «The New York Times Magazine», 6 February 2005, pp. 33-41, 59, 72, 78. 17 The project, located in a remote corner of the Painted Desert (Arizona, USA), was devised by James Turrell in the early Seventies and consists in a series of subterranean spaces excavated and shaped out of an extinct volcanic crater, through connecting tunnels and ad hoc openings for capturing specific celestial events. The work does not yet have a completion date. Cfr. A. De Rosa (ed.), James Turrell. Geometrie di luce Roden Crater Project, Electa, Milano 2007. 18 Cfr. B. Berenson, Piero della Francesca o dell’arte non eloquente, SE/Abscondita, Milano 2014. 19 Cfr. F. Cheng, Vuoto e pieno. Il linguaggio pittorico cinese, Morcelliana, Brescia 2016. 20 Cfr. P. Salvadeo, Adolphe Appia. 1906 Spazi ritmici, Alinea, Firenze 2007. 21 Cfr. A. Bioy Casares, L’Invenzione di Morel, SUR, Roma 2017. 22 Already in her series Night (1996), Lauretta Vinciarelli had explored the mesmerising effects of nocturnal light, although in those images architecture still maintained a recognisable configuration. 23 Cfr. Lauretta Vinciarelli, conference held at The Spitzer School of Architecture, 2009. Cit. in R. Siefert, Lauretta Vinciarelli. Into the Light: her collaborations with Donald Judd, cit., p. 26. 24 I wish to publicly thank both Margherita Guccione, Director of MAXXI Architettura, and Carla Zhara Buda, who is in charge of the Centro Archivi MAXXI Architettura, for having permitted me to consult the materials of the fondo Vinciarelli at the Archives of MAXXI. Some of this material can also be consulted online at: http//inventari. fondazionemaxxi.it/AriannaWeb/main.htm #archivio. 25 This comes from observing the watercolours de visu, and ascertaining how the atmospheric scattering effects are obtained by using uniform layers of diluted colour, but also coloured pencils. The latter add a material graularity which light, upon entering the subterranean spaces – so frequently evoked by the artist – brings out. On the narrative and symbolic use of light and shadow in painting see: A. De Rosa, Geometrie dell’ombra. Storia e simbolismo della teoria delle ombre, CittàStudi, Milano 1997. 26 Cfr. T. Matsumoto, et al., Hirsoshi Sugimoto. Theatres, Damiani, Bologna 2016. 27 G. Ranalli, P. Rowe, C. Farey, I. Panicelli, Clear Light. The architecture of Lauretta Vinciarelli, Oscar Riera Ojeda Publishers, New York 2015; B. Hodge (ed.), Not Architetcture but the Evidence that its Exists. Lauretta Vinciarelli: Watercolors, Princeton Architectrual Press, New York 1998. 28 In addition to the mentioned texts: D. Totah et al., Lauretta Vinciarelli. Light Unveiled, Totah Gallery, New York 2016; I. Panicelli, Lauretta Vinciarelli, in M. Guccione (ed.), MAXXI Architettura. Catalogo delle collezioni, Quodlibet, Macerata 2015, pp. 186-189.; L.R. Rinder, C. Illes, et al., Whitney Biennal, Harry N. Abrams, New York 2002, pp. 220-221, 274; L. Vinciarelli, Red Rooms, Water Enclosures and Other Unfolding Spaces, in «Oz», vol. 17, 1995, pp. 26-31; M. Filler, Building with Paper and Water, in «Design Quarterly», Autumn 1992, pp. 15-21; L. Woods, Lauretta Vinciarelli: The Architetcture of Light, in «A&U», June 1992, pp. 9-11. 29 From Vinciarelli’s personal exhibition at the Institute of Architecture and Urban Studies in New York, then under Peter Eisenman (1978), until the recent personal exhibition devoted to her in 2012 by the City College of New York. 27