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F. Consulich
ERRARE COMMUNE EST. IL CONCORRENTE COLPOSO, IL NUOVO
PROTAGONISTA DEL DIRITTO PENALE D’IMPRESA (E NON SOLO)*
di
Federico Consulich
(Professore ordinario, Università di Genova)
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il partecipe del crimine colposo. – 2.1. Le forme
della partecipazione in particolare: il concorso materiale. – 2.2. Il
concorso omissivo. – 2.3. La patologica dilatazione della posizione di
garanzia. – 2.3.1. Il caso del concorso colposo tra garanti. Intersezione
dei doveri impeditivi e distribuzione delle responsabilità. – 2.4. Il
concorso morale nel delitto colposo. – 3. Conclusioni: dalla
normalizzazione della colpa alla esaltazione del concorso colposo.
1. Ad un primo sguardo il diritto penale dell’economia appare una costellazione di
fattispecie dolose a forma vincolata, perpetrate con acribia da autori votati al profitto
e disposti a mettere al servizio di questo scopo le proprie competenze a dispetto di
precetti e vincoli legali. Ma una rappresentazione dei suoi connotati che si fermasse a
questa notazione sarebbe grandemente imprecisa. Il pratico del diritto sa per
esperienza che una parte altrettanto importante dell’area del penalmente rilevante in
ambito economico è ormai occupata dalla responsabilità colposa. Non solo colpa, ma
colpa ‘riflessa’: sempre più ci si confronta con comportamenti inosservanti collegati in
vario modo ad un reato colposo, ‘circostanti’ ad esso senza integrarne la tipicità
monosoggettiva (il campo della sicurezza sul lavoro, della responsabilità del
produttore, dei reati ambientali e della bancarotta semplice offrono plurimi esempi).
Il partecipe colposo si fa spazio sulla scena del diritto penale commerciale, a fianco di
figure ben più a loro agio in questo contesto, anzi quasi scalzando il callido
speculatore, il bancarottiere senza scrupoli, l’amministratore infedele e così via.
La normalizzazione della devianza economica colposa impone oggi di guardare alla
morfologia della partecipazione per negligenza, un tempo cenerentola nei tribunali e
negli studi scientifici in tema di white collar crimes ed oggi invece assoluta protagonista
del controllo penale delle attività produttive e commerciali 1.
* Il presente lavoro è destinato agli Studi in onore di Nicola Mazzacuva. Si ringraziano i curatori dell’opera per
aver acconsentito all’anticipazione dello scritto su questa Rivista.
1
Sulla normalizzazione della devianza colposa si veda M. Donini, Presentazione, in Il reato colposo, diretto da
M. Donini, Milano 2021, IX.
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Nel contesto della premessa si devono porre, da ultimo, due doverosi avvertimenti
al lettore.
Le riflessioni di seguito esposte rappresentano ipotesi di lavoro che si collocano
all’avvio di un percorso di ricerca dagli esiti ancora ignoti e che si intenderà completare
in futuro nell’ambito di uno studio monografico. Imprecisioni, sottointesi, assunzioni
indimostrate condizionano indubbiamente questo scritto, da intendere, dunque, come
un work in progress.
In secondo luogo, la vastità e complessità dell’argomento non sono compatibili con
il presente tipo di scritto se non a costo di intenderlo come una sorta di appunto, di
suggestione per una più compiuta riflessione futura. Non ci si aspetti, dunque, una
bibliografia completa, né una rassegna preliminare delle ipotesi dogmatiche formulate
nel tempo sul concorso colposo.
2. Sperimentiamo subito la valenza ‘esimente’ di quanto appena affermato,
prendendo le mosse da una affermazione apodittica. Il nostro sistema adotta
tradizionalmente una nozione restrittiva di autore nel concorso doloso2, ma nel campo
della criminalità colposa l’approccio è differente: essendo il reato colposo per lo più a
forma libera e causalmente orientato, di fatto la stessa diviene estensiva, includendo
colui che semplicemente con-causi l’evento attraverso la violazione di una norma di
cautela (esterna al tipo e di fonte variegata) concepita per evitare tale avvenimento3.
Una simile impostazione riduce, fino pressoché ad azzerarlo, lo spazio
concettuale della partecipazione contro l’intenzione.
Eppure, tra coloro che concausano l’evento, pur se parificati ai fini della
tipizzazione normativa, ben si può, anzi si deve, distinguere in ordine al modus di
contribuzione al fatto. Vi è la causazione immediata e diretta dell’avvenimento fatale,
ma altresì quella indiretta, che determina cioè l’errore altrui che a sua volta dà origine
al danno. Non che la prima sia più grave: ad essa anzi non corrisponde spesso l’acme
del disvalore, che si colloca piuttosto in capo a soggetti che non hanno alcun rapporto
diretto con l’evento disvoluto. Si tratta di quelle varie figure di soggetti che rivestono
una posizione organizzativa: ora è l’imprenditore, ora il primario, ora un dirigente
2
Naturalmente in un sistema, come il nostro, che non differenzia tra le tipologie dei partecipi, una siffatta
discontinuità non ha conseguenze pratiche, essendo la nozione di autore puramente dichiarativa e non già
costitutiva, come avviene ad esempio al § 25 dello StGB. Di recente si vedano le riflessioni di S. Seminara,
Accessorietà e fattispecie plurisoggettiva eventuale nel concorso di persone nel reato. Considerazioni sul senso di
una disputa dottrinale, in RIDPP 2021, 423, che nota come oggi nessuno dubiti della vigenza di una nozione
restrittiva di autore, riferita dunque all’esecuzione del fatto tipico. Proprio riflettendo sulla fattispecie
plurisoggettiva colposa L. Cornacchia, Concorso di colpe e principio di responsabilità penale per fatto proprio,
Torino 2004, 465 ss., ebbe modo di rilevare come la dicotomia tra accessorietà e fattispecie plurisoggettiva
eventuale come modelli di spiegazione del concorso potrebbe non aver ragion d’essere per il fatto che essi su
muovono su piani distinti: l’accessorietà identifica il partecipe su quello fattuale, la fattispecie plurisoggettiva
eventuale su quello della formazione della fattispecie astratta.
3
Per questa distinzione S. Seminara, op. cit., 425.
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(pubblico o privato poco importa), ora un’altra figura intermedia dotata di autonomia
(il diritto penale del lavoro ne è ricco) che ha deliberato l’avvio di una procedura o di
un’attività complessa nella quale un altro soggetto (l’ultimo anello della catena
esecutiva) ha commesso la negligenza fatale.
È bene allora tenere presente che nel silenzio della legge vi sono contributi
materiali ben più importanti di altri dal punto di vista del rimprovero per colpa, quelli
in cui la condotta consiste in particolare nell’esercizio di un potere organizzativo più
o meno ampio: ciò li rende il missing link che sta a mezza via tra autoria e semplice
partecipazione, come un primus inter pares tra i coagenti in colpa. Per comodità
potremmo parlarne, mutuando il lessico del reato associativo, ma con tutt’altro
contesto criminologico di riferimento, come di organizzatori4. Oltre a questi soggetti
si apre il vasto campo della partecipazione.
Ma chi è il partecipe colposo? La domanda non è oziosa, poiché la non
volontarietà dell’evento, nei reati di evento, e dell’azione, nei rari casi di reati colposi
di mera condotta, rende ad esempio davvero difficile anche solo concepire
un’istigazione o determinazione, cioè due delle figure idealtipiche di correità, nel
contesto di una cooperazione colposa5.
È possibile individuare una variegata manifestazione dei contributi penalmente
rilevanti nel campo del reato colposo:
i)
ii)
una partecipazione fattuale, di carattere materiale, rappresentata dalla
creazione di una situazione di rischio generale e non ancora sufficiente ad
evolvere da sé verso il danno; è tale quella condotta che predispone
l’ambiente favorevole all’inosservanza dell’autore materiale, che in quanto
tale compie l’ultimo e decisivo passo per la trasformazione del pericolo in
evento lesivo;
una partecipazione, sempre fattuale, ma di consistenza psichica, con la quale,
per mezzo di parole o comportamenti concludenti, si induce una condotta
colposa da parte dell’autore materiale dell’inosservanza cautelare. È
soprattutto, pur se non esclusivamente, nel campo delle relazioni istantanee
4
Il termine deve essere inteso nel senso comune, differente anche dal significato che gli si attribuisce
tecnicamente nell’ambito dell’aggravante del concorso di persone di cui all’art. 112 comma 1 n. 2 Cp, ove
corrisponde a chi, pur senza aver assunto l’iniziativa dell’impresa penalmente rilevante, abbia assunto il ruolo di
preparare gli strumenti per la sua realizzazione: cfr. A.R. Latagliata, Concorso di persone nel reato, in ED, Milano
1961, 595; M. Romano, G. Grasso, Commentario sistematico del Codice penale2, Milano 2012, 228. Si tratta di una
distinzione necessaria poiché ben può accadere che chi organizzi l’attività illecita, non importa se dolosa o
colposa, non sia che un esecutore di decisioni prese altrove, come nota di recente F.M. Di Martino, Il reato
collegiale, Napoli 2020, 180.
5
Nella dottrina di lingua spagnola, analogamente, M. Gómez Rivero, La inducción a cometer el delito, Valencia
1995, 348-349. L’azione tesa a determinare altri a violare un dovere di diligenza deve essere considerata di per sé
colposa per M.D. Olmedo Cardenete, La inducción como forma de participación accesoria, Madrid 1999, 699-700;
e M. Garrido Montt, Etapas de ejecución del delito: autoría y participación, Santiago de Chile 1984, 292.
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e non mediate da una struttura o da una procedura formalizzata che tale
fenomenologia si manifesta (si pensi alla circolazione stradale: il passeggero
incita il guidatore a imboccare un senso unico in contro mano poiché è in
ritardo ad un appuntamento e ne deriva un incidente frontale mortale; alle
competizioni sportive dilettantistiche: un calciatore istiga il compagno ad
intervenire con le maniere forti sul portatore di palla avversario che riporta
una frattura al femore; ai rapporti di vicinato: Tizio consiglia a Caio di non
rivolgersi all’idraulico per riparare il tubo del gas danneggiato, ma di farlo da
sé perché la spesa per il professionista sarebbe inutile e ne consegue uno
scoppio con morti e feriti, e così via);
una partecipazione ‘normativa’, cioè per il tramite della violazione di un
dovere personale. Essa si riscontra spesso in presenza di un garante che non
impedisce l’inosservanza da parte dell’autore materiale (situazione che
classicamente si rinviene nel campo della sicurezza sul lavoro e della
responsabilità penale medica come pure, per usare un riferimento meno
frequente, nel campo della sicurezza alimentare6), ma è propria anche di chi
è semplicemente gravato da un dovere cautelare di controllo e
coordinamento, come vedremo di seguito.
Naturalmente lo scenario della cooperazione colposa non è fatto solo di autori,
organizzatori e meri partecipi. Come nel caso dei reati intenzionali, vi è anche l’ipotesi,
estranea al paradigma della partecipazione, della coautoria, in cui più soggetti
realizzano insieme la violazione cautelare cagionando l’evento avverso. In fondo, dal
punto di vista del concorso colposo, si tratta della casistica meno problematica: l’art.
113 svolge qui solo una funzione di disciplina e non di incriminazione, essendo chiaro
che ciascuno degli agenti risponderebbe anche a titolo monosoggettivo.
Al cospetto di queste varie forme di partecipazione non è ancora chiaro quale sia il
contributo minimo che fondi la responsabilità del partecipe. Si è molto riflettuto in
dottrina sul tipo di legame che dovesse sussistere tra i cooperanti (psicologico,
normativo, potenziale o attuale e così via), al fine di distinguere l’ipotesi di cui all’art.
113 da quella di cui all’art. 41 comma 3 Cp, vale a dire del concorso di condotte colpose
indipendenti, ma di fatto, così procedendo, si è perduto di vista il fondamento
dell’istituto e i confini tra tipicità e atipicità.
L’interrogativo impone di confrontarsi con i fondamenti stessi del concorso di
6
Si veda la concentrazione del diritto penale degli alimenti su soggetti peculiari, in quanto inseriti a vario titolo
nel circuito produttivo-distributivo del settore alimentare come pure nel campo della disciplina sulla
distribuzione di acque destinate al consumo umano, dove campeggia la figura del gestore del servizio idrico
integrato, come rileva già E. Mazzanti, I delitti contro la salute pubblica in materia agro-alimentare, in Illeciti
punitivi in materia agro-alimentare, a cura di A. Gargani, Torino 2021, 135 ss.
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persone e, dunque, coinvolge anche l’ipotesi del concorso doloso, ma sicuramente
rispetto alla variante colposa la questione è stata sottovalutata e non sono stati
compiuti tutti gli sforzi possibili per chiarire le condizioni di partecipazione. Ha
giocato un ruolo nel mancato chiarimento del limite minimo del contributo punibile
il pregiudizio, più volte echeggiante in dottrina, che ha storicamente accompagnato la
cooperazione e che la vorrebbe qualificare come una forma minore, inutile o doppia
rispetto alla tipicità monosoggettiva colposa.
Solitamente, tra coloro che attribuiscono una rilevanza incriminatrice all’art. 113 Cp,
si sostiene che non vi sia cooperazione in mancanza di un nesso psichico tra gli agenti:
chi partecipa deve dunque violare una cautela nella consapevolezza, quanto meno
unilaterale, di trovarsi in un medesimo contesto operativo con almeno un’altra
persona.
A nostro parere, ma si tratta allo stato solo di un’ipotesi oggetto di verifica, il
concorso colposo potrebbe in alcuni contesti sussistere a prescindere da un
coefficiente soggettivo in capo al partecipe. Potrebbe non essere richiesto né dalla
logica né dalla lettera del sistema che il cooperante possieda una qualche forma di
rappresentazione rispetto all’agire altrui: se l’ipotesi fosse confermata, il nesso psichico
non sarebbe, insomma, un tratto qualificante della cooperazione colposa e dovrebbe
individuarsi un diverso elemento fondativo e tipizzante di questa forma di
manifestazione della negligenza punibile7.
Al cospetto di un rimprovero per colpa, pur se plurisoggettivo, viene naturale
guardare alla norma cautelare: per quanto atipico rispetto al tipo monosoggettivo, l’atto
tipico nel quadro del tipo concorsuale dovrebbe essere tale perché viola un programma
di prudenza. Ne consegue, pertanto, che un’efficace identificazione della cooperazione
colposa potrebbe dipendere solo ed esclusivamente dal tipo di regola prudenziale
violata, precisamente dal fatto che questa è connessa ad altre e tutte convergano verso
un medesimo fine di tutela8.
L’opzione che guarda alla norma e non al profilo soggettivo è sicuramente preferibile. Quest’ultimo è
insondabile e comunque per lo più potenziale in un contesto colposo e dunque strutturalmente inadeguato a
supplire alla mancanza di tipicità monosoggettiva del contributo del partecipe, diversamente da quel che accade
nel concorso doloso, in cui il cd. doppio dolo fornisce, grazie alla sua attualità, un contrafforte solido per
sostenere la responsabilità del complice. Ma soprattutto, nell’economia dei disvalori che anche nel delitto
colposo devono condurre a giustificare l’inflizione della pena, si tratta di un dato del tutto neutro. Rileva come
non sia necessario in alcun modo ricorrere a elementi estranei alla legge per differenziare cooperazione colposa
e concorrenza di condotte colpose indipendenti, poiché è sufficiente notare come solo nel primo caso ricorra la
violazione di cautele relazionali L. Cornacchia, La cooperazione colposa come fattispecie di colpa per inosservanza
di cautele relazionali, in Studi in onore di Mario Romano2, Napoli 2011, 837.
8
In questo senso sono paradigmatiche le posizioni di G. Cognetta, La cooperazione nel delitto colposo, in RIDPP
1980, 74 e 88 e F. Giunta, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, I. La fattispecie, Padova 1993, 453.
Quest’ultimo evidenzia in particolare la presenza di una dicotomia tra le regole cautelari, distinguendo regole
che si ricollegano direttamente alla pericolosità della condotta dell’agente e nel cui spettro preventivo rientra
l’evento tipico, e regole ‘di secondo grado’, dirette cioè a prevenire la produzione dell’evento tipico ad opera di
condotte altrui. Per L. Risicato, Il concorso colposo tra vecchie e nuove incertezze, in RIDPP 1998, 170, la funzione
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Dello stesso avviso pare in fondo essere la Cassazione, la quale, pur esprimendo
formale ossequio all’impostazione che qualifica la consapevolezza di agire con altri
come elemento identitario della cooperazione, ha di fatto sempre più attribuito
importanza alla valutazione del tipo di norma cautelare violata e alla valorizzazione
del dato oggettivo costituito dalle “esigenze organizzative connesse alla gestione del
rischio o almeno alla contingenza oggettivamente definita” 9 . Ex facto oritur ius
cautelare: dal fatto oggettivo, perciò verificabile, è possibile trarre le norme cautelari
rilevanti e suddivise, se del caso, sulla base del ruolo e della competenza.
Allora il nesso tra la condotta dell’autore e quella del partecipe, che limita ma
soprattutto fonda la responsabilità di quest’ultimo, potrebbe essere solo di due tipi:
i)
ii)
in presenza di una regolamentazione giuridica sarà esclusivamente la norma
cautelare a identificare il nesso necessario e sufficiente tra partecipe e autore.
Si pensi al funzionario della protezione civile che può ignorare di fare parte
di un comune programma di intervento contro le contaminazioni chimiche
insieme ad un tecnico della prefettura e altri impiegati dell’ufficio comunale
preposto alle questioni ambientali, ma nondimeno in presenza di un’errata
gestione di un fenomeno calamitoso potrà essere tratto a giudizio insieme ad
essi. In questo caso non è infatti richiesta la consapevolezza di cooperare con
altri in un comune contesto. Ci può anche essere il più delle volte la generica
percezione che esistano altre persone che agiscono nello stesso contesto, ma
si tratta appunto di una intuizione trascurabile perché priva del grado di
attualità e precisione (ad esempio in ordine al tipo di contributo
somministrato nella fattispecie e al tempo della sua manifestazione) che
sarebbe invece necessario per un requisito che si vorrebbe tipizzante dal
punto di vista concorsuale;
in assenza di una previa rete normativa formalizzata, dunque in presenza di
relazioni istantanee, estemporanee, nate dalla oggettiva conformazione della
situazione, le norme cautelari sorgeranno in contemporanea all’azione in
corso di svolgimento come concretizzazione di standards generali di
prudenza e diligenza. Si badi bene, esse non saranno mancanti in assoluto,
ma semplicemente, non esistendo prima dell’azione, saranno da questa
originate come declinazione di doveri generali di attenzione e cautela. Ovvio
che in questo caso sarà necessario che l’agente si renda conto della
incriminatrice dell’art. 113 non consisterebbe nella promozione di nuove norme cautelari di secondo grado volte
ad impedire il reato altrui, ma nel rendere il concorrente partecipe dell’unica regola di diligenza valevole nel caso
di specie.
9
Così la motivazione, alle pp. 139-140, di Cass. S.U. 24.4.2014 n. 38343, Espenhahn e altri, tra le altre in RIDPP
2014, 1953 ss., con nota di M. Ronco, La riscoperta della volontà nel dolo.
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condizione in cui si trova, sappia di muoversi in un contesto popolato di altri
individui le cui azioni reagiscono e si adattano al suo comportamento. La
consapevolezza di agire con altri fornisce l’occasione per rendersi conto
dell’attivazione di doveri di condotta. Il dato, come detto in sé neutro dal
punto di vista del disvalore, è però necessario in questa sottocategoria di casi
(e solo per questi), per attualizzare i doveri cautelari di coordinamento e
prudenza, la cui violazione consente poi la contestazione di un concorso
colposo.
Tre postille si impongono. In primo luogo, come il concorso doloso, anche quello
colposo, nella forma sub ii), ben può essere “unilaterale”, cioè è possibile che la
percezione di agire con altri sussista solo in capo al partecipe 10.
In secondo luogo, non è certo l’art. 113 a generare nuove norme cautelari di carattere
relazionale: la norma codicistica è piuttosto il bacino collettore che raccoglie le
violazioni di regole di condotta che il contesto plurisoggettivo abbia imposto agli
agenti, attribuendo rilevanza penale a inosservanze che entro la fattispecie
monosoggettiva, come vedremo, non troverebbero collocazione 11 . La diversità tra
norma concorsuale e regole di prudenza è più evidente negli ambiti in cui l’interazione
diviene sistematica, come quelli ad alta complessità, caratterizzati da inserzioni di
azioni in altre azioni in modo ripetuto ad libitum (attività di impresa, sanitaria,
responsabilità da prodotto ecc.): qui le prescrizioni cautelari sono espresse dalla soft
law delle best practices, se non addirittura dalla legislazione speciale o altre fonti
formali.
Infine, molte delle condotte che si vorrebbero di cooperazione non contrastano
con alcuna regola di condotta monosoggettiva. Si tratta di una notazione ben poco
originale e che rimanda alla constatazione che in un diritto penale laico e secolarizzato
nessun comportamento è in sé carico di disvalore o di valore, ma la sua qualifica
dipende solo dalle conseguenze che produce in relazione al contesto in cui viene
compiuto e alla luce della specifica fattispecie che gli è applicabile 12 . Il che
10
L. Risicato, Il concorso colposo tra vecchie e nuove incertezze, cit., 157
Deve notarsi come la cautela relazionale ha l’indubbio effetto di aumentare il tasso di tipicità del concorso
colposo, limitando la tendenza centrifuga dal tipo che attenta dottrina aveva denunciato con riguardo all’art. 113
c.p., cfr. F. Giunta, op. cit., 81. Per una tassonomia degli obblighi relazionali, distinti tra sinergici e
complementari, accessori ed eterotropi, L. Cornacchia, Concorso di colpe e principio di responsabilità penale per
fatto proprio, cit., 518 ss.; Id., Cooperazione colposa (nel diritto penale contemporaneo), in Dig. disc. pen., agg. XI,
Milano 2021, 180 ss.
12
Per Roxin qualsiasi condotta, anche collegata ad una professione e dunque espressione di una libertà di agire,
può dimostrarsi in concreto portatrice di un significato illecito, cfr. C. Roxin, Bemerkungen zum Regreβverbot, in
Festschrift fϋr Tröndle, Berlin-New York 1989, 190 ss. Per una considerazione analoga, attinente, in tutt’altro
campo, alla ricerca della nozione di prezzo corretto (o naturale) e prezzo alterato, in relazione all’applicazione
del delitto di manipolazione del mercato, sia consentito rimandare a F. Consulich, La giustizia e il mercato,
Milano 2010, 68 ss.
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naturalmente ha un’implicazione uguale e contraria a quella appena formulata: non è
possibile esonerare a priori da responsabilità colui che tiene una condotta solo perché
questa è compiuta nell’ambito della propria professione e non è tipica ai sensi di alcuna
fattispecie penale monosoggettiva. Sarà l’interazione storica con le altre decisioni
assunte dai coagenti a individuarne la reale portata offensiva nel quadro del tipo
concorsuale 13 . Questo accade perché la tipicità plurisoggettiva colposa, veicolata
dall’art. 113 Cp, è una tipicità ulteriore e diversa rispetto a quella monosoggettiva pur
se a questa collegata.
Ciò posto, occorre fornire una cornice logico-dogmatica alla riflessione fin qui
condotta. Ebbene, non si può negare che la tradizionale, ma non certo esausta, teoria
dell’accessorietà si riveli la più efficace e concettualmente nitida anche sul piano del
concorso colposo, sempre tenendo presente che essa non serve a individuare i
comportamenti punibili, poiché a ciò provvede la causalità unitamente al nesso di
rischio riferito alla specifica cautela violata, ma piuttosto a decifrare con maggiore
semplicità il comportamento punibile, collocandolo entro coordinate di garanzia da
tutti ormai condivise (principio di responsabilità per fatto proprio, materialità e
colpevolezza in primis)14. Per rilevare penalmente, la condotta del partecipe (che non
sia coautore) deve porsi in una condizione di dipendenza, quanto al suo significato,
rispetto all’azione dell’autore, nel senso che senza quest’ultima non sarebbe
comprensibile, oppure esprimerebbe una portata completamente diversa e
trascurabile dal punto di vista del controllo sociale.
Se possibile, siffatta dogmatica è qui anzi ancora più lineare, perché in ambito
colposo non può verificarsi ciò che in quello doloso rappresenta il momento di crisi
della teoria: l’esecuzione frazionata del fatto. La condotta colposa dell’autore non è
mai parzialmente tipica, lo impone il principio di colpevolezza che vuole che ciascuno
dei coagenti violi in proprio una cautela efficiente nella prevenzione dell’evento;
essendo la cautela parte del tipo oggettivo, evidentemente ne discende l’impossibilità
che quest’ultimo sia compiuto pro quota, almeno nei reati colposi d’evento (che
comunque sono la quasi totalità dei casi degni di attenzione).
In altro modo, non è possibile rinvenire una condotta ‘parzialmente colposa’,
ma esistono solo due alternative: o esiste una violazione cautelare o non esiste. Nel
contesto colposo, dunque, in caso di più soggetti che causano il fatto vi è al più una
13
Per una tale impostazione si legga P. Rackow, Neutrale Handlungen als Problem des Strafrechts, Bern 2007, 21
ss. La conformità agli standard sociali renderebbe conformi al diritto penale le condotte neutre di ogni giorno,
che non dovrebbero essere punite in quanto prive di una destinazione oggettiva in senso criminale per W. Frisch,
Tatbestandsmässiges Verhalten und Zurechnung des Erfolgs, Heidelberg 2012, 280 ss.
14
Sul principio si vedano le note riflessioni di T. Padovani, Le ipotesi speciali di concorso nel reato, Milano 1973,
18 ss.; e più di recente di L. Risicato, Combinazione e interferenza di forme di manifestazione del reato, Milano
2001, 9 ss. Lo rileva anche G. Grasso, Pre art. 110, in M. Romano, G. Grasso, op. cit., 145 ss. Sul collegamento tra
accessorietà e legalità penale si veda anche S. Seminara, op. cit., 445.
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‘coautoria totale’ e mai una realizzazione pro quota del tipo15. Naturalmente l’evento
avverso può venire concausato da attività concomitanti di due o più soggetti che
operano contestualmente in un’attività complessa (ad es. un’operazione di
manutenzione), oppure in successione tra loro (si pensi a due medici che, ciascuno per
il proprio turno, si susseguono in un reparto ospedaliero nella cura di un paziente).
2.1. L’identificazione dell’autore nel reato colposo è basata sul distico causalità e
inosservanza cautelare: è tale colui che causa o contribuisce a causare l’evento,
violando in proprio una regola di prudenza che, se rispettata, sarebbe stata efficiente
nella sua prevenzione. Rimane fuori dalla nozione quella gamma di situazioni in cui la
causalità è meramente indiretta poiché passa attraverso il comportamento
autoresponsabile di uno o più terzi, quanto meno dell’autore immediato del fatto
dannoso.
Vi è qui una dissociazione funzionale tra norme di cautela e norme
incriminatrici, dovuta al diverso statuto funzionale e di garanzia che caratterizza le
une e le altre.
La norma penale, essendo strumento repressivo, incontra il limite del divieto di
regresso: non vi può essere punizione indiscriminata sulla base della incriminazione
monosoggettiva, poiché questo ne porrebbe nel nulla la tipicità, e dunque la
responsabilità non risale a condotte che si collochino ad un momento precedente a
quello in cui si è concretizzata la scelta autonoma di colui che ha realizzato il fatto:
costui ha generato un rischio nuovo, più intenso o più grave di quello prodotto dal
primo [16. Si tratta di constatare un noto vincolo di sistema, ma anche di realtà, che
impedisce di risalire logicamente oltre colui che abbia integrato in via immediata il
tipo. Egli è certamente collocato in una catena causale che ha plurimi antecedenti, ma
questi non possono essere considerati se non a costo di far degenerare per gigantismo
l’imputazione.
Le regole di cautela consentono però di modulare secondo ragionevolezza il
divieto di regresso. Esse, avendo la funzione di prevenire l’insorgenza di pericoli, non
devono considerare come rilevante solo la condotta di coloro che in modo immediato
e diretto determinino eziologicamente il danno considerato dalla fattispecie
incriminatrice. Anzi, le regole cautelari relazionali hanno proprio ad oggetto
l’interazione con gli altri e mirano a prevenire condotte che sono sì non pericolose se
considerate isolatamente, ma si rivelano gravemente imprudenti se inserite in un
contesto in cui agiscono altri. Insomma, la considerazione di tali regole di
comportamento riconduce ad unità un nesso di rischio che sembrava reciso, tra la
15
Lo nota già L. Risicato, Il concorso colposo tra vecchie e nuove incertezze, cit., 142, nt. 41.
Sul punto si veda la recente analisi di E. Mezzetti, Autore del reato e divieto di «regresso» nella società del rischio,
Napoli 2021, passim e in particolare 276 ss.
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condotta del primo autore e l’evento avverso.
Sfruttando esempi di scuola: raccogliere legna per un falò è un’attività atipica,
ma ove venga destinata ad un fuoco già acceso da un terzo senza le necessarie
precauzioni, e che di lì a poco degenererà in un incendio boschivo, rappresenta un
contributo oggettivo ad un rischio divenuto comune ad entrambi se guardato in ottica
cautelare.
Di qui allora l’utilità dell’art. 113. Senza la norma codicistica, con la sua clausola
generale della cooperazione per colpa, sarebbe impossibile far rilevare penalmente la
violazione di cautele relazionali, in quanto tali indirette rispetto all’evento. Attraverso
l’art. 113 Cp è possibile apportare una deroga al divieto di regresso, che se assolutizzato
imporrebbe all’imputazione di arrestarsi al comportamento dell’autore materiale del
fatto: le regole di prudente interazione tra coagenti consentono di imputare il fatto
anche a chi abbia agito in precedenza e prodotto solo un rischio indiretto poi
attualizzato dal correo successivamente intervenuto17.
Da questo punto di vista, la portata incriminatrice dell’art. 113 è del tutto identica
a quella dell’art. 110 e consiste nella razionalizzazione del divieto di regresso: entrambe
le norme consentono di punire condotte, rispettivamente colpose e dolose,
propedeutiche a quella dell’autore materiale del fatto e ancora solo genericamente
pericolose18.
17
La paternità del divieto di regresso viene comunemente attribuita a R. Frank, Das Strafgesetzbuch für das
Deutsche Reich nebst dem Einführungsgesetz, Tübingen, 1924, 14 ss., ma in realtà anticipato, sostanzialmente, da
M. E. Mayer, Der allgemeine Teil des Deutschen Strafrechts, Heidelberg 1915, 153. La formulazione del divieto di
regresso di Frank era, peraltro, concepita come semplice correttivo della teoria della condicio sine qua non, anche
se poi applicata in ambito concorsuale, ad esempio da G. Jakobs, Regreßverbot beim Erfolgsdelikt, in ZStW 1977,
20 e C. Roxin, Das Regreßverbot als Problem der allgemeinen Zurechnungslehre, in Tröndle-FS, 1989, 185 ss.;
l’obiettivo del divieto di regresso mirava originariamente a impedire che condotte colpose che avessero
consentito la commissione di un reato doloso altrui, non potendo rilevare come partecipazione colposa, finissero
per essere qualificate come autoriali. Si veda sul punto W. Naucke, Über das Regreβverbot im Strafrecht, in ZStW
1964, 410. Per una interessante riflessione sui presupposti culturali alla base del Regreβverbot, J. Hruschka,
Regreβverbot, Anstiftungsbegriff und die Konsequenzen, in ZStW 1998, 582 ss. In argomento si vedano anche le
osservazioni di G. Jakobs, Strafrecht, Allgemeiner Teil: Die Grundlagen Und Die Zurechnungslehre Lehrbuch, 1993,
21/112 che ebbe a precisare come il divieto di regresso non opera allorché il partecipe abbia con la propria
condotta contribuito a configurare proprio il rischio illecito poi evoluto nel reato per effetto dell’intervento
successivo all’autore. In Germania, analogamente, il limite di tipicità della partecipazione è stato attestato sul
nesso causale, alla luce del principio del Regreβverbot, come notato da L. Cornacchia, Concorso di colpe e
principio di responsabilità penale per fatto proprio, cit., 277. Per una lettura, nella prospettiva pragmatica
anglosassone, del concorso di condotte causali si veda M. Moore, The Legal Doctrines of Intervening Causation,
in Id., Causation and Responsibility: An Essay in Law, Morals, and Metaphysics, Oxford 2009, 229.
18
Sul piano del concorso rispetto al fatto doloso, si noti che queste tipologie di condotte preparatorie non
vengono criminalizzate quando tenute dallo stesso agente che realizza il tipo semplicemente perché, essendo
tipico l’ultimo atto idoneo alla causazione dell’evento, vengono assorbite nella valutazione penalistica di questo,
rappresentando una progressione criminosa paralizzata dal principio del ne bis in idem. Non così nel concorso
colposo, poiché non è detto che la prima azione inosservante sia meno grave dell’ultima, anzi, ben può essere il
contrario e finanche l’unica significativa. In dottrina, segnala che la diversa rilevanza della condotta preparatoria
nello spettro del concorso di persone rispetto alla tipicità monosoggettiva è solo apparente C. Pedrazzi, Il
concorso di persone nel reato, Palermo 1952, 29. Le due previsioni della parte generale soano assolutamente
omogenee e frutto della medesima tecnica normativa per L. Risicato, Il concorso colposo tra vecchie e nuove
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2.2. Fuori dal paradigma del concorso materiale, si rinvengono altri due casi che
paiono avere una stretta affinità.
In primo luogo, si pensi a quel che accade quando l’autore materiale ha
attualizzato, con la propria inosservanza, una condizione di anomia cautelare e
pericolo generico in cui è stato posto da un soggetto qualificato, colui che detiene il
controllo sullo scenario di fatto, il che significa solitamente, per il penalista, un
garante. Noto il fenomeno nel diritto penale del lavoro: il datore di lavoro predispone
un documento di valutazione dei rischi che contempla una procedura lacunosa per le
lavorazioni in quota. Privo di riferimenti certi su quale mezzo impiegare, il preposto
indica all’operaio addetto di avvalersi di un muletto di pronto reperimento per svolgere
il proprio intervento e non di una regolare piattaforma elevatrice; a seguito del
mancato inserimento del freno da parte del conducente del muletto, questo si muove
provocando la caduta e la morte dell’operaio che era collocato sulle forche di carico.
In secondo luogo, vengono alla mente quelle costellazioni di ipotesi in cui,
accanto e prima dell’autore, agisce un altro soggetto che viola un proprio dovere di
agire, senza essere però un garante. Ci troviamo al cospetto di quei coagenti che sono
deputati non a impedire un reato, bensì a sorvegliare il corretto adempimento dei
compiti altrui, sulla base di una relazione cautelare imposta da questa o quella norma
tecnica o procedura. Ma non solo. Questo particolare tipo di obblighi si registra anche
fuori dai contesti formalizzati, in interazioni quotidiane non particolarmente
articolate: si pensi ad esempio al rapporto che intercorre tra il proprietario di un
veicolo e un amico che gli chiede in prestito il mezzo per una commissione. In questo
caso emerge chiaramente una connessione di rischio, indiretto ma di possibile
rilevanza penale, che avvolge la condotta dell’affidante a quella dell’affidatario: se
quest’ultimo cagioni per la propria incapacità un incidente stradale con morti e feriti,
potrà sussistere la cooperazione del proprietario ogni volta in cui, pur in presenza di
segnali di incapacità palese alla guida (ubriachezza, precedenti ritiri della patente a lui
note ecc.), si sia comunque determinato a consegnare le chiavi del veicolo. Viceversa,
non vi sarà cooperazione quando il rischio indeterminato non si sarà concretizzato
specificamente nel caso di specie, allorché l’incidente non sia la manifestazione di
un’imperizia, ma di una negligenza comune, in cui sarebbe potuto incorrere un
qualsiasi automobilista medio e di cui comunque non sussistevano indizi
premonitori19.
incertezze, cit., 136.
19
Per Cass. 14.4.1976 n. 4873, in GP 1976, II, 411 la punibilità dell’incauto affidamento richiede che si dimostri che
il fatto colposo consegua ad un’imperizia nella guida; successivamente Cass. 29.1.1983 n. 767, Rv. 157157 – 01,
secondo la quale «perché sia ravvisabile la cooperazione dell'affidante nel reato colposo commesso dall'affidatario
di un veicolo, che non sia abilitato alla guida, è necessario l'accertamento del nesso di causalità tra la condotta
dell'affidante e l'evento. Tale nesso sussiste quando l'affidante non abbia avuto cura di accertare la capacità
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Ecco, dunque, che parlare di cooperazione colposa significa spesso parlare di
concorso di un omittente e impone di districarsi tra due diverse forme di
inadempimento di un comando di agire, simili naturalisticamente, ma ben diverse
giuridicamente.
La forma più frequente di contestazione della cooperazione colposa è quella che
coinvolge il garante, gravato dall’accusa di non avere impedito che un terzo,
tendenzialmente a lui subordinato nella gerarchia dell’organizzazione di
appartenenza, ledesse l’interesse oggetto di protezione penale. Si tratta di una
compartecipazione che buoni argomenti indurrebbero a inquadrare come materiale,
anche se potrebbe farsi strada l’idea che non aver dissuaso l’autore materiale da
un’attività pericolosa sia una forma di concorso omissivo di carattere morale 20 . A
rigore, però, non pare rilevante inquadrare il contributo concorsuale come morale o
materiale, poiché la prospettiva è normativa dovendosi chiedere l’interprete se vi sia
stato un assolvimento corretto della propria funzione.
L’omissione colposa è un concetto composto da due anime indistinguibili
all’atto pratico. La prova dell’omissione spesso implica immediatamente quella della
colpa, la cui componente omissiva la fa ritenere sussistente per il solo fatto che sia
mancato l’impedimento dell’evento; ma capita anche che la violazione di una cautela
che imponesse di agire venga intesa come la dimostrazione dell’insorgenza in via di
puro fatto di una posizione di garanzia: ubi culpa, ibi omissio, come ebbe a segnalare
attenta dottrina alcuni anni addietro21.
La componente omissiva della colpa assume spesso la forma di un rimprovero
per la mancata valutazione delle circostanze che precedono e accompagnano l’azione,
la violazione del dovere di informazione e controllo delle condizioni di contesto,
giuridiche e fattuali (si parla a questo proposito di Rechtsbeachtungspflicht e del
Vorprüfungspflicht)22. Si tratta di un obbligo già di per sé sconfinato che è stato se
possibile ulteriormente dilatato dalla Cassazione nel caso del petrolchimico di Porto
Marghera; abbiamo qui assistito all’affermazione di «un obbligo di informazione anche
in relazione alle più recenti acquisizioni scientifiche anche se non ancora patrimonio
comune e anche se non applicate nel circolo di riferimento a meno che si tratti di studi
isolati ancora privi di conferma»23.
dell'affidatario». Sulla stessa linea Cass. 5.6.1990 n. 8162, Rv. 184564 – 01.
Sul punto si vedano le riflessioni di L. Cornacchia, Responsabilità penali negli organi collegiali. Il reato
funzionalmente plurisoggettivo, Torino 2021, 118 secondo cui la generica facoltà di sollecitare o dissuadere può
assumere rilevanza penale solo quando si traduca in un potere normativamente riconosciuto il cui esercizio sia
obbligatorio o rientri in procedure stabilite a tutela di beni giuridici.
21
Il riferimento va all’importante lavoro di A. Gargani, Ubi culpa, ibi omissio. La successione di garanti in attività
inosservanti, in IP 2000, 578 ss.
22
Si vedano in proposito le perspicue osservazioni di M. Mantovani, Il principio di affidamento nella teoria del
reato colposo, Padova 1997, 143 s.
23
Cass. 17.5.2006 n. 4675, in CP 2008, 282-283.
20
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A livello teorico le distinzioni non potrebbero essere più nette: il dovere di
diligenza è logicamente successivo alla posizione di garanzia imposta
dall’ordinamento e specifica quale sia il comportamento dovuto dal garante 24 ; gli
obblighi cautelari di sicurezza che definiscono le modalità di esercizio di attività
pericolose autorizzate sono ben diversi dagli obblighi di controllo che connotano la
posizione di garanzia rispetto ad una fonte di rischio25.
Ciò comporta che il giudizio di colpa non muta nei reati commissivi e in quelli
omissivi dal punto di vista logico, chiarito che l’obbligo di agire proprio dei secondi,
come il divieto di causare l’evento nei primi, fonda la piattaforma oggettiva su cui poi
collocare le valutazioni in merito alla violazione delle regole cautelari rilevanti 26.
Il campo del diritto penale del lavoro ben evidenzia la commistione tra
responsabilità omissiva e momento omissivo della colpa e spesso in un simile
fenomeno trova fondamento la responsabilizzazione sia del vertice aziendale che delle
figure intermedie dell’organigramma aziendale. La prova della colpa si sovrappone con
la dimostrazione del mancato impedimento dell’evento: e così la responsabilità penale
risale inesorabilmente (facendosi più severa) a colui che gestisce il processo
produttivo.
Naturalmente, la presenza di una rete di garanti non è una tematica che
interessa solo il diritto penale del lavoro o la responsabilità medica, ponendosi anzi
come condizione esistenziale di qualsiasi attività tecnicamente complessa. Basti
pensare alla sovrapposizione di posizioni di garanzia nel caso del traffico aereo, in cui
converge il dovere impeditivo degli operatori delle torri di controllo, dei vertici
dirigenziali di agenzie pubbliche come Enac ed Enav, nonché degli aeroporti
interessati dal singolo volo, come emerse plasticamente nel caso del disastro aereo di
Linate, in un coacervo normativo in cui al codice della navigazione si sovrappongono
poi gli annessi tecnici dell’ICAO (International Civil Aviation Organization)27.
Si pensi al caso dei sindaci (e figure assimilate) nel diritto penale dell’economia:
i doveri di garanzia paiono attinenti alla conservazione dell’integrità patrimoniale
dell’ente per come delineata dall’art. 2407 Cc 28 , disposizione che, dunque, non
generalizza l’obbligo impeditivo a qualsiasi reato commesso dal management
24
Sulla distinzione funzionale e logica tra i due statuti omissivi A. Gargani, Ubi culpa, ibi omissio, cit., 635 ss.; F.
Giunta, op. cit., 96; M. Romano, Commentario sistematico1, Milano 2004, 467.
25
Come evidenziato dalla dottrina più attenta, tra cui A. Gargani, Ubi culpa, ibi omissio, cit., 632 ss.; M. Donini,
La causalità omissiva e l’imputazione “per l’aumento del rischio”. Significato teorico e pratico delle tendenze attuali
in tema di accertamenti eziologici probabilistici e decorsi causali ipotetici, in RIDPP 1999, 50 ss.; L. Cornacchia,
Concorso di colpe e principio di responsabilità penale per fatto proprio, cit., 406 ss.
26
Per simili rilievi già F. Giunta, op. cit., 96 ss.; A. Gargani, Ubi culpa, ibi omissio, cit., 636 ss.
27
In argomento si veda il recente studio di E. Greco (a cura di), Profili di responsabilità penale del controllore del
traffico aereo, Torino 2021, passim e in particolare 43 ss.
28
In particolare, si veda quanto disposto al comma 2 dell’art. 2407 Cc: «Essi sono responsabili solidalmente con
gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero
vigilato in conformità degli obblighi della loro carica».
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aziendale.
Su tale basamento normativo poggiano poi i doveri cautelari, che, fuori dai casi
di concorso doloso, vengono definiti nei propri connotati e contenuti dall’art. 2403 Cc,
che si esprime indicando nel collegio sindacale un organo che vigila sull’osservanza
della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in
particolare sull’adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile
adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento. È proprio adempiendo a tali
compiti che il collegio tutela il patrimonio dell’ente.
Ciò non di meno, è noto che la giurisprudenza, granitica, non distingue tali due
tipologie di obblighi, uniformandoli quale unitario plateau di un indistinto concorso
omissivo in cui il garante, pur in assenza di reali poteri conformativi, è tenuto a
qualsiasi condotta che impedisca o renda anche solo più difficile il compimento del
reato dell’amministratore29.
Per quanto variegata sia la morfologia degli obblighi impeditivi rilevanti
nell’universo delle attività lecite a rischio consentito, l’imputazione ‘per l’inerzia’
nell’ambito del concorso può allora essere ridotta a due modelli:
i)
ii)
responsabilità per non aver impedito il reato altrui, che è autenticamente
omissiva, poiché viene sanzionato l’inadempimento al comando di agire puro
e semplice e
responsabilità per non aver neutralizzato la condotta colposa altrui, che va
inquadrata come momento omissivo di un contegno complessivamente
attivo e consiste nel cagionamento del danno attraverso un’attività svolta in
team senza le dovute precauzioni inerenti al controllo reciproco tra agenti.
La distinzione è radicale e ha delle ricadute pratiche immediate. Nel primo caso, il
focus dell’accertamento cade sul risultato, la responsabilità tendenzialmente (al netto
di questioni inerenti al deficit di colpevolezza del garante) sta e cade con il
compimento da parte del terzo del reato che doveva essere impedito e proprio per
questo si verifica se l’illecito altrui si è realizzato e si cerca di comprendere se in
qualunque modo l’obbligato avrebbe potuto scongiurarlo. Nel secondo può bene
accadere che il reato venga consumato, senza che ciò implichi in alcun modo la
responsabilità dell’omittente tutte le volte in cui questi abbia effettivamente impedito
o corretto la condotta colposa del soggetto con cui collabora e dunque è sottoposto al
suo controllo30.
29
Si rimanda qui alla diffusa trattazione di N. Pisani, Controlli sindacali e responsabilità penale delle società per
azioni, Milano 2003, 444 ss.; più di recente L. Cornacchia, Responsabilità penale negli organi collegiali, cit., 126
ss.
30
È ovvio che non vi è responsabilità dell’omittente quando, anche per pura sorte, nonostante non sia stato
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Ciò dipende dal fatto che nell’ipotesi sub ii) non ci si trova in presenza di un
garante, né una posizione di garanzia può essergli surrettiziamente attribuita
nonostante la forte somiglianza morfologica con il concorso omissivo, posto che in
entrambe le evenienze si assiste alla responsabilità per un’omissione. Si è al cospetto
di un dovere cautelare di natura relazionale, privo di sanzione penale in sé e per sé
considerato.
Entrambe le ipotesi condividono la portata eccezionale, poiché è raro il
presupposto di fatto da cui prendono le mosse e cioè che un soggetto abbia un potere
di signoria su altro tale da poterne impedire un comportamento illecito (nel caso della
posizione di garanzia) o prevenirne o neutralizzare una condotta negligente
(nell’ipotesi del dovere cautelare relazionale)31.
L’eccezionalità del presupposto di fatto è l’unico elemento in comune, poiché per
ogni altro aspetto la differenza dei due modelli non potrebbe essere più netta.
L’ampiezza del dovere di agire e dunque anche del comportamento impeditivo è molto
maggiore in relazione all’impedimento di un reato, poiché si deve fare tutto il possibile
perché il bene protetto non patisca una lesione, mentre è ben più contenuta (almeno
concettualmente) dove si tratti di azzerare la portata lesiva di una condotta
inosservante altrui.
Nel quadro che qui interessa, vale a dire l’identificazione del partecipe in colpa, a
rilevare è solo il secondo tipo di obblighi impeditivi, quelli volti a correggere
inosservanze altrui, anche perché per lo più il garante già potrebbe rispondere a titolo
monosoggettivo del reato ogni qual volta si verifichi l’evento che doveva essere
impedito e dunque egli non è partecipe ma semmai autore (omissivo) e non è
necessario per responsabilizzarlo il meccanismo imputativo di cui all’art. 113 Cp. Come
già notato in dottrina, se un bambino affoga durante una festa in piscina perché la
madre, intenta a parlare con le amiche, non si accorge di nulla e non si getta a salvarlo,
poco cambia se la caduta nella vasca sia dovuta a fattori accidentali o ad una spinta di
un grosso cane sfuggito al padrone di casa, a sua volta superficiale nel controllo
dell’animale. Il contenuto di disvalore dell’omissione è sempre il medesimo: il garante,
infatti, è già autonomamente responsabile ex art. 40 Cp in caso di lesione del bene
protetto, tanto quando il danno provenga da fattori naturali, quanto allorché derivi
dalla condotta negligente di un terzo32.
Non così quando il dovere impeditivo ha una ratio essendi puramente cautelare e
impedito il comportamento colposo del controllato, non sia comunque conseguito l’evento dannoso. Ove però
la condotta colposa del terzo configuri di per sé un illecito a prescindere delle conseguenze dannose, l’omittente
risponderà e questo caso in fondo tende a coincidere con quello sub i).
31
Sulla necessità che la complicità mediante omissione si fondi sui medesimi presupposti della responsabilità
omissiva in generale G. Fiandaca, Il reato commissivo mediante omissione, Milano 1979, 176; L. Risicato, La
partecipazione mediante omissione a reato commissivo, in RIDPP 1995, 1279 ss.
32
Sul punto si veda già L. Risicato, La partecipazione mediante omissione a reato omissivo, cit., 1283.
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ha ad oggetto solo ed esclusivamente una condotta colposa altrui. Qui la
riprovevolezza dell’eventuale inerzia è strettamente dipendente, accessoria, all’azione
inosservante altrui, così che se questa non si manifesta non vi è disvalore in capo al
garante che ometta il proprio controllo.
Il contesto pandemico ci può fornire un’esemplificazione di quanto finora indicato:
colui che deve controllare che accedano ad un ufficio solo dipendenti provvisti di cd.
green pass e con temperatura corporea non superiore ai 37 gradi deve semplicemente
verificare il possesso di requisiti in capo a coloro che entrano nell’edificio e non
impedire che si generi lo specifico rischio di esposizione di una collettività ad un
agente patogeno attraverso l’ingresso di una persona infetta. Non gli è richiesto, cioè,
di impedire l’insorgenza del rischio di contagio in assoluto.
Ove non adempia a questo controllo ed effettivamente un soggetto colpito dal virus
e con sintomi entri nella struttura, trasmettendo la malattia ad una o più altre persone,
l’addetto ai controlli non potrà certo essere chiamato a rispondere a titolo omissivo,
posto che difetta radicalmente una fonte normativa che lo elevi a garante. Tralasciando
per un momento gli evidenti problemi di prova, semmai si potrà pensare che il
superficiale disimpegno della sua mansione possa assumere la forma di un concorso
commissivo colposo (sotto forma di negligente disimpegno dei propri compiti) alla
fattispecie di epidemia ex art. 452 Cp o di lesioni colpose plurime, insieme a colui che
si è comunque recato al lavoro nonostante la febbre; la natura inosservante del
comportamento dell’addetto al controllo si fonda in questo caso sulla violazione del
comportamento prudente di vigilanza che gli era imposto dalle norme organizzative
dell’ente e sulla base della ripartizione di compiti al suo interno. Non risponderà
certamente ove il contagio derivi da altra fonte (vi è stata una contaminazione
dell’impianto di aereazione) o il soggetto diffusore della patologia non sarebbe stato
identificabile (ad esempio il contagiato era privo di sintomi proprio perché vaccinato,
ma comunque veicolo di infezione per gli altri).
Per adempiere ai propri doveri, in definitiva, l’obbligato non deve fare tutto quanto
in suo potere per impedire l’evento avverso, ma limitarsi ad adempiere al vincolo di
comportamento richiesto dalla diligenza con riguardo all’azione di un terzo, che poi
quest’ultimo causi o non causi l’evento penalmente significativo (nei reati colposi di
danno) o realizzi o meno il fatto tipico (per i reati colposi di mera condotta).
Il controllore è insomma un partecipe materiale, il cui contributo commissivo
assume rilevanza penale in quanto abbia creato, con la propria inosservanza cautelare,
una situazione di rischio concretizzata da colui che poi acceda all’edificio pur essendo
contagiato.
2.3. Il concorso omissivo è un topos penalistico, che si ambienta oggi in un
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contesto in cui si fa sfuggente la distinzione, prima tratteggiata, tra obblighi di garanzia
e obblighi meramente cautelari. È interessante notare però che la posizione di
garanzia, come da più parti notato, non è più soltanto elemento chiave della
responsabilità ‘per mancato impedimento di un evento’, ma è tracimata dal versante
omissivo a quello commissivo, nel senso che si è via via fatto ricorso ad essa anche per
individuare i responsabili di reati che descrivono azioni positive e per tracciare i
contorni della stessa condotta tipica. L’etichetta del gestore del rischio, invalsa nel
diritto penale del lavoro, è l’esempio perfetto di questa evoluzione, in cui la
responsabilità colpisce un garante tenuto indifferentemente a impedire che il pericolo
evolva in danno con azioni positive o omissive.
Le ragioni del successo della figura della “posizione di garanzia” sono note e
come sempre vanno ricercate nel processo: l’accertamento della responsabilità viene
di molto semplificato nei suoi adempimenti istruttori anche rispetto a condotte
commissive quando non si deve più provare un contegno positivo, o meglio i passaggi
a vuoto del rapporto eziologico attivo possono venire bypassati riferendosi alla
violazione di una o più pretese normative. La presenza di un dovere di impedire
l’evento consente di attenuare la prova della condotta attiva e del nesso tra questa e
l’evento, assorbendo, almeno in parte, tali questioni entro la verifica, più agevole, di
una competenza normativa al controllo del rischio poi tradottosi in danno
(tipicamente ciò accade nel campo della sicurezza sul lavoro) 33.
A ben guardare, una corretta definizione delle posizioni di garanzia all’interno delle
organizzazioni complesse avrebbe una marcata portata selettiva, ove la norma di legge
che le prevedesse definisse con precisione il campo della tutela dovuta, la classe di
rischi, la copertura cautelare che corrisponde a ciascuna posizione 34. Ciò non accade,
33
Criticamente, su tale fenomeno, già da tempo M. Donini, Teoria del reato (voce), in DigDPen, Torino 1989, 65
ss., poi L. Cornacchia, Concorso di colpe e principio di responsabilità penale per fatto proprio, cit., 332. In
giurisprudenza, si vedano le riflessioni, che si concentrano sulla distribuzione delle sfere di competenza in ordine
al rischio più che sul tipo di condotta realizzata in concreto dai coagenti, secondo la nota impostazione per cui
il datore di lavoro risponde anche per il fatto non abnorme dell’infortunato e che risale non certo ad anni recenti.
Si veda a proposito già Cass.14.9.1991 n. 9568, Rv. 188202 – 01: «Le norme per la prevenzione degli infortuni sul
lavoro hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica intrinsecamente
connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, anche nell'ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad
eventuale imprudenza e disattenzione dei lavoratori subordinati, la cui incolumità dev'essere sempre protetta con
appropriate cautele. Solo nel caso in cui il lavoratore realizzi una condotta inopinabile, esorbitante dal
procedimento di lavoro cui è addetto ed incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero non osservi precise
disposizioni antinfortunistiche è configurabile la colpa dell'infortunato nella produzione dell'evento, con
esclusione, in tutto o in parte, della responsabilità penale degli imprenditori, dei dirigenti e dei preposti nell'ambito
delle rispettive attribuzioni e competenze».
34
Lo rileva anche, con particolare riferimento ai rapporti tra posizione di garanzia e colpa, G.A. De Francesco,
Brevi riflessioni sulle posizioni di garanzia e sulla cooperazione colposa nel contesto delle organizzazioni
complesse, in www.lalegislazionepenale.eu 3.2.2020, 2 ss., 12 ss. Si tenga presente che nel progetto Grosso e nel
progetto Pagliaro si tentò di ridurre la vaghezza delle clausole di estensione della punibilità, almeno di quella
relativa alla responsabilità omissiva e alla partecipazione al reato, sostituendo una generale clausola di
equivalenza, quale quella dell’art. 40 cpv e dell’art. 110 (ma anche evidentemente, in parte qua, il 113), con dei
modelli, pur non dettagliati, di comportamenti punibili. Il progetto Pagliaro, con gli artt. 26-30, tipizzava i
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dunque occorre prendere atto della ipervalutazione della posizione di garanzia, che è
particolarmente significativo nel campo del concorso colposo e presenta un volto
ambivalente:
i)
il bright side, piuttosto ovvio, consiste nell’identificazione dei soggetti
responsabili entro una comunità di coagenti. Ciò determina la centralità
della posizione di garanzia tanto per le condotte omissive, quanto per quelle
commissive, poiché anche per queste ultime svolge il ruolo di individuare il
soggetto attivo del reato e determinare quali siano le mancanze penalmente
rilevanti35.
ii)
il dark side consiste nella moltiplicazione delle cautele. La posizione di
garanzia, proprio perché corrisponde all’imperativo ‘categorico’ di impedire
l’evento quale che sia la condotta strumentale a tale obiettivo, fomenta il
rimprovero colposo, consentendo l’emersione (o si potrebbe dire anche la
creazione ex novo) di regole di comportamento sempre nuove, con
contenuto omissivo o commissivo, che, in quanto inadempiute, producono
l’addebito colposo 36 . Ciò dipende proprio dal rapporto che abbiamo
ricordato tra dovere di garanzia (contenitore) e doveri di prudenza
(contenuto): alla dilatazione del primo (si veda quel che accade per i garanti
della sicurezza sul lavoro) segue la sempre maggiore formalizzazione di
nuovi doveri di previsione e prevenzione di eventi avversi (a condizione che
se sia maturata l’esperienza pratica che dimostri essere, rispettivamente,
prevedibili ed evitabili).
Quale rimedio può essere dispiegato per correggere quello che è all’evidenza un
circolo autopoietico di posizioni di garanzia che producono doveri impeditivi che a
comportamenti dei partecipi in funzione del ruolo svolto in concreto, mentre con il Progetto Grosso (artt. 16-24)
si creavano tipi omissivi diversificati in dipendenza dell’area di rischio di competenza.
35
Sul punto N. Selvaggi, La tolleranza del vertice d'impresa tra inerzia e induzione al reato: la responsabilità penale
ai confini tra commissione e omissione, Napoli 2012, 174. Sul momento omissivo della colpa G. Fiandaca, op. cit.,
110; G. Marinucci, La colpa per inosservanza di leggi, ora in Id., La colpa. Studi, Milano 2013, 265 ss.; F. Sgubbi,
Responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, Padova 1975, 138 ss.; F. Giunta, op. cit., 90 ss.; M.
Donini, La causalità omissiva, cit., 55 ss. Nella letteratura tedesca, per tutti, G. Radbruch, Über den Schuldbegriff,
in ZStW 1904, 346 ss.; E. Mezger, Strafrecht. Ein Lehrbuch3, Berlin-München 1949, 149; Arm. Kaufmann,
Lebendiges und Totes in Bindings Normentheorie, Göttingen 1954, 284 ss.; Id., Die Dogmatik der
Unterlassungsdelikte, Göttingen 1959, 167 s.; Arth. Kaufmann, Die Bedeutung hypothetischer Erfolgsursachen im
Strafrecht, in Festschrift für Eberhard Schmidt, Göttingen, 1961, 212; C. Roxin, Pflichwidrigkeit und Erfolg bei
fahrlässigen Delikten, in ZStW, 1962, 418; W. Frisch, Die Conditio-Formel: Anweisung zur Tatsachenfeststellung
oder normative Aussage?, in V. Erb/D. Dölling (Hrsg.), Festschrift für Karl Heinz Gössel zum 70, Heidelberg 2002,
69.
36
La posizione di garanzia rileva dunque, trasversalmente, a prescindere dal tipo di condotta, e dunque deve
essere impiegata come strumento di comprensione di tutte le forme di concorso colposo, con particolare
riguardo alle organizzazioni, in cui più di ogni altro il legislatore colloca posizioni di garanzia per gestire i fattori
di rischio secondo criteri di competenza. In questo senso, nel settore del diritto penale del lavoro, D.
Castronuovo, Fenomenologie della colpa in ambito lavorativo, in DPenCont., 2016, 219.
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loro volta fomentano posizioni di garanzia praeter legem e così via?
A parer nostro, occorre ridurre le possibilità di interazione tra posizioni di garanzia
e cooperazione ex art. 113 Cp, prendendo atto di due dati di realtà per vero abbastanza
evidenti.
In primo luogo, il concorso colposo non è strumento di responsabilizzazione del
garante: posto che alla luce dell’art. 40 Cp il dovere impeditivo si riferisce ad eventi,
naturalistici o giuridici a questo fine poco importa, la responsabilizzazione del garante
non passa dalla tipicità concorsuale, ma da quella monosoggettiva. Costui è per lo più
destinatario di un contributo concorsuale altrui, ben più raramente soggetto che
contribuisce alla colpa di altri attraverso omissioni pure e semplici.
Si pensi a tutti i casi in cui altri abbiano indotto l’errore o l’ignoranza di dati
rilevanti nella situazione concreta: è il caso del consulente in materia ambientale che
spinga l’imprenditore ad assumere un dispositivo di sicurezza ormai antiquato che poi
puntualmente non evita uno sversamento di inquinanti nei terreni circostanti al sito
produttivo.
In secondo luogo, anche quando il garante non si presenta come l’autore materiale
del fatto, la sua partecipazione al reato materialmente commesso da altri non è
omissiva, ma propriamente commissiva e dunque il riferimento alla posizione di
garanzia potrebbe essere accantonato.
Si pensi alle ipotesi in cui il garante viene chiamato a rispondere per avere gestito
un’attività produttiva con incuria e negligenza, generando così una situazione di
rischio che poi viene attualizzata dall’autore materiale del fatto colposo (tipicamente
è quel che accade nella disciplina della sicurezza sul lavoro). In tali casi egli in realtà
non omette tout court, ma tiene un comportamento più complesso, con una
componente omissiva, ma sostanzialmente commissivo. Si tratta infatti dell’esercizio
di attività di impresa in assenza di cautele, della redazione di un documento di
valutazione del rischio che non contempla il rischio poi sviluppatosi in danno, di
organizzazione di questa o quella operazione assumendo decisioni pericolose per
l’incolumità di terzi e così via. A ben vedere dunque anche qui non sussiste un
concorso colposo omissivo, non perché non esista una posizione di garanzia, ma
perché non esiste una condotta omissiva.
Anche fuori dal contesto imprenditoriale, molti casi di responsabilizzazione
omissiva nascondono oneri di controllo accessori a condotte che dovrebbero essere
considerate commissive. Incauti affidamenti di veicoli o strumenti che possono
rivelarsi pericolosi se malgovernati da colui che li riceve (armi, vetture, natanti, codici
di accesso a circuiti informatici) non rendono colui che compie la consegna garante
della condotta del destinatario, ma se del caso concorrente commissivo per violazione
della regola di prudenza che impone, in certi contesti, di sincerarsi delle condizioni e
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capacità della propria controparte prima di compiere un’azione positiva37.
Ciò posto, la riduzione entro limiti di razionalità del concorso colposo omissivo
passa da una precisa relazione tra le due clausole generali di incriminazione suppletiva
(vale a dire l’art. 40 e l’art. 113), che devono applicarsi non in contemporanea, ma in
due fasi rigorosamente distinte.
In primis, occorre comprendere se ci sia una posizione di garanzia e quale sia la
sfera di competenza del garante, quali siano insomma gli interessi a lui affidati e in
relazione a quali pericoli, al fine di verificare se tra questi debbano essere neutralizzati
solo fattori naturalistici o anche umani (ulteriormente considerando rilevanti solo
quelli colposi o anche quelli intenzionalmente guidati all’offesa). Il corretto
svolgimento di questo passaggio limita molto la necessità di individuare un concorso
tra i due soggetti38.
In secundis, in via residuale, si può affrontare il tema della sussistenza di un
concorso colposo omissivo se si individui una di queste tre situazioni; tutte, si ripete,
caratterizzate dalla mera valenza di disciplina e non di incriminazione dell’art. 113:
i)
ii)
iii)
il garante viene indotto in errore da parte di terzi con il risultato di fargli
omettere la prestazione dovuta (concorso commissivo del terzo
nell’omissione del garante);
il garante avrebbe dovuto impedire l’evento attraverso la sorveglianza
sull’azione di un terzo, affinché si mantenesse entro i limiti della condotta
prudente e diligente (il caso classico del concorso omissivo nel reato colposo
altrui);
il garante avrebbe dovuto impedire l’evento insieme ad altri garanti, che
avessero magari la stessa o diversa competenza (concorso omissivo in reato
omissivo improprio).
Il caso sub iii) configura un concorso omissivo puro, vale a dire tra due garanti
omittenti: si pensi a chi rivesta una posizione di controllo su un determinato fattore di
37
Per L. Risicato, Il concorso colposo tra vecchie e nuove incertezze, cit., 170, in presenza di una contestualità di
azione e di una consapevolezza di coagire con altri non potrebbe darsi una cooperazione colposa, come ad
esempio nel caso dell’abbandono per dimenticanza di un’arma incustodita, successivamente impiegata da un
terzo (maggiorenne, autoresponsabile e capace) incautamente con esiti tragici. In senso opposto, nel contesto
tedesco, l’impostazione di Jakobs, secondo cui non è rilevante ciò che gli agenti sappiano degli altri coagenti, ma
la divisione di compiti e ruoli precedente al fatto da imputare; occorre guardare insomma solo al significato
oggettivo del contatto sociale e non sarebbe necessario il consapevole coordinamento con le condotte altrui,
poiché vi è coautoria colposa in una complessiva attività rischiosa non consentita senza che vi sia comunanza
psicologica, cfr. G. Jakobs, Akzessorietät. Zu den Voraussetzungen gemeinsamer Organisation, in GA, 1996, 265;
nello stesso senso anche H. Lesch, Täterschaft und Gestaltungsherrschaft. Überlegungen zu der gleichnamigen
Monographie von Wilfried Bottke, in GA 1994, 119.
38
Essenziale il riferimento al saggio di L. Risicato, La partecipazione mediante omissione a reato commissivo, cit.,
1294 s.
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rischio (ad esempio il gestore di una diga su un corso d’acqua in piena) e a colui che
rivesta una posizione di protezione su uno specifico bene (per rimanere nell’esempio il
genitore che conduca il figlio minore in gita proprio lungo il fiume, a valle della diga e
nei pressi della stessa, dopo un nubifragio). Nuovamente la regola della irrilevanza
incriminatrice del concorso colposo rispetto ai garanti viene confermata: le condizioni
di reciproca responsabilità sono dettate dal rapporto tra i due obblighi impeditivi, non
dalla presenza dell’art. 113. Anche rescindendo per ipotesi siffatta norma
dall’ordinamento, la soluzione del problema sarebbe identica, come subito vedremo.
2.3.1. Proprio l’ultima osservazione ci introduce ad un tema molto delicato,
quello della compresenza di garanti in colpa, fenomeno più comune di quel che si
pensa, ad esempio nel caso di garanti che operano collegialmente (i sindaci) oppure
nel medesimo contesto fattuale (si pensi a datori di lavoro di imprese subappaltatrici
che operino in un medesimo cantiere).
Per dirimere la matassa della distribuzione della responsabilità, verrebbe facile
ricorrere anche qui al concetto di “ruolo” e al principio di competenza che prima
ancora della conformazione del tipo colposo selezionerebbe tra i potenziali
responsabili solo coloro che, alla luce della disciplina non penalistica, siano gravati del
compito, e dei connessi poteri, di gestire rischi tipici.
Anche la giurisprudenza fa di simili argomenti un canone interpretativo sempre
più in voga. A partire dalla sentenza Lovison39 si assiste ad una progressiva adesione
alla colpa come una attribuzione di un rimprovero basata sull’inadempimento di un
dovere, sull’inutilizzo di un potere connesso al ruolo o sul malgoverno di una
competenza riferita ad un’area di rischio, con successiva collocazione dentro o fuori
tale area dell’evento concreto per comprendere così se sussista o meno il reato.
In effetti un simile modo di procedere presenta indubbi vantaggi, non ultimo
l’adattabilità, senza peculiari sconvolgimenti di metodo, a casi del tutto eterogenei,
dalla circolazione stradale, alle relazioni terapeutiche medico-paziente, fino alle
ipotesi di responsabilità ambientale per contaminazione storica.
Un iter apparentemente efficiente, ma tutt’altro che garantito, poiché la
definizione dell’area di rischio per cui l’imputato avrebbe competenza, anche senza
volere, spesso viene perimetrata ex post alla luce dell’evento di cui si deve valutare la
responsabilità penale grazie alla genericità del concetto di competenza. Sostiene la
Cassazione nel citato caso Lovison che l’identificazione del perimetro del rischio
cautelato dipende dalle regole pertinenti, ma preme qui evidenziare che ove queste
siano generiche e non formalizzino lo scopo della loro protezione, è impossibile
39
Cass. 21.12.2012 n. 1678, Lovison, in www.penalecontemporaneo.it, 18 febbraio 2013, con nota di M.L. Minnella,
Infortuni sul lavoro e confini della posizione di garanzia.
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prevenirne la dilatazione e ne è una paradigmatica conferma il fatto che la
giurisprudenza finisca per ritenere che anche un extraneus ad un’azienda sia soggetto
garantito dal datore di lavoro in ordine alla sicurezza, oppure, uscendo dal campo del
d. lgs. 81/2008, che il proprietario di una piscina pubblica sia tenuto a rispondere della
morte per annegamento di colui che illecitamente vi si intrometta nottetempo con gli
amici per una festa non autorizzata40.
Insomma, riferirsi ai concetti di ruolo, competenza, area di rischio, significa
impiegare nozioni certo suggestive, ma prive di argini normativi sufficientemente
solidi per contenerne la portata espansiva.
Tale aspetto è ancor più evidente, se possibile, quando entrino in contatto più
garanti, gravati da obblighi di impedimento interferenti.
Si pensi ad una situazione che coinvolga un individuo non autoresponsabile: la
cronaca offre casi non rari in cui uno o più adolescenti accedano ad un’area dismessa
precipitando poi da un solaio ammalorato o ferendosi in altro modo. Come distribuire
la responsabilità tra l’amministratore del fondo immobiliare cui appartiene l’area e i
genitori del minore che non si sono curati del figlio che invadeva edifici altrui?
Solitamente la giurisprudenza attribuisce la responsabilità ai controllori della fonte di
pericolo da cui è scaturito il danno, ritenendo probabilmente (in via equitativa e nulla
più) che il garante originario abbia già patito la poena naturalis dell’offesa patita dal
garantito (anche se non si rinviene mai una riflessione esplicita sulla ragione della non
persecuzione degli esercenti la potestà genitoriale)41. Difficile però comprendere quali
siano le basi normative di una simile soluzione.
Meglio intendersi allora sull’unico criterio utile a dirimere siffatte ipotesi di
sovrapposizione di pretese normative. Se la sfera di protezione definita dalla posizione
di garanzia è generalissima (come nel caso dei genitori di un minore), solo l’analisi
delle regole cautelari rilevanti, intese come programmi empiricamente fondati per
l’impedimento di specifici eventi, può attribuire agli obblighi impeditivi un significato
più pregnante: rapportandosi al fatto concreto, veicolano accertamenti che
40
Si legga ad esempio Cass. 17.6.2014 n. 43168, in olympus.uniurb.it., secondo cui in materia di prevenzione degli
infortuni nei luoghi di lavoro, beneficiario della tutela è anche il terzo estraneo all’organizzazione dei lavori,
sicché dell'infortunio che sia occorso all'extraneus risponde il debitore di sicurezza, sempre che l'infortunio
rientri nell'area di rischio quale definita dalla regola cautelare violata e che il terzo non abbia attuato un
comportamento di volontaria esposizione a rischio. Al contempo però, secondo la Corte non può certo parlarsi
di volontarietà di esposizione a rischio da parte di un soggetto che, perché minore, non è in possesso della
necessaria consapevolezza della fonte di pericolo costituita da un cantiere e dalle aperture nel solaio; in tal caso
la volontarietà dell'ingresso nel sito ed il transito in esso non corrisponderebbe ad una volontaria esposizione a
pericolo. In altro contesto, per una decisione relativa alla responsabilità penale del gestore di una piscina per
l’annegamento di persone introdottesi nell’impianto abusivamente durante l’orario di chiusura, alla luce di un
dovere di inibire in qualsiasi modo l’accesso negli orari in cui l’assistenza ai bagnanti non sia garantito, cfr. Cass.
22.10.2008 n. 45698.
41
Così nota D. Micheletti, Il criterio della competenza sul fattore di rischio concretizzatosi nell’evento. L’abbrivio
dell’imputazione colposa, in Crim 2015, 531.
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consentono di selezionare l’obbligato e valutare l’esigibilità del comportamento
doveroso. Peraltro, essendo la regola cautelare, e il giudizio di colpa che essa sostiene,
intrinsecamente relazionale, è ben possibile che a volte sia la regola stessa a decrittare
lo specifico rapporto tra garanti in relazione allo specifico pericolo che si è manifestato,
se del caso persino comprendendo nella modulazione dei doveri di condotta lo stesso
soggetto passivo42.
Tornando all’esempio, sulla base di questa direttiva di azione tesa a valorizzare
le regole di prudenza come fattori di collegamento tra situazione di fatto e
imputazione giuridica, la responsabilità del proprietario dell’area dismessa può essere
affermata quando egli sappia che lì accanto vi è una casa abitata da minori e questi già
in precedenza siano stati sorpresi a introdursi nel manufatto approfittando di un varco
nella recinzione fatiscente. È ovvio che in questo caso la mancata riparazione della rete
che circonda il terreno, nonché la mancata delimitazione dei punti più pericolosi
dell’edificio, può fondare il rimprovero colposo. Per gli stessi motivi, però, anche i
genitori dei minori, che di fronte ad un simile scenario omettano di prevenirne
l’autoesposizione a pericolo, devono essere ritenuti responsabili. Peraltro, in forza del
rapporto di vicinato che rende tutti i garanti compartecipi di una medesima situazione
di rischio, ben si può affermare che sussista tra loro un concorso colposo, all’atto
pratico però non particolarmente significativo, essendo tutti già responsabili in forza
dei rispettivi obblighi impeditivi.
Una simile conclusione non è dedotta da doveri astratti e generici, ma dalla
declinazione delle cautele in ragione degli accadimenti pregressi e dei precedenti
segnali d’allarme che la fattispecie concreta aveva rilasciato.
Proprio guardando alle regole di comportamento prudente e al programma di
azione diligente che esse veicolano in funzione della prevenzione di specifici rischi
nell’ambito di un obbligo di impedimento, è possibile tornare al caso della
compresenza di più garanti ed escludere, a contrario, una cooperazione penalmente
rilevante ex art. 113 Cp quando sussista una delle seguenti tre ipotesi di ‘scioglimento’
del cumulo di colpe: la prima attiene già al piano dell’obbligo ex art. 40 cpv. Cp, la
seconda alla misura oggettiva della colpa, la terza a quella soggettiva.
i)
Neutralizzazione temporanea del dovere di garanzia di uno dei garanti, prima
e a prescindere dalla verifica delle cautele dovute. È il caso in cui un garante
assuma su di sé momentaneamente, per delega esplicita o implicita, un
obbligo impeditivo altrui: si pensi all’esercente dell’impianto chimico
(dunque il titolare della posizione di controllo) che, sulla base di un accordo
Sull’importanza della colpa, valutata in termini relazionali e dinamici, come fattore di arricchimento e
valorizzazione della tipicità O. Di Giovine, L’autoresponsabilità della vittima come limite alla responsabilità
penale?, in www.lalegislazionepenale.eu 13.5.2019, 5, 14.
42
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ii)
iii)
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con la scuola, conduca una scolaresca ad un tour didattico nella sua struttura
(divenendo quindi per quel periodo titolare di una posizione di protezione).
Alla coincidenza di due diverse posizioni di garanzia sul medesimo soggetto
seguono ulteriori regole di condotta prudente che impongono
all’imprenditore di assicurare che gli alunni rimangano sempre ben lontani,
durante la loro gita, dai pericoli generati dagli impianti, siano dotati di
dispositivi di protezione individuale e sorvegliati adeguatamente dagli
addetti alle macchine.
Prevalenza del dovere di prudenza di un garante su quello dell’altro. È quel
che accade quando il garante fattualmente più prossimo al rischio escluda il
dovere di diligenza di quello più lontano dalla fonte di pericolo. È così
ammissibile che, nonostante vi sia un garante chiamato a tutelare, in
generale, l’incolumità di un soggetto non autoresponsabile, chi rivesta una
posizione di controllo sia l’unico a dover rispondere dell’evento infausto. Ad
esempio, si pensi al sedicenne che acquisti in farmacia (e poi assuma per
gioco) un farmaco ipnotico quando il farmacista avrebbe invece dovuto
consegnarlo solo ad un adulto dotato di ricetta medica. È evidente che qui la
situazione concreta attualizza il dovere di diligenza del sanitario e non quello
del genitore (cui non è richiesto di accompagnare ogni minuto il figlio
adolescente ovunque vada): ad assumere valore dirimente è la regola di
cautela che vieta di consegnare farmaci potenzialmente tossici a chi non è
abilitato a riceverli, sia perché minore sia perché privo di prescrizione.
Prevalenza della responsabilità di un garante con esclusione di quella
dell’altro poiché la gravità della colpa del primo rende inesigibile la cautela
dovuta dal secondo. È quel che accade ove la gestione della fonte di pericolo
da parte del titolare di una posizione di controllo sia così negligente da
accrescere il rischio ad un livello tale che anche il secondo obbligato non può
materialmente adempiere al dovere impeditivo. Si pensi ad un minore che
cada e anneghi nella vasca di raccolta delle acque di un depuratore dismesso,
non segnalata e nascosta dalla vegetazione e dunque non rilevabile dal
genitore o dal tutore che pure lo accompagnava in un’escursione in bici43.
Proprio alla luce di tali esempi si può ricavare la conclusione che il concorso colposo
tra garanti è possibile, ma la corretta delimitazione delle reciproche responsabilità non
passa quasi mai dalla posizione di garanzia, troppo spesso ben poco determinata negli
scopi di tutela, bensì nella maggior parte dei casi dalla concreta applicazione delle
43
Per queste tre ipotesi, con annessa giurisprudenza rispetto a casi diversi da quella esemplificata nel testo, D.
Micheletti, op. cit., 532.
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cautele, che rapportandosi al dato fattuale sono in grado di offrire all’interprete una
maggiore capacità selettiva rispetto a concetti puramente normativi.
2.4. Non si deve compiere l’errore di ritenere il concorso colposo un fenomeno
esclusivamente normativo e risolvere l’analisi dell’istituto in una tassonomia di
procedure violate, ruoli, competenze e qualifiche. È certamente vero che il collante tra
le condotte dei partecipi è in qualche modo istituzionale 44 poiché il significato delle
interazioni tra più coagenti è per lo più mediato dalle procedure dell’organizzazione
di appartenenza e dai meccanismi di reciproco condizionamento, anche di tipo
ritualistico e conformista, in cui si sostanziano i percorsi decisionali all’interno della
struttura, quale che ne sia la natura (imprenditoriale, amministrativa, pubblica,
privata, sanitaria e così via) e la complessità (da una coppia di persone fino alle filiere
di individui che compongono gli organigrammi delle multinazionali) 45.
Vi è però anche una componente naturalistica, costituita dalla sostanza empirica
dei rapporti personali tra coagenti. Le relazioni tra persone, pur se non inquadrabili in
un paradigma causale46, consistono in interazioni psichiche che ben possono incidere
sulle decisioni di ciascuno di comportarsi in un determinato modo piuttosto che in un
altro. È ben possibile che tali condizionamenti possano assumere la forma
dell’istigazione e del rafforzamento del proposito altrui di tenere una condotta
oggettivamente imprudente47.
Qual è però la latitudine del concorso morale del reato colposo? La risposta deve
considerare anche il cedevole confine con la responsabilità dolosa del partecipe.
Infatti, nei casi in cui il delitto contempli un evento, delle due l’una: o l’istigatore
ne ha rappresentazione e volontà, e dunque si configura un’ipotesi di concorso
La dimensione dell’istituzione è essenziale per il penalista che voglia impiegare concetti dotati di una qualche
capacità performativa; la struttura conia propri codici di pensiero e azione che generano al loro interno, ma
anche al loro esterno in particolari situazioni (ad esempio quando si tratta dello Stato e delle sue articolazioni),
razionalità e legittimazione quasi trascendenti: si veda sul punto l’insuperato studio di J.W. Meyer, B. Rowan,
Institutionalized Organizations: Formal Structure as Myth and Ceremony, in 83 Am. Jour. Soc. 1977, 340 ss.
45
In un recente studio sulla decisione collegiale, L. Cornacchia, Responsabilità penale negli organi collegiali, cit.,
1 ss., 34 ss., segnala come il contesto modifichi gli schemi decisionali del singolo e i principi che presiedono alle
scelte. La sociologia nord-americana studia da decenni il fenomeno del cd. groupthink, in cui la pressione del
gruppo di riferimento spinge i singoli componenti all’uniformità di comportamento, cfr. I.L. Janis, Victims of
Groupthink: a Psychological Study of Foreign-Policy Decisions and Fiascoes, Boston 1972, 9 ss.
46
Lo nota di recente anche R. Blaiotta, Diritto penale e sicurezza sul lavoro, Torino 2020, 286 secondo cui nella
fattispecie cooperativa trova collocazione la colpa relazionale e ci si trova al cospetto tanto di condotte tipiche,
quanto di comportamenti atipici sul piano condizionalistico. Si vedano poi le ancor più recenti considerazioni
di R. Flor, La rilevanza causale delle interazioni psichiche nel diritto penale, Napoli 2021, 163 ss., 205 ss., tendenti
a rendere praticabile la verifica della causalità psichica sulla base di una razionale gestione delle massime di
esperienza, in assenza di leggi scientifiche di copertura. Problematiche che affliggono il concorso di persone da
sempre e tematizzate già decenni or sono da M. Donini, La partecipazione al reato tra responsabilità per fatto
proprio e responsabilità per fatto altrui, in RIDPP 1984 221 ss.
47
Nello stesso senso già L. Cornacchia, Concorso di colpe e principio di responsabilità penale per fatto proprio,
cit., 43.
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volontario al fatto colposo, se del caso entro le coordinate dell’art. 48 Cp, oppure
avremo un’istigazione colpita a mezza via dall’errore (anche sotto forma di ignoranza
o sottovalutazione delle conseguenze del fatto dell’istigato). È rispetto agli esiti
dannosi del comportamento imprudente oggetto di istigazione che la volontà e per lo
più anche la rappresentazione possono ben mancare e dunque si può configurare un
concorso colposo (salvi i casi di cd. colpa impropria)48.
Nel campo dei reati colposi di evento la partecipazione si manifesta sotto forma
di raccomandazione, suggerimento, richiesta o finanche ordine di tenere un
comportamento pericoloso, senza adesione alle conseguenze che si possano generare
in seguito ad essa. Vi sono poi rari, ma non impossibili, casi in cui la volontarietà
abbraccia tanto la condotta che l’evento conseguente e tuttavia nessun reato doloso
viene integrato poiché gli agenti, o quanto meno il partecipe, erra sui presupposti di
legittimità dell’agire del terzo con cui interagisce. Si può ipotizzare la cooperazione in
un eccesso colposo su una scriminante, ad esempio l’adempimento del dovere o l’uso
legittimo delle armi: sono dunque fattispecie in cui l’azione è volontaria ed è la
percezione della legittimità della stessa a essere fondata su un errore. Un tempo
definite come situazioni che manifestano una colpa impropria dell’agente, si tratta di
casi in cui la colpa è in realtà presente senza particolari anomalie e l’errore in cui
incorrono gli agenti (in caso di azione di più coagenti) attiene al superamento nel caso
concreto dei limiti della norma scriminante (ricorre qui l’art. 55 Cp49), o, altresì, al
riconoscimento della assenza della situazione scriminante tipica ex art. 59 Cp. Non si
tratta di una forma sui generis di colpa, ma di casi in cui manca il dolo dell’illecito in
ragione di una rappresentazione erronea dei presupposti fattuali delle regole di
riferimento. Peraltro, in questi casi vi è una somiglianza con la prospettiva della colpa
per assunzione, poiché la violazione della norma cautelare è precedente all’inizio
dell’azione, minandola fin dalla sua genesi. Nelle ipotesi di colpa impropria, infatti, il
rimprovero viene fatto retroagire dall’ordinamento alla fase dell’inesatta valutazione
della situazione di pericolo in rapporto alla scelta dei mezzi da impiegare e del
contegno da tenere per fronteggiarla50.
Se invece ci troviamo al cospetto di un reato colposo di mera condotta (ad es. il
La nozione normativa di colpa colora inevitabilmente anche l’assetto della cooperazione colposa, che in una
concezione psicologica della colpa assume come presupposto la permanenza inevitabile di una componente
volontaristica rispetto ai comportamenti posti in essere dai coagenti, pur se non, ovviamente, rispetto all’evento
dannoso. Si veda in questo senso la ricostruzione di M. Spasari, Profili di teoria generale del reato in relazione al
concorso di persone nel reato colposo, Milano 1956, 69 ss. 80 ss., 117 ss., che ritiene occorra la consapevolezza di
tenere una condotta imprudente e di accedere ad un comportamento altrui che abbia le stesse note di
inosservanza di cautele. Analogamente già G. Bettiol, Sul concorso di più persone nei delitti colposi, in RIDPP
1930, 676.
49
Si veda per un caso di cooperazione in eccesso colposo rispetto ai limiti posti dall’art. 53 c.p., Cass. 1.2.2008 n.
5111, Rv. 238741 – 01.
50
Lo rileva L. Risicato, Cooperazione in eccesso colposo: concorso improprio o compartecipazione in colpa
impropria?, in DPP 2009, 587.
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delitto di cui all’art. 451 Cp), è chiaro che colui che invita, spinge, induce o finanche
ordina ad un terzo di tenere il comportamento che viola una cautela, si rappresenta e
intende determinarne il compimento da parte dell’istigato sicché è ben difficile parlare
di concorso colposo morale51.
Allorché ci si trovi in presenza di un partecipazione morale rispetto ad una delle
rare fattispecie colpose di mera condotta, l’istigazione colposa è concepibile solo
richiedendo, come elemento differenziale rispetto all’omologa ipotesi dolosa, l’assenza
di ogni rappresentazione circa il rischio innescato dall’istigato. Diversamente
opinando, la volontaria sollecitazione ad un comportamento considerato penalmente
illecito nella forma colposa dovrebbe già per questo assumere la forma del concorso
doloso, anche se solitamente si tratta di scenari connotati da una ridotta nota di
disvalore che preclude spesso tanto all’istigatore che all’istigato di rendersi conto della
portata della sua azione. Naturalmente l’ignoranza della qualificazione giuridica di
quest’ultima non pare significativa, anche nello spettro della lettura più garantistica
dell’art. 5 Cp.
È da notare che l’incremento del rischio illecito indotto dall’istigatore rileva in
quanto tale: nulla, dal punto di vista sistematico, impone che il partecipe morale sia
consapevole del carattere colposo della condotta tenuta dall’istigato52.
Quella mossa al concorrente morale è spesso una imputazione centauresca,
sistematicamente caratterizzata da commistione di dolo e colpa: dolosa rispetto
all’azione dell’istigato e colposa rispetto al segmento finale del fatto, rappresentato
dall’evento53.
Verrebbe allora da chiedersi se una creatura così bizzarra, dal punto di vista
giuridico, abbia davvero cittadinanza nel nostro sistema penale.
Per la verità, a prevenire ogni equivoco sulla configurabilità del concorso morale
al fatto colposo ci ha pensato da tempo il legislatore, che ha riconosciuto la
determinazione come forma di cooperazione al comma 2 dell’art. 113.
Lo stesso codice dimostra ulteriormente di aver ammesso l’esistenza di questa
51
In argomento si veda M. Ronco, Le interazioni psichiche nel diritto penale: in particolare sul concorso psichico,
in IP 2004, 815 ss., che suggerisce di individuare i requisiti della compartecipazione psichica partendo
dall’intenzionalità che guida il partecipe, non da quella che muove l’agente materiale, e da qui comprendere
come sia stato influenzato dal concorrente morale; guardando al partecipe occorre verificare quale impegno
abbia assunto e poi dispiegato per la realizzazione dell’illecito.
52
Sul punto M. Spasari, op. cit., 80; A.R. Latagliata, Cooperazione nel delitto colposo, (voce), in ED, X, Milano
1962, 615 ss. D’altra parte, se questa coscienza fosse necessaria, finirebbe per rendere indistinguibile l’istigatore
colposo e quello doloso, soprattutto nei già accennati e problematici casi di reati colposi di mera condotta: il
patrimonio conoscitivo di entrambi dovrebbe comprendere la coscienza del rischio inoculato nella situazione
concreta.
53
Sulla presenza di determinazione e istigazione anche nel concorso colposo, alla luce del richiamo operato
all’art. 113 cpv. alle circostanze che regolano proprio fenomeni di interazione psichica L. Risicato, La causalità
psichica tra determinazione e partecipazione, Torino 2007, 33; in precedenza A.R. Latagliata, Cooperazione nel
delitto colposo, cit., 618; e, ancora prima, A. Frosali, L’elemento soggettivo nel concorso di persone nel reato, in
Arch. pen., 1947, I, 8. Sull’art. 48 come ipotesi di concorso di persone T. Padovani, op. cit., 87 ss.
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forma di cooperazione psicologica, avendo esteso al concorso colposo la disciplina
delle circostanze previste per quello doloso alla luce del disposto del capoverso di cui
all’art. 113. Si pensi al caso del capo reparto che determini i dipendenti a lui sottoposti
ad adottare una procedura pericolosa di manutenzione di una macchina che poi
determina un infortunio. Le ipotesi di cui ai nn. 1), 2) e 3) risultano anzi di agevole
contestazione nel contesto delle attività di impresa o sanitarie.
È quindi rispetto alle ipotesi di partecipazione morale, di sollecitazione in varia
forma a tenere una condotta imprudente, che si percepisce nitidamente la funzione
incriminatrice dell’art. 113 anche rispetto ai reati causali puri 54.
Dal punto di vista empirico-criminologico poi, quello morale non è certo un
minus rispetto a quello materiale, potendo anzi porsi per intensità al medesimo livello
o addirittura ad uno superiore: esso è il paradigmatico meccanismo di
compartecipazione dell’organizzatore in caso di reato compiuto nell’ambito di
strutture complesse. È infatti sotto forma di istigazione o determinazione che si
manifesta il comando inosservante, errato o comunque rischioso da parte di colui che
definisce una procedura o un coordinamento affetto da uno o più passaggi a vuoto dal
punto di vista cautelare.
In presenza di una struttura caratterizzata da una dimensione gerarchica
interna, più o meno formalizzata, o comunque da una ripartizione di competenze,
colui che abbia una posizione sovraordinata o il compito di definire il modus
procedendi di una determinata attività può condizionare l’autore materiale (ed
eventualmente gli altri soggetti che a loro volta interagiscono con quest’ultimo),
limitandone le alternative di scelta e inducendolo a compiere la violazione fatale.
Ma anche fuori dai contesti istituzionalizzati non vi è alcun peculiare problema
logico o normo-teoretico a riconoscere l’ammissibilità del concorso morale colposo.
Il passeggero che incita il conducente a superare i limiti di velocità con
conseguente incidente, certo non è destinatario di alcun obbligo da parte del Codice
della Strada, che si rivolge sempre al conducente55, ma induce altri a violare le cautele
ivi previste. Spingere all’assunzione di un rischio illecito è di per sé una condotta che
viola il dovere di prudenza, senza che tale constatazione abbia alcunché di presuntivo;
si tratta piuttosto di prendere atto della proprietà transitiva dell’illecito non tipizzato,
quale è tendenzialmente quello colposo, basato com’è sulla clausola generale ‘per
colpa’: è vietato sia creare un rischio non schermato da cautele, che chiedere o
54
Nello stesso senso L. Risicato, Il concorso colposo tra vecchie e nuove incertezze, cit., 158 ss.; F. Argirò, Le
fattispecie tipiche di partecipazione. Fondamento e limite della responsabilità concorsuale, Napoli 2012, 258.
55
F. Argirò, op. cit., 260 s. Analogamente G. Civello, Il principio del sibi imputet nella teoria del reato. Contributo
allo studio della responsabilità penale per fatto proprio, Torino 2017, 369, secondo cui il decorso eziologico del
fatto è integralmente nelle mani del conducente. Ritiene punibile l’istigatore solo in caso di impiego di promesse
di ricompense, minacce o abusi di potere A. Sereni, Istigazione al reato e autoresponsabilità. Sugli incerti confini
del concorso morale, Padova 2000, 159.
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comandare ad altri di crearlo.
Ciò però non implica la medesima conseguenza sul piano della fattispecie
penale: come detto, occorre qui una formula normativa inequivoca per estendere la
responsabilità per colpa anche a condotte accessorie.
Non vogliamo però rimanere nel mondo dei sillogismi e delle consequenzialità
logiche.
L’idea della compartecipazione psichica alla negligenza altrui presuppone non
solo una generica relazione causale (l’eziologia è muta quanto a disvalore, oltre ad
aprire a scenari di regresso all’infinito se abbandonata a sé), ma una relazione cautelare
inadempiuta, cioè si deve basare su prescrizioni o indicazioni errate impartite dal
superiore al subordinato nell’ambito di una relazione di dipendenza56 o da un soggetto
che ha un qualche potere di influenza (basata su competenze tecniche, maggiore
esperienza, ascendenza carismatica e così via) su colui che compie la violazione
penalmente rilevante. Sono da considerare in questo senso relazioni non solo di natura
istituzionale, ma anche semplicemente familiari o professionali, essendo anch’esse
basate su meccanismi di rinforzo negativi o positivi, di carattere sociale e psicologico 57.
Si pensi al caso di colui che, in qualità di agronomo, venga richiesto da un
imprenditore agricolo di migliorare l’efficienza produttiva della sua azienda, ma rediga
una maldestra consulenza che fomenta l’attuazione di misure organizzative
inappropriate e induce la sottovalutazione di alcuni pericoli sanitari da parte del
proprietario dell’azienda (riducendo frequenza e ampiezza dei controlli a campione
sugli animali allevati o magari consigliandone il ricovero in un’area malsana del fondo
per fare spazio a dei magazzini). Di qui la diffusione di germi patogeni, con
conseguente genesi di una epidemia colposa. Orbene, il consulente non è certo un
garante, ma neppure un soggetto che causa direttamente l’evento, poiché autore è il
titolare dell’azienda che, seguendo gli errati consigli di un soggetto percepito come più
competente, ha spostato in un luogo inappropriato il bestiame. Non di meno è
innegabile che il professionista abbia posto le premesse per l’evento avverso, dunque
lo avrà favorito indirettamente, con ciò ponendosi come partecipe del fatto colposo
materialmente compiuto da altri.
3. La colpa in concorso non ha una struttura dissimile rispetto a quella
monosoggettiva, diverso è solo il rischio schermato dalla regola cautelare: esso ha
natura interattiva e, implicando l’azione di più persone, è per ciò solo maggiormente
56
Nello scenario tedesco, in relazione al § 26 dello StGB, e in un contesto doloso, individua la determinazione
punibile come forma di impossessamento della decisione altrui, G. Jakobs, Strafrecht, cit., 666 s.
57
Scettico sulla rilevanza penale della istigazione nell’ambito del concorso colposo, non per la sua inconcepibilità
logica, ma per la sua scarsa componente di disvalore A. Sereni, op. cit., 158 s., sicché la punibilità dovrebbe essere
conservata in caso di impiego di minaccia, abuso di potere o ricompense per la violazione della cautela.
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intenso ed esteso di quello creato da un singolo e ciò impone un accrescimento del
tasso di prudenza che tutti devono impiegare58.
Il quid proprium del concorso colposo è la produzione di rischio collettivo a
seguito di un intreccio cooperativo, che deve naturalmente trovare infine la propria
concretizzazione nell’inosservanza finale dell’autore materiale, senza la quale sarebbe
rimasto astratto e indeterminato 59 . Di qui la ragionevolezza dell’estensione della
responsabilità penale a soggetti che tengono condotte di agevolazione o
incentivazione dell’inosservanza cautelare con consigli, suggerimenti o incitamenti,
condotte che possono essere tanto coeve, quanto dilazionate nel tempo.
La dibattuta distinzione con la mera convergenza di condotte indipendenti non
si pone su un semplicistico nesso di consapevolezza dell’azione altrui, ma dipende dal
tipo di rischio, creato o aumentato per effetto di una condotta di gruppo. Ciò che
caratterizza la cooperazione rispetto al concorso di condotte colpose indipendenti è
dunque la compenetrazione dei comportamenti inosservanti, che formano una
‘genetica’ del pericolo: non esiste una pura sommatoria di azioni disgiunte, ma un’opera
unica, collettiva (a joint action secondo i sociologi americani60); in assenza di un rischio
comune, i comportamenti degli agenti sfociano in una congiunzione casuale solo al
momento dell’evento.
Al fondo delle nostre considerazioni rimane però un’indistinta sensazione di
allarme. Pare tuttora sottostimata la portata infestante della declinazione puramente
omissiva del concorso colposo: l’imputazione per mancato impedimento colposo
dell’evento lesivo è per lo più espressione di banali hindsight bias; la verificazione di
un’offesa reclama una responsabilità collocata tout court in capo a chi abbia un ruolo
organizzativo, senza passare per una razionale dimostrazione delle possibilità di
impedimento da parte di costoro e dell’analisi del tipo di potere di cui disponevano61.
58
In questo senso, Cass. 2.12.2008 n. 1786, in DPP 2009, 571 ss. Da una parte non pare sufficiente richiedere la
mera prevedibilità della condotta altrui (in questo senso invece P. Severino Di Benedetto, La cooperazione nel
delitto colposo, Milano 1988, 81 e più di recente A. Massaro, La responsabilità colposa per omesso impedimento di
un fatto illecito altrui, Napoli 2013, 418 s.), poiché questo implicherebbe, nei reati causali puri, che ogni forma di
partecipazione non dovrebbe ad alcun fine transitare dall’art. 113, né pare necessario, al lato opposto, richiedere
la consapevolezza della natura negligente del comportamento del coagente (in questo senso A.R. Latagliata,
Cooperazione nel delitto colposo, cit., 616), anche perché questo limiterebbe alle sole condotte assistite da colpa
con previsione la rilevanza concorsuale. Analogamente L. Risicato, Cooperazione in eccesso colposo: concorso
"improprio" o compartecipazione in colpa "impropria"?, cit., 584 e Id., Il concorso colposo tra vecchie e nuove
incertezze, cit., 160, la quale ritiene che la prevedibilità debba coprire l’evento e l’azione del concorrente,
elementi integranti il Gesamterfolg della figura criminosa che viene in rilievo. In quest’ultimo senso anche P.
Aldrovandi, Concorso nel reato colposo e diritto penale dell’impresa, Milano 1999, 92.
59
Si tratta delle notazioni come sempre chiarissime di C. Pedrazzi, op. cit., 75, poi ripreso da L. Risicato,
Cooperazione in eccesso colposo: concorso "improprio" o compartecipazione in colpa "impropria"?, cit., 583 e in
Id., Il concorso colposo tra vecchie e nuove incertezze, cit., 141 ss.
60
Sulla distinzione tra shared intention, joint action, e group agency, si veda D. Tollefsen, A Dynamic Theory of
Shared Intention and the Phenomenology of Joint Action, in S.R. Chant-F. Hindriks-G. Preyer (eds.), From
Individual to Collective Intentionality. New Essays, Oxford 2014, 14.
61
Critico verso questa deriva, espressiva di meccanismi simbolici di esorcizzazione di fobie collettive, anche L.
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Ragioni condivisibili e meno commendevoli motivi di bassa politica criminale,
ben lontani dall’analisi del disvalore del reato che tanto attentamente è stata svolta dal
Maestro che onoriamo62, rendono insomma la cooperazione colposa un modello di
criminalizzazione con formidabili margini di espansione, in grado di presidiare
qualsiasi interazione ordinaria che presenti una connotazione rischiosa di cui si possa
perdere il controllo, anche se si tratti di pericolosità ex ante definibile come generica,
meramente ubiquitaria e dunque normalmente tollerata dall’ordinamento.
Ecco, dunque, il punto finale della parabola del concorso colposo: da istituto
negletto ad avamposto del controllo penale del rischio.
Cornacchia, Responsabilità penale negli organi collegiali, cit., 195.
62
Il riferimento va ovviamente a N. Mazzacuva, Il disvalore di evento nell'illecito penale: l’illecito commissivo
doloso e colposo, Milano 1983.
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